Azione 12 del 18 marzo 2024

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SOCIETÀ

Il segreto dei centenari sarà indagato durante il Lugano Longevity Summit

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TEMPO LIBERO

Fondista svizzero, Franco Belletti ha partecipato a cinque Giochi paralimpici, di cui quattro invernali

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I figli divisi tra due case

ATTUALITÀ

La nostra democrazia diretta è a rischio? Per alcuni non sempre la volontà popolare viene rispettata

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edizione

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MONDO MIGROS

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CULTURA

Faccia a faccia con lo scrittore cubano Pedro Juan Gutiérrez autore de Il re dell’Avana

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Simona Ravizza

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Vi fareste un selfie col dirottatore?

La principessa taroccata o il «selfie» con il dirottatore? Quale fra queste due fotografie britanniche è più maldestra? Mi riferisco ai due scatti di cui si è disquisito a lungo la settimana scorsa: da una parte la prima immagine ufficiale della principessa di Galles, Kate, dopo l’intervento chirurgico all’addome di gennaio, diffusa per la Festa della Mamma nel Regno Unito lo scorso 10 marzo e, dall’altra, la foto che Ben Innes, il passeggero del volo Egypt Air MS181 si è fatto scattare il 29 febbraio accanto al dirottatore dell’aereo, Seif Eldin Mustafa.

Le due immagini non hanno nulla in comune e attestano situazioni completamente diverse. Nel primo caso si tratta di un Photoshop che, se fosse stato pubblicato da un utente internet qualsiasi su Facebook o Instagram, nessuno ci avrebbe ricamato su Delitto e castigo. Ma visto che l’immagine in questione riguarda la famiglia reale inglese,

dettagli risibili come il non allineamento della manica e della mano sinistra di Charlotte, figlia di Kate e William, diventano crisi di Stato. Al punto che le maggiori agenzie fotografiche come Associated Press e Reuters si sono rifiutate di pubblicarla per non diffondere una foto palesemente manipolata. La goffa ammissione di colpa di Kate, rea confessa del ritocco, non ha placato le polemiche e c’è chi parla di «rottura del rapporto di fiducia tra i sudditi e la casa reale». D’accordo che vige il mistero sulle reali condizioni di salute della moglie del prossimo monarca inglese, ma nella sua storia Buckingham Palace ha già vissuto episodi assai più torbidi. Se basta un ritratto taroccato coi figli per mandare a rotoli un Regno plurisecolare, la Corona è messa male. Nel secondo caso, forse sottoposti allo stress di un dirottamento (meno terribile di quanto sembrasse: la cintura esplosiva indossata dal prota-

gonista era finta), finiremmo anche noi col perdere il controllo. Piangendo, magari. O urlando. Certo che farsi immortalare di fianco a un tizio che, per quanto ne sapevano i passeggeri, avrebbe potuto ucciderli tutti dopo un minuto, sembra una gag da film trash di serie C. Andate a vedere la fotografia: il faccione deforme del passeggero che è lì lì per scoppiare, il suo sorriso artificiale, l’espressione indecifrabile del dirottatore, che comunque si presta all’assurdo ritratto. Non sembra uno sketch di avanspettacolo venuto male? È poi saltato fuori che il dirottatore era «psicologicamente instabile» e avrebbe agito solo per richiamare l’attenzione della moglie (potenza degli amori malati!). Ma anche il passeggero qualche problemino ce l’ha se persino sua madre, sul Guardian, ha definito il gesto del figlio «stupido». Due casi diversi, dicevamo. Ma entrambi rivelano qualcosa di importante sul rapporto che ab-

biamo con le immagini. E con la verità: la prima foto sembra vera ma è finta e la seconda sembra finta ma è vera. Come mai?

La società dell’immagine è narcisa, l’apparenza è tutto. C’è un patto silenzioso, in rete: tutti modificano le proprie foto per abbellirsi. Piccole innocue bugie che alla fine ci abituano alla grande bugia del falso generalizzato, all’impossibilità di sapere se ciò che vediamo corrisponda al vero oppure no. Viceversa, nelle situazioni eccezionali – metti l’incontro casuale con una star, o un dirottamento – scatta l’istinto alla cattura sul telefonino dell’attimo straordinario per diffonderlo subito online. Come a dire «io c’ero», appartengo all’alone di gloria, fosse anche tragica, dell’evento che immortalo. Alla fine, non mi interessa la verità dei fatti e dell’immagine, ma la possibilità di ottenere un diluvio di visualizzazioni. Ancora una volta: appaio, quindi sono.

Settimanale di informazione e cultura Anno LXXXVII 18 marzo 2024 Cooperativa Migros Ticino
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Carlo Silini

Scelte vincenti per il futuro

Sostenibilità ◆ Alla giornata Innosuisse di Lugano è stata presentata l’esperienza virtuosa del Mulino di Maroggia e la sua collaborazione con Migros Ticino

La riflessione attorno al tema della sostenibilità è un processo attivo e centrale sulla scena economica odierna. Nel settore della produzione alimentare, in particolare, la necessità di trovare nuovi approcci gestionali e nuove tecnologie rispettose dell’ambiente non è più soltanto un’opzione facoltativa: è un elemento essenziale, in rapporto alle sfide con cui ci confronta la situazione ecologica del periodo in cui stiamo vivendo.

La conferenza tenuta a Lugano il 7 marzo scorso, organizzata da Innosuisse, l’Agenzia svizzera per la promozione dell’innovazione, ha affrontato questo tema, dedicandogli un pomeriggio intitolato «Sistemi alimentari sostenibili». Obiettivo dell’incontro era promuovere incontri e scambi tra attori del settore agroalimentare svizzero e mostrare concretamente le esperienze di alcune start-up attive oggi con nuovi orientamenti per la produzione. I dati statistici generali sull’argomento sono del resto piuttosto eloquenti: come ha fatto notare Lorenzo Ambrosini, Managing Director della Fondazione ticinese AGIRE, circa il 10% delle emissioni in eccesso di CO2 al mondo sono prodotte semplicemente dagli scarti alimentari non utilizzati, mentre lo spreco di cibo produce una «montagna» pari a 2,8 milioni di tonnellate l’anno.

Questi e altri numeri ricordati durante gli interventi degli invitati sono tutt’altro che tranquillizzanti: sono stati evocati non per suscitare un allarmismo fine a sé stesso, ma al contrario per mettere in rilievo alcuni esempi positivi di iniziative messe in campo nell’affrontare il problema. La stessa Christina Senn-Jakobsen, Managing Director della Swiss Food & Nutrition Valley, a fronte di una serie di considerazioni inevitabilmente preoccupanti sulla situazione globale, ha manifestato un chiaro ottimismo in merito alla possibilità di un cambiamento di rotta e di un recupero delle possibilità di miglioramento

complessivo nei rapporti tra la gestione della produzione alimentare e il comportamento dei consumatori.

E proprio nel contesto di una riflessione positiva, si è iscritta in modo particolare l’esperienza vissuta in Ticino dal Mulino di Maroggia, esempio che è stato proposto nel corso del pomeriggio. Un caso emblematico di intervento economico in cui sono stati presi in considerazione, in modo molto preciso, i vari fattori di sostenibilità ambientale, con l’obiettivo di migliorare sia la qualità del prodotto, sia l’efficacia del processo produttivo, ciò che comprende anche la gestione della catena distributiva del prodotto stesso.

Proprio in quest’ultimo aspetto, naturalmente, è risultata fondamentale la collaborazione del Mulino con Migros Ticino, che è da decenni uno dei principali partner commerciali dell’azienda di Maroggia. La testimonianza di Alessandro Fontana, Direttore del Mulino, ha illustrato ai numerosi ospiti presenti i passi compiuti per la ricostruzione e la rimessa in funzione dello stabilimento dopo il drammatico incendio del novembre 2020. Ulteriori precisazioni sull’intervento di ricostruzione sono state fornite anche da Stefan Birrer, Managing Director del Bühler Group, la ditta sviz-

zera che ha fornito l’apparecchiatura tecnica. Fontana ha spiegato in particolare come nel nuovo Mulino siano stati ottimizzati i processi produttivi proprio in una prospettiva di miglioramento di tutti gli aspetti legati alla sostenibilità della lavorazione, con una diminuzione globale, misurabile e concreta, nelle emissioni di CO2 In seguito Mattia Keller, direttore di Migros Ticino, ha ricordato come proprio la Cooperativa ticinese giochi un ruolo importante nella messa in vendita dei prodotti del Mulino. Si tratta di specialità che fanno parte da tempo della linea dei prodotti «Nostrani del Ticino», una linea che propone oggi circa 680 articoli lavorati da 50 produttori locali, per un fatturato totale di circa 21 milioni di franchi annui. L’impegno complessivo di Migros Ticino, va ricordato, produce una ricaduta economica importante sul nostro territorio: Mattia Keller ha ricordato in sintesi che per ogni 100 franchi di cifra d’affari di Migros Ticino ben 38 franchi ricadono sul nostro territorio in forma di indotto economico.

In definitiva, il vivace e interessante evento luganese ha mostrato come nel nostro Cantone sia attiva oggi una chiara sensibilità per il tema della sostenibilità alimentare, impegno che si concretizza nell’attività di numerose start-up del settore, ma che trova anche il sostegno concreto delle autorità cantonali e comunali sensibili all’argomento. Non vanno dimenticate inoltre le numerose iniziative avviate all’interno della SUPSI e di altri istituti legati alla ricerca, tra i quali fondazioni private come la già citata AGIRE.

In questo dinamico contesto, attento alle necessità del futuro, anche la nostra Cooperativa sta svolgendo il proprio ruolo, tenendo ferma fino in fondo la propria vocazione di azienda vicina alla necessità della comunità. Necessità che oggi si traducono in una sempre maggiore e fattiva attenzione ai temi ambientali. / Red.

Un’ultima raclette al Bellavista

Concorso ◆ Due ticket

marzo

ultima serata della stagione dedicata alla raclette

Il Buffet Bellavista, situato a 1200 metri lungo la linea che porta in vetta al Monte Generoso, offre una serie di serate all’insegna della buona cucina regionale.

Il prossimo 30 marzo ci sarà l’ultimo appuntamento con la raclette.

Il menù comprende salumi, raclette a buffet con cetriolini, patate e cipolle, TiraminVetta.

Concorso «Azione» mette in palio due ticket per il 30 marzo 2024 che includono ciascuno un biglietto andata e ritorno a bordo del trenino a cremagliera e la cena di tre portate. Per partecipare al concorso mandare una e-mail a giochi@azione.ch (oggetto «raclette»), indicando i propri dati, entro domenica sera 24 marzo 2024 (estrazione 25 marzo). Buona fortuna!

Per un nuovo Serfontana

Info Migros ◆ Migros Ticino avrà un ruolo da protagonista nell’importante ristrutturazione

Il Centro Serfontana, nato da un progetto di Franco Bircher, nel Ticino meridionale è un’istituzione da 50 anni. Sia come luogo preferito per lo shopping, sia come luogo d’incontro. Ora, giusto in tempo per il 50esimo anniversario, è stato fatto il primo passo verso una nuova era. Dopo una lunga fase di preparazione e pianificazione, all’inizio del 2024 sono cominciati i lavori di rilancio del centro. Dal 2024 al 2026 il centro commerciale sarà completamente rinnovato sulla base del tessuto edilizio esistente, dotandosi così di un’infrastruttura all’avanguardia, di un nuovo layout della parte commerciale e di un nuovo look.

Il primo centro shopping svizzero a emissioni zero di CO2 Il team del progetto ha presentato i dettagli della ristrutturazione giovedì scorso. Si tratterà di un’operazione importante che coinvolgerà sia gli interni sia gli esterni. L’interno sarà aperto verticalmente, in modo che i clienti abbiano una visione chiara su tutti e quattro i piani, dal piano terra alla terrazza. All’esterno, la facciata verde renderà il centro vivace e invitante, a segnalare anche visivamente che il Serfontana è il primo centro commerciale in Svizzera a zero emissioni di CO2. Grazie all’innovativa tecnologia di costruzione con energia solare e recupero del calore, una parte dell’elettricità potrà essere prodotta sul tetto del centro, permettendo così una rinuncia completa ai combustibili fossili.

Dove e quando Serata raclette sabato 30 marzo 2024, Buffet Bellavista.

Orari: partenza da Capolago ore 19.00, discesa da Bellavista ore 21.30.

Prezzi: Trenino e menù a 3 portate, bevande escluse: adulti CHF 60.–; ragazzi 6-15 anni CHF 40.–; bambini 0-5 anni treno gratuito.

Info e prenotazioni www.montegeneroso.ch

Il più grande «hub della mobilità elettrica» in Ticino La prima apertura avverrà nel corso dell’estate. I lavori di costruzione del più grande «polo della mobilità elettrica» del Ticino sono iniziati: con i suoi 20 Supercharger Tesla e le 18 stazioni di ricarica di Energie 360°, il Centro sarà molto apprezzato anche dai proprietari di auto elettriche.

L’investimento di Migros Ticino

Migros Ticino avrà un ruolo da protagonista nella ristrutturazione, gra-

zie a un investimento complessivo di 10 milioni di franchi. Come ha spiegato il direttore Mattia Keller, «Migros Ticino ci crede, perché è convinta dell’importanza del radicamento nel territorio. Questo ci permette di mantenere i posti di lavoro, in linea con il senso di responsabilità che ci contraddistingue. Si tratta di un investimento importante deciso anche in seguito alla valutazione delle nuove esigenze e dei nuovi bisogni della clientela, così che, al momento della riapertura l’offerta si presenti altamente attrattiva grazie a un supermercato di ultimo grido con un assortimento completo. Crediamo molto nel progetto, per questo, nonostante le difficoltà causate da una congiuntura sfavorevole e la concorrenza data dalla vicinanza con il confine, abbiamo deciso di parteciparvi con entusiasmo». Migros Ticino sarà presente con quattro attività nel rinnovato centro: oltre a un nuovo supermercato realizzato secondo i più alti standard Migros a livello nazionale e con un assortimento calibrato sulle esigenze della popolazione, vi sarà anche un nuovo formato di ristorazione rappresentato da un TakeAway Migros di ultima generazione, già testato nei maggiori centri svizzeri, il tutto in un ambiente moderno e luminoso dotato di un’ampia terrazza. Anche il punto vendita Vinarte sarà soggetto a un’operazione di restyling, mentre – per la gioia degli amanti del movimento – sarà inaugurata una nuova filiale di Activ Fitness.

Il Centro rimarrà aperto anche durante i lavori di ammodernamento

Per il capo progetto Frank Bell di PRIVERA AG «il centro commerciale rimarrà aperto per tutta la durata della ristrutturazione, sebbene alcuni negozi potranno cambiare temporaneamente la propria ubicazione. Tra questi vi è il supermercato Migros, che è stato spostato al piano terra per la prima fase dei lavori. I lavori dureranno fino al 2026». I nuovi spazi commerciali Migros e Denner, la nuova farmacia e il centro fitness al secondo piano apriranno già nel dicembre del 2024. L’investimento totale sarà di 100 milioni di franchi.

Settimanale di informazione e cultura Anno LXXXVII 18 marzo 2024 azione – Cooperativa Migros Ticino MONDO MIGROS 2 azione Settimanale edito da Migros Ticino Fondato nel 1938 Abbonamenti e cambio indirizzi tel +41 91 850 82 31 lu–ve 9.00 –11.00 / 14.00 –16.00 registro.soci@migrosticino.ch Redazione Carlo Silini (redattore responsabile) Simona Sala Barbara Manzoni Manuela Mazzi Romina Borla Natascha Fioretti Ivan Leoni Sede Via Pretorio 11 CH-6900 Lugano (TI) Telefono tel + 41 91 922 77 40 fax + 41 91 923 18 89 Indirizzo postale Redazione Azione CP 1055 CH-6901 Lugano Posta elettronica info@azione.ch societa@azione.ch tempolibero@azione.ch attualita@azione.ch cultura@azione.ch Pubblicità Migros Ticino Reparto pubblicità CH-6592 S. Antonino tel +41 91 850 82 91 fax +41 91 850 84 00 pubblicita@migrosticino.ch Editore e amministrazione Cooperativa Migros Ticino CP, 6592 S. Antonino tel +41 91 850 81 11 Stampa Centro Stampa Ticino SA Via Industria – 6933 Muzzano Tiratura 97’925 copie ●
30
2024,
in omaggio per il
Ser Rendering
Il Direttore di Migros Ticino in occasione di Innosuisse. (Ma.Ma.)

Da Lugano al Carditello

Gli oggetti della collezione di Claudio Giannelli raccontano 4000 anni di storia del cavallo

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Lugano Longevity Summit Il 25 marzo all’USI si parlerà di invecchiamento e dei segreti dei centenari

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Ecosistemi a rischio Preoccupano l’insostenibilità dello sviluppo antropico sulle coste e i violenti fenomeni meteo

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Un coniglio per amico Grazie al lavoro di Michele Gobetti, la dolcissima Sumo allieta gli anziani di Morcote

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Figli con due case, non sempre tutto fila liscio

Il caffè delle mamme ◆ A colloquio con la psicologa Federica Invernizzi Gamba, direttrice del Consultorio familiare di Lugano e Bellinzona, per capire come aiutare bambini e adolescenti a dividersi tra due abitazioni dopo il divorzio dei genitori

Simona Ravizza

Previsto dalla legge (in Svizzera addirittura dal 1907, e dal 2000 «senza colpa»), spesso irrinunciabile quando un amore finisce anche se la conseguenza dolorosa è di fare scoppiare una famiglia: «Stare insieme a tutti i costi per i figli, senza più volerlo veramente – scrive la psicoterapeuta Stefania Andreoli – è tra le versioni più vigliacche dello spogliarsi delle proprie responsabilità, e tra quelle con gli effetti più a lungo termine rispetto alla crescita e alla costruzione, nella mente di un figlio, di un’idea di cosa siano l’amore, l’impegno, il progetto, la coppia, il coraggio, la verità e la felicità». Eppure ancora oggi il divorzio, con le sue conseguenze, è tra gli argomenti più dibattuti la mattina a colazione a Il caffè delle mamme. Confronti accessi sul da farsi, ricerca di soluzioni, a volte lacrime agli occhi.

«Mio figlio vuole restare dalla mia ex moglie perché detesta fare la valigia e portarsi i libri di scuola da una casa all’altra»

Il cuore della questione sono i figli che irrimediabilmente si trovano ad avere due case: il trasferimento da un genitore all’altro il mercoledì, a fine settimana alternati, o una settimana dalla mamma e una con il papà, è spesso motivo di insofferenza di bambini e adolescenti. Difficile non comprenderli: lo sbattimento è innegabile. Purtroppo non sono isolati i casi in cui i figli a un certo punto decidono di non volere più andare da uno dei due: l’ultimo racconto di un’amica è di stamattina, la scorsa settimana era quello di un amico, e prima ancora quello di una coppia di amici. Ognuno con la propria storia: «Non vogliono più andare dal papà perché con lui si annoiano!» (10 e 13 anni); «È tornato a stare dalla mamma dopo un anno che stava prevalentemente qui perché lei è più accondiscendente» (16 anni); «Vuole restare con la mia ex moglie perché detesta dovere fare la valigia e portarsi i libri di scuola da una casa all’altra» (15 anni).

Ci sono stati i decenni del padre-bancomat: assegni di mantenimento esorbitanti, accompagnati dalla mortificazione di potere vedere i figli soltanto due fine-settimana al mese. Il rischio è di ritrovarsi papà poi poco ingaggiati a livello educativo e figli che perdono una figura di riferimento importante. Poi la svolta degli ultimi anni: l’affidamento adesso è sempre più spesso condiviso, ma i figli possono – e con buone ragioni – vivere male il ritrovarsi un po’ qui e un po’ là. «Come fare?», è la

A volte i ragazzi con genitori separati sono stufi di spostarsi da una casa all’altra, il consiglio è di ascoltarli e trovare soluzioni su misura. (Freepik.com)

domanda che si solleva con forza a Il caffè delle mamme: «Il desiderio di restare in una casa sola anche a scapito del rapporto con l’altro genitore è un capriccio di figli che non sono capaci di adattarsi? Oppure è una richiesta legittima da assecondare, soprattutto in caso di adolescenti?». È un dilemma a cui – meglio ammetterlo subito – noi non siamo in grado di rispondere. Troppo coinvolte. Così invitiamo a Il caffè delle mamme la mediatrice familiare Federica Invernizzi Gamba, 49 anni, laurea in Psicologia a Ginevra, dal gennaio 2020 direttrice del Consultorio familiare dell’Associazione comunità familiare: il Consultorio familiare opera dal 1971, su mandato cantonale, nelle sedi di Lugano (in Via Trevano 13) e di Bellinzona (in Viale Stazione 2) e accoglie le persone, le coppie e le famiglie offrendo loro servizi di consulenza e mediazione. «Non c’è mai una regola che vada bene per tutti i casi. Non è un campo di certezze assolute. Meglio le soluzioni su misura – premette Invernizzi Gamba –. Dopodiché possiamo tentare di mettere alcuni punti fermi». Eccone 5.

Uno. La decisione sulla gestione dei figli – quando stanno con chi e quanto – è sempre meglio non farsela calare dall’alto dall’autorità giudiziaria sulla base di regole astratte. È consigliabile trovare prima un accordo condiviso tra genitori: se è troppo difficile per l’alto livello di conflittualità è possibile farsi aiutare dai mediatori familiari. L’obiettivo dovrebbe essere quello di valutare con onestà il tempo reale che ciascun genitore ha a disposizione per stare con il figlio quando è il suo turno. E decidere tenendone conto. Una soluzione condivisa, basata sulle reali possibilità di ciascuno (soprattutto lavorative, ma non solo), è più facile da accettare anche per i figli che non si trovano sballottati da una parte all’altra inutilmente.

Due. Non cadere da genitori nella trappola della rabbia: dietro l’affidamento dei figli non può esserci una questione economica, né il desiderio di farla pagare all’ex coniuge. Il pensiero di farseli affidare quanto più possibile per riuscire a ottenere un assegno di mantenimento più alto –o viceversa per pagare meno –, non deve neppure sfiorarci! Come posso-

no dei bambini/adolescenti accettare lo scombussolamento di saltare da una casa all’altra se dietro non ci sono neppure delle buone ragioni? Più i genitori se li contendono, più è complicato per loro non farsi condizionare e spostarsi serenamente da una parte all’altra. Il rischio è che decidano di chiudere con uno dei due genitori per tirarsi fuori dal campo di battaglia. Tre. Il tentativo dev’essere sempre quello di avere modelli educativi non troppo diversi: se i figli in una casa, per esempio, non hanno regole e nell’altra possono fare quello che vogliono, a lungo andare si ritrovano disorientati e la conseguenza prima o poi sarà scegliere quello che più gli fa comodo: «Voglio restare con la mamma!», «Voglio restare con il papà!».

Quattro. Anche quando è il nostro turno, i figli devono avere la possibilità di organizzare il tempo in base alle proprie esigenze: fare le attività sportive, vedere gli amici, andare a un compleanno. Il diktat «Non uscire perché voglio stare io con te» rischia di farli scappare a gambe levate! È meglio concedere spazi di libertà e cercare di tenere a bada la nostra

insicurezza. Anche se spesso lo sforzo è immane.

Cinque. La nostra speranza deve essere che i figli stiano il meglio possibile anche nell’altra casa: essere gelosi della nuova compagna del papà piuttosto che del nuovo marito della mamma e mettere zizzania può spingerli ad allontanarsi da uno dei due genitori. Gli affetti si moltiplicano e non vanno mai in sottrazione: prima di tutto lo dobbiamo capire noi adulti.

