Capitolo primo
1 Vista a livello degli occhi (per come la vedeva la piccola Martha sdraiata sulla pancia), la chiazza di erba sassosa del giardino sul retro del n. 5 di Alcock Road aveva tutto il fascino, il mistero e l’autorità di un classico paesaggio cinese. La lunga agrostide rigogliosa, con gli steli di un giallo pallido fitti come bambù, si inclinava con grazia al vento; in fondo a una pianura sabbiosa, ai piedi di una montagna sagomata come il cumulo di una talpa, massi ben proporzionati erano rivestiti da una bassa vegetazione di licheni. Di ogni cosa c’era solo la quantità giusta, e solo una nota marcata di colore: il rosso anagallide di un’azalea selvatica in fiore sotto i bambù. All’improvviso tutta la composizione mutò, e l’intero paesaggio svanì: con un balzo comparve in primo piano una tigre. Era disegnata su scala diversa, in realtà a grandezza naturale. Per un istante il tondo muso a strisce sfolgorò di cinese ferocia; poi il gatto riconobbe la bambina, e la bambina il gatto. Dalla casa, da una delle finestre con le tende rosa, una voce acuta e urgente chiamò: quella di Miss Diver. “Martha! Vieni a salutare Mr Gibson!” Martha si ricordò che era martedì; riluttante, si alzò e si spolverò il petto. Più precisamente, era il secondo martedì del giugno 1932: una data che si sarebbe rivelata importante. 1
2 Le signore di posizione sociale ambigua sono donne dal cuore d’oro per antonomasia, e Miss Diver non faceva eccezione; tuttavia un bambino in una famiglia non convenzionale è spesso motivo di imbarazzo. Era stato incredibilmente gentile da parte di Miss Diver salvare dall’orfanotrofio la figlia di suo fratello, per quanto non sorprendente; piuttosto, era sorprendente quanto funzionasse bene la sistemazione. Martha era arrivata quando aveva sei anni, e ora ne aveva nove: in quei tre anni la tranquilla armonia al n. 5 di Alcock Road aveva regnato indisturbata. Questo era dovuto in parte al buon carattere di Mr Gibson, ma soprattutto al fatto che nei contatti quotidiani tra zia e nipote c’era un meccanismo di tutela mai riconosciuto ma messo in atto fin da subito. Alla piccola Martha non era mai stato permesso di rivolgersi alla propria benefattrice chiamandola zia. All’orecchio di quest’ultima l’appellativo mancava di romanticismo; ed essendo il romanticismo l’essenza della vita di Miss Diver, aveva ordinato a Martha di chiamarla invece per nome; il felice, per quanto involontario, risultato era stato un cameratismo spiccio che non metteva sotto pressione le rispettive emozioni. Si doveva ancora al romanticismo di Miss Diver se le due non condividevano più lo stesso cognome, legalmente Hogg per entrambe. Il fratello di Miss Diver, padre di Martha, si chiamava Richard Hogg; Martha era quindi Martha Hogg: ma, già ai tempi in cui vendeva abbigliamento da uomo, Miss Diver si sentiva così profondamente non-Hogg, per così dire, di fatto operando sotto falso nome, che nell’interesse della verità (o quantomeno della verosimiglianza) l’aveva cambiato in Diver. Oltre a commemorare la sua scrittrice preferita, eufonicamente ben si accordava alla sua iniziale, la D, che stava per Dolores, anch’esso una variazione di Dorothy, perché Miss Diver era di stampo spagnolo. “Chiamami Dolores,” l’aveva istruita Miss Diver quando ancora erano in taxi dirette a casa dopo il funerale di Richard Hogg. 2
Non aveva mai visto la bambina fino a un’ora prima; non era mai stata nella pensione di Brixton nel cui squallido salotto si era tenuta la veglia funebre scarsamente frequentata. Una decina di ex colleghi delle poste di Richard Hogg le aveva osservate curiosa; quell’incontro tra le due parenti più strette colpite dal lutto conferiva un tocco di drammaticità, altrimenti vistosamente assente, qualcosa di cui parlare in seguito. (Come avrebbe detto il dottor Johnson, non era un funerale a cui invitare un uomo: una sola bottiglia di sherry e tramezzini con pasta di pesce. Richard Hogg, assieme alla figlia orfana di madre, viveva in Hasty Street da più di due anni; del resto un’affittacamere non fa mai questo genere di cose volentieri quanto un parente, nonostante il Burial Club fosse già pagato e lei avesse in tasca l’affitto della settimana seguente.) Era naturale che l’interesse si