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Pubblicazioni ◆ Gli scritti ticinesi dell’Ottocento e del Novecento in un’antologia di Tiziano Tommasini

«Mondo fermati, voglio scendere!». Il sentimento di vivere al centro di un vorticoso movimento, più acceso all’inizio di ogni nuovo anno, contraddistingue oramai da tempo le nostre giornate, al punto che se dovessimo tradurre la vita di oggi in un semplice grafico geometrico sarebbe sicuramente un’iperbole, di quelle che partono piano e di colpo si impennano verso il cielo. Cresce la complessità, crescono i numeri, i dati, gli scambi, gli allarmi, le sostituzioni… L’ipotesi stessa dello «stare al passo con i tempi», almeno per una grossa fetta della società, è divenuta addirittura velleitaria. «La nostra non è un’epoca di cambiamenti», ci metteva giustamente in guardia Papa Francesco all’inizio del suo pontificato, «ma un cambiamento d’epoca». Poi uno vorrebbe però anche le istruzioni per l’uso.

È questa infatti un’opera che ha l’ambizione di dirci chi eravamo e chi (forse) non siamo più

Simili pensieri, speriamo non troppo pessimisti, zampillano spontaneamente mentre rigiro tra le mani la nuova pubblicazione dello storico Tiziano Tommasini, edita da Armando Dadò. Un poderoso volume concepito in realtà (e per fortuna) in modo leggero, stuzzicante, quasi a voler suggerire una fruizione spontanea e sussultoria, come un uccello che salti contento di ramo in ramo. Un lavoro che deve averlo impegnato per anni, con dedizione e acribia, e che alla fine non si sa bene sotto quale cappello mettere. Viene in aiuto un sottotitolo che recita «antologia di scritti ticinesi dell’Ottocento e del Novecento»; ed è sicuramente tale, ma non si parla di letteratura, o comunque non solo, e la parte antologica non sembra nemmeno preponderante se paragonata alla lunghezza dei cappelli introduttivi, nei quali si dà ampio spazio invece alla biografia di personalità (della politica, della scienza, della cultura) del Ticino dei tempi che furono, non esclusi testimoni di assai più umile estrazione.

Dotati come siamo di una capacità di memoria sempre più scarsa e selettiva, sarei tentato di imbastire un quiz e sottoporre a bruciapelo a qualche classe del Luganese o del Locarnese il solo indice del volume, che mette in fila – rigorosamente in ordine alfabetico – un Brenno Bertoni e un Piero Bianconi, un Emilio Bossi e un Francesco Chiesa, un Felice Filippini e un Luigi Lavizzari, su su fino a Giuseppe Zoppi. Ma questi erano quelli facili: per molti altri, quasi ignoti pure a chi scrive, si potrebbe facilmente riattivare la categoria dei Carneadi (Guglielmo Buetti, Geo Flavio Cavalli, Luigi Maggetti, e ancora Giuseppe Bonenzi, Fulgenzio Chicherio, Giuseppe Strozzi…).

Che farsene dunque di questa pletora di nomi (77) che riemergono come per incanto dalle nebbie della storia e per i quali Tommasini non teme di rispolverare l’appellativo di «maestri di casa» (fu il titolo di un celebre almanacco) in un’epoca come la nostra in cui i concetti stessi di «maestro» e di «casa» hanno subito contraccolpi non indifferenti? E come mettere in un medesimo scomparto l’artista Giocondo Albertolli, il linguista Carlo Salvioni e un curioso personaggio come il venditore ambulante Anselmo Mombelli?

E l’agronomo Alderige Fantuzzi da che parte sta? La risposta, che coincide con gli indubbi meriti di questo libro, andrebbe ricercata non tanto negli aspetti storici e culturali, bensì in quelli latu sensu civici e sociali: è questa infatti un’opera che ha l’ambizione di dirci chi eravamo e chi (forse) non siamo più. Di distinguerci dagli innumerevoli luoghi del pianeta in cui ricorrono, come qui, le stesse quattro-cinque idee che sono uguali in tutto il mondo (e lo specifico di ciascuno dove va a finire?).

