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Viaggiatori d’Occidente Stepsover: dalla motocicletta al camion

Non capita spesso di trovare la coda davanti a una piccola libreria di viaggio: sono nel centro di Verona, in via Stella, a poca distanza da piazza delle Erbe e dalla casa dei più famosi amanti infelici («O Romeo, Romeo!

Perché sei tu Romeo?»). Scopro subito che oggi la libreria Gulliver accoglie due viaggiatori fuori dal comune, Lucia e Simone.

La loro storia inizia molti anni fa. Lui milanese, informatico; lei fiorentina, impiegata nelle risorse umane di una grande multinazionale. Quando si conoscono li accomuna una passione assoluta per la motocicletta e i lunghi viaggi, ai quali riservano per intero ferie e risparmi.

Una prima svolta nella loro vita avviene per caso durante un viaggio in Marocco, quando vedono un camion parcheggiato nel bel mezzo del lago Iriki, prosciugato con la costruzione della diga di Ouarzazate, mentre il suo proprietario si gode il paesaggio comodamente seduto su una sedia pieghevole. È una folgorazione, o meglio una conversione: di colpo i due motociclisti percepiscono tutti i limiti del loro mezzo di trasporto.

All’inizio del 2015 Lucia e Simone bruciano tutti i ponti alle loro spalle. Nel giorno di san Valentino per trentamila euro acquistano in Baviera un gigantesco camion MAN già utilizzato dall’esercito danese. Valentino (inevitabile chiamarlo così) viene ricoverato in un capannone alle porte di Milano, dove anche i suoi nuovi padroni si trasferiscono, per risparmiare. In due anni di lavoro febbrile, con un cospicuo investimento iniziale e un’abilità manuale fuori dal comune, Lucia e Simone trasformano il vecchio camion militare in un mezzo solido, efficiente e affidabile, adatto per viverci tutto l’anno senza dipendere da piazzole di sosta o al-

Passeggiate svizzere

Il tea-room Widmer di Burgdorf

Negli itinerari elvetici di un cacciatore di tea-room antiquati non può mancare, credo, Burgdorf. Comune principale dell’Emmental, tredici minuti di treno da Berna, sedicimilaottocentosedici anime, un castello, sulla sponda sinistra dell’Emme, centro storico in cima a un promontorio dove all’inizio della via acciottolata che sale alla chiesa, sotto le arcate di molassa grigia-olivastra pallida, al primo piano, si trova una rimarchevolissima sala da tè desueta. Risalente al 1944, attraverso la sua combinazione di legno di ciliegio e pelle rosa antico, il tea-room Widmer di Burgdorf (569 m), colpisce all’istante. La storia del luogo è legata ai Burgdorferli, pasticcini cilindrici inventati nel 1924 da Adolf Erhard Nadelhofer (1877-1945), pasticcere alsaziano fondatore di questa confiserie nel 1904. Ancora oggi sono messi in mostra, in vetrina, dentro scatole di carta giallo senape con sopra numerose medaglie delle esposizioni internazionali varie, intorno all’antico castello zähringhiano. Ne provo uno, in compagnia di un earl grey. A forma di mini japonais, si tratta di un pan di Spagna ricoperto di cioccolato. Non ne vado matto, va detto. Ottimo invece l’earl grey, miscela di un negozio locale che si chiama come i famosi fratelli tedeschi delle fiabe. Oltre all’essenza di bergamotto, stupisce e rallegra la presenza blu dei petali di fiordaliso. Deluso dai Burgdorfeli, cerco con lo sguardo le venature ben illuminate dei lambrì totali, a tutta parete, in magnifico legno lieto di ciliegio. La boiserie si completa con un amabile bancone circolare, al quale sono abbinati due tabouret da bar in tinta con tutto quanto. Diciassette tavolini dello stesso legno, strutturati secondo uno schema di separé e panche imbottite di pel-

Sport in Azione

tri servizi, insomma una vera e propria casa su quattro ruote. Nell’aprile 2017 Valentino è pronto per il viaggio inaugurale.

Dopo aver venduto (o regalato) tutto quello che possiedono, e lasciati i rispettivi lavori, Lucia e Simone cominciano una nuova vita nomade col progetto Stepsover

In attesa di decidere quale direzione prendere, i due scelgono nuovamente il Marocco, ben conosciuto, per mettere alla prova il nuovo veicolo. L’idea iniziale è tornare poi in Europa e puntare verso le distese dell’Asia centrale. Invece dal Sahara occidentale si spingono fino a Dakar, in Senegal, e lì s’imbarcano su una nave cargo diretta in Sudamerica. Dopo un mese di traversata sbarcano in Uruguay. Viaggiano attraverso Argentina, Brasile, Bolivia e Cile, per poi puntare verso la Patagonia. Da lì risalgono poi tutto il continen-

di Claudio Visentin

te americano sino all’altro estremo, in Alaska.

