I segreti di Sible Pelden

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È difficile creare un giardino noioso, ma il vecchio signor Wither ci era riuscito. Non che avesse lavorato con le sue mani il terreno che circondava la casa di Chesterbourne, nell’Essex, tuttavia aveva influenzato il giardiniere con la sua mancanza d’interesse e la scarsa propensione a spendere denari. Il risultato era stato un prato miserevole con un giardino roccioso di gesso, praticamente vuoto a perdita d’occhio, e un sacco di cespugli squallidi che al signor Wither piacevano perché riempivano lo spazio e davano poco da fare. Gli piaceva anche che il giardino avesse un aspetto ordinato, e in una bella mattinata d’aprile se ne stava alla finestra della sala della colazione, a considerare quale seccatura fossero le margherite. Ce n’erano undici, proprio in mezzo al prato. Bisognava dire a Saxon di sradicarle. Entrò la signora Wither, ma il signor Wither non ci fece assolutamente caso perché tanto l’aveva già vista prima. Lei si sedette nell’esatto momento in cui nell’atrio suonò un gong, e il signor Wither attraversò pesantemente la stanza per andare a prendere il suo posto, all’altro capo del tavolo, e aprì il “Morning Post”. La signora Wither gli passò una tazza di tè e una scodella di cereali industriali che avevano un odore e un sapore assolutamente identici a quelli di tutti gli altri cereali industriali, e trascorsero tre minuti. La signora Wither sorseggiava il suo tè, fissando, al di sopra del cranio coniugale, pelato ma attraversato da due strisce di capelli, un merlo che saltellava ai piedi dell’araucaria. 1


Il signor Wither alzò lentamente lo sguardo. “Le ragazze sono in ritardo.” “Stanno arrivando, caro.” “Sono in ritardo. Sanno benissimo che non mi garba che si presentino a tavola in ritardo.” “Lo so, caro, ma Madge non è riuscita a svegliarsi, dopo il tennis di ieri era tutta indolenzita, e Tina sta solo cercando di…” “Come al solito si starà gingillando con quei suoi capelli, immagino.” Il signor Wither tornò al suo giornale e la signora Wither alla contemplazione e al tè. Madge, la figlia maggiore, entrò sfregandosi le mani. “Buongiorno mamma. Scusa il ritardo, papà.” Il signor Wither non rispose, e Madge si sedette. Aveva trentanove anni ed era una donnona tutta vestita di tweed e dai lineamenti marcati, con i capelli alla maschietta e un colorito fresco ma insulso. “Papà, ma come fai a mangiare quella segatura?” domandò, attaccando uova e pancetta e parlando allegramente perché era una bella mattinata ed erano solo le nove e dieci; e all’inizio di ogni nuovo giorno esisteva sempre la possibilità che si rivelasse diverso da tutti gli altri. Magari sarebbe successo qualcosa; e il mondo attorno a lei sarebbe diventato più allegro. Madge non aveva una visione chiara dei propri sentimenti; sapeva solo di essere immancabilmente più allegra a colazione che non all’ora del tè. La signora Wither sorrise debolmente. Il signor Wither non disse nulla. Dall’atrio con il pavimento piastrellato giunse un rumore di passi, strascicati eppure frettolosi, ed entrò a precipizio Tina, con le palpebre rosa e i capelli flosci pettinati come al solito con un’onda penzolante sulla fronte. Era una donna minuta, con gli occhi e la bocca troppo grandi per il suo visetto sottile. Aveva trentacinque anni; indossava, con compiacimento evidente, un abito verde e una camicetta bianca con le ruche. Le unghie delle sue dita esili erano dipinte di rosa pallido. “Buongiorno a tutti; scusa il ritardo, papà.” 2


