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Ero appena riuscita a riprendere fiato dopo lo shock della morte improvvisa di mio marito quando il suo ultimo lascito si presentò alla mia porta. Avevamo sepolto Wesley Lloyd Springer pochi mesi prima di quel rovente e immobile mattino di agosto e speravo di aver finito di firmare moduli, parlare con avvocati e sfogliare innumerevoli documenti legali di varia natura. Parola mia, morire ha più risvolti legali di quanto si pensi. Il defunto non sa mai cosa si deve passare per mettere ordine nei suoi affari, e quelli di Wesley Lloyd erano sistemati che meglio non si poteva. Pensavo. Misericordia, faceva un caldo terribile quella mattina, e ricordai ancora che Wesley Lloyd si era sempre opposto all’aria condizionata, anche quando l’avevano installata i Conover. Con un impianto centralizzato, poi. Wesley Lloyd sosteneva che era uno spreco di denaro, e che, inoltre, l’aria naturale ci faceva bene. Però era di quell’opinione solo per casa nostra, visto che il suo ufficio in banca era tenuto sempre abbastanza fresco da permettergli di indossare tutto l’anno i suoi completi a tre pezzi. Ma non credo sia giusto parlare male dei morti, anche se si dice la verità. Insomma, ero seduta in salotto e cercavo di distrarmi dall’afa sfogliando una pila di cataloghi di vendite per corrispondenza. Stavo preparando un elenco di ciò che intendevo acquistare e mi divertivo a farlo, visto che Binkie Enloe mi aveva detto che do1
vevo spendere un po’ di denaro. Sam Murdoch si era dichiarato d’accordo e doveva ben sapere quel che diceva, essendo l’esecutore del testamento che mi aveva regalato la mia nuova posizione finanziariamente solidissima. Misericordia, Wesley Lloyd aveva più denaro di quanto avessi mai immaginato, e apparteneva tutto a me, la sua vedova inconsolabile. Ma anche una vedova orgogliosa, e a ragione, perché la mia scelta in fatto di mariti si era rivelata ottima e fortunata. Vi confesso, però, che pensavo di non riprendermi più dallo shock di aver trovato Wesley Lloyd morto stecchito, accasciato sul volante della sua nuova Buick Park Avenue. Grigio acciaio con sedili morbidissimi, parcheggiata proprio lì fuori, sul vialetto di casa. Ma ci ero riuscita, e l’avevo sepolto con una cerimonia presbiteriana perfetta in tutti i dettagli, come lui si sarebbe aspettato. Poi mi era toccato un altro shock quando avevo scoperto che Wesley Lloyd era ricchissimo. Diamine, oltre alla banca lasciatagli dal padre sembrava possedesse metà della contea, e anche azioni, obbligazioni, rendite con agevolazioni fiscali, che fruttavano tutte altro denaro ogni giorno. Quando mi avevano spiegato l’ammontare del suo patrimonio ero riuscita solo a pensare alla somma che mi passava ogni venerdì per le spese di casa, dicendo: “Falla durare, Julia. Il denaro non cresce sugli alberi, sai”. E intanto lui ne coltivava un bosco intero! Beh, buon pro gli aveva fatto, perché era toccato tutto a me, fino all’ultimo centesimo. Adesso, dopo quarantaquattro anni di beata ignoranza sulle attività di Wesley Lloyd, finanziarie e non, ero decisa a godermi i benefici della vedovanza e un nuovo libretto degli assegni, e padroneggiavo entrambi senza nessun particolare problema. Guardai dalla finestra mentre su Polk Street passavano rare automobili dirette verso la Main. Diamine, avevano tutti un telefono incollato all’orecchio, anche se questa città non è abbastanza grande da rendere necessario il cellulare tutte le volte che si fa una capatina al supermercato. Dall’altra parte della strada il parcheggio si estendeva dalla Polk al retro della First Presbyterian 2
Church di Abbotsville, la mia chiesa e quella che Wesley Lloyd e suo padre prima di lui avevano sostenuto con la loro presenza, con decime, offerte e donazioni extra. Anche con consigli, che venivano sempre accettati ma non sempre apprezzati. Dall’asfalto del parcheggio si sprigionavano ondate di calore mentre osservavo le automobili in sosta per capire a chi appartenevano. Avevo l’abitudine di tenermi al corrente di ciò che avveniva intorno a me e, visto che il lunedì era il giorno di libertà del pastore Ledbetter, non mi si poteva biasimare se mi chiedevo perché si stesse incontrando in chiesa con alcuni membri del consiglio degli anziani. Ma lungi da me ficcare il naso. Sentivo Lillian canticchiare in cucina sulle note della radio, accompagnata di tanto in tanto dallo sbattere delle pentole mentre mi preparava il pranzo. Anche questo era cambiato da quando Wesley Lloyd non rientrava più a casa a mangiare. Aveva amato una casa silenziosa, la massima puntualità nei pasti, e ogni cosa fatta in orari prestabiliti. Avevo già cominciato a godermi un po’ di libertà da quelle tabelle di marcia, dicendo a Lillian