1
Raoul Paciaroni - Lorenzo Paciaroni
MEMORIE SISMICHE SANSEVERINATI Cronistoria dei terremoti in Sanseverino Marche dal 1279 al 2017
Seconda edizione riveduta e ampliata
Hexagon Edizioni 3
Realizzazione editoriale: Hexagon Group Via Ospedale Vecchio 4/A 62027 San Severino Marche MC www.hxgrp.com info@hxgrp.com Cura editoriale, design ed impaginazione: Lorenzo Paciaroni www.lorenzopaciaroni.com ISBN 978-88-97838-05-0 Prima edizione dicembre 2017 ©Hexagon Group Si consentono la riproduzione parziale o totale dell’opera e la sua diffusione, anche in via telematica, purché non a scopi commerciali e a condizione che questa dicitura sia riprodotta.
4
Un forte terremoto distrugge in una volta tutte le nostre più antiche associazioni; la terra, vero emblema di solidità, si è mossa sotto i nostri piedi come una crosta sottile sopra un fluido; lo spazio di un secondo ha destato nella mente una strana idea di non sicurezza, che parecchie ore di riflessione non avrebbero prodotto. C. Darwin, Viaggio di un naturalista intorno al mondo
PREFAZIONE È passato un anno dall’ottobre 2016 quando la terra ha tremato a più riprese nelle Marche, in Umbria, Lazio e Abruzzo. Molti di noi si sono trovati in prima persona a vivere quell’evento disastroso e terrificante. Il dramma cupo e immane delle popolazioni colpite è stato senza limiti. Tutti abbiamo ancora negli occhi l’immagine dell’umanità smarrita e dolorante dei giorni immediatamente successivi al terremoto. E poi il grande sforzo di solidarietà prima per far fronte all’emergenza, poi per alleviare l’angoscia delle persone, infine per iniziare il «dopo-terremoto» con l’impegnativa fase dei nuovi insediamenti e della ricostruzione che verrà. A un anno dal sisma è assai complicato fare un bilancio completo dei danni e della difficile rinascita. Da parte nostra abbiamo voluto fermare sulla carta il ricordo di quella tragica domenica in cui le forze della natura si sono scagliate veementemente anche sulla nostra amata Sanseverino con conseguenze pesantissime. Troppo presto, infatti, si tende a cercare di dimenticare gli avvenimenti critici del passato, quasi a cercare di cancellare dalla memoria fatti che ci hanno fatto soffrire; gli eventi che colpiscono in modo così violento intere comunità sono anche quelli più dolorosi. Il desiderio più che giustificabile di allontanarsi dal dramma crea però anche le condizioni che portano, nel tempo, a diminuire la percezione del rischio, facendo di conseguenza scendere i livelli delle necessarie difese contro futuri possibili eventi simili. Per contrastare questo fenomeno, quindi, è necessaria la memoria storica, quella documentata su fonti inoppugnabili. Ritornare con rigore critico agli eventi del passato è perciò un sicuro antidoto alle rimozioni e un ottimo contributo alla responsabilizzazione per l’avvenire. 5
La prima edizione di queste Memorie sismiche sanseverinati, uscita nel 1989 a cura del Comune di San Severino Marche, fu assai apprezzata dal pubblico dei lettori ed andò esaurita nel giro di pochi mesi. Le richieste di molti concittadini ci hanno indotto a pubblicarla in una seconda edizione nella quale sono stati aggiunti i risultati di ulteriori ricerche e l’aggiornamento dei terremoti fino ai nostri giorni. L’augurio è che il consenso non manchi neanche a questa, più ricca ed approfondita, per molti aspetti un nuovo libro. Ma soprattutto il recente ciclo sismico che ha interessato l’Italia centrale, e in particolare la nostra città, ci ha spinto a ritornare sull’argomento e a riflettere sull’opportunità e l’utilità delle interconnessioni geostoriche nelle ricerche sulla sismicità del Sanseverinate. Il territorio comunale è stato sede di un’attività sismica notevole, sia per l’intensità che per la frequenza dei terremoti che, pur non avendo raggiunto punte catastrofiche, ne hanno segnato profondamente la storia. Questo saggio è stato uno dei pochi esempi, nelle Marche, di un’ampia rassegna diacronica del materiale archivistico e bibliografico relativo ai movimenti tellurici riguardanti un singolo Comune. Ciò ha reso senza dubbio qualche buon servizio alla scienza e alla cultura storica e sismica ed ha offerto a molti studiosi della materia un modo facile per acquisire informazioni intorno ad un grande numero di eventi succedutisi in uno specifico territorio. La presente nuova edizione rimane sostanzialmente fedele al tipo, ai limiti ed alle qualità della prima, ma – come è facile supporre – riveduta ed ampliata. Riveduta perché vari inevitabili difetti sono saltati agli occhi a una più attenta lettura e perché le spiegabili modificazioni avvenute in tutti questi anni hanno reso necessarie delle leggere modifiche. Ampliata, poi e notevolmente: anzitutto si è potuto aggiungere una seconda sezione che porta questa storia sismica dal 1898 (con cui si chiudeva la prima edizione) ai giorni nostri. In secondo luogo, perché anche nella prima parte sono state aggiunte molte altre notizie reperite in questi ultimi tempi, ripassando documenti e manoscritti, esplorando di nuovo archivi e biblioteche e facendo tesoro di studi usciti dopo la prima edizione. Le due parti non sono da ritenersi separate, ma frutto di una continua osmosi di informazioni, consigli e suggerimenti. Gli autori, padre e figlio, sono stati animati dal proposito di affrontare gli scogli della non facile materia con la dovuta preparazione storica e scientifica, ma anche di rendere la trattazione quanto più possibile piana e vivace, ossia accessibile anche ai non specialisti. 6
INTRODUZIONE Lo studio della sismicità storica, vale a dire dei fenomeni sismici che si sono verificati nell’ambiente umano in tempi storici, ha avuto in Europa, ormai da diversi anni, una ripresa d’interesse. I risultati di queste ricerche, caratterizzate spesso da una pratica di lavoro multidisciplinare, hanno contribuito ad ampliare le conoscenze nell’ambito della sismologia e degli studi di sismotettonica, per poter così meglio valutare il grado di vulnerabilità sismica di ciascun paese, di ciascuna regione. L’incontro fra discipline storiche e scienza della terra è stato favorito dalla sopraggiunta consapevolezza della necessità della rilevazione diacronica dei dati desunti dall’osservazione dei testimoni oculari per poter conoscere l’interazione tra terremoto e territorio, per individuare le peculiarità locali di propagazione dell’energia e le sue eventuali amplificazioni o attenuazioni. La raccolta dei dati macrosismici (vale a dire le descrizioni degli effetti osservati nell’ambiente) e l’estensione nel tempo di tali conoscenze tendono tuttavia anche a stimolare la crescita e la diffusione di una cultura del terremoto, così che le scarse conoscenze e il compiaciuto catastrofismo non continuino ad alimentare il pregiudizio che i fenomeni sismici siano eventi oscuri ed imprevedibili e per ciascun territorio si delinei una sorta di anamnesi della pericolosità sismica1. Il terremoto è un fenomeno naturale e ricorrente ma non periodico, generalmente circoscritto a zone conosciute. La sua non periodicità lo rende non prevedibile, almeno allo stato attuale delle conoscenze; d’altra parte, la sua ricorrenza in aree note lo rende statisticamente probabile in quelle aree. La probabilità che un sisma si verifichi in un certo territorio sarà tanto più agevole da stimare quanto più indietro nel tempo va la raccolta di cronache o di testimonianze dei terremoti avvenuti in quella determinata zona. «La propensione di una regione a generare terremoti più o meno forti – ha scritto Enzo Boschi, già Presidente dell’Istituto Nazionale di Geofisica – e la stima dell’impatto territoriale che tali terremoti possono avere costituiscono la pericolosità sismica di quella regione. … Per “capire” la sismicità di una regione e valutarne la pericolosità sismica dobbiamo guardare indietro, particolarmente in Italia dove disponiamo di un patrimonio storico-documentario eccezionalmente ricco, anche se non per questo già del tutto esplorato»2. 7