Il signor Wither disaccavallò le gambe grassottelle infilate in un paio di inaspettati pantaloni di un raffinato tessuto a scacchi, e poi le riaccavallò, ma senza alzare lo sguardo. La madre sorrise a Tina, mormorando: “Molto grazioso, cara”. “Che cosa?” Il signor Wither puntò improvvisamente su Tina un occhio azzurro slavato, curvato all’ingiù e iniettato di sangue. “È solo il mio nuovo… è solo il mio vestito, papà.” “Nuovo, eh?” “Sì… io… sì.” “Ma perché hai tanta smania di comprare degli altri vestiti? Ne hai gli armadi pieni.” E il signor Wither tornò alle pagine degli affari. “Pancetta, Tina?” “Sì, grazie.” “Una o due, cara?” “Oh, una, grazie. No… quella piccola. Grazie.” “Tu non mangi a sufficienza. Non stai bene, così magra,” osservò Madge, imburrando il pane tostato. “Non capisco proprio perché tu voglia stare a dieta; hai l’aria distrutta.” “Senti, uno fa come si sente, e io mi sento chilometri meglio…” “Chilometri meglio? Come fai a sentirti chilometri meglio?” chiese ad alta voce il signor Wither, posando il “Morning Post” e fissando con severità la figlia minore. “Un chilometro è un’unità di lunghezza. Non può essere utilizzato per descrivere una condizione fisica. Tu puoi sentirti molto meglio, o considerevolmente meglio, o notevolmente meglio. Non puoi sentirti chilometri meglio, perché ciò è impossibile.” “Sì, insomma,” le mani secche di Tina si torsero lentamente in grembo, mentre lei esibiva un sorriso tremulo, “io mi sento considerevolmente meglio da quando ho iniziato la dieta Brash.” Il sorriso mise in mostra denti irregolari, ma addolcì il viso in modo sorprendente, facendo sembrare Tina più giovane. “Orbene, posso solo dire che non si direbbe proprio, a guardarti, vero papà?” Silenzio. Il merlo emise un fischio lungo e dolce, e fuggì. 3


“Oggi giocherai a golf, cara?” mormorò di lì a poco la signora Wither a Madge. Madge annuì, con la bocca piena. “Ci sarai a pranzo?” la incalzò la madre, con cautela. “Dipende.” “Lo devi sapere se ci sarai a pranzo o no, Madge,” s’intromise il signor Wither, dopo aver adocchiato all’improvviso sulla pagina finaziaria una notizia che aveva oscurato un mondo già per lui mai molto roseo. “Non potresti degnarti di dire con certezza a tua madre se ci sarai o no?” “Mi sa di no, papà,” dichiarò con fermezza Madge, pulendosi la bocca. “Ci puoi dare la pagina dello sport, quando l’hai finita?” Il signor Wither staccò la pagina dello sport e la passò a Madge in silenzio, lasciando cadere il resto del giornale a terra, con noncuranza. Nessuno disse nulla. Il merlo tornò. Sul signor Wither era calata una cappa cupa e minacciosa. Prima di leggere quell’articolo era stato il solito, l’abituale signor Wither che c’era a colazione, a pranzo, all’ora del tè e a cena. Ma ora (pensarono la signora Wither e Madge e Tina) il padre si stava angustiando; e il resto della giornata si sarebbe oscurato. La principale preoccupazione del signor Wither era il denaro, di cui disponeva nella misura di duemila e ottocento sterline l’anno. Erano gli interessi di un bel capitale lasciatogli dal padre, grazie a una compagnia privata di gas, fondata attorno alla metà del secolo precedente, del quale il defunto signor Wither era stato l’azionista di maggioranza. Durante la sua vita lavorativa il signor Wither il Giovane, che di gas sapeva ben poco ma era molto ferrato quando si trattava di atterrire la gente e di costringerla a fare quello che voleva lui, aveva gestito la compagnia con prepotenza e con un certo successo: e all’età di sessantacinque anni (cinque anni prima) aveva venduto le sue azioni, investendo il ricavato, e adesso si godeva la pensione alle Aquile, vicino a Chesterbourne nell’Essex, dove viveva già da oltre trent’anni. Gli investimenti del signor Wither erano sicuri quanto lo sono gli investimenti in questo mondo; ma al signor Wither questa sicurezza 4