Insomma, secondo Federica Invernizzi Gamba, quando la valigia di un figlio è così pesante da non riuscire a essere spostata da una casa all’altra, spesso dentro non ci sono solo vestiti o libri, ma anche altri problemi. Il più delle volte causati dal comportamento di noi adulti. Ascoltare i figli per cercare di capire cosa passa loro per la testa diventa, dunque, la cosa più importante. Il resto è vita quotidiana: e non ci resta che cercare di sfangarla il meglio possibile. Nell’interesse –unico ed esclusivo – dei bambini che certo avrebbero preferito due genitori insieme per tutta la vita. Ma l’«E vissero felici e contenti», purtroppo, non è una condizione automatica.

SOCIETÀ ● ◆ Settimanale di informazione e cultura Anno LXXXVII 18 marzo 2024 azione – Cooperativa Migros Ticino 3

Un piatto tenero e succulento

Attualità ◆ Il coniglio arrosto è una specialità che conquista anche i palati più difficili. Questa settimana alla tua Migros ti aspetta un’offerta particolarmente vantaggiosa su questa saporita carne bianca

La carne di coniglio, bianca e meno grassa della carne di pollame, è particolarmente apprezzata anche alle nostre latitudini, soprattutto arrostita al forno. Contiene inoltre importanti sostanze nutritive e risulta meglio digeribile rispetto ad altre tipologie di carne. È pertanto indicata per l’alimentazione di anziani e bambini. Tra i benefici per la salute, si possono per esempio citare il contenuto di proteine di alta qualità, il basso tenore di grassi saturi nemici del colesterolo e la buona presenza di vitamine del gruppo B e minerali quali ferro, magnesio, fosforo e potassio.

Abbinamenti e cottura

Il coniglio possiede una carne gustosa e delicata che si presta a innumerevoli preparazioni. Solitamente viene cucinato a pezzi. Si abbina bene a diverse erbe aromatiche che affinano il piatto rendendolo ancora più appetitoso. È tuttavia consigliabile non eccedere troppo con i condimenti per non compromettere il sapore delicato della carne. Tra le erbe e piante più indicate, possiamo citare il rosmarino, l’alloro, l’aglio, il timo, la salvia, l’origano o il prezzemolo. La carne di coniglio deve essere servita ben cotta per essere considerata sicura dal punto di vista igienico-sanitario. Una cottura in forno di almeno un’ora e mezza a ca. 180°C dovrebbe essere sufficiente affinché la carne risulti cotta in modo uniforme. Idealmente la carne è pronta per essere servita quando raggiunge una temperatura interna di ca. 72°C.

È arrivato l’aglio orsino

Attualità ◆ Una pianta aromatica che trova molti impieghi nella nostra cucina

Azione 33%

Coniglio tagliato

In self-service, per 100 g Fr. 2.20 invece di 3.30 dal 19.3 al 25.3.2024

La ricetta Coniglio con pomodori aromatizzati

Ingredienti per 4 persone

• 1,5-2 kg di coniglio tagliato non disossato

• 1 cucchiaino di miscela di spezie per carne

• 3 cucchiai d’olio d’oliva

• 6 pomodori

• sale marino

• 4 spicchi d’aglio

• 2 mazzetti d’erbe aromatiche, ad es. rosmarino, timo, origano

• 1 bustina di zafferano

• 2,5 dl di vino dolce, ad es. sauternes

Come procedere

Scalda il forno statico a 200 °C. Condisci la carne, disponila in una brasiera ampia e irrora d’olio. Rosolala in forno per ca. 20 minuti, girandola una volta. Taglia i pomodori in quattro parti, salali leggermente e aggiungili al coniglio. Distribuisci l’aglio, le erbe e lo zafferano e bagna il tutto con il vino. Copri con un coperchio o carta alu e cuoci in forno per 30 minuti. Togli il coperchio e termina la cottura per altri 30 minuti. Regola di sale. Accompagna con dei tagliolini o del risotto.

L’aglio orsino è un autentico messaggero della primavera. Quando la natura comincia a risvegliarsi, nei nostri boschi spunta spontaneamente questa erba aromatica dal profumo inconfondibile che rammenta quello del suo parente più stretto, l’aglio comune. Si caratterizza per il suo aspetto con foglie lunghe e strette dal colore verde brillante. Predilige luoghi ombreggiati con suolo umido ricco di nutrimento. Al momento della raccolta è importante non confonderlo con due piante simili, il colchico e il mughetto, poiché queste ultime sono velenose. Per andare sul sicuro è sufficiente strofinare le foglie tra le dita per riconoscere subito il caratteristico odore di aglio. L’aglio orsino è considerato anche particolarmente benefico per il nostro organismo. In cucina l’aglio orsino è in grado di arricchire molte ricette con il suo sapore delicato e fresco. La pianta è totalmente commestibile e può essere impiegata per aromatizzare zuppe, salse, pesti, risotti, insalate, verdure, carni, pesce e molto altro. Una curiosità: il nome dell’aglio orsino deriva da fatto che, secondo una credenza popolare, la pianta sia il primo cibo che gli orsi trovano una volta usciti dal letargo invernale.

Aglio orsino Bio

100 g Fr. 3.90

In vendita

nella maggiori filiali Migros

Settimanale di informazione e cultura Anno LXXXVII 18 marzo 2024 azione – Cooperativa Migros Ticino MONDO MIGROS 4

Piaceri esclusivi per tutti

Attualità ◆ Non mancano le proposte pasquali della linea premium Sélection. Tra queste, naturalmente anche la colomba

In occasione delle festività pasquali – ma non solo – perché non concedersi qualcosa di particolarmente sfizioso e ricercato? Con i prodotti firmati Sélection è davvero un gioco da ragazzi poiché, oltre a essere squisiti, sono anche offerti con buon rapporto qualità-prezzo. Dall’aperitivo all’antipasto, dal piatto forte al dessert, questa linea gourmet della Migros offre oltre duecento specialità accuratamente selezionate per la loro elevata qualità e notorietà. Insomma, prodotti genuini in grado di trasformare ogni momento in un’occasione davvero speciale. Per Pasqua Sélection ha introdotto diverse bontà supplementari, tra cui alcune limited edition disponibili solo per un breve periodo. Una di queste è senz’altro la colomba artigianale Sélection, una hit pasquale prodotto dal panificio ticinese della Migros a S. Antonino. Rispetto alla colomba tradizionale, questo prodotto dolciario si contraddistingue per la ricchezza degli ingredienti, la lunga lievitazione naturale con lievito madre e l’aggiunta di sfiziosa frutta secca nell’impasto, nella fattispecie albicocche, fichi secchi e noci. Una vera delizia esclusiva per la gioia dei palati sopraffini.

Azione 20%

Tutto l’assortimento Sélection*

fino al 25.03.2024

Settimanale di informazione e cultura Anno LXXXVII 18 marzo 2024 azione – Cooperativa Migros Ticino MONDO MIGROS 5
Annuncio pubblicitario Colomba artigianale Sélection 500 g Fr. 14.95* invece di 18.70

La storia del cavallo è partita da Lugano

Incontri ◆ La collezione dell’avvocato Claudio Giannelli racconta 4000 anni di vicende equestri ed è considerata la più grande al mondo. Ora sarà affidata al Real Sito di Carditello in provincia di Caserta

C’erano una volta una contessa e un imprenditore. Un giorno la contessa (Paolina Baracca) disse all’imprenditore (Enzo Ferrari): «Metta sulle sue macchine il cavallino rampante del mio figliolo. Le porterà fortuna». Il figlio al quale la contessa si riferiva altri non era che il capitano Francesco Baracca (www.museobaracca. it), eroe della Prima guerra mondiale che lo vide combattere con l’immagine del cavallino rampante dipinta sulla fusoliera del suo aereo, in onore del suo reggimento e del suo cavallo della razza governativa di Persano. Il cavallino si trasferì così dai cieli alla terra, immortalato sul musetto della rossa di Maranello.

I cavalli della razza di Persano (che deve il nome al sito reale di Persano), quelli in carne ed ossa, nascono invece nel 1744 per volontà di re Carlo di Borbone e furono subito considerati i migliori cavalli da guerra. La loro storia è affascinante e la trovate nel sito di quella che ora è la loro casa: il Real Sito di Carditello (www. fondazionecarditello.org). Edificata da Ferdinando IV di Borbone, su progetto dell’architetto Francesco Collecini, collaboratore di Luigi Vanvitelli, si tratta di una palazzina in stile neoclassico, con cinque cortili, otto edifici a torre, dodici capannoni e, nella parte antistante la palazzina, un galoppatoio che è, ancor oggi, il più grande ippodromo inserito all’interno del perimetro di una residenza reale.

È proprio qui, nella reggia di Carditello, che approderà la più importante collezione a livello mondiale legata al mondo del cavallo, una collezione che nel 2018 – col titolo Il cavallo: 4000 anni di storia – si mostrò in tutto il suo splendore e con grande successo alla Pinacoteca Züst di Rancate e che, fino a poco tempo fa, albergava nel Luganese, a casa dell’avvocato Claudio Giannelli. Poi, in oltre 200 casse, l’intera collezione è partita alla volta della Campania per un’esposizione al Museo Archeologico di Napoli, il MANN, da dove proseguirà il suo viaggio verso Pechino. Di lì tornerà a quella che sarà la sua dimora definitiva, per l’appunto il Real Sito di Carditello, a pochi chilometri da Napoli in provincia di Caserta.

Avvocato Giannelli, che cosa contengono quelle 200 casse?

Potrei rispondere, semplicemente, che contengono la storia del cavallo nei 2000 anni prima e dopo Cristo, ma… in quelle casse c’è anche la mia storia da quando, a quattro anni, mio padre – ufficiale del Savoia Cavalleria – mi mise in groppa a un cavallo. Abitavamo a Roma ed è lì che, già da giovanissimo, ho cominciato a frequentare i mercatini (Porta Portese in particolare) dando

il la alla mia collezione. Anno dopo anno – attraverso morsi, staffe, speroni, selle, dipinti, stampe, campanelli che, in Mesopotamia, venivano posti sulla fronte del cavallo per contrastare il malocchio, libri (dai primi testi cinquecenteschi!), manoscritti – è diventata la più importante collezione al mondo. Tornando alla sua domanda, quelle casse contengono i morsi della cosiddetta «cultura delle steppe» con capolavori artigianali dal IX al VII secolo a.C., ma anche morsi scitici, greci, villanoviano/etruschi, romani e, in seguito, ostrogoti, carolingi, merovingi fino a rarissimi esemplari medievali. Ci sono capi d’opera rinascimentali e, recentemente, ho potuto acquistare anche l’intera collezione Richard

3 notti con mezza

(antico fondatore e presidente del Club International d’Eperonnerie – C.I.D.E.) composta da oltre 700 staffe dal X secolo ai giorni nostri provenienti da 33 Paesi, soprattutto africani e dell’America latina. Poi, sempre in quelle 200 casse, c’è anche una parte della collezione Desclos, con una bella serie di morsi militari dall’inizio del XIX sec. alla Seconda guerra mondiale.

Scusi, ma a lei non è venuto in mente di mantenere la collezione in Svizzera?

Certo che mi è venuto in mente. Le dirò di più: Basilea si era offerta di ospitarla, ma… il mio sogno era che restasse a Lugano. Questa collezione mi accompagna da sempre. Da Roma mi ha seguito a Lugano, dove abito dal 1964, e qui ha continuato a crescere. Mi sembra dunque ovvio mi sia venuto in mente di mantenerla sulle rive del Ceresio.

Sta di fatto che la collezione è partita … Guardi, io ho inviato al responsabile del dicastero competente della città di Lugano, un dossier completo accompagnato dal libro Equus frenatus – Morsi della Collezione Giannelli e da una lettera esplicativa delle mie intenzioni. Una gentile segretaria mi ha risposto che il materiale era giunto a destinazione e che sarei stato contattato. Da allora sono passati quattro anni. C’è stato il Covid che mi ha permesso di mettere ordine anche tra i miei cimeli e le mie idee.

5 notti con mezza

Così, visto il silenzio assordante e la mia non più giovane età, mi sono detto che dovevo trovare una sistemazione per questo tesoro. Il primo pensiero è stato per un edificio storico di Torino, quello della Cavallerizza reale. Ho incontrato l’assessora alla cultura Rosanna Purchia che, escludendo la possibilità di ospitare la collezione a Torino, mi ha sottoposto l’idea, in qualità di membra del Consiglio d’amministrazione, della Reggia di Carditello. Confesso che, avendo visto qualche anno prima, lo stato di abbandono e degrado nel quale versava l’intero complesso, non fui entusiasta della proposta. Tornai a Lugano con, diciamo così, le pive nel sacco. Proprio quella sera però, alla televisione vidi un documentario dedicato alla rinascita di Carditello. Una coincidenza? Un segno del destino? Sta di fatto che tre giorni dopo la mia visita a Torino a casa mia squillò il telefono. All’altro capo del filo c’era il professor Luigi Nicolais, presidente della Fondazione Real Sito di Carditello. «Saremmo interessati ad approfondire la sua offerta». Ho preso l’aereo e l’ho raggiunto a Napoli dove, l’indomani, abbiamo sottoscritto un pre-atto notarile per una cessione della collezione in comodato d’uso e con la garanzia che un Comitato di mia nomina vigili affinché non venga smembrata e che i suoi pezzi non vengano venduti.

Avv. Giannelli, lei non sembra eccessivamente stupito del fatto

che al silenzio di Lugano abbia fatto da contraltare l’interesse immediato del Carditello… Non sono stupito perché questa collezione non è la prima che Lugano si lascia sfuggire. C’è stata la collezione di arte africana di Maria Wyss, partita alla volta di Basilea; la celeberrima collezione Thyssen partita per Madrid che, per averla, mise a disposizione il palazzo di Villahermosa (a due passi dal Museo del Prado) e 700 milioni di franchi; la collezione Morigi e la collezione Nessi, ma anche la più grande collezione esistente al mondo di vetri romani, recentemente andata all’asta da Christie’s a Londra. Come vede sono in buona compagnia.

Posso chiederle, da profana, se ci sono pezzi della sua collezione ai quali è maggiormente legato? Come le dicevo attraverso questa collezione si può ricostruire la storia del cavallo, ma a me ogni suo pezzo racconta un frammento della mia vita. Ciò significa che ad ogni suo elemento è legato un ricordo, una precisa circostanza. Difficile scegliere. Quel che è certo è che l’emozione che ho provato quando mi sono ritrovato fra le mani le imboccature, opera di artigiani del IX/VII secolo a.C. del Luristan (l’antica Persia) – vere e proprie micro sculture forgiate non solo in bronzo, ma anche in oro (perché un cavallo bardato in tal modo attestava il potere del suo cavaliere) – mi è presente ancor oggi. Senza contare che per me tutto quanto aveva attinenza con il cavallo era oggetto d’interesse. È per questo che sono confluiti nella collezione le incisioni dal XVI al XIX secolo – alcune di artisti importanti come Jan Van der Straet – ma anche i disegni del Tiepolo o la collezione di ritrattistica equestre con dipinti tra i quali spicca uno splendido Carle Vernet. Ma anche perché, nonostante il passare degli anni, ogni giorno, da quando ero un ragazzino, vado a cavallo; perché il mondo del cavallo merita di essere conosciuto per meglio capire il nostro (lo ha fatto, e bene, Giulia Curti con il suo Trasporti e comunicazioni: il ruolo del cavallo, edito da Giampiero Casagrande); perché, senza i cavalli, tutti noi non saremmo oggi quello che siamo.

Accanto all’avv. Giannelli, Vicki, una cagnolina affettuosissima, ascolta attenta il suo umano. Viene anche lei a cavallo? Non ci crederà, ma lei che è timidissima con i cavalli ha un rapporto meraviglioso. Quando arriva in scuderia scorrazza tra le gambe di questi possenti destrieri come fossero suoi consimili, veri e propri compagni di gioco. Probabilmente lo sono… (sorride)… Dovrò approfondire.

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Taverne Crocifisso Radio Pregassona

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Il segreto dei centenari sotto la lente

Simposio ◆ Gli studi sulle persone più longeve ci aiuteranno a vivere a lungo e in salute, se ne parlerà al Lugano Longevity Summit

Quand’è che diventiamo vecchi? Età e invecchiamento non sono la stessa cosa. L’età è solo un numero, sentirsi vecchi è una sensazione soggettiva, mentre l’invecchiamento è un processo osservabile, che può essere descritto e in parte definito scientificamente come la perdita progressiva dell’integrità fisiologica, che porta a una compromissione funzionale e a un aumento della probabilità di morte. In realtà, l’invecchiamento è in gran parte un mistero, un enigma. Se ne parla tanto, soprattutto oggi che l’aspettativa di vita è aumentata: nell’ultimo secolo nei Paesi industrializzati è addirittura raddoppiata. Più di 500’000 persone nel mondo hanno cento o più anni, un numero triplicato negli ultimi due decenni e lo studio dei centenari va di pari passo con quello dei processi di invecchiamento.

Secondo alcuni ricercatori il segreto per uno stato di benessere fino a tarda età è scritto nei nostri geni

Un aiuto alla comprensione dei meccanismi d’invecchiamento può arrivare proprio dallo studio delle persone più longeve, i centenari. L’innalzamento dell’età media, da un lato, è una delle conquiste più importanti dei nostri tempi, ma dall’altro è anche una sfida: ciò che oggi interessa non è la longevità in sé e per sé, bensì una longevità sana che permetta di invecchiare in salute. Il Cantone Ticino è una delle regioni europee con la speranza di vita più alta, non a caso, fra tutti i cantoni svizzeri, è quello che in proporzione ha più centenari, oltre 180. Persone il cui inconsapevole segreto è ancora un enigma. Perché ci sono individui che vivono così a lungo? Che sembrano non invecchiare? O pur invecchiando non si ammalano? Esistono dei geni della longevità? E in che misura conta l’ambiente? C’è chi dice che il corpo invecchia per il progredire del deterioramento dei tessuti, come se a poco a poco si consumasse, e chi dà più importanza alla genetica dicendo che il nostro orologio interno è impostato su un tempo particolare. A tutte queste domande risponderanno i numerosi

Viale dei ciliegi

Marlies Slegers

16 lettere per Lucas

Il Castoro (Da 11 anni)

«Ciao, Lucas. Sono le prime parole che mi scrive mio padre, che è morto. È il biglietto con sopra il numero 1. La gente muore e mio padre non fa eccezione. È morto un anno fa». Questo è l’incipit. Un incipit che ci fa capire molte cose di questo romanzo. Ossia: che è un romanzo che non usa giri di parole, va dritto al punto con sfrontata tenerezza. Che è scritto in prima persona da Lucas. Che a Lucas il papà ha lasciato dei biglietti, numerati, da leggere in progressione. Praticamente abbiamo già tutti gli elementi che fondano questa storia, ai quali si aggiungeranno ovviamente altri personaggi, tutti essenziali nella gamma di relazioni che li legano, ciascuno per la propria parte, al protagonista. In primis Liesbet, la mamma di Lucas, che da un anno ha smesso di ridere, si è lasciata crescere ciocche grigie tra i capelli, ha spesso lo sguardo nel vuoto. Poi Eva, l’amica del cuore di Lucas, e il

esperti del Lugano Longevity Summit, l’evento del 25 marzo organizzato da Braincircle Lugano, in collaborazione con USI e SUPSI, con il patrocinio della Città di Lugano e sostenuto anche dal Percento culturale Migros Ticino. Un evento in cui si parlerà anche di centenari, con i protagonisti di due importanti progetti di ricerca, il Longevity Genes Project condotto negli Stati Uniti dal prof. Nir Barzilai e Swiss100, il primo studio nazionale in Svizzera sui centenari, ancora non concluso, ma del quale saranno comunicati in anteprima alcuni dati. Nir Barzilai, fondatore e direttore dell’Institute for Aging Research dell’Albert Einstein College of Medicine di New York, è uno dei pionieri della ricerca sulla longevità. «Abbiamo raccolto un campione di 750 centenari – dice il prof. Barzilai – ma ancora più importante è avere l’opportunità di studiare le loro famiglie. Stiamo facendo uno studio longitudinale, nel tempo, sui figli dei centenari per capire come invecchiano: abbiamo osservato, per esempio, che hanno il 40% in meno di malattie cardiache, così come un declino cognitivo minore, una mortalità più bassa e biologicamente sono più giovani di dieci anni rispetto ai loro coetanei». Se lo studio dei centenari permette di capire quali siano i geni che rallentano il processo di invecchiamento, osservare i figli consente di vedere gli effetti di questi geni. «I centenari – continua Barzilai – si ammalano 20 o 30 anni dopo la media, la loro salute e durata di vita vanno di pari passo; assistiamo a ciò che si chiama “contrazione di morbilità”, cioè una riduzione della frequenza con cui certe malattie si manifestano. Il 30% non ha neppure una malattia». Secondo i dati del Centers for Disease Control and Prevention, negli ultimi due anni di vita la spesa sanitaria di un centenario è un terzo rispetto a quella di chi ha 70 anni. Se da un lato la morte è inevitabile, non possiamo pensare di vivere in eterno, possiamo però evitare, dice Barzilai, un invecchiamento non in salute. «Se riusciamo a prevenire le malattie legate all’età, come effetto collaterale avremo una vita più lunga. Il nostro scopo non è quello di evitare

la morte, ma agire contro l’invecchiamento. Come specie animale, la durata massima della nostra vita è statisticamente di 115 anni, eppure – continua Barzilai – la metà di noi muore prima degli 80. Cosa possiamo fare per aumentare la durata di una vita in salute? L’invecchiamento è la madre delle malattie cardiache, del cancro, del declino cognitivo, dell’Alzheimer; l’invecchiamento stesso può essere considerato una sorta di malattia, anche se non mi piace definirlo così».

Ma in tutto questo che ruolo ha l’ambiente? La risposta del prof. Barzilai in parte sorprende: «L’80% delle cause d’invecchiamento è legato all’ambiente in cui viviamo, il 20% alla genetica; ma ambiente e genetica interagiscono fra loro, e, senza dubbio, la genetica ha un ruolo fondamentale: se prendiamo i centenari del nostro campione, il 60% degli uomini e il 30% delle donne sono fumatori, dal punto di vista dell’attività fisica, meno della metà fa una moderata camminata o svolge lavori domestici, gli altri si muovono pochissimo. Il 50% è in sovrappeso o addirittura obeso, eppure, in gran parte sono rimasti in salute fino a 100 anni. Per questo pensiamo che il loro segreto sia nei geni, e questo segreto lo vogliamo scoprire per sviluppare trattamenti che permetteranno anche a chi non ha la genetica dalla sua parte di rallentare il processo di invecchiamento».

Ma per capire il mondo dei centenari non basta studiare un solo aspetto, quello biologico o genetico. Si tratta di una popolazione molto diversificata, alcuni sono fragili, altri sviluppano problemi sensoriali e possono soffrire di malattie croniche, altri ancora rimangono molto attivi e continuano a beneficiare di buone condizioni di salute. Swiss100, lo studio svizzero sui centenari, ha proprio lo scopo di cogliere questa eterogeneità, studiando, anche attraverso biomarcatori, i processi biologici responsabili di queste differenze. «Il Canton Ticino – dice Barbara Masotti, ricercatrice senior e sociologa presso il Centro di Competenze anziani della SUPSI – ha proporzionalmente il numero più alto di centenari rispetto agli altri cantoni, ma si sa poco di come vivono, di quali bisogni abbiano. Il nostro è uno studio multidisciplinare che affronterà aspetti biologici, sociologici, ma anche psichiatrici e psicologici: è qualcosa di nuovo, perché gli studi esistenti, anche a livello internazionale, si concentrano solo sugli aspetti medici, mentre noi vogliamo conoscere anche come e dove vivono i centenari, qual è la loro rete sociale». In Svizzera si parla di circa 2000 centenari (nel 2022), l’obiettivo dello studio era quello di avere un campione di almeno 80 centenari per regione linguistica, 240 in tutto, obiettivo ampiamen-

te superato. Nello studio Swiss100 sono coinvolti numerosi istituti svizzeri, dal Centro competenze anziani della SUPSI all’Università di Losanna, con la professoressa Daniela Jopp, responsabile e coordinatrice del progetto, e poi l’Università di Ginevra e quella di Zurigo, così come gli ospedali universitari di Losanna e Ginevra per le analisi biologiche.

