1 Sua Grazia il duca di Avon compra un’anima
Un gentiluomo percorreva passo passo una stradina laterale di Parigi, di ritorno dalla casa di Madame de Verchoureux. Camminava in modo molto affettato per via degli alti tacchi rossi degli scarpini. Un tabarro color porpora, bordato di rosa, gettato sulle spalle, si apriva con elegante noncuranza rivelando una lunga casacca di raso scarlatto riccamente adorna di trine d’oro, un gilè di seta a fiori, impeccabili pantaloni al ginocchio e una profusione di gioielli sulla cravatta e sulla casacca. Sulla parrucca incipriata aveva un tricorno e in mano un bastone ornato di nastri, protezione insufficiente contro le aggressioni notturne; né d’altro canto gli sarebbe stato facile impadronirsi dello spadino che recava al fianco, la cui elsa si perdeva nelle pieghe del tabarro. Camminare senza scorta sfoggiando gioielli a quell’ora tarda e in quella strada deserta era di una temerarietà folle, ma il gentiluomo pareva inconsapevole della propria avventatezza. Procedeva languidamente per la sua strada, senza guardarsi attorno, apparentemente incurante di un possibile pericolo. E tuttavia, mentre percorreva la strada, giocherellando oziosamente con il bastone, una figura umana gli si scagliò contro, catapultata come una palla di cannone da un oscuro viale che si apriva sulla destra di quel superbo gentiluomo; si aggrappò all’elegante tabarro di lui, diede in un grido di terrore e cercò di riprendere l’equilibrio. 1
Sua Grazia il duca di Avon scartò rapidamente e con eleganza, attanagliò i polsi del suo assalitore e li tenne saldamente fermi con una forza spietata che il suo aspetto fatuo sembrava smentire. La vittima ebbe un gemito di dolore e, tremante, crollò in ginocchio. “M’sieur! Lasciatemi andare! Non volevo… non sapevo… non avrei mai… M’sieur, lasciatemi andare!” Sua Grazia si chinò sul ragazzo, tenendosi leggermente di lato, così che la luce proveniente da un fanale illuminò quel viso pallido e atterrito. Grandi e profondi occhi violetti, sbarrati dal panico, lo fissarono smarriti. “Non esito a dire che mi sembri un po’ giovane per questo genere… di occupazione,” osservò pigramente il duca. “O pensavi forse di cogliermi alla sprovvista?” Il ragazzo arrossì di sdegno e gli occhi gli si incupirono. “Non volevo derubarvi! Non volevo, non volevo farlo! Stavo… stavo solo fuggendo. Io… oh, vi prego, lasciatemi andare!” “A suo tempo, ragazzo mio. E posso chiedere da cosa stavi fuggendo? Da un’altra vittima?” “No! Vi prego, lasciatemi andare! Non potete capire voi! Lui mi starà già inseguendo! Vi prego, vi supplico, Milor’!” Gli occhi del duca, curiosi, ombreggiati da pesanti palpebre, non avevano mai abbandonato il viso del ragazzo, ma ora si fecero più attenti, più penetranti. “Chi è questo lui, bambino mio?” “Mio… mio fratello. Vi prego…” Un uomo veniva di gran corsa dal viale ma scorgendo Sua Grazia si arrestò di colpo; il ragazzo rabbrividì e si afferrò al braccio del duca. “Ah, eccoti,” esplose il nuovo venuto. “Se questo moccioso ha cercato di derubarvi, Milor’, la pagherà. Furfante, marmocchio irriconoscente, te ne pentirai, te lo garantisco! E quanto a voi, Milor’, mille scuse! Il ragazzino è mio fratello; lo stavo picchiando per punirlo della sua pigrizia, quando mi è sfuggito di mano…” Il duca si portò alle narici un fazzoletto profumato. 2