E questo libro cerca di rispondere proprio a siffatta esigenza: documentare in modo critico e rigoroso quali sono stati i momenti sismici nella storia della nostra città. L’abbiamo sottotitolato appunto cronistoria, cioè una disposizione, e quindi un ordine, nel tempo dei terremoti avvenuti o sentiti nell’area sanseverinate. Il catalogo che abbiamo compilato mostra che dall’anno 1279 ai nostri giorni si sono verificati moltissimi terremoti, di cui nessuno a carattere catastrofico, ma quasi sempre di media o forte intensità. Da secoli esiste ormai la certezza che il territorio sanseverinate è un territorio sismico: lo è stato in passato e lo sarà in futuro. Dobbiamo quindi imparare, come altri popoli hanno fatto, a convivere con il terremoto. Il terremoto non è una sorta di divina punizione, come ritenevano i nostri avi: è una realtà dovuta alla situazione geologica del paese. Mario Baratta, agli inizi del Novecento, costruì una carta sismica della regione Marche nella quale Sanseverino rientrava tra le aree sismiche secondarie, ma ciò non implicava alcun obbligo di legge per l’adozione di misure preventive nella costruzione degli edifici. Per moltissimi anni l’unico Comune del Maceratese riconosciuto zona sismica era quello di Caldarola. Solo ottant’anni dopo, con decreto 10 febbraio 1983 emanato dal Ministero dei Lavori Pubblici, l’intero territorio comunale venne incluso nell’elenco delle zone sismiche con grado S=93. Nel frattempo le conoscenze nel settore della pericolosità sismica aumentarono e portarono ad una nuova classificazione del territorio nazionale che introduceva normative tecniche specifiche per le costruzioni di edifici, ponti ed altre opere in aree geografiche caratterizzate dal medesimo rischio sismico. I criteri per l’aggiornamento della mappa di pericolosità sismica vennero definiti nell’Ordinanza del Presidente del Consiglio dei Ministri n. 3519/2006, che ha suddiviso l’intero territorio nazionale in quattro zone sismiche sulla base del valore dell’accelerazione orizzontale massima su suolo rigido o pianeggiante, che ha una probabilità del 10% di essere superata in 50 anni. Il territorio del Comune di San Severino Marche è stato inserito in zona sismica 2, definita come “zona con pericolosità sismica media dove possono verificarsi forti terremoti”. Il fatto di essere così classificati significa dunque che in futuro ci si deve aspettare altri terremoti come quelli che abbiamo sofferto, ma dove e quando questo avverrà non è attualmente prevedibile in termini deterministici. Quando parleremo della valutazione dell’intensità di alcuni terremoti del passato faremo riferimento alla nota scala Mercalli che contempla 12 8
termini, di grado crescente, stabiliti in base ai danni e agli effetti provocati dal sisma su persone, cose e manufatti. Questa valutazione non richiede l’utilizzo di strumenti di misurazione e per la sua caratteristica descrittiva può essere applicata anche alla classificazione di terremoti avvenuti in tempi storici di cui sia rimasta una descrizione scritta. I valori di questa scala sono indicati con numeri romani e vanno da I a XII. La scala Mercalli risente tuttavia di una determinazione dell’intensità del sisma per così dire soggettiva: nelle aree disabitate, stando a tali parametri, risulterebbe difficile percepire gli effetti di un terremoto anche disastroso. Per questo i moderni sismografi misurano l’entità delle scosse sismiche non in base ai 12 gradi empirici della scala Mercalli, bensì secondo una misura, chiamata magnitudo, proposta da Charles Francis Richter (scala Richter) calcolata su base puramente strumentale. In questo lavoro, di impostazione geostorica, si mantiene tuttavia la misurazione secondo la scala Mercalli (almeno per i terremoti meno recenti) per coerenza con le fonti consultate4. Un altro aspetto che si crede opportuno chiarire brevemente è quello del linguaggio orario ormai incomprensibile alla maggioranza dei lettori. La vita di un tempo era regolata dal cosiddetto «orologio all’italiana» che si basava sul tramontare del sole segnalato, ufficialmente, dal suono dell’Avemaria effettuato dalla campana maggiore del Comune cui rispondeva quello di tutte le chiese. L’Avemaria segnava la fine del giorno morente e l’inizio del successivo (la prima ora è infatti quella della notte). Il suono del mezzogiorno come l’ora della mezzanotte erano regolati in modo da corrispondere alle attuali ore 12 e 24. L’uso di contare le ore dall’Avemaria divenne pressoché esclusivo a partire dal XV secolo e restò fino ai primi decenni del XIX secolo, quando, sotto l’influenza della dominazione napoleonica, venne introdotto sistematicamente l’uso detto «alla francese» di dividere il giorno in dodici ore antimeridiane e altrettante pomeridiane a partire dalla mezzanotte. L’orario «all’italiana» variava da città a città in quanto l’ora del tramonto varia in funzione della longitudine e della latitudine, per cui quando fu introdotto l’orario astronomico, nei calendari liturgici venne fissato il suono dell’Avemaria in base al nuovo orario5. Questo saggio vuole occuparsi non solo degli aspetti fisici del terremoto, ma anche e soprattutto dei rapporti che attraverso i secoli si sono venuti a stabilire tra terremoto e società: da una parte il modo in cui è stato di volta in volta interpretato il fenomeno naturale (castigo divino, flagello, calamità, fatalità); dall’altra, le contromisure che sono state poste in essere (cerimo9
nie religiose, riti propiziatori, espiazioni individuali e collettive). Ma oltre alla storia degli stati d’animo verranno evidenziati altri aspetti non meno importanti legati ai sommovimenti tellurici che vanno dall’arte, alla letteratura, al folklore e così via. I sanseverinati hanno sempre pensato che i terremoti che fanno tremare la loro terra siano conseguenza diretta di attività vulcaniche sotterranee. Anche le voci popolari tramandatesi di generazione in generazione, e non si sa con quale consistenza, vogliono vedere in una larga buca che man mano
Buca del terremoto
