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La domenica mattina andai in chiesa. Mia madre cercò di guastarmi la festa facendomi mettere il cappello, ma in strada me lo tolsi tenendolo sotto braccio. Sapevo bene come stavo con quel cappello in testa. Harriet me l’aveva detto tante volte: sembravo una vecchia zitella a una mostra floreale. Nel viottolo incontrai il postino a riposo che cercò di trattenermi. Era in precario equilibrio sulla bicicletta, con le gambe divaricate per non cadere. “Salve, salve, salve.” Avrebbe potuto continuare così in eterno, come un bambino piccolo che conosce solo le parole più elementari. “Salve, salve, che bello vederti! Che carina che stai diventando… che bello…” “Salve, salve,” gli risposi, un po’ audacemente a dir la verità: ma del resto, Harriet non c’era. “Ho avuto un bel guaio,” disse il postino in tono confidenziale. “Mia madre, sai. Esatto, ho sentito una botta, allora ho pensato che le era caduto qualcosa, le cade sempre tutto, ma quando vado a vedere non riesco ad aprire la porta. È stesa contro, a pelle di leone. Ho dovuto spingere per bene, te lo dico io. È un donnone. Poi ho visto che aveva uno squarcio così in testa.” 1