non bastava. Lui voleva che fossero molto sicuri; graniticamente produttivi, graniticamente stabili e prevedibili come l’avvicendarsi del giorno e della notte. Ma era inutile; quelli andavano su e giù, influenzati da guerre e nascite, abdicazioni e aeroporti. Non poteva mai sapere con certezza che cosa stesse combinando il suo denaro. Si svegliava nel cuore della notte e giaceva al buio chiedendosi che cosa gli stesse succedendo, e durante il giorno ne cercava ansiosamente le tracce sulle pagine finanziarie dei giornali. Non era avaro (se lo diceva spesso), ma detestava gli sperperi. Il fatto di spendere del denaro in assenza di una motivazione forte gli infliggeva un dolore forte. Il denaro non ci è stato dato per essere speso; ci è stato dato perché lo mettessimo da parte. Ora, mentre fissava disperato i suoi cereali lasciati a metà, gli venne in mente tutto il buon denaro che lo avevano convinto a buttare via. Quanto aveva detestato pagare le rette delle ragazze, in quei dieci anni di tentativi, da parte loro, di costruirsi una carriera! Aveva gettato al vento sterline su sterline su sterline, sprechi su sprechi. Scuole d’arte e scuole di economia domestica, corsi di pasta di sale e lezioni di elocuzione per segretarie e corsi di giornalismo e per educatrici cinofile e per tessitrici. Naturalmente erano stati tutti inutili; e atrocemente costosi, e che cosa erano in grado di fare, le ragazze, come risultato degli investimenti paterni? Un fico secco. Il signor Wither le considerava incolte e imprecise nel linguaggio, mentalmente torpide e negate per le attività manuali. Aveva la vaga sensazione che Tina e Madge, dopo tutti quegli insegnamenti e a quel prezzo, avrebbero dovuto possedere un bagaglio culturale assoluto, tipo quello di sir Francis Bacon; ma qualcosa era andato storto. “A che ora hai detto che arriva il treno di Viola?” chiese Tina a sua madre; a volte trovava intollerabili i silenzi Wither. “A mezzogiorno e mezza, cara.” “Giusto in tempo per il pranzo.” “Sì.” “Lo sai benissimo che il treno di Viola arriva alle dodici e trenta,” salmodiò lentamente il signor Wither, sollevando le palpebre 5


per guardare Tina, “e allora perché lo chiedi a tua madre? Tu parli tanto per dare aria alla bocca, è un’abitudine stupida.” Riabbassò lentamente lo sguardo sulla sua ciotolina di cereali mollicci. “Non me lo ricordavo,” disse Tina. Di fronte al silenzio, proseguì vivace. “Madge, non trovi orribile arrivare in un posto prima di mezzogiorno? Troppo tardi per la colazione e troppo presto per il pranzo…” Nessuno fiatò: e lei si ricordò di aver detto la stessa cosa la sera prima, durante la cena, quando l’orario di arrivo di Viola era stato passato al vaglio con una discussione accalorata tra il signor Wither e Madge. Tina arrossì e si torse di nuovo le mani. La colazione si stava facendo sgradevole, come al solito. Ma che importava, il vestito nuovo le donava davvero, e Viola era in arrivo; sarebbe stato un piccolo cambiamento, e la presenza di Viola magari avrebbe impedito al padre di angustiarsi così tanto e così di sovente, e a Madge di litigare con lui in modo tanto sgarbato. Viola non era una persona eccitante, ma la compagnia di chiunque, perfino quella di una cognata, era meglio di quella dei Parenti autentici. Dopo aver letto un libro di psicologia femminile intitolato Le figlie di Selene, preso a prestito da una compagna di scuola, Tina aveva deciso di affrontare a viso aperto tutti gli aspetti della sua natura, per quanto potessero essere disgustosi, negativi, esecrabili (il libro ammoniva i lettori che la scoperta della verità avrebbe potuto suscitare in loro stessi disgusto, negazione, esecrazione); e uno degli aspetti che aveva affrontato era l’amore che non provava per la sua famiglia. Non aveva neppure amato il suo unico fratello, Teddy; e questo era veramente spaventoso, perché da tre mesi Teddy era morto. Viola era la sua vedova, sposina da un anno, che stava venendo ad abitare alle Aquile con la famiglia del marito. Quando Tina si rendeva conto di non aver amato Teddy, la faceva stare ancora peggio il ricordare che Viola, una ragazza giovane che avrebbe potuto scegliere tra un mucchio di giovanotti, aveva scelto Teddy e lo aveva amato al punto di sposarlo. Forse non sono normale, pensava Tina. Certo, non è che Teddy lo vedessimo molto, da adulto. Non condivideva la sua vita con noi, come fanno certi uomini con le sorelle e i genitori. In ogni caso devo essere anormale, per non aver amato il mio unico fratello. 6