si va restringendo e riempiendo di detriti, sul monte sopra il santuario di S. Pacifico a sud di Sanseverino, il cratere di una antichissimo vulcano. La voragine è significativamente denominata “Buca del terremoto”, ma è detta comunemente anche “Buca d’Aria” perché situata alle falde dell’omonimo monte a quota m 799 s.l.m. Attualmente la buca ha una circonferenza di circa 110 metri e una profondità di 20 metri. Autorevoli studio10
si catalogano la «Buca del terremoto» come una dolina6, ma sembra che effettivamente la voragine si sia formata per un grande cedimento della superficie che si ritiene dovuto a terremoto, come il nome stesso sta ad indicare. Non sappiamo però in seguito a quale preciso evento ciò possa essere avvenuto né i documenti d’archivio noti ci soccorrono in proposito. Possiamo solo avvertire che il toponimo compare registrato per la prima volta nel rilievo cartografico per la Carta d’Italia (scala 1:50.000) eseguito dall’Istituto Geografico Militare nell’anno 1895, mantenuto poi in tutti i successivi aggiornamenti7. Anche le citazioni di questo singolare luogo sono molto poche. Un primo riferimento lo troviamo in una relazione che il cav. Domenico Ceci, sindaco della città, trasmetteva a P. Guido Alfani, Direttore dell’Osser-
Tavola IGM del 1895, particolare della Buca del terremoto
vatorio Ximeniano di Firenze, per ragguagliarlo intorno ad alcune scosse di terremoto che, nel 1922, avevano creato forte panico tra la popolazione sanseverinate. Il rapporto si concludeva facendo cenno della buca, senza tuttavia indicarne la data di formazione: «Da notare pure che la nostra città è in una specie di bacino, circondata da colline calcari con terreno a falda d’acqua scarsa e profonda, e pare che nel sottosuolo debbano esistere grandi cavità, perché si hanno in più punti profonde grotte scavate nella roccia (S. Eustachio), e in una cima si ebbe in tempo non molto remoto uno sprofondamento di terreno (buca d’Aria)»8. 11
Tra i primi studiosi che menzionarono la buca va segnalato l’illustre geografo Olinto Marinelli il quale, trattando in un suo saggio del 1925 dei termini relativi a grotte e fenomeni carsici, così scriveva: «Si confronti la Buca del Terremoto, segnata nella tav. “S. Severino Marche” a nord di S. Severino, che però a me sul luogo fu indicata col nome di “Buca d’Aria”. La formazione sua è volgarmente attribuita a terremoto». Anche in un giornale del 1933, nella cronaca di alcune esercitazioni paramilitari effettuate dagli studenti universitari di Macerata, si legge che quelle si svolsero presso «la così detta “buca del terremoto”, che è una vasta e profonda voragine apertasi assai probabilmente per il crollo degli strati superficiali, causa i fenomeni sismici che in quella zona sono assai frequenti per le cavità, le caverne e le interclusioni colà esistenti»9. La fantasia popolare ha visto naturalmente in questa buca la bocca di un vulcano spento ed i racconti di alcune persone anziane hanno tramandato altre curiosità che ci piace riferire per il loro interesse demologico. È tradizione che mille anni fa vi fossero nella zona due vulcani, uno a Caldarola e uno sul monte Aria: quando si svegliava l’uno, si svegliava anche l’altro. Del vulcano sul monte Aria non resterebbe che questa buca, la quale in passato era molto più profonda e guardata con timore da quelli che vi passavano vicino come carrettieri, taglialegna, pastori e cacciatori. Si narra che delle lepri inseguite dai cani vi cadessero dentro senza più riuscire a venirne fuori; altri raccontano che vi fu buttato un cane, ma dopo un po’ non lo sentirono più abbaiare, come se fosse stato inghiottito dalla montagna; altri ancora vi lasciarono cadere una pietra, ma prima che questa toccasse il fondo fecero in tempo a recitare un Pater noster. Poco lontano dalla buca passava una stradina usata un tempo per andare da Sanseverino a Villa d’Aria: si dice che la buca attirasse irresistibilmente come una calamita i buoi e i cavalli che trainavano i carri per cui bisognava stare molto attenti quando si passava lì vicino a tenere ben tese le redini per evitare di finire dentro il misterioso buco10. Rimanendo nel campo del folklore va segnalato l’atteggiamento di relativa tranquillità che i sanseverinati hanno nei confronti dei terremoti: i movimenti tellurici che per secoli hanno scosso la città non hanno mai causato vittime o feriti gravi e ciò viene attribuito alla particolare protezione del patrono S. Severino, che l’iconografia ci mostra quasi sempre mentre sorregge con la mano l’immagine stilizzata della città nostra. A tal proposito corre in mezzo al popolo una graziosa storiella secondo la quale 12
S. Severino sarebbe il cugino di S. Emidio, protettore per antonomasia dai danni del terremoto e che con lui, per rispetto della parentela, ci fosse stato quasi un patto di non far scatenare le forze distruttrici della natura sulla città. Si vuole anzi che S. Emidio abbia detto a S. Severino la storica frase: «Te sgrullo, ma non te lamo!» (ossia: «Ti scuoto, ma non ti abbatto!») e la promessa è stata fino ad oggi mantenuta. Ma, come si sa, anche tra parenti ogni tanto c’è qualche screzio e quando i due cugini in paradiso si arrabbiano (se strona) per qualche futile motivo, la terra ricomincia a tremare, ma le scosse durano poco e portano solo paura e danni non eccessivi. Va tuttavia ricordato che una leggenda similare si ode anche a Jesi, dove S. Emidio ha assicurato la sua protezione contro i terremoti a S. Settimio, creduto fratello del vescovo ascolano, e così ad Osimo dove si vuole che il patrono S. Giuseppe da Copertino, amico di S. Emidio, si sia fatto promettere da lui che a sua volta potesse proteggere gli osimani dai danni del terremoto. Come poi i detti santi potessero essere parenti e amici, essendo vissuti in secoli tanto diversi, è un mistero…11. Il popolo ha cercato a suo modo di dare una spiegazione agli effetti limitati dei terremoti, ma la leggenda ci fa dedurre che se nulla di estremamente grave è mai successo ciò è dovuto soprattutto alla natura geologica del terreno su cui è fondata Sanseverino. Ma oltre la tradizione locale, espressione dell’anima profondamente religiosa della nostra gente, sono i documenti storici che ci testimoniano da lunga data la fiducia dei sanseverinati nel patrocinio del loro santo vescovo in occasione dei più gravi sismi. In passato, non appena un terremoto scuoteva la città, si organizzavano solenni processioni propiziatorie con la statua argentea di S. Severino, nella ferma convinzione che il flagello sarebbe presto cessato per virtù della miracolosa reliquia. Questo splendido monumento di arte cristiana, che racchiude all’interno la testa del santo patrono, fu eseguito nel 1659 dall’orafo romano Sante Lotti, si vuole su disegno del Bernini, con l’argento di altra più antica statua donata tre secoli innanzi da Onofrio Smeducci, signore della città, e con i sussidi del Comune e del clero12. Le prime testimonianze di processioni con questa statua, per allontanare i terremoti, risalgono all’anno 1672; nel corso del XVIII secolo furono poi frequentissimi i cortei religiosi preceduti dal venerato busto d’argento che vedevano la partecipazione di tutta la popolazione e che toccavano ogni angolo della città affinché tutti ne traessero giovamento. L’ultima cerimonia di questo genere fu quella organizzata per il terremoto del 1873. Ma 13
