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Rose annusò l’aria, cercando di capire cosa stava annusando: un miasma di critica silenziosa e di disprezzo offuscava la distanza tra noi. Sapevo che moriva dalla voglia di condannare la mia cucina, ma nel corso degli anni l’avevo sottomessa. Quelle sue spalle larghe e quei suoi fianchi oscillanti le avevano conferito un tempo un aspetto leggiadro, che adesso, con mia intima soddisfazione, appariva sfiorito e alterato. “Mi domando, Miss Aroon, se sia saggio darle il coniglio.” “E perché no?” So usare quel tono di voce che fa stare la gente al suo posto e che, di solito, riduce al silenzio qualsiasi interferenza da parte di Rose. Non questa volta. “Il coniglio la disgusta. Persino quello che il signorino Hubert prese con il suo primo fucile. Non riuscì proprio a mandarlo giù.” “È successo tanto tempo fa. Da allora di coniglio ne ha mangiato spesso, e pure con gusto.” “Il coniglio non le è mai piaciuto.” “Soprattutto quando pensava fosse pollo.” “Non la si poteva ingannare, Miss Aroon.” Sollevò il vassoio. Lo ripresi. Sapevo esattamente cosa avrebbe detto nell’appoggiarlo sul letto di Mammina. L’avevo preparato io stessa. Non mi fido di Rose. Non mi fido di nessuno. Perché mi piace che le cose siano fatte come si deve. Il vassoio era veramente delizioso, con la sua bella tovaglietta linda e tutto luccicante. Tolsi il coperchio 1
d’argento dal piatto fumante e annusai le polpettine in salsa di panna. Alloro e pepe nero si sentivano appena; il coniglio era assolutamente impercettibile. E, a ogni modo, cosa c’è di più delizioso e delicato di un tenero coniglietto? Soprattutto dopo che è stato passato e ripassato al setaccio e poi frullato in un Moulinex per dieci minuti. “Il vassoio lo porto su io,” dissi. “Per cortesia, quando l’acqua bolle, riempi la borsa dell’acqua calda, quella rosa. Sarà un piccolo diversivo rispetto alla solita coperta elettrica. Mi hai sentito? Rose?” È esasperante quando fa finta di essere sorda. È uno dei suoi tanti modi per ignorarmi. Lo so. L’ho saputo per gran parte della mia vita. “Proprio oggi ho letto sul giornale di una donna di Kilmacthomas bruciata viva in una coperta elettrica; come in una gabbia di fuoco, se lo immagina?” Non prestai attenzione alla donna nella coperta e ripetei: “Quando l’acqua bolle, e non prima”. Così avrei avuto il tempo per sistemare comodamente Mammina per il pranzo prima che in camera da letto arrivasse Rose con la borsa dell’acqua calda e con la storia della donna di Kilmacthomas (che scommetto deve aver fatto qualcosa di particolarmente stupido, e la coperta non ha colpa). Gulls’ Cry, dove Mammina e io abitiamo adesso, si erge sul bordo di una scogliera. Le finestre si affacciano sull’insenatura profonda, ancoraggio per le barche, come i seni delle polene sporgevano dalla prua delle vecchie navi. A volte penso (per quanto non lo direi mai) a come sia piacevole che al giorno d’oggi vada bene avere il seno; quando crebbi io negli anni venti lo schiacciavo con una sorta di fasciatura. Non andava di moda il seno, a quei tempi. Proprio no. Ora, per il mio, è troppo tardi. Mi piace cantare quando nessuno mi può sentire, togliendomi il piacere della musica. Cantavo quel giorno, mentre andavo di sopra. La cucina e la sala da pranzo si trovano al piano inferiore di questa piccola follia gotica che è la nostra casa. Le scale, con la loro striminzita balaustra di ferro, portano all’ingresso e al sa2