Il senso del viaggio si rivela poco per volta, alternando improvvise accelerazioni a lunghe pause, per godere della bellezza dei luoghi o per dedicarsi alla manutenzione di Valentino. La vita quotidiana si rivela sorprendentemente economica senza le spese per l’alloggio: un migliaio di franchi al mese bastano e i risparmi vengono utilizzati solo per le emergenze, anche perché Lucia e Simone cominciano a guadagnare con lavori online e attraverso la condivisione di video su YouTube.

I due coraggiosi viaggiatori hanno conquistato strada facendo una vasta popolarità, incrociando diversi temi prediletti dal pubblico. Oltre naturalmente alla passione per il viaggio, c’è il desiderio diffuso di spezzare le catene della routine, mollare tutto per cambiare vita e seguire liberamente le proprie passioni (downshifting). Anche la parte più tecnica, la descrizione degli interventi meccanici per trasformare un vecchio veicolo adattandolo perfettamente ai propri gusti e bisogni, intercetta l’interesse diffuso per la vanlife, la vita on the road Proprio la promozione del loro ultimo libro (Cambio di rotta. Stepsover. Dall’Italia all’America: il giro del mondo che ha cambiato la nostra vita, Sperling & Kupfer) li ha portati oggi in libreria a Verona, ma nel tempo dei social il libro è un canale di comunicazione come tanti altri, e quest’oggi in particolare sembra servire soprattutto ai fan per chiedere un autografo. Nonostante il successo Lucia e Simone sono umili, gentili con tutti, ma si capisce che questa è per loro solo una breve pausa; cinque anni dopo il gran salto nel vuoto, guardano già lontano, alla ripresa del loro viaggio. le rosa antico sopra una delle quali, un pomeriggio verso la fine di gennaio, mi lascio tentare dall’Apfelstrudel con la salsa alla vaniglia, come c’è scritto su una lavagnetta vicino alle finestre. Una costellazione di ventiquattro sedie modello Kronenhalle, ideate nel 1931 a Glarus per il famoso ristorante di Zurigo, qui in una rara variante sempre in legno chiaro di ciliegio e pelle rosa antico, aggraziano ulteriormente la sala e amplificano l’effetto boiserie. Sul vassoietto argentato, dove è appoggiata la tazza floreale di tè, trovo inciso, in maiuscolo, Confiserie Nadelhofer. Il nome Widmer è venuto solo nel 1985, con l’arrivo di Hanspeter Widmer e la moglie Jill. Da ventitré anni sono Karin e Jürg Rentsch a continuare la tradizione della confiserie-tea room al numero sette della Kirchbühl. Senza cambiare, grazie al cielo, neanche una virgola del décor, non

Re Marco, l’ultimo monarca delle nevi

Il regno di Marco Odermatt rischia di durare poco. Il vincitore della scorsa edizione della Coppa del Mondo di sci alpino, nonché dominatore di quella attuale, avrebbe i mezzi per prolungare il suo regno. Non ha ancora compiuto 25 anni. Domina con facilità disarmante in due discipline, gigante e superG. Presto o tardi riuscirà ad apporre il suo sigillo anche sulla discesa libera. Ci sono tutte le premesse affinché possa inanellare un filotto degno del monarca che lo ha preceduto. L’austriaco Marc Hirscher, prima delle estemporanee imprese del norvegese Aleksander Aamodt Kilde e del francese Alexis Pinturault, ha messo in bacheca otto Sfere di cristallo, tra il 2012 e il 2018. Considerando che tra i ventenni di oggi, per ora, non si intravedono fenomeni planetari, tutto lascerebbe supporre che lo sciatore nidvaldese possa quantomeno avvicinare le cifre del campione di Annaberg im Lammertal. Con ogni probabilità non sarà così. A meno che le comunità alpine non decidano di sacrificare tutto sull’altare dello sci. Tutto, significa investire massicciamente nell’innevamento programmato e artificiale. Ma significa anche essere consapevoli del fatto che ciò comporterebbe un travaso di priorità, dalle esigenze della comunità a quelle di una ristrettissima élite di competitori.

