L'avventuriera

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1 Oh, quei suoi lampioni di notte! Le ricche oreficerie, i negozi di stampe, le botteghe di giocattoli, i negozi di tessuti, i ferramenta, le pasticcerie, il camposanto della chiesa di St Paul, lo Strand. La Borsa di Exeter, Charing Cross, con un uomo in sella a un cavallo nero! Sono questi i tuoi idoli, o Londra! Lettera di Charles Lamb a Thomas Manning

Sebbene l’oscurità scendesse ancora presto sulle vie e sulle piazze linde del West End di Londra, sebbene la nebbia aleggiasse in volute fumose attorno ai globi dei lampioni di quartiere scuriti dallo sporco, e sugli alberi di Hyde Park non si vedesse neppure una foglia, si avvertiva come una corrente sotterranea di eccitazione, come un fruscio, non però di foglie, bensì dei taffetà e delle sete che venivano puntati con gli spilli e messi in prova. Quella primavera artificiale, quel prepararsi alla Stagione londinese, acceleravano il ritmo. I davanzali incrostati di fuliggine venivano strofinati e riportati all’originario biancore, gli scuri venivano spalancati per arieggiare le stanze e molti esponenti dell’alta società si apprestavano di malumore a compiere il penoso rituale del bagno semestrale. Tutti gli accessori della Stagione venivano tolti dalle scatole: belletti, ciprie e pomate; gioielli, ventagli e tabacchiere smaltate. Chi, con un po’ di sale in zucca, si sarebbe sognato di sprecare quei preziosi tesori in campagna? Enormi, ingombranti carrozze da viaggio, con il loro carico di passeggeri aristocratici, facevano ingresso in città: gli esponenti 1


dell’alta società, arcistufi delle loro tenute in campagna e di dover mantenere le apparenze di una vita irreprensibile che fosse da esempio per i loro contadini, si allentavano – metaforicamente parlando – il busto di stecche in ansiosa attesa dell’orgia di balli, rout e ricevimenti. Le debuttanti sapevano che stavano per essere messe in vendita sul mercato, e ben poche di loro vedevano in questo qualcosa di strano o crudele. Era così che andava il mondo. Potevano solo pregare che lui non fosse troppo vecchio o troppo brutto. Ma, alla fine, qualunque uomo sarebbe andato bene, perché tornare ancora nubili da una dispendiosa Stagione significava mostrarsi ingrate a Dio, che aveva ritenuto appropriato porre quelle giovani donne in una posizione tanto elevata. Dopotutto una avrebbe potuto nascere per vivere sottoterra, come succedeva a un terzo della popolazione femminile, che passava i propri giorni a sgobbare come domestica in qualche seminterrato. Ma c’erano domestiche e domestiche. Alcune erano fortunate. Svernavano in grandi palazzi o in magioni di campagna per poi trasferirsi con il padrone e la padrona in una casa di città ben arredata, dove trascorrevano la Stagione. Mangiavano a sazietà e scampavano alle incertezze della vita. Ma per la servitù di una certa casa londinese situata in 67 Clarges Street ogni Stagione era un terno al lotto. Il padrone, il duca di Pelham, era solo vagamente consapevole dell’esistenza di quella sua proprietà, possedendo già un’ampia residenza in Grosvenor Square. Ecco perché la casa di Clarges Street veniva messa in affitto mediante un annuncio prima di ogni Stagione. Un buon inquilino significava mance per la servitù, e con un po’ di fortuna un au2


mento del magro stipendio, in quanto la gestione della casa era affidata all’agente del duca, Jonas Palmer, che pagava al personale salari da fame, addebitava al padrone cifre molto più alte e si intascava la differenza. I tempi erano duri e un impiego difficile da trovare, per cui l’esiguo staff di 67 Clarges Street era costretto a sopportare le prepotenze e i soprusi di Palmer. Il maggiordomo, Mr John Rainbird, e il valletto, Joseph, erano stati licenziati dal loro precedente impiego per fatti apparentemente incresciosi che Palmer minacciava di gridare ai quattro venti se l’uno o l’altro avessero dato segno di voler fuggire da un nuovo padrone. Tutti gli altri erano legati alla casa da un senso di lealtà nei confronti del maggiordomo, ma anche perché sarebbe stato quasi impossibile trovare un altro lavoro senza referenze, e Palmer certamente non ne avrebbe fornite di positive, nel caso in cui avessero voluto andarsene. La casa era stata bollata come “iellata” non solo perché il padre dell’attuale duca vi si era impiccato, ma anche a causa di una serie successiva di drammatici accadimenti. Si era in un’epoca superstiziosa. Ogni anno la servitù poteva solo sperare che, al di fuori della cerchia dei pettegolezzi londinesi, coloro ai quali non era giunta notizia della cattiva sorte della casa potessero essere tentati di affittarla. Veniva proposta a una pigione bassa, ottanta sterline soltanto, una fortuna per qualcuno, ma ben poco per l’aristocrazia, che spesso sborsava più di mille sterline per una sistemazione di livello inferiore. Ma le incertezze, la vita dura e il lungo tedio degli inverni, che negli ultimi anni erano stati insolitamente rigidi, avevano unito la servitù in una sorta di famiglia molto affiatata. Oltre a Rainbird, il maggiordomo, e a Joseph, il valletto, c’erano una governante, Mrs Middleton; un cuoco, 3