lotto, dove, quando da Temple Alice ci trasferimmo qui, sistemai tutti gli oggetti conservati in ricordo di Papà. Le pareti sono tappezzate di ritratti e fotografie di lui in sella a cavalli vittoriosi. Allineate sulla mensola del camino ci sono le coppe d’argento, per non menzionare la riproduzione di una trota di mare di tre chili e le diverse istantanee, un po’ sfocate, che immortalano mucchi di galli cedroni deposti sulla scalinata di Temple Alice. Mammina non ha mai mostrato alcun interesse per questa galleria, e, da quando il suo cuore si è indebolito e io le ho trasformato la stanza in una deliziosa camera-soggiorno, sembra sempre distogliere lo sguardo da tutto quanto potrebbe ricordarle episodi felici e piacevoli. Si sa, i malati e gli anziani, nonostante tutto quello che si fa per loro, possono essere persone difficili da trattare e irriconoscenti; non esattamente ingrate, piuttosto assolutamente irritanti. Tuttavia provo piacere ogni volta che entro nella sua stanza. È opera mia, così come è opera mia la stessa Mammina, adagiata nel suo nido di bei cuscini: insisto, infatti, che sia sempre perfettamente pulita, lavata e profumata. “Pranzo,” annunciai con tono allegro e con il vassoio tintinnante in mano. “Posso tirarti un po’ su?” Giaceva tra i cuscini come se stesse sprofondando nel letto. Non fa mai neanche un piccolo sforzo da sola. E questo dipende dal fatto che ha me. “Non ho molta fame,” disse. Osservazione sciocca. So benissimo che finge sempre di non aver voglia di mangiare e che poi, appena me ne vado, si fa preparare da Rose uova fritte, toast con il burro e tutte le altre cose che il dottore le ha proibito di toccare. “Senti che profumo,” dissi, e tolsi il coperchio dalle mie bellissime polpettine. “Ti dispiacerebbe abbassarmi la tenda,” non una parola sulle polpettine, “ho il sole negli occhi.” “Veramente la vuoi abbassata?” Annuì. “Completamente?” “Per favore.” Quindi mi avvicinai di nuovo a lei e la sistemai per il vassoio, 3
tirandola su e mettendole un cuscino esattamente dietro la schiena, e un altro, sottile, dietro la testa. Si rifiutò semplicemente di far vedere che era comoda. Ci sono abituata. Le misi davanti il tavolino da letto di vimini (direttamente da Harrod’s), e ci appoggiai sopra il vassoio col pranzo. “Ecco,” dissi – bisogna sempre mostrarsi sicuri, “una deliziosa mousse di pollo.” “Coniglio, scommetto,” replicò. Mantenni la calma: “Assaggiane solo una forchettata”. “Mixomatosi,” disse, “ricordi? Proprio non posso.” Mi sforzai di non perdere la pazienza. “Era troppo giovane per avere la mixomatosi. Su Mammina,” cercai di non assumere un tono duro, “soltanto una.” Sollevò la forchettina d’argento (con il nostro stemma, una volpe rampante, quasi scomparso per l’usura) come se stesse tirando su del pesce puzzolente: “L’odore… sto per…”. Lanciò un urlo tremulo, lacerante, vomitò in modo disgustoso e ricadde nel suo nido di deliziosi cuscini. Per un attimo provai una forte sensazione di fastidio. Poi la guardai, e mi spaventai. Mi protesi sul letto e suonai il campanello. Poi, urlando, chiamai Rose, che era giù in cucina. Salì in fretta, sebbene adesso i suoi piedi e le sue scarpe non sembrino mai muoversi insieme; persino in quel momento lo notai. Ma naturalmente io noto tutto. “Si è sentita male,” dissi. “Non è riuscita a mangiare il coniglio?” Ancora il coniglio. “Era una mousse,” urlai alla vecchia pazza, “una mousse con panna. E perfettamente riuscita. L’ho fatta io, lo saprò dunque. Andava benissimo. Se la stava gustando.” Rose si chinò su Mammina. “Miss Aroon, se n’è andata.” Si fece il segno della croce e cominciò a pregare in quel modo sciolto e rilassato proprio dei cattolici romani: “Santa Maria, Madre di Dio, prega per noi peccatori, adesso e nell’ora della nostra morte… Gesù, pieno di grazia…”. Mi sembrò troppo vicina a Mammina, con quel suo modo 4