“Vuoi che ti porti io in stazione in macchina?” si offrì Madge, quando era già alla porta. “Ma non tornerai per tempo, vero, cara?” “Non importa; se desideri che io ti accompagni, torno.” Madge adorava guidare la macchina, ma dato che il signor Wither sosteneva che non fosse capace, ne aveva l’occasione solo di rado. “Oh, grazie cara, ma ormai l’ho già chiesto a Saxon. Sarà qui con la macchina alle dodici e dieci.” “D’accordo, preferisci la guida di Saxon alla mia.” “Non si tratta di questo, cara. E in ogni caso penso che adesso Saxon guidi abbastanza bene.” “E vorrei vedere, dopo due diffide, un parafango nuovo e una multa.” Uscì fischiettando, e la signora Wither si chinò per prendere il giornale, ma il signor Wither allungò la mano con aria assente, e così lei glielo lasciò. “Ti alleni oggi, Tina?” chiese, e dirigendosi alla porta posò la mano sulla spalla gracile della figlia. “Penso di sì.” “Dovresti uscire,” dichiarò il signor Wither, riaffiorando dalla sua cupezza, come una foca in cerca d’aria. “Stare a casa a ciondolare non ti gioverà affatto,” e tornò a immergersi. La signora Wither uscì. Tina andò alla finestra e rimase per un po’ a guardare le nuvole bianche e luminose dietro ai rami nero-verdi dell’araucaria. Il mondo quel mattino sembrava così giovane che lei per contrasto sentiva di avere la pelle vizza; era consapevole di ogni singola ruga del viso, incremata e massaggiata, delle sue ossa irrigidite; e tutto quello che desiderava, tutto quello cui aveva voglia di pensare su questa terra giovane e inondata di sole, era l’Amore. Il signor Wither uscì dalla stanza, attraversò l’atrio con le sue fredde piastrelle blu e nere, e andò a rinchiudersi nella sua tana soffocante, uno studiolo arredato con un tappeto consunto, una scrivania ingombrante e brutta, libri di finanza e un caminetto gigantesco che quando era acceso, cosa che non accadeva di frequente, emanava un calore infernale. 7


Quella mattina però era acceso. Il signor Wither non aveva preso a cuor leggero la decisione di farlo accendere; ci aveva pensato su per bene, per poi giungere alla conclusione che il fuoco non sarebbe andato sprecato, sebbene occorresse una spaventosa quantità di carbone per non far spegnere quell’inferno attorno alle due e mezzo del pomeriggio. Il signor Wither intendeva invitare Viola nel suo studio, dopo pranzo, per farle un discorsetto, e pensava che al calduccio sarebbe stata un’interlocutrice più facile. Le donne non fanno altro che lamentarsi del freddo. Il fatto che una fanciulla sciocca come Viola avesse il controllo del proprio denaro disturbava il signor Wither. Certo, la ragazza non poteva possedere un granché; anche sommando l’eredità lasciatale dal padre a quella lasciata da Teddy, Viola (pensò il signor Wither, sedendo diritto nella sua vecchia poltrona di cuoio nero, mezza sfondata, e contemplando con tristezza il fuoco furente) non poteva disporre di più di, diciamo, centocinquanta sterline l’anno. Ma anche centocinquanta sterline l’anno vanno accudite come si deve, e il signor Wither e il suo consulente finanziario, il generale decorato di divisione E.E. Breis-Cumwitt, erano certamente in grado di farlo meglio di Viola. Se il signor Wither avesse potuto fare a modo suo, avrebbe saputo quanto denaro possedeva Viola, ma all’epoca della morte del figlio le circostanze avevano cospirato per tenerlo all’oscuro. Tanto per cominciare, Teddy era sempre stato reticente, in modo irritante, a proposito del suo patrimonio (come lo era, in verità, riguardo tutte le sue faccende) e suo padre, pur sapendo quanto guadagnava, non sapeva quanto mettesse da parte. Quando Teddy era vivo, quasi ogni due settimane il signor Wither gli chiedeva se stesse mettendo da parte dei soldi, e Teddy rispondeva: “Certo, papà,” e poi cambiava discorso. Si rifiutava di rispondere a domande sul Quanto e sul Come; sosteneva che fossero affari suoi. Suo padre riteneva, ciò non di meno, che Teddy avesse dei risparmi. Poi, quando Teddy era morto all’improvviso di polmonite, il signor Wither non era riuscito ad andare al funerale (che aveva avuto luogo a Londra, secondo la volontà di Viola), e men che meno 8