“Tenetevi a distanza, amico,” disse con alterigia. “Indubbiamente, picchiare i giovani è un ottimo sistema.” Il ragazzo gli si fece più vicino; non cercava di fuggire, ma le mani gli tremavano convulsamente. Gli strani occhi del duca si attardarono ancora una volta su di lui, soffermandosi appena sui corti e arruffati riccioli color rame. “Come stavo dicendo, picchiare i giovani è un ottimo sistema. Vostro fratello, avete detto?” e prese a fissare quel giovanotto bruno, dai lineamenti rozzi. “Sì, nobile signore, mio fratello. Mi sono preso cura di lui da quando sono morti i nostri genitori e mi ha sempre ripagato con l’ingratitudine. È una maledizione, monsignore, una maledizione!” Il duca parve riflettere. “Che età ha?” “Diciannove anni, Milor’.” Il duca osservò il ragazzo. “Diciannove… non è piccolo per la sua età?” “Ma, Milor’, se… se lo è non è colpa mia! Io… l’ho sempre nutrito bene; non badate a quello che dice, vi prego! È una vipera, un gatto selvatico, una vera maledizione!” “Vi libererò di questa maledizione,” concluse con calma Sua Grazia. L’uomo lo fissava, senza capire. “Milor’?” “È in vendita, suppongo?” Una mano gelida prese furtiva la mano del duca, e la strinse. “In vendita, Milor’? Voi…” “Penso che lo acquisterò per farne il mio paggio. Quanto può valere? Un luigi? O le maledizioni non valgono nulla? Ecco un problema interessante.” Uno scintillio di astuta avidità accese improvvisamente lo sguardo dell’uomo. “È un bravo ragazzo, monsignore, e lavora bene. Poi, mi è molto utile e… e caro. Davvero io…” “Pagherò una ghinea per la vostra maledizione.” 3
“Oh, no, Milor’, vale molto di più! Molto, molto di più!” “Quando è così, tenetelo,” concluse il duca e fece per allontanarsi. Ma il ragazzo lo rincorse appendendosi al suo braccio. “Milor’, prendetemi con voi, vi supplico, prendetemi! Lavorerò bene, lo giuro! Oh, vi supplico, prendetemi!” Sua Grazia si arrestò. “Mi chiedo se sono un pazzo,” mormorò in inglese; si tolse dalla cravatta la spilla di diamanti e la tenne in modo tale da farla splendere e scintillare alla luce del fanale. “Allora, amico? È sufficiente, questa?” L’uomo guardò di sottecchi il gioiello quasi non credesse ai suoi occhi. Se li strofinò, si avvicinò sempre di più, fissando spasmodicamente la spilla. “Al prezzo di questa, io acquisto vostro fratello, anima e corpo. Siete d’accordo?” “Datemi!” sussurrò l’uomo e tese la mano. “Il ragazzo è vostro, Milor’.” Il duca gli gettò la spilla. “Vi ho già pregato, mi pare, di tenervi a distanza. Siete un insulto per il mio odorato. Vieni con me, ragazzo,” e proseguì tranquillo lungo la strada, mentre il ragazzo lo seguiva a rispettosa distanza. Giunsero infine in rue Saint-Honoré e alla casa del duca. Avon entrò senza mai volgere lo sguardo per controllare se il suo nuovo acquisto lo seguisse o meno, e, attraversato il cortile, varcò il portone bugnato. Lo accolsero i lacchè, inchinandosi profondamente e guardando con sorpresa la figuretta cenciosa che camminava nella sua scia. Il duca lasciò scivolare il tabarro e tese il cappello a un valletto. “Il signor Davenant?” chiese. “Nella biblioteca, Vostra Grazia.” Avon si mosse pigramente verso la porta della biblioteca attraversando il grande atrio; la porta si aprì davanti a lui, ed egli entrò, facendo cenno al ragazzo che lo seguisse. 4
Hugh Davenant sedeva di fronte al caminetto leggendo un libro di poesie. Levò lo sguardo all’ingresso del suo anfitrione, e sorrise. “Allora, Justin?” poi vide il ragazzo timidamente ritto accanto alla porta. “In fede mia, che cos’è quello?” “Hai tutti i diritti di chiederlo,” si avvicinò al caminetto e tese verso la fiamma un piede elegantemente calzato. “Un capriccio. Questo sudicio e malnutrito esemplare umano mi appartiene.” Il duca aveva parlato in inglese, ma il ragazzo era evidentemente in grado di comprendere, perché arrossì e abbassò il capo ricciuto. “Ti appartiene?” Davenant guardò lui, poi il ragazzo. “Che cosa intendi, Alastair? Certo non… non vorrai dire… tuo figlio?” “No!” Sua Grazia si degnò di sorridere. “No, non è per questa volta, caro Hugh. Ho comprato questo gatto randagio pagandolo un diamante.” “Ma, ma perché mai, in nome del cielo?” “Non ne ho alcuna idea,” rispose tranquillamente il duca. “Avvicinati, marmocchio.” Il ragazzo si fece avanti timidamente e lasciò che Justin gli volgesse il capo verso la luce. “Un ragazzo grazioso,” osservò il duca. “Ne farò il