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Il ricordo come linfa creativa per gli artisti
Teatro ◆ Al Teatro Pan e al LAC, tra teatro e danza, è andata in scena la memoria
Giorgio Thoeni
Jean-Pierre Changeux, uno dei padri della moderna neurobiologia e delle neuroscienze (Premio Balzan 2001), attento indagatore sull’origine cerebrale della creazione artistica, fra le sue innumerevoli e acute osservazioni aveva anche notato che il processo della memoria nell’uomo fa intervenire non soltanto l’approntamento di percorsi, ma altresì la rilettura di tali percorsi. Sullo stesso concetto di memoria, sui processi di apprendimento, sulla rielaborazione delle esperienze catalogabili nella nostra memoria si sono concentrate molte analisi, ricerche, riflessioni che sono inscindibili dalla realtà che diventa ricchezza di ognuno di noi, archivio e valore collettivo.
Lo sanno bene gli storici, ma anche gli artisti che trovano nella memoria un campo inesauribile per esperimenti su luoghi, immagini e passioni.
Al tema della memoria sono in qualche misura collegate due produzioni andate in scena a Lugano. La prima, del Teatro Pan, è L’arte della memoria, un titolo che sembra preso in prestito da un celebre saggio di Frances Yates del 1972. Lo spettacolo, al suo debutto al Foce, è frutto di una scrittura collettiva che ha coinvolto Cinzia Morandi, Nicola Cioce e Sissy Lou che ne ha anche curato la regia. Prende spunto da un semplice interrogativo: che cosa signi- fica ricordare e attraverso quali immagini si raggiunge quella parte di cervello che alimenta le emozioni?
Morandi e Cioce vi giocano per circa un’ora sfruttando oggetti semplici, un alter-ego riflesso in uno spazio non identificabile, senza tempo.
Un uomo e una donna per un duo teatrale che non si prende sul serio per fare arrivare in sala l’intensità di emozioni ricreate attraverso lo stimolo del ricordo nei suoi vari stadi. In loro c’è padronanza teatrale, ludica, leggera sempre sul limite di un girotondo tematico ben strutturato. Dalle tasche del loro arioso e candido costume di scena spuntano oggetti fra i più disparati, grazie ai quali affiorano alla mente situazioni, sentimenti, età, luoghi e profumi che altrimenti rimarrebbero confinati pigramente nell’ippocampo cerebrale, nell’oblio della quotidianità. È sorprendente come, sulle ultime battute dello spettacolo, ritroviamo disposti su un tavolo tutti gli oggetti protagonisti dei racconti dei due attori, pronti a far rivivere altre avventure aggiungendo nuovi particolari a esperienze vissute. L’arte della memoria è uno spettacolo intelligente, capace di veicolare concetti complessi con esemplare semplicità. Secondo gli autori vorrebbe essere dedicato a un pubblico adulto ma, dopo averlo visto, siamo quasi certi che non dispiacerebbe anche a una platea più giovane. Su un fronte tematico analogo, è e, nel 1975, è la più venduta. Quella della Durium è un’ottima trovata, la serialità delle produzioni discografiche di Papetti induce senza dubbio al collezionismo, tanto più che in copertina donne discinte e in pose seducenti catturano l’attenzione del pubblico. Già il terzo album, infatti, propone in copertina un paio di belle gambe, niente di troppo audace ai nostri occhi, ma i costumi all’epoca stavano cambiando e presto arrivarono i nudi. La prima signorina semi-vestita si palesa con Raccolta 10a che, neppure a dirlo, contiene la cover della provocantissima Je T’Aime… Moi Non Plus. Questo abile stratagemma contribuisce a far conoscere il sassofono e la musica strumentale, ma più di ogni altra cosa crea il binomio sax-seduzione andato in scena CORPOmemory una performance firmata da Ariella Vidach e Claudio Prati (AiEP, Avventure in Elicottero produzioni) alla sua prima assoluta al LAC. In questo caso la memoria riflette un carattere digitale dove un ruolo fondamentale viene assunto dallo smartphone: un corpo tecnologico che è custode della nostra identità e archivia i nostri ricordi: foto, parole, video, indirizzi… a comporre le trame del vissuto. Un oggetto della memoria che il pubblico, seduto a cornice su due livelli di gradini, è invitato a usare interattivamente ponendosi in dialogo con la scena attraverso dei testi, tra i più disparati, che vengono proiettati sui fondali della sala in una studiata sequenza grafica.
Conosciutissimo a livello internazionale, anche con lo pseudonimo Fausto Danieli, Papetti compete artisticamente con altri grandi del sax come Gil Ventura e Johnny Sax. Viene ricordato anche in una scena della pellicola Walk Up, ultima fatica del regista sudcoreano Hong Sangsoo, in cui si vede la copertina di un album di Papetti.
Quest’anno, in occasione del centenario (Papetti nacque il 28 gennaio del 1923), il Museo del Saxofono di Fiumicino gli dedica una mostra e tre concerti mentre Viggiù lo onorerà durante la stagione estiva. Sarà l’occasione per riscoprire questo interprete il cui sound raffinato non smette mai di deliziarci.
È una sfera intima condivisa a confronto con lo spazio e con la danza di Marina Bertoni, Dafne Borgotti, Sofia Casprini, Carola Invernizzi, Ilaria Quaglia con la mobile vocalità campionata di Margherita D’Adamo. La scena si anima, i corpi si agitano dilatandosi individualmente e nell’insieme. Un impatto suggestivo, a tratti frenetico.
Fra parole casuali scritte sul cellulare (anche scatola sonora) fa breccia infine una testimonianza di violenze sulla donna. Una coda d’attualità per non dimenticare che il corpo ricorda Coreografia generosa, concetto postmoderno e platea al completo.