«Lo studio non è concluso, ma posso già dare alcune indicazioni –commenta Barbara Masotti – Sulla base dei primi dati abbiamo visto una popolazione di centenari molto differenziata. A livello di salute funzionale, cioè del grado di indipendenza nello svolgere attività di base della vita quotidiana, il 13% è indipendente, mentre il 60% è dipendente in almeno una di queste attività, e la percentuale può variare da regione a regione. Abbiamo inoltre chiesto come le persone sentano e giudichino la propria condizione di salute: a livello nazionale, il 44% considera le proprie condizioni buone, il 21% molto buone e il 5% addirittura eccellenti». Uno degli aspetti più importanti, indagati dallo studio, i cui dati saranno presentati da Stefano Cavalli, responsabile per la Svizzera italiana del progetto, nel corso del Lugano Longevity Summit è la percezione di cosa significhi per una persona avere più di cento anni, e quand’è che si comincia a sentirsi vecchi. «In generale, l’avevamo già visto in altre ricerche –anticipa la dottoressa Masotti – sentirsi vecchio non va per forza di pari passo con le condizioni di salute. Se penso ai centenari che ho intervistato, una risposta ricorrente è stata: mi sono ritrovato ad aver cento anni senza nemmeno accorgermene». / Red.

Informazioni

Lugano Longevity Summit, lunedì 25 marzo, Aula Magna dell’Università della Svizzera italiana, 14.00-19.30, ingresso libero, programma e iscrizioni: www.braincirclelugano.ch

suo ragazzo, Karl, il villain, il bullo della situazione. C’è Bloom, una ragazza più grande di Lucas, già quasi donna, la cui sbrigativa saggezza sarà spesso a Lucas di conforto. C’è Henderson, un professore di Lucas, che sembra attratto da Liesbet, e questo mette in allarme il ragazzo. Ma la vera figura paterna, che certo non sostituisce il papà, la cui presenza Lucas custodirà sempre nel cuore, ma che almeno darà speranza di essere «quasi come se fossimo una famiglia», è Jack, titolare di un negozio di ferramenta, un brav’uomo che co-

nosce la mamma perché viene a fare dei lavori in casa, e che saprà, con rispetto e amore, dare onorevolmente un senso al vuoto lasciato dal papà.

Poi c’è un’altra figura maschile, importante, che si paleserà a Lucas più avanti nel romanzo, e che darà « radici» a quello che è il suo percorso di formazione. Sì, perché questo bel romanzo dell’autrice olandese Marlies Slegers, pubblicato con il sostegno della Fondazione olandese per la letteratura, venendo ad aggiungere un tassello alla sempre più evidente qualità dell’editoria per l’infanzia dei Paesi Bassi, non racconta solo la rielaborazione di un lutto, ma racconta proprio un percorso di crescita, al maschile, di un bambino che diventa uomo. O almeno che si mette con coraggio sulla strada per diventarlo. Così, quel bimbo che per gestire il dilagare inconsulto e incontrollabile delle emozioni si appiglia a dati e numeri («una persona adulta attorno ai 75 chili è composta da oltre 60 trilioni di cellule»; «conosco a memoria le prime trentuno cifre del pi greco…»; «la locusta del deserto riesce a

sorvolare anche il Mar Rosso – che misura 300 chilometri – senza mai fermarsi…»), riuscirà finalmente a lasciare un po’ la presa e a ritrovare fiducia nella vita. E, proprio come Telemaco (ruolo che avrebbe dovuto impersonare nella recita scolastica), riuscirà a ritrovare il padre, anche se non più in una forma visibile, ma almeno in una forma pacificata. La quale, pur nell’invisibilità dell’Altrove, resterà con lui come presenza di amore per sempre.

Cristina Petit

Un bacino per me

Pulce Edizioni (Da 12 mesi)

Per i bambini piccoli i personaggi ritratti nei libri sono i personaggi stessi, non la loro rappresentazione. Hanno uno statuto ontologico, una vita propria. Chi ha frequentazioni di bimbi e libri avrà notato che i bimbi entrano in relazione anche fisica, ad esempio attraverso i baci, con i personaggi che li commuovono, magari con quelli più sfavoriti nella storia. Dare un bacino all’anatroccolo

di Letizia Bolzani

triste, per consolarlo, vuol dire far esistere quell’anatroccolo, non vederlo solo come rappresentazione di un anatroccolo.

Su questo fa leva il semplicissimo libretto di Cristina Petit Un bacino per me, che invita i piccoli lettori a dare un bacino ai vari personaggi. Anzi sono gli stessi personaggi che chiamano in causa i bambini: «Ho male al pancino, mi dai un bacino? Mi hai trovato a nascondino, e adesso me lo dai un bacino? Mentre faccio un sonnellino me lo dai un bacino?». Un cartonato da coccolare.

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Lo stato delle protezioni naturali

Mondo sommerso – 2

Le coste hanno subito un’accelerazione nello sviluppo che appare insostenibile a lungo termine; a ciò si aggiungono i

Vivere vicino alla costa, così come in collina e in montagna, è una scelta consapevole di chi cerca uno stile di vita meno stressante rispetto ai grandi centri urbani; generalmente i rapporti fra le persone sono meno tesi e prendersi cura della propria famiglia e degli animali domestici è più semplice. Complici i viaggi e le vacanze più frequenti che in passato, gli ambienti costieri si sono velocemente trasformati e stanno subendo uno sfruttamento spesso pianificato a breve termine, senza valutare correttamente le conseguenze ambientali a lungo termine, dando priorità all’incremento della richiesta di spazi urbani, turistici, residenziali e commerciali.

Le coste sono sempre state un crocevia di persone, di traffici, di affari e di sviluppo economico. Tuttavia, nelle ere passate, gli insediamenti umani non erano sul bagnasciuga per la evidente difficoltà a difendere postazioni che consentivano vie di fuga solamente verso l’entroterra, quando i nemici presidiavano gli sbocchi via mare.

L’utilizzo di strutture costiere artificiali interrompe lo scambio di acque e altera le dinamiche ambientali

Valutando con le dovute proporzioni l’incremento della popolazione globale nei diversi continenti – in Asia e Africa per l’incremento della natalità, nel Continente americano per la consistente immigrazione, mentre in Europa si assiste a una compensazione fra l’immigrazione e la scarsa propensione alle nascite – in anni recenti le coste hanno subito un’accelerazione nello sviluppo che appare insostenibile a lungo termine, a cui si aggiungono le modifiche climatiche e i violenti eventi meteo che ne stravolgono, spesso permanentemente, l’aspetto e la conformazione. Quattordici delle diciassette più grandi città sorgono lungo le coste; undici di loro, tra cui Bangkok, Giacarta e Shanghai, sono in Asia.

Nel numero di «Azione» del 25 settembre abbiamo parlato dell’importanza ecologica e socio/economica degli habitat costieri, delle sfide ambientali che questi territori stanno affrontando ora e che ne hanno caratterizzato l’evoluzione in passato, della Strategia Europea per la Biodiversità, la quale richiede di proteggere – entro il 2030 – il 30 % dei mari europei e il 10% in modo rigoroso in ciascun

Paese dell’Unione. In questo servizio ci preme approfondire la complessità e unicità degli habitat costieri.

Quelli naturali, ovviamente funzionano meglio delle strutture artificiali progettate e posate a difesa dei

litorali. In genere, le strutture artificiali sono semplicemente pareti verticali e paratie che forniscono scarsa complessità strutturale e la cui presenza spesso distrugge gli habitat naturali prossimali, riflettendo l’energia

delle onde e favorendo i processi erosivi sulle coste adiacenti.

Tali costruzioni, realizzate senza cavità, sostengono comunità ecologiche povere e molto meno varie rispetto agli habitat naturali; esistono

Villaggio

su un’alta scogliera, vicino a Funchal, sull’isola di Madeira, in Portogallo, Oceano

Atlantico. In basso: case che circondano il porto di Baia nel comune di Bacoli (Campania), Napoli, Italia, Mar Tirreno. Alberi di mangrovia all’interno della laguna, Atollo di Aldabra, Sito Patrimonio Naturale dell’Umanità, Seychelles, Oceano Indiano. (Franco Banfi)

anche manufatti artificiali di forma complessa, che imitano l’aspetto delle conformazioni naturali costiere. Focalizzati soprattutto sull’ottenere stabilità, si costruiscono massicci sistemi artificiali che non fluttuano affatto; al contrario, la resilienza degli ecosistemi naturali è caratterizzata dalla dinamicità, dalla complessità delle comunità ecologiche e dalla loro non linearità intrinseca. L’utilizzo di strutture costiere artificiali ingegnerizzate, come pareti verticali e rivestimenti, interrompe lo scambio di acque terrestri e altera le dinamiche ambientali (ad esempio, la fisiologia delle onde, il profilo di profondità). Solo di recente, e in gran parte in risposta a grandi disastri conseguenti agli uragani Katrina e Sandy, la ricerca ha favorito iniziative di integrazione ecologica e processi ecosistemici, parallelamente agli obiettivi ingegneristici di resistenza e stabilità.

Considerando esclusivamente l’aspetto ambientale, le barriere coralline offshore (che sono separate dal-

Settimanale di informazione e cultura Anno LXXXVII 18 marzo 2024 azione – Cooperativa Migros Ticino 10

delle coste è sempre più a rischio

violenti fenomeni meteo che ne stravolgono, spesso in modo permanente, l’aspetto e la conformazione

la terraferma e formano le lagune) e quelle di tipo marginale, i mangrovieti, le praterie marine e le paludi costiere – laddove presenti contemporaneamente – sono più efficaci a

Le praterie marine

Nel Mediterraneo, la più classica prateria marina è costituita dalla Posidonia oceanica (nell’immagine), la pianta preziosa che ricopre molti fondali, offrendo nutrimento e protezione a pesci e invertebrati. Tramite la sua struttura fisica, svolge una funzione cruciale nella stabilizzazione dei fondali e nella difesa dei litoranei sabbiosi dai fenomeni erosivi; le lunghe foglie delle praterie, fluttuando nell’acqua, attenuano l’energia del moto ondoso che raggiunge indebolito le spiagge. La complessa struttura della matte (l’agglomerato di parti morte ancorate al fondale sabbioso) intrappola il sedimento, ne impedisce la dispersione da parte delle onde e delle correnti; i fondali diventano meno profondi e le onde si infrangono più lontano dalla costa, con conseguente minore erosione durante le mareggiate. I depositi di egagropili (le palline sferiche od ovali di colore marrone chiaro e di consistenza feltrosa che troviamo nelle zone dunali) creano rugosità sul -

condizioni di tempesta sia di calma meteomarina, tuttavia la coesistenza di barriere coralline e praterie marine mitiga meglio l’impatto delle onde e delle tempeste, riducendo così ulteriormente la vulnerabilità dei territori a monte.

Le barriere coralline e le zone umide riducono l’impatto degli tsunami, delle ondate, delle tempeste, e l’erosione cronica del litorale

Oltre alle diversità strutturali, è fondamentale considerare le forme e gli esseri viventi, nonché le dinamiche (il contesto geomorfico) che costituiscono questi territori al confine fra terra e acqua: gli splendidi coralli vivi e colorati delle barriere coralline di tipo marginale ( fringing reef ) forniscono una maggiore protezione delle sole praterie marine; le praterie marine nelle barriere coralline offshore sono più efficaci dei soli coralli vivi. Pertanto, in un progetto di tutela e strategia per rafforzare gli ecosistemi costieri, è evidente l’importanza di adottare approcci integrati che valutino accuratamente le caratteristiche specifiche dei luoghi; non limitarsi a considerare solamente lo sviluppo di un unico habitat per proteggere solo le regioni costiere contro specifiche condizioni forzate, bensì valorizzare il potenziale di tutti gli habitat presenti sull’intero paesaggio marino.

Le barriere coralline e le zone umide non solamente riducono l’impatto degli tsunami, delle ondate e delle tempeste (eventi estremi), bensì moderano le onde del vento e quindi riducono l’erosione cronica del litorale, promuovono accrescimento dunale e creano condizioni favorevoli alla riproduzione delle zone umide.

Le mangrovie e le paludi costiere

contrastare l’erosione delle coste rispetto a qualsiasi singolo habitat o qualsiasi combinazione di due habitat. In particolare, le mangrovie riescono a proteggere la costa sia in

Riassumendo i principali habitat costieri caratteristici troviamo dunque: mangrovie, paludi e praterie marine.

Informazioni

Su www.azione.ch, si trova una più ampia galleria fotografica.

la superficie delle dune, e favoriscono l’attecchimento di piante costiere, contrastando l’asporto della sabbia da parte del vento.

Le banquette di foglie morte che si accumulano lungo le spiagge proteggono la sabbia sottostante dalle ma -

reggiate invernali, limitando l’erosione costiera. Se conoscessimo tutti questi benefici, non ci lamenteremmo troppo della cosiddetta «sporcizia» (residui vegetali) che troviamo sul bagnasciuga delle coste del Mediterraneo durante le nostre vacanze.

Se hanno effettuato escursioni naturalistiche nei litorali bassi e in particolare nella fascia periodicamente sommersa dalla marea, i lettori che hanno trascorso del tempo in luoghi tropicali e subtropicali conoscono l’unicità e la bellezza dei mangrovieti (le paludi di mangrovie). Le mangrovie sono piante strane, a metà fra il mondo terrestre e quello acquatico; le loro radici intricate e arcuate permettono alle piante di crescere rigogliose in aree ostili, totalmente immerse nell’acqua salata o salmastra nelle fasi di alta marea e totalmente esposte all’aria in quelle di bassa marea. La parte esposta all’aria consente agli alberi di ossigenarsi, ciò che è impossibile quando l’area è impregnata d’acqua salina. Le piante si sono adattate sviluppando meccanismi di desalinizzazione, tra cui l’estrusione del sale, l’esclusione e l’accumulo. Radici robuste e peculiari, le fanno sembrare erette su molti trampoli. Esse sono la chiave di volta per resistere al movimento continuo delle onde: la loro flessibilità consente una stabilità fisica; trattengono il terreno sottoposto all’azione delle maree e proteggono le aree interne dalla violenza delle tempeste e delle mareggiate. Inoltre, forniscono una base su cui vivere per molte specie.

Per similitudine, possiamo paragonare l’albero di mangrovia a un palazzo a più piani, abitato da uccelli, insetti, mammiferi e rettili, in mutuo aiuto e allegra coesistenza. Sott’acqua, sulle radici, crescono tunicati, spugne, alghe, ricci e bivalvi. Il terreno soffice sotto le mangrovie ospita specie di infauna (all’interno di un substrato) ed epifauna (a stretto contatto con il substrato), mentre lo spazio tra le radici è casa e cibo per gamberi, granchi e piccoli pesci. Fra le radici c’è un asilo: moltissime specie di pesci e invertebrati marini trascorrono qui le prime fasi della loro vita, fino al raggiungimento di una dimensione che consente loro di sopravvivere nell’oceano.

Risalendo l’albero, si incontrano insetti, rettili (inclusi i grandi coccodrilli), mammiferi marini (lamantini, tigri del Bengala), primati (macachi). Gli uccelli trampolieri e gli uccelli marini allevano i loro piccoli in enormi colonie di mangrovie, sfruttando le risorse e la relativa inaccessibilità della copertura forestale ai predatori terrestri.

Le paludi costiere sono un ecosistema sensibile e dinamico e possono essere classificate come saline, salmastre e di acqua dolce. Sono praterie periodicamente inondate nelle regioni intertidali (le zone del litorale che dipendono dalle maree), laddove la salinità dell’acqua marina o quella salmastra crea un ambiente acquatico in cui prosperano le piante alofile, cioè dotate di adattamenti morfologici o fisiologici che ne permettono l’insediamento su terreni salini o alcalini.

Come i mangrovieti, anch’esse hanno un grande valore ecologico perché fungono da vivaio per i pesci, habitat per una grande varietà di fauna selvatica, zone cuscinetto per proteggere la qualità dell’acqua e producono ossigeno che rilasciano nell’aria. Sono spesso chiamate «spugne» a causa della loro capacità di assorbire l’energia delle onde, sia durante le tempeste costiere sia nelle normali fasi di marea. Riducendo l’energia delle onde, le paludi costiere riducono il potenziale di erosione e mitigano gli impatti delle inondazioni.

Le principali minacce per le mangrovie e le paludi costiere sono per lo più legate all’impatto umano del dragaggio, dell’inquinamento (idrocarburi, pesticidi, erbicidi), del deflusso dei rifiuti urbani e dello sradicamento per far spazio a saline, allevamenti di gamberi, vasche per l’acquacoltura, insediamenti residenziali. Oltre ovviamente all’incremento della temperatura e della salinità degli oceani conseguenti al cambiamento climatico.

Settimanale di informazione e cultura Anno LXXXVII 18 marzo 2024 azione – Cooperativa Migros Ticino SOCIETÀ 11
Vista delle dune di sabbia dal mare, Baia di Magdalena, Puerto San Carlos, Baja California, Messico. Sopra, all’interno della laguna Chinchorro Banks (Riserva della Biosfera), Quintana Roo, Messico. (Franco Banfi)

Coniglio… e non di cioccolato

Mondoanimale ◆ È abbastanza mirata la scelta di adottare una di queste bestiole per la pet therapy

«Il coniglio è un animale che abbisogna di attenzione e delicatezza, e questa sua fragilità risulta preziosa negli interventi di pet therapy perché crea un punto di incontro con persone “fragili”, timidi o introversi». È quanto afferma la psicologa e psicoterapeuta per adulti e adolescenti Elena Ghelfi, a proposito della pet therapy declinata con questo dolce animaletto proverbialmente discreto, sensibile e schivo.

La terapia assistita con animali si fregia di un primo caso documentato che risale al 1792 quando venne proposta in Inghilterra, presso lo York Retreat, centro che accoglie persone con problemi di salute mentale. Da allora, è accertato che gli animali da fattoria, compreso il coniglio, contribuiscono pure a migliorare l’umore degli ospiti delle strutture riservate all’accoglienza di persone anziane.

Michele Gobetti alleva conigli Alaska, fra i quali Sumo, una docilissima femmina che allieta gli anziani di Morcote

Nello specifico di questo animale da compagnia, la storia insegna che fin dal Medioevo esisteva l’usanza di donare un coniglietto ai bambini terrorizzati dal buio o profondamente provati dalle violenze della guerra e della peste. Persino la guerriera Giovanna D’Arco, pur adulta, pare non si staccasse mai dal suo coniglio ricevuto all’età di quattordici anni. A tal proposito, Ghelfi rende attenti sul fatto che «il coniglio da compagnia può instaurare una tenera, allegra ed empatica relazione non solo con i proprietari, ma anche con utenti in altri progetti o attività di pet therapy assistite da operatori qualificati». A condizione, sottolinea, che esso sia ben socializzato, abituato all’uomo e alle manipolazioni come carezze, pulizia

del pelo, prendere cibo dalle mani e via dicendo.

Ed è quanto racconta anche Michele Gobetti che, a Morcote, alleva conigli di razza Alaska (una delle 45 riconosciute in Svizzera), fra i quali c’è Sumo, una docilissima femmina piuttosto grossa («per questo si chiama così») impiegata una volta a settimana nella pet therapy con gli anziani della Casa per anziani di Morcote. «Abbiamo circa quindici conigli di questa razza che mia moglie e io alleviamo, curiamo e addomestichiamo fin dai primi mesi di vita, accarezzandoli, spazzolandoli e facendoli uscire dalla loro casetta quotidianamente».

Oltre alle esposizioni a cui partecipano regolarmente («Quest’anno con il fratello di Sumo, Poseidone, abbiamo raggiunto il premio di Campione di razza»), i due coniugi accolgono bambini che imparano a curare i coniglietti e i loro cuccioli, aiutando pure nei lavori di pulizia delle lettiere: «È molto importante responsabilizzare i bambini che desiderano adottarne uno, perché non si tratta di pupazzetti di cui stancarsi dopo qualche giorno, ma meritano un’accoglienza in famiglia e un trattamento consono alla loro natura sì docile, ma che va rispettata».

Per quanto attiene a Sumo (nella foto con Michele Gobetti) e alla pet therapy con gli anziani, invece, «si tratta di una femmina che già da piccola era diventata un po’ più grande degli altri (oggi pesa tre chili e duecentocinquanta), non teme di essere presa in braccio dagli ospiti anziani, è più docile del nostro gatto, si fa coccolare, e dopo circa un’oretta, quando è stanca, si sdraia sul tavolo: è il segnale che la terapia per quel giorno deve terminare e Sumo se ne torna nel suo trasportino per rientrare a casa dove riceve un bel finocchio di cui va ghiotta».

È d’altronde noto come, sfruttando la fragilità fisica del coniglio e la sua docilità caratteriale sia possibi-

le arrivare a bambini e anziani ancora meglio che con l’aiuto di un cane, creando un interessante punto d’incontro, almeno secondo quanto osserva il nostro interlocutore per la sua esperienza con Sumo: «Alcuni anziani avevano un po’ paura del cane, mentre il coniglio ricorda la loro vita di un tempo, quando tutti avevano conigli nel cortile, e questo crea paradossalmente più interesse, risvegliando i ricordi che gli ospiti poi condividono, raccontando come vivevano i loro conigli, a che razza appartenevano e via dicendo».

Michele racconta come la sua coniglietta «si ammorbidisce» ancora di più quando passa di mano in mano e viene carezzata comodamente accoccolata in braccio a qualche anziano: «I gruppi sono al massimo di dieci persone, proprio per rispettare la natura del coniglio e per far sì che non si

senta stressato». E non solo coccole, per Sumo: «Durante l’ora di pet therapy, facciamo una vera e propria lezione durante la quale spiego le caratteristiche, lo standard di questa razza, l’accoppiamento e via dicendo, mentre lei se ne sta comodamente seduta sul tavolo al centro, munito di un tappetino anti scivolo. Gli anziani sono molto attenti, imparano tanto e fanno parecchie domande in un’interazione molto attiva non solo con Sumo, ma anche fra di loro e con noi».

Secondo gli esperti, è noto che le dimensioni ridotte di questo animale da compagnia, il suo carattere prevalentemente docile e timoroso, fanno in modo che gli anziani si avvicinino con cautela, modulando il tono di voce e quello muscolare, impiegando un’insolita delicatezza e precisione per non fargli male. E, di fatto, Sumo pare proprio apprezzare questo suo

Quando la pasta cresceva sugli alberi

impegno settimanale: «Quando è il momento, Sumo esce dalla sua casetta e si lascia mettere nel trasportino per recarci dagli ospiti della casa per anziani. Questo succede da un anno e oramai lei lo sa, così come noi sappiamo cosa significa quando da seduta si butta “a pancia all’aria”: è stanca, è passata circa un’ora e merita di terminare la sua missione. Allora la riportiamo a casa».