Busto d’argento di San Severino 14
se col tempo costumi e tradizioni mutano e si trasformano, restano però interessante oggetto di studio e sono fonti che hanno un valore non lieve nella storia di una popolazione. La secolare tradizione che attribuisce alla valida tutela di S. Severino la difesa contro i terremoti trova conferma anche nella letteratura locale che vogliamo qui riferire in modo particolareggiato essendo un argomento mai analizzato dagli studiosi. Per primo il P. Bernardo Gentili (1673-1760) della Congregazione dell’Oratorio, nella sua vita del Santo patrono rimasta inedita, aveva scritto chiaramente: «Alla protezione di Severino devesi l’esser stata la città preservata dal terribile flagello del terremoto, dal quale in questo secolo corrente abbiamo vedute diroccate più città nell’anno 1703»13. Nel 1739 veniva pubblicato sotto gli auspici di mons. Dionisio Pieragostini, vescovo diocesano (di cui veramente è la paternità dell’opera), un libriccino devozionale per fare una novena in preparazione della festa del patrono dove sono ricordati brevemente gli effetti mirabili della protezione del santo verso la sua città, «ora liberandola dall’assedio di nemici eserciti; ora purgando l’aria dalle pestifere influenze; ora rassodando la terra tremante; ora mettendo in fuga i turbini e le procelle»14. Nel 1754 veniva data alle stampe analoga novena dedicata al vescovo mons. Giuseppe Vignoli, contenente alcune preghiere in onore del santo patrono (scritte dal P. Giuseppe Gentili) e nelle considerazioni dell’ultimo giorno vengono enumerati i diversi favori divini ottenuti dalla città per suo mezzo: «Quante volte ricorrendo a Lui in tempo di ostinata siccità ci ha ottenuta la pioggia opportuna a sollievo delle nostre sitibonde campagne? E non fu Egli, che nel tempo de’ terremoti, che cagionarono tante stragi nelle città, terre, e castelli a noi vicini, le nostre case, le nostre chiese, le nostre torri restassero immuni da ogni ruina? A chi dobbiamo la conservazione di questa nostra città, quando assediata dal poderoso esercito di Fortebraccio, e de’ suoi collegati venuti con animo di distruggerla, se non al suo valevole patrocinio?»15. Passano gli anni e nel 1818 un ecclesiastico, di cui non compare il nome, faceva stampare per sua devozione a S. Severino ancora una sacra novena di preparazione alla festa dell’8 giugno (l’autore sarebbe il sacerdote D. Giovanni Parteguelfa). Il testo differisce poco dalle precedenti edizioni e così anche l’elencazione dei benefici ricevuti grazie al patrocinio del santo vescovo: «Quante volte [il popolo sanseverinate] all’invocazione del suo 15
gran nome, all’umile ricorso fatto con fede al suo Tempio, vidde rassodata sotto de’ proprj piedi la terra tremante, dissipate le minacciose procelle, restituita a’ campi la bramata fecondità, allontanati i pestiferi contagj, disperse le nemiche falangi»16. A sua volta mons. Giovanni Carlo Gentili (1794-1859), nella sua storia della Chiesa settempedana dedicava una bella pagina alla protezione di S. Severino in occasione dei più forti terremoti che avevano colpito la città e la partecipazione affettiva del santo alle pene e alle angosce dei suoi concittadini: «Equidem tot modis scissi cives haudquaquam in vita erant remansuri, nisi Severinus eos retinuisset. Quando cives terrae quassatione et ruinis semel ac iterum opprimebantur anno 1703, quae plaga lethalis Severini cordi impingebatur! Quando anno 1741 maenia inusitatus concutiebat terraemotus, uti animo Severinus sauciabatur! Quando anno 1799 territi cives eadem de causa, relicta urbe, patenti in agro excubabant, quomodo acerbiores ejus ab oculis veluti lacrymarum rivi fluebant! Quis unquam Pater dilexit filium suum, ut Severinus?». Il brano, tradotto in lingua italiana, suona pressappoco così: “Di certo gli affranti cittadini in nessun modo sarebbero sopravvissuti se Severino non li avesse protetti. Quando erano tormentati dal terremoto e dalle rovine una prima e una seconda volta nell’anno 1703, quale ferita mortale veniva inflitta al cuore di Severino! Quando nell’anno 1741 uno straordinario terremoto scuoteva le mura, quanto Severino era colpito nell’animo! Quando nell’anno 1799 i cittadini atterriti per la stessa causa, lasciata la città dormivano fuori casa in aperta campagna, quanto più amari scendevano dai suoi occhi rivi di lacrime! Quale Padre mai amò suo figlio come Severino [la sua città]?”17. Lo stesso Gentili, descrivendo nel 1847 la vita del vescovo di Settempeda inserita nel primo volume de Il Perfetto Leggendario, che contiene le biografie dei santi suddivise per i dodici mesi dell’anno, concludeva riferendo quante volte i sanseverinati erano ricorsi alla protezione del santo patrono nelle avversità che li avevano travagliati, comprese le scosse dei terremoti: «Si alzarono gli occhi in verso lui al traballare della terra, allo incalzarsi di nuovi mali, e giammai si ebbe a desiderare il soccorso efficace»18. Il 9 dicembre 1852 la Sacra Congregazione dei Riti approvava l’Ufficio proprio di S. Severino, vale a dire che il giorno della festa dell’8 gennaio si celebrava una messa dedicata proprio in onore del Vescovo settempedano secondo un testo appositamente composto contenente inni, letture, 16
preghiere a glorificazione del santo. In uno di quegli inni (scritti dal prof. Francesco Lori, sanseverinate) si leggono i seguenti versi che alludono al suo patrocinio sulla città: «Arcet hinc hostes, proibetque belli / Hinc nefas; pestemque procul famemque / Pellit: illius tremefacta tellus / Voce quiescit». Achille Paolini, un alunno del Ginnasio di Sanseverino, l’anno seguente così li volgeva nella lingua italiana: «Quinci il nemico, e quinci l’empia guerra / Lontano spinge, e fame e morbi caccia: / Per Lui, se trema sotto i pié la terra, / Convien che giaccia»19. A proposito di inni sacri in lode del celeste patrono, il letterato sanseverinate Pacifico Del-Frate (1808-1880), professore di eloquenza nel Collegio di Ravenna, nel 1856 offriva alla Magistratura municipale una raccolta di quattro eleganti componimenti latini di sapore oraziano in cui si leggono, tra l’altro, i seguenti versi allusivi al terremoto: «Ille vel muros patrios tuetur, / Vel malos pellit prohibetque Morbos; / Ille seu Terram solido trementem / Cardine firmat», che possono così tradursi in volgare: “Egli [S. Severino] o difende [dai nemici] le mura della patria, o scaccia e tiene lontane le pericolose malattie; oppure ferma la terra tremante con solido cardine”20. Sempre alla penna di Pacifico Del-Frate è dovuto un ritratto poetico di S. Severino esposto in una elegante elegia latina e dedicato al conte Severino Servanzi Collio nell’anno 1873. Anche qui vi è un palese riferimento ai contagi e ai terremoti sedati grazie all’intervento del santo patrono: «Dira lues cessit, nocuit si terra tremiscens / Hic nihil, orato gratia habenda Patri est». Il componimento fu volgarizzato in versi italiani dall’illustre professore Ettore Marcucci (1820-1891), letterato, poeta e accademico della Crusca: “Se cessò dira lue, se per tremuoto / Ondeggiò innocuo il suolo, all’invocato / Padre dar grazia vuolsi e sciorre il voto”21. Giovanni Carlo Gentili, di cui già conosciamo i meriti storici e letterari, al termine della ricordata biografia di S. Severino da lui scritta, dopo aver enumerato i miracolosi interventi del patrono per preservare indenne la vecchia e nuova Settempeda da guerre, epidemie e terremoti, così concludeva: «Continui egli da quella patria, alla quale ci avviamo traverso questo esiglio, a giovar noi e quelli che più tardi verranno». Speriamo che l’auspicio dello storico settempedano sia sempre valido e che S. Severino seguiti amorosamente a difendere la città che porta il suo nome dai cataclismi tellurici e da tutte le altre avversità, nonostante i sanseverinati, immemori di tante grazie ricevute nel corso dei secoli, si siano ormai quasi completamente dimenticati di lui, visitino raramente la chiesa a lui dedicata, non 17