a indagare sui possedimenti del figlio e ad assumerne il controllo, come avrebbe desiderato, perché in quel momento era bloccato da un violento attacco di sciatica. Sapeva però che non c’era un Testamento, e questo lo metteva a disagio. Scrisse a Viola; le scrisse due lettere piuttosto prolisse e franche riguardo alla faccenda del Denaro. Ricevette in risposta un biglietto breve e vago in cui Viola diceva che sarebbe andata “a stare dall’amica Shirley”, ma senza fornire alcun indirizzo. La signora Wither disse che di cognome Shirley faceva Davis, e che abitava in un posto chiamato Golders Green. Il signor Wither si prese la briga di passare tutti i Davis dell’elenco telefonico di Londra, ma Golders Green pullulava di Davis, quindi lo sforzo risultò vano. Scrisse un’altra lunga lettera al vecchio indirizzo del figlio e alla fine ebbe una breve risposta, con il recapito della Davis e senza riferimenti al Denaro, a parte un vago accenno alla difficoltà di affittare l’appartamento. A quel punto il signor Wither scrisse di nuovo, per l’ultima volta, senza parlare di questioni economiche ma annunciando con fermezza che sua nuora sarebbe dovuta venire a stare alle Aquile. Era l’unica cosa da fare. Mentre Viola era a Londra non c’era speranza, per il signor Wither, di riuscire a gestire il denaro in vece sua e la sola idea che quei soldi se ne andassero in giro per conto loro stava cominciando a dargli sui nervi. Il fatto di non conoscerne l’ammontare peggiorava ulteriormente la situazione. Insomma, potevano essere anche trecento sterline l’anno! Il signor Wither considerava Viola una ragazzetta sciocca e ordinaria, ma non gli era antipatica. Certo era un peccato, un gran peccato, che lei fosse stata solo una commessa, ma d’altra parte il padre era stato il proprietario di metà del negozio in cui Viola lavorava e si trattava di un’attività piccola ma solida, duratura e ben gestita. Questo andava molto bene; al signor Wither piaceva sentirsi circondato dal denaro, come da uno steccato robusto; gli piaceva sapere che anche i cugini di quarto grado avevano qualcosa da parte (ed effettivamente tutti i cugini Wither ne avevano). 9


