Amori e malintesi

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1 Hyacinth

“Devo davvero supplicarti di una cosa, Edith,” disse Bruce al colmo dell’inquietudine. “Non farmi arrivare tardi in ufficio!” “Ma certo che no, Bruce,” rispose Edith con voce pacata. Era l’ora della prima colazione e marito e moglie sedevano uno di fronte all’altra in un appartamento di Knightsbridge, nuovissimo, piccolissimo e bianchissimo… simile in tutto e per tutto a migliaia di altri nuovi, piccoli e bianchi appartamenti di Londra. Edith era giovane e carina ma non banale. Probabilmente era anche più perspicace di quanto non lasciasse credere l’espressione consueta del suo viso, che appariva semplicemente allegro e sveglio. “Oh, bisogna che scriva quella lettera prima di uscire,” esclamò Bruce, saltando in piedi e lanciandole un’occhiata di rimprovero. “Perché non l’ho scritta ieri sera?” Edith non ne aveva la più pallida idea, poiché fino a quel momento era rimasta completamente all’oscuro di quella lettera, ma nel corso di tre anni aveva imparato che rassegnarsi alle ingiustizie insignificanti serve a risparmiare tempo, e quindi atteggiò il viso a un’espressione di colpevolezza e di leggero rimorso. Con spirito magnanimo Bruce la per1


donò e si mise a comporre la sua lettera, seduto davanti a una bianca ed elegante scrivania. “Quante g ci sono in ‘Raggett’?” domandò con aria sospettosa. Edith non gli rispose, sopraffatta evidentemente da un subitaneo accesso di distrazione. “Una sola, s’intende. Come sei assurda!” disse ridendo suo marito mentre finiva di scrivere e riprendeva posto a tavola. Edith versò un’altra tazza di caffè. “Curioso,” proseguì Bruce in tono d’imparziale rincrescimento, “che con tutto il chiasso che si fa oggi sulla cultura moderna e sull’istruzione a un livello superiore, non s’insegnino alle ragazze nemmeno i rudimenti dell’ortografia!” “Curioso, vero? Ma anche se me l’avessero insegnata, forse in questo caso non sarebbe servita molto: nessuno probabilmente mi avrebbe insegnato come si scrive ‘Raggett’. È un cognome, no?” “Un cognome notissimo, per giunta,” affermò Bruce. “Non stento a crederlo, però io non lo conoscevo. Ti piacerebbe vedere il bambino prima di uscire?” “Che domanda! Sono sempre contento di vederlo. Ma sai benissimo che stamattina non ne ho il tempo.” “Hai ragione, caro. Puoi vederlo nel pomeriggio.” “Perché dici così? Ti sei già dimenticata che devo giocare a golf con Goldthorpe? È davvero ingiusto, Edith, che un uomo sia talmente oberato di lavoro da non aver neppure un minuto libero da dedicare a sua moglie e a suo figlio.” Edith assunse un’aria comprensiva. “Che cosa fai oggi?” domandò Bruce. “Farò un giretto in automobile con Hyacinth; passerà a prendermi.” Bruce s’illuminò in viso. Disse bonariamente: “Sono tan2


to felice, tesoro, che tu abbia un’amica così incantevole… quando io non posso stare con te. Ammiro moltissimo Hyacinth, sotto ogni punto di vista. Se non sbaglio, ti è anche sinceramente affezionata e questo è proprio gentile da parte sua. Intendo dire che nella sua posizione potrebbe frequentare qualunque ambiente sociale. Non so se rendo l’idea”. “Perfettamente.” “Com’è che vi siete conosciute?” “Eravamo compagne di scuola.” “È una creatura così adorabile; mi meraviglio che non si sposi.” “Già, ma prima bisogna che trovi un’altra creatura che sia adorabile ai suoi occhi.” “Mia cara Edith…” “Cosa c’è, Bruce?” “Gradirei che tu ti astenessi dal rimbeccarmi in questa maniera. Oh, so che non lo fai di proposito, ma è un’abitudine che ti ha preso un tantino la mano.” Edith cercò di assumere un’espressione molto seria e disse dolcemente: “Ma davvero? Ti chiedo scusa”. “Non ti dispiace se te lo faccio notare, vero?” “Neanche per sogno. Temo che arriverai tardi in ufficio, Bruce.” Bruce balzò in piedi e uscì in fretta, dopo aver ricordato a sua moglie che dovevano pranzare alle otto in punto. Si salutarono con sorrisi affettuosi. Dopo che Bruce fu sceso in ascensore, Edith percorse l’appartamento da cima a fondo, entrando in ogni stanza e guardandosi in tutti gli specchi. Evidentemente preferiva l’immagine che le rimandava lo specchio della stanza da pranzo, perché finì per tornarvi e lo scrutò piuttosto a lungo 3