campagnolo di farfugliare preghiere. Avrebbe dovuto esserci il decano. “Porta via il vassoio,” dissi. Tolsi la mano di Mammina dal vomito e la poggiai in uno spazio pulito. Era floscia come il collo di un’anatra morta. Avrei voluto urlare. “Oh, no…” avrei voluto dire. Mi controllai. Presi tre fazzoletti puliti dalla scatola di cartone che avevo rivestito di broccato rosa conchiglia e mi asciugai le dita. Quando furono pulite la verità mi arrivò addosso, un’orrenda mostruosità appena nata. Devo aver vacillato sulle gambe, in quel momento. Provai la sensazione di poter continuare a cadere in eterno. Rose mi accompagnò a una sedia; la sentii scricchiolare mentre mi sedevo, benché io non sia assolutamente pesante, considerata la mia statura. Bramai di chiedere a qualcuno la cortesia di darmi degli ordini; per riempire questo abisso con qualcosa di importante, qualcosa di utile. “E adesso cosa devo fare?” mi stavo domandando. Rose aveva voltato le spalle a me e al letto. Stava spalancando la finestra tanto quanto glielo permetteva il telaio; questa è una delle loro superstizioni, qualcosa a che vedere con l’anima, che deve essere lasciata libera. Lo fanno. Non ne parlano. Fece la stessa cosa quando morì Papà. “Deve chiamare immediatamente il dottore, Miss Aroon, e Kathie Cleary per comporre il corpo. Non c’è tempo da perdere.” Lo disse in tono vorace. Godono della morte… Avanti con l’estrema unzione… Non vede l’ora di mettere le mani su Mammina e di togliersi me dai piedi per aiutare Miss Cleary in quei necessari, orribili rituali. Cosa potevo fare contro di loro? Dovevo arrendermi. Non potevo impedirlo. O invece sì? “Chiamerò il dottore,” dissi, “e l’infermiera Quinn. Non Miss Cleary.” Mi affrontò dall’altra sponda del letto, i grandi occhi azzurri in fiamme. “Miss Aroon, la signora odiava l’infermiera Quinn. L’unica volta che le fece un’iniezione, si ammalò. Non vorrebbe averla di nuovo intorno. Da quella non vorrebbe essere toccata. Kathie Cleary è in gambissima con i cadaveri, non c’è nulla di 5
sbagliato nei suoi metodi, e la signora le era affezionata, chiacchierava volentieri con Kathie Cleary.” Mi sentii proprio fuori di me. Ma perché questa scena? Perché la gente non fa quello che dico? In fondo è tutto ciò che chiedo. “Adesso basta, Rose,” dissi. “Telefonerò al dottore e gli chiederò di avvertire l’infermiera. Tu porta via quel vassoio, e tienimi la mousse in caldo per il pranzo.” Rose balzò verso di me, sopra al letto, sopra i piedi immobili di Mammina. Credo che, se avesse potuto, mi avrebbe agguantata con entrambe le mani. “Il suo pranzo,” disse. “Lei può mangiare il suo maledetto pranzo e la signora è qui che si irrigidisce sempre più. Coniglio: il coniglio le va di traverso, il coniglio le dà il voltastomaco, e il coniglio l’ha uccisa; lo chiami pure coniglio se vuole. Coniglio è un modo innocente per indicare quel che è stato; se si è trattato di un soffocamento, non avrebbe potuto fare di meglio. E, altra questione, chi è stato a convincerla, con l’inganno, a lasciare Temple Alice? Mi dica questo…” “Rose, come ti permetti!” Provai a interromperla, ma era una furia. “… e ha portato la mia signora in questo piccolo misero rudere, con sopra i gabbiani affamati che stridono in continuazione, e dentro due vecchi fantasmi (Dio doni la pace alle loro anime) che di notte battono sul pavimento…” Mantenni la calma davanti a tutte queste folli assurdità. “Chi altro sente battere sul pavimento?” le domandai placidamente. “Soltanto tu.” “E io ho udito le strilla e i pianti quando lei separò Mr Hamish da Miss Enid, mettendoli in due diversi padiglioni dell’ospedale, quello maschile e quello femminile, a morire soli ciascuno per proprio conto.” “Allora fu assolutamente necessario.” “Necessario? Certo, per prendere possesso di questa casa, e spadroneggiare e angariarci nel corso degli anni. È stata una fortuna che la signora se ne sia andata in un baleno. Era stanca di 6