Nel progetto di pet therapy i risvolti benefici sono evidenti: «In presenza del coniglio notiamo che si instaura un clima di calma e serenità, si attenuano le tensioni e si favorisce lo scambio fra le persone». In pet therapy non esiste un animale migliore di un altro o adatto a ogni situazione, ma il coniglio si rivela essere un ottimo compagno di viaggio, e Michele, grazie alla sua Sumo, lo dimostra ampiamente ogni settimana.

Il Ticino nel cybermondo – 5 ◆ Che cosa accomuna un ristorante italiano sulla Brighton Road londinese al comune di Morcote?

La soluzione sta nel nome stesso del ristorante, Spaghetti Tree, memore del leggendario albero degli spaghetti, una fake news della BBC

Alceo Crivelli

La vicenda è nota a tutti: correva l’anno 1957 quando nel Regno Unito – potere persuasivo della televisione! – sedotte dal breve documentario messo in onda il 1 aprile dalla BBC The Swiss Spaghetti Harvest in cui una famiglia di coltivatori ticinesi di Morcote era intenta nella raccolta degli spaghetti, centinaia di persone si predisponevano alla coltivazione domestica della pasta, subissando di chiamate i centralini telefonici dell’emittente televisiva in cerca di ragguagli per la semina dell’esotico vegetale. Esotico poiché all’epoca la pasta non era un alimento granché diffuso in Inghilterra, perlopiù venduta nei supermercati in forma di piatto pronto precotto. Tantomeno conosciuti erano i suoi metodi di produzione.Pertanto, per molti la natura umoristica dell’ormai storica bufala non appariva affatto scontata. Per questo, imbattendomi un po’ casualmente nella fotografia dello Spaghetti Tree, oltre all’ovvio e simpatico – e, mi pare, commercialmente va-

lido – richiamo al famoso episodio, mi colpisce l’ironia di secondo grado scaturita dalla circostanza: proprio nelle strade di Londra, sede principale della BBC e luogo d’ideazione della burla; proprio nel luogo in cui maggiormente, scommettendo sull’ignoranza in materia, la beffa era attecchita esponendo i raggirati al pubblico – universale – ludibrio; proprio qui, un ristorante italiano, battezzato in omaggio all’albero pastaio, dagli anni 80 contribuisce a diffondere e a far conoscere la cultura gastronomica mediterranea in Inghilterra. Ciò detto, un dubbio persiste. Perché Morcote? O meglio, trattandosi di spaghetti (scusate il cliché): perché il Ticino e non l’Italia? Una possibile risposta – ipotetica – è insita nel commento al reportage fornito dalla voce narrante, la quale, alludendo al patrimonio culinario comune a Nord Italia e Svizzera italiana, riferisce come, mentre le regioni della Pianura Padana ospitino sterminate e intensive piantagioni di spaghetti, in Tici-

no questo tipo di coltura sia praticato perlopiù in piccole realtà di natura familiare. Aggiunge, l’inaffidabile narratore, che gli spettatori potrebbero forse aver visto qualche fotografia delle smisurate coltivazioni in territorio italiano, guardandosi però bene

dal mostrarne le immagini al pubblico. E proprio qui – verosimilmente –sta il punto della questione. Considerando, infatti, le numerose difficoltà incontrate nell’allestimento delle poche piante della pasta impiegate nel cortometraggio – il racconto di que-

ste traversie è reperibile un po’ ovunque in rete –, il budget a disposizione – presumibilmente commisurato alla realizzazione di un servizio televisivo di 3 minuti – e l’epoca interessata – gli anni ’50 – sembra inimmaginabile che la troupe potesse produrre immagini documentaristiche credibili di sconfinate distese di campi di spaghetti con tanto di raccoglitori al lavoro. La scelta, dunque, di inscenare una realtà più circoscritta come quella ticinese – oltre ad avvalorare in qualche modo agli occhi dello spettatore anche la plausibilità dell’esistenza di un suo corrispettivo su più larga scala – permise agli artefici del pesce d’aprile l’impiego di mezzi limitati. In breve: minimo sforzo, massima resa.

In collaborazione con l’Ufficio dell’analisi e del patrimonio culturale digitale, Divisione della cultura e degli studi universitari, Dipartimento dell’educazione, della cultura e dello sport.

12 Settimanale di informazione e cultura Anno LXXXVII 18 marzo 2024 azione – Cooperativa Migros Ticino SOCIETÀ
Heinz Plenge
Wikimedia

Al tempo la Cattedrale di Nôtre Dame, completata nel 1250, era ancora ben visibile da quella che si chiamava l’Île aux Juifs, l’Isola dei Giudei, una delle isole minori della Senna parigina. Avrebbe presto cambiato nome, diventando l’Île des Templiers – l’Isola dei Templari: qui, infatti, il 18 marzo 1314 fu messo al rogo il ventitreesimo e ultimo Gran Maestro dell’Ordine dei Templari, Jacques de Molay. De Molay, conte di Acri, in Terrasanta, aveva allora 70 anni. La sua vicenda è una delle più drammatiche e grottesche della storia del cosiddetto Occidente. E con lui quella dell’intero Ordine dei Templari, che aveva nei ranghi dei Cavalieri Combattenti per la difesa dei luoghi sacri della cristianità la punta di un iceberg che si calcola avesse raggiunto al suo apice i 150’000 membri (scudieri, servitù, accoliti e quant’altro di un’organizzazione capillare).

Sul campo di battaglia i cavalieri Templari erano una forza formidabi-

le. Durante le Crociate avevano chiesto e ottenuto il privilegio di essere fra i primi a gettarsi nella mischia. Con le loro armature pesanti (circa quaranta chili in aggiunta al peso corporeo), in arcione a cavalli di stazza crescente, anch’essi corazzati, seminavano il panico non appena potessero giungere a ridosso delle schiere nemiche una volta superato lo sbarramento di archi e frecce di fanterie equipaggiate – e non sempre –con armature leggere. Questo laddove la cavalleria musulmana contava di più sulla velocità, sul volteggio, sulla leggerezza e sulla sorpresa. Ma era la motivazione – quasi un arrogante ordine a Dio – a fare probabilmente la differenza: « Non nobis Domine, non nobis, sed nomini tuo da gloria», «Non a noi, Signore, ma al nome tuo dà gloria».

Peraltro, o così suppone il vostro A ltropologo preferito, fu la forza d’urto finanziaria dell’Ordine a farne una potenza multinazionale ante litteram,

La stanza del dialogo

Care Lettrici, che ne dite se nella lettera del mese di marzo, mese dedicato alle donne, parliamo con voce femminile della Pace? C’è chi obietterà:

«Ma che c’entriamo noi? La guerra l’hanno sempre fatta gli uomini senza chiedere il nostro parere!». E altre aggiungeranno: «La Svizzera è un Paese neutrale che la guerra non l’ha mai fatta a nessuno». «Il nostro esercito è esclusivamente difensivo».

È vero ma le conseguenze, anche di guerre lontane, riguardano tutte e tutti perché in ogni caso provocano un arretramento della civiltà e una ferita all’umanità.

Credo che le donne, anche le bambine, siano potenzialmente madri perché nascono con una disposizione materna iscritta nel corpo. Un organismo fatto per contenere, nutrire, dare alla luce, crescere un figlio e la-

sciarlo poi andare perché si realizzi secondo le sue aspirazioni. Sia chiaro: la maternità non è un obbligo, non è un dovere, ma una scelta. Libera ogni donna di realizzarla, rinviarla, negarla oppure di sublimarla. In questo caso si esprimerà con un modo di pensare e vivere maternamente.

Un potenziale che, essendo essenzialmente creativo, si applica alle relazioni di cura, alla capacità di fare legame sociale, all’innovazione, alle espressioni artistiche. Infatti nessun nato da donna è uguale a un altro: come le opere d’arte siamo tutti unici, irripetibili, non replicabili in catene di montaggio.

La storia che conosciamo e che ancora ci condiziona conserva tratti di patriarcato, un dominio maschile plurisecolare che, benché molto sia stato fatto, sarà difficile superare del tutto

La nutrizionista

Buongiorno Laura, ho diverse palline di grasso, lipomi, sparse un po’ in tutto il corpo (gambe, addome, spalle, braccia) e di varie dimensioni, alcune mi fanno pure male a volte. Qualcuna l’ho tolta con aspirazione ma me ne rimangono tante. Vorrei sapere se esiste una dieta che li può fare «sciogliere». / Boro

Gentile Boro, i lipomi sono dei tumori benigni del tessuto adiposo, più precisamente sono accumuli di grasso dovuti a una crescita abnorme e non controllata delle cellule adipose. Si sviluppano di solito nel tessuto sottocutaneo, sono circondati da una capsula fibrosa e si manifestano con maggior frequenza a livello di spalle, collo, braccia, addome, schiena e cosce. Le dimensioni sono estremamente variabili, da 1 fino a 15-20 cm. Normalmente sono mobili al tatto, non dolorosi ma in alcuni casi, aumentando di dimensione, possono causare

extraterritoriale e globale, diremmo oggi. Se ne accorse presto – o forse troppo tardi, ironia della Storia – il Re di Francia Filippo IV detto «il Bello» (1268-1314). Costui si indebitò fino al collo in quell’episodio pretestuoso che fu la Crociata Aragonese indetta da Papa Martino III contro gli Aragonesi (1283) dopo che questi avevano sconfitto (e «usurpato») gli Angioini (dinasticamente «francesi») in Sicilia e nel meridione d’Italia. Un pasticciaccio che aveva visto Il Bello indebitarsi per finanziare la Crociata intesa a riportare l’Italia all’ovile francese prima coi potenti banchieri fiorentini, poi con quelli ebrei, a corto di entrate com’era in una Francia in profonda crisi economica. Messo alle strette, Filippo IV liquidò i riscossori fiorentini ed ebrei appellandosi al fatto che prestare denaro a interesse equivaleva a usura: peccato mortale da condannare e del quale non bisognava farsi complici. Bandì i banchieri fiorentini dai con-

◆ ●

perché è iscritto nelle nostre menti e nelle nostre consuetudini.

La Pace, per essere duratura, richiede libertà e pari opportunità. In cambio ci offre un futuro desiderabile, possibile e realizzabile. In questi anni fiducia e speranza sembrano invece collassate, come mostra l’inverno demografico che contraddistingue tanto la Svizzera quanto l’Italia.

L’efficienza, la competitività e la fretta, valori tipicamente maschili che le giovani donne condividono, contraddicono i tempi lunghi e l’apparente improduttività della filiazione. Eppure abbiamo più che mai bisogno di maternità per contrastare i pericoli che incombono sulla società e sulla natura. Nonostante mille differenze, siamo una sola grande famiglia: quella dell’umanità.

Donne coraggiose, che si sono oppo-

di

Poppi

fini del regno e quelli ebrei… beh, a quelli già ci pensava in quegli anni un generale cambiamento culturale che voleva (lo avrebbe fatto senza successo per due secoli a venire) essere gli Ebrei anacronistici «eretici». Queste le già di per sé dubbie giustificazioni per quel «io non pago in nomine Domini, il Quale punisce strozzinaggio ed eresia» del Nostro. Faceva questi conti senza il «non nobis Domine» dei Templari. Si calcola che nel novembre del 1286 il debito di Filippo nei confronti dei Templari avesse raggiunto gli 80 quintali d’argento, ovvero il 17% delle entrate del Regno. Occorreva inventarsi qualcosa – fosse pure la qualunque. Vittime del loro stesso successo, i Templari erano da tempo bersaglio della bad press e fake news a causa delle loro attività di prestatori di denaro. Circolarono pertanto sentito dire, gossip, ricatti e supposizioni. Si diffusero in Europa chissà quali reportage, incompetenti o in malafede che pro-

di Silvia Vegetti Finzi

dussero i dividendi voluti/dovuti del Pensar Male.

disturbi da compressione se premono sui nervi vicini o se contengono molti vasi sanguigni. La ragione per cui si formano non è ancora chiara, è però evidente che esiste una familiarità, quindi una correlazione genetica; sono state trovate pure associazioni con il diabete mellito, l’obesità e con la dislipidemia, cioè un livello elevato di lipidi (colesterolo e/o trigliceridi). Alcuni studi suggeriscono anche che l’infiammazione cronica nel corpo potrebbe contribuire alla formazione dei lipomi, ma la relazione tra i due è da studiare ulteriormente. Possono apparire in qualsiasi età ma sono più comuni tra i 40 e i 60 anni.

Purtroppo non esiste una dieta specifica volta a prevenire o trattare i lipomi, tuttavia mantenere uno stile di vita sano ed equilibrato può aiutare a migliorare la salute della pelle e, in alcuni casi, potrebbe incidere positiva-

mente sulla prevenzione di varie condizioni tra cui la formazione di masse grasse anomale. I consigli che posso darle nello specifico sono di adottare un’alimentazione ricca di verdura e frutta, poiché abbondano di sostanze importanti come vitamine, minerali, antiossidanti e fibre che aiutano a combattere l’infiammazione e a rinforzare il sistema immunitario che può a sua volta prevenire la formazione di lipomi. Frutta e verdura aiutano pure a regolare il peso corporeo e sembra che il suo mantenimento riduca il rischio di un loro sviluppo. È importante anche mantenere equilibrati i livelli di zucchero nel sangue perché la loro instabilità è associata a processi infiammatori nel corpo quindi oltre a frutta e verdura è bene consumare cereali integrali e leguminose. Utile è anche scegliere fonti di grassi sani, come olio di oliva, frutta secca,

ste all’arbitrio di uccidere, ce ne sono sempre state. Penso recentemente alle Donne in nero e alle Madri di Plaza de Mayo ma, per quanto ammirevoli, si sono mobilitate tardi, quando i loro figli erano già caduti. Perché non chiedere o meglio pretendere la Pace prima, quando i nostri ragazzi sono vivi e vegeti e possono fare tante cose, non solo per loro, ma per il progresso della società, della scienza e della cultura? Perché non utilizzare le splendide riflessioni di Maria Montessori per educare i bambini alla Pace? Nell’età più malleabile, gli ideali s’imprimono nell’anima. Non è mai troppo tardi per ricominciare tutte insieme, uomini e donne perché, come scrive la femminista americana, Adrienne Rich: «Tutta la vita umana sul nostro pianeta nasce da donna. L’unica esperienza unificatrice,

di Laura Botticelli

incontrovertibile, condivisa da tutti, uomini e donne, è il periodo trascorso a formarci nel grembo di una donna… Per tutta la vita e persino nella morte conserviamo l’impronta di questa esperienza».

Infine, come mamma e nonna, vorrei dire alle ragazzine che la maternità costituisce un impegno senza pari, responsabilità che non finiscono mai. Ma, vi assicuro che questa scelta, se libera e responsabile, vi ripagherà con un’impareggiabile felicità.

Informazioni

Inviate le vostre domande o riflessioni

a Silvia Vegetti Finzi, scrivendo a: La Stanza del dialogo, Azione, Via Pretorio 11, 6901 Lugano; oppure a lastanzadeldialogo@azione.ch

semi e pesci ricchi di omega tre per contrastare l’infiammazione. Bere una quantità adeguata di acqua quotidianamente aiuta la pelle a rimanere sana e idratata mantenendola così in buona salute, riducendo il rischio di infiammazione o irritazioni. L’acqua favorisce pure l’eliminazione delle tossine aiutando i reni a filtrare e a rimuovere sostanze indesiderate che altresì potrebbero contribuire alla formazione dei lipomi. Mantenere un buon livello di idratazione mantiene attivo il metabolismo, supportando una corretta regolazione dei processi corporei che potrebbero essere coinvolti nella formazione dei lipomi. Limitare l’alcol ed evitare il fumo in quanto possono avere un impatto negativo sulla salute della pelle.

Ultimo ma non meno importante è praticare attività fisica regolare. L’Organizzazione Mondiale della Sanità

raccomanda nel corso della settimana almeno 150-300 minuti di attività fisica aerobica d’intensità moderata oppure almeno 75-150 minuti di attività vigorosa più esercizi di rafforzamento dei maggiori gruppi muscolari almeno due volte a settimana. La regolare attività fisica modula positivamente il sistema immunitario, supporta la circolazione sanguigna con potenziali benefici per la cute e per il mantenimento di un peso sano oltre a tanti altri benefici. Non avendo altre informazioni su di lei le consiglierei di valutare quanto ho riportato sopra e di provare a cambiare le sue abitudini alimentari.

Informazioni

Avete domande su alimentazione e nutrizione?

Settimanale di informazione e cultura Anno LXXXVII 18 marzo 2024 azione – Cooperativa Migros Ticino 13 SOCIETÀ / RUBRICHE ◆ ●
L’altropologo
Fra il 1299 ed il 1303 de Molay aveva cercato di formare una coalizione contro i Mammalucchi che avrebbe compreso anche i misteriosi Mongoli dell’Ilkanato di Persia. Abbastanza per dar credito a una confusa e confondente notizia che attribuiva a de Molay e ai Templari l’adorazione di un fantomatico, mai meglio identificato «Baffometto», associato per giunta ad accuse di pederastia. Fu la quadratura del cerchio: i Templari potevano essere, finalmente, dichiarati eretici. Il sospetto legittimava l’uso della tortura con confessioni estratte a migliaia. «Confessò» in un primo interrogatorio anche de Molay. Poi – paradossale pentimento per aver mentito e/o moto d’autostima che sia stato – ritrattò la confessione. Il rogo non attendeva altro che un pentito confesso e recidivo: arcieretico dunque. Comburat : sia bruciato. Miserere per tutti. Cesare
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Rogo con vista
Si possono sciogliere i lipomi?
Laura Botticelli, dietista ASDD, vi risponderà. Scrivete a lanutrizionista@azione.ch
La pace ha un volto di donna

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Franco Belletti, fondista paralimpico

Altri campioni ◆ L’atleta svizzero ha partecipato a cinque edizioni dei Giochi, quattro delle quali invernali

Davide Bogiani

Quanto dura un minuto? E quanto un’ora? Per Franco Belletti, un minuto alle paralimpiadi invernali vale 51 secondi. Un’ora, 51 minuti. Secondo le teorie della fisica quantistica, pare che il tempo rallenti proporzionalmente alla propria velocità. E allora, quanto è veloce Belletti?

Goms, 2 marzo 2024. L’incontro è agendato alle ore dieci presso la scuola di sci di fondo locale. Ma di Franco Belletti, nemmeno l’ombra. Ci siamo dati appuntamento per una chiacchierata sulla sua incredibile carriera di fondista paralimpico. Poi, improvvisamente, eccolo: prima arriva la voce, l’accento misto fra svizzero tedesco e italiano. Poco dopo appare anche lui. In coda, con il fiatone, la sua ombra.

Rallentiamo, per ricomporre Franco Belletti in un tutt’uno. Ci prendiamo un caffè, chiacchieriamo.

La sua storia è molto particolare. Nato nel 1959, Franco è sempre stato un grande sportivo, con la velocità nel sangue. «Già da piccolino amavo le sfide di velocità, avvicinandomi a quella che è diventata poi la mia grande passione, il motocross», spiega Belletti. Passione che gli ha dato molto. Sensazioni, brividi, adrenalina. Ma anche passione che purtroppo gli ha tolto l’uso delle gambe, in seguito a un incidente. Sono gli anni Ottanta, e il giovane ha davanti a sé una nuova vita. Con la stessa determinazione con cui spiccava salti, balzi e rimbalzi in sella alla sua moto da cross, affronta il suo percorso riabilitativo alla clinica Rehab a Basilea.

Si deve a Franco Belletti la progettazione di una nuova slitta divenuta negli anni importante e riconosciuta nel circuito delle gare internazionali

«La situazione era chiara. Paraplegia. Avevo due possibilità; arrendermi oppure pigiare nuovamente sull’acceleratore per ritornare a vivere. È stato un percorso molto duro e difficile», ci confida. Ma la voglia di diventare indipendente prende il sopravvento su tutto. Dopo sette mesi, esce dalla clinica basilese ed è completamente autonomo. Decide di andare ad abitare a Thun, cittadina in cui vive attualmente. È lì che per caso scopre lo sci di fondo per persone in carrozzella. Una passione che terrà legata a sé per sempre. Ma lo sci di fondo non è la sua unica passione. Belletti scopre infatti anche l’atletica leggera e inizia ad allenarsi con un unico obiettivo, i Giochi paralimpici. Siamo nel 1988 e nella storia delle Paralimpiadi, Seul rappresenta un punto di

svolta. Dall’appuntamento in Corea del Sud in poi, tutte le edizioni delle Paralimpiadi successive si sarebbero infatti svolte nella stessa città e negli stessi impianti delle Olimpiadi. Franco partecipa nell’atletica leggera, dove stacca il sesto rango nei 1500 metri. Continua poi ad allenarsi per i quattro anni successivi in vista dei Giochi paralimpici estivi di Barcellona, sempre nell’atletica leggera, ma purtroppo senza qualificarsi. È il 1992, e in programma vi sono anche i Giochi invernali di Albertville. Questi sono stati gli ultimi Giochi invernali che si sono svolti lo stesso anno dei Giochi estivi. Franco viene contattato dall’Associazione svizzera dei paraplegici, che lo seleziona per la partecipazione alle Paralimpiadi nello sci di fondo. E lui risponderà con una medaglia di argento nel biathlon e bronzo nella staffetta.

Da quelle Paralimpiadi in poi, Franco percorrerà ancora molti chilometri sulla sua slitta di sci di fondo. E sono proprio le molte ore seduto sullo slittino a fargli venire un’idea. «Durante gli allenamenti e anche nelle gare, mi rendevo conto che la posizione sulla slitta con le gambe tese non era ideale e che sarebbe stato meglio se le gambe fossero state piegate per distribuire meglio il peso sopra gli attacchi, esattamente come accade nei fondisti normodotati». Belletti progetta quindi una nuova slitta in cui le gambe sono raggruppate, riproponendo la stessa posizione assunta dagli atleti nelle carrozzelle di atletica leggera. Queste

nuove slitte sono poi diventate molto riconosciute e importanti nel circuito delle gare internazionali. Per quanto riguarda invece gli sci, vengono utilizzati gli sci da skating, mentre i bastoni sono di misura più corta. L’altezza dello schienale varia invece in base all’altezza della lesione, la quale

è determinante per definire le diverse categorie. Per coloro i quali hanno una lesione midollare alta, viene utilizzato uno schienale alto (sopra la lesione) per stabilizzare la seduta. Se invece la lesione è più bassa, anche lo schienale sarà più basso. In merito al tipo di lesione, a livel-

lo di regolamento gli atleti vengono classificati nelle seguenti categorie: LW10 significa disabilità agli arti inferiori senza equilibrio funzionale da seduti; LW10,5 disabilità agli arti inferiori con minimo equilibrio funzionale da seduti; LW11 disabilità agli arti inferiori con discreto equilibrio funzionale da seduti; LW11,5 disabilità agli arti inferiori con più che discreto equilibrio funzionale da seduti; LW12 disabilità agli arti inferiori con buon equilibrio funzionale da seduti. A dipendenza del tipo di lesione, il tempo impiegato viene moltiplicato per un coefficiente. Ad esempio, la categoria LW12 viene presa come valore di riferimento (100%) per scendere progressivamente a un valore del 86 % per la categoria LW 10. In altre parole, il tempo misurato al fondista con una disabilità più importante (ad esempio LW 10.5) sarà del 14% più lento rispetto al tempo dell’atleta nella categoria LW12. Parafrasando, un’ora di orologio di attività per un atleta LW10.5 sarà calcolata con un coefficiente di riduzione del tempo del 14 % che porterà l’orologio a fermarsi ai 50 minuti e 40 secondi, anche se il tempo effettivo reale è di 60 minuti.