con aria alquanto grave; poi disse tra sé: “Sì, comincio ad aver l’aria annoiata”. Quindi suonò il campanello, e la bambinaia venne a portarle un bel bimbetto di quasi due anni, che indossava un soffice vestito bianco ed era elettrizzato dalla prospettiva del suo grande evento mattutino: la discesa in ascensore. Riferendosi un po’ cerimoniosamente a lui come al signorino Archie, Edith pose alla bambinaia alcune domande, nell’errata ipotesi di darle l’impressione che lei sapesse tutto quanto era opportuno sapere in fatto di puericultura. Quando rimase un minuto sola insieme al piccolo, si slanciò impulsivamente su di lui dicendo tra sé e sé: “Tesoro meraviglioso, angioletto del cielo! Paperotto mio!” e in cambio di queste effusioni suo figlio le tirò giù i capelli e le graffiò la faccia con una piccola arca di Noè vuota che aveva deciso di portarsi dietro a passeggio per i suoi fini personali. Dopo che il bimbo fu uscito, Edith si riaccomodò i capelli in maniera diversa, con la riga nel mezzo: erano capelli bellissimi, biondi, ondulati, e siccome aveva lineamenti minuti e regolari, la nuova pettinatura le donava davvero molto. Poi ripeté: “Sì, se non fosse per Hyacinth, presto avrei l’aria di annoiarmi a morte!”. Hyacinth Verney costituiva il lato romantico della vita di Edith. Alimentava inoltre in misura cospicua il lato romantico di parecchie altre vite: la sua posizione era insolita, la sua personalità affascinante. Era orfana, era un’ereditiera, e abitava sola insieme a una dama di compagnia in una casetta pittoresca nelle immediate vicinanze di Berkeley Square, con un ampio studio che non veniva mai usato per dipingere. Hyacinth possedeva in modo così straordinario l’innata 4


virtù di conquistare l’affetto di individui d’entrambi i sessi, che era difficile stabilire chi, fra quanti la apprezzavano, le dimostrasse l’attaccamento più intenso nella forma più esagerata. Probabilmente sir Charles Cannon, suo cugino e tutore, e la sua dama di compagnia, Anne Yeo, dedicavano maggiori pensieri e più tempo al suo servizio di qualsiasi altra persona. Nei giorni di scuola l’immaginazione di Edith era stata infiammata dalla bellezza e dall’intelligenza dell’amica, e per giunta dal fatto che avesse un tutore, come nei libri. Poi Hyacinth aveva debuttato in società e si era data alla musica, alla pittura e a varie altre arti oltre che all’inseguimento di un carattere appassionante. Conoscenze ne aveva poche o niente all’infuori dei parenti, ma contava un numero enorme d’amici intimissimi: una caratteristica, questa, che le era rimasta fin dall’infanzia. L’ideale di Hyacinth in fatto di mondanità implicava l’esclusione di tutto ciò che sapesse di riempitivo, e quindi i componenti della sua cerchia erano in maggioranza dei tipi. Tuttavia, poiché aveva una vera passione per intrattenere ospiti, restava, naturalmente, un certo margine: lontani cugini in là con gli anni dai nomi altisonanti (in funzione di zavorra) e pochi vaghi corteggiatori; parecchie celebrità piuttosto noiose, alcune donne puramente carine e ben vestite, e un numero sempre più ingente di bei giovanotti. Hyacinth teneva molto all’elemento decorativo. Come confessava francamente, aveva riallacciato i rapporti con Edith un po’ per ripiego, essendo giunta, dopo svariati esperimenti, alla conclusione che fosse la più simpatica di tutte le amiche, soprattutto perché fra loro due si dava sempre per sottintesa ogni cosa. Come sorelle, si capivano a vicenda senza bisogno di tante spiegazioni… à demi-mot.