Angus MacGregor; una domestica, Alice; una cameriera, Jenny; una sguattera di cucina, Lizzie; e un giovane sguattero di nome Dave. Avevano trascorso un inverno all’insegna della parsimonia, non perché non disponessero di denaro, dato che grazie al precedente inquilino erano riusciti a mettere da parte una cifra di tutto rispetto, ma perché progettavano di mettersi in società tutti insieme e comprare un pub. In quel modo sarebbero sfuggiti a Palmer e alla condizione di domestici, e sarebbero stati liberi di sposarsi, cosa che a un domestico non era consentita. Erano stati tutti introdotti alle gioie dell’istruzione da una precedente inquilina, e per l’intero inverno avevano continuato a studiare. Ma se da un lato una maggiore istruzione aveva ampliato i loro interessi ed elevato la conversazione al di sopra del mero pettegolezzo, dall’altro aveva anche generato una certa quantità di malcontento. Nessuno di loro era soddisfatto del proprio ruolo di domestico. Il sogno di avere un pub era così vicino eppure, allo stesso tempo, così lontano. Rainbird aveva detto che ci sarebbero volute un altro paio di Stagioni proficue prima di poter fuggire di lì. Un giorno di gelo, quando la brina del mattino non ancora sciolta luccicava su Clarges Street, il personale si riunì al tavolo per fare colazione e parlare di nuovo della terribile delusione del giorno precedente. Jonas Palmer si era presentato assieme a un gentiluomo dall’aria raffinata, niente di meno che il conte di Fleetwood. Il conte era molto importante, molto ricco e molto dispotico. Palmer non li aveva avvertiti della visita, per cui la casa era fredda e il mobilio ancora nascosto sotto i teli protettivi di lino olandese. Il conte era andato da una stanza all’altra a passo di mar4


cia. Non gli ci era voluto molto. Era una casa alta e stretta, con due stanze per piano. Al pianterreno c’erano un salotto sul davanti e uno sul retro; al primo piano la sala da pranzo sul davanti e una camera da letto sul retro; al secondo piano due camere da letto. Nel sottotetto c’erano le camere della servitù; facevano eccezione Mrs Middleton, che dormiva nel salottino sulle scale di servizio; Lizzie la sguattera, che di notte si accampava nel retrocucina; e Dave lo sguattero, il cui giaciglio era lo spazio sotto il tavolo della cucina. Alice, la domestica bella e languida, disse che secondo lei il conte era bellissimo, mentre Mrs Middleton era dell’opinione che aveva l’aria troppo scaltra per essere bello. Aveva folti capelli corvini, un viso affilato con gli zigomi alti che gli davano un’aria quasi slava, così come gli occhi azzurri, che avevano un orlo nero attorno all’iride ed erano leggermente piegati verso il basso nell’angolo esterno. Era alto e ben piantato, e immacolatamente corazzato contro il mondo con capi su misura di Weston, stivali in stile militare e un foulard da collo annodato nella maniera più intricata che la servitù avesse mai visto. Si erano sentiti ben disposti nei suoi confronti, ma solo finché, finito il giro di ispezione, l’uomo aveva sentenziato con una parlata pigra e strascicata: “Decisamente troppo angusto, Palmer. Per niente adatto. E i locali sono freddi come lo spirito di carità. Dovrò trovare un altro posto”. E senza neanche gettare uno sguardo ai domestici in ascolto, se n’era andato. Ora, coalizzati dalla delusione, lo criticavano all’unanimità. Persino Dave, che era considerato di rango troppo basso per poter presenziare (e anche perché Palmer non era al corrente dell’esistenza del ragazzo nella casa, avendolo Rainbird riscattato da un miserevole lavoro di spazzacamino) ma che era riuscito a dare un’occhiata al conte mentre 5