La chiacchierata con Franco Belletti continua. Solo due anni dopo i Giochi paralimpici di Albertville, disputa i Giochi, sempre invernali, a Lillehammer, nel 1994. Nel 1998 è la volta di Nagano, e poi nel 2002 di Salt Lake City. In tre edizioni su quattro, Belletti mette al collo le medaglie di argento e di bronzo nel biathlon. «A differenza degli atleti normodotati, in questa disciplina noi utilizziamo un’arma ad aria compressa. Questo per il motivo che alcune nazioni vietano l’uso delle armi da fuoco alle persone disabili. Il colpo viene sparato da una posizione sdraiata e l’atleta si rialza senza aiuti esterni e con il solo utilizzo dei propri bastoni da sci», spiega Belletti.

Il tempo vola e, in lontananza, si sente il rintocco delle campane che segna il mezzogiorno e che riporta alla memoria del fondista una nuova scadenza: le Paralimpiadi di Cortina 2026. «Il mio sogno è di riuscire ad accompagnare qualche atleta paralimpico svizzero come allenatore. Ma il tempo stringe e questa diventa una lotta contro l’orologio», conclude Franco.

E allora ecco prendere di nuovo il sopravvento il gioco del tempo. Sui binari di skating riparte dapprima l’ombra di Franco, seguita dalla sua forza di volontà di costruire ancora tanto in questo ambito e restituire al circo bianco ciò che di magico lui, in quattro Paralimpiadi invernali e una estiva, ha ricevuto, con dedizione, duro lavoro e gratitudine.

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Il regno di ghiaccio della Manciuria

Reportage ◆ In viaggio verso l’estremo Nord-Est cinese, con tappa ad Harbin, capoluogo dell’Heilongjiang Marco Cortesi, testo e foto

Partire per la Cina non deve significare per forza partire per il classico giro attraverso il centro del Celeste Impero, tra guerrieri di terracotta e panda giganti; esistono luoghi molto meno conosciuti ancora tutti da scoprire come il Nord-Est del Paese, e soprattutto il festival del ghiaccio di Harbin. Il nostro viaggio in Oriente inizia da Pechino (Beijing) – letteralmente la capitale del Nord – e grazie a un treno ad alta velocità, che può superare i 300 km/h, ci lasciamo rapidamente alle spalle il Tempio del Cielo e la Città Proibita. La linea ferrata ci porta fino alla regione del Dōngběi, conosciuta storicamente come Manciuria.

Tutto il ghiaccio proviene dal fiume congelato dalle correnti siberiane: Harbin da una media di -20°C e arriva fino a -40°C

Attraversando pianure via via sempre più bianche giungiamo ad Harbin, il capoluogo del Heilongjiang, la provincia più nord-orientale della Cina che confina con la Siberia. Harbin è cresciuta fino a diventare una mega-città di dieci milioni di abitanti, proprio grazie alla sua funzione di snodo della Ferrovia Orientale Cinese che la collegava a Vladivostok fin dagli inizi del XX secolo; ora fa parte della linea ad alta velocità che la Cina ha iniziato a costruire nel 2007 e che conta già oltre 42mila chilometri di linee.

Nascita di un mondo sottozero

Il festival internazionale del ghiaccio e della neve di Harbin ha le sue origini nel lontano 1963 come festival delle lanterne di ghiaccio, una popolare arte del Nord-Est della Cina. Ufficialmente prende però il nome attuale nel 1985 dopo la sua restaurazione, a seguito della sospensione dovuta dalla Rivoluzione Culturale.

Il festival include vari eventi, quello principale e sicuramente più iconico è il Mondo del ghiaccio e della neve, che ha luogo dal 1999 sulla Sun Island, un’isola situata nel fiume Songhua che attraversa la città. L’attuale edizione si estende su circa 810mila metri quadrati, l’equivalente di oltre 110 campi di calcio, e per la realizzazione sono stati utilizzati all’incirca 250mila metri cubi di ghiaccio scolpito, l’equivalente di un centinaio di piscine olimpioniche. Ghiaccio del tutto proveniente dal fiume che

durante l’inverno si solidifica, dato che – grazie alle correnti siberiane – la temperatura media di Harbin è di circa -20°C e può raggiungere anche i -40°C.

Una curiosità: il ghiaccio viene prelevato e tagliato con un anno di anticipo, per poi essere coperto per evitarne la fusione con le temperature miti di primavera ed estate. Tale operazione permette l’avvio della costruzione del parco in tempi più ristretti rispettando l’apertura ufficiale del 5 gennaio.

Alla scoperta di un mondo incantato

Si raggiunge l’isola su cui si trova il parco a tema con la moderna metropolitana di Harbin, poi una fila di bus portano i visitatori fino all’ingresso vero e proprio. Oltrepassati

i controlli di sicurezza e dei biglietti, si esce dall’edificio passando delle porte-tende che mantengono il calore all’interno. Qua inizia la magia: si viene accolti da una martellante musica pop cinese e da un orso di neve alto almeno cinque metri, oltre il quale svettano altre sculture di neve e di ghiaccio. Al di là di un tunnel di neve, in lontananza, s’inizia a intravvedere la gigantesca ruota panoramica con i suoi 120 m di altezza e famosa per la sua decorazione a fiocco di neve tempestata di luci LED. In realtà in questo momento ci troviamo ancora nella parte periferica del parco, dove diverse case di neve fungono da hotel e circondano un albero di Natale composto da enormi mattoni di ghiaccio alto svariati metri e sulla cui cima si trova… un vero albero di Natale.

Camminando verso il centro del parco si ha l’opportunità di entra-

re all’interno di igloo sparsi qua e là. Ma non è necessario soffermarsi troppo, in breve tempo si raggiunge una delle aree principali di questa edizione: il Regno delle Fiabe.

Il 2024 è segnato dal 60esimo anniversario delle relazioni diplomatiche sino-francesi che condiziona e giustifica la coesistenza delle due importanti sculture di ghiaccio quali attrazioni centrali del parco intero: stiamo parlando della realizzazione della Cattedrale di Notre-Dame di Parigi e del Tempio del Cielo di Pechino, collegati tra loro da un ponte che rappresenta l’amicizia tra i due Paesi. A poca distanza sui lati opposti troviamo anche l’Arco di Trionfo e la Grande Muraglia.

Continuando l’esplorazione di questo mondo, in cui i passi sono costantemente ovattati dalla neve, si possono incontrare scultori che lavorano alle loro effimere opere d’arte:

vediamo cavalli, cigni e anche Lao Tzi, il leggendario filosofo cinese fondatore del taoismo, a cavalcioni di un maestoso toro dalle lunghe corna. Sicuramente non passa inosservata la torre più alta del parco e posta al suo centro: la corona di ghiaccio e neve. Alla sinistra di quest’ultima si trova una delle costruzioni più grandi del parco in termini di superficie: un castello russo con alte mura su cui si può salire grazie a delle scale anch’esse di ghiaccio, terrazze panoramiche e, come è facile intuire, non possono mancare delle matrioske di ghiaccio. Mentre se si volge lo sguardo sulla destra della torre centrale si resta affascinati da un’enorme scultura di neve del Buddha. Dietro di esso: centinaia, o forse addirittura migliaia di persone sono in coda per salire sullo scivolo di ghiaccio più lungo del parco; un cartello indica che da questo punto – ma la coda continua ben oltre – ci vogliono sei ore di attesa.

Sono appena le 15 ma il sole inizia già ad abbassarsi passando tra i raggi della ruota panoramica; la luce radente del tramonto attraversa il ghiaccio creando dei bellissimi riflessi dorati. In poco tempo diventa notte, ma non ci si trova al buio, anzi l’assenza del sole accentua ancora di più la magia di questo incantevole posto, perché all’interno delle costruzioni, delle sculture e perfino al di sotto delle strade lastricate di ghiaccio, si illuminano milioni di led colorati che danno vita al regno delle fiabe e rivelano la vera essenza di questi luoghi.

Informazioni

Su www.azione.ch, si trova una più ampia galleria fotografica.

Settimanale di informazione e cultura Anno LXXXVII 18 marzo 2024 azione – Cooperativa Migros Ticino TEMPO LIBERO 17

Ricetta della settimana - Torta di Pasqua

Ingredienti

Pasticceria dolce

Ingredienti per 12 pezzi, per 1 tortiera di circa 26 cm Ø

5 dl di latte

1 presa di sale

120 g di riso per minestre, ad esempio Originario

1 limone

1 dl di panna intera

75 g d’uva sultanina chiara

2 uova

50 g di zucchero

1 pasta frolla rotonda già spianata di 320 g

100 g di confetture di lamponi zucchero a velo per guarnire ovetti di zucchero per guarnire

Preparazione

1. Portate a ebollizione il latte con il sale. Aggiungete il riso e lasciate sobbollire a fuoco basso per circa 25 minuti, rimestando di tanto in tanto.

2. Lasciate raffreddare il riso. Aggiungete la scorza di limone grattugiata.

3. Scaldate il forno statico a 200 °C. Incorporate la panna e l’uva sultanina al riso.

4. Montate a spuma le uova con lo zucchero e incorporatele al riso.

5. Srotolate la pasta con la carta da forno e accomodatela nella teglia. Ritagliate il bordo in eccesso e bucherellate fittamente il fondo con una forchetta. Distribuite sulla pasta prima la confettura, poi la crema di riso.

6. Con i resti di pasta, ritagliate dei coniglietti e adagiateli sulla farcia.

7. Dorate la torta nella parte bassa del forno per circa 30 minuti. Lasciatela raffreddare. Guarnitela con gli ovetti di zucchero e spolverizzatela con lo zucchero a velo.

Preparazione: circa 20 minuti; sobbollitura: 25 minuti; cottura in forno: circa 30 minuti; raffreddamento

Per persona: circa 50 g di proteine, 10 g di grassi, 41 g di carboidrati, 280 kcal.

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Il pugno di ferro ha colpito ancora

Videogiochi ◆ Tekken 8 ? In assoluto il miglior picchiaduro sul mercato, anche grazie alla grafica straordinaria

Kevin Smeraldi

L’ultimo capitolo della celebre serie di giochi di combattimento prodotta da Bandai Namco Studios è una vera e propria esperienza rivoluzionaria che porta la competizione e l’azione a un nuovo livello. Con una grafica eccezionale e una meccanica di gioco raffinata, Tekken 8 cattura l’attenzione dei giocatori fin dal primo istante. Una delle caratteristiche più sorprendenti di Tekken 8 è il roster di personaggi, con stili di combattimento unici e mosse speciali

della sala giochi, cercando di vincere il Tekken World Tour.

Continuando l’esplorazione delle possibilità di gioco nella versione single player, troviamo la Story Mode: questa modalità si concentra sulle vicende familiari che ruotano intorno al clan Mishima. Nella maggior parte delle battaglie interpreteremo Jin Kazama, figlio di Kazuya Mishima e nipote di Heihachi Mishima, personaggi leggendari della saga. Senza fare troppi spoiler, vi diciamo solamente che Jin dovrà cercare di fermare la conquista del mondo di suo padre. Chi avrà già messo mano al gioco e provato la Story Mode come noi, si sarà subito accorto che le cut scene sembrano prese da un gioco di fantascienza mixato a un picchiaduro, ma nonostante l’esagerazione di alcune scene, tipo personaggi che volano su moto e altri che abbattono interi grattacieli a suon di pugni, abbiamo trovato la campagna molto divertente anche se poco longeva.

Per ultimo, ma non da meno, troveremo le modalità contro gli avversari umani. Dal Versus mode, dove sarà possibile sfidare i propri amici uno contro uno, localmente, alla modalità online. Quest’ultima dà la possibilità di selezionare il proprio personaggio preferito e scendere sul ring contro avversari di pari livello al nostro contro i quali combattere per accumulare punti scalando le classifiche di

gioco. Abbiamo trovato questa modalità molto divertente e appagante in quanto ogni singolo scontro è veramente ben bilanciato: non abbiamo mai trovato avversari molto più forti di noi, e ciò ci ha permesso di godere di un gioco che è risultato essere sempre una vera e propria battaglia all’ultimo sangue.

Una delle caratteristiche più sorprendenti di Tekken 8 è il suo roster di personaggi utilizzabili, ognuno con stili di combattimento unici e mosse speciali mozzafiato. Dai veterani della serie come Kazuya Mishima, Marshall Law e Paul Phoenix, ai nuovi arrivati. Ogni combattente offre un’esperienza di gioco diversa, permettendo ai giocatori di trovare il personaggio che meglio si adatta al

loro stile di gioco. Nonostante siano passati quasi trent’anni dall’uscita del primo Tekken, tutti i personaggi hanno mantenuto la loro impronta; infatti, le meccaniche e le combo, vengono eseguite sempre con la stessa identica sequenza di tasti, trasmettendoci lo stesso feeling degli originali. Personalmente era dai tempi di Tekken Tag Tournament che non giocavo più a un titolo di questa saga, ma è stato stupefacente come dopo pochi minuti di gioco sia riuscito subito a riprendere confidenza con il personaggio a cui ero più affezionato. È stato come se avessi sbloccato un ricordo della mia memoria muscolare fermo per 25 anni, insomma proprio come andare in bicicletta: non si scorda mai!

Rispetto al passato però, si trovano anche alcune nuove caratteristiche di gioco interessanti, come il sistema «Heat», ovvero una barra di vigore, dove per un breve lasso di tempo avremmo la possibilità di eseguire combo più devastanti, e il «rage attack», un super colpo che dimezzerà la vita dell’avversario, ottenibile quando la nostra vita risulterà essere sotto il 25 per cento.

C’è poco da dire sul comparto tecnico di Tekken 8, semplicemente sublime! È senza dubbio il miglior picchiaduro sul mercato, con una grafica straordinaria, dettagli dei personaggi che arrivano addirittura a mostrare il sudore scendere dal volto dei protagonisti, arene che si modificano in base all’evoluzione del combattimento, inoltre gli effetti dei colpi sferrati danno un senso di potenza che rendono gli scontri ancora più godibili. La stessa cosa vale per il comparto audio, con una colonna sonora che sostiene perfettamente ogni singola arena, capace di rendere ancora più esaltanti gli scontri.

In conclusione, Tekken 8 ci ha stupiti positivamente, è un titolo eccezionale che offre una combinazione perfetta di grafica mozzafiato, gameplay avvincente e una varietà di modalità che garantiscono ore e ore di divertimento senza fine. Per i fan della serie e per i nuovi arrivati, Tekken 8 è un must-have assoluto. Voto 8.5/10.

Vinci una delle 2 carte regalo da 50 franchi con il cruciverba e una carta regalo da 50 franchi con il sudoku

Cruciverba

Molti serpenti hanno sugli occhi solo un sottile strato di pelle trasparente che consente… Completa la frase risolvendo il cruciverba e leggendo le lettere evidenziate.

Frase: 2, 7, 1, 2, 8, 2, 7)

ORIZZONTALI

1. Fuoriesce da un… cratere

4. Seguono la squadra in trasferta

9. È il numero uno in Inghilterra

10. Ninfa amata da Apollo

11. Iniziali dell’inventore del motore a gasolio

12. Alterigia, vanagloria

13. Le iniziali dell’attore Sperandeo

14. Rappresentazione grafica

16. Un anagramma di già

17. Un virus altamente mortale

18. Severa, intransigente

20. Circondano i facoltosi

22. Unità di misura della pressione

23. Le iniziali dell’attore Argentero

24. Un Maurice musicista

26. Un numero

VERTICALI

1. Il «Jim» di Conrad

2. L’attrice MacDowell

3. Pronome personale

4. C’è anche quella arbitrale

5. Osso del bacino

6. Fondi di Investimento

8. Istituto professionale di stato per l’industria e artigianato

10. Senza si è scapoli

12. Belgrado a Belgrado

13. Tribunale Amministrativo

Regionale

15. Vi sta dietro il carcerato

16. Le iniziali dello scrittore

Ungaretti

19. Stato francese

21. Un anagramma di Alpi

23. Liquido extracellulare (Sigla)

Sudoku 1 2 3 4 5 67 8 9 10 11 12 13 14 15 16 17 18 19 20 21 22 23 24 25 26 I LA T È A LO L A ML ET NOIA O TORRI AR C O RAMBO T EN S IN AI E O S NE PAL IR M TOGO A LTO ISO TONI G ÀI

Alternativo

7. Due vocali

25. Le iniziali dell’Incontrada

718 2 19 2 3 8 3 9 4 13 98 2 8 5 4 47 261 3 1645 392 78 8971 243 56 2537 684 19 9 4 2 6 5 3 7 8 1 3168 729 45 7854 916 23 6 2 1 3 4 5 8 9 7 4389 175 62 5792 861 34

Soluzione della settimana precedente USANZE DAL MONDO – La bevanda più consumata in Marocco è … IL TÈ ALLA MENTA e simboleggia … CORTESIA E OSPITALITÀ

Settimanale di informazione e cultura Anno LXXXVII 18 marzo 2024 azione – Cooperativa Migros Ticino TEMPO LIBERO 19
Regolamento per i concorsi a premi pubblicati su «Azione» e sul sito web www.azione.ch I premi, tre carte regalo Migros del valore di 50 franchi, saranno sorteggiati tra i partecipanti che avranno fatto pervenire la soluzione corretta entro il venerdì seguente la pubblicazione del gioco. Partecipazione online: inserire la soluzione del cruciverba o del sudoku nell ’apposito formulario pubblicato sulla pagina del sito. Partecipazione postale: la lettera o la cartolina postale che riporti la soluzione, corredata da nome, cognome, indirizzo del partecipante deve essere spedita a «Redazione Azione, Concorsi, C.P. 1055, 6901 Lugano». Non si intratterrà corrispondenza sui concorsi. Le vie legali sono escluse. Non è possibile un pagamento in contanti dei premi. I vincitori saranno avvertiti per iscritto. Partecipazione riservata esclusivamente a lettori che risiedono in Svizzera. Scoprite i 3 numeri corretti da inserire nelle caselle colorate.
Giochi e passatempi
Partiamo subito con le modalità di gioco che Tekken 8 offre: l’Arcade Quest è la modalità principale in single player, che ci proietta in una sorta di sala giochi virtuale dove scontrarci contro gli avatar controllati dalla CPU. Proprio come in ogni sala giochi che si rispetti, gli scontri avvengono tramite le classiche macchinette da gioco. All’inizio dell’incontro si viene trasportati sul ring di combattimento. Questa modalità funge inizialmente come una sorta di tutorial, dato che durante i primi combattimenti verremo fermati più volte, ricevendo spiegazioni su nuove meccaniche e combo che Tekken 8 ha da offrire rispetto ai suoi predecessori. Andando avanti in questa modalità sarà poi possibile accumulare punti e scalare le classifiche

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La cura del prato

Democrazia diretta a rischio?

Secondo alcuni in Svizzera non sempre la volontà popolare e dei Cantoni verrebbe rispettata, vediamo perché

Pagina 23

Quando la verità non conta

Le foto truccate di Kate Middleton, gli scivoloni di Chiara Ferragni e le inquietudini di un pubblico in preda alla delusione

Pagina 25

Holi: la festa dei colori

In India si celebra la primavera spruzzandosi addosso pigmenti, spesso dannosi per l’organismo, e facendo più confusione possibile

Pagina 27

Francesco di fronte agli affari del mondo

Vaticano ◆ Il pontefice invita Kiev a sventolare «bandiera bianca» e scatena un putiferio mentre cala l’influenza della Chiesa

Quante divisioni ha il Papa? La non troppo ironica battuta attribuita a Giuseppe Stalin torna di attualità in seguito alle esternazioni di papa Francesco sulla guerra in Ucraina e alle reazioni che hanno provocato, dentro e fuori la Chiesa. Perché ciò che colpisce, al di là delle valutazioni che ciascuno può dare delle frasi del Papa, è che non incidono sulla realtà. Insomma, sembra che pochi siano disposti a prendere sul serio la voce del successore di Pietro. E se la Chiesa cattolica perde la sua autorevolezza morale, che cosa resta della sua influenza sugli affari del mondo?

Ricordiamo intanto di che si tratta. Papa Bergoglio (nella foto) era già intervenuto a più riprese sulla guerra in Ucraina, suscitando al meglio qualche polemica e al peggio silenzio. L’impressione veicolata dai media era che tendesse a giustificare i russi più che cercare di affermare una equilibrata idea di pace. Specialmente quando si riferiva al fatto che la Nato avesse «abbaiato alla porta della Russia». Impressione che lo stesso pontefice aveva cercato di correggere dichiarandosi a più riprese sensibile alle sofferenze del popolo ucraino. Ma questo non

era bastato alle autorità di Kiev per considerarlo un interlocutore rilevante, anzi. Né ha commosso la Chiesa ortodossa moscovita, che da sempre guarda a Roma con diffidenza – un «nido di serpenti» nella definizione del già patriarca Alessio II – e ne teme il proselitismo in casa propria.

C’era poi stata la missione del cardinale Matteo Zuppi, capo dei vescovi italiani, fra Mosca e Kiev. Scambiata dai media per una sorta di mediazione geopolitica, mentre si trattava di una iniziativa squisitamente umanitaria, fronte sul quale infatti Zuppi otteneva risultati apprezzabili. Indipendentemente dalle intenzioni, le interlocuzioni fra il cardinale e i vertici kievano e moscovita producevano un effetto mediatico che dava il senso di un impegno concreto della Chiesa di Roma per la pace in Ucraina.

Ma le recenti dichiarazioni di papa Francesco hanno rieccitato le polemiche. In un’intervista alla RSI, il pontefice ha invitato Kiev a sventolare «bandiera bianca», cioè ad arrendersi, salvo soggiungere che si dovessero subito aprire negoziati di pace. Affermazioni contraddittorie: se ti arrendi, che

cosa puoi negoziare? E se negozi, vuol dire che non ti arrendi. Ma il principio di non contraddizione sembra abbastanza fuori moda nella comunicazione corrente, non solo in Vaticano.

Il clamoroso invito di Francesco alla resa di Kiev – perché così è stato generalmente interpretato e rilanciato dai media in tutto il mondo – ha suscitato la secca reazione del diretto interessato. Zelensky non intende neppure parlarne, anzi resta fisso, almeno retoricamente, l’obiettivo di riprendere il controllo di tutti i territori occupati dai russi. Dalle parole ai fatti: il rappresentante del Governo ucraino presso la Santa Sede è stato richiamato a Kiev «per consultazioni», un atto che nella grammatica diplomatica sottolinea una crisi grave.

Ma l’aspetto più serio delle polemiche scatenate dalle parole di Francesco è stato il riflesso negativo prodotto in seno alle gerarchie ecclesiastiche e fra molti fedeli cattolici. Per esempio, i vertici della Chiesa polacca, fra i più sensibili quando si tratta della Russia, considerata arcinemica da sempre, hanno protestato invitando il Papa a smettere di occuparsi di politica inter-

nazionale, quasi non appartenesse alla sua missione. Ancora più rilevante la reazione del segretario di Stato, cardinale Parolin, che senza attaccare frontalmente il suo superiore ha però inteso ricordare che spetta alla Russia fare il primo gesto per avviare la pace, ritirandosi dai territori occupati dopo il 24 febbraio. In certo senso, potremmo concluderne che se Francesco invitava Zelensky a sventolare la bandiera bianca, il suo segretario di Stato rivolgeva il medesimo invito a Putin. Con esiti fattualmente nulli, ma con echi e strascichi polemici destinati a pesare sulla credibilità della Chiesa.