mio paggio. È terribilmente gradevole possedere un paggio, anima e corpo.” Davenant si alzò e prese tra le sue la mano del ragazzo. “Penso che presto o tardi finirai per spiegarmi la cosa. Ma ora, perché non dare del cibo a questa povera creatura?” “Sempre così pratico,” sospirò il duca, e si volse verso la tavola dove era stata preparata per lui una cena fredda. “Meraviglioso. Quasi tu sapessi che avrei condotto un ospite. Puoi servirti, marmocchio.” Il ragazzo gli rivolse uno sguardo incerto. “Vi prego, Milor’, posso aspettare. Non vorrei mangiare la vostra cena; preferirei aspettare, se… se permettete.” “No, non permetto, ragazzo. Vai a cenare,” e mentre parlava sedette giocherellando con l’occhialino. Dopo un attimo di esita5
zione il ragazzo si avvicinò al tavolo e attese che Hugh gli tagliasse una coscia di pollo. Quindi, avendolo accontentato, Davenant tornò accanto al caminetto. “Sei pazzo, Justin?” chiese, accennando un sorriso. “No, direi di no.” “Allora perché hai agito così? Che cosa puoi volere, proprio tu, da un ragazzo di quella età?” “Pensavo potesse essere divertente. Come indubbiamente sai, soffro di noia. Louise mi stanca, e questo,” accennò con la pallida mano verso quel ragazzo affamato, “costituisce una distrazione mandata dal cielo.” Davenant lo guardò stupito. “Non penserai di adottarlo?” “Direi, direi che è stato… lui ad adottare me.” “Lo tratterai come un figlio?” insistette in tono incredulo Davenant. Il duca inarcò le sopracciglia, con sussiego e una certa arroganza: “Mio caro Hugh! Un ragazzo di strada! Lo tratterò come un paggio”. “E in che modo questo potrà interessarti?” Justin sorrise e il suo sguardo si spostò sul ragazzo. “In che modo, davvero?” ripeté a bassa voce. “Hai un motivo particolare?” “Come hai osservato con profonda saggezza, mio caro Hugh, ho un motivo particolare.” Davenant alzò le spalle e lasciò cadere l’argomento. Rimase silenzioso a fissare il ragazzo che ora, finito il pasto, si era avvicinato al duca. “Con il vostro permesso, signore, ho finito.” Avon lo guardò attraverso l’occhialino. “Davvero?” osservò. Improvvisamente il ragazzo si inginocchiò e con grande stupore di Davenant baciò la mano al duca. “Sì signore; vi ringrazio.” Avon si liberò della stretta del ragazzo, ma questi rimase in 6
ginocchio, con uno sguardo umile levato verso il bel viso del duca. Avon annusò una presa di tabacco. “Mio caro e onorato ragazzo, l’uomo che faresti meglio a ringraziare è seduto là,” accennò con la mano a Davenant. “Io non avrei mai pensato a nutrirti.” “Ma io… vi ringrazio per avermi salvato da Jean, Milor’.” “Ti aspetta una sorte peggiore,” osservò sardonicamente il duca. “Ora appartieni a me, anima e corpo.” “Sì, signore. Col vostro permesso,” mormorò il ragazzo lanciando un rapido sguardo di ammirazione di sotto le lunghe ciglia. Le labbra sottili del duca si incresparono appena. “Sembra che la prospettiva sia allettante…” “Sì signore, mi… piacerebbe molto servirvi.” “Già, ma non mi conosci affatto,” replicò Justin con una risatina appena percettibile. “Sono un padrone inumano, non è così, Hugh?” “Non sei l’uomo adatto a prenderti cura di un ragazzo della sua età,” rispose pacatamente Hugh. “Verissimo, assolutamente vero. Forse dovrei darlo a te?” Una mano tremante gli toccò l’ampio polsino: “Vi prego, signore…”. Justin guardò il suo amico. “Non credo che lo farò, Hugh. È così eccitante, e così… così nuovo essere un santo completo di aureola agli occhi della… della – implume? – innocenza. Terrò il ragazzo fino a quando continuerà a distrarmi. Come ti chiami, ragazzo mio?” “Léon, signore.” “Deliziosamente breve!” un sottile, quasi inavvertibile accenno di sarcasmo era sempre presente nella voce morbida del duca. “Léon, niente di più e niente di meno. Il problema è – Hugh avrà indubbiamente la risposta pronta – che cosa fare adesso di Léon.” “Metterlo a letto,” rispose Davenant. “Naturalmente. E che cosa diresti di… un bagno?” “Assolutamente sì.” 7
