1 Facciamo conoscenza con il detestabile dottor R.
Stanotte ho sognato – di nuovo – che ammazzavo il dottor R. Lo braccavo urlando rabbiosa in un corridoio buio e squallido, e poi cercavo di tagliargli la testa a mo’ di ananas, a fettine sottili e precise, avvalendomi di un coltello da dessert. Lui non diceva niente, ma mi guardava atterrito con degli occhi inespressivi effettivamente un po’ da ananas. Mi sono svegliata di soprassalto, in preda a un fortissimo turbamento. Il mio primo pensiero è stato: oh no, cacchio, adesso avrò rovinato il filo del coltello del servizio buono, era così carino, con il suo manico arancione. In effetti del collo mezzo maciullato del dottor R. – il taglio non mi era riuscito un granché bene – e dei suoi occhi smarriti e acquosi e giallognoli da ananas non me ne importava proprio una beata mazza. Nel complesso non era una cosa molto gentile da parte mia. Forse neanche tanto normale, a pensarci bene. Un tempo non ero affatto così sanguinaria, ero dolce, mite, sorridente, ingenua, empatica, amavo il mio prossimo 1
come me stessa e non alzavo quasi mai la voce se non in casi proprio eccezionali. Certo, quel bastardo del dottor R. non è mica normale. No, non è normale neppure lui. E il prossimo di un tempo non faceva mica un po’ schifo – mediamente – come quello di adesso. Era un prossimo più prossimo, non so se mi spiego. Nel dubbio – dopo tanta ferocia mi era rimasta appiccicata addosso una sensazione sudaticcia di disagio – ho telefonato alla mia amica ed ex collega Alessandra, per confessare la violenza di quei miei sentimenti di vendetta e alleggerirmi un po’ la coscienza. Le ho descritto per bene il corridoio tetro e spoglio, una via di mezzo tra il mio vecchio liceo e un carcere ottocentesco (non che tra le due strutture ci fosse poi questa gran differenza) e poi la scena. Il dottor R. no, non ho avuto alcun bisogno di descriverglielo, perché lo conosce perfettamente anche lei (purtroppo) – siamo state licenziate insieme. Mi ha ascoltata con estrema attenzione e in silenzio, come fa sempre. Mi aspettavo che mi dicesse “Ma tu sei completamente pazza!” (come fa sempre) – invece si è limitata a chiedermi che coltello avessi usato per tentare di decapitarlo. “Da dessert,” ho risposto io. “Hai sbagliato coltello! Lo sapevo! Non ne avevi uno più grosso? Vivi sempre come una selvaggia. Se non ce ne hai uno adatto te lo regalo io per il tuo compleanno,” ha detto, scandalizzata. Non ha neanche voluto sapere quanto ci avesse messo il dottor R. a morire, poveretto, nel suo angolino buio e squallido, nelle mani di una squilibrata omicida (io). Che poi, a proposito, nel sogno la scena finale mancava. 2
Oddio, magari dopo tutta quella fatica dell’inseguimento il dottor R. non era neanche morto! Forse dovevo tornare a letto, riaddormentarmi – tanto per quel che ho da fare di questi tempi, a letto potrei starci finché mi garba – e vedere di finirlo, per essere proprio sicura sicura sicura di essermi liberata per sempre di lui e del ricordo bruciante e opprimente che mi perseguita da mesi. Ho fatto colazione con le mani che mi tremavano. È un periodaccio pieno di timori, patemi e angosce, ci credo che passo le notti a contorcermi tra le lenzuola come un lombrico e la mattina mi sveglio più pesta e sfinita di prima. Il problema è che è veramente difficile abituarsi a questa vita improvvisamente priva di orari e di doveri, a questa vita tutt’a un tratto lenta, inutile, solitaria e sfilacciata. Io nei sogni cerco di accopparti, ma in fondo anche tu, zozzone di un dottor R., ci hai teso un’imboscata in un corridoio buio. Mangio dei biscotti pieni di burro e di gocce di cioccolato, hanno un effetto calmante, mi rallentano perfino il battito cardiaco e tengono lontane le extrasistoli diurne e notturne che per settimane mi hanno torturata al punto che in petto mi pareva di averci un vecchio orologio rotto, smanioso di saltare fuori. Sono ipercalorici, questi biscotti: e tu anche questa me la dovrai pagare. Ho preso una taglia in un mese e ci metto dieci minuti, la mattina, a risalire le scale che dalla camera da letto portano in cucina – sono solo venti gradini, ma m’ammazzano, costringendomi ad aggrapparmi al corrimano, passo dopo passo. 3
E pensare che qualche mese fa appena sveglia buttavo gi첫 le gambe e scattavo ottimisticamente incontro al nuovo giorno. Oggi non saprei proprio incontro a cosa scattare.
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Estratto da: Marina Morpurgo, Risorse disumane © 2012 astoria srl via Aristide De Togni 7 – 20123 Milano Prima edizione: agosto 2012 ISBN 978-88-96919-40-8 Progetto grafico: zevilhéritier Stampato nel mese di luglio 2012 da Galli e Thierry Stampa, Milano
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