In un contesto in cui prende sempre più piede l’idea che, per tentare di frenare il surriscaldamento del pianeta, si debba assolutamente attuare la decarbonizzazione a favore di energie pulite e rinnovabili, è lecito chiedersi se è giusto trasportare con gli elicotteri la neve sulle piste di Gstaad, oppure investire acqua e soldi, per disegnare ad Adelboden una striscia praticabile per due giornate di gare. L’ottimista che si nasconde in me, sogna che la comunità scientifica si stia sbagliando e che dopo un paio di stagioni avare di neve si possa tornare al favoloso inverno 2020-2021, durante il quale le ciaspole erano necessarie anche per andare a fare la spesa. Tuttavia, la mia parte razionale, che ama leggere e documentarsi, teme che climatologi, glaciologi, geologi e scienziati di varia formazione abbiano ragione. Siamo al capolinea. O quanto meno siamo all’ultimo rilevamento intermedio prima del traguardo.

Un altro aspetto da non sottovalutare è l’impatto delle scioline fluorate sul territorio. Si tratta di sostanze tossiche la cui biodegradabilità è quasi impossibile. Secondo una ricerca commissionata dalla Federpesca grigionese, documentata dalla rivista «Pro Natura Magazine», risulta ad esempio che in Engadina si pesca l’80% in meno rispetto a 20 anni or sono, e che nei laghetti sui quali in hanno voluto neppure cambiarne il nome. Sono persino rimaste alcune curiose specialità, lasciate in eredità da Jill Widmer-MacLean (19372016), cresciuta a Edimburgo. Come la Sheperd’s pie, un pasticcio di carne di agnello ricoperto di puré o gli scones. Ideali con il tè, da spalmare con panna speciale e marmellata. La cameriera di nome Sandra, con il taglio alla Erika Hess e il dono dell’ubiquità, mi porta l’Apfelstrudel che cospargo subito di salsa calda alla vaniglia. Adesso si ragiona, erano secoli, perdipiù ora nevica e si aggiunge così un ingrediente fatato. I fiocchi di neve che cadono riescono sempre a incantarmi. Entra in scena un signore anziano con un cappello di astrakan e un cappotto antico che sembra uscito da un racconto di Čhecov. Scendo a studiare il repertorio dei dolci. Degno di nota, il corrimano sinuoso in legno ancora di ciliegio che segue, con tonalità accese verso il rossiccio, tutta la scala a chiocciola che porta alla confiserie del pianterreno. I Luxemburgerli, come vengono chiamati a Zurigo i mini macarons colorati databili al 1957, qui a Burgdorf si chiamano Edinburgerli La notiziona però, sempre per mantenere il tocco britannico portato dalla signora Jill, è la presenza invitante della Lemon pie. A onor del vero e visto che sono legato alla torta al limone a partire da quella indimenticabile sulle piste da sci di Vulpera una vita fa, devo provarla. E si rivela, per me, la vera specialità: crema giallognola leggerissima, ricoperta da una favolosa superficie di meringa. Anche se l’atmosfera fuori moda che ritorno a contemplare, vince su ogni golosità. Il legno di ciliegio, ormai leitmotiv ossessivo dal quale sono catturato, rallenta il battito cardiaco. La nevicata sembra seria. inverno si pratica lo sci di fondo, un pesce su due ha assimilato i fluorocarburi contenuti nelle scioline. Gli ambientalisti più apocalittici sostengono che neppure la somma di scelte consapevoli e virtuose riuscirebbe a invertire la tendenza. Ovviamente non ho strumenti né per approvare, né tantomeno per confutare. Semplicemente spero. Non me ne voglia Marco Odermatt. Vorrei che il suo regno durasse fino al nono sigillo. E che dopo di lui giungessero altri campioni in grado di dare ancora vita a quel fantastico gioco intitolato «Chi è il più grande di tutti i tempi». Ma temo che non sarà così. Godiamoci questi ultimi scampoli di spettacolo e cominciamo a pensare seriamente a come potrebbero essere reinventati il turismo e lo sport in montagna. In fondo nulla e nessuno ci impedisce di camminare, correre, arrampicarci, pedalare, volare con il parapendio, o con la tuta alare, fare canyoning e altro ancora. Basterebbe un’idea originale per sostituire degnamente una disciplina sportiva come lo sci alpino che storicamente ci regala emozioni profonde e senso di appartenenza al nostro territorio.

Da anni lo ski jumping è praticato anche sull’erba. La stessa cosa accade con lo skiroll, perfetto sostituto dello sci di fondo. Perché non provarci anche con lo sci alpino? Chissà che, con una semplice e banalissima trovata, non si riesca a dare continuità all’epopea di Marco Odermatt e nel contempo a salvare e alimentare ulteriormente un settore fondamentale dell’economia di molti Paesi. E poi diciamocela tutta. Questa auspicabile idea geniale, ci porterebbe a Wengen, Courchevel o Kitzbühel anche d’estate, a seguire in bermuda, maglietta e infradito le imprese degli sciatori. Vuoi mettere, che vita!

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