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Mentre Edith attendeva impaziente nell’ingresso del piccolo appartamento, Anne Yeo, la sua ignorata rivale negli affetti di Hyacinth, stava cucendo, seduta presso il davanzale della finestra dello studio e osservava Hyacinth che, vestita per uscire, camminava avanti e indietro nella stanza. Con quella faccia un po’ legnosa, gli zigomi alti, la figura alta e allampanata e priva com’era di espressione, Anne poteva dimostrare qualunque età; ma le cose stavano diversamente. Anne s’ingegnava come meglio poteva per dimostrare quarant’anni suonati, in modo da apparire più indicata in veste di chaperon, mentre in realtà ne aveva appena trenta. In quel momento, come le accadeva di frequente, pensava che Hyacinth apparisse troppo romantica per la vita di tutti i giorni. Durante i loro viaggi insieme, questo particolare era stato discretamente fastidioso. “Perché, quando esci per andare dal droghiere, sembra che tu sia pronta per una fuga d’amore?” domandò in tono asciutto. “Basta che tu ti metta un normale velo da automobile, e subito sembra che tu stia correndo verso qualche convegno misterioso.” “Ma se vado semplicemente a prendere Edith Ottley per fare un giretto,” replicò Hyacinth. “Quanto deve essere stufa del suo impiegatuccio al ministero degli Esteri! È patetico come Bruce pigli sul serio la propria autorità di marito. Non gli passa neanche per la testa che la ragazza sia più intelligente di lui.” “Sarebbe molto meglio che tu la lasciassi in pace, e ti astenessi dal farglielo notare,” ribatté Anne. “In questo momento ti preoccupi sempre per i piccoli Ottley. D’altronde, è già un po’ di tempo che ti vedo parecchio irrequieta. Tutte le volte che cerchi di far del bene al prossimo, e in particolare quando vai tanto spesso in automobile correndo veloce, 6


riconosco i sintomi. Sta succedendo di nuovo, e stai cercando di tenertene lontana.” “Non parlare così. Sono fermamente decisa a non affezionarmi mai più a nessuno,” disse Hyacinth. “Già, non te ne accorgi, ma quando non sei innamorata non sei te stessa,” riprese Anne. “Tu vivi solo per innamorarti.” “Oh, Anne!” “È verissimo. Sono passati quasi tre mesi da quando… avesti una ricaduta. L’ultimo è stato Blair. Ora cominci a provare un interesse analogo per Cecil Reeve.” “Come sbagli, Anne! Non provo affatto un interesse di questo tipo per lui. È una cosa assolutamente diversa. In realtà, Cecil Reeve non mi piace neppure.” “Oggi non usciresti se lo aspettassi.” “Sì, ma non lo aspetto… e poi, di me non gli importa nulla. Una volta ha detto che non partecipa mai alle funzioni in un tempio affollato!” “È una coincidenza curiosa che da allora tu sia sempre fuori per chiunque altro venga a trovarti,” osservò Anne. “Insomma, lui non mi piace… mica tanto. Quando sorride, naturalmente, è abbastanza carino. Perché mi detesta?” “Non saprei proprio.” “Non mi detesta! Come puoi dirlo?” gridò Hyacinth. “Ah, non è vero, dunque?” “Forse perché gli pare che io abbia l’aria spagnola. Può darsi che l’aria spagnola gli dispiaccia,” suggerì Hyacinth. “Probabilissimo.” Hyacinth rise, baciò l’amica e se ne andò. Anne seguì la sua figura aggraziata con occhi pieni di biasimo, e d’ammirazione.

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Estratto da Ada Leverson, Amori e malintesi Titolo dell’opera originale Love’s Shadow (1908) Traduzione dall’inglese di Marcella Bonsanti © 2011 astoria srl. via Aristide De Togni 7 – 20123 Milano Prima edizione: giugno 2011 ISBN 978-88-96919-07-1 Progetto grafico: zevilhéritier

www.astoriaedizioni.it


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