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Era una di quelle giornate grigie in cui una pioggerella leggera ti vela il parabrezza e i rami degli alberi spogliati dall’inverno sgocciolano tristi, formando pozzanghere che sembrano un pianto per l’estate perduta. Agatha Raisin accese la ventola per disappannare il vetro dell’auto. Sentiva di avere dentro di sé un buco nero, il complemento perfetto per la cupezza della giornata. Era diretta all’agenzia di viaggi di Evesham, con un unico pensiero martellante in testa. Andare via… andare via… andare via. Sì, perché l’infelice Agatha si sentiva rifiutata. Aveva perso suo marito, che non le era stato portato via da un’altra donna, ma da Dio in persona. James Lacey era in Francia, in un monastero, e si stava preparando a prendere i voti. Sir Charles Fraith, che le era sempre stato amico, e le era stato vicino quando James era scomparso, si era appena sposato a Parigi, e non l’aveva neppure invitata al matrimonio. Era venuta a sapere delle nozze leggendo un trafiletto sulla rivista “Hello”. E c’era anche una fotografia di Charles con la sposa, una francesina minuta, snella, giovane, tale Anne-Marie Duchenne. Di pessimo umore, l’attempatella 1