No, non gli sarebbe dispiaciuto che Viola andasse a stare alle Aquile. La casa era grande; non l’avrebbe incontrata spesso. E quando l’avesse incontrata, avrebbe potuto darle direttive. E allora lui sarebbe stato in grado di gestire per conto di Viola il denaro di Teddy e di controllare che non venisse speso o mal utilizzato. E per lei sarebbe stato un piacevole passatempo. Avrebbe seguito con interesse, nel corso degli anni, la saggia amministrazione del suo piccolo reddito, diventando più saggia e (almeno si sperava) più maneggevole mentre diventava più vecchia. Viola era proprio il tipo di ragazza priva di carattere che il signor Wither aveva sempre immaginato come moglie di Teddy. Ciò però non gli aveva impedito di seccarsi moltissimo quando Teddy l’aveva sposata. Mettendo insieme il fatto che Madge e Tina non si erano sposate, e che Teddy aveva sposato una commessa, e che la signora Wither era così profondamente delusa dall’atteggiamento dei tre figli nei confronti del Matrimonio, il signor Wither era stufo marcio della parola. Teddy comunque non era mai stato un ambizioso. A ventidue anni il signor Wither gli aveva offerto un lavoro nella compagnia del gas, secondario ma non privo di prospettive, ed era sottinteso che si sarebbe “fatto strada” (sul punto d’arrivo previsto si sorvolava). Ma Teddy era rimasto lì per venti anni, con lo stipendio che aumentava di cinque sterline ogni anno perché sotto un certo livello, in quell’azienda, gli stipendi di tutti aumentavano in modo automatico. D’altra parte non pareva appagato da quel lavoro modesto che lo faceva guadagnare così poco che, a pensarci, il signor Wither quasi si vergognava. Amici di famiglia avevano spesso detto al signor Wither che il vero Sogno di Teddy in realtà sarebbe stato quello di occuparsi di architettura o di pittura o di qualcosa di artistico; e questi Sogni, che continuavano a balzare davanti agli occhi del signor Wither, gli procuravano un fastidio enorme. Era certo che i suoi conoscenti lo accusassero dietro le spalle di pagare Teddy troppo poco. Ma lui non lo avrebbe pagato di più, per molte buone ragioni. Teddy non si meritava di guadagnare di più; nessuno in quella posizione aveva mai guadagnato di più e lui non doveva mostrare di fare favoritismi nei confronti del figlio; Teddy non aveva bisogno di più soldi perché non era sposato, e così via. 10


Quando alla fine Teddy si sposò, all’età di quarantuno anni, il signor Wither si trovò nella lieta condizione di non potergli aumentare il salario, perché all’epoca aveva ormai venduto le sue quote della compagnia. Gli concesse un vitalizio di ottanta sterline l’anno, dicendo che gli sarebbero state d’aiuto. Teddy fece in tempo a goderne per un anno e poi morì, e a quel punto il signor Wither poté rimangiarsi tutto. Il signor Wither, fissando il fuoco con occhio vacuo, rifletté che alcune persone parevano davvero a pezzi dopo la morte dei figli. Lui invece non era crollato, quando Teddy era morto. Era stato un trauma, certo, era stato un trauma. Ma era strano che non si fosse sentito più a pezzi. Non era mai andato molto d’accordo con Teddy, chissà perché, neppure quando era un ragazzino. La parola “pappamolla” gli attraversò lentamente il cervello. Eppure il ragazzo qualche virtù la doveva avere, se Viola, una fanciulla decisamente carina, che doveva avere avuto un sacco di giovanotti attorno e un sacco di possibilità di scelta, aveva scelto proprio lui e lo aveva sposato. Non che per lei non fosse stata un’ottima cosa; la ragazza senza dubbio sapeva fare i suoi conti, annuì pensieroso il signor Wither, seduto con la schiena diritta e la fronte aggrottata. E quel pomeriggio lui e Viola avrebbero fatto due chiacchiere. Nel frattempo doveva telefonare al generale di divisione BreisCumwitt per parlargli di quel lugubre articolo sulla pagina della Finanza, che aveva accuratamente cerchiato di nero. Non che il generale di divisione Breis-Cumwitt potesse farci nulla; non esisteva al mondo una forza in grado di fermare il denaro, quando questo cominciava a ballare in quel modo, ma almeno insieme avrebbero potuto consultarsi e discutere; e farsi le condoglianze, e poi il signor Wither (nonostante lo scellino e tre speso per telefonare a Londra) si sarebbe sentito meglio. Alle dodici e dieci in punto l’auto sbucò dal vialetto circolare e venne a fermarsi davanti a casa. Lo chauffeur sedeva con il bel profilo attentamente rivolto in direzione opposta alla casa; un autista come si deve non sbircia in direzione delle camere da letto, non fissa la porta d’ingresso, né sembra accorgersi di nulla, e Saxon era molto come si deve. Le Aquile era 11


