La vendetta di Rainbird

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Perché ennui da radice inglese scaturisce, seppur ignota al nostro idioma, che i fatti preferisce alle parole, e lascia ai francesi il compito ingrato di tradurre l’orrendo sbadiglio che sonno mai ha placato. Lord Byron, Don Giovanni

“Come sarebbe a dire, amico, che in questo albergo non ci sono camere disponibili?” Il proprietario del Bell lanciò uno sguardo nervoso all’alta figura ritta sulla soglia della locanda. “Semplicemente quel che ho detto, signore. Questa sera ci sarà un ballo, qui da noi, e la gente è arrivata da ogni dove per parteciparvi. Tutte le stanze sono occupate, Mr…?” “John,” rispose il gentiluomo alto. “Mr John. Ti pagherò il doppio, oste, se mi rimedi una stanza. Aspetterò al pub, mentre ti organizzi.” Entrò a lunghi passi nel locale seguito dal suo servitore, lasciando l’oste, Mr Skyes, a guardarlo a bocca aperta. “Che succede?” gli chiese la moglie sopraggiungendo da dietro. “Un gentiluomo, tale Mr John, vuole una camera. Dice che pagherà il doppio.” “Beh, credo si possa fare,” rispose cauta la moglie. “C’è il giovane Mr Partridge con l’amico, Mr Clough. Si metterebbero assieme, se è proprio necessario.” “Non mi piacciono i modi dispotici di questo Mr John, e questo è un fatto,” asserì l’oste. 1


“Il denaro è denaro,” replicò la moglie con piglio pratico. “Sai bene che il comitato di ballo non ci darà un soldo fino a San Martino.” “E va bene,” concesse l’oste riluttante. “Ma vai tu a dirgli che probabilmente potrà avere la stanza. È al pub. C’è qualcosa in lui che mi fa accapponare la pelle.” Mrs Skyes si raddrizzò la cuffia e aprì la porta del pub, mentre il marito si avviava su per le scale. Alcuni uomini del posto guardavano con ostilità, come se fossero stati appena spodestati, due signori seduti nei posti migliori, di fronte al camino. Mrs Skyes era già pronta a dire chiaro e tondo ai due estranei quel che pensava, e che potevano considerarsi ben fortunati di aver avuto una stanza, doppia tariffa o meno; ma al suo avvicinarsi il più alto dei due si alzò, e le parole aspre le morirono in gola. Due occhi azzurro ghiaccio in un viso abbronzato si abbassarono con alterigia su di lei da sopra le pieghe immacolate del foulard da collo elegantemente annodato. I capelli erano del colore delle ghinee brunite. La bocca, dalla linea classica, esprimeva determinazione. L’uomo emanava un’aria di ricchezza e potere. Mrs Skyes si produsse in una riverenza. “Mio marito è andato a vedere se due dei nostri ospiti non hanno niente in contrario a dividere una stanza,” spiegò. “Così ne rimarrebbe una libera per voi, signore, e per…?” e guardò con aria interrogativa l’uomo più basso. “Per il mio servitore,” specificò l’uomo alto. “Grazie. Siete molto gentile.” D’un tratto fece balenare un sorriso, un sorriso di abbagliante dolcezza che parve totalmente in contrasto con la sua glaciale imponenza. 2


