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grassi omega 3

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Mondo pasta

Mondo pasta

di Maria Fiorenza Caboni Professoressa ordinaria presso il Dipartimento di Scienze e Tecnologie Agro-Alimentari (DISTAL) dell’Università di Bologna

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L’arricchimento deve tener conto di molti fattori: tecnologia, aspetti sensoriali, shelf life, ritenzione e packaging

Gli acidi grassi omega 3 sono acidi grassi polinsaturi già molto studiati e noti anche ai consumatori, suddivisi in acido alfa-linolenico, (ALA, C18:3 n-3), acido eicosapentaenoico (EPA, C20:5 n-3) e acido docosaesanoico (DHA, C22:6 n-3). Questi acidi sono definiti “essenziali” perché non possono essere biosintetizzati dall’organismo umano, ma si introducono attraverso la dieta. La dimostrazione dell’importanza di questa classe di composti risiede nel fatto che, lanciando una ricerca bibliografica su una piattaforma internazionale utilizzando la chiave “omega 3 fatty acids supplementation” e limitandola alle reviews, si trovano oltre 3 mila voci. La prima review compare nel 1988 con il titolo “Biological mechanisms and cardiovascular effects of omega 3 fatty acids” (Mueller e Talbert, 1988).

I benefici degli omega 3

Gli effetti positivi degli acidi grassi omega 3 sulla salute umana, in parte acclarati e in parte ancora oggetto di ricerca, sono molteplici (Simopoulos 1991, Siroma et al. 2022), a partire dal fatto che sono precursori di prostaglandine e altre molecole con ruoli chiave nel metabolismo dei mammiferi. Numerosi studi epidemiologici hanno attribuito agli acidi grassi omega 3 effetti positivi molto importanti, in genere ascrivibili ad azioni antiossidanti; la letteratura scientifica riporta benefici significativi sulla riduzione del rischio di malattie cardiovascolari grazie alla diminuzione dei livelli di trigliceridi e di colesterolo nel profilo lipidico del sangue, sulla riduzione della pressione arteriosa (Rizos et al. 2021), dell’incidenza del diabete e dell’obesità (Morshedzadeh et al. 2022), sul miglioramento delle funzioni

cerebrali con prevenzione dei disturbi neuropsichiatrici (Xu et al. 2021) e sulla protezione contro lo sviluppo di tumori e disturbi autoimmuni (Parikh et al. 2018; Nestela et al. 2020). Un adeguato apporto di acidi grassi omega 3 appare perciò un fattore chiave per il mantenimento di un buono stato di salute e per la prevenzione di malattie croniche e di natura infiammatoria (Deckelbaum e Torrejon 2012, Yates et al. 2014). Il fabbisogno giornaliero di omega 3 varia a seconda dell’età, della condizione fisiologica e dell’attività fisica; l’assunzione consigliata di omega 3 è compresa tra 200 e 500 mg/giorno, tenendo conto che le due molecole fisiologicamente essenziali sono EPA e DHA. ALA può essere convertito dall’organismo umano in EPA e DHA, ma il fattore di conversione è piuttosto basso, compreso tra il 5 e il 15% (Harper e Jacobson 2001; Pawlosky et al. 2001; Burns-Whitmore et al., 2019). Nella valutazione del fabbisogno deve essere inoltre considerato il rapporto omega 6/omega 3, che non dovrebbe essere superiore a 5, mentre negli ultimi 100 anni le popolazioni occidentali hanno visto uno spostamento enorme di questo rapporto a favore degli acidi grassi omega 6 (Bjerve et al. 1989; Eurodiet 2000; ANC 2001; EFSA 2005). Le fonti naturali di EPA e DHA sono marine: infatti, si trovano nel pesce, prevalentemente in quello grasso come tonno, salmone, acciuga, sgombro ecc. (Lenihan-Geels et al., 2016), mentre ALA si può ottenere dalle alghe o da alcuni semi, noci e legumi (lino, colza, noci e soia). Per rendere possibile una corretta assunzione di omega 3 con la dieta, l’industria alimentare sta immettendo sul mercato alimenti arricchiti con questi acidi grassi essenziali. Tuttavia, la reale efficacia dell’uso di questa pratica dipende da molti aspetti, che vanno dalla biodisponibilità

Le fonti naturali di omega 3 si trovano soprattutto nel pesce grasso

delle molecole utilizzate al loro livello di ritenzione, alla conservabilità e all’accettabilità dei prodotti (Zimet et al. 2011).

Gli omega 3 nella dieta

Gli effetti benefici degli acidi grassi omega 3 sulle patologie cardiovascolari e metaboliche sono stati individuati per la prima volta attorno agli anni ‘70 del secolo scorso, grazie alla scoperta della scarsissima incidenza di malattie cardiovascolari e diabete nelle popolazioni Inuit della Groenlandia, grandi consumatori di pesce e tuttora oggetto di studio. Le abitudini alimentari nei Paesi occidentali hanno visto la drastica riduzione di acidi grassi polinsaturi, in particolare di omega 3, a vantaggio di acidi saturi e monoinsaturi e, talvolta, di acidi grassi trans (Sacks et al., 2017; Dietary guidelines for Americans: 2015-2020). L’innalzamento del rapporto tra omega-6 e omega 3 risulta marcato soprattutto in Paesi come il Nord America e la Gran Bretagna: da una meta-analisi dei dati disponibili, lo spostamento di tale rapporto appare correlato all’incremento di patologie cardiovascolari (Wei et al., 2021). Le principali fonti di acidi grassi omega 3 (EPA e DHA) sono, come si è detto, marine; le fonti vegetali, come semi di lino e noci e gli oli di soia e colza, le più accessibili e le sole accettate da vegetariani e vegani, aumentano la quota di acidi grassi omega 3 (Astorg et al. 2004; Clifford et al. 2005), ma se le dosi consigliate per EPA e DHA sono comprese tra i 200 e i 500 mg al giorno, per ALA si parla di 1.100-1.500 mg al giorno per la scarsa efficienza della conversione (Zello G.A., 2006).

Gli effetti positivi degli acidi grassi omega 3 sulla salute sono molteplici

I rischi dell’ossidazione

La reazione di ossidazione rappresenta un grave rischio per la qualità delle sostanze grasse e degli alimenti che contengono grassi; a parità di condizioni, maggiore è il livello di insaturazione, più alto è il rischio di ossidazione. Come noto, la reazione di ossidazione, dopo l’innesco, ha carattere autocatalitico perché si autoalimenta a causa della sua natura di reazione radicalica (Frankel, 1984). Oltre all’insaturazione delle catene degli acidi grassi e alla presenza di ossigeno, fattori pro-ossidanti come ioni metallici o i radicali aumentano la probabilità e la velocità di reazione. La cinetica di ossidazione è diversa anche in funzione dello stato fisico: se il lipide è puro o in emulsione, o incluso in una membrana, cambiano le interazioni e, potenzialmente, i prodotti di reazione (Hu e Jacobsen 2016, Berton et al. 2011; Walker et al. 2015). L’ossidazione e i composti che da essa si originano compromettono

gravemente la qualità e la funzionalità, oltre alle caratteristiche sensoriali, dei grassi stessi e degli alimenti che li contengono. La funzionalizzazione di alimenti con acidi grassi essenziali richiede quindi una progettazione e una verifica della qualità e dello stato fisico dei degli acidi grassi essenziali da aggiungere e di come il processo tecnologico e le condizioni di conservazione dell’alimento finito possono impattare sull’integrità della funzionalizzazione stessa. In altre parole, è fondamentale che le preziose molecole aggiunte arrivino integre nel piatto del consumatore.

Alimenti arricchiti di acidi grassi omega 3

Per migliorare l’assunzione di acidi grassi omega 3 è possibile prevedere l’incorporazione di questi importanti nutrienti in alimenti che non li contengono naturalmente; in tal caso, l’approccio più proficuo è quello di focalizzarsi su alimenti trasformati di consumo frequente in una dieta usuale. Tuttavia, gli acidi grassi omega 3, sia per la loro origine sia per l’elevato grado di insaturazione, contengono quasi sempre tracce di perossidi, mentre gli alimenti adatti all’arricchimento possono contenere tracce di metalli di transizione; la degradazione catalizzata dai metalli dei perossidi è quindi considerata uno dei principali problemi qualitativi per i prodotti alimentari funzionali arricchiti con acidi grassi omega 3 (Jacobsen et al. 2013, Jacobsen, Sørensen et al. 2013). La formulazione degli alimenti arricchiti deve perciò essere opportunamente progettata in funzione del tipo di alimento, dei trattamenti tecnologici che richiede, della miscibilità degli ingredienti, della shelf life attesa, oltre che del fattore di ritenzione dei composti addizionati e delle caratteristiche sensoriali del prodotto. Tra le modalità di arricchimento mediante formulazione troviamo la produzione di microemulsioni, ideale per prodotti umidi, che però, a seconda di come vengono sviluppate, possono rendere più o meno facile l’ossidazione. La creazione di goccioline lipidiche nanometriche in una fase continua acquosa aumenta notevolmente l’area superficiale della fase lipidica e, quindi, la suscettibilità all’ossidazione (Uluata et al. 2015); ma se l’interfaccia acqua-lipidi respinge i catalizzatori di ossidazione, l’ossidazione dei lipidi nelle emulsioni può essere ridotta (Yi et al. 2014) attraverso la tecnica di emulsione, la dimensione delle gocce e al tipo di emulsionante. L’uso della microfluidizzazione, ad esempio, ha mostrato una diminuzione dei livelli di ossidazione rispetto all’omogeneizzazione con valvole ad alta pressione (Horn et al. 2012). In questo campo la ricerca sta producendo una notevole quantità di studi. La tecnologia della microincapsulazione è, invece, una strategia consolidata e già ampiamente utilizzata dall’industria alimentare per proteggere gli acidi grassi omega 3 sia durante il processo sia nel periodo di vita a scaffale del prodotto, oltre che nelle operazioni di preparazione finale, fino al consumo (Baik et al. 2004; Park et al. 2004).

La microincapsulazione consiste nell’“avvolgere” l’acido grasso con un incapsulante costituito da polimeri come polisaccaridi o proteine, attraverso la formazione di una sospensione che viene poi essiccata mediante spray dry; si produce così un materiale polverulento ottimale per la miscelazione con sfarinati o altri ingredienti in polvere, nel quale l’interazione tra acidi grassi e acidi grassi ossigeno è drasticamente ridotto. Inoltre, la microincapsulazione mitiga le caratteristiche sensoriali indesiderate nel prodotto finale e facilita la manipolazione e la conservazione. Cereali per bambini, prodotti lattiero-caseari e prodotti da forno fortificati con acidi grassi omega 3 sono già disponibili in Europa, Asia e Australia con un contenuto di acidi grassi omega 3 dell’ordine di 40-220 mg/100 g di prodotto (Li et al. 2003; Bibus 2006).

Il caso della pasta

La pasta è un’eccellente scelta per incorporare nutraceutici perché è di facile preparazione e conservazione e riesce a incontrare i gusti di tanti consumatori per la varietà di formati disponibili e per la vastità di ingredienti che possono essere utilizzati per il suo condimento. Sono stati condotti diversi studi sull’uso di materie prime non convenzionali per migliorare il valore nutrizionale della pasta e fornire ulteriori benefici alla salute dei consumatori (Marconi et al. 1999, 2000; Samaan et al. 2006; Saujanya e Manthey 2006); il frutto di tali studi sono le svariate tipologie di paste che vanno da quelle integrali alle gluten-free ottenute con ingredienti molto diversi tra loro. Anche l’arricchimento con acidi grassi omega 3 rappresenta una buona opportunità per incrementare o raggiungere l’assunzione giornaliera raccomandata, ma una formulazione che comprenda ingredienti non tradizionali può modificare le caratteristiche sensoriali complessive del prodotto e, quindi, comprometterne l’accettabilità. La formulazione è pertanto strategica sia per quanto riguarda la qualità del prodotto, considerando la ritenzione della sostanza addizionata, sia per l’effettivo contributo al raggiungimento del fabbisogno giornaliero. In sostanza è necessario che le molecole bioattive aggiunte, nel caso specifico gli acidi grassi omega 3, arrivino nel piatto del consumatore senza perdite in alcuna fase della preparazione sia in termini quantitativi sia di integrità molecolare e resistano integre tanto ai processi tecnologici che a quelli domestici necessari per preparare l’alimento. Altro aspetto da considerare è quello relativo alla quantità di molecola bioattiva da aggiungere, che deve essere tale da arricchire la dieta con una quota significativa della molecola di interesse, a fronte di una porzione ragionevole dell’alimento in oggetto.

Spaghetti arricchiti di acidi grassi omega 3

In uno studio pubblicato nel 2008, Iafelice et al. hanno prodotto spaghetti arricchiti di acidi grassi omega 3 (EPA e DHA) microincapsulati con ciclodestrine in quantità dello 0,6, 1,2 e 1,8%; in tal modo il va- Uno studio lore teorico di acidi grassi ha portato omega 3 era di 73,7, 140,8 e alla produzione 235,8 md/100 g di prodotto secco. Sugli spaghetti, sia crudi sia dopo cottura convenziodi spaghetti arricchiti nale, è stata valutata la quan- di acidi grassi tità di acidi grassi omega 3 per omega 3 verificare eventuali perdite. I risultati ottenuti hanno evidenziato come nel caso dell’arricchimento intermedio (1,2%) le perdite sono inferiori al 10%. Dal punto di vista sensoriale, valutato secondo Anzaldúa-Morales 1994, gli spaghetti arricchiti e quelli di controllo fino all’1,2% di integratore non sono risultati differenti dalla produzione di controllo ottenuta in parallelo, relativamente ai seguenti parametri: colore, masticabilità, sapore, gusto, retrogusto e accettabilità generale. Per gli spaghetti arricchiti con la dose superiore

(1,8%) è stata avvertita la presenza di un sapore non comune, che ne ha determinato un minore gradimento. Il rapporto n-6/n-3 per gli spaghetti di controllo è risultato pari a 14, mentre quelli arricchiti alla massima dose mostravano un valore di 3 come conseguenza dell’aumento di EPA e DHA. Considerando una porzione di 80 g, gli spaghetti fortificati possono fornire, a seconda del livello di arricchimento, da 63,7 a 198,8 mg di acidi grassi omega 3, che corrisponde al 10-31% dell’assunzione raccomandata (650 mg/giorno, ISSFAL 2004). Il contenuto di sostanza grassa presente negli spaghetti arricchiti è superiore a quello della pasta convenzionale per una quota compresa tra il 20 e il 40% a seconda dell’arricchimento, con un grado di insaturazione maggiore; la shelf life degli spaghetti arricchiti è però identica a quella degli spaghetti convenzionali grazie alla microincapsulazione (Verardo et al. 2009).

Conclusioni

L’integrazione è una strategia molto valida per migliorare le caratteristiche nutritive di alimenti di diverso tipo, tenendo conto che l’arricchimento risulta più vantaggioso quando è focalizzato su alimenti che fanno normalmente parte della dieta quotidiana. L’arricchimento, come detto, deve tener conto di molti fattori: tecnologia, aspetti sensoriali, shelf life, ritenzione e packaging, che devono essere pensati per un prodotto con caratteristiche e problematiche differenti rispetto agli alimenti tradizionale. Prodotti a base di cereali differenti dalla pasta prevedono infatti processi produttivi molto diversi anche per la presenza di altri ingredienti e per la struttura fisica che, nel caso di un prodotto da forno, può prevedere un notevole e inevitabile contatto con l’aria, quindi con l’ossigeno, compromettendo le caratteristiche sensoriali dell’alimento, la shelf life e l’accettabilità complessiva. In conclusione, si può affermare che la funzionalizzazione richiede una visione olistica dell’alimento stesso, che deve essere considerato a tutti gli effetti un nuovo prodotto, pur inserendosi nella tradizione gastronomica per occasioni d’uso, preparazione e caratteristiche sensoriali.

Maria Fiorenza Caboni

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