La perdita di influenza del Papa sugli affari del mondo è comunque clamorosa se consideriamo quella che è quasi sempre stata la potenza non solo spirituale esercitata da Roma nei secoli passati riguardo alle grandi questioni geopolitiche. Vale certamente per il passato – si pensi solo ad Alessandro VI e alla sua partizione del pianeta fra portoghesi e spagnoli con il Trattato di Tordesillas (1494), fra cento altri esempi – ma anche per tempi più recenti. Qualcuno ha riportato alla mente le parole di papa Bene-

detto XV sulla «inutile strage», ovvero sulla Prima guerra mondiale. Più concretamente, come dimenticare il ruolo fondamentale giocato da Giovanni Paolo II nella fine del comunismo e a sostegno di Solidarnosc nella vicenda polacca? O ancor più concretamente il suo schieramento a favore della secessione delle (più o meno) cattoliche Slovenia e Croazia dalla Jugoslavia, basata su un’interpretazione in stile Huntington, quasi che Zagabria e Lubiana appartenessero a una civiltà incompatibile con la Belgrado inscritta nella sfera di influenza ortodossa.

Se quando il Papa parla di geopolitica – e non solo – la Chiesa si divide, vuol dire che la malattia che affligge la Santa Sede è davvero profonda. La Roma cattolica è sempre stata protagonista della scena internazionale, indipendentemente dai giudizi che si possono dare sulle sue scelte. La cosa peggiore che può capitare a chiunque, tanto più se si tratta di una grande autorità morale e spirituale, è di non essere ascoltato. O peggio di evidenziare le faglie che si aprono in casa propria. Francesco passerà alla storia per questo?

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Democrazia diretta a rischio?

Berna ◆ Non sempre la volontà popolare (e dei Cantoni) verrebbe rispettata

È la legge suprema del nostro Paese, ma non sempre ha la vita facile. Se ne è avuta l’ennesima prova nel corso dell’ultima sessione delle Camere federali, che si è conclusa venerdì scorso. Tre settimane in cui la Costituzione svizzera è stata messa alle corde da un paio di modifiche di legge che hanno fatto parecchio discutere perché interpreterebbero in modo piuttosto vaporoso il mandato costituzionale, questa è perlomeno l’accusa di chi si è opposto alle riforme in questione. In gioco c’è il rispetto della volontà popolare (e dei Cantoni) e il valore della nostra democrazia diretta, né più né meno. Il tema è dunque delicato e di basilare rilevanza per gli equilibri istituzionali del nostro Paese. Ma andiamo con ordine.

Mattoni e sigarette

Sono due in particolare le normative che hanno dato il la a discussioni e polemiche in merito al rispetto della nostra «Magna Charta». Il primo tema è quello delle case di vacanza. Le Camere federali hanno approvato definitivamente una revisione della legge sulle case secondarie proposta dal deputato grigionese del Centro Martin Candinas. Una riforma che nelle località turistiche permetterà di aumentare le superfici costruite, fino a un massimo del 30%, in caso di demolizione e ricostruzione di una casa, creando così nuovi spazi abitativi. Va ricordato che nel 2012 in seguito alla cosiddetta «Iniziativa Weber» la quota delle abitazioni secondarie «non può eccedere il 20 per cento» rispetto all’insieme degli edifici presenti in un determinato comune. La proposta di Candinas mira a introdurre maggiore flessibilità, in particolare quando in gioco c’è il destino di un’abitazione costruita prima del 2016, anno in cui entrò in vigore la legge di applicazione dell’«Iniziativa Weber» sulle case secondarie. Oggi gli ampliamenti sono possibili sono in caso di ristrutturazione, in futuro lo saranno pure quando l’edificio in questione verrà dapprima totalmente abbattuto. Anche laddove la soglia del 20% di «letti freddi» è già stata superata. Si potrà inoltre scegliere liberamente l’ubicazione del nuovo stabile all’interno del proprio fondo di proprietà. Con questa sua decisione il Parlamento, e la sua maggioranza di centro-destra, ha voluto interpretare in modo flessibile

il mandato costituzionale per abrogare quelle che Candinas ha chiamato «inutili e dannose» restrizioni. E lo ha fatto forte anche del parere dei Cantoni, visto che in fase di consultazione la maggior parte di loro aveva approvato queste modifiche.

Va anche detto che l’«Iniziativa Weber», che si opponeva a quella che era stata chiamata una «costruzione sfrenata di abitazioni secondarie», era stata approvata dal 50,6% dei votanti e da 15 Cantoni. Un risultato sul filo del rasoio che aveva spaccato il Paese in due e che di regola autorizza poi il Parlamento a tener conto anche del parere di chi nelle urne si era opposto a quell’iniziativa popolare. In aula a Berna si è comunque fatta sentire la voce di chi – in questo caso a sinistra – ha visto in questa modifica un mancato rispetto della Costituzione e della volontà popolare, visto che si potrà costruire anche nelle località turistiche in cui il limite del 20% di case secondarie è già stato superato.

Dai mattoni passiamo ora alle sigarette, perché anche sul tabacco ci sono state tensioni di natura costituzionale. Da applicare c’era l’iniziativa popolare «Giovani senza pubblicità per il tabacco», approvata due anni fa dal 57% dei cittadini e da 16 Cantoni. Una proposta che mira a vietare ogni forma di pubblicità che possa in qualche modo raggiungere il pubblico dei minorenni, anche se pensata per consumatori adulti. E qui le Camere federali hanno voluto introdurre delle eccezioni, permettendo ad esempio la cosiddetta vendita mobile in locali pubblici o durante concerti e festival. A dettare il ritmo è stata in particolare la destra economica, influenzata dalla potente lobby del tabacco. Il Consiglio degli Stati aveva già approvato questo tipo di allentamenti, in questa sessione toccava al Nazionale, che però alla fine ha bocciato tutto per un’opposizione incrociata di UDC e della sinistra. Per i democentristi le limitazioni alle pubblicità erano ancora troppe, per Verdi e Socialisti invece c’era il rischio di non applicare correttamente la Costituzione. Questa legge in Parlamento torna ora alla casella di partenza, con in ogni caso il forte richiamo da parte di due Uffici federali – quello di giustizia e di quello della sanità pubblica – a rispettare il mandato costituzionale nell’elaborazione di questa legge di applicazione. In altre parole, anche qui il mandato popolare è a rischio.

Manca coraggio

Il politologo ◆ La Svizzera vista da Andrea Pilotti

Che ne è quindi della nostra democrazia diretta? Abbiamo rivolto la domanda, sollevata dall’articolo a lato, ad Andrea Pilotti, docente e ricercatore all’Istituto di studi politici dell’Università di Losanna. «L’interrogativo è legittimo ed è vero che talune scelte sono difficilmente comprensibili», osserva. «Un aspetto che accomuna almeno due delle iniziative citate (abitazioni secondarie e giovani senza tabacco) è riconducibile al fatto che, al momento della loro approvazione, la situazione congiunturale e la sensibilità politica generale sui temi in questione erano diverse. Oggi il contesto e i rapporti di forza al Parlamento sono molto meno favorevoli per le istanze difese dai due testi. Questo può spiegare decisioni che suscitano diverse critiche».

Nella storia del nostro Paese non è certo la prima volta che tensioni simili emergono tra chi ha promosso un’iniziativa popolare e chi è chiamato ad applicarla nel concreto. In questo senso l’anno in corso porta con sé due anniversari di peso. Proprio trent’anni fa veniva approvata in votazione popolare la cosiddetta «Iniziativa delle Alpi» che ha introdotto questo nuovo articolo nella Costituzione federale: «Il traffico transalpino per il trasporto merci attraverso la Svizzera avviene tramite ferrovia. Il Consiglio federale prende le misure necessarie». È vero che nel frattempo sono state realizzate le gallerie di AlpTransit, ed è vero che il numero di camion in transito attraverso il nostro Paese è globalmente diminuito, non per questo si può dire che l’articolo costituzionale di questa iniziativa sia stato concretamente applicato. Qui a reclamare maggiore coerenza è in particolare la sinistra.

I diritti delle donne

Sul fronte opposto, l’UDC se la prende per il modo in cui è stata applicata la sua iniziativa contro l’immigrazione di massa, approvata il 9 febbraio di dieci anni fa. Un’iniziativa che chiedeva di introdurre contingenti annuali per la gestione degli stranieri in arrivo nel nostro Paese. Nella legge di applicazione di questi contingenti non c’è traccia. Il Parlamento ha elaborato un modello di gestione dell’immigrazione che si basa sulla preferenza indigena, con i datori di lavoro obbligati ad annunciare i loro posti vacanti agli Uffici regionali di collocamento. Le persone disoccupate e iscritte a questi uffici dispongono di un accesso privilegiato a questi annunci. Ma anche in questo caso la Costituzione dice un’altra cosa. Di casi di questo tipo ce ne sono diversi altri. Ricordiamo ad esempio che il nostro Paese dispone di un’assicurazione maternità dal 2004, mentre l’articolo costituzionale che la prevedeva era stato approvato nel 1945! Un’ultima annotazione: la norma che stabilisce «uguali diritti tra uomo e donna» – anche a livello salariale – è stata approvata nel 1981. Ed è anche questa in attesa di una sua completa realizzazione. In altri termini, la nostra Costituzione di tanto in tanto avrebbe bisogno di sguardi più attenti. In fondo siamo o non siamo il Paese della democrazia diretta?

Pilotti è coautore, insieme a Oscar Mazzoleni, di «Eppur si muove. La politica elvetica cambia per restare sé stessa», apparso sulla rivista italiana di geopolitica «Limes» (dicembre 2023). Il saggio sottolineava il carattere di stabilità del sistema politico elvetico, con istituzioni e funzionamento quasi invariati da oltre un secolo e mezzo (si pensi, ad esempio, a ruolo e composizione del Consiglio federale, come pure al federalismo e all’ampia democrazia referendaria). «Fin troppo prevedibile per il discorso comune ma sicuramente efficace», dice Pilotti, citando lo scrittore italo-svizzero Giuliano Da Empoli che provoca: «Più è noioso, meglio funziona»... «Diversamente dalle altre Nazioni del Continente, la Svizzera non ha subito cesure istituzionali di rilievo o svolte costituzionali nel Novecento. Dal 1848 – anno della prima Costituzione federale – i membri del Governo non sono quasi mai stati sfiduciati (dal 1946 ad oggi si contano 66 ministri, tra questi solo 2 non sono stati rieletti pur ripresentandosi per un nuovo mandato). E il Parlamento non ha vissuto alcuna riforma significativa, salvo l'introduzione del proporzionale per l’elezione del Consiglio nazionale nel 1918 e del suffragio femminile nel 1971» (in Europa solo il Liechtenstein arriva dopo, nel 1984; leggi il saggio di Brigitte Studer La conquista di un diritto. Il suffragio femminile in Svizzera, Dadò Editore, 2021).

In ogni caso stabilità non significa immutabilità, sottolinea Pilotti: negli ultimi decenni si sono verificati cambiamenti soprattutto in risposta al processo di integrazione europea che ha coinvolto il nostro Paese, sebbene non sia membro dell’Unione. Paese che più di tutti ha implicato l’elettorato nel decidere le sorti di questo legame ambivalente. «L’incontro-scontro con l’Ue ha modificato anche i rapporti di forza a livello partitico. Prima le elezioni nazionali erano caratterizzate da una certa prevedibilità. Dominavano i tre partiti storici – socialisti, liberali e popolari democratici – con leggere varia-

zioni. Poi è arrivata la “nuova” UDC di Christoph Blocher, l’ex partito agrario, che si è imposta come prima forza politica – scardinando la consuetudine – proprio profilandosi nelle questioni dei rapporti con l’Ue». Il sistema si è smosso, continua l’esperto. Assistiamo a talune forme, seppure contenute, di «americanizzazione» delle campagne elettorali, diventate altresì più costose e in un certo senso permanenti. I partiti, con lo strumento referendario, «martellano» sui temi tutto l’anno, non solo in occasione delle elezioni. Si sono inoltre diffusi una crescente personalizzazione, un linguaggio nuovo e delle rappresentazioni talvolta a tinte forti degli avversari politici, basate su strategie che tendono a evidenziare gli aspetti negativi di questi ultimi (negative campaigning).

Un altro fattore che, negli ultimi anni, ha scardinato molte delle nostre certezze e ha dato uno scossone al sistema politico è stata la pandemia. «Il Covid – osserva Pilotti – è stato una sorta di stress test per le istituzioni politiche svizzere e per il federalismo. Dal 2020 si è infatti verificata un’accelerazione del processo di accentramento del potere decisionale a favore del Consiglio federale (già in atto da qualche tempo). In ogni caso diversi specialisti sono concordi nell’affermare che le istituzioni sono riuscite a reggere piuttosto bene, tenendo anche testa a forme di contestazione sorprendenti per il contesto elvetico (No vax). L'UDC, in particolare, ha saputo inglobare una parte della fetta di elettori critici e, di fondo, la fiducia nelle istituzioni è rimasta salda». Alcune prove? Nel giugno 2023 la maggioranza dei votanti ha deciso di accettare, per la terza volta, la legge Covid-19 e, a inizio marzo 2024, dalle urne del Canton Berna è emerso un chiaro sì all'introduzione di una procedura legislativa che dà a Governo e Parlamento la possibilità di proporre misure urgenti da mettere in pratica prima del voto popolare.

Dunque il nostro sistema politico è «affidabile» e regge anche in situazioni di crisi, ma quali sono i suoi punti deboli? Risponde l’intervistato: «Si è sempre detto della forza del federalismo elvetico, del ruolo di laboratorio politico dei Cantoni… Ma il federalismo ha talune volte frenato e ancora frena l'adozione di riforme di carattere economico e sociale necessarie di fronte a questioni urgenti (pensiamo ad esempio alla disparità di genere sul piano salariale, ai limiti del sistema di cassa malati ecc.). La reticenza a introdurre cambiamenti a livello federale, prima di averli a lungo sperimentati a livello cantonale, può rappresentare una debolezza in un contesto di rapide trasformazioni socioeconomiche. In talune occasioni ci vorrebbe forse più coraggio da parte di autorità federali e cantonali per rispondere in tempi adeguati alle sfide che ci attendono».

Il Covid ha scardinato molte delle nostre certezze e ha dato un bello scossone al nostro sistema politico. (Keystone)

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Case di vacanza a Brigels, nei Grigioni. Uno dei temi che hanno suscitato polemiche sulla Costituzione è proprio quello delle abitazioni secondarie. (Keystone)

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Se la verità non conta più niente

Prospettive ◆ Le foto truccate di Kate Middleton, gli scivoloni di Chiara Ferragni e le inquietudini di un pubblico deluso

Vogliamo la verità. Ma per una ragione nuova: tra poco non sapremo più distinguerla dal falso, dal finto, dal contraffatto, dal deepfake. E ai nostri idoli, fino a quando ci piacerà sceglierli in carne e ossa e non generati dall’intelligenza artificiale come la modella Aiatana Lopez, chiediamo almeno un po’ di lealtà. Non dico l’autenticità tanto in voga fino a qualche anno fa, ma almeno il battito umano, il pulsare di un cuore, una reazione spontanea. Mentre la tecnologia fa carriera e la nostra vita si prepara a cambiare – lo sappiamo che è così, anche se a volte facciamo finta che l’IA non esista – ci sono due storie che stanno rivelando più di altre l’emergere di una nuova esigenza, di una nuova inquietudine: Catherine Middleton e Chiara Ferragni. Due figure che si sono rette in passato sul fatto di avere una fortissima aura, una per ragioni istituzionali, l’altra per essersela guadagnata a suon di scatti e mises azzeccate. E questa aura sta perdendo smalto perché entrambe stanno venendo meno al loro compito di esprimere una verità. In questo modo non possono più essere punti di riferimento per nessuno. Partiamo dal caso globale, Kate. Bella come le principesse delle fiabe, ci ha abituati negli anni a standard inarrivabili di perfezione: non è mai apparsa in modo meno che impeccabile. A gennaio è stata operata all’addome, una formula generica e misteriosa che le ha garantito qualche settimana di tranquillità. Poi ha iniziato a serpeggiare il panico, il complotto, la dietrologia fantasiosa sulle sue reali condizioni di salute, fino a rendere necessaria un’esibizione del suo volto, una prova della sua esistenza in vita. E quindi ecco la prima foto in macchina con la madre, forse leggermente gonfia nei tratti, e poi la decisione di pubblicare uno scatto di famiglia, per

la Festa della mamma, sulla cui totale assenza di senso si sono già soffermate tutte le testate del mondo per oltre una settimana. Ma cosa ci importa, di quella foto, oltre al fatto che lei non indossa la fede? Conta il fatto che la famiglia reale inglese è un simbolo e il fatto che quel simbolo abbia cercato di ingannarci, al di là del solito generoso uso di Photoshop a scopi estetici, genera un disorientamento collettivo che sta venendo fuori in modo massiccio, impossibile da ignorare. Anche perché, come tutti i messaggi potenti, si aggancia a un archetipo, in questo caso quello della damsel in distress, della damigella in pericolo sia per motivi di salute che, si teme, di irredimibile infelicità famigliare. Il fatto che poco dopo che Kate si era presa la colpa di tutto, dicendo di aver giocherellato con Photoshop come tutte le foto-

grafe amatoriali, uno scatto mostrasse lei e William vicini nella macchina ma lontani nella postura – lei guarda fuori, lui il cellulare – non ha aiutato a dissipare la paura.

Foto opache, altro che casalinghe e autentiche, su cui pesa l’ombra di una comunicazione così informale da suonare sinistra. Elisabetta II, creatura novecentesca, avrebbe chiamato Cecil Beaton a farle un bel ritratto posato con un misericordioso chiaroscuro a coprire gli eventuali segni di debolezza. Scatto casalingo, si diceva. Di quelli in grado di farti sentire parte della famiglia ritratta, intimo, confidenziale. Un regno di cui Chiara Ferragni è stata regina per anni, con i suoi bambini e Fedez, che hanno mostrato quasi tutto di sé a un pubblico adorante, ipnotizzato dal concetto di «vedo tutto». Che oggi però si sente tradi-

La foto «incriminata» di Kate Middleton e figli su «The Daily Telegraph». (Keystone)

to, sia dal modo a dir poco leggero con cui sono state condotte le iniziative benefiche legate a pandori&Co, sia dal fatto che l’influencer sia andata in televisione da Fazio senza dire nulla di interessante, dando per scontato che apparire bella e leggermente meno in tiro del solito sarebbe bastato a smuovere gli animi e a far rifiorire le praterie di followers. E invece non è successo: sta continuando a perdere terreno e la sua strategia del silenzio sta danneggiando lei e i suoi azionisti, che a un certo punto potrebbero chiedere conto delle loro perdite. Lei sembra aver completamente rinunciato a far emergere un palpito, un elemento umano: anche davanti alla copertina di «L’Espresso» in cui veniva raffigurata come Joker, invece di cercare di raccogliere un poco di empatia con un commento a caldo ha pre-

La banda della grande evasione

ferito tirare in ballo gli avvocati, che sembrano anche gli autori di tutte le sue dichiarazioni degli ultimi tempi. Potrebbe mostrarsi vulnerabile, vera, presente, e invece risulta fredda e legnosa. Il contrario della seduzione. Con la minaccia di un ritorno di Trump alla Casa Bianca il nostro rapporto con la verità rischia di farsi ancora più labile

La voce umana, nel momento in cui la tecnologia sta facendo di tutto per imitarla perfettamente, non ha mai avuto più valore. Prima eravamo spaventati dalle fake news, mentre qui sono le fake lives a terrorizzarci. Sappiamo abbastanza di tecnologia per sapere cosa può fare alla nostra quotidianità per non essere preoccupati. Con la minaccia di un ritorno di Donald Trump alla Casa Bianca il nostro rapporto con la verità rischia di farsi ancora più labile. Non serve che Kate abbia usato gli ultimi ritrovati dell’IA per comporre il suo gruppo di famiglia, ci basta pensare che avrebbe potuto usarla per farci correre un brivido lungo la schiena. Tutti ci fotoshoppiamo le immagini. E le foto, al pari delle parole, possono essere molto ingannevoli, ma ora vogliamo delle regole, vogliamo sapere di quali manipolazioni siamo vittime. L’idea che un’istituzione arcaica come la Corona britannica sia lambita da un tipo di artificio futuristico ci turba, così come ci turba che non ci sia un cortigiano in grisaglie o una spia alla James Bond in grado di fare un lavoro pulito e permetterci di continuare a credere di sapere tutto dei nostri idoli. E invece ci stiamo trasformando tutti in dei San Tommaso, scettici e pure un po’ complottisti. «Se non vedo non credo», certo, ma cosa vedo?

Il caso ◆ Segreti e viaggi-premio al Polo Nord degli uomini che hanno liberato il milionario russo Artem Uss, ai domiciliari in Italia

Nell’evasione del 41enne affarista figlio di papà – e quale padre, essendo fra i più ricchi dell’intera Russia – Artem Uss, gli elementi criminologici abbondano. Ovvero: il commando in azione, i sopralluoghi mirati, le esercitazioni, per appunto la fuga (dai domiciliari in una casa a Basiglio, nei pressi di Milano, il 22 marzo 2023), e soprattutto quel che da allora è successo. Con punte che sfidano la fantasia d’un romanziere, con intrecci che risultano una lezione di geopolitica, con l’ennesima conferma di come l’Europa rimanga un insieme di provincialismi e interessi locali. Pensate per esempio al premio deciso da quel papà, il presunto mandante della liberazione: Srdan Lolic, 51 anni, uno dei capi della banda, è stato trasportato a bordo di un aereo militare russo fino al Polo Nord dove ha piantato sul ghiaccio la bandiera tricolore del suo Paese, la Serbia. Serbia che, entusiasta della missione, ora lo venera da eroe e lo protegge dalle (legittime) richieste della Procura di Milano, titolare dell’inchiesta, che vorrebbe si procedesse all’arresto e all’estradizione. Non che sia un’utopia: i carabinieri avevano inseguito il commando venendo però spiazzati

dalla mossa a sorpresa della CIA, ci arriveremo, e avevano fornito alle autorità serbe la localizzazione del ricercato. Macché, Lolic libero per sempre. Idem per un altro della banda, il connazionale Nebojsa Ilic, 46 anni, mentre un terzo, questo sloveno, il 39enne Matej Janezic, sarebbe stato catturato di recente.

Vezzi oppure vizi pure della CIA, l’Agenzia di spionaggio americana, che coltiva il grande sogno di stanare addirittura lui, Uss, subito corso nella sua Russia dopo che il commando, a bordo di macchine in colonna, aveva sconfinato lasciando l’Italia. Ebbene, gli investigatori USA avevano reso noto, in misura generica e senza inviare alcun documento ufficiale, d’avere bloccato un quarto della banda, Vladimir Jovancic, 52enne. Dove? In Croazia (forse). Come? Boh. Magari era una messinscena in combutta col medesimo Jovancic? Possibile. Ma a che pro? Ottenere informazioni riservate per sublimare quel grande sogno. Sicché, alla fine, di questi cinque del commando uno soltanto è stato assicurato alla giustizia italiana, il figlio di Vladimir, il 27enne Boris, che abitava nella zona del Garda e che, a differenza dei compari, lesti a starse-

ne nell’area balcanica, aveva deciso di fermarsi in Lombardia di fatto consegnandosi ai carabinieri. Ora, ricordando cosa c’entrino mai gli americani – Artem Uss è accusato dai magistrati di New York di reati vari incluso il contrabbando di materiale sensibile e di armi – si evince che la vicenda non sia affatto conclusa. Il padre del fuggitivo, governatore in Siberia, Aleksandr, 69 anni, docente di Diritto russo, grande amico di Vladimir Putin, non dovrebbe esitare nel garantire protezione a oltranza all’amato Artem, a maggior ragione adesso che sta a casa. Se gli Usa lo bramano così tanto, fatti loro; e se, ragiona un investigatore, uno degli attuali latitanti cadesse in trappola (anche se è quasi impossibile), state certi che si muoverà per difenderlo.