lei, stanca fino alla morte. La morte è proprio quel che ci voleva. Lei ci ha ucciso tutti, ed è un peccato che lì sul letto non ci sia lei, le dita dei piedi ritte, pronte per la fossa, e non più una parola sul suo conto; che Dio la maledica.” Sì, Rose stava lì, dall’altra parte del letto, a dire queste cose oscene e incredibili. Certo, voleva bene a Mammina, come tutta la servitù. Certo, era sovreccitata. Tutto questo lo so; ed è di un’ignoranza spaventosa, tengo conto anche di ciò. Benché le parole che mi aveva rivolto fossero state di una veemenza impressionante, erano al di là di ogni sentimento o ragione. Ciò che aveva detto era così completamente e spaventosamente falso, da non potermi toccare. Nel sovrastare quel flusso incontenibile di parole, provai la sensazione di essere alta come un albero. Decisi di essere buona con Rose. E comprensiva. E generosa. Sono la sua datrice di lavoro, pensai. Aumenterò considerevolmente la sua paga. E lei non potrà resistermi, perché è un’avida. Posso permettermi di essere buona con Rose. Imparerà a contare su di me. Adesso, al mondo, non c’è nessuno che abbia bisogno di me, e devo pur essere buona con qualcuno. “Sei sconvolta,” dissi con tono gentile. “È ovvio che tu sia sconvolta, volevi bene a Mrs St Charles, e so che non pensi una sola delle cose che mi hai appena detto.” “E invece sì, Miss Aroon.” Sembrava una persona che sta affogando, e che torna su per un ultimo, strozzato respiro. “Che Dio l’aiuti, è tutto assolutamente vero.” “Non ti preoccupare,” le risposi, “ho dimenticato… non ho sentito… comprendo. Adesso bisogna che entrambe ci diamo da fare. Dobbiamo essere entrambe coraggiose. Io telefonerò al dottore, e tu porterai il vassoio in cucina, e metterai la mousse sopra un pentolino di acqua bollente. Potrebbero mancare ore al pranzo.” Sollevò il vassoio, mentre le lacrime le rigavano il viso. Ovviamente ero certa che mi avrebbe obbedito, ma non posso negare di avere avvertito un attimo di pericolo prima che voltasse le spalle al letto con il vassoio, come era giusto che fosse, tra le mani. A 7
parte lo shock e il dolore per Mammina, fui pervasa da un senso di soddisfazione: una sorta di carica, di cui avevo bisogno. Ne avevo bisogno, e ora ce l’avevo. Andai nell’ingresso e alzai la cornetta. Mentre aspettavo che il centralino rispondesse (con la solita, criminale lentezza), ebbi il tempo di considerare come l’unico comportamento da adottare in simili circostanze sia osservare con precisione le priorità usuali. E io so come bisogna comportarsi, credetemi, lo so bene. Lo so da sempre. Fino a ora durante tutta la mia vita ho fatto ogni cosa per le migliori ragioni e seguendo le motivazioni meno egoistiche. Ho vissuto per le persone a me più care, e non riesco a capire perché le loro vite siano state talvolta tanto misteriosamente infelici. Ho dato loro così tanto, ho dato loro tutto, tutto quello che sono capace di dare, a Papà, a Hubert, a Richard, a Mammina. A cinquantasette anni la mia testa è ancora discretamente lucida, addirittura più lucida di quanto io talvolta creda, e ho una memoria di ferro. Se mi volto indietro a guardare, oltre le ombre, verso le incertezze e le glorie della nostra giovinezza, forse arriverò a capire meglio cosa siamo diventati.
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Titolo originale dell’opera Good Behaviour Traduzione dall’inglese di Bruna Mora © Virginia Brownlow and Sally Phipps, 1981 © 2015 astoria srl corso C. Colombo 11 – 20144 Milano Prima edizione: ottobre 2015 ISBN 978-88-98713-23-3 Progetto grafico: zevilhéritier
www.astoriaedizioni.it