Agatha Raisin e i Camminatori di Dembley

Page 1

1

Agatha Raisin osservava la luce del sole sulla parete del suo ufficio nella City londinese. I raggi filtravano attraverso la veneziana come lunghe frecce luminose che piano piano, al calare del sole, si muovevano lungo il muro diventando la meridiana della sua giornata lavorativa. L’indomani il suo periodo di lavoro come PR sarebbe terminato, e lei sarebbe potuta finalmente rientrare a casa, a Carsely, un villaggio dei Cotswolds. Tornare al lavoro non le era piaciuto. La sua breve assenza da Londra, il poco tempo passato da pensionata sembravano averla privata dell’energia necessaria per estorcere ai giornalisti e alle reti televisive un po’ di pubblicità a favore dei clienti. Anche se dell’antica ferocia ed energia le era rimasto quel tanto che bastava ad assicurarle comunque il successo, Agatha rimpiangeva il villaggio e gli amici. All’inizio era rientrata qualche volta nel fine settimana, quando il lavoro glielo consentiva, ma la sofferenza di dover tornare ogni volta a Londra era stata così grande che negli ultimi due mesi non si era più mossa, e aveva lavorato anche di domenica. Aveva creduto che la capacità di farsi degli amici – un 1


talento appena scoperto – avrebbe funzionato anche nella City, ma la maggior parte dello staff era giovane a paragone dei suoi cinquant’anni e passa, e nell’intervallo di pranzo e dopo il lavoro preferiva fare comunella senza di lei. Anche Roy Silver, il giovane amico che l’aveva indotta a venire a lavorare da Pedmans per sei mesi, negli ultimi tempi l’aveva evitata, continuando a sostenere di essere “troppo impegnato” per andare a bere qualcosa con lei o perfino per parlarle. Agatha guardò l’orologio e sospirò. Doveva portare fuori per un aperitivo, e poi a cena, un giornalista del “Daily Bugle”, e non ne aveva nessuna voglia. Lo scopo era promuovere una nuova popstar, Jeff Loon, il cui vero nome era Trevor Biles, ed era difficile promuovere un tipo come lui, un giovanotto mingherlino e devastato dall’acne, con una bocca tipo fogna. Ma aveva una voce che veniva descritta come tenore melodico irlandese e di recente aveva re-inciso alcuni vecchi successi romantici, che avevano venduto alla grande. Era dunque necessario confezionargli una nuova immagine da beniamino del ceto medio, da ragazzo adorato da mamme e papà. La cosa migliore era tenerlo il più possibile lontano dalla stampa e far entrare in azione Agatha Raisin. Andò nel bagno delle signore e si cambiò, indossando un vestito nero e un filo di perle, molto indicato a rafforzare l’immagine compassata del cliente che lei rappresentava. Il giornalista che avrebbe incontrato per Agatha era uno sconosciuto. Aveva fatto una ricerca sul suo conto. Si chiamava Ross Andrews. Una volta era stato un cronista sportivo della Serie A, ma giunto alla mezza età l’avevano retrocesso nelle pagine degli spettacoli. I giornalisti in età avanzata spesso finivano relegati a scrivere articoli di colore o sul tempo libero, o, ancora peggio, a rispondere alle lettere dei lettori. 2


Avevano appuntamento nella City, Fleet Street non era più il regno della stampa, e le testate giornalistiche si erano trasferite nell’East End. Era d’accordo con Ross che si sarebbero incontrati al bar dell’hotel City, e che avrebbero cenato lì, perché il ristorante era passabile e dalle finestre si godeva una bella vista sul Tamigi. Si girò qui e là davanti allo specchio. Il vestito, un acquisto recente, appariva stretto in maniera sospetta. Troppi pranzi e cene in conto spese. Sarebbe calata di peso non appena tornata a Carsely. Mentre attraversava l’ingresso, il portiere, Jock, scattò ad aprire la porta. “Buona serata, signora Raisin,” disse con un sorriso untuoso, per poi borbottare tra i denti, con Agatha fuori portata d’orecchi: “Schifosa megera!”. Tutto questo perché Agatha un giorno lo aveva strapazzato – “Se sei un portiere, vedi di aprirmi quella maledetta porta, quando mi vedi. Marsh!” – e il pigro Jock non l’aveva mai perdonata. Agatha camminava in mezzo alla folla ormai calante di gente che tornava a casa, una donna robusta e combattiva, con i capelli corti, gli occhi da orsacchiotto e belle gambe. L’albergo era a poche strade di distanza. Lasciò il chiarore serale per tuffarsi nell’oscurità del bar dell’hotel City. Anche se non aveva mai visto Ross Andrews, il suo occhio esperto lo individuò all’istante. Era in abito scuro e cravatta, ma aveva quella tipica trasandatezza dissoluta del giornalista della carta stampata. I capelli erano radi e di un nero sospetto, il viso era grasso con un naso sfuggente e occhi azzurri acquosi. Forse un tempo era un bell’uomo, pensò Agatha andandogli incontro, ma anni di sbronze hanno lasciato il segno. “Signor Andrews?” “Signora Raisin. Mi chiami pure Ross. Ho ordinato un 3