“E se vostra grazia volesse partecipare al ballo,” disse Mrs Skyes senza fiato dopo l’impatto con quel sorriso, “sono certa che il comitato di ballo ne sarebbe onorato.” L’uomo alto la osservò attentamente. “Forse,” rispose. “Vedremo. Vi prego di informarmi non appena la camera sarà pronta.” Mrs Skyes fece la riverenza e se ne andò. I due si sedettero. “Ebbene, Fergus,” disse l’uomo alto, “devo prendere parte a questo ballo campagnolo?” “Se vostra grazia pensa di divertirsi,” rispose il servitore. “Ma perché questa messinscena? Perché non dire all’oste che siete il grande e nobile duca di Pelham?” “Perché ne ho abbastanza di adulatori e cacciatrici di dote,” rispose il duca in tono ozioso. “Ho bisogno di una breve vacanza dal casato. Lo sai, Fergus, assieme abbiamo passato tanti anni e affrontato tante battaglie. A te concedo più licenza che a chiunque altro. Ma, se per una sera decido di rimanere in incognito, questo è solo affar mio.” Vedendo l’espressione di biasimo sul viso riarso dal sole di Fergus, un tempo devoto attendente, ora cameriere personale, compagno e talvolta consigliere, un lampo di affetto brillò negli occhi del duca. “Ma la servitù di quella casa maledetta di Londra conosce la vostra identità,” obbiettò Fergus. “Sì.” “Non capisco come vostra grazia abbia potuto decidere di trascorrere la Stagione a 67 Clarges Street.” “Perché, se non te ne sei dimenticato, la mia dimora di Grosvenor Square dev’essere ritinteggiata, per cui mi tocca trasferirmi nella più piccola delle mie case londinesi.” “Ma, vostra grazia, lì dentro si è ucciso vostro padre!” 3


“Siamo appena ritornati dalle guerre nella Penisola Iberica e tu sei già riuscito a raccogliere pettegolezzi sul mio conto, Fergus.” “Perché, non è vero?” “È vero. Ma io non sono un sentimentale. E non credo ai fantasmi. Ho conosciuto poco mio padre, e quel poco che ho conosciuto non mi è piaciuto. Clarges Street andrà più che bene. Forse i piaceri della Stagione mi distrarranno un po’ dal tedio che mi affligge.” Il domestico gli scoccò uno sguardo allusivo. “O magari qualche bellezza calamiterà il vostro interesse.” Il duca sospirò. “Alle donne interessano solo i soldi,” sentenziò. “Sono venali all’inverosimile.” “Forse conoscerete qualche bellezza campagnola fresca e non viziata, a questo ballo,” disse Fergus, chiacchierando a proprio agio con l’informale affabilità che si era sviluppata tra padrone e servitore durante le sanguinose campagne militari contro le truppe di Napoleone. “Le donne sono viziate per natura,” replicò il duca. “Questo argomento mi annoia. Cambiamo discorso.” Miss Jenny Sutherland si rimirò allo specchio con enorme soddisfazione. Era un peccato, si disse non per la prima volta, che tanta bellezza dovesse andare sprecata lì in campagna. Ma sua zia, lady Letitia Colville, che avrebbe potuto benissimo permettersi di portarla a Londra per la Stagione, non mostrava il minimo segno di volerlo fare. Jenny, bella lo era davvero. Una massa di vaporosi capelli scuri incorniciava il volto delicato. I grandi occhi castani erano frangiati da lunghe ciglia nere, il naso era corto e dritto e la bocca perfetta. La figura era morbida e femminile, con la vita sottile, spesso non messa sufficientemente in 4


risalto dall’ultima moda, che aveva alzato il girovita in un punto imprecisato subito sotto il seno. Quando aveva sei anni i suoi genitori erano morti di “raffreddore francese” – il nome dato all’influenza – essendo i francesi incolpati di qualunque malattia, dal raffreddore al vaiolo. La zia nubile, lady Letitia, si era fatta carico di allevarla. Ma, più che l’educazione ricevuta dalla zia, ad avere viziato Jenny era stata la sua bellezza. Fin da piccola si era abituata a sentirsi dire dalla devota istitutrice quanto fosse bella, per cui gli sforzi della zia per inculcarle un po’ di modestia erano andati tutti sprecati. Indossava un abito di finissima mussola color argento sopra un tubino bianco. Tra i ricci spiccava una coroncina di fiori di seta bianchi e nastri d’argento. Jenny sapeva che al ballo di quella sera non correva il pericolo di far da tappezzeria. In tutti i balli precedenti era stata la regina della festa. Cooper, la cameriera, entrò portando uno scialle caldo, il ventaglio e la borsetta. A Jenny il ventaglio scelto per lei non piaceva, e avrebbe voluto mandarla a prenderne un altro, ma si trattenne: Cooper sarebbe andata a riferire a lady Letitia anche un’incombenza da poco come quella, e la zia l’avrebbe subito accusata di caricare la servitù di lavoro superfluo. Reggendo la lampada a olio, Cooper fece luce sulle scale per Jenny fin giù in salotto. Lady Letitia sedeva presso il caminetto. Era una donna snella che aveva superato da poco la quarantina. I capelli erano folti e castani, senza traccia di grigio, e gli occhi piccoli e neri erano acuti e scintillanti. Aveva una figura ordinata e piuttosto piatta davanti, mani bianche e affusolate e piedi lunghi e stretti calzati in scarpette da ballo di capretto. Aveva in testa un turbante di 5


