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BNS, cinquant’anni di politica monetaria

L’anniversario ◆ Dopo il crollo del sistema di cambi fissi, nel gennaio 1973 la Banca Nazionale Svizzera si rende più autonoma

Ignazio Bonoli

Cinquant’anni fa, il 23 gennaio 1973, la Banca Nazionale Svizzera (BNS) decideva di abbandonare il sistema dei cambi fissi. Fu la prima, fra le banche centrali europee, che decise di sganciarsi dal riferimento al dollaro americano e di praticare una politica dei tassi di cambio autonoma. Il sistema in vigore le imponeva, infatti, di acquistare una grande quantità di valute estere per mantenere il tasso di cambio del franco svizzero entro i limiti consentiti. La decisione fu in realtà una conseguenza del primo scossone subito dal sistema dei cambi fissi, quando gli Stati Uniti decisero di non più legare il dollaro a un prezzo fisso dell’oro: gli storici 35 dollari per oncia di oro fino. L’annuncio venne fatto nell’agosto del 1971 dal presidente Richard Nixon, ma già in precedenza le tensioni erano aumentate sui vari mercati monetari.

Intanto il franco svizzero cominciava ad assumere il ruolo di bene rifugio. Al punto che, più che altro per dare un segnale, il Consiglio federale aveva deciso, già nel mese di maggio del 1971, di rivalutare del 7% il franco svizzero. Anche in Svizzera la calma durò pochissimo e in agosto vi fu quello che venne definito lo «shock Nixon». Chiaramente la misura della rivalutazione del franco non servì a quasi nulla, poiché gli acquisti di franchi all’estero continuarono senza sosta. Molti esportatori svizzeri la criticarono fortemente, temendo un aumento dei prezzi all’esportazione dei loro prodotti, compreso il turismo. A poco valsero anche i ripetuti moniti del Consiglio federale, tra cui, nel 1972, il divieto agli stranieri di acquistare beni immobili in Svizzera, nonché una sorta di «interessi negativi» (chiamati «commissioni») sull’aumento di depositi di stranieri in franchi svizzeri.

Tuttavia, la domanda di franchi non diminuì e la Banca Nazionale Svizzera accumulò enormi riserve di dollari. Nel solo giorno del 22 gennaio 1973 affluirono in Svizzera dollari per un miliardo di franchi. La BNS decise – come detto in entrata – di abbandonare il sistema e di iniziare a praticare una politica monetaria autonoma, in difesa degli interessi della Svizzera. Tra i tentativi di rimettere un po’ d’ordine vanno ricordati gli «Accordi dello Smithsonian», dal nome dell’istituto di Washington nel quale si svolse l’incontro dei dieci maggiori Paesi industrializzati, il 17 e il 18 dicembre 1971. Qui gli Stati Uniti decisero una svalutazione del dollaro. Questo provocò un’ulteriore rivalutazione del franco svizzero del 6,4%.

Benché il sistema dei cambi fissi mostrasse tutti i suoi limiti, le banche centrali avevano continuato a praticare una politica di stabilizzazione dei tassi di cambio. Il sistema era nato nel 1944 con i famosi «Accordi di Bretton Woods». In pratica si chiedeva a tutti i Paesi di evitare la corsa alle svalutazioni competitive che avrebbero condizionato la ripresa economica, dopo i disastri della Seconda guerra mondiale. In cambio gli USA si impegnavano a mantenere il prezzo fisso dell’oro a 35 dollari l’oncia. In sostanza si manteneva il sistema del «tallone aureo» un po’ annacquato, con il dollaro che manteneva il ruolo di moneta di riferimento, ma non fu più convertibile in oro. Nell’immediato dopoguerra gli Stati Uniti avviarono però una politica di deficit spending, che comportò un’elevata inflazione. A causa dei cambi fissi gli altri Paesi importarono a loro volta l’inflazione, poiché una massa enorme di dollari invase il mondo intero. All’esterno degli Stati Uniti circolarono più dollari che all’interno. Washington venne meno al ruolo di garante dell’intero sistema. Già nel 1973 la BNS aveva deciso di non più intervenire sui mercati delle divise. Nel 2011 prese però una decisione molto importante. Quella di difendere il franco tramite un tasso fisso con l’euro. Ma questo tentativo di rilanciare il sistema, almeno a livello europeo, ebbe una durata limitata. Nel 2015 la BNS ne annunciò la fine e con essa l’abbandono totale del sistema dei cambi fissi, sostituito dal cosiddetto floating generalizzato. Allora non si trovavano soluzioni di ricambio né sul piano teorico, né su quello pratico.

Si imposero però le teorie dell’eco- nomista americano Milton Friedman che consigliavano alle banche centrali una stretta sorveglianza della massa monetaria in circolazione. Attuate in parte già dal 1975, queste teorie non impedirono comunque un forte apprezzamento del franco su altre valute, soprattutto dollaro ed euro. Già nel 1978 la BNS aveva però provato a definire un tasso di cambio fisso con il marco tedesco. Interventi nei cambi furono attuati in varie circostanze. Nel 1999 la BNS aderì alle idee sviluppate dal Fondo Monetario Internazionale, secondo cui la politica monetaria doveva perseguire l’obiettivo di un tasso d’inflazione costante tra lo 0 e il 2%.

Seguirono politiche che produssero una grande quantità di moneta in circolazione con interessi a tasso zero. La guadagnata libertà di manovra permette ora di lasciar apprezzare il franco in modo da non importare l’inflazione che domina in Europa, provocata essenzialmente dal costo dell’energia e dalle difficoltà di approvvigionamento in materie prime. In 50 anni di movimenti finanziari estremi, la BNS ha accumulato molte esperienze ed è ora in grado di decidere quanto ritiene meglio per il mantenimento della stabilità dei prezzi e, se necessario, sostenere la congiuntura, come figura attualmente anche nella Costituzione federale.

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