All'impazzata

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Aprì gli occhi. Un vento brusco, deciso, si era intrufolato in camera. Trasformava la tenda in una vela, faceva inclinare i fiori nel grande vaso posato per terra, e ora investiva il suo sonno. Era un vento di primavera, il primo: odorava di boschi, di foreste, di terra, aveva attraversato indenne i sobborghi di Parigi, le strade impregnate di benzina, e giungeva all’alba in camera sua, leggero, spavaldo, per ricordarle, prim’ancora che riprendesse coscienza, il piacere di vivere. Richiuse gli occhi, si girò bocconi, cercò con la mano, a tentoni, l’orologio per terra, il volto sempre affondato nel guanciale. Doveva averlo dimenticato, dimenticava sempre tutto. Si alzò con precauzione, sporse il capo dalla finestra. Era buio, le finestre di fronte erano chiuse. Era assurdo che quel vento circolasse a quell’ora. Tornò a letto, si tirò addosso energicamente le lenzuola e per un po’ fece finta di dormire. Invano. Il vento sgroppava per la stanza, lo sentiva innervosirsi nella mollezza delle rose inclinate, nel gonfiore impaurito delle tende. A tratti passava su di lei, supplicandola con tutti i suoi profumi di campagna: “Vieni fuori, vieni 1


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