velluto e indossava un abito anch’esso di velluto cremisi allacciato da alamari dorati sopra un sottabito di color verde spento.
Quando Jenny entrò nella stanza sollevò la testa, desiderando per l’ennesima volta che la ragazza non fosse così straordinariamente bella. Lady Letitia si ritrovò a sperare che quella sera al ballo ci fosse un gentiluomo di cui l’incostante nipote si sarebbe incapricciata, un gentiluomo che non dimostrasse il minimo interesse per Jenny. Ha proprio bisogno di una bella ridimensionata, si disse lady Letitia. Non che fosse crudele o sgarbata. Solo, ovviamente, si era ormai abituata a ritenere la propria bellezza eccessiva per la piccola nobiltà locale. In breve, era vanitosa. Forse avrei dovuto portarla a Londra, rifletté lady Letitia. Laggiù è pieno di belle ragazze, e un po’ di concorrenza è quel che le ci vuole. Ma Londra pullula anche di libertini e perdigiorno. Meglio un marito campagnolo. “Come ti sembro?” chiese Jenny producendosi in una piroetta davanti alla zia. “Molto appropriata,” disse lady Letitia senza sbilanciarsi. Jenny scoppiò a ridere. “Zia cara, non riesco mai a estorcerti un complimento.” “È giusto che ci sia almeno una persona al mondo che non ti vizi,” ribatté lady Letitia. “La mia mantella, Cooper.” Lady Letitia viveva in una grande dimora fuori Barminster. Era un’operosa città di mercato sulla strada tra Bristol e Londra. Sebbene molti stranieri diretti a Londra si fermassero al Bell, pochi partecipavano ai raduni mondani, essendo troppo stanchi del viaggio per pensare di unirsi a un ballo locale. Dopo aver lasciato lo scialle nell’anticamera e avere raggiunto la zia nella sala oltre la porta a doppio battente che immetteva nel salone da ballo, Jenny cominciò ad avvertire 6


un fremito di eccitazione, come se stesse per accadere qualcosa di importante. Erano piuttosto in ritardo: la vanitosa Jenny aveva deliberatamente ritardato i preparativi della toilette così da poter fare un ingresso sensazionale. “Buon Dio,” mormorò il duca di Pelham quando Jenny entrò nella stanza, seguita da lady Letitia. “Ecco la vostra bellezza campagnola,” mormorò Fergus, dietro la sedia del padrone. “E che bellezza!” “Mi chiedo se sia consapevole del suo aspetto,” disse il duca senza distogliere lo sguardo da Jenny. Ma nella ragazza non c’era nulla che tradisse la propria vanità, semplicemente perché non aveva mai dovuto competere con nessun’altra. Lo sguardo acuto di lady Letitia corse immediatamente a dove sedeva il duca di Pelham. Sollevò il ventaglio per coprirsi e sussurrò a Mrs Chudleigh, membro del comitato di ballo: “Chi è quell’estraneo così terribilmente bello?”. “Nessuno di importante, ve lo assicuro,” rispose Mrs Chudleigh. “Un viaggiatore, tale Mr John.” Lady Letitia guardò di soppiatto in fondo alla stanza il bel viso altezzoso e mormorò: “Mi sorprende che sia un semplice mister. Ha l’aria di un uomo avvezzo al comando”. “È probabile,” disse l’altra con un risolino di superiorità. “Il suo domestico ha messo in giro voce che il padrone è un capitano che ha appena lasciato l’esercito.” Jenny, raggiunta da diverse amiche, venne sapere a sua volta il nome del bell’estraneo. “La mamma dice che mi ucciderà se oserò anche solo posare gli occhi su un misero capitano,” ridacchiò Miss Eufemia Vickers, una delle amiche. “Ma com’è bello, e che fascino!” 7