“Ah sì!” sospirò il duca e agitò un campanello. Rispondendo al richiamo entrò un valletto, che si inchinò profondamente. “Vostra Grazia desidera?” “Mandami Walker.” Il valletto si allontanò e il suo posto venne preso da un uomo dai capelli grigi, d’aspetto lindo, cerimonioso e ordinato. “Walker! Dovevo dirti qualcosa. Ah, sì, ora ricordo. Walker, vedi questo ragazzo?” Walker guardò il ragazzo inginocchiato. “Certo che sì, Vostra Grazia.” “Lo vede. Meraviglioso,” mormorò il duca. “Vedi Walker, si chiama Léon. Cerca se puoi di ricordarlo.” “Senza dubbio, Vostra Grazia.” “Ha bisogno di molte cose, ma prima di tutto di un bagno.” “Certo che sì, Vostra Grazia.” “Quindi, un letto.” “Sì, Vostra Grazia.” “Poi, una camicia da notte.” “Sì, Vostra Grazia.” “E per finire, un corredo di abiti. Neri.” “Neri, Vostra Grazia.” “Di un nero severo e funereo, adatto a un mio paggio. Penserai tu a procurarli, e senza alcun dubbio sarai all’altezza di tale compito. Ora accompagna il ragazzo e mostragli il bagno, il letto e la camicia da notte. Poi, lascialo solo.” “Benissimo, Vostra Grazia.” “Quanto a te, Léon, alzati e segui il degno Walker. Ti rivedrò domani.” Léon si levò in piedi, poi si inchinò: “Sì, Monseigneur, vi ringrazio”. Il duca assunse un’espressione di noia estrema: “Non ringraziarmi ancora, ti prego, mi stanca”. Dopo aver seguito con lo sguardo Léon che lasciava la stanza, si volse a esaminare Davenant. Hugh, di rimando, lo fissò con aperta attenzione. 8
“Che cosa significa tutto questo, Alastair?” Il duca accavallò le gambe, lasciando ciondolare con negligenza un piede. “Che cosa infatti?” commentò affabilmente. “Pensavo saresti stato in grado di dirmelo, sei sempre così onnisciente, mio caro.” “Senza alcun dubbio un intrigo che hai in mente,” non vi erano incertezze nella voce di Davenant. “Ti conosco da troppo tempo per non esserne certo. Ma che cosa vuoi dal ragazzo?” “Qualche volta sei estremamente importuno,” si lamentò il duca, “e soprattutto quando fai sfoggio della tua virtuosa severità; ti prego di risparmiarmi un sermone.” “Non ho alcuna intenzione di tenerti un discorso di morale; mi limiterò a farti osservare che non ti è possibile tenere quel ragazzo come paggio.” “Povero me!” Justin si mise a contemplare pensosamente il fuoco. “Prima di tutto è di nascita nobile, lo si vede dal modo di parlare, dalla delicatezza delle mani e del viso. In secondo luogo… in secondo luogo la sua innocenza rifulge nei suoi occhi.” “Spaventosamente doloroso!” “Sarebbe spaventosamente doloroso, se egli perdesse tale innocenza… a causa tua,” e una nota di aggressiva severità apparve nella voce sognante di Hugh. “Sempre così garbato,” mormorò il duca. “Se desideri fargli del bene…” “Mio caro Hugh! Mi sembra tu abbia detto di conoscermi…” Davenant sorrise. “Non acconsentiresti, per usarmi un favore personale, a darmi Léon, cercandoti un paggio altrove?” “Mi duole sempre molto deluderti, Hugh, e in tutte le occasioni possibili desidero essere all’altezza delle tue aspettative. Quindi, terrò io Léon. L’Innocenza seguirà il Male avvolta in un severo abito nero.” “Ma perché lo vuoi? Dimmi almeno questo.” Justin rispose in tono distaccato: “Ha i capelli color tiziano, 9
e i capelli color tiziano sono sempre stati una delle mie passioni dominanti,” per un attimo gli occhi nocciola scintillarono, ma si velarono subito di un’elegante noia: “Sono certo che mi capirai”. Hugh si alzò, si accostò al tavolo, si versò un bicchiere di borgogna e restò a sorseggiarlo in silenzio. “Dove sei stato questa sera?” chiese dopo una lunga pausa. “Non ricordo. Penso di essere stato prima da De Touronne. Sì, ora ricordo, ho vinto. Strano, davvero.” “Perché strano?” Justin spolverò via del tabacco dall’ampio pizzo dei polsini. “Perché, Hugh, nei giorni, non molto