facciano più dimostrazioni di fede in suo onore, non elevino preghiere ai piedi della sua urna un tempo veneratissima. Nei momenti di pericolo la città non disdegnò raccomandarsi anche ad altri avvocati celesti. Quando nel 1703 una serie di forti terremoti creò gran timore tra la popolazione, furono scelti dal Comune come protettori («avvocati») S. Nicola da Tolentino22, S. Cristoforo e S. Francesco Borgia. Come è noto, S. Cristoforo era uno dei quattordici santi ausiliatori, di quei santi, cioè, invocati in occasione di gravi calamità naturali quali terremoti, tempeste, inondazioni; inoltre, fin dal Medioevo, si riteneva che chiunque vedesse la sua immagine era per quel giorno al sicuro da una morte improvvisa: per tale ragione lo si raffigurava nei luoghi più visibili e frequentati, nelle facciate delle chiese, sulle porte delle città23. Il patrocinio del santo gesuita Francesco Borgia deriva invece dal fatto che egli visse personalmente l’esperienza di uno spaventoso terremoto quando si trovava nella città di Baeza, in Spagna e perciò nella circostanza del sisma San Severino protegge la città. Incisione del 1703 molte località dello Stadel XIX secolo to Pontificio lo elessero per loro protettore. Lucantonio Chracas, in un’interessantissima relazione su quel terremoto, ricorda in proposito le città di Fermo, Spoleto, Città di Castello, Terni, Recanati, Tivoli, S. Elpidio, Mogliano e Moresco, ma non fa il minimo accenno a Sanseverino24. Ma l’essere stata Sanseverino preservata dalle più grandi rovine del sisma, che aveva danneggiato tante altre città e luoghi dello Stato Pontificio e del Regno di Napoli, fu attribuito ancora una volta alla protezione di S. Severino nonché della Madonna dei Lumi, della Madonna del Glorioso e di S. Cristoforo martire la cui reliquia si conserva tuttora nella chiesa cat18
tedrale. Nei terremoti del 1719 e del 1727 furono fatte solenni processioni con questa reliquia e con la statua della Madonna del Glorioso. Nel 1741, per la stessa ragione, fu fatta una processione con il busto argenteo di S. Severino e con la reliquia di S. Cristoforo. Nel 1747, in tempo di terremoti, fu di nuovo portato in processione il Braccio del venerato santo traghettatore. A S. Emidio, invocato ovunque per la protezione dai sismi, i sanseverinati pensarono molto più tardi. Il culto del santo fu introdotto nella città soltanto nel 1789 quando Vincenzo Tinti commissionò al pittore Filippo Ricci di Fermo un dipinto in ovato, raffigurante il vescovo di Ascoli Piceno, per la chiesa di S. Giuseppe di cui aveva il giuspatronato (oggi è in S. Agostino)25. Poi in occasione del terremoto del 1795 gli artigiani del luogo fecero celebrare un triduo in onore dello stesso santo nella chiesa di S. Domenico. Poco dopo lo spaventoso terremoto del 1799 fu fatta una processione con la statua della Madonna del Glorioso per le vie della città portandosi in corteo anche un quadro con l’effigie di S. Emidio, che poi fu collocato nel secondo altare a destra della chiesa del Glorioso dov’è ancora, sebbene non sia più oggetto di particolare devozione. Per quanto riguarda l’iconografia di S. Emidio nel Sanseverinate, oltre ai ricordati quadri essa comprende altri due dipinti che vogliamo brevemente segnalare. Nella chiesa parrocchiale di S. Rocco del castello di Elcito la pala dell’altare maggiore rappresenta la Pietà, S. Severino e S. Emidio, S. Dionisio e S. Rocco e in basso S. Giovannino. Nel deposito comunale di Palazzo Servanzi Confidati è conservato invece un quadretto raffigurante S. Emidio, proveniente dalla chiesa della Pieve. Non sono noti gli autori di questi lavori, di valore artistico non eccelso, che possono sicuramente datarsi ai primi anni dell’Ottocento. È documentato che alla fine del XVIII secolo nella Chiesa settempedana veniva già festeggiata la ricorrenza liturgica di S. Emidio alla data del 12 aprile con la celebrazione dell’ufficio proprio del santo vescovo e martire. Inoltre vogliamo ricordare che il sacerdote D. Filippo Rossi compilò nel 1931 un manuale ad uso dei parroci della Diocesi sanseverinate inserendovi anche “Preghiere in onore di S. Emidio Vescovo e Martire protettore del terremoto da recitarsi col popolo nel dì della sua festa 9 agosto” le quali sono state devotamente applicate fino agli anni settanta del secolo scorso26. A partire dal Seicento le espressioni di paura e le invocazioni a Dio, alla Madonna e ai santi si ripetono con sempre maggiore frequenza, rispecchiando lo stato d’animo e l’angoscia di uomini abituati a considerare 19
ormai ogni calamità naturale un flagello divino inviato per la punizione dei tanti peccati commessi sulla terra. Il terremoto era quasi un segnale che le vicende umane correvano su una strada errata per cui bisognava rimediare con conversioni, preghiere collettive, pubbliche penitenze, processioni, appelli alla divinità per implorarne la misericordia. La nostra età sorride davanti a manifestazioni tanto ingenue della fede e della pietà popolare, ma esse hanno un significato ben chiaro e profondo: il terremoto era una manifestazione della natura tanto sconvolgente da comportare Quadro di Sant’Emidio nella chiesa di Sant’Agostino mutamenti non solo nella struttura architettonica di un paese, o di un gruppo di paesi, ma tale da influire in qualche modo anche sullo stato psicologico di ciascun individuo e sulla struttura sociale dei gruppi umani, che spesso uscivano alterati nella loro composizione, mentre la ricostruzione era spesso compiuta alterando quello che era un equilibrio architettonico segnato da secoli di permanenza, cancellando così ricordi di cose e di tempi che spesso affondavano le loro radici in epoche remote. Oggi il terremoto è visto solo come un fenomeno naturale, ma nel passato veniva ad esso attribuita una dimensione essenzialmente soprannaturale e le risposte spirituali al fenomeno avevano una forte connotazione religiosa e rituale di riconciliazione tra umanità peccatrice e divinità irata. Lo studio dei documenti offre al ricercatore una casistica ampia e varia: assistiamo così durante e subito dopo i movimenti tellurici a riti di espiazione che coinvolgevano l’intera comunità (comunioni generali, cicli di preghiere, processioni, atti speciali di penitenza, esposizione di immagini sacre e di reliquie particolarmente venerate, scoprimento delle urne dei santi locali) e in seguito, via via che le scosse si diradano, ad altrettanto elaborati rituali di ringraziamento per lo scampato pericolo (messe solenni con il canto del Te 20