Via via che il ballo procedeva, tra le signore presenti cominciò a serpeggiare una certa animosità nei confronti del “capitano”. Perché lui non ballava. Si limitava a osservare con curiosità quelli che lo facevano con l’aria di un entomologo intento a osservare i rituali di corteggiamento di un raro tipo d’insetto. In quella Mr Skyes, l’oste, si avvicinò circospetto a Mrs Chudleigh e sussurrò: “C’è un certo lord Paul Mannering, arrivato da poco, che vorrebbe partecipare al ballo”. “Un lord!” esclamò Mrs Chudleigh. “Ma certo che ha il nostro permesso. Anzi, non occorre nemmeno che consulti gli altri membri del comitato.” Mr Skyes fece un inchino e si ritirò. Mrs Chudleigh svolazzò dall’uno all’altro per annunciare l’arrivo di questo tale lord Paul Mannering. Un altro membro del comitato, che studiava l’almanacco nobiliare britannico come altri studiavano la Bibbia, riferì che lord Paul era il figlio più giovane del vecchio duca di Inchkin, vedovo, e generale nell’esercito di Wellington. Mentre la stanza risuonava del brusio di questi entusiasmanti pettegolezzi, all’improvviso il duca di Pelham si alzò e si diresse verso Jenny, che osservò allarmata il suo arrivo. E se quel lord Paul fosse comparso all’improvviso? Era il momento della danza della cena, e si sarebbe ritrovata legata a quel Mr John, un signor nessuno. Prima che lui riuscisse a raggiungerla, Jenny si dileguò attraverso un gruppo di ospiti e si nascose dietro una colonna. Il duca aggrottò la fronte. Era avvezzo a giovani signore che stavano inchiodate al posto, frementi di eccitazione nel caso si fosse degnato di rivolgere loro la parola. Alzò le spalle e tornò al suo posto. “È la danza della cena,” mormorò Fergus. “Sceglierò una dama, una qualunque, cenerò e me ne 8


andrò a dormire,” disse il duca con uno sbadiglio. “È stato spassoso vedere tutti questi piacevoli inglesi divertirsi, ma ora sono annoiato a morte.” Ma annoiato non era la parola giusta. Si sentiva piccato e irritato per quella giovane bellezza che era fuggita davanti al suo approccio. Sollevò il bicchiere e osservò la fila delle chaperon. Sovente, in passato, aveva trovato in loro una compagnia più piacevole da portare a cena che quella di qualche giovane miss. L’occhio gli cadde su lady Letitia, e quel che vide gli piacque. Si alzò di nuovo in piedi. Proprio allora si aprirono le porte del salone da ballo, e lord Paul Mannering, accompagnato da un amico, fece il suo ingresso. Subito tra le giovani signore dilagò un senso di delusione, convinte che il figlio più giovane di un duca dovesse essere… beh, giovane, mentre quell’uomo aveva come minimo superato i quaranta. I capelli corvini mostravano tracce di grigio e il viso, dall’espressione severa e determinata, era color del cuoio scuro, tanto era cotto dal sole. “Pelham!” esclamò, con occhi illuminatisi nel vedere il duca. “Perbacco, quando sei arrivato?” “Poco prima di te, credo,” gli sorrise il duca. “Come hai fatto ad avere una stanza?” “Ho scritto tempo fa per prenotare. Vorrei presentarti il mio amico,” disse lord Paul. “Pelham, questo è Mr Walker. James, ti presento sua grazia, il duca di Pelham.” Mrs Chudleigh, che aveva ascoltato avidamente questo scambio di battute, per poco non svenne dall’emozione. Mentre quella strabiliante notizia si diffondeva per la sala, le piume presero a oscillare, i turbanti ad annuire. Il viso di Jenny si inporporò per la mortificazione. Un duca! Che era stato sul punto di invitarla a ballare. 9


