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Helena andò al treno da Londra portando con sé Sophy, che sembrava più silenziosa del solito. Sophy era piccola, dieci anni, con qualcosa di orientale nell’aspetto, non quello che Richard avrebbe definito “sangue misto”, ma orientale. Gli zigomi potevano essere slavi, ma non gli occhi. Helena sperava che sarebbe migliorata. Non aveva mai indagato a fondo su cosa avesse combinato la sorellastra di Richard e con chi o dove. Il treno da Londra si snodò dentro Penzance. Calypso, Walter e Polly ne saltarono giù con entusiasmo, baciarono Helena, abbracciarono Sophy, il tutto gridando: “Bene, bene, come state? Non è bello? Non è magnifico? Che aria, dopo Londra! Prendiamo le valigie, troviamo un facchino. Dov’è l’auto? Come sta zio Richard? Come va la sua gamba?”. La loro sollecitudine sembrava sempre rivolta all’arto artificiale che, in effetti, si guastava più spesso di quello autentico. Calypso era mozzafiato. Ancora una volta, Helena ne fu sorpresa. A diciannove anni era ancora alta e smilza. Le labbra e le unghie orribilmente rosse e l’eccesso di cipria sul viso non riuscivano a rovinare la sua bellezza. Walter, diciotto anni, si era irrobustito. Era la versione bruna di suo padre e suo zio, eccetto per il naso che si era rotto da piccolo. Polly, invece, aveva preso da sua madre, con quella mascella quadrata e i sorprendenti occhi verdi dalle lunghe ciglia. I denti, leggermente fuori squadra, come una ballerina di fila fuori posto, davano al suo sorriso una particolare allegria. A diciannove anni, era già una bellezza. 1