una casa di stucco grigio scuro, troppo alta rispetto al terreno che la circondava, cosicché pareva incombere in modo minaccioso. Attorno alla porta d’ingresso, che si raggiungeva con un bel po’ di gradini ripidi, c’erano altri cespugli squallidi. Le finestre ai piani bassi erano oscurate da tendaggi pesanti; quelle ai piani superiori avevano quelle mezze tendine bianche con inserti grossolani di pizzo che immancabilmente fanno pensare alle finestre di una clinica, e stanze grandi e piene di spifferi. Due uccelli di gesso, di fattura non disprezzabile, erano appollaiati sulle due colonne all’ingresso del viale, e davano il nome alla casa. Quei volatili, per qualche arcana ragione, davano sui nervi al signor Wither, ma lui aveva paura a chiedere quanto gli sarebbe costato farli portare via; inoltre la casa era appartenuta a suo padre e lui aveva la vaga sensazione che le aquile dovessero essere lasciate dove erano, visto che suo padre le aveva approvate, e così erano rimaste lì appollaiate. Anche se non stava guardando la casa, Saxon colse l’istante preciso in cui la signora Wither comparve sulla soglia, e scese dall’auto per aprirle con destrezza la portiera, toccandosi il berretto. “Buongiorno, Saxon. Che splendida mattinata!” “Buongiorno, signora. Sì, signora.” “Tanto meglio per la moglie del signor Theodore,” proseguì la signora Wither, mentre Saxon le infagottava i piedi in un’orripilante vecchia copertina, fatta con pelliccia di un animale indefinito, che il signor Wither non aveva acconsentito a mandare in pensione. “Arrivare da noi in una bella giornata, insomma.” “Sì, signora.” La signora Wither, che un tempo era stata una donna che amava parlare con la servitù, gli lanciò un’occhiata e non aggiunse altro. Saxon non sembrava gradire che gli si parlasse. Il gentile lettore a questo punto si starà certamente chiedendo come diamine avesse fatto una donna a sposare il signor Wither, e allora bisogna dire che lo aveva sposato per quella che di solito è ritenuta (così si sostiene) una ragione piuttosto comune: temeva di non avere la possibilità di sposare nessun altro. E da giovane il signor Wither non era stato malaccio, aveva l’oc12


chio ardimentoso e modi quasi vivaci, un po’ come quelli di un piccolo bulldog. Dava ordini ai camerieri, trovava posto sulle carrozze facendosi largo a gomitate e aveva un padre ricco. La signora Wither, che non era romantica, aveva pensato che una giovane donna potesse sentirsi al sicuro con Arthur Wither, e così si era affidata a lui. Il matrimonio non doveva essere stato poi così male, visto che erano arrivati lì, a settanta e sessantaquattro anni, condividendo le Aquile, due figlie, il ricordo di un figlio morto, e una nuora. La signora Wither si dispiaceva per il povero Arthur; aveva tante preoccupazioni, lui. Quando lui non c’era, lei pensava al marito, e si affliggeva, e gli voleva bene anche se si divertiva sempre in sua assenza, e mai in sua presenza; a sua volta il signor Wither disapprovava la signora Wither molto meno di quanto non facesse con chiunque altro, pur non dandolo mai a vedere. Quante bugie esaltate si raccontano a proposito del matrimonio! Ma una promessa almeno può essere mantenuta: saremo un’unica carne.

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Estratto da Stella Gibbons I segreti di Sible Pelden Titolo dell’opera originale Nightingale Wood Traduzione dall’inglese di Marina Morpurgo Copyright © Stella Gibbons 1938 © 2012 astoria srl via Aristide De Togni 7 – 20123 Milano Prima edizione: febbraio 2012 ISBN 978-88-96919-27-9 Progetto grafico: zevilhéritier

www.astoriaedizioni.it


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