La lepre e la tartaruga

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La luce solare di fine settembre inondava le vie formali e incolori tra Portland Place e Manchester Square. Il cielo era di un azzurro radioso, ma l’aria immobile era fredda. Un riccio dorato si staccò da un albero nascosto e atterrò sul marciapiede con un suono lieve. Nel piccolo negozio di antiquariato un potente fascio di luce, intorbidito dalla polvere nell’aria, si diffondeva sulla collezione di oggetti di lacca rossa e tartaruga, similoro e marocchino. Imogen Gresham teneva un boccale tra le mani nude; era color azzurro cielo con un decoro di spighe di grano in rilievo, del tipo noto nelle località di campagna come “del mietitore”. I suoi occhi ne assorbivano il colore e le dita i rilievi delle spighe. Suo marito però si accorse che la base era scheggiata e che da lì partiva un reticolo di crepe che si diramavano verso l’interno come fiumi su una carta geografica. “Non avrai intenzione di prenderlo?” domandò. “Si romperebbe subito.” E con una mossa brusca si voltò verso la vetrina, attraverso cui si vedeva l’auto ferma accanto al marciapiede. Imogen, a capo chino, posò il boccale in silenzio. Non riusciva quasi a sollevare il viso. A livello di prezzo, nel negozio non c’era altro che si prestasse a un acquisto poco impegnativo. Era andata lì su richiesta di una persona che aveva a cuore il titolare nella speranza che il marito trovasse qualcosa da acquistare, ma non era giornata. Evelyn Gresham non era di umore rilassato né in 1


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