Deum, pellegrinaggi, istituzione di voti, sacre missioni, ecc.). Tutte quelle cerimonie non rispondevano semplicemente ad una esigenza religiosa, ma riuscivano in qualche modo a portare un po’ di serenità e di speranza tra la popolazione sconvolta dai crolli e dai movimenti tellurici. Circa i terremoti che nel passato furono sentiti a Sanseverino abbastanza ricca è la documentazione locale che può illuminarci su tali eventi e sulle loro conseguenze. L’Archivio municipale, l’Archivio capitolare e vescovile, la Biblioteca comunale, ecc., non sono le sole raccolte da cui si possono attingere notizie importanti per la storia sismica della città, ma si hanno pure le biblioteche private che offrono vasto campo di studi e ricerche, e così i libri parrocchiali, le memorie manoscritte di qualche buon prete o parroco di campagna o di qualche raro amatore o ricercatore di vicende patrie27. Fino al XVIII secolo le testimonianze storiche sono piuttosto scarse e frammentarie, ma questo non vuol dire che prima di quel secolo non vi fu attività sismica, ma solo che la minore quantità di documenti e di cronache non offre un quadro ricco di notizie e di dati come per i tempi a noi più vicini. Inoltre nei documenti pubblici più antichi si trovano poche notizie di terremoti forse perché non furono così gravi da interessare le autorità, ma in proposito c’è da fare un’osservazione: il Comune nel passato non si occupava dei mali altrui; è, infatti, estranea alla costituzione municipale di antico regime ogni idea di assistenza pubblica a seguito di calamità. Un atteggiamento che man mano evolverà per cui l’intervento pubblico, inizialmente limitato ad erogare elemosine per funzioni sacre, finirà per caratterizzarsi come intervento diretto, attivo, finalizzato al rilevamento dei danni, allo stanziamento di sussidi, alla legiferazione in materia edilizia. Fin dal secolo scorso il prof. Alessandro Serpieri (1823-1885), che dedicò particolare cura allo studio dei terremoti, aveva auspicato ricerche sui fenomeni sismici in ambito comunale «imperciocché sarebbe molto utile e buona cosa che ogni paese avesse un’esatta e minuta storia de’ suoi antichi e recenti terremoti, essendosi abbastanza riconosciuto che i terremoti avvenire saranno molto simili ai passati»28. Purtroppo l’invito espresso dall’illustre scienziato non venne allora raccolto dagli studiosi della regione ed anche ora le Marche, fatta eccezione per pochi centri, non possiedono una adeguata bibliografia specifica sull’argomento. Visto il rinato interesse per la ricerca storica attorno ai terremoti ci è sembrato opportuno riprendere in mano i testi ormai classici sull’argomento, ma soprattutto provvedere ad una esplorazione sistematica dei fon21
1703: L’ANNO DEI TERREMOTI 1703 Il Settecento fu un secolo di gravi e frequenti sconvolgimenti sismici nell’Appennino che ebbero come località epicentrali l’Aquilano e la zona di Norcia. Essi ebbero inizio nel 1703 che, proprio per i molti e spaventosi terremoti, fu definito negli annali «l’anno dei terremoti». Verso le due ore di notte (cioè verso le 19 dell’orario attuale) del 14 gennaio 1703 si verificò il primo terremoto, il più noto, che distrusse quasi completamente Norcia, fu gravissimo nel territorio Aquilano (oltre 7000 morti) e fu sentito fortemente pure a Roma; una forte replica si ebbe due giorni dopo. Queste scosse produssero molto spavento e qualche danno anche a Sanseverino49. Bernardo Gentili, un diligente sacerdote oratoriano, ci ha lasciato questo breve ricordo del sisma: «Adì 14 gennajo fu abbattuta la città di Norcia da orribil terremoto. Scosse spaventosamente ancor la nostra patria, ma nulla di pregiudizio esperimentò»50. Una scarna annotazione fu lasciata anche da D. Antonio Francesco Monti, parroco di Patrignolo, in un registro di stato d’anime della sua piccola parrocchia rurale: «Li 14 di gennaro 1703 venne di notte un grande e terribile terremoto, fu poi saputo li grandi danni che fece e tra essi la subissazione di Norcia. Per memoria fu rifatta»51. Ma per la descrizione più accurata degli effetti del sisma nel Sanseverinate ci avvarremo soprattutto delle memorie inedite di alcuni scrittori contemporanei che meglio riescono a trasmettere al lettore stati d’animo ed impressioni di chi fu testimone oculare del pauroso evento. I cronisti elencano inoltre con meticolosa precisione tutte le pratiche religiose e le processioni penitenziali effettuate illustrandocene di ognuna il percorso, i partecipanti, le reliquie traslate e le preghiere corali. Da queste memorie estrapoleremo solo qualche passo, mentre chi avesse interesse a leggere i testi completi non ha che da sfogliare l’appendice dei documenti dove sono stati trascritti in forma integrale. Lo storico Girolamo Talpa, che fu testimone diretto, nelle sue accurate memorie patrie parla di questi terremoti e cioè «il primo sentito alle due della notte li 14 gennaro, che replicò maggiore del primo li 16 dell’istesso mese, ma più spaventoso ed orribile del primo e del secondo fu quello sofferto li due febraro, giorno di venardì, festività della beatissima Vergine»52. 36
Anche nei ricordi di un tale Antonio Muti (morto nel 1742) si ha notizia dettagliata di quel terremoto: «Non potendo Iddio benedetto più soffrire il grave incarco de’ peccati commessi da peccatori, che così dobbiamo credere, risolse alli 14 gennaro, anno 1703, dare avviso della sua indignatione con una terribile scossa di terremoto, del che non apportò alla nostra patria alcun nocumento. Solo che caddero alcune casette in diversi villaggi, come anco patì il convento de PP. Zoccolanti o più di meglio cadé una volta più sottoposta a cadere ad ogni piccolo Girolamo Talpa vento nonché a scossa di terremoto, attesa la sua antichità, accompagnata da molte aperture che in essa vi erano; e dal dì suddetto fino al presente giorno si sono fatti sempre sentire sì di giorno come di notte e ben vero però con qualche leggerezza»53. Inoltre, in una relazione anonima del tempo leggiamo così: «Nell’anno 1703, essendo Pontefice Clemente XI, alli 14 di gennaro, festa del glorioso San Hilarione vescovo e confessore, alle due hora di notte si fece sentire un horribil terremoto che durò più di un Miserere in circa senza fermarsi mai la notte insensilbimente, il quale ruvinò Cascia, Norcia e parte di Visse, Cereto di Spoleto, con morte in detti luochi di innumerabile persone. Alli 15 di detto mese parimente furono sentite replicate scosse aggiungendo maggior terrore a tutti seguitando ogni giorno, alli 16 parimente verso le 21 hora replicò con gagliarde scosse un horribile terremoto che finì di dare maggiormente l’ultima scossa a Cascia e Norcia»54. P. Benedetto Landi (1646-1730), priore del convento di S. Domenico, fu il confessore di suor Felice Acciaccaferri, una mistica sanseverinate assidua frequentatrice del santuario del Glorioso che visse con particolare spiritualità e sofferenza i giorni del terremoto, prima di entrare nel monastero del Corpus Domini di Loro Piceno ove chiuse i suoi giorni nel 1715. 37