drink e l’ho fatto mettere sul suo conto,” disse allegramente. “Tanto va tutto in nota spese.” Agatha rifletté che un bel po’ di giornalisti erano esperti nel produrre falsi conti di ristorante per ospiti che avrebbero dovuto intrattenere e non avevano intrattenuto, intascandosi i soldi. Ma quando si trattava delle spese altrui sembrava che non ci fossero limiti. Agatha annuì sedendosi di fronte a lui, fece un cenno al cameriere e ordinò per sé un gin tonic. “Chiamami pure Agatha,” disse. “Come vanno le cose con il ‘Daily Bugle’?” proseguì, sapendo che era inutile venire al sodo finché il giornalista non avesse stabilito di aver trangugiato una quantità di alcolici tale da valere qualche riga. “Siamo in caduta libera, dai retta a me,” disse, tetro. “Il guaio è che questi nuovi giornalisti non sanno distinguere il culo dai gomiti. Vengono fuori da queste maledette scuole di giornalismo e non hanno niente a che vedere con noi che dovevamo imparare a nuotare saltando in acqua. Vanno a fare un servizio, tornano e ti dicono ‘Oh, non ho potuto fare quella domanda. Il marito era appena morto,’ o stronzate come quella. E io a questi dico: ‘Ragazzo mio, ai miei tempi la roba si sbatteva in prima pagina e ce ne fottevamo dei sentimenti di chiunque’. Loro vogliono piacere. Un buon cronista non piace mai.” “Vero,” consentì Agatha con un certo trasporto. Ross fece un segnale al cameriere e ordinò per sé un altro whisky con soda senza chiedere ad Agatha se fosse pronta per un altro drink. “È successo tutto quando hanno affidato la gestione dei giornali ai contabili, tizi loschi e invidiosi che ti tagliano le spese e stanno a discutere su ogni centesimo. Ricordo…” 4


Agatha sorrise e smise di ascoltarlo. Quante volte si era trovata in circostanze analoghe, a dover prestare ascolto a lamentele di questo genere? L’indomani avrebbe riavuto la sua libertà e non sarebbe mai più tornata a lavorare, mai più come PR, almeno. Aveva venduto la sua agenzia per andare anticipatamente in pensione e ritirarsi nei Cotswolds, a Carsely che l’aveva pian piano avviluppata nel suo dolce calore. Lo rimpiangeva. Rimpiangeva la Società delle Dame di Carsely, le chiacchiere davanti a una tazza di tè in canonica, la vita placida del villaggio. Agatha mantenne in viso una sapiente espressione di ammirazione mentre Ross non la smetteva di blaterare, ma i suoi pensieri andavano al suo vicino, James Lacey. In occasione della sua ultima visita al villaggio era uscita a bere con lui ma la loro amicizia rilassata sembrava essere svanita. Si diceva che la sua sciocca ossessione per James si era dileguata, e che non sarebbe mai più tornata. Eppure si erano divertiti a risolvere quegli omicidi. Quando Ross alzò il braccio per ordinare un altro drink, Agatha lo anticipò suggerendo con fermezza che era giunta l’ora di mangiare. Entrarono in sala da pranzo. “Il suo solito tavolo, signora Raisin,” disse il maître, mostrando loro un tavolo accanto alla finestra. C’era stato un tempo, rifletté Agatha, in cui l’essere conosciuta e riconosciuta dai maître la gratificava, perché metteva in evidenza quanta strada avesse fatto rispetto al sobborgo malfamato di Birmingham in cui era cresciuta. Al giorno d’oggi nessuno chiamava più “slum” quel posto, naturalmente. Si chiamava Inner City, come se l’eufemismo potesse portarsi via la sporcizia, la violenza e la disperazione. Quelli che volevano risolvere i problemi del mondo 5