quello usciva, sbirciando attraverso l’inferriata che delimitava le scale di servizio, dichiarò che sembrava “freddo come il merluzzo di settimana scorsa”. “Qui non ce li vogliamo, quelli come lui,” disse Joseph, il valletto effeminato. “Ci ho parlato con Luke, che me ne ha raccontate di tutti i colori.” Luke era il capo-valletto della residenza di lord Charteris, al numero civico accanto. “Tipo?” domandò Angus MacGregor, il cuoco scozzese. “Tipo che era sposato e che ha ucciso di botte la povera moglie,” rivelò Joseph. “Santi numi!” esclamò Mrs Middleton mentre il viso smunto e timido si arrossava per il turbamento. “Quand’è successo?” “Otto anni fa,” rispose Joseph, scivolando nella parlata affettata mentre faceva scendere dalle ginocchia Scrocco, il gatto di cucina, appoggiava i gomiti al tavolo e si predisponeva a spettegolare dando tutto il meglio di sé. “Erano sposati da poco,” spiegò, “e si trovavano a casa loro, nel Sussex. La moglie era andata a passeggiare nel bosco della tenuta, assieme al suo cagnolino. I domestici hanno sentito dei gridi tremendi e come dei colpi che arrivavano dal bosco, e il cagnolino è tornato a casa tutto solo. Allora sono corsi in del bosco e ce l’hanno trovata lì tutta pesta e sanguinante, ce l’hanno trovata. Orribile.” “Beh, e perché hanno pensato che a picchiarla fosse stato sua signoria?” domandò Rainbird cinico. “Perché prima di morire,” rispose Joseph, “ha alzato i begli occhi azzurri al cielo e ha detto sottovoce ‘Peter’. È così che si chiama il conte di nome, ve lo giuro su quello che volete.” “E allora perché non hanno rinchiuso il conte nella Torre?” chiese Lizzie. 6


Joseph la scrutò altezzoso. Nonostante ultimamente l’incondizionata devozione di Lizzie nei suoi confronti sembrasse affievolita, il giovane si aspettava ancora che la sguattera bevesse ogni sua parola. Rovistò fra le corde vocali in cerca dell’inflessione più ricercata. “Perché,” spiegò sostenuto, “è un membro dell’aristocrazia, eccoti perché. Riescono a farla franca come gli ci pare e piace. E poi Luke dice che il conte era fuori a caccia, da un’altra parte.” “Perciò non può averlo fatto,” intervenne brusca Jenny la domestica, che non aveva simpatia per Luke. “Ma era una giornata buia, e per un bel po’ nessuno l’aveva visto sui terreni da caccia,” replicò Joseph trionfante. “Non c’avevano abbastanza prove per impiccarlo, ma tutti sapevano che era stato lui, dice Luke.” Rainbird scoccò un’occhiata al viso afflitto di Mrs Middleton. Il racconto dell’omicidio sembrava averla portata sul punto di svenire. “Dalla bocca di Luke non ho mai sentito uscire altro che frottole,” disse con severità. In quella si udì un rombo fragoroso, che scosse la casa. “Cos’è stato?” esclamò Jenny. “Un tuono?” “No,” disse Rainbird. “Carbone. È passato tanto di quel tempo da quando abbiamo sentito l’ultima volta il rumore della consegna che ormai ti sei dimenticata l’impressione che fa. Joseph, vai su in strada e controlla che il coperchio della carbonaia sia stato richiuso. Palmer vuole che accendiamo il fuoco in ogni stanza, per cui se non altro staremo caldi a sue spese.” Joseph uscì impettito, la schiena rigida per l’indignazione. Era evidente che per lui controllare le ante della carbonaia era un compito molto al di sotto del suo livello. 7


