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A Zurigo, a bordo del bus numero 32
Itinerari ◆ Per pochi franchi un tour alternativo nella città sulla Limmat
Simona Sala
Visitare Zurigo significa sempre fare un’indigestione di opulenza. Di impressioni, di design, di cultura, di formazione, di architettura, di negozi e di ricchezza. Dalla Bahnhofstrasse si può ad esempio prendere la strada medievale Rennweg che porta nel cuore più antico della città di Zwingli, tagliato in due dalla Limmat. «Dall’altra parte», dopo avere ammirato il paesaggio dal ponte pedonale Gemüsebrücke, ci si ritrova nel Niederdorf, quartiere che in passato faceva rima con dissolutezza e personaggi a loro modo iconici per una realtà urbana tutto sommato contenuta, e che oggi si riduce a poco più di una piccola e pittoresca strip per turisti, i quali, dopo il Grossmünster, si attardano davanti alla Bodega española o comprano souvenir di frutta secca nel negozio di coloniali Schwarzenbach (aperto nel 1834).
Ma la città sulla Limmat (che un tempo uno striscione lungo i binari della Stazione Centrale annunciava come Zurich = zu reich, ndr «troppo ricca»), pur essendo anche questo, non è solo questo. E per tastare con mano e vedere con i propri occhi la diversificazione e la stratificazione di un contesto urbano situato storicamente a sinistra, nonostante il capitale, e la cui municipalità conta più di 400mila individui (l’area metropolitana arriva sino a 1,8 milioni di abitanti), vale certamente la pena fare un giro con il bus numero 32, che dallo Strassenverkehrsamt (la loro Sezione della circolazione) con il suo ristorante Albisgütli (fondato nel 1839, sede delle riunioni dell’UDC) porta dall’altra parte della città, a Holzerhurd-Affoltern. Insomma, per fare il verso al duo di rapper zurighesi, cosiddetti secondos, L Loko x Drini (all’anagrafe Rafael Luna e Valdrin Hasani), si parte da un luogo ben preciso per finire «irgendwo im nirgendwo» (da qualche parte in nessun luogo).
La tratta catapulta la viaggiatrice e il viaggiatore del 32 (ovviamente elettrico) immediatamente nel cuore della cooperativa d’abitazione Familienheimgenossenschaft Zürich (FGZ), nel quartiere di Friesenberg, Kreis 3. Qui, infatti, laddove in Ticino le cooperative abitative sono una realtà sofferta che da decenni non ce la fa a decollare, la FGZ da ben 99 anni vive di una continua espansione, che la porta oggi a fieramente chiamare propri 2292 appartamenti per un numero complessivo di quasi 6mila abitanti. Il concetto è semplice quanto geniale: alle famiglie con bambini, l’accesso alle casette a schiera con orti e giardini; per tutti, una mobilità ridotta da decenni a 30 km/h, spazi verdi, viali alberati, atelier per artisti, affitti in base al reddito – dove chi guadagna meglio compensa per chi è meno fortunato – e un’architettura estremamente funzionale. Il tutto in una dimensione esistenziale che ricorda più un insediamento di campagna che quello di una grande città. Tant’è vero che la tratta del 32, a un certo punto, incrocia i binari del trenino dell’Üetliberg, la «montagna» degli zurighesi, con i suoi 871m s.l.m.
Lasciata la FGZ, il 32 fa tappa a Goldbrunnenplatz, all’incrocio dei tram delle linee 9 e 14, poi passa davanti alla Zwinglihaus, ora sede dei
Valdesi italiani residenti in città e alla Kalkbreite, dove dal 2004 sorge l’imponente edificio di un’altra cooperativa abitativa, la Genossenschaft Kalkbreite, di cui il quotidiano «Landbote» ha scritto: «Con l’insediamento Kalkbreite si realizza nuovamente un patrimonio di idee della Zurigo dei primi Anni Ottanta». Più piccola rispetto alla FGZ, la cooperativa rappresenta infatti un esperimento sociale, poiché non ospita «solamente» circa 300 abitanti, ma anche altrettanti lavoratori, dispone di molti spazi comuni e di guesthouses pensate per ospitare i visitatori di chi occupa gli appartamenti più piccoli o in condivisione. Davanti all’edificio, in un accostamento quasi improbabile, resiste la minuscola casetta che un tempo accoglieva i clienti del ristorante Rosengarten, risalente a metà 800, salvata dalla demolizione per un soffio e oggi sede di uffici.