continuavano a parlare di povertà, ma nessuno faceva la fame, a parte i vecchietti con le pensioni d’anzianità che non avevano la forza di reclamare ciò che era loro dovuto. Era una povertà dell’anima, in cui l’immaginazione si nutriva di video violenti, di alcol e droghe. “E quando tornai da Beirut il vecchio Chalmers mi disse: ‘Sei troppo astuto e tosto, Ross, perché ti potessero rapire’.” “Assolutamente,” disse Agatha. “Cosa vuoi bere?” “Ti spiace se scelgo io? Penso che le donne non capiscano niente di vini,” frase che Agatha tradusse nel suo vero significato, ossia che una donna rischiava di ordinare un vino poco costoso, o mezza bottiglia, o altre cose inaccettabili. Immaginò che avrebbe scelto il vino che era secondo nella classifica dei più cari, essendo avido ma non volendo apparirlo, e infatti Ross fece proprio così. Come altri della sua risma ordinò alcuni piatti non tanto perché gli piacessero, ma perché gli parevano adeguati alla sua posizione. Non mangiò molto, e palesemente spasimava per il brandy a fine pasto, non vedendo l’ora che qualcuno sgomberasse il tavolo da quelle dispendiose schifezze. E così assaggiò a malapena le lumache, seguite da un carré d’agnello e dai profiterol. Davanti ai brandy Agatha tornò stancamente a parlare di affari. Descrisse Jeff Loon come un ragazzo delizioso “troppo garbato per il mondo del pop”, tanto affezionato alla mamma e ai due fratelli. Descrisse i lavori in uscita. Consegnò a Ross le fotografie e i comunicati stampa. “Queste sono stronzate, e tu lo sai,” ribatté Ross, sorridendole con sguardo offuscato. “Insomma, ho fatto delle ricerche su questo Jeff Loon, e il ragazzo ha un certo curriculum, intendo dire un curriculum criminale. Lo hanno condannato due volte per lesioni personali e anche per consu6


mo di droga, quindi perché stai cercando di infinocchiarmi con queste minchiate sul tesoro di mamma?” La gradevole donna di mezza età, così gli era parsa Agatha Raisin, sparì per lasciare posto a una tizia dall’espressione dura e occhi penetranti. “E tu piantala di fare il bastardo, tesoro,” ruggì Agatha. “Sai perfettamente perché sei stato invitato qui. Se non avevi intenzione di scrivere qualcosa di almeno vagamente decente non dovevi venire, brutto porco avido. E ti dico ancora una cosa: non me ne frega un cazzo di quello che scrivi. Mi basta non vedere più la tua faccia. Tu ti ingozzi da quel giornalista fallito che sei, annoiandomi a morte con storie apocrife sulla tua bravura, e poi hai la faccia tosta di venirmi a dire che Jeff è un falso. E tu, allora? “Oh, le PR non dovrebbero lamentarsi, ma stammi a sentire! Ho intenzione di infrangere il tabù. Domani il tuo direttore verrà a sapere, parola per parola, tutto quello che hai detto, e insieme gli farò avere il conto di questa serata.” “Non ti crederà mai!” disse Ross. Agatha frugò sotto il tovagliolo che aveva in grembo e tirò fuori un minuscolo ma efficiente registratore. “Sorridi,” disse. “Sei su Candid Camera.” Ross rise debolmente. “Aggie, Aggie.” Posò una mano su quella di lei. “Possibile che tu non colga lo scherzo? Naturalmente scriverò un bell’articolo su Jeff.” Agatha chiese il conto. “Non me ne potrebbe fregare di meno, di quello che scrivi,” dichiarò. Ross Andrews era tornato rapidamente sobrio. “Ascolta, Aggie…” “Per te ero Agatha, ma signora Raisin andrà benissimo, ora che ci conosciamo meglio.” “Ascolta, ti prometto un bel pezzo.” 7