Lizzie appoggiò il mento appuntito sulle mani e puntò sul maggiordomo i grandi occhi castano-pansé. “Sapete, Mr Rainbird,” esordì, “a me il conte è sembrato un gentiluomo di bell’aspetto. La delusione e tutto il resto me l’hanno reso antipatico, ma non posso credere alla storia di Luke. A me lord Fleetwood è sembrato una persona gentile.” “Ma è stato talmente sprezzante,” disse Jenny. “E non ci ha degnati di un’occhiata. Sembrava che neppure esistessimo.” “Beh, in effetti non esistiamo,” commentò Rainbird ragionevole. “Quanto meno per l’aristocrazia. Siamo stati viziati da qualche inquilino diverso dagli altri. Ehi, allora, lassù! Perché non ci mandi un inquilino, eh Signore?!” “Questa è blasfemia,” commentò Mrs Middleton. “Questa è una preghiera sincera,” replicò il maggiordomo, mentre un sorriso gli illuminava il viso intelligente da attore comico. Angus MacGregor era intento a pelare patate. Rainbird si sporse sopra il tavolo, ne prese sei e cominciò a farle volteggiare in aria con destrezza. “Se mi tengo in allenamento,” disse, “posso tornare a lavorare nelle fiere come facevo da ragazzo.” “Non dite una cosa del genere,” lo esortò Mrs Middleton. Quel “Mrs” era un titolo di cortesia: la zitella nutriva la speranza di sposare il maggiordomo, quando avessero avuto il loro pub. Quando Mrs Middleton vedeva il loro pub con gli occhi della mente era sempre estate, una scintillante estate inglese carica della fragranza di rose e caprifogli, e con il pigro sottofondo del ronzio delle api. L’edificio si presentava piuttosto nuovo, non era una di quelle orrende costruzioni Tudor. I Tudor non erano mai riusciti a costruire qualcosa di decente, con quelle travi basse contro cui andavi a sbat8


tere la testa, i brutti tetti di paglia in cui si annidavano i topi e l’impianto fognario inesistente, rifletteva Mrs Middleton, convinta che i Tudor costruissero in quel modo solo per fare dispetto a qualcuno e non per ignoranza. Lei non si sarebbe mai più vestita di nero; avrebbe indossato solo tessuti di cotone a righe o a quadretti e mussole e linoni colorati. E raramente avrebbe portato il grembiule, così i clienti avrebbero saputo che era la padrona di casa, e che il padrone del pub era suo marito. Rainbird sarebbe cambiato, sarebbe diventato solenne e distinto, e avrebbe buttato nel dimenticatoio una volta per tutte i suoi giochi di destrezza, le acrobazie e i numeri di magia. Forse, se gli affari fossero andati davvero bene, avrebbero potuto ampliarsi in una stazione di posta, e avere schiere di domestici al servizio di tutti i gran signori e le gran dame che si fossero fermati. Presa da quelle fantasie, Mrs Middleton vide persino la figura robusta del principe di Galles scendere dalla carrozza davanti alla stazione di posta, con lei e Rainbird ritti sulla soglia a salutarlo. E proprio mentre stava facendo la riverenza a Sua Altezza Reale fu riportata bruscamente alla realtà dalla voce dalla pesante inflessione scozzese del cuoco. “Mi chiedo se non dovrei progettare di tornare in Scozia,” disse Angus MacGregor. “Non credo di essere adatto a un pub inglese, non c’è niente da fare.” “Ma certo che lo siete!” esclamò Mrs Middleton. Angus era un cuoco straordinario, e anche solo la sua cucina avrebbe richiamato frotte di clienti. “Già, ma mi basterebbe talmente poco per comprarmi un pezzetto di terra in Scozia e qualche capo di bestiame. Sarei nel mio paese, e avrei finito una volta per tutte di essere a completa disposizione di chiunque.” “Diamine,” intervenne Dave, “con un nome come MacGre9


gor non vi lascerebbero neanche avvicinare a un po’ di terra. Ladri di bestiame, ecco cosa sono i MacGregor.” Angus era troppo sbalordito per sentirsi insultato. “E chi te l’ha detto?” esclamò. “Lizzie mi ha dato un libro che spiegava tutto,” disse Dave. “Sono un mucchio di fandonie,” mormorò Angus, ma guardò di traverso Lizzie, al momento persa nelle sue fantasticherie proprio come poco prima lo era stata la governante. Aveva osservato Lizzie trasformarsi da sudicia orfanella analfabeta in giovane signorina graziosa e istruita. Ma continuava a essere una sguattera di cucina, e di sicuro ormai trovava la propria condizione sempre più degradante. Anche Lizzie stava fantasticando sul futuro. Avrebbe sposato Joseph, un Joseph che non si atteggiava più, che non si metteva più in posa; un Joseph virile, sano e abbronzato alla fine di una giornata di lavoro nei campi. Perché Lizzie vedeva il pub solo come un’estensione del suo lavoro di domestica. Temeva che sarebbe stata comproprietaria della ditta solo sulla carta; che gli altri si sarebbero aspettati che strofinasse, pulisse e servisse ai tavoli; e che mai avrebbe sperimentato le gioie del suo status sociale o dell’indipendenza. Se solo Joseph avesse preso in considerazione di fare la vita di un piccolo agricoltore. Non avrebbero avuto bisogno di nient’altro se non di un piccolo cottage e di un modesto appezzamento di terra. I suoi sogni erano molto simili a quelli del cuoco, ma mentre Angus vedeva imponenti montagne, fiordi scintillanti e selvagge brughiere della Scozia, Lizzie vedeva un’ondulata campagna inglese dove splendeva sempre il sole, dove il frumento era sempre maturo, dove le rose pendevano cariche da sopra le siepi, dove l’erba dei prati era verde e ben tenuta, e dove ci sarebbe 10