La cooperativa abitativa FGZ di Zurigo l’anno prossimo compirà un secolo di vita
Il bus 32, quando compie la curva che lo immette nel lungo rettilineo del «Chreis (Kreis) Cheib» (nomignolo risalente al Medioevo, quando il quartiere, all’epoca comune autonomo, si disfava dei cadaveri degli animali nel fiume) – come viene comunemente chiamato anche il distretto che occupa il quartiere della Langstrasse – sembra quasi volere prendere lo slancio necessario ad attraversarlo. La manciata di chilometri urbani che scorre parallela al bus (che in questo luogo, Kreis 4, per alcuni diventa il «Junkie Express» in una chiara allusione a certi illeciti) rappresenta un microcosmo o ecosistema a sé stante, e come ogni ecosistema che si rispetti, nell’era in cui viviamo, è a rischio estinzione.
A negozi discount di calze, mutande e fondi di magazzino venduti a prezzi modici, si sostituiscono ristoranti asiatici (il più celebre è Lily’s, con i suoi oltre vent’anni di attività e le due filiali a Sihlfeldstrasse e Basilea), uno degli ultimi cinema pornografici della città (ora vuoto, che si può affittare fino a fine 2023), studi Tattoo e vecchie bettole piene di omaccioni dai baffi folti e la camicia sbottonata sul petto (quelli che qualche decennio fa ispiravano Harry Hasler, personaggio di punta del comico svizzero tedesco Viktor Giacobbo), alternati a catene di franchising più o meno note.
Sulla strada e nei vicoli laterali, intanto, tra una sauna particolare e l’altra, sfrecciano eserciti di corrieri anche giovanissimi che ricordano Easy Rider per quelle loro bici elettriche di ultima generazione ispirate alle Harley Davidson. I negozietti 24/7 gestiti da asiatici spuntano ovunque come funghi, offrendo come da tradizione superalcolici a prezzi stracciati, e minando così, a detta di molti cittadini, la «tradizione movidara» della Langstrasse, di luoghi che sono molto più di un bar, diventando spesso un’espressione sociale, come il Chicago, il Lugano, Schickeria o l’Olé Olé.
La Langstrasse è sempre punteggiata da un formicolio umano vario e variamente dissoluto, incurante del prossimo (poco importa se si gira in pantofole e vestaglia o in un completo elegante) che si suddivide tra chi sembra avere un traguardo nella propria giornata, e chi invece aspetta, in attesa, ad esempio, di clienti. O utenti. O potenziali criminali, come indicano le volanti della Polizia che spuntano qua e là. La prostituzione – ragazze in hotpants o vestiti succinti anche in pieno inverno – è infatti tornata ad affacciarsi prepotentemente in strada, a qualsiasi ora del giorno e della notte, e lo si nota soprattutto dopo il fallimento dell’esperimento dei sexbox dello Strichplatz Depotweg, con il quale la municipalità aveva cercato di portare l’amore a pagamento ai margini della città e in luoghi sorvegliati. Negli androni, pusher e maneggioni di natura varia indugiano in attività più o meno lecite, invisibili agli occhi indifferenti di studenti che, a bordo della bicicletta, hanno eletto il quartiere intorno alla Langstrasse a proprio luogo di appartenenza.