IL GRANDE TERREMOTO DEL 1799 1799 Il terremoto che ha lasciato maggiore eco, forse perché più vicino a noi tra quelli più rovinosi, si abbatté sulla città di Camerino il 28 luglio 1799 dove la scossa più forte fu classificata del IX grado e provocò una sessantina di morti e un grande numero di feriti. Nella città ducale atterrò quasi tutti gli edifici pubblici e privati, fece rovinare il vecchio duomo e gran parte delle chiese di S. Venanzio e di S. Maria in Via; i danni ascesero ad oltre 200.000 scudi137. A Sanseverino, in quella calda domenica di fine luglio, una prima leggera scossa sismica era stata avvertita verso le 18 (corrispondenti all’incirca alle ore 14 attuali), ma nessuno gli dette importanza. Alle ore 23 (circa le 19 attuali) una seconda scossa più sensibile e prolungata spaventò tutta la popolazione che, temendo altre repliche, preferì passare la notte all’aperto, data anche la mitezza della temperatura estiva. E fu una vera fortuna. Infatti alle tre ore di notte (le ore 23 attuali) una formidabile scossa di terremoto gettò nella costernazione più profonda i sanseverinati mentre da ogni parte della città si levavano urla e gemiti. Nella città e nel territorio comunale non si ebbero a lamentare vittime, ma solo ingenti danni materiali come attestano le numerose fonti documentarie che possono illuminarci su tale avvenimento e sulle sue conseguenze; ne offrono infatti testimonianze gli storici locali, le cronache dei conventi, gli atti consiliari, i libri parrocchiali e molti altri documenti dell’epoca, con tale abbondanza di particolari che sarebbe troppo lungo riferirle tutte. Per ragioni di spazio sono stati perciò selezionati i passi più specificatamente attinenti alla descrizione del movimento tellurico, ma invitiamo l’attento lettore che volesse conoscere altri aspetti dell’evento a voler consultare nell’appendice i documenti nella loro completezza. Iniziamo con D. Vincenzo Passalacqua (1782-1863), canonico penitenziere del Capitolo Antiquiore, che in un suo interessante diario parla diffusamente del terremoto e dei danni provocati: «Li 28 luglio, giorno di domenica, circa le ore 18 venne una forte scossa di terremoto che intimorì moltissimo. Sulle ore 23 circa dell’istesso giorno venne una più forte scossa, che durò qualche tempo a tremare la terra, per cui caddero dalla faccia80
ta della chiesa di S. Giuseppe due smisurate boccie di travertino che restarono in cima della facciata sopra a due cimase; avvenendo ciò, tutti fuggirono quelli che stavano a vedere il gioco del pallone; non recarono alcun danno, ma intimorì moltissimo e lo scrivente, che giocava a palla nel convento de’ Padri Cappuccini, e nell’appoggiarsi nel murello gli diede una forte spinta che gli arrecò un forte timore. Moltissimi pensarono nella notte di star fuori di casa nel timore che ne venissero altri più strepitosi e restar seppolti sotto le pietre, per cui i parenti dello scrivente pregarono i Padri Cappuccini di farlo restare insieme col fratello Carlo con loro. Quand’ecco alle ore tre Mappa delle aree maggiormente colpite dal di notte circa di repente venne terremoto del 1799 un’altra fortissima e più spaventosissima scossa che fece fuggir tutti dalla città e dalle case, ed il tremore della terra durò quasi ventiquattr’ore venendo quasi sempre ora leggerissime ora fortissime scosse, poiché dall’orto dei Cappuccini si sentivano spesso ballare i coppi del Castello e della città, sentendosi dalla gente urli spaventosissimi che cagionavano un gran senso e terrore. In quella notte cadde il volto del coro della cattedrale di S. Severino e il volto avanti il presbiterio della chiesa di S. Agostino; a Cesolo cadde una porzione della casa dei signori Coletti e per miracolo si salvò sotto un arco d’una porta il suo zio Ugo che era andato colà per rifugiarsi insieme con la sua cognata Madalena e madre dello scrivente. Caddero molti camini, ma non morì nesuno, neppur portò del danno fuori che nella città di Camerino restarono moltissimi morti e feriti. Cadde tutta la chiesa metropolitana, la chiesa di S. Venanzo fuori della facciata davanti, moltissimi palazzi e case messe in rovina, diroccate fino ai fondamenti e sconocchiate. I francesi che in quell’epoca che stavano di presidio fuggirono 81
I TERREMOTI DEL XX E XXI SECOLO 1903 Verso le ore 22 e un quarto del 3 marzo 1903 fu registrata una scossa di terremoto che ebbe una notevole estensione, poiché fu sentita in parte delle province di Pesaro e Urbino e di Ancona, in quasi tutta la provincia di Macerata e in quella di Ascoli Piceno, ed in parte in quella di Teramo. Risulta che tuttavia fu relativamente poco intensa, non sorpassando forse il V grado. Per quanto riguarda la nostra città, l’Ufficio Centrale di Meteorologia e Geodinamica di Roma pubblicava i seguenti dati: «S. Severino M., 22h 12m, ondulatoria di 3s e con ripresa, preceduta da rombo sotterraneo. Impressione quasi generale; movimento di sopramobili, rumore di cristalli, ecc.»242. 1904 Alle ore 12:21 del 2 settembre 1904 si ebbe una scossa molto forte (VI grado) a Sarnano, che provocò lievi lesioni in molti fabbricati di quel paese, ed in forma più leggera fu sentita anche ad Amandola e Sanseverino. Per quanto riguarda l’avvertimento nella nostra città della scossa, l’Ufficio Centrale di Meteorologia e Geodinamica di Roma pubblicava i seguenti dati sismici: «S. Severino Marche, 12h 20m, sussultoria-ondulatoria, [direzione] E.N.E. di 6° [grado], avvertita quasi da tutti per l’intensità e la durata; movimento di sopramobili, invetriate e porte; leggere fenditure in pochissime case mal costruite; due riprese; breve rombo, forte in principio, poi leggerissimo e sordo»243. Da segnalare che già alle ore 17:00 di quel giorno il Prefetto di Macerata, Carlo Bacco, aveva inviato un telegramma al Sindaco di Sanseverino con la seguente richiesta di informazioni: «Prego telegrafarmi se siasi oggi e quale ora precisa costì verificata scossa terremoto se sussultoria o ondulatoria, quanto abbia durato e se abbia prodotti danni disgrazie». Subito il prosindaco Pier Pio Crivelli aveva provveduto a rispondere con lo stesso mezzo: «Scossa sussultoria oggi 12:26, durata tre secondi circa. Nessun danno»244. 133
