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Rifugiati e diritto di asilo Amnesty International

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Europa

Nilufer Demir

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A cura di Amnesty International Rifugiati e diritto di asilo Buco nero dell'Europa

L’immagine-simbolo della crisi globale dei rifugiati e del fallimento dell’Europa nel contribuire a porvi rimedio è quella di Aylan Kurdi, il bambino siriano di tre anni che giace privo di vita su una spiaggia turca. Prima della sua morte e dopo, nel 2015 3700 migranti e rifugiati hanno perso la vita nel tentativo di raggiungere la frontiera marittima dell’Unione europea. Un milione di migranti e di rifugiati, per lo più provenienti dalla Siria, è entrato irregolarmente nell’Unione europea, per lo più dalla frontiera marittima Grecia. A fronte di questo dato, l’Unione europea non ha saputo sviluppare politiche coerenti, umane e rispettose dei diritti umani. Se l’espansione delle attività dell’agenzia Frontex ha contribuito a ridurre naufragi e vittime nel mar Mediterraneo centrale, nelle acque dell’Egeo il loro numero è aumentato in modo impressionante. Il “sistema di Dublino” ha collassato, mentre la redistribuzione dei richiedenti asilo sollecitata dalla Commissione europea non ha dato risultati significativi, così come l’impegno a reinsediare in Europa 20mila rifugiati. E se la

Germania ha dato una risposta commisurata alla dimensione della crisi dei rifugiati, altri stati membri, in primo luogo l’Ungheria, hanno creato ostacoli, posto in essere misure illegali e reagito con violenza e crudeltà all’afflusso dei migranti e dei rifugiati ungo la rotta balcanica. Alla fine dell’anno, l’Unione europea ha offerto tre miliardi di euro alla Turchia in cambio dell’impegno a rafforzare i controlli di frontiera per limitare le partenze verso la Grecia. Dopo l’accordo, le autorità turche hanno effettuato retate di rifugiati e richiedenti asilo, che in non pochi casi sono stati deportati in Siria e Iraq. Oscurato dalla crisi dei rifugiati e dalle minacce e dagli attacchi terroristici, il conflitto dell’Ucraina è proseguito, con particolare intensità soprattutto nell’area di Donetsk. Alla fine del 2015 il numero dei morti era salito a 9000, di cui almeno 2000 civili. Le parti in conflitto si sono rese responsabili di bombardamenti indiscriminati, torture, esecuzioni sommarie e altri crimini di guerra. In Turchia, lo stentato processo di pace tra Governo e Partito dei lavoratori del Kurdistan si è fermato del tutto. A partire dalla strage di Suruc si è assistito a una nuova forte militarizzazione delle aree a maggioranza curda. Le forze armate turche hanno ucciso almeno 100 civili e imposto lunghi coprifuoco in diverse aree urbane. Nel resto del Paese gli attacchi contro la libertà d’espressione si sono fatti sempre più intensi: il difensore dei diritti umani Tahir Elci assassinato, oltre cento procedimenti penali

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