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L’apporto degli stranieri all’economia svizzera

La notizia della popolazione terrestre che ha superato gli 8 miliardi di abitanti ha destato un certo scalpore. Più vicina a noi, quella che la Svizzera supererà quest’anno i 9 milioni di abitanti, ha pure suscitato qualche allarme. Scrivevamo all’inizio dell’anno che la Svizzera continua, però, a manifestare un tasso di natalità molto basso e, quindi, non in grado di garantire un rinnovo generazionale. Per cui l’aumento di popolazione è dovuto essenzialmente all’immigrazione. Il bilancio demografico dato dal numero di nascite in rapporto al numero di decessi sarebbe quindi negativo senza questo apporto dall’estero, per cui la popolazione dovrebbe diminuire. In Svizzera, dopo la crisi della pandemia da Covid, la ripresa dell’economia ha messo in evidenza una penuria di mano d’opera in parecchi settori. L’immigrazione ha quindi contribuito ad attenuarla.

La SECO (Segreteria di Stato dell'economia) ne deduce, nel 18esimo rapporto dell’Osservatorio sulla libera circolazione delle persone tra la Svizzera e l’Unione europea, che l’immigrazione ha quindi sostenuto la crescita dell’economia. E per supportare questa tesi prende l’esempio del settore informatico. Un ambito che ha avuto una crescita molto forte, in questi ultimi anni, e che ha praticamente esaurito il potenziale di mano d’opera nazionale, con un tasso di attività del 92,2% e un tasso di disoccupazione dell’1,6%. Settore in cui i salari sono superiori alla media. In questo campo, la mano d’opera estera raggiunge già quasi un terzo delle persone attive, mentre, per l’insieme dell’economia, la proporzione di attivi stranieri è del 26%, sul totale dei posti di lavoro nell’economia generale.

L’apporto in questo settore non è dato solo dagli immigrati dei Paesi dell’UE, ma in buona parte anche dall’India, dalla Gran Bretagna e dagli Stati Uniti. Questa quota è particolarmente significativa in un settore come quello informatico che è in forte crescita. Questo significa però anche che l’immigrazione dovuta alla libera circolazione con l’UE ha praticamente esaurito il suo potenziale per alcuni profili professionali specifici. Le considerazioni della SECO hanno dato luogo a un ampio dibattito, in parti- colare dopo che la NZZ ha pubblicato un articolo dal titolo significativo: «La Svizzera cresce in larghezza», a causa di un livello di produttività debole. La crescita economica, a cui contribuisce l’immigrazione, è dovuta in gran parte al miglioramento delle prestazioni per salute e formazione e a un aumento delle attività dello Stato per l’infrastruttura e aiuti ai cittadini. Una crescita «in larghezza», senza effetti tangibili sul benessere della popolazione.

A queste critiche rispondeva il capo della Direzione del lavoro della SECO con un’analisi del PIL tra il 1971 e il 2021. In questo periodo la crescita è stata del 48,9%, ma nel contempo la popolazione è aumentata da 6,8 a 8,7 milioni di abitanti, cioè del 24,2%, quasi la metà del PIL. Anche in rapporto alla popolazione attiva (+23,3%) la proporzione cambia di poco. Se però si considera il PIL in rapporto alla popolazione attiva (+12%) la crescita del PIL sale al 36,9%. Quindi i tre quarti del PIL so- no dovuti al volume globale del lavoro utilizzato e quindi a una migliorata produttività del lavoro. Non solo, ma se consideriamo il rapporto con tempo lavorato – che è diminuito di 134 ore annuali per lavoratore – si deve concludere che la produttività del lavoro è effettivamente aumentata. In realtà negli ultimi 20 anni è diminuita, in particolare dal 2008: si è passati dal 1,45% all’1,015% nel 2021 e questo proprio in concomitanza con la libera circolazione delle persone.

Un’indagine recente dello studio Sotomo di Zurigo conferma la tendenza a ridurre le ore di lavoro fra i lavoratori in Svizzera. Crescono le richieste di orario ridotto e si fa strada l’idea della settimana lavorativa di quattro giorni. E questo nonostante il fatto che l’orario di lavoro sia stato ridotto da 43,2 ore nel 1991 a 41 ore settimanali. Tenendo conto dei numerosi tempi ridotti, l’orario medio di lavoro si ridurrebbe dalle 35 ore nel 1991 a 31,7 ore nel 2019. Oggi oltre un terzo degli occupati lavora a ora- rio ridotto. Per sostituire la minore propensione al lavoro si deve per forza ricorrere alla mano d’opera estera, che contribuisce così alla produzione di ricchezza nel Paese. Ovviamente la forte immigrazione comporta incisivi cambiamenti economici e sociali. Cambiamenti che suscitano reazioni in alcuni strati della popolazione e anche della politica. Integrandosi nel sistema svizzero anche gli immigrati ne assumono pregi e difetti. Si può quindi dire che il contributo è pari più o meno a quello degli svizzeri, tenendo comunque presente che l’immigrazione è indispensabile per l’economia svizzera. Sul piano politico, l’immigrazione di quasi 75’000 stranieri, anche nel 2022 (da gennaio a novembre), suscita qualche reazione. Sul piano economico non si può però dimenticare che vi sono 252’000 posti di lavoro non occupati. Ma è appunto mettendo a confronto questi dati che può nascere l’impressione che la Svizzera stia creando posti di lavoro per gli stranieri.

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