Agatha firmò la ricevuta della carta di credito. “Le manderò il nastro dopo che avrò letto l’articolo,” annunciò. Si alzò da tavola. “Buonanotte, signor Andrews.” Ross Andrews imprecò tra i denti. Pubbliche relazioni! Si augurava di non incontrare mai più una come Agatha Raisin. Era quasi in lacrime. Oh, quei giorni beati in cui le donne erano donne! Lontano lontano, nel cuore del Gloucestershire, nella città mercato di Dembley, Jeffrey Benson, seduto in fondo all’aula scolastica che veniva utilizzata per la riunione settimanale dell’associazione di trekking, i Camminatori di Dembley, stava pensando praticamente la stessa cosa, mentre la sua amante, Jessica Tartinck, parlava alla platea. Tutta quella faccenda del femminismo gli stava bene, e Dio sapeva quanto Jeffrey fosse a favore della parità tra i sessi, ma perché dovevano vestirsi e comportarsi come uomini? Jessica indossava un paio di jeans e una camicia da operaio che le ballonzolava addosso. Il viso era pallido, da studiosa – era uscita da Oxford con una laurea in Inglese, e il massimo dei voti – i capelli erano neri e folti, e li portava lunghi e diritti. Aveva un seno stupendo, grande e sodo. Le cosce erano un po’ grosse e le gambe non erano un granché, ma tanto erano sempre coperte dai pantaloni. Al pari di Jeff insegnava presso la scuola secondaria locale. Prima che lei si autoeleggesse capo dei Camminatori di Dembley, questi erano stati un gruppo di persone affabili e innocue, che amavano le loro passeggiate festive. Jessica però sembrava adorare lo scontro con i proprietari terrieri, che lei detestava come la peste. Era una frequentatrice abituale del catasto di Gloucester, dove studiava accanitamente mappe e scopriva diritti di passo, ormai 8


sepolti dall’oblio del tempo, e che adesso erano coperti da coltivazioni. Jessica, non appena arrivata a insegnare in quella scuola, pochi mesi prima, si era subito guardata attorno alla ricerca di una Causa. Spesso le capitava di pensare in caratteri maiuscoli. Aveva saputo dei Camminatori di Dembley da una collega, Deborah Camden, una ragazza timida e bionda, insegnante di fisica. E di colpo Jessica la sua causa l’aveva trovata, e in brevissimo tempo se ne era messa alla testa, senza che gli altri camminatori si rendessero conto di come era potuto accadere. Non era neppure passato per l’anticamera dei loro cervelli che il suo zelo nella caccia ai diritti di passo attraverso i terreni privati fosse alimentato da rancore e invidia, e, come nel caso di alcune sue proteste precedenti – era stata un’attivista antinucleare sul campo militare di Greenham Common –, da una brama di potere sulle persone. Jessica riteneva che Jessica fosse perfetta, e questa era la sua grande forza. Trasudava assertività. Era politicamente scorretto non essere d’accordo con lei. Dato che la maggior parte dei camminatori originari, quelli che volevano solo fare delle gite in santa pace, era stata rimpiazzata da altri che erano a immagine e somiglianza di Jessica, non le era stato difficile diventare l’autorità indiscussa. Tra i suoi ammiratori più devoti, a parte Deborah, c’era Mary Trapp, una ragazza esile e scontrosa, con la pelle brutta e piedi enormi. E poi c’era Kevin Hamilton, uno scozzese professionista che indossava sempre il kilt e faceva battute sui soldi; sosteneva di essere originario di un villaggio delle Highlands, ma in realtà veniva da Glasgow. Poi c’era Alice Dewhurst, un donnone poderoso con un sederone poderoso, che conosceva Jessica dai tempi di Greenham Common. L’amica di Alice, Gemma Queen, una commessa magra e anemica, non diceva un 9


