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È araba l’origine del deep frying

Gastronomia ◆ Risalirebbe al Trecento dell’anno Mille la prima ricetta dei falafel come pietanza fritta

Allan Bay

Nel 2016 vi presentai, rapidamente, la cucina araba. Elencandone i piatti più significativi. Oggi vi voglio parlare di un piatto in particolare: i falafel. È però necessaria una premessa. Quella araba è una cucina che amo molto, soprattutto quando di alta gamma, come la trovai a Bangkok qualche decennio fa, curata dalla brigata di un super ristorante di Beirut, girovago durante la lunga guerra civile libanese, o come quella – anche se non sempre altrettanto alta – incontrata in viaggi di lavoro, soprattutto in Egitto e Iraq.

Due cose mi divennero presto chiare: punto primo, definirla araba, che è una lingua, è fuorviante, anche perché è sarebbe una generalizzazione; i vari Stati hanno le loro tradizioni, e dunque – se proprio la si vuole definire – sarebbe meglio definirla del Vicino Oriente e del Nord Africa; punto secondo, quella che conoscevo era la variante comunque relativamente alta, diciamo quella dell’ecumene urbana, quindi mercantile, di questi paesi. Anche a Milano frequentavo, seppur non molto, alcuni ristoranti cosiddetti arabi, per lo più di tradizione siro-libanese che facevano prevalentemente piatti popolari molto curati.

Ne seppi di più quando, sempre troppi anni or sono, conobbi un coetaneo siriano, per lavoro, che si occupava di editoria. Veniva spesso a Milano ed era un ottimo cuoco. Quando arrivava, io gli insegnavo piatti italiani ed europei, lui piatti arabi, più che altro siriani e della Mezzaluna fertile. Lui amava la cucina ma solo nella versione popolare – io amo le versioni alte, invece. Tenete conto che, popolare o non popolare, una delle caratteristiche storicamente salienti di quella cucina è il lavoro complesso di lavorazione degli ingredienti aggiunti a una cottura rapida, poiché il lavoro costava poco, mentre il combustibile era caro.

Torniamo a oggi, anzi a pochi giorni fa: scrivendo dell’arte di friggere, sono inciampato sui falafel. Ho scoperto che il friggere, come lo intendiamo noi, ma quello vero – cioè con l’ingrediente del tutto immerso in un grasso, quello delle patatine fritte, il deep frying, (termine inglese per il quale non esiste un’efficace, speculare traduzione italiana) – è una tecnica «recente».

Più precisamente, il nome deep frying si attesta attorno al XX secolo, ma la tecnica è precedente (sebbene non altrettanto antica del lessare, dell’arrostire, eccetera; le prove sono comunque poche). Sembra nata attorno all’anno Mille; il primo documento scritto sopravvissuto è comunque solo del XIV secolo; scritto in arabo, guarda caso, parla di friggere i falafel.

Detto questo, non mi resta che darvi la ricetta, utilizzando la misura degli ingredienti per quattro persone. Mettete a mollo in acqua fredda per 24 ore 500 g di fave secche, girandole di tanto in tanto; in seguito scolatele, sciacquatele, eliminate la pellicina esterna e sciacquatele ancora. Mettetele quindi in un frullatore e aggiungete 2 cipolle rosse affettate e stufate con poca acqua per 10 minuti (se si frullano da crude ossidano e diventano amare), 2 o più spicchi di aglio, prezzemolo, cumino e coriandolo a piacere, 2 cucchiai di farina, poco sale e 1 punta di lievito in polvere. Frullate bene, trasferite in una ciotola e fate riposare per 30 minuti.

Formate poi delle polpette grandi come noci, schiacciatele e lasciatele riposare ancora per 15 minuti. Scaldate abbondante olio di semi e friggete i falafel finché non saranno ben dorati. Vanno serviti caldi con tahina (crema di semi di sesamo tostati e frullati) che si trova anche nelle filiali della Migros (Alnatura – Mousse de sésame Tahin).

Vediamo come si fanno altri tre piatti della tradizione araba. Kibbeh (ingredienti per 4 persone). Il kibbeh (nella foto) è una specie di tartara, ma esistono anche delle versioni cotte. Mettete a bagno in acqua fredda 120 g di bulgur per 20’, scolatelo e strizzatelo molto be-

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