1906 Nel corso del 1906 alcune piccole scosse interessarono Sanseverino, come può rilevarsi dal Bollettino della Società Sismologica Italiana. Le prime due furono avvertite il 4 maggio 1906: «Sanseverino Marche (Macerata), 21h 57m, sussultoria di circa 5s; più sensibile della precedente a 20h ¾; panico a causa della replica». La terza fu sentita il 1° dicembre: «San Severino Marche, 15h 57m, ondulatoria di 4s circa; avvertita da molti in moto; tremolio di piccoli oggetti; forte rumore sotterraneo». Zelante informatore del sisma fu il Sig. Giovanni Cacafrullo, che all’epoca gestiva l’impresa per l’illuminazione elettrica della città245. 1921 «Fin dalle prime ore del 28 agosto, una domenica piovosa, si cominciarono a sentire in Caldarola e paesi circonvicini molte scosse di varia intensità, che culminarono in una fortissima alle 11h ¾ e per la quale caddero parecchi camini, si riaprirono fenditure in moltissimi edifici e se ne verificarono anche delle nuove. Lo spavento fu grandissimo, specialmente nelle chiese affollate, essendo giorno di festa; ma se dopo questi scuotimenti il suolo avesse ripresa l’ordinaria stabilità, la popolazione si sarebbe ben presto quietata. Invece, il ripetersi di altre scosse, sebbene lievi, nei giorni successivi, ma con allarmante accentuazione, per numero ed intensità, tra il 6 e l’8 settembre, provocò un panico tale, che il sindaco di Caldarola si rivolse al R. Ufficio Centrale di Meteorologia e Geodinamica, affinché fosse inviata colà una persona per studiare il fenomeno e calmare gli animi, così eccitati che numerose famiglie dormivano all’aperto in baracche improvvisate, o sotto tende militari, ed alcune persone si erano decise a lasciare la città». In seguito a ciò, il Ministero per l’Agricoltura, da cui dipendeva il predetto Ufficio, inviava nella città il dott. Giovanni Agamennone, Direttore dell’Osservatorio Geodinamico di Rocca di Papa, dove ebbe modo di esaminare i danni, raccogliere notizie e visitare anche i paesi vicini. In seguito pubblicò una relazione concludendo che l’epicentro sul sisma cadeva proprio in Caldarola e che la forza ivi spiegata dalla principale scossa del 28 agosto aveva raggiunto il grado VII-VIII della scala Mercalli. Le onde sismiche si propagarono per tutta la provincia di Macerata ed anche oltre 134
CRONACA DEGLI ULTIMI TERREMOTI 2016 Il sisma del 2016 è storia dei nostri giorni e ne portiamo tutti nel cuore un ricordo indelebile e una cicatrice ben lontana dalla guarigione. Gli eventi sismici che hanno colpito il Centro Italia si sono verificati a partire dal mese di agosto con epicentri situati tra la valle del Tronto e i monti Sibillini. La prima forte scossa si è avuta il 24 agosto 2016, di magnitudo di 6.0, con epicentro situato tra i comuni di Accumoli e di Arquata del Tronto, nei pressi del confine tra le regioni Marche e Lazio. Due potenti repliche sono avvenute, a distanza di due ore, il 26 ottobre 2016 con epicentri a ridosso del confine umbro-marchigiano, tra i comuni maceratesi di Visso, Ussita e Castelsantangelo sul Nera. Il 30 ottobre 2016 è stata registrata la scossa più forte dello sciame sismico che durava dall’estate, di magnitudo momento 6.5 con epicentro tra i comuni di Norcia e Preci, in provincia di Perugia. Erano oltre trent’anni, dal terremoto dell’Irpinia del 1980, che la terra in Italia non tremava con tanta intensità. La scossa del 30 ottobre si è sentita fino in Austria, il monte Vettore è sprofondato di 70 centimetri, il fiume Nera straripando ha sommerso la via che da Visso conduce a Roma (la Strada regionale 209 Valnerina) e un’altra ventina di strade provinciali sono state chiuse per dissesti o per precauzione. Nelle prime dodici ore dopo la scossa principale ne sono state registrate dall’INGV più di duecento; nei quattro mesi successivi circa 50mila scosse, mediamente una ogni quattro minuti, hanno deformato un’area di oltre 600 chilometri quadrati. Si è avuto, con la scossa del 30 ottobre, il quarto sisma più forte in Italia da inizio Novecento, dopo il terremoto di Messina (1908), quello della Marsica (1915) e quello dell’Irpinia (1980); il primo di tale intensità senza morti dirette, quando i primi tre ne sommarono quasi 135mila. Per gli amanti delle statistiche, il terremoto del 24 agosto e quello del 26 ottobre si collocano, per intensità, al settimo e all’ottavo posto nella storia contemporanea italiana. Nel dettaglio, nel 2016 si sono verificati questi eventi sismici: • 24 agosto 2016: la prima scossa di magnitudo 6.0 è avvenuta alle ore 3:36 del 24 agosto 2016, con epicentro nel comune di Accumoli e 166
ipocentro alla profondità di 8 km. Durante la notte sono state registrate numerose scosse nella zona norcina e in quella reatina, tra queste, varie superiori ai 4 gradi. Alle ore 4:33 una scossa di 5.4 gradi è stata registrata presso Norcia. La Protezione civile ha fermato il conto delle vittime a 299 morti; sono state estratte vive dalle macerie 238 persone. Secondo il Presidente del Consiglio dei Ministri italiano di allora, Matteo Renzi, i danni complessivi erano quantificabili in una somma non inferiore a 4 miliardi di euro. Il giorno seguente il sisma, il numero totale di soccorritori messi in campo ammontava già a 5.400 unità. • 26 ottobre 2016: alle ore 19:10, una nuova forte scossa di magnitudo 5.4 è stata registrata a Castelsantangelo sul Nera, a cui ne è seguita una ancora più forte, di magnitudo 5.9 alle ore 21:18, con epicentro nel comune di Ussita. Le due scosse hanno provocato innumerevoli crolli e diversi feriti lievi. A Tolentino, un anziano è morto colpito da infarto; questa l’unica vittima, indiretta, del terremoto del 26 ottobre. Sono seguite una serie di scosse, le più forti tra magnitudo 3.0 e 4.5. • 30 ottobre 2016: il 30 ottobre alle 07:40 si è verificata una scossa di magnitudo 6.5, percepita in gran parte della penisola italiana, in Austria (nella regione di Salisburgo e in Carinzia) e sulle coste Balcaniche, risultando la più forte scossa di terremoto in Italia dal sisma dell’Irpinia del 1980. Il sisma si è originato a 10 chilometri di profondità con epicentro tra i paesi di Norcia, Preci e Castelsantangelo sul Nera. Si sono registrati molti crolli ma nessuna vittima. Dopo questa si sono verificate scosse di assestamento comprese tra magnitudo 3.5 e 4.8. Dato l’enorme moltiplicarsi delle fonti di informazioni negli ultimi anni, grazie anche alla diffusione della conoscenza che internet permette, per raccogliere il materiale che ripercorre lo sciame sismico del 2016 abbiamo fatto riferimento quasi esclusivamente a documenti ufficiali emessi dal Comune di San Severino Marche. Comunicati contenenti notizie affidabili ed emessi con ottima frequenza e tempismo perfetto, nonostante le proibitive condizioni cui il terremoto ha costretto a lavorare tutti, dipendenti comunali, giunta, consiglieri e collaboratori del sindaco compresi. In qualche caso sono stati consultati quotidiani nazionali per confrontare grandi dati aggregati o quando parlavano della nostra città e, sporadicamente, periodici locali tradizionali e online, quando riportavano informazioni non rintracciabili in altri canali ufficiali. 167
INDICE GENERALE Prefazione
pagina
5
Introduzione
»
7
I terremoti dal XIII al XVII secolo
»
23
1703: l’anno dei terremoti
»
36
Altri terremoti del XVIII secolo
»
50
Il grande terremoto del 1799
»
80
I terremoti del XIX secolo
»
112
I terremoti del XX e XXI secolo
»
133
Cronaca degli ultimi terremoti
»
166
Note
»
196
Appendice
»
229
Bibliografia
»
270
Indice dei nomi di persona e di luogo
»
291
301
302
303
Finito di stampare nel mese di dicembre 2017 presso Mediagraf SpA, Noventa Padovana (PD)
304