granché, limitandosi a dare ragione ad Alice su qualunque cosa. E infine c’erano due uomini, Peter Hatfield e Terry Brice, che lavoravano come camerieri presso il ristorante Teiera di Rame. Erano entrambi magri e silenziosi ed effemminati, e avevano l’abitudine di sussurrarsi barzellette e sogghignare. Jessica quella sera appariva particolarmente attraente, perché aveva trovato una nuova preda. Esisteva un vecchio diritto di passo attraverso i terreni di un baronetto, Sir Charles Fraith. Era andata a controllare di persona. Sul passaggio c’erano campi coltivati. Aveva scritto a Sir Charles, di suo pugno, annunciando che tra due sabati avrebbero marciato attraverso le sue terre, e che lui non avrebbe potuto opporsi in alcun modo. Deborah all’improvviso si ritrovò con la mano alzata. “Sì, Deborah?” chiese Jessica, inarcando le sopracciglia sottili. “N-non potremmo p-per una volta,” balbettò Deborah, “f-fare solo una p-passeggiata come facevamo un t-tempo? Era divertente quando ci portava il vecchio signor Jones. Facevamo dei picnic e robe simili…” La voce tremolò alla vista dell’espressione indignata sul viso di Jessica. “Ma andiamo, Deborah, non è da te. Se non fosse per i gruppi di camminatori come noi i diritti di passo non esisterebbero.” Uno dei camminatori pre-Jessica, Harry Southern, esclamò all’improvviso: “Non ha tutti i torti. Questo sabato si torna sul terreno del signor Stone, e quello un mese fa ci ha scacciato a fucilate e alcune delle signore presenti si sono terrorizzate”. “Tu ti sei spaventato, vorrai dire,” lo rintuzzò Jessica, con arroganza. “Molto bene. Metteremo la cosa ai voti. Vogliamo andare alla fattoria Stone, questo fine settimana, o no?” 10


Dato che i suoi accoliti erano in superiorità numerica, il voto fu largamente favorevole. Perfino Deborah non ebbe più il coraggio di protestare e al termine dell’incontro, quando Jessica le posò un braccio sulle spalle e la strinse con affetto, sentì i dubbi svanire e ritornare la sua solita devozione servile. Finalmente era arrivato quello che nella City chiamano il POETS Day, che non è il giorno dei poeti, ma sta per Piss Off Early Tomorrow’s Saturday – tagliamo la corda presto, che domani è sabato. Agatha Raisin sgomberò la scrivania. Avvertiva un desiderio quasi infantile di cancellare tutti i numeri di telefono della sua Filofax per rendere la vita più difficile al suo successore, chiunque fosse, ma riuscì a reprimersi. Fuori dalla porta sentiva il canto allegro della sua segretaria. Durante la sua breve permanenza Agatha aveva cambiato tre segretarie. Quella attuale, Bunty Dunton, era una ragazzona campagnola e gioviale, con una pellaccia da rinoceronte, per cui le collere di Agatha, spesso virulente, sembravano non lasciare traccia su di lei. Però la sua voce non era mai risuonata così allegra. Quando tornerò a Carsely andrà tutto a posto, pensò Agatha. Lì sì che sono popolare. La porta del suo ufficio si aprì ed entrò Roy Silver. Portava i capelli tirati indietro a colpi di gel, e raccolti in una coda di cavallo. Aveva un brufolo sul mento e indossava un vestito di quelli che paiono penzolare dalle spalle, con le maniche rimboccate sui polsi. Il cravattone di seta era un miscuglio violento di colori fluorescenti, che sembravano accentuare il suo pallore malsano. “In partenza?” chiese Roy, con l’aria di essere pronto alla fuga. 11