Giova narrare, a completamento del quadro, l’esito dei viaggi in Serbia di magistrati e carabinieri per sollecitare l’individuazione di Ilic e Lolic; ebbene, quelli seduti dall’altra parte del tavolo annuivano, ma sempre muti; gli italiani se ne andavano e nell’uscire dal palazzo istituzionale dell’incontro notavano sui tetti i cecchini. Allestimento per prenderli in giro dimostrando che si preoccupavano della

loro sicurezza. Per chi ha avuto modo di esplorare il mondo slavo degli Apparati, un’ironica e voluta farsa. Senza dimenticare che in seguito a quel patriottico viaggio al Polo Nord, Lolic gira in pubblico, compare in interviste televisive, prosegue con la propria vita che è stata quella di rappresentante del Governo serbo e di amico del popolo russo: per cinque anni lui ha lavorato per la cooperazione economica tra le due Nazioni con ufficio a Mosca.

Dopodiché non apparirà sacrilego interrogarsi se davvero ogni precauzione fosse stata adottata per impedire una facile fuga di Uss dall’abitazione di Basiglio. Non fosse stato ai domiciliari, forse sarebbe ancora al suo posto. Sì, chiaro, quel detenuto aveva il braccialetto elettronico, ma nel testare durante i sopralluoghi i tempi d’intervento delle pattuglie di carabinieri e poliziotti una volta scattato l’allarme legato allo stesso braccialetto, i quattro serbi e lo sloveno avevano appurato d’avere ampio margine per far salire Uss su di una macchina, partire, procedere in autostrada, puntare Trieste, entrare in Slovenia, prima che dietro si scatenasse una furibonda caccia. Non vi sarebbe traccia, nonostante le ovvie indagini in tal senso, della movimentazione di denaro finalizzata a finanziarie le spese della banda, calcolato che nelle permanenze a Milano il commando non esitava a dimorare in lussuosissimi hotel del centro, a volte in compagnia delle fidanzate. E fregandosene di viaggiare a ripetizione, senza pagare l’accesso, nell’Area B, che limita il traffico dei veicoli. Parecchie le multe, che non saranno mai sanate; ma questo, s’intende e concorderete, è l’ultimo dei problemi.

Settimanale di informazione e cultura Anno LXXXVII 18 marzo 2024 azione – Cooperativa Migros Ticino ATTUALITÀ 25
Artem Uss. (US Department of State)

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È forse la più famosa delle feste indiane: Holi, la festa dei colori. La più scenografica di tutte le feste induiste che somiglia, sotto certi aspetti, al nostro carnevale. Si tiene ogni anno alla prima luna nuova di marzo, ed è una vera e propria festa nazionale che ricorda, almeno per il numero di morti e feriti lasciati a terra e per il coinvolgimento popolare, il Carnevale di Rio. La gente si riversa nelle strade spruzzandosi addosso acqua e polveri colorate, facendo più baccano e confusione possibile: non esistono più differenze di ceto, di cultura, di casta o di sesso. Tanto che Holi viene celebrata ormai spesso anche in Occidente con rave gioiosi e più o meno estemporanei del tutto slegati dal calendario religioso induista o dal significato della festa. Che, non tutti lo sanno, comincia in realtà la sera prima intorno a mezzanotte. Quando si accendono i falò accuratamente predisposti da giorni da ragazzi e bambini del quartiere che, nelle settimane precedenti, strategicamente piazzati nei luoghi più frequentati della città, chiedono soldi ai passanti per comprare la legna e le statue. In mezzo alla catasta di legna difatti troneggiano statue di cartapesta più o meno grandi della cattiva strega Holika che tiene tra le braccia il piccolo Prahlad: incarnazione del dio Vishnu, che incenerisce la strega rimanendo illeso tra le fiamme.

È la più scenografica tra le feste induiste.

Durante Holi non esistono più differenze di ceto, cultura, casta o sesso

Quando i falò cominciano a bruciare, tutti cominciano a danzare e correre intorno al fuoco. In casa, nei posti più tradizionali, le signore fanno uno scrub con un miscuglio di semi di senape pestati e olio: ciò che rimane dovrebbe essere in teoria gettato tra le fiamme. Perché Holi è essenzialmente una festa della primavera legata all’antico calendario agricolo, e il falò di Holika, la vecchia strega che muore tra le fiamme, rappresenta simbolicamente l’inverno che muore e la successiva rinascita dei campi. Un’altra teoria vuole infatti che il Carnevale, come anche Holi, non siano altro che lo sbiadito ricordo di una vera e propria festa di capodanno che, nel mondo antico, celebrava la morte dell’anno vecchio e l’inizio del nuovo: la fine dell’inverno cioè e l’arrivo della primavera. Ma qui vige ancora, come un tempo da noi, il vecchio «ogni scherzo vale», ricordo di quando i giorni della festa erano un vero e proprio «tempo alla rovescia»:

ogni comportamento era diametralmente opposto a quello normale, i padroni dovevano servire gli schiavi, venivano abbandonate le normali regole della legge, della morale e tutti si abbandonavano a stravaganti manifestazioni di gioia e di allegria. Come lanciare palloncini pieni di acqua colorata dai balconi, ad esempio, su passanti e macchine. O spruzzare acqua colorata (o peggio) dai «pichkari» (pompe che spruzzano acqua) su chiunque.

A Holi, vera e propria saga della trasgressione, tutto è permesso. Motivo per cui viene in genere vivamente sconsigliato a chiunque, e specialmente ai turisti, di scendere a celebrare Holi per strada in mezzo a sconosciuti: non si sa mai. La mattina di Holi le strade sono piene di uomini, ragazzi e bambini che rovesciano secchi d’acqua colorata e polveri multicolori su chiunque capiti a tiro. E siccome non tutti sono in pieno possesso delle loro facoltà mentali, può capitare anche di trovarsi ricoperti di vernice o liquami, oppure di essere vittima di qualche «scherzo» che passa il segno. Nei posti più tradizionali si prende il bhang, estratto dalla cannabis, nei posti meno rispettosi della tradizione birra e whisky scorrono a fiumi. Nel «tempo alla rovescia» è ammesso tutto ciò che in altri momenti è considerato socialmente riprovevole. Noi celebriamo in casa, con amici e parenti. «Open house», dalla mattina presto fino a notte inoltrata. Perché la mattina di Holi chiunque, ma proprio chiunque, sve-

glia amici, vicini e parenti con manciate di polveri colorate. Da giorni difatti per strada bancarelle e negozi sono pieni di pompe di pichkari, alcuni enormi con doppio serbatoio, da portare sulle spalle a mo’ di zaino. Altri negozi e altre bancarelle espon-

gono montagne di polveri colorate in tutte le sfumature dell’arcobaleno, in certi casi addirittura arricchite con pagliuzze scintillanti. I più intellettuali e politicamente corretti comprano a caro prezzo nei negozi di lusso, i soli rimasti ormai a

vendere questo tipo di merce, le polveri tradizionali: meno brillanti ma fatte con pigmenti naturali. La mattina di Holi dappertutto si scatenano vere e proprie battaglie, che finiscono nel primo pomeriggio quando tutti, stremati e senza più un centimetro di pelle del colore abituale, si affollano intorno a docce, vasche da bagno e fontane per cancellare le tracce della battaglia mattutina.

Holi ricorda, almeno per il numero di morti e feriti lasciati a terra e per il coinvolgimento popolare, il Carnevale di Rio

Nel tardo pomeriggio, dopo avere indossato per l’occasione nuovi abiti, si va in visita da parenti e amici, e si coglie anche l’occasione per cercare di ricomporre eventuali liti che possono essere accadute durante l’anno passato. Tutti sono rilassati, sorridenti e anche un po’ sofferenti da più o meno clamorosi postumi da sbornia. La festa è finita, e tra pochi giorni sarà finita anche la brevissima primavera indiana: le temperature cominceranno presto a salire e tutti torneranno alle loro occupazioni. Ma per molti giorni ancora per strada si vedranno persone e anche animali che recano le tracce colorate, dure a scomparire, dell’allegra battaglia di Holi.

Settimanale di informazione e cultura Anno LXXXVII 18 marzo 2024 azione – Cooperativa Migros Ticino ATTUALITÀ 27
Holi, quando il mondo si rovescia Fili di seta ◆ In India si celebra la festa della primavera spruzzandosi addosso polveri colorate e facendo più baccano possibile Francesca Marino
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Come si possono realizzare graziose decorazioni per la tavola con le uova?

Le cucini, le colori e le disponi sul tovagliolo nel piatto per gli ospiti del brunch oppure le disponi al centro della tavola.

Esiste un modo semplicissimo per colorare le uova?

Certo, e per di più naturale: dai alle uova un delicato colore rosso violaceo con il succo di barbabietola. Ecco come fare: dopo averle bollite e fatte raffreddare, lascia le uova in infusione nel succo di barbabietola per 3-12 ore, a seconda dell’intensità del colore desiderato. Togli con cautela le uova dal succo e lasciale asciugare.

Ci sono altri aspetti da considerare?

Sì: pulisci bene le uova con l’aceto prima di cucinarle in modo che in seguito il colore aderisca meglio.

In che altro modo le uova possono essere utilizzate come decorazioni?

Crea dei piccoli vasi da fiori e sistemali in portauova di porcellana al centro del tavolo.

Uova, uova, uova: che decorazioni per la tavola!

Le uova non sono solo un highlight culinario del brunch pasquale, ma creano anche un effetto wow se utilizzate come decorazioni per la tavola. Alcuni consigli

Testo: Melanie Michael

Che cosa devo tenere presente per quanto riguarda i vasetti da fiori realizzati con le uova?

Allenta con attenzione il coperchio dell’uovo crudo per creare un punto

di rottura piuttosto uniforme e svuota il contenuto in una ciotola per un uso successivo. Sciacqua quindi l’uovo con l’acqua e lascialo asciugare. Ora riempi i vasetti di guscio d’uovo

con un po’ d’acqua e bellissimi fiori primaverili.

Che cosa devo fare con il contenuto dell’uovo?

Non buttarlo via! Gli avanzi possono essere utilizzati, per esempio, per preparare buonissime uova strapazzate oppure prodotti da forno. Ulteriori idee per le decorazioni pasquali sono disponibili su ostern.migros.ch/it/

Settimanale di informazione e cultura Anno LXXXVII 18 marzo 2024 azione – Cooperativa Migros Ticino MONDO MIGROS 29
PASQUA Brunch
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Ecco come preparare le uova di Pasqua

Guarnite, ripiene o in camicia: le nostre uova di Pasqua sono ottime per il brunch e sono pure belle

Uova colorate con topping

Brunch/Colazione

Per 18 pezzi

Colorare le uova

ca. 250 g di cavolo rosso

2 cucchiai di curcuma ca. 5 dl di succo di barbabietola

9 uova sode

Guarnitura per le uova a piacere

maionese

salmone affumicato

Beef chips o carne secca punte di asparago filetti d'acciuga sott'olio pezzetti di parmigiano oliva

microgreen o erbe aromatiche , ad es. germogli, aneto, basilico, cerfoglio

1. Cuocere le uova

Circa 1 ora prima della cottura estraete le uova dal frigo. Mettetele in una pentola, copritele d'acqua bollente e portate a ebollizione. Quando l’acqua comincia a bollire calcolate circa 8 minuti, poi passate le uova sotto l’acqua fredda.

2. Colorare le uova

Tagliate il cavolo rosso a strisce. Fate sobbollire separatamente il cavolo rosso e la curcuma, ognuno in ca. 5 dl d’acqua per ca. 30 minuti. Filtrate il liquido e lasciate raffreddare. Sgusciate le uova. Trasferite il liquido del cavolo, quello della curcuma e il succo di barbabietola in contenitori adatti. Immergete 3 uova in ognuno dei liquidi colorati e lasciate le uova immerse per ca. 8 ore, coperte, in frigo.

3. Servire le uova

Estraete le uova dai bagni colorati e asciugatele con carta da cucina. Dimezzatele e decoratele con un ciuffetto di maionese. Guarnite le uova a piacere e servitele subito.

Settimanale di informazione e cultura Anno LXXXVII 18 marzo 2024 azione – Cooperativa Migros Ticino 30
Ricetta
Testo, ricetta, immagini e styling: Migusto
Brunch
PASQUA

Mini uova al tegamino

Due uova diventano tante uova al tegamino piccole piccole. Basta adagiarle su pane tostato con fette di avocado e pancetta arrostita e diventano un grazioso finger food.

Alla ricetta

Uova ripiene

Piccole chicche del brunch di Pasqua: i tuorli delle uova sode vengono conditi per bene e reinseriti nelle metà dell’uovo. I germogli sono la ciliegina sulla torta.

Alla ricetta

Tartina all’uovo

Le tartine sono un classico del brunch. Per il brunch di Pasqua bisogna prepararne una versione particolarmente delicata: uova con maionese all’aneto su pane tostato con burro alla senape.

Alla ricetta

Ricetta

Uova alla turca

Brunch/Colazione

Per 4 persone

2 cucchiai d’olio d’oliva

500 g di yogurt greco al naturale

2 spicchi d'aglio

sale

30 g di burro

1 cucchiaino di preparazione di spezie piccanti, p. es. Hot Mix

1 l d’acqua

4 cucchiai d’aceto

4 uova

4 rametti d’aneto

1. Mescolate l’olio d’oliva con lo yogurt, poi aggiungete l’aglio schiacciato e il sale. Distribuite lo yogurt in scodelline. Sciogliete il burro, aggiungete la miscela di spezie piccanti e tenete in caldo.

2. Portate a ebollizione l’acqua e l’aceto, poi abbassate il fuoco in modo che l’acqua frema appena ma non bolla più. Rompete ogni uovo in una scodellina, poi fate scivolare un uovo dopo l’altro nell’acqua con l’aceto. Con un cucchiaio avvolgete l’albume intorno al tuorlo e cuocete le uova per 3–4 minuti. Estraetele con una schiumarola e fatele sgocciolare brevemente. Accomodate le uova sullo yogurt, irroratele con il burro fuso e guarnitele con l’aneto. Servite subito.

Cestini di prosciutto e uova

Brunch/Colazione. Per 4 persone

Per 8 pezzi per 1 stampo per muffin da 12 di 7 cm Ø

16 fette di prosciutto cotto, ca. 200 g 8 uova sale, ad es. fleur de sel 2 cucchiai di pistacchi sgusciati ½ mazzetto d’erba cipollina

Scaldate il forno statico a 180 °C. Rivestite ogni incavo della teglia per muffin con 2 fette di prosciutto. Rompete un uovo in ogni incavo e salate leggermente. Tritate i pistacchi e cospargeteli sulle uova. Cuocete in forno per 10-15 min. Guarnite i cestini con l’erba cipollina sminuzzata.

Altre ricette con le uova sono disponibili

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Ricetta
migusto.ch
su

Pulizia e freschezza per il bucato

Un inno all’equilibrio L’artista tedesco Wolfgang Laib e le sue creazioni alla Buchmann Galerie di Lugano

Pagina 35

Cinema e donne

L’attrice e regista Paola Cortellesi racconta l’inatteso successo del suo film C’è ancora domani

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A tu per tu con il re dell’Avana

Protagonisti a Los Angeles Che cosa c’è dietro le statuette ai trionfatori degli Oscar Emma Stone e Cillian Murphy

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Incontri ◆ Pedro Juan Gutiérrez, tra i massimi scrittori cubani, racconta come la vita dell’isola caraibica abbia cambiato la sua scrittura

Raggiungo Pedro Juan Gutiérrez (nella foto Keystone) nella casa del figlio nel quartiere residenziale del Vedado. Ci accomodiamo nell’androne, uno di fronte all’altro, mentre il comune amico Davide Barilli, parmense, il più cubano degli scrittori italiani, traduce la nostra conversazione. È un uomo alto, calvo e magro, l’aria mite e ascetica di chi da qualche anno fa yoga, meditazione e pratica le idee buddiste. Per capire veramente la capitale più profonda, quella vitalistica e disperata, bisogna necessariamente leggere Il re dell’Avana (e/o), ambientato nel quartiere più popolare della città, un barrio abitato da una umanità stremata ma estremamente sensuale, tra i riti della santeria, la religione afro-cubana, e la precarietà esistenziale di vite segnate da miseria ed emarginazione. Il romanzo, scritto con uno stile che è stato definito «realismo sporco», nato da una filiazione del minimalismo americano, è la disperata storia d’amore di due giovani cubani che vivono per strada nel sudiciume e nel degrado, Rey, ragazzo orfano e senza famiglia che vive di piccoli furti, per sopravvivere s’inventa qualsiasi cosa, così come per aumentare la sua potenza sessuale e vivere le sue avventure erotiche si fa impiantare due palline d’acciaio nella punta del pene, e Magda, che per sbarcare il lunario arriva a prostituirsi con vecchi derelitti.

Quello che oggi è considerato uno dei massimi scrittori cubani, tradotto in molti Paesi, è stato venditore di gelati, soldato, istruttore di nuoto, tecnico delle costruzioni, professore di disegno, autore di documentari, e per tanti anni giornalista e speaker radio-televisivo. Tra gli altri suoi libri tradotti in Italia, sempre dalle edizioni e/o, Animal tropical, Malinconia dei leoni, Carne di cane, Il nostro GG all’Avana e Il nido del serpente

I primi racconti de La trilogia sporca dell’Avana (Edizioni e/o) sono anche dei reportage, dei racconti dal vero da cronista, quasi delle inchieste sul campo, che poi è stato per quasi trent’anni il tuo mestiere. Ha definito il suo stile diretto, in prima persona, autobiografico, «senza troppe masturbazioni mentali». Come si intrecciano scrittura letteraria e giornalismo?

Da ragazzo andavo nella biblioteca pubblica di Matanzas, e quando ho letto Colazione da Tiffany di Truman Capote ho pensato che volessi scrivere come lui, ma leggevo anche Alejo Carpentier e Lezama Lima, e non mi piaceva Garcia Marquez, perché è troppo barocco, lezioso. Quando mi sono trasferito a La Havana lavoravo come giornalista in un’agenzia di stampa governativa, lì ho impa-

rato veramente a scrivere con pochi aggettivi in uno stile secco, essenziale, ma la letteratura allora la tenevo nascosta. Poi quando nel 1994 ho scritto il primo racconto de La trilogia sporca dell’Avana ho capito che tutto quello che c’era stato prima non valeva niente, avrei voluto bruciare tutto come Kafka. Mi sono trovato immerso in un mondo particolare, quello del Centro Avana, un mondo a parte rispetto al resto della città, dove la gente ha una propria religiosità, la santeria, e le persone sono molto tattili, corporali, e pur essendo un giornalista della media borghesia ho assorbito questo tipo di vita, mi è entrata dentro vivendo in mezzo a loro, ascoltando le loro storie, in modo del tutto naturale.

Le loro storie e l’anima «tropical» sono molto crude, brutali, ha scritto che addirittura «alcune erano così forti che ho dovuto ammorbidirle».

Quando sono venuti a intervistarmi dall’Università di Chicago ho detto che in realtà sono un antropologo. I nonni e i bisnonni delle persone

che vivono in questo quartiere erano tutti africani schiavi, lavoratori della canna da zucchero, con uno spirito molto diverso da quello dell’Avana che conoscevo, uno spirito caliente, tutti chiusi nel loro quartiere, nel loro mondo, disinteressati alla politica, a quello che succedeva fuori. In Inghilterra e negli Stati Uniti non vogliono tradurre Il re dell’Avana perché dicono che è troppo forte, troppo duro. La loro religione li unisce molto perché a differenza di quella cattolica che ha i suoi templi, le chiese, lì si riuniscono nelle case per fare i cerimoniali. È un mondo forte e autosufficiente, un po’ picaro, maledetto. È gente molto dura, hanno molta energia e allegria, non si buttano giù, per questo mi hanno sempre affascinato molto, non si lasciano sopraffare dalla povertà.

I personaggi de Il re dell’Avana vivono l’alcol e l’estasi sessuale come gli unici piaceri in vite spesso estreme, disperate, un modo di provare piacere in un ambiente sociale segnato dalla povertà e dal degrado. Dice del protagonista, «c’è

chi vive alla giornata, Rey viveva al minuto». Io credo di utilizzare il sesso sempre come un elemento drammatico, e poi noi siamo cubani, per noi il sesso è la cosa più naturale di tutte, la nostra cultura profonda è fatta principalmente di erotismo e musica. Comunque, la vita quotidiana di quelle persone funzionava così, questo intreccio tra alcol e sesso era fortissimo, ma anche io ero così in quel periodo, mi ero da poco separato da mia moglie, avevo perso il lavoro e vivevo da solo in Centro Havana, la mia vita era fatta di sesso sfrenato e alcol sfrenato. Alla mia crisi personale nel 1991 si aggiunse quella economica terribile di Cuba dopo la caduta dell’Unione Sovietica, che ha impoverito drammaticamente il Paese; quindi, scrivere è stato anche un modo per salvarsi, per buttar fuori tutta la mia furia, la rabbia, l’amarezza che avevo dentro.

Per questo motivo l’hanno ribattezzata il Bukowski cubano? Non lo so, mi pare più un’invenzio-

ne giornalistica. Tra l’altro non amo Bukowski, lo trovo noioso, ripetitivo, a differenza di Raymond Carver, che è anche un poeta, uno scrittore che apprezzo moltissimo e che ha nutrito la mia letteratura, così come amo Grace Paley.

Nella sua prosa che è sempre molto carnale, corporale e ruvida, c’è sempre però una miscela di drammatico e comico.

Non vedo mai la vita come una tragedia ma come una grande commedia; quindi, c’è sempre anche un forte senso dell’umorismo. Invece il machismo di Pedro Juan personaggio, il mio alter ego de La trilogia sporca dell’Avana, questa maschera, i lettori lo riversavano anche su di me come persona, invece, era tutta una messa in scena, mi sono divertito ad esasperarne certi aspetti. Sono tre libri autobiografici, mentre Rey, il protagonista de Il re dell’Avana nasce da un personaggio realmente esistito, e anche Maddalena, Magda, la sua ragazza, vendeva davvero coni di manì davanti all’ospedale Hermanos Ameijeiras. La storia che si fa impiantare due palline di acciaio nella punta del pene però l’ho sentita quando sono andato a fare un reportage per la rivista «Bohemia» nel carcere minorile Combinado dell’est, parlando con un infermiere. Pensavo di scrivere un racconto di sei o sette pagine, poi è diventato un romanzo. Non volevo più parlare di Centro Havana e invece questa storia mi ha talmente coinvolto che in due mesi ho scritto il libro lavorando giorno e notte, bevendo come un pazzo il rum della pipa, un rummaccio pessimo, quasi alcol puro, e girando di notte con le prostitute, facendo l’amore, bevendo e scrivendo.

Quale sarà il suo prossimo libro? A giugno esce un mio libro di testi autobiografici in Spagna, ma uscirà presto anche in Italia, si intitola Meccanica popolare, dove racconto la mia formazione, gli anni dell’adolescenza. Sono momenti, frammenti, capsule che si intrecciano uno nell’altro. Il titolo è quello di una rivista americana tradotta in spagnolo in Messico, una edizione per l’America Latina che arrivava anche a Cuba e che leggevo da ragazzino. L’ho ritrovata un paio di anni fa in una libreria dell’usato, e sfogliando quei fascicoli mi ha fatto ripartire la memoria, i ricordi, è un libro ambientato a Matanzas, Pinar del Rio dove sono vissuto, una sorta di raccolta dei racconti di famiglia, senza parlare di politica, dei fatti storici importanti che accadevano. Sono storie di vita, quella di mio padre, di mio zio, quelle della nostra famiglia, insomma.