che potevamo pranzare quando una di noi aveva fame o quando le veniva voglia di mettere qualcosa in tavola. Mi leccai un polpastrello e sfogliai una pagina del catalogo natalizio di Neiman Marcus, chiedendomi cos’avrebbero detto Sam e Binkie se avessi ordinato qualche sciocchezzuola. Parola mia, alcuni degli articoli in vendita erano per gente con più denaro che buonsenso, e questo non era il mio caso, sono felice di dirlo. Suppongo, tuttavia, che in molti avrebbero affermato il contrario se avessero saputo fino a che punto Wesley Lloyd era stato oculato e lungimirante. Comunque. La sua oculatezza e la sua lungimiranza non avevano tenuto conto degli infarti. Sapevo, com’era vero che mi trovavo nel mio salotto, che non aveva mai avuto intenzione di affidarmi il suo intero patrimonio. L’avevo capito appena il pastore Ledbetter era venuto da me con fare da cospiratore, nemmeno due giorni dopo aver celebrato il funerale di Wesley Lloyd, per dirmi che sapeva che volevo rispettare le ultime volontà del 3
signor Springer anche se non erano mai state messe per iscritto. Era la prima volta che sentivo che Wesley Lloyd aveva progettato di fare della First Presbyterian Church il suo principale erede, con il pastore Ledbetter e un membro del consiglio degli anziani incaricati di elargirmi una somma mensile in qualità di amministratori fiduciari. A questo proposito non credereste quante telefonate, circolari, brochure e lettere su costosa carta intestata avevo ricevuto da consulenti patrimoniali e finanziari, esperti di successioni e chi più ne ha più ne metta, decisi a convincermi ad affidare loro i miei beni. Non importava se si trattava di una chiesa, di un’università, di un ente benefico o di un uomo d’affari seduto nel suo ufficio, tutti sapevano cos’era meglio per me. Se avessi permesso loro di prendersi cura di tutto avrei potuto contare su un appannaggio versato ogni tre mesi per il resto della mia vita. Beh, avevo ricevuto un appannaggio per quarantaquattro anni, grazie tante, e tenersi tutto era molto meglio. Allungai una mano per accostare le tende di velluto color vinaccia, a causa del sole mattutino che irrompeva dalla finestra – bisogna stare attenti, altrimenti il sole sbiadisce i tappeti orientali – e cambiai posizione sulla poltrona per evitare la luce accecante. Una forcina mi scivolò sul collo e, mentre la rimettevo a posto, ricordai che Velma aveva cominciato a chiacchierare durante il mio ultimo appuntamento, senza prestare alcuna attenzione al suo lavoro che in quel momento consisteva nel farmi la permanente. Mi ero sentita male quando avevo visto cos’aveva combinato. Aveva detto che i ricci si sarebbero ammorbiditi quando li avessi lavati, che i miei capelli erano finissimi e avrei dovuto sapere che il capello cambia consistenza con l’età; forse prendevo medicine che potevano fare reazione con il prodotto? Parola mia, vorrei che per una volta nella sua vita quella donna ammettesse di aver sbagliato e non desse la colpa a me o ai miei capelli se la mia testa sembra una paglietta in acciaio per pentole. Ma ci sono cose con cui bisogna convivere. Come i capelli troppo ricci, o la mancanza di figli che ti confortino nella vec4
chiaia, due cose che potrebbero far venire voglia di nascondersi il viso tra le mani e piangere. Ma, per guardare al lato positivo, i capelli ricrescono e a volte i figli crescono e finiscono per litigare per l’eredità, quindi non potevo lamentarmi troppo. Non che negherei mai a un figlio mio ciò che gli o le spetta di diritto, ma potrebbero accapigliarsi tra loro. Di fatto, mi era stato risparmiato il vergognoso spettacolo di una famiglia dilaniata dalle liti tra eredi. So di cosa sto parlando, perché l’ho visto succedere troppe volte ed è un vero peccato. Suppongo che al mondo non sia mai esistito un testamento in grado di soddisfare tutti i beneficiari, dunque non potevo rattristarmi eccessivamente all’idea di essere l’unica sopravvissuta. Sospirai e sfogliai un’altra pagina, così concentrata sulle immagini patinate dei cataloghi che per poco non mi presi un colpo quando suonò il campanello. Andai alla porta d’ingresso e attraverso la zanzariera fissai la donna in attesa: sfoggiava tacchi troppo alti, un abito troppo corto e capelli troppo gialli. Tutto troppo giovanile per le rughe che le segnavano gli occhi e le labbra lucide e dipinte di rosso. Un ragazzino pelle e ossa era in piedi dietro di lei a capo chino, e pensai che la donna vendesse qualcosa. I venditori porta a porta lo fanno, non lo sapevate?, di portare con loro un bambino per farvi sentire in colpa se rifiutate di comprare. Aprii la bocca per dire “No, grazie”, ma lei aveva già cominciato a parlare. “Scusi il disturbo,” disse armeggiando con la tracolla della borsa. Vidi il luccichio del sudore che traspirava da sotto il trucco mentre lei faceva un profondo respiro e continuava a ruota libera. “Non lo farei se fossi riuscita a trovare un altro modo. Ma non ce ne sono, lui non mi ha lasciato altra scelta, e devo guadagnarmi da vivere. Sa com’è; beh, forse no. Ma sto andando a un corso per estetiste giù a Raleigh. Sul manicure. Ha presente, le unghie in acrilico e tutto il resto? Con le unghie si può guadagnare bene, e non so proprio cos’altro fare.” Continuavo ad aprire la bocca per dirle che aveva sbagliato 5