lontani, quando era – direi quasi – opinione comune che la nobile casata degli Alastair fosse sull’orlo della rovina… sì Hugh, proprio quando ero tanto stolto da pensare a un matrimonio con… l’attuale lady Merivale, allora riuscivo soltanto a perdere.” “Ti ho visto vincere migliaia di sterline in una sera, Justin.” “E perderle la sera seguente. Poi, se ricordi, partii con te… ah, ma dove andammo? A Roma! Naturalmente!” “Ricordo.” Le labbra sottili del duca accennarono un sorriso sardonico. “Sì. Io ero, ero l’innamorato respinto, dal cuore spezzato, e avrei dovuto, secondo le buone regole, farmi saltare le cervella. Ma avevo superato l’età dei drammi, così, a tempo debito, proseguii per Vienna. E vinsi. Mio caro Hugh, la ricompensa del vizio.” Davenant fece oscillare il bicchiere, osservando il riflesso della candela sul rosso cupo del vino. “Ho sentito,” disse lentamente, “che l’uomo a cui tu hai vinto quella fortuna… un uomo giovane, Justin…” “… e irreprensibile.” “Infatti. Quel giovane, così ho sentito dire, se le fece saltare, lui, le cervella.” “Sei stato male informato: fu ucciso in duello. La ricompensa della virtù. Abbiamo sottolineato a sufficienza la morale della storia?” “E sei venuto a Parigi con una fortuna.” 10
“Con una discreta fortuna, e ho comprato questa casa.” “Sì, mi chiedo come tu possa conciliare tutto questo con la tua anima.” “Non ho un’anima, Hugh, pensavo lo sapessi.” “Quando Jennifer Beauchamp sposò Anthony Merivale, avevi qualcosa che era molto simile a un’anima.” “Sì?” Justin lo fissò divertito e Hugh sostenne il suo sguardo. “Sì, e mi chiedo che cosa sia adesso per te Jennifer Beauchamp.” Il duca sollevò la bella mano bianca. “Jennifer Merivale, Hugh. È il ricordo di uno scacco, e di un attimo di follia.” “Eppure non sei più stato te stesso da allora.” Justin si alzò e l’ironia del suo sorriso era ora accentuata. “Ho detto mezz’ora fa, mio caro Hugh, che era mia premura non deludere mai le tue aspettative. Tre anni fa – esattamente quando seppi da mia sorella Fanny del matrimonio di Jennifer – tu dicesti, con la tua semplicità abituale, che, per quanto non avesse accettato la mia corte, Jennifer mi aveva cotto a puntino. Voilà tout.” “No,” Hugh lo fissò con attenzione, come riflettendo. “Avevo torto, ma…” “Ti prego, non distruggere la mia fiducia in te!” “Avevo torto, ma non completamente; avrei dovuto dire che Jennifer aveva spianato la strada perché un’altra donna potesse cuocerti a puntino.” Justin chiuse gli occhi. “Quando diventi profondo, Hugh, mi costringi a rimpiangere il giorno in cui ti ho accolto nella ristretta cerchia dei miei amici.” “Ne hai molti, non è vero?” replicò Hugh, arrossendo dalla collera. Justin si avviò alla porta: “Parfaitement. Dove vi è denaro, vi sono amici”. Davenant posò il bicchiere. “È un insulto?” chiese con studiata calma. 11
Il duca si fermò, la mano già sulla maniglia. “Strano a dirsi, no. Ma ti prego assolutamente di sfidarmi.” Hugh non poté fare a meno di ridere: “Vai a letto, vai, Justin, sei impossibile!”. “Me lo hai detto spesso; buona notte,” uscì dalla stanza, ma prima che chiudesse la porta, lo colse il ricordo di qualcosa e si volse indietro, sorridendo: “À propos, Hugh, ho un’anima, ha appena fatto un bagno e ora dorme”. “Che Dio l’aiuti!” commentò con profonda serietà Davenant. “Non conosco bene la mia battuta: devo dire amen o sparire bestemmiando?” Negli occhi gli rideva un sorriso ironico, ma non crudele. Non attese la risposta, chiuse la porta e si avviò lentamente.
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Estratto da Georgette Heyer, La pedina scambiata Titolo dell’opera originale These Old Shades Traduzione dall’inglese di Anna Luisa Zazo © Georgette Heyer 1926 © 2012 astoria srl via Aristide De Togni 7 – 20123 Milano Prima edizione: novembre 2012 ISBN 978-88-96919-46-0
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