stato un giardino da cui la sera guardare Joseph che percorreva a lunghi passi la strada di casa. Jenny, bruna e svelta, era ammutolita a sua volta. Vedeva il pub solo come un mezzo che le avrebbe dato un punto di partenza per arrivare al matrimonio. Nei suoi sogni, lei e Alice erano occupate a servire birra alla spina quando nel locale entravano due affascinanti dragoni. Immediatamente i giovani si sentivano attratti da loro due. Lei e Alice avrebbero celebrato un doppio matrimonio, poi sarebbero partite per la guerra nella Penisola Iberica con i consorti, e il loro coraggio sarebbe stato tale da giungere all’orecchio del principe di Galles, che le avrebbe premiate con una medaglia. Ignara dei piani dell’amica sul suo conto, la bionda e avvenente Alice stava sognando bambini, schiere di bambini. Adorava i piccoli, e quando cercava di immaginarsi la faccia del marito con cui averne, non riusciva a focalizzarne l’immagine. Ma un giorno quell’uomo senza nome e senza volto sarebbe giunto a cavallo al pub e l’avrebbe portata via, in una casa di campagna con stanze ampie e ariose e una nursery sconfinata. Al pari di Lizzie, anche Dave spesso vedeva il pub come una mera estensione del lavoro di Clarges Street. Avrebbero avuto bisogno di qualcuno che lavasse le pentole, e Dave non nutriva dubbi che quel qualcuno sarebbe stato ancora lui. Quelle che detestava di più erano le padelle in cui Angus aveva sperimentato qualcuna delle sue creazioni francesi. Quello che rimaneva sul fondo sembrava colla. Ma se Mr Rainbird se ne fosse andato per tornare alla vecchia vita delle fiere, Dave l’avrebbe seguito. Avrebbero condotto un’esistenza di poche pretese, sulla strada, dormendo sotto le stelle, e lui, Dave, avrebbe fatto il giro con il cappello in 11


mano tra la folla che tratteneva il respiro e acclamava Mr Rainbird per i suoi brillanti giochi di prestigio. La fiera era sempre variopinta, calda e illuminata dal sole, e di notte splendevano le stelle. In quella, Joseph irruppe nella sala domestici, e tutti i sogni di dolci estati e di un futuro radioso turbinarono sopra le loro teste, dissolvendosi. “C’è Palmer,” annunciò con il fiato corto. “È arrivato dentro di un calesse di lusso con una signora e un gentiluomo. Sono venuti a vedere la casa.” Si strappò di dosso il grembiule e, contorcendosi, s’infilò la giacca di velluto nero. I capelli erano incipriati a chiazze, per cui li cosparse generosamente con la farina presa dal barile finché la polvere bianca non gli coprì anche la livrea di velluto nero come forfora. “Potrebbero essere loro!” esclamò Rainbird. “I nostri nuovi inquilini!” Gettò via il grembiule di panno verde, afferrò la marsina dal gancio dietro la porta dov’era appesa e si precipitò in direzione delle scale.

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Estratto da M.C. Beaton, L’avventuriera Titolo originale dell’opera The Adventuress Traduzione dall’inglese di Simona Garavelli © 1987 by Marion Chesney © 2016 astoria srl, corso C. Colombo 11 – 20144 Milano Prima edizione: febbraio 2016 ISBN 978-88-98713-29-5 In copertina: Woman Fixing Her Hat in Mirror aboard Ship, 1900 ca. © AS400 DB/Corbis/Contrasto Progetto grafico: zevilhéritier

www.astoriaedizioni.it


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