casa, non avevo la minima idea di chi fosse, ma non me ne diede l’opportunità. Sospinse il bambino di fronte a sé e gli diede una lieve spinta verso la porta a zanzariera. Era un essere dall’aria afflitta, magrissimo e pallido, che se ne stava in piedi con l’espressione del cane abbandonato e reggeva un sacchetto di carta marrone del supermercato Winn-Dixie con entrambe le mani. “Questo è Wesley Lloyd Junior, anche se forse,” disse la donna con una risatina nervosa, “il suo nome non è del tutto legale, come nessuno sa meglio di lei. Io lo chiamo Wesley Lloyd Junior Springer, non mi importa cosa c’è scritto sul certificato di nascita, anche se il nome del suo papà compare ufficialmente. Vede? Proprio qui.” E mi porse un foglio di carta con le parole certificato di nascita stampate in cima. Aprii la zanzariera come una sonnambula, presi il foglio e vi lessi il nome di mio marito. “Padre: Wesley Lloyd Springer. Madre: Hazel Marie Puckett.” “Devo lasciarlo a lei,” disse Hazel Marie Puckett spingendo più vicino il moccioso. “Devo affidarmi alla sua carità cristiana, perché Wesley Lloyd non mi ha lasciato il becco di un quattrino. Ho parlato con il suo avvocato, e lei mi ha detto che non mi resta nemmeno la casa in cui vivo da quasi dodici anni. Sono al verde, signora Springer, e non le chiedo niente, solo di badare al mio bambino mentre sono al corso. Non posso lasciarlo a nessun altro e, insomma, è un po’ come se fosse il suo figliastro, no? Tornerò a prenderlo, al massimo tra sei settimane, e odio fare una cosa simile, ma sa. Fa’ il bravo,” disse dandogli qualche colpetto sulla schiena e usando un piede per spingere in avanti la valigia di cartone che gli stava accanto. “Obbedisci alla signora Springer, mi hai sentito?” Gli diede un bacio frettoloso sulla testa e corse giù per i gradini verso una rombante automobile bianca e rosso scuro parcheggiata di fronte a casa mia. Il motore bruciava troppo olio e dense volute di fumo si arricciavano intorno alle mie siepi di bosso. “Signorina! Signorina!” gridai riacquistando finalmente la voce e precipitandomi sulla veranda. “Torni qui! Non può farlo! 6
Non posso tenere questo bambino! Signorina! Guardi che chiamo lo sceriffo, è meglio che torni qui!” Ma lei salì sul sedile del passeggero, e l’automobile schizzò via quasi senza lasciarle il tempo di chiudere la portiera. Sedile del passeggero, pensai all’improvviso. Guidava qualcun altro. “Cosa sono tutti ’sti urli?” Lillian era sulla soglia, e la sua divisa bianca splendeva dalle maglie fitte della zanzariera. La si poteva scambiare per un’infermiera o una cameriera troppo in carne, se non si notavano i tacchi consunti delle scarpe che producevano un rumore secco a ogni suo passo. Mi guardò, poi fissammo entrambe il ragazzino. Non avevo mai visto una creatura dall’aspetto così pietoso. Sui nove o dieci anni, pensai, con flosci capelli castani che gli cadevano sugli occhi, grandi occhiali dalla montatura in corno abbassati sul naso, pelle pallida punteggiata di lentiggini, occhi sfuggenti che evitavano di guardarci. Se ne stava in piedi a spalle curve, con il cravattino a farfalla munito di clip tutto storto sulla camicia di cotone sottile, e i pantaloni lisi a vita troppo alta stretti da una cintura elastica marrone. Tutto comprato ai saldi da Wal-Mart, senza dubbio. Lo guardai con attenzione ignorando Lillian, in piedi a bocca aperta. Gli sollevai il mento, studiai il suo viso ed ebbi la conferma di ciò che era chiaro come la luce del sole. Mi cadde il cuore a strapiombo quando mi resi conto che stavo guardando un Wesley Lloyd Springer più giovane di sessant’anni e oltre. Era identico, ma senza la sicurezza e le qualità da leader di Wesley Lloyd. Feci un respiro profondo. “Lillian, guarda cos’altro mi ha lasciato il signor Springer.”
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Estratto da Miss Giulia dice la sua Titolo originale dell’opera Miss Julia Speaks Her Mind Traduzione dall’inglese di Valentina Ricci © 1999 by Ann B. Ross © 2013 astoria srl via Aristide De Togni 7 – 20123 Milano Prima edizione: giugno 2013 ISBN 978-88-96919-59-0 Progetto grafico: zevilhéritier
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