“Scegliete la vostra compagna per la danza della cena, prego,” li esortò il maestro delle cerimonie per la terza volta, dato che, a causa di quel pettegolezzo elettrizzante, i partecipanti si erano dimenticati di posizionarsi nelle figure. “Ora però lasciami scegliere una dama adatta,” disse lord Paul. “Ah, ce n’è una perfetta.” Jenny, in piedi dietro la sedia di lady Letitia, sorrise e si sventagliò pigramente nel vedere i due uomini dirigersi velocemente verso di loro. Quale doveva scegliere? Beh, il duca, naturalmente. Era il più giovane e quello di rango più elevato. Lord Paul si chinò verso lady Letitia. “Signora, posso avere l’onore di questa danza?” Jenny si lasciò sfuggire un piccolo sussulto di mortificazione, ma c’era in arrivo qualcosa di peggio. “In verità,” disse il duca, “mi hai battuto sul tempo. Era anche mia intenzione invitare questa signora.” Lady Letitia sollevò sui due uno sguardo stupefatto. “Ma Pelham,” disse lord Paul in tono soave, “sono stato io a chiederglielo per primo.” “È giusto,” replicò il duca. “Dovrò accontentarmi della seconda scelta.” Fece correre lo sguardo per la sala. Era molto alto, e il suo sguardo errò sopra la testa di Jenny. Poi, con un lieve sospiro di rassegnazione, lo riabbassò e chiese a Jenny: “Volete farmi l’onore, signorina?”. Jenny acconsentì prontamente. Era esasperante sentirsi definire la seconda scelta, ma si consolò al pensiero che i due gentiluomini avevano volutamente esagerato con la galanteria in ossequio all’età avanzata della zia. Essendo una danza campagnola, non vi fu modo di fare molta conversazione, ma del resto Jenny non si aspettava 10


che i suoi cavalieri facessero molto di più che fissarla con occhi adoranti. Quando finalmente sedette accanto al duca alla tavola della cena, si rese conto che negli occhi che fissavano i suoi non c’era adorazione bensì noia. “Chi è quella signora elegante laggiù?” chiese il duca agitando il monocolo cerchiato in oro in direzione di lady Letitia. “Quella è mia zia, vostra grazia.” “E possiede anche un nome?” le chiese con una punta di irritazione. “Sì, vostra grazia. Lady Letitia Colville.” “Ah, la figlia del compianto conte di Mallock.” “Sì, vostra grazia. La zia era sorella della mia defunta madre.” “E voi siete…” “Miss Jenny Sutherland, vostra grazia.” “Come sapete il mio titolo?” “Mi è stato sussurrato giusto un attimo fa,” spiegò Jenny. Il duca si dedicò alla cena. Jenny era fastidiosamente consapevole della presenza del domestico del duca, ritto in attesa dietro la sedia del padrone. Guardò la zia, di fronte. Qualunque cosa avesse appena detto, era evidente che lord Paul la trovava molto divertente. Jenny si rese conto che le amiche la osservavano di soppiatto, e che erano giunte alla conclusione, come tutti gli altri, che il duca trovava più interessante il cibo nel piatto che non la propria dama. “Allora se non siete un capitano,” disse la ragazza, “non avete combattuto in guerra.” “Al contrario, sono appena ritornato.” “Come vanno le nostre truppe?” si informò Jenny, che non nutriva alcun interesse per la guerra ma voleva far cre11


dere alle amiche che la osservavano che il duca fosse ammaliato da lei. Lui cominciò a raccontare. Jenny abbassò lo sguardo sul proprio abito per accertarsi che i panneggi ricadessero a dovere. E avrebbe voluto tirar fuori lo specchio per accertarsi di essere bella come al solito. “Mi dispiace che il mio racconto vi stia annoiando.” La voce aspra del conte riuscì a penetrare i suoi pensieri. “Lo trovo affascinante, signore,” rispose lei con il viso in fiamme. “Allora perché mai,” replicò il conte in tono misurato, “mentre vi parlo giocherellate con il vostro abito e vi aggiustate i guanti?” La risposta alla domanda era che fino a quel momento Jenny non si era mai dovuta preoccupare di essere altro che bella. “Vi assicuro, signore,” disse piccata, “che ho ascoltato ogni parola.” “Quindi che ne pensate della storia di Wellington che è caduto da cavallo?” “Molto interessante.” “Non ho mai raccontato niente del genere,” ritorse il duca. “Insomma,” replicò Jenny sventagliandosi vigorosamente, “siete proprio determinato a prendermi in antipatia.” “Niente affatto. Ma non mi piace la scortesia, e voi siete scortese. Potreste fare al vostro cavaliere il piacere di ascoltarlo.” Jenny batté le lunghe ciglia e si gingillò con il ventaglio, due manovre che, aveva appreso da passate esperienze, avrebbero prodotto un effetto devastante su qualunque uomo provvisto di un cuore. Il duca la guardò accigliato e si versò un bicchiere di 12


vino. La coppia, alquanto irritata, si fissò reciprocamente. Erano molto ben assortiti: il duca era avvezzo a persone che, per via del titolo, pendevano dalle sue labbra, mentre Jenny era abituata a una devozione servile. “Il problema con voi, miss,” disse il duca mentre gli occhi vagavano per la lunga tavolata, “è che vi considerate la regina di questa città di provincia. Una Stagione a Londra vi rimetterebbe subito al vostro posto.” “E che posto sarebbe, vostra grazia?” “Beh, quello di una piccola miss nessuno.” “Voi,” lo apostrofò Jenny, “siete l’uomo più odioso che abbia mai incontrato. Siete pomposo e villano. Avete la testa imbottita di idee sulla vostra importanza. No, non andrò a Londra, e di questo ringrazio il cielo. Perché, se ci andassi, mi toccherebbe rivedere la vostra stupida faccia, e soffrire di nuovo per i vostri modi sciocchi e rozzi.” “Se foste un uomo,” replicò il duca, ora molto arrabbiato, “vi inviterei ad affrontarci qui fuori.” Jenny appoggiò il mento alla mano e gli fece un sorriso dolce. “Ma non lo sono. Qui siete a un ballo di campagna e dovete rassegnarvi.” Gli occhi azzurro-ghiaccio mandarono un lampo. Il duca si alzò e si allontanò di qualche passo. “Andiamo, Fergus,” ordinò a voce alta al domestico, “la compagnia impertinente di Miss Jenny è terribilmente noiosa.” E uscì dalla sala. Jenny restò impietrita sulla sedia, tremando per la vergogna di quell’affronto. “Bontà divina!” esclamò lord Paul balzando in piedi. “Cosa gli sarà preso, a Pelham? Di solito è la personificazione della cortesia.” “Sedetevi, milord,” lo esortò lady Letitia in tono tranquillo. “Una scenata può bastare per una sera, direi.” 13


Lord Paul si rimise lentamente a sedere. “Credo dovreste consentirmi di andare da lui, signora,” disse, “e pretendere delle scuse.” “Aspettate più tardi, milord,” disse la donna con calma. “A volte Jenny sa essere davvero esasperante, e da troppo tempo ormai con i gentiluomini fa a modo suo. Guardate! Il giovane Mr Partridge è appena andato da lei. La ricoprirà di complimenti esagerati, e in men che non si dica si sarà già dimenticata del vostro amico. Ma parliamo d’altro. Immagino che vogliate trascorrere a Londra la fine della Stagione?” Jenny avrebbe dovuto trovare conforto sia nei complimenti di Mr Partridge che nelle sue critiche al duca di Pelham. L’uomo giurò che, se avesse saputo che il duca si sarebbe dimostrato un tale buzzurro, non gli avrebbe mai ceduto la sua camera. Jenny stava decisamente meglio lì in campagna, dove c’era gente buona e onesta, e dove non correva il rischio di finire preda delle ingiurie di dilettanti e libertini londinesi. E invece si sentiva infelice. In passato la sua bellezza l’aveva sempre salvata da insulti e critiche. Ora però la sentiva sgretolarsi, lasciandola nuda e goffa, una zotica di campagna senza arguzia né parlantina. Mentre ascoltava il suggerimento di lord Paul di portare Jenny a Londra per quel che rimaneva della Stagione, lady Letitia studiava di nascosto il viso avvilito della nipote. “Voi sostenete,” diceva lord Paul, “che vostra nipote è abituata a una tranquilla vita di campagna, e che le lusinghe di Londra potrebbero farle girare la testa, ma non sarebbe meglio metterla a contatto ora con alcune di esse? Cos’accadrebbe se sposasse un antiquato pretendente campagnolo a cui un giorno saltasse in testa di portarla in città, e lì lei perdesse completamente la testa? Che razza di moglie sarebbe, in tal caso?” 14