CULTURA ● ◆ Settimanale di informazione e cultura Anno LXXXVII 18 marzo 2024 azione – Cooperativa Migros Ticino 33
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L’universo in un chicco di riso

Mostre ◆ Buchmann Galerie di Lugano ospita una mostra dell’artista tedesco Wolfgang Laib

Alessia Brughera

Lo hanno chiamato mistico, filosofo, ma ogni definizione sembra stare stretta a Wolfgang Laib. Forse persino quella di artista può apparire non pienamente appropriata dal momento che è lui stesso a precisare di sentirsi più un «tramite» che un «creatore», uno strumento attraverso cui la natura parla all’uomo.

D’altra parte il pensiero che sta alla base dell’opera di Laib è piuttosto complesso, improntato com’è a coniugare una profonda conoscenza delle civiltà e delle religioni orientali con la riflessione sulle radici del patrimonio culturale dell’Occidente, alla ricerca di un’armonia tra impulsi dell’anima e razionalità.

Cresciuto in un ambiente colto e abituato sin da piccolo a viaggiare in Oriente, Laib, nato nel 1950 in Germania, dove ancora vive alternando alla sua permanenza nel sud del Paese lunghi soggiorni in India e a New York, ha indicato una sorta di via alternativa dell’arte. Una direzione capace di rinnovare i canoni della contemporaneità permeandoli di una poetica che stimola prima di tutto le sensazioni. Le sue opere difatti evocano l’aspetto incontaminato dell’esistenza inneggiando all’equilibrio e alla purezza che governano il mondo: essenziali e simboliche, ci parlano del desiderio di catarsi, dell’aspirazione alla rinascita e di quella seduzione ancestrale del creato che porta l’uomo a meditare sulla sua potenza e insieme sulla sua vulnerabilità, spingendolo a divenirne un fidato custode.

Con i suoi lavori Laib ambisce a suscitare la medesima impressione di bellezza primigenia che emerge dalla percezione dell’universo, facendosi portatore di una visione che si distanzia dall’antropocentrismo a favore invece di una vicinanza umile e rispettosa alla realtà che ci circonda. Per fare questo l’artista utilizza forme ed elementi semplici, primari, ascetici, che bene racchiudono l’autenticità e la radicalità del suo messaggio. Laib si affida così ad archetipi figurativi rielaborati in chiave metaforica conferendo loro un significato ancor più pregnante tramite l’impiego

di materiali di provenienza naturale.

Sono materiali, questi, che Laib trova e raccoglie nella campagna tedesca vicina alla sua dimora, una natura ancora in parte incontaminata che lo ispira e con cui vive in simbiosi, attenendosi alle sue regole e seguendone ossequiosamente i ritmi. È qui che sin dagli anni Settanta l’artista, dopo aver terminato gli studi di medicina e aver deciso di abbandonare questa disciplina poiché ritenuta limitante per la sua attitudine a esplorare l’interiorità, trascorre le sue giornate in dialogo con il creato, individuando quei frammenti del reale, particelle di un tutto, che portano con sé il principio delle cose, l’afflato primordiale della vita, il legame tra effimero ed eterno.

I lavori di Laib sono frutto di una lunga meditazione e di una meticolosa preparazione degli elementi

Sono i pollini di nocciolo, di tarassaco, di pino e di ontano, raccolti da Laib con puntualità ogni primavera, oppure la cera d’api, o ancora il riso e il latte: sostanze vive che partecipano del processo di nascita, di crescita e di morte e che rimandano all’idea di nutrimento e di stupore propri del mondo naturale, di cui restituiscono in forma visiva e simbolica il senso panico. Laib non ha la presunzione di attribuire a questi elementi un nuovo valore, si limita a riproporli al nostro sguardo per sottolinearne la bellezza e la caducità e per farne una forma di sostentamento per l’anima. Nelle sue mani la materia non viene trasformata ma solo utilizzata in modo differente affinché possa esprimere la propria energia.

Dedicatosi all’arte perché «essa è pronta a includere ogni cosa», Laib si avvicina alle intenzioni della Land Art e ai principi del Minimalismo, mescolando sintesi formale e intensità emotiva. Importante per lui è sempre stata poi la figura di Joseph Beuys, che ha incontrato numerose volte

negli anni Ottanta e a cui si sente affine sia per la propensione all’uso di certi materiali con cui dar vita alle opere sia per la concezione della creazione artistica come vocazione etica e come strumento di rigenerazione del mondo.

I lavori di Laib sono frutto di una lunga meditazione e di una meticolosa preparazione degli elementi, costituita da una serie di gesti lenti e accurati che intessono uno stretto rapporto con la natura: raccogliere, filtrare, versare, plasmare… I preliminari per approntare il materiale diventano così una sorta di cerimoniale quotidiano che coinvolge la mente e il fisico dell’artista. Sono rituali finalizzati non soltanto a dare concretezza alle opere ma anche a incarnare la loro vera essenza, il significato profondo che racchiudono. Per questo le creazioni che prendono vita appaiono al nostro sguardo nella loro immediatezza e semplicità, richiedendoci una fruizione quieta e silenziosa, quasi contemplativa, in accordo con i ritmi pacati e pazienti con cui sono state realizzate.

È ciò che accade entrando nello spazio espositivo della Buchmann Galerie di Lugano, dove si dispiegano sotto i nostri occhi alcuni lavori di Laib rappresentativi del suo percorso artistico. Le opere radunate in mostra ci accolgono nella loro essenzialità disarmante, metafore di una visione elementare e atavica del mondo che rifugge l’individualismo e la mera contingenza, aprendosi invece a una spiritualità universale.

In rassegna troviamo una selezione di Reishäuser, manufatti particolarmente significativi nella produzione dell’artista tedesco. Si tratta di piccole strutture che richiamano la forma di una casa, dalla sagoma stilizzata, attorno alla cui base Laib ha meticolosamente disposto alcuni mucchietti di chicchi di riso, quasi a costituirne le fondamenta. Le due Reishäuser presenti a Lugano sono realizzate una in marmo bianco l’altra con lastre di argento (quest’ultimo è un lavoro storico dell’artista esposto anche alla Galerie Beyeler a Ba-

Installation view della mostra di Wolfgang Laib, Buchmann Galerie Lugano, 2023-2024. (Buchmann Galerie Lugano e l’artista, foto Antonio Maniscalco)

Il Teatro alternativo di Barba

Teatro ◆ Stasera alle 18.00 al Teatro Foce l’appuntamento con Eugenio Barba

Giorgio Thoeni

Per gli amanti del teatro, un appuntamento da non perdere è sicuramente quello che il Teatro delle Radici propone questa sera al Teatro Foce di Lugano, nell’ambito del progetto Schegge alle ore 18.00 con Eugenio Barba, per oltre mezzo secolo figura emblematica dell’avanguardia. Classe 1936, originario di Brindisi, pedagogo, regista, teorico e animatore dell’Odin Teatret da lui fondato nel 1964 a Oslo in Norvegia e poi trasferito a Holstebro in Danimarca, il nome di Barba (nella foto in basso) rimanda a un capofila assoluto fra i grandi maestri del secondo Novecento, una personalità eminente del teatro mondiale.

silea) e ci appaiono come costruzioni arcaiche in miniatura che sembrano appartenere a un’epoca lontana e a una terra arcana. L’abitazione, intesa come luogo intimo in cui l’uomo si sente sicuro e protetto, viene accostata a un elemento che allude alla fecondità e al nutrimento del corpo e dell’anima.

Ci sono poi opere plasmate con la cera d’api, utilizzata purissima, materiale molto caro a Laib per la sua duttilità, per l’intrinseca luminosità nonché per la sua valenza altamente simbolica. Anche questi lavori, capaci di diffondere nell’ambiente una calda fragranza che stimola con delicatezza i nostri sensi, testimoniano l’affidarsi dell’artista a un vocabolario formale minimalista composto di motivi archetipici.

A corredo di queste sculture sono presenti in mostra alcune opere su carta, delicate composizioni in cui ritornano immagini emblematiche dell’universo di Laib, come le fiammelle, ad esempio, a rappresentare il fuoco che distrugge, che incenerisce, ma che, allo stesso tempo, porta con sé un’idea di resurrezione; i serpenti, che spesso assumono la forma di un coltello, a incarnare la trasformazione che precede un nuovo inizio; le barche, allegorie di un viaggio spirituale tra il conosciuto e lo sconosciuto, di un passaggio da una realtà tangibile a una dimensione emotiva, mistica. Laib crede fermamente nel potere trascendentale dell’arte e nella sua capacità di curare ed elevare l’essere umano riconnettendolo alla bellezza primordiale del creato. Nei suoi lavori ci sembra di avvertire l’eco, lontana ma chiara, della sensibilità del Romanticismo tedesco che fa dell’arte lo strumento privilegiato per attingere alle profondità originarie della vita, una sorta di porta aurorale che conduce all’infinito.

Dove e quando

Wolfgang Laib. Buchmann Galerie, Lugano. Fino al 27 aprile 2024. Orari: da ma a ve 13.00-18.00, sabato su appuntamento. www.buchmanngalerie.com

Il suo modo di fare teatro ha segnato una frattura con la tradizione, mettendo in rilievo l’importanza del laboratorio e del training inaugurando la stagione del Terzo Teatro, una ricerca di senso oltre ogni etichetta, un Teatro-Laboratorio per l’arte dell’attore che è diventato subito un punto di riferimento alternativo per la teoria e la storia del Teatro contemporaneo.

Fin dai suoi primi spettacoli, come Ornitofilene, Kaspariana, Ferai, Min Far Hus, ha incarnato un modello radicalmente nuovo di teatro pubblico, frutto di un processo da cui prende forma il fatto teatrale stesso come presa di posizione di fronte ai dati scaturiti dall’esperienza personale e concreta. Eugenio Barba, emigrato da Brindisi, la sua città, subito dopo gli studi liceali frequenta il teatro di Jerzy Grotowski per tre anni, divenendo un suo discepolo.

Ma è con l’Odin Teatret, sua indiscussa creatura, che la sua fama si consolida e si afferma a livello internazionale con un’attività che ha spaziato in più direzioni: dalla creazione artistica di spettacoli alla riflessione teorica, dalla trasmissione dell’esperienza alla conservazione della memoria storica, dallo studio scientifico sulla tecnica dell’attore al teatro «fuori dal teatro», nei contesti sociali e transculturali per attivare rapporti fra culture ed etnie diverse. Sintetizzare la lunghissima traiettoria di Barba è quasi impossibile, dai suoi libri ai numerosi premi internazionali e le lauree honoris causa, i suoi viaggi e i suoi spettacoli. Quello che è fuori da ogni dubbio, è la sostanza e il peso di una identità che ha cambiato la storia del teatro stesso.

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Rivoluzione donna

Intervista ◆ Con Paola Cortellesi dietro le quinte di C’è ancora domani

C’è ancora domani (oltre 36 milioni di euro di incasso nel 2023) è il primo film diretto, e scritto, dalla 50enne Paola Cortellesi che ha incantato gli italiani calandosi nel personaggio di Delia: una esile, ingenua e pazientissima romana alle prese con la brutalità di Ivano. «Un uomo e marito che nella vita riesce a fare una cosa sola, massacrare di botte sua moglie», inizia a dirci la simpaticissima Cortellesi, che abbiamo incontrato a Berlino, in questa intervista esclusiva.

Si aspettava tutto questo incredibile successo del film?

Ma come potevo aspettarmelo! Ai produttori ho presentato un film in bianco e nero, d’epoca e sulla violenza di genere. Era improbabile che questi tre elementi fossero di qualche appeal.

Può essere che il film sia piaciuto anche per la sua «pelle» bianco e nera?

La regola non scritta è che il bianco e nero sia il veleno. Ma quando i produttori hanno letto la sceneggiatura si sono innamorati del film per l’argomento. Certo, tutto quello che è accaduto dopo col film era ovviamente inaspettato. E comunque, io volevo fare un film popolare!

Già, ma cosa significa per lei «popolare»?

Significa per tutti, universale. Insomma, vuol dire un film fruibile da tutti e non solo dagli appassionati di cinema.

Quindi, un film in bianco e nero come The Artist?

Esatto, anche quello è un film popolare e che racconta della forza di un amore e di un fallimento.

C’è anche domani ha anche un po’ l’effetto onirico, il sapore di una favola…

In alcune scene c’è una dimensione da sogno, dovuta alla mia scelta di raccontarle in modo non realistico.

Soprattutto nella scena della violenza fra Delia e Ivano, trasposta in danza, volevo raccontare un rituale, il senso della questione, e non i dettagli della violenza di genere.

Ivano è quasi una marionetta, una sorta di Terminator popolare che altro non conosce che le botte alla moglie…

Lui ripete sempre gli stessi schemi, gli stessi errori. E Delia è la vittima che li accetta perché non può fare altrimenti. L’unica cosa che può fare nella sua situazione è andare avanti, passare oltre quei brutti segni di violenza che vanno e vengono sul suo corpo

Sotto questi aspetti il film è «fatalistico»…

Sa, quello era un mondo in cui alle ragazzine si insegnava che, comunque, dovevano obbedire al marito. Se ti capitava la «sfortuna» di un marito violento dovevi accettarla. «Hai visto quella del terzo piano, poverella, le botte che se pija!»: ecco, così nel quartiere e in cortile si raccontavano le storie di famiglia.

ll quartiere in cui l’ha girato è il Testaccio, giusto?

Sì, Testaccio puro. Tranne per la farmacia, che abbiamo girato in una via dei Parioli, tutto il resto è in un cortile vero del Testaccio, ancora oggi più o meno in quelle condizioni.

Dietro le statuette a Stone e Murphy

Notte degli Oscar ◆ Fari puntati sui due attori premiati a Los Angeles

La 96esima edizione degli Oscar resterà negli annali per essere stata quella in cui Oppenheimer ha sbaragliato la concorrenza con i suoi sette premi, ma anche per aver fatto vincere la seconda statuetta a Emma Stone e la prima a Cillian Murphy, due degli attori più importanti del cinema contemporaneo.

Keystone

E i racconti su cui si è basata sono quelli della sua famiglia?

È un film che arriva da varie storie della mia famiglia, dagli anziani, anche da mio nonno. Il gigante del film, il pugile buono e «suonato» è un personaggio realmente nella vita di mio padre. Nelle storie di nonna o della bisnonna c’erano le storie della fame, del cortile, delle comari che chiacchieravano.

Il suo in ogni caso è un inchino alla stagione del Neorealismo… Ha detto bene, è un inchino al neorealismo perché non serviva certo che scimmiottassi nulla. Nei primi 8 minuti e mezzo ho voluto giocare col neorealismo più «rosa» e con le musiche dell’epoca. Ad esempio con Campo dei Fiori, il film in cui Anna Magnani, che vende la frutta al mercato, si innamora di Aldo Fabrizi, un pescivendolo. E poi ho voluto spaccare tutto questo e raccontare una storia contemporanea e di un rapporto tossico di coppia.

Entrando nei panni di Delia si è sentita di reinterpretare una Anna Magnani del 21esimo secolo?

Come ogni italiano io venero Anna Magnani. Ma la sua forza di attrice è stata quella di interpretare per prima delle donne fortissime, autodeterminate, anche aggressive. Delia, al contrario, è sottomessa. Io volevo raccontare le donne che non hanno mai alzato la voce, le succubi di sempre.

Già Marcella, la figlia di Delia, è più aggressiva della madre, e non sopporta la sua sottomissione.. Marcella ha una marcia in più, è arrabbiata con la madre, ma tutte e due si tendono la corda per una scalata verso la liberazione. Ma se la rabbia della figlia smuove Delia, anche Marcella per amore sta per cadere nell’identica trappola. E lì è sua madre che si fa avanti e la salva.

Al centro del film c’è l’amore tossico, quasi primitivo tra Ivano e Delia. Ivano è il simbolo del maschilismo più ossessivo e brutale della tradizione patriarcale italiana… Sì, l’incubo è dentro casa, nelle mura familiari che dovrebbero essere di protezione. La figura di Ivano è quella di un uomo piccolo, che fa discorsi ridicoli. Dentro casa Delia ha due tiranni, Ivano e suo padre che sono due idioti e difendono teorie assurde sulle cugine e sulle botte.

Ogni tre giorni in Italia muore una donna, ammazzata a colpi di pistola, coltellate, di botte. In che modo il suo film può contribuire

a gettare una luce in questo orrore quotidiano?

Un film non cambia le cose, non cambia la cultura di un Paese. Ma come ogni storia anche un film può essere stimolo di conversazione e condivisone. La cosa che è capitata con C’è anche domani è che, uscendo dal cinema, le persone si parlavano, discutevano di quel che avevano colto.

Le prime elezioni politiche in Italia si tennero il 2 e 3 giugno del 1946, e per la prima volta donne come Delia votarono. Perché ha scelto il voto come primo momento di emancipazione femminile?

Delia se lo stringe al petto il certificato elettorale. «Stringevamo le schede come biglietti d’amore» si legge nel finale del film. Per la prima volta qualcuno, molto più importante degli aguzzini a casa, certificava alle donne dei Diritti. Lo Stato diceva alla donna: tu sei importante. E ogni donna percepiva che il suo voto, la sua parola, la sua opinione conta.

Nel film è quello, dopo il voto, l’unico momento in cui Delia alza la testa… Sì, alza la testa e sorride a Marcella, e la figlia sorride orgogliosa alla madre. All’epoca, ricordiamocelo, non c’era il divorzio. L’emancipazione femminile avrà bisogno del ’68, di un discorso molto più lungo. Ma il film è un viaggio nella presa di coscienza di una donna che non ha nessun tipo di preparazione politica o culturale, ma che per la prima volta va al voto. E ci andarono 13 milioni di donne a votare in quei due giorni di giugno.

Per la prima volta nella storia della Repubblica, c’è una donna al governo, Giorgia Meloni. Non è un paradosso che la prima donna eletta al governo degli italiani sia «un presidente», come si fa chiamare lei, e di destra?

Sono felice che ci sia una prima donna presidente del Consiglio, anche se un po’ mi spiace che si faccia chiamare «il presidente». Ma è una sua scelta e bisogna rispettarla.

Gli ideali della destra però sono il contrario di quelli che il suo film promuove… Diciamo, che sono ideali che non aiutano la questione femminile. Per questo come semplice cittadina, mi sono permessa di auspicare che le due donne oggi al potere in Italia, Giorgia Meloni ed Elly Schlein, a capo del Partito Democratico, parlassero dell’unica cosa che hanno in comune, il loro essere donne e fare qualcosa per l’emancipazione femminile. Questa sì che sarebbe la vera rivoluzione.

La Stone è una delle pochissime nella storia, insieme a Meryl Streep, Jodie Foster ed Elizabeth Taylor, ad averne conquistate due nei primi 35 anni di vita. La poliedrica interpretazione di Bella Baxter nel film di Yorgos Lanthimos Povere Creature! (vincitore del Leone d’oro alla Mostra di Venezia) è sicuramente da ricordare. E infatti Povere Creature! basa parte della sua forza sull’interpretazione della Stone; già musa del regista greco nel precedente La favorita e con il quale sta lavorando ad altri due progetti futuri. E, se ci pensiamo bene, questo è un premio ancora più meritato del primo perché, se in La La Land era «solo» un’attrice seppur completa (nel ballo, nella recitazione e nel canto), in Povere Creature! ha fatto ancora un passo avanti ed è diventata una sorta di coautrice. Ha infatti costruito e plasmato il suo personaggio dandogli un’anima e soprattutto un corpo. Nell’evoluzione di Bella si nota un grande lavoro sul modo di recitare. All’inizio è un essere spastico e incapace di articolare una frase di senso compiuto, ma seguendo il desiderio di scoprire, sperimentare e capire, acquisisce una consapevolezza della propria persona, e diventa uguale a tutte le altre donne. Dagli scatti scomposti del corpo ai gesti più aggraziati, dai suoni gutturali alle parole, alle frasi e infine ai ragionamenti complessi. Un’evoluzione che la porta verso una autoconsapevolezza mai provata in precedenza. La sua è una statuetta ancora più significativa se pensiamo al fatto che l’Academy difficilmente premia un ruolo comico come lo è il suo in Povere Creature!. E questa è una cifra attoriale che le appartiene fin dai suoi primi lavori Superbad e Zombieland, dove il suo slapstick (la comicità che si basa sulle gag corporali) e il suo sarcasmo erano già state messe in evidenza, e sono state confermate e sviluppate in questo ultimo film. Autoironica è stata anche la sua reazione al piccolo incidente che lei stessa ha evidenziato sul palco mentre ritirava il premio (le si era scucito il vestito di Louis Vuitton mentre, poco prima, si stava scatenando con Ryan Gosling in I’m Just Ken). Scena che ha ricordato, anche se involontariamente,

in modo plastico, gli abiti fantasiosi ed ecclettici usati nel film.

La consacrazione con l’Oscar è arrivata anche per Cillian Murphy, l’attore di origine irlandese che ha consegnato alla storia la sua interpretazione di Oppenheimer. E se il percorso attoriale è diverso da quello di Emma Stone (alla recitazione è arrivato solo dopo un’iniziale passione per la musica) ha due caratteristiche comuni con l’interprete di Bella Baxter: la prima è l’essere riuscito a creare una forte sintonia con un regista importante. Da un lato il recente connubio Stone-Lanthimos, d’altro lato quello composto da Murphy-Nolan iniziato addirittura nel 2005 con un villain in Batman Begins per continuare in Inception e in Dunkirk. Una simbiosi artistica importante sia per il regista sia per l’attore e che ne ricorda altre celebri come quelle tra Martin Scorsese e Robert De Niro e tra Federico Fellini-Marcello Mastroianni. Certo, Cillian Murphy è diventato popolare con le sei stagioni di Peaky Blinders, ma è grazie al lavoro con Nolan che è diventato grande e ha acquisito la tecnica sopraffina riconosciuta da tutti e ora consacrata anche con un Oscar. Interessante quello che ha detto lo stesso regista dell’attore: «Quando ho iniziato a lavorare con lui era puro istinto e l’aspetto tecnico della recitazione passava in sordina. Quando mettevamo un segno, lui ci passava sopra senza accorgersi», ha rammentato Nolan. Nel corso di due decenni, però, «ho visto che è cresciuto tecnicamente, senza intaccare o sminuire in alcun modo la natura istintiva della sua recitazione». Così come è stato fondamentale lo studio del personaggio: Murphy si è preparato per sei mesi a casa dove si è concentrato sulla voce e sulla sua fisicità. È dimagrito diversi chili per somigliare ancora di più allo scienziato, il quale, negli anni in cui sviluppò la bomba atomica, si nutriva poco e viveva soprattutto di Martini e sigarette. Un lavoro che ricorda da vicino quello di attori del calibro di Robert De Niro in Toro Scatenato o di Tom Hanks in Philadelphia E la seconda caratteristica comune tra Murphy e Stone? Sicuramente gli occhi. Seppur di colore diverso, ti colpiscono subito, sin dal primo fotogramma di ogni film. Azzurri, magnetici e glaciali quelli dell’attore irlandese, verdi allegri e abbaglianti quelli dell’attrice americana. Occhi da cinema e che nella settima arte verranno ricordati. Occhi che – è vero c’è anche una terza caratteristica comune – hanno vinto l’Oscar lo stesso anno come attori protagonisti.

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Da sin.: Robert Downey Jr. Migliore attore non protagonista, Da'Vine Joy Randolph Migliore attrice non protagonista, Emma Stone Migliore attrice, e Cillian Murphy Migliore attore alla 96esima notte degli Oscar. (Keystone)

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Venticinque anni di jazz a Chiