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Lo shopping dei ventenni
Consumi ◆ Nella scelta degli acquisti i giovani della Generazione Z sono svegli, complicati, con pochi soldi ma interessi costosi
Marzio Minoli
stabilire come tradurre concretamente questa regola: una settimana con la mamma e una con il papà? Un giorno con la mamma e uno con il papà?
Lo scopo è quello di non sconvolgere la quotidianità dei figli, che mantengano il più possibile le abitudini che avevano prima della separazione».
In Ticino c’è anche chi ha intrapreso questa strada con convinzione, pur fra le difficoltà che essa presenta.
Sara (nome di fantasia) si è separata da suo marito perché, sebbene funzionassero molto bene come coppia genitoriale, avevano perso un po’ di smalto nella loro vita a due. «Siamo stati sempre rispettosi l’uno dell’altra, mettendo i bambini al centro dell’attenzione sin dall’inizio della relazione – spiega Sara – Abbiamo messo al mondo tre figli donando loro un ambiente sano e armonioso, ma a un certo punto gli anni passavano e abbiamo capito che non esistevamo più come coppia». Capita a tanti: ma la peculiarità di questa storia riguarda la decisione di come vivere il futuro come famiglia. «Una volta decisa la separazione, ci siamo dovuti sedere intorno a un tavolo per decidere quale struttura, quale contesto di vita dare ai nostri figli. Nell’arco di poco tempo, durato al massimo due o tre mesi, siamo quindi riusciti a mettere i paletti di quella che adesso è la nostra vita». Un periodo che Sara ricorda come doloroso, ma che ha permesso di capire quasi subito che la direzione da prendere fosse quella di un affido congiunto, dove la custodia dei figli fosse ripartita al 50 per cento fra i due coniugi. «La nostra organizzazione familiare non è cambiata granché – aggiunge Sara – giacché già prima lavoravamo a metà tempo, facendo in modo che uno dei due fosse sempre presente con i bambini. Al momento della separazione, nessuno di noi voleva perdere il legame con i bambini e nessuno voleva che nella loro vita un genitore scomparisse o fosse presente solo saltuariamente».
A questo punto bisognava decidere: prendere due case distinte e costringere i figli a continui traslochi?
A Sara e all’ex marito questa scelta sembrava troppo onerosa per i bambini. «Abbiamo scelto il modello chiamato “nido familiare”. I nostri figli, quindi, sono rimasti nella casa familiare di proprietà e siamo noi a spostarci dai nostri piccoli appar- tamenti in affitto a quella. Abbiamo fatto questa scelta per preservare loro, ma anche il genitore che sarebbe dovuto uscire da quello che per anni era stato il suo ambiente, un luogo di affetto e dove ci sono le radici». Un modello che non può durare per sempre, e Sara ne è consapevole, ma che per il momento funziona. «Per ora c’è un equilibrio più che ottimale. I ragazzi sono contenti di non essersi dovuti spostare e come famiglia abbiamo ancora dei momenti in comune, tutti insieme, come il caffè, la colazione o il pranzo quando “ci diamo il cambio”. Non siamo più una coppia, ma siamo ancora i genitori: festeggiamo il Natale insieme, facciamo i regali insieme e prendiamo decisioni insieme». Qualcosa da sacrificare c’è? «La decisione, in effetti, è stata incentrata sui figli, per il loro bene. Personalmente, però, non lo vivo come un sacrificio. Ho due spazi che posso investire in modo diverso, una vita che mi dà movimento; non so se ce la farei a tornare in una casa sola». Certamente questa è una strada percorribile solo se la separazione è stata gestita con cura, se sono state superate rabbie e incomprensioni. «Fra di noi c’è sempre stato molto rispetto, che abbiamo portato con noi anche dopo esserci lasciati. Non siamo amici, non ci raccontiamo cose che riguardano la nostra sfera intima, ma non potrei mai non rispettare il padre dei miei figli: so che li ferirei terribilmente». Una scelta forse per persone benestanti? «Non navighiamo nell’oro, siamo due persone normali che per giunta lavorano a metà tempo. Anche prendere in affitto due appartamenti con le stanze per i figli sarebbe stato oneroso. Mi piacerebbe che le persone prendessero in considerazione nuovi modi di separarsi, diversi da quelli canonici».
Ma quanto è diffusa in Svizzera la custodia alternata? Secondo i dati dell’Ufficio federale di statistica, che risalgono al 2020, in tutta la Svizzera l’affido esclusivo a un solo genitore, il modello tradizionale, riguarda ancora almeno l’85 per cento dei casi. «Ma come esperienza personale – conclude l’avvocato Viganò – posso dire che negli ultimi anni la custodia alternata è sempre più frequente. Se ne parla sempre di più, i genitori sono più informati e la valutano come ipotesi concreta».
Si chiamano Generazione Z, e sono nati tra il 1997 e il 2012. Hanno una particolarità: non conoscono il mondo senza internet. Infatti, il primo sito internet, ufficialmente, è stato creato il 6 agosto 1991. La loro condizione dunque presuppone che non abbiano nessuno che possa insegnare loro come muoversi nel mondo digitale. Sono soli in questa sfida. Si tratta quindi di giovani che al massimo, oggi, hanno 25-26 anni. Se tutto va bene sono entrati nel mondo del lavoro da poco tempo, e difficilmente hanno già posizioni di rilievo all’interno delle organizzazioni nelle quali sono impiegati. Di conseguenza anche il loro salario è consono a questa posizione anche se la loro fortuna è stata quella di entrare in un mercato del lavoro tutto sommato ristretto, che ha spinto verso l’alto questi salari. Almeno fino all’arrivo del Covid-19. Una catastrofe che ha fomentato un pessimismo di fondo. Uno studio della società di consulenza McKinsey rivela che un quarto di loro dubita che possano arrivare alla pensione così come la conosciamo oggi, e metà di loro vede difficile poter possedere una casa. Una condizione che li porta a dare un grande valore ai soldi. Quando spende, la Generazione Z cerca autenticità, qualità. Come detto non conoscono il mondo senza internet, quindi per loro lo shopping online è la normalità, non una novità. E hanno imparato a cercare, confrontare le offerte, in modo facile, stando seduti sul divano. Conoscono le insidie della rete e non si lasciano abbagliare facilmente. Il loro «navigare» è contraddistinto da un sentimento che in molti, soprattutto le generazioni precedenti, hanno dimenticato: lo scetticismo.
Il Covid-19, tra le conseguenze che ancora presenta, mostra il fatto che questa generazione è portata a spendere in modo compulsivo, per avere una sorta di risarcimento per gli anni passati praticamente in casa. Ma le loro risorse economiche sono ancora limitate. Alla loro età i Generazione X (nati tra il 1965 e il 1980) o i Boomers (dal 1945 al 1964) avevano più soldi in tasca. La conseguenza è che molti ventenni acquistano beni e servizi non pagandoli immediatamente. Questo grazie anche alle innumerevoli applicazioni informatiche che facilitano l’accesso a questa forma di shopping a rate, visto che le carte di credito hanno stretto i bulloni sui criteri di concessione. Insomma, compra oggi, paga domani. Sempre secondo McKinsey sarebbero il 43% i giovani europei che nei prossimi tre mesi acquisteranno in questo modo, mentre l’83% dei Boomers dicono un secco no a quello che viene definito «sperpero».
Lo abbiamo detto. Per i Genzers lo shopping è soprattutto online, specialmente tramite lo smartphone, dove tutto è più immediato. Il termine e-commerce è diventato quasi obsoleto. Oggi si parla di always-on purchaser, tradotto si potrebbe dire «consumatori sempre presenti». Cosa significa? Vuol dire che tramite i social media, in special modo Instagram e TikTok si è sempre esposti a pubblicità. Quelle delle aziende tradizionali, ma anche di nuovi marchi, nati nella rete. I social, dunque, sono il miglior veicolo di pubblicità e sono in molti a effettuare acquisti direttamente tramite questi canali.
L’immagine che traspare da questo ritratto dei Genzers potrebbe essere quello di una generazione alienata, vittima del mondo digitale. Forse, ma potremmo dire che non sono molto diversi da chi, quarant’anni fa, rimaneva incollato davanti alla televisione, ammaliato da quanto vedeva, soprattutto con l’arrivo delle tv commerciali, che vivono di pubblicità. La differenza con quanto succede oggi è però enorme. La fruizione della tv, della pubblicità, visto che si parla di shopping, è passiva. La si subisce. Oggi i giovani ricevono molti stimoli pubblicitari sui loro smartphone, ma verificano la bontà di questi annunci. La società di pubbliche relazioni Edelman ha stabilito che sette giovani su dieci, in sei Paesi diversi controllano effettivamente la veridicità degli annunci pubblicitari. E cosa controllano? Soprattutto se le aziende, i prodotti, rispettano valori etici e di sostenibilità, elementi molto importanti per i Genzers quando si tratta di scegliere cosa acquistare. Anche qui i dati sono impietosi. Sempre McKinsey ci dice che da ottobre 2022 nove su dieci tra Generazione Z e Millennials nei tre mesi precedenti hanno cambiato luoghi o marchi con i quali effettuavano acquisti.
Ma alla fine, cosa acquistano i Genzers? Ebbene sono orientati verso prodotti per il benessere e su quelli di lusso. Cose che una volta erano ritenute quasi superflue oggi sono diventate essenziali. Già a 15 anni si inizia ad acquistare prodotti di marca. Come mai? Perché l’ottica è quella di voler dare valore all’acquisto. Qualità, non quantità. Marchi prestigiosi che possono essere acquistati anche di seconda mano, tramite le molte piattaforme specializzate.
I Generazione Z sono consumatori molto attenti al valore dei soldi, ai valori etici. Non sono facili da abbindolare, fanno confronti e sono critici. Ma soprattutto, rappresentano il futuro del commercio. Insomma, le aziende sono avvertite.