Come spesso succede nelle grandi città, quando artisti e giovani si inna- morano di un quartiere dimenticato dallo sviluppo, è un attimo affinché questo si trasformi in un luogo di culto, e ciò è successo anche alla Langstrasse, che in pochi anni ha visto crescere a dismisura il proprio appeal di luogo hype, anche perché si trova pur sempre a una manciata di minuti dalla Stazione Centrale. E così, quasi a ridosso di bar e negozietti di paccottiglia, avanza colossale un quartiere nuovo, lussuoso e inarrivabile per la gente del quartiere 4.
Anche la Langstrasse, il vivace quartiere oggi alla moda, subisce il diffuso fenomeno della gentrificazione
Il faraonico investimento delle FFS nella creazione di edifici raffinati, in cui prontamente si sono trasferite banche e altre istituzioni, ha dato infatti vita alla Europaallee, dove gli affitti per un 3,5 locali possono toccare anche i settemila franchi mensili. Gentrificazione, la chiamano i sociologi, ma per parte degli abitanti e per chi è affezionato alla Langstrasse si tratta solo di affermazione del capitale, e lo sa bene chi ha dovuto abbandonare commerci decennali per l’impennata dei costi d’affitto, riunendosi in associazioni che vorrebbero porre un freno al fenomeno urbano che sta divorando tutto. Restano ancora un paio di baracche degli operai e una casetta di più di un secolo fa appollaiati lungo i binari della ferrovia (li si vede sulla destra arrivando dal Ticino in treno), nelle perpendicolari alla Langstrasse. Ma hanno anche loro i giorni contati.
Terminata la corsa lungo la «strada lunga» il paesaggio si apre sullo slargo di Limmatplatz, capeggiato dal grattacielo della sede della MGB, la Federazione delle cooperative Migros; passato il ponte Kornhausbrücke, si risale verso Bucheggplatz. In basso, i bagni del Letten, desolanti nel grigiore tipico del gennaio zurighese, un tempo emblema di un problema con le tossicodipendenze sfuggito a ogni forma di controllo e assurto alle cro- nache internazionali: quando negli anni Novanta il Platzspitz, scena di spaccio a cielo aperto, fu finalmente sgomberato, gli junkies si limitarono infatti a muoversi qualche centinaio di metri più in là, al Letten.
Fino a qualche anno fa, il 32 si fermava a Bucheggplatz, ma ora la sua tratta è stata allungata di qualche tappa (il 32 conta in tutto 26 fermate, 8 sono quelle nuove), a dimostrazione dell’irrefrenabile espansione della città, che fagocita quelli che fino a qualche tempo fa erano comuni periferici. Percorrendo l’ampio viale lanciato in direzione Katzensee si capisce subito perché la zona si sia guadagnata l’appellativo di no man’s land. A differenza della FGZ, dove ogni metro quadrato è progettato e votato alla funzionalità e al benessere degli abitanti, o della Langstrasse, dove il colorato caos multietnico dà una botta di vita fin quasi anarchica alla città di Zwingli, qui tutto sembra essere lasciato al caso, o forse ancor più al disinteresse. A chiese (cattoliche o protestanti? a tratti risulta difficile stabilirlo) dall’architettura a metà strada tra la sobrietà e il coraggio degli Anni Sessanta e Settanta, si alternano casette a schiera, mentre sullo sfondo, qua e là, crescono palazzi-alveare dalla personalità poco delineata e dall’aria decontestualizzata. Poi, una segheria, struttura in legno come se ne vedono ancora nella Svizzera più rurale, asili nido, incroci di strade, il campo di un contadino.
Un paesaggio punteggiato da dissonanze, verrebbe da dire, e che al visitatore lascia una sensazione di smarrimento ma che, come dimostrano diversi articoli e reportage, gode dell’apprezzamento e della dedizione totale dei propri abitanti, cui basta in fondo solamente ancora qualche chilometro per ritrovarsi nell’idillio naturalistico che rappresenta uno dei tratti distintivi della Svizzera. A patto di andare nella direzione giusta, voltando le spalle alla città.