“Siete molto persuasivo, milord,” disse lady Letitia ridendo. “Ci penserò.” Mentre Fergus lo preparava per la notte, il duca di Pelham versava ancora in uno stato di indignata furia. “Vostra grazia sembra essersi oltremodo infastidito per quella sciocchina,” si azzardò infine a dire Fergus. In risposta il duca emise un suono simile a un grugnito. “Non è da voi prendervela in questo modo,” insistette Fergus ostinato. “E non è che abbiate poi in gran simpatia le donne.” “Non sono un misogino,” ribatté il duca con un sorriso riluttante. “Il motivo per cui parteciperò alla Stagione è trovar moglie.” Per poco Fergus non lasciò cadere la pila di asciugamani umidi che teneva tra le braccia. “Una moglie? E perché?” “Ho bisogno di eredi,” rispose scontroso il duca, “e non posso procurarmeli da solo.” “Ma ci avete pensato bene?” domandò cauto Fergus. “Dovrete fare la corte a una di loro, vostra grazia, e farle dolci complimenti…” “Stupidaggini,” ribatté l’altro cinico. “Quando mai un ricco duca inglese ha dovuto preoccuparsi per una femmina? Mi limiterò a sceglierne una e a far schioccare le dita.” “A meno che, naturalmente, la femmina non sia una come Miss Jenny Sutherland,” ribatté Fergus allusivo. “Non nominare mai più quella donna. È troppo piena di sé.” “Come qualcuno di mia conoscenza,” mormorò Fergus. “Cos’hai detto?” “Niente, vostra grazia. Niente.”

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Sulla carrozza diretta a casa, lady Letitia disse a Jenny: “Ho detto che ho deciso di andare a Londra. Mi hai sentito? Oh, già, dimenticavo. Difficilmente ascolti qualcuno”. “Non è vero!” esclamò Jenny accalorandosi. “Semplicemente, sono stata colta alla sprovvista dalla repentinità di tutta la faccenda. E ho deciso che tutto sommato non ci vorrei andare, a Londra.” “Davvero? Beh, questa volta si farà a modo mio, signorina. Lord Paul Mannering mi ha persuasa sulla necessità di portartici.” “Davvero?” Jenny appoggiò la schiena al sedile e ricordò il bel viso severo di lord Paul. Era un tantino anziano, ma era un lord. Il suo interesse per lei era esattamente quel che ci si aspettava. La vanità di Jenny ritornò a poco a poco, riscaldandole il corpo. “Allora naturalmente dovremo andarci,” disse con un risolino. “Non dobbiamo scontentare lord Paul.” Ora si può sapere, si chiese Jenny nel vedere la zia scuotere il capo sconsolata e alzare impercettibilmente le spalle, cos’avrò mai detto di male, per offenderla?

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Estratto da: M.C. Beaton, La vendetta di Rainbird Titolo originale dell’opera: Rainbird’s Revenge Traduzione dall’inglese di Simona Garavelli © 1988 by Marion Chesney © 2016 astoria srl, corso C. Colombo 11 – 20144 Milano Prima edizione: agosto 2016 ISBN 978-88-98713-45-5 In copertina: Regency era people at the door with footmen in attendance © Linda Steward/iStockphoto Progetto grafico: zevilhéritier

www.astoriaedizioni.it


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