concentrasse su Miss Diver, in parte perché il fratello non l’aveva mai neppure nominata, in parte per il suo aspetto. Malgrado fosse l’unica tra i presenti a vestire il lutto – Martha aveva una semplice fascia da lutto al braccio –, in qualche modo la totale nerezza di Dolores riusciva a produrre un effetto più luminoso che non le tinte neutre di tutti gli altri. Lei era nera corvino, loro semplicemente scuri. Sotto la veletta, i neri capelli spagnoli brillavano. La pelliccia era di volpe nera. Le scarpette erano di vernice nera. Per parte sua, Dolores si sentiva un uccello del paradiso in mezzo ai corvi… Si sentiva anche un angelo della carità; così portò a casa con sé la piccola Martha, in ossequio a una legge non tacita, bensì scritta fino all’eccesso in ogni romanzo sentimentale dell’epoca, il 1929. “Chiamami Dolores,” l’aveva istruita Miss Diver a bordo del taxi che le portava via. La piccola Martha, sei anni, aveva un’aria placidamente collaborativa. Nell’insieme era una bambina grassa e dall’aria tranquilla. La faccia squadrata, pallida sotto la frangia biondorossiccia, non sembrava devastata da un dolore insopportabile, e gli occhi grigi piuttosto piccoli, sotto le sopracciglia appena tracciate, non erano rossi per il pianto. Il fagotto di vestiti ai suoi 3
piedi – l’ultimo legame con il passato – l’aveva usato semplicemente per appoggiarci i piedi, per mettere comode le gambette corte. A piangere era stata Miss Diver, trentasette anni.
3 La sistemazione funzionò meglio di quanto chiunque si sarebbe aspettato. In realtà in Hasty Street attesero per parecchi giorni la restituzione di Martha con armi e bagagli. “Ne ho già conosciuti di tipi come lei,” aveva dichiarato arcigna la padrona di casa riferendosi a Miss Diver. “Prendi una cosa e danne un’altra! Vedrete: se non verrà a noia a lei verrà a noia a qualcun altro.” Il maligno pronostico si rivelò inesatto. Mr Gibson, colui che sovvenzionava la casa con le tende rosa, accettò Martha senza obiettare. Aveva temuto spesso che la sua Dolores potesse sentirsi sola, e confidava in lei affinché la bambina non diventasse una scocciatura. Com’era inevitabile, Miss Diver attraversò un breve periodo di sentimentalismo, durante il quale faceva sedere Martha su uno sgabello a tre gambe e le procurava una scatola di perline da infilare; fortunatamente, però, se c’era una cosa che Mr Gibson detestava era mettere il piede su una perlina. Non arrivò al punto di inveire contro Martha, ma lo sforzo di trattenersi fu evidente; così a Dolores fu risparmiato il dover insistere su quello che avrebbe potuto rivelarsi un esperimento disastroso. Lei stessa si sentiva un filo delusa. Tutti i bambini sotto gli otto anni hanno un certo fascino, come tutti i cuccioli di animali, ma la piccola Martha ne aveva meno della gran parte di essi. Non se ne stava appollaiata sullo sgabello, ma ci si accasciava sopra. Quando non le faceva cadere, le perline le si attaccavano alle dita grassocce, e perdeva continuamente l’ago. Il quadretto che si era prefigurata Miss Diver era ben diverso. Ed era grata di non avere cominciato con le bolle di sapone: solo il cielo sapeva cosa sarebbe stata capace di combinare la piccola Martha con una bacinella di acqua saponata… 4
Dopo quei primi tentativi maldestri, tuttavia, Miss Diver se la cavò molto bene. Capì immediatamente che, se la bambina era inaccettabile come presenza fissa, lo sarebbe stata ancor meno – come si poteva dire? – se sfuggiva qua e là. Ragion per cui Martha fu scoraggiata sopra ogni altra cosa dallo sfuggire qua e là; d’altro canto non si poteva sfuggire alla situazione. Quando Mr Gibson arrivava, Miss Diver la chiamava affinché venisse a salutarlo e a stringergli la mano; così facendo non solo evitava la seccante finzione che la piccola non ci fosse, ma dava anche a lei il segnale di eclissarsi. Martha imparò alla svelta. A lei non dispiaceva. La solitudine si confaceva al suo temperamento. Se il tempo era abbastanza bello si eclissava in giardino. Non era affatto un bel giardino; il praticello era infestato dalle erbacce, e gli unici fiori erano nasturzi. Tra l’erba selvatica, tuttavia, Martha scopriva affascinanti paesaggi, anche dopo la pioggia o una pesante rugiada, di quella che si poteva prelevare con un cucchiaino dalle foglie tonde dei nasturzi, interi portauovo colmi di liquido dal probabile effetto medicamentoso. Se era costretta in casa, una soffitta adibita a camera da letto le offriva anch’essa delizie speciali: un affresco di conigli (eredità dell’entusiasmo iniziale di Miss Diver), una finestra affacciata sulla strada, un intero anno di numeri arretrati del “Tatler”… Per il godimento epicureo di questi ultimi, Martha spesso si infilava a letto, soprattutto in inverno, dopo avere preso il tè; a portata di mano, sullo storico sgabello a tre gambe, una cena di latte e ciambelle. A Brixton aveva dormito su un’ottomana ai piedi del letto della padrona di casa. Ma Battleaxe (l’unico nome con cui la conosceva Martha) russava rumorosamente. I suoi ronfi semiarticolati e vagamente minacciosi erano motivo di equivalente disgusto e allarme, così come la dentiera nel boccale di birra sul comodino. Qualunque stanza tutta per sé avrebbe reso felice Martha, persino senza i numeri del “Tatler”. La solitudine le si confaceva. Non aveva altri bambini con cui giocare, né li desiderava. Non andava a scuola. La cosa a 5
volte preoccupava Dolores, ma non Martha. Non c’erano ispettori scolastici che la spiassero, e Dolores continuava a rimandare la questione, riluttante a chiedere a Mr Gibson i soldi per le tasse scolastiche, riluttante ad affrontare la burocrazia locale. Martha scivolava attraverso le maglie della rete del sistema scolastico come un salmone di piccole dimensioni scivola attraverso la rete a strascico. Aveva imparato a leggere e a scrivere: almeno in quello Dolores era riuscita. Per il resto, la mente di Martha era meravigliosamente sgravata da ogni peso, con tutto il tempo a disposizione per osservare le cose. Per tre anni, in effetti, la piccola Martha era stata totalmente felice. Qualunque cosa il suo temperamento facesse presagire, aveva avuto libero sfogo. Riguardo al passato non aveva rimpianti. Non riusciva a ricordare la madre, e al padre non era mai stata attaccata. Dolores non interferiva. Mr Gibson, visto come una sorta di divinità da placare, si inseriva perfettamente nel pantheon della bambina; e che lo si potesse placare così facilmente, semplicemente mediante la propria assenza, era una vera fortuna. Ma Martha era fortunata in genere. Finora non è stata descritta neppure la metà dei suoi piaceri solitari; per lei, osservare una tigre trasformarsi in un gatto era un’inezia. Si spolverò il petto, e con la sua andatura goffa si diresse in casa.
4 “Come sta, Mr Gibson?” chiese Martha educatamente. Non poté dargli la mano perché Mr Gibson, intento a versarsi un whisky e soda, era girato di schiena; la sua risposta fu un brusco movimento del capo. Martha guardò Miss Diver con aria interrogativa. Evidentemente quest’ultima si sentiva particolarmente spagnola, particolarmente Dolores; infilato nei capelli aveva un lungo pettine di tartaruga, e attorno alle spalle uno scialle con un ricamo di peonie; e che fosse reclinata sul divano 6
di similpelle non rovinava per nulla l’effetto generale, quantomeno agli occhi di Martha. La similpelle era di un bel marrone carico, contro il quale i colori accesi dello scialle brillavano come caramelle incartate delle migliori marche; la forma bombata dei cuscini metteva in risalto l’esilità del collo e degli avambracci di Miss Diver. Non era come il quadro creato dall’erba rada, ma altrettanto appagante… Miss Diver si mosse. Martha, tornata attenta alle necessità sociali del momento, mise di nuovo a fuoco lo sguardo interrogativo. Era ansiosa di tornare in giardino. Eppure il cenno di Dolores non fu, come sempre, di allontanamento; le ordinava di rimanere. Quanto a Mr Gibson, pur essendosi ormai versato whisky e soda nelle quantità desiderate, non diceva quello che le diceva sempre. (“Ehi, Martha! Dov’è Maria?” “Nella Bibbia,” rispondeva immancabilmente Martha. “Il posto che le compete,” ribatteva immancabilmente Mr Gibson.) Ora invece non lo disse. C’era qualcosa di diverso, e dunque di sbagliato. D’istinto, Martha si guardò attorno nella stanza in cerca di rassicurazione. Era quasi totalmente in stile liberty, tranne il divano e le grosse poltrone. Queste si trovavano lì per far stare comodo Mr Gibson