Di rimetterci, in una parola, di fronte a quelle radici che troppo in fretta abbiamo segato all’altezza dei piedi.

Pur senza farne un dramma, prendiamo ad esempio le commoventi pagine di Augusto Ugo Tarabori (1891-1969), docente e alto funzionario della pubblica amministrazione, sull’importanza dello studio e sul fascino che una «metropoli» come Locarno poteva esercitare su un giovane ragazzotto dell’Onsernone: «La rivelazione di un più ampio orizzonte venne, come ho detto, soltanto il giorno in cui, girando attorno a una specie di torre rudimentale, vidi schierate all’ingiro, da ogni parte, centinaia di vette d’ogni forma e di ogni grandezza. […] E laggiù in fondo alla mia valle […] la città ch’io non conoscevo, ed era la meta dei miei sogni infantili: la città alla quale si recavano le genti del villaggio per il mercato del bestiame; la città donde essi tornavano recando meraviglie».

Oppure, questa sì una disarmante lezione di senso civico, le peripezie del conservatore Anselmo Mombelli di ritorno dalla Francia del Sud appena in tempo per le elezioni in Valle di Muggio: «Il mese di gennaio 1872 ricevo questo telegramma: – Ti aspetto domenica a Sagno per votare. Erennio Spinelli. – Non avevo tempo da perdere, la medesima sera mi sono imbarcato per Ge- nova […]. Sono giunto a Sagno il sabato sera e la domenica sono andato a Caneggio per votare Spinelli, Fortini e Bernasconi. Pochi giorni dopo ritornai subito a Marsiglia». Noi facciamo fatica ad apporre una croce sopra un foglietto e a sigillare una busta preaffrancata.

Il risultato è un’antologia di uomini, più che di testi, entro la quale la presenza femminile è giocoforza in linea con i tempi (minoritaria)

Tra le più gustose, in bella gara con il primo viaggio in automobile descritto da Emilio Bossi nel 1907 («Francamente avevo paura…»), le esplorazioni attorno al Globo del locarnese Emilio Balli, meritevoli certo di una nuova e disincantata attenzione: «Verso mezzodì lo Stretto di Magellano si allargò e potemmo di lontano scorgere l’Oceano Pacifico […] ed eccoci, alle due circa, vicino ad un altro canotto di selvaggi. […] Io ne vestii uno di un paio di mutande vecchie e di un gilet di flanella, gli misi davanti una scatola di “Sardines de Nantes” che divorò con ingorda avidità e ne feci oggetto de’ miei studi».

Ce n’è insomma per tutti i gusti, in questa raccolta per la quale l’autore ammette di essersi ispirato, da un lato, all’antologia di letterati ticinesi che il giornalista Angelo Nessi non era riuscito a terminare (morì nel 1932), incrociandone le intenzioni, dall’altro, con il Dizionario storico-ragionato degli uomini illustri del Canton Ticino del francescano Gian Alfonso Oldelli (1733-1821). Il risultato è infatti un’antologia di uomini, più che di testi, entro la quale la presenza femminile è giocoforza in linea con i tempi (minoritaria), eppure abbastanza significativa: si inaugura con la pedagogista Angelina Bo- naglia e si chiude con la scrittrice Anna Volonterio, senza dimenticare Alina Borioli, Teresa Bontempi, Maria Boschetti Alberti, Luigia Carloni Groppi e altre pioniere della cultura e della didattica ticinese.

Personalmente mi sarei fermato forse all’Ottocento, senza grandi sconfinamenti in epoche a noi prossime, anche soltanto per il rischio –consueto in questi casi – di stimolare il gioco del chi c’è e chi non c’è (c’è Plinio Martini, non ci sono gli Orelli; c’è Giovanni Lepori ma non il figlio Giuseppe, avvocato, giornalista, scrittore e consigliere federale). Ma va bene così, vorrà dire che ci terremo la fame per la prossima volta.

Bibliografia

Tiziano Tommasini, I maestri di casa. Antologia di scritti ticinesi dell’Ottocento e del Novecento, prefazione di Matteo M. Pedroni, Armando Dadò Editore, 2022.

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