“Oh, mettiti seduto, Roy,” rispose Agatha. “Sono stata qui sei mesi e io e te praticamente non ci siamo visti.” “Aggie, lo sai che ero impegnato. E anche tu lo eri. Come è finita con Jeff Loon?” “Tutto bene,” rispose Agatha a disagio. Stava cominciando a chiedersi come mai era andata fuori dai gangheri in quel modo. Non che lei avesse davvero registrato quell’essere disgustoso. Le era semplicemente capitato di avere in borsetta il registratore e di averlo tirato fuori mentre lui era tutto preso a parlarsi addosso, per poi nasconderselo in grembo sotto il tovagliolo, per turlupinare Ross. Roy si sedette. “E così te ne torni a Carsely. Senti, Aggie, io penso che tu abbia trovato il tuo posticino.” “Intendi dire le pubbliche relazioni? Scordatelo.” “No, intendevo dire Carsely. Quando sei laggiù sei una persona un po’ più facile.” “E questo che significa?” chiese Agatha con espressione truculenta. Impugnò un tagliacarte d’argento che stava per gettare, insieme ad altri oggetti, in uno scatolone sulla scrivania. Roy rabbrividì ma disse con fermezza: “Ebbene, Aggie, devo dire che hai avuto successo, sei tornata ai tuoi vecchi modi, al regno del terrore e cose simili. Io mi ero abituato alla Aggie del Villaggio, tutta tè e focaccine e affari dei vicini. È buffo, neppure un omicidio nella vostra parrocchia è riuscito a tirare fuori la bestia che c’è in te come ci riescono le pubbliche relazioni”. “Io non indulgo in conflitti personali,” ribatté Agatha, sentendo un’ondata di rossore risalire dal collo al viso. “No?” Roy adesso aveva preso coraggio. Lei non gli aveva tirato addosso niente. “Allora che mi dici delle tue segretarie, tesoro? Le abbiamo viste correre verso l’ufficio del personale 12


versando fiumi di lacrime, per andare a consumarsi di pianto gli occhietti contro il petto rachitico del signor Burnham. Che mi dici di quella regina dell’abbigliamento, Emma Roth?” “Che ti dovrei dire? Le ho fatto avere un articolo sul ‘Telegraph’.” “Ma hai detto a quella vecchia befana che aveva i modi di un maiale e che i suoi vestiti facevano schifo.” “Era vero. Lei ha forse disdetto il contratto con noi? No.” Roy era a disagio. “Non mi piace vederti così. Torna a Carsely, là c’è un amore, e lasciati alle spalle l’odiosa Londra. Lo dico solo per il tuo bene.” “Chissà come mai,” disse Agatha, piatta piatta, “le persone che sostengono di parlare per il tuo bene se ne vengono fuori con qualche stronzata?” “Beh, una volta eravamo amici…” Roys schizzò in direzione della porta, e fuggì. Agatha rimase a fissare la porta attraverso la quale era sparito, con la bocca semiaperta. L’ultima frase di Roy l’aveva colpita. La nuova Agatha si faceva degli amici, non li perdeva. Aveva addebitato la sua solitudine a Londra e alla vita londinese, senza fermarsi a pensare che aveva ricominciato ad alienarsi le persone perché era ricascata nelle sue vecchie abitudini. Sulla scrivania c’era uno scatolone, pieno di cosmetici e profumi, prodotti dei vari clienti. Aveva avuto l’intenzione di portarseli a casa. Gridò: “Bunty, vieni qui un momento”. La segretaria arrivò saltellando, con il viso acqua e sapone, niente trucco, gonna di cotone bianco lunga fino alla caviglia e piedi nudi. “Ecco,” disse Agatha, spingendo lo scatolone verso di lei, “questa roba la puoi prendere tu.” “Uau, grazie mille,” disse Bunty. “Troppo gentile. Ha impacchettato tutto, signora Raisin?” 13


“Mi manca pochissimo.” Negli occhi da orsacchiotto di Agatha c’era un che di smarrito e vulnerabile. Stava ancora pensando a quello che le aveva detto Roy. “Ho avuto un’idea,” disse Bunty, “oggi sono venuta qui con la mia utilitaria. Quando lei è pronta le do uno strappo fino a Paddington.” “Grazie,” rispose Agatha, umilmente. E così un’Agatha insolitamente silenziosa e non incline a impartire lezioni al conducente fu portata a Paddington da Bunty. “Io vivo nei Cotswolds,” si azzardò a dire Bunty. “Naturalmente torno a casa solo nel fine settimana. Un posto carino. Stiamo a Bilbury. Lei invece è vicina a Moreton-inMarsh. Quando sto a casa durante la settimana, al martedì vado al mercato con mamma.” E continuò a chiacchierare imperterrita mentre Agatha continuava a pensare a quanto fosse stato solitario il suo soggiorno londinese e quanto sarebbe stato facile fare amicizia con questa segretaria. Scendendo dall’auto a Paddington, Agatha disse: “Bunty, il mio indirizzo ce l’hai. Se ti va di venire qualche volta a pranzo, o passi anche solo per un caffè mi fai piacere”. “Grazie,” disse Bunty. “A presto.” Agatha si trascinò al treno, occupando con gli scatoloni il posto accanto al suo. Quando il treno uscì dalla stazione e prese velocità, e Londra si allontanò alle sue spalle, Agatha fece un respiro lungo e profondo. Stava lasciando lì quell’altra Agatha. Di nuovo a Carsely. Dopo un inverno lungo e uggioso e una primavera fredda e umida, il sole era tornato a splen14


dere, e Lilac Lane, dove Agatha aveva il suo cottage, stava tenendo fede al suo nome, con un profluvio di fiori bianchi, malva e porpora. Vide l’auto di James Lacey parcheggiata davanti a casa e il suo cuore fece un salto. Dovette ammettere con se stessa che le era mancato – come tutti gli altri abitanti di Carsely, aggiunse severamente. La donna delle pulizie, Doris Simpson, che nelle ultime settimane si era presa cura dei gatti, l’aveva vista arrivare e le venne incontro sulla soglia, con un sorriso di benvenuto. “Bentornata a casa, Agatha,” disse. “Il caffè è pronto, e per cena ti ho preso una bella fetta di carne.” “Grazie Doris,” disse Agatha. Si fermò un attimo a guardare con affetto il suo cottage, accovacciato come una bestia amichevole sotto il pesante tetto di paglia. Poi entrò per ricevere la gelida accoglienza dei gatti, felinamente poco inclini a svenevolezze per il ritorno di una padrona che avrebbe dovuto mostrare maggior riguardo, invece che andarsene. Doris portò in casa gli scatoloni di Agatha, li depositò nell’atrio minuscolo e poi andò in cucina a versare il caffè per Agatha. “Mi ero dimenticata del giardino,” disse lei. “Deve essere una giungla.” “Oh, no, la Società delle Dame ha fatto i turni per strappare le erbacce, e anche il signor Lacey si è dato da fare. Ma che c’è, Agatha?” Agatha era scoppiata a piangere. Agatha tirò fuori un fazzoletto, e si soffiò rumorosamente il naso. “Sono contenta di essere a casa,” borbottò. “È Londra,” sentenziò Doris, scuotendo saggiamente la testa. “Londra ha sempre fatto un gran male alla gente. Ogni tanto io e Bert ci andiamo, per negozi. C’è folla 15


e tutti che spingono. Sono felice quando torno qui, alla calma.” La donna delle pulizie con molto tatto si girò per permettere ad Agatha di ricomporsi. “Allora, cosa è successo nel villaggio in mia assenza?” s’informò Agatha. “Non molto, per fortuna. Abbiamo goduto di un po’ di tranquillità. C’è una novità, però. Abbiamo un gruppo di camminatori.” “E chi lo guida?” “Il signor Lacey.” Agatha ebbe improvvisamente coscienza dei rotoli di ciccia da nota spese che le si erano depositati in vita. “Mi piacerebbe partecipare. Come devo fare per iscrivermi?” “Oh, non credo che nessuno si iscriva, esattamente. Ci troviamo davanti a Harvey la domenica dopo pranzo, all’una e mezza circa. Il signor Lacey ci conduce a passeggiare in campagna e ci racconta delle piante e di altre cose e un po’ di storia. Vivo qui da tutta la vita e le cose che non sapevo!” “Non avete problemi con i proprietari?” “Da queste parti no. I dipendenti di Lord Pendlebury tengono in ordine i sentieri, e ci mettono i cartelli indicatori, addirittura. Abbiamo avuto un po’ di problemi con il signor Jackson.” Il signor Jackson possedeva una catena di negozi di computer e si era comprato un gran pezzo di terra. “Stavamo seguendo il sentiero segnato e ci siamo trovati davanti un cancello lucchettato, proprio di traverso, e lì c’era Harry Cater, il guardiano di Jackson, con un fucile, per mandarci via.” “Ma non può fare una cosa del genere!” “No, ma il signor Lacey ha detto che con tanti bei posti lì nei dintorni non valeva la pena di mettersi a discutere. La 16


signorina Simms ha detto a Cater cosa doveva farci con il suo fucile e dove se lo doveva mettere, con il pastore e sua moglie che hanno sentito tutto quanto. Io non sapevo dove guardare.” “Camminare,” disse Agatha, pensierosa. “Che bella idea.” Era venerdì. La domenica avrebbe rivisto James, se non fosse riuscita a intercettarlo prima. Roy Silver la mattina dopo entrò nell’ufficio del signor Wilson, chiedendosi come mai lo avessero convocato al lavoro di sabato. Il signor Wilson, il capo di Pedmans, sedeva con una copia del “Daily Bugle” aperta sulla scrivania di fronte a sé. “Hai visto il giornale, stamattina?” domandò. “Il ‘Daily Bugle’? No, non ancora.” “La nostra signora Raisin si è rivelata ancora una volta la carta vincente. Abbiamo un pezzo delizioso su Jeff Loon, pubblicità gratuita del valore di migliaia sterline. Mio Dio, se è in grado di promuovere un idiota come Jeff Loon può promuovere qualunque cosa. Era un tuo cliente e l’abbiamo passato alla signora Raisin quando ci siamo accorti che tu non saresti arrivato da nessuna parte.” “Insomma, nessuno ne voleva sapere,” disse Roy sulla difensiva. Il signor Wilson guardò Roy al di sopra degli occhiali cerchiati d’oro. “Non ti sto accusando. Non credo che nessun altro, nel mondo delle PR, sarebbe riuscito a mettere a segno un colpo come questo.” Si lasciò ricadere contro lo schienale. “Pensavo che tu e la signora Raisin foste grandi amici.” “Lo siamo.” “Ho notato che cercavi di tenerla alla larga, quando era 17


qui. Mi è capitato di sentire che lei ti invitava a bere qualcosa dopo il lavoro, un giorno o l’altro, e tu che te ne venivi fuori con una scusa penosa.” “Credo che lei abbia sentito male. Io adoro Aggie.” “Vedi, io desidero che tu instauri un rapporto stretto con quella donna. Voglio che tu le parli di soldi, di un mucchio di soldi. Posso anche farla diventare socia. Può scegliersi i clienti. A lei io non piaccio. Se tra voi è rimasto dell’affetto…” “Un sacco,” disse Roy con fervore. “Okay, vai subito da lei. Prenditi il tempo che ci vuole. Non metterle fretta. Trova il modo per farla tornare.” “Magari il prossimo fine settimana?” “Chi ha tempo non aspetti tempo.” “Ma certo, certo. Parto immediatamente.” Roy si precipitò a casa a preparare una sacca per quei due giorni e poi andò in taxi a Paddington. Non aveva telefonato ad Agatha, per timore che lei gli proponesse un altro fine settimana o gli si negasse del tutto. Se si fosse presentato sulla porta di casa, rifletté, lei non avrebbe potuto cacciarlo via. Se quel sabato sera James Lacey fosse stato al Leone Rosso, dove finalmente Roy s’imbatté in Agatha, magari lei avrebbe mandato Roy a quel paese. Ma il pensiero che l’indomani avrebbe rivisto James la rendeva tesa e nervosa. Perfino la presenza del gracile Roy avrebbe potuto evitarle la tentazione di monopolizzare James. Così gli disse sgarbatamente: “Sono stupita di vedere che un ex amico è così ansioso di rivedermi ma immagino che mi toccherà sopportare che tu mi sopporti. Preparati a una giornata molto attiva, domani. In realtà penso che ti annoierai a morte, e ben ti sta. Domattina si va in chiesa, e dopo ci uniamo ai Camminatori di Carsely per una lunga e salutare passeggiata”. “Proprio quello che mi ci vuole,” disse Roy, con un sorriso accattivante. “Sei pronta per un altro drink, Aggie?” 18


Estratto da M.C. Beaton, Agatha Raisin e i Camminatori di Dembley Titolo originale dell’opera Agatha Raisin and the Walkers of Dembley Traduzione dall’inglese di Marina Morpurgo © 1994, 2010 M.C. Beaton © 2012 astoria srl via Aristide De Togni 7 – 20123 Milano Prima edizione: maggio 2012 ISBN 978-88-96919-34-7 Progetto grafico: zevilhéritier

www.astoriaedizioni.it


Turn static files into dynamic content formats.

Create a flipbook
Issuu converts static files into: digital portfolios, online yearbooks, online catalogs, digital photo albums and more. Sign up and create your flipbook.