dopo una dura giornata di lavoro nel settore delle pellicce; Miss Diver aveva fatto del suo meglio per impreziosirle con dei cuscini neri, sicché anch’esse avevano un’aria leggermente liberty. A Martha i cuscini piacevano immensamente, così come le piaceva immensamente lo splendido galeone di vetro colorato che navigava sui vetri superiori del bovindo, e la coppa di frutta di vetro che si illuminava dall’interno. Anzi, l’intera stanza era uno scrigno di meraviglie. Dentro una vetrinetta nera e oro, per esempio, era immortalata in un agile balzo una famiglia di ermellini imbalsamati. Il tavolino su cui Dolores teneva le sigarette aveva intarsi di madreperla. Sopra di esso stava inginocchiato un pierrot di porcellana che reggeva il posacenere, e al fianco la compagna pierrette con i fiammiferi. Era forse possibile 7
offrire qualcosa di più allo sguardo? Sì. Il pezzo più bello era una dama in un’armatura di bronzo, una figura alta una cinquantina di centimetri con il viso e le braccia di avorio e il bronzo qua e là dorato, perfetta icona di lusso e raffinatezza proveniente dalla Burlington Arcade. Era ancora al suo posto. Ogni cosa era al suo posto, come sempre. Ma Mr Gibson non aveva chiesto: “Dov’è Maria?”. Martha spostò lo sguardo di nuovo su Miss Diver in cerca di quella rassicurazione che la stanza non era riuscita a darle. “Mr Gibson è venuto a dirci addio,” annunciò Miss Diver a voce bassa.
5 Il primo pensiero di Martha fu che ora più che mai era il momento adatto per una stretta di mano. Lo ammise senza problemi: Dolores aveva ragione a non lasciarla andare prima che la cerimonia fosse stata compiuta. Ma quello che la indispettiva era la mancanza di collaborazione da parte di Mr Gibson. Se ne stava rivolto di spalle e inghiottiva rumorosamente; e se stava inghiottendo ancora il suo whisky e soda, secondo Martha lo faceva deliberatamente per farlo durare. “Addio,” disse Martha, scandendo bene. Mr Gibson sobbalzò; e finalmente si voltò. (Come Martha aveva sospettato, il bicchiere che teneva in mano era vuoto.) Con lei l’uomo aveva sempre ostentato una sorta di simulata giocosità, ora più marcata che mai, anzi addirittura deprecabile, date le circostanze, in un uomo di cinquant’anni, grosso e con la tendenza alla calvizie. “Alla prossima, parlez-vous, good-byee,” declamò Mr Gibson. “Harry!” esclamò Miss Diver. “Era quello che dicevamo ai tempi della Grande Guerra,” spiegò Mr Gibson incontenibile. “Addio vecchio mio, ciao, cincin…” “Harry!” 8
Mr Gibson riuscì a fermarsi. Sembrava di vedere una vecchia auto, o una vecchia locomotiva a vapore, rispondere finalmente al comando dei freni. Allungò una mano verso Martha, o forse stava semplicemente gesticolando. In ogni caso, Martha l’afferrò. “Non dici a Mr Gibson che ti dispiace?” la imbeccò Miss Diver in tono di rimprovero. In effetti a Martha dispiaceva. Ma non per una qualche preoccupazione circa il futuro, che poteva essere giustificata. Nel dare l’addio a Mr Gibson si sentiva preoccupata solo perché era abituata a lui. Ma soprattutto provava imbarazzo. Per la prima volta percepì, tra quei due adulti, un’emozione forte quanto la propria nei confronti della dama di bronzo (o degli ermellini, o del pierrot). Il capo di Dolores ricadeva sulla similpelle come un nasturzio con il gambo spezzato. La corporatura massiccia di Mr Gibson stava eretta come può stare eretta una pianta di pomodoro legata a un sostegno. Facendo correre lo sguardo dall’uno all’altra, Martha riconobbe, per quanto indistintamente, una sofferenza in cui non voleva essere trascinata. Forte più che mai avvertì l’impulso di sparire, e ben più lontano che non in giardino. “Mi dispiace. Posso andare a vedere i negozi?” chiese Martha. “Vai pure dove vuoi,” rispose Dolores tirando su con il naso e cominciando a piangere. In un batter d’occhio Martha era già fuori casa.
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Estratto da Margery Sharp, Gli occhi dell’amore Titolo originale dell’opera The Eye of Love Traduzione dall’inglese di Simona Garavelli © Margery Sharp 1957 © 2014 astoria srl corso C. Colombo 11 – 20144 Milano Prima edizione: marzo 2014 ISBN 978-88-96919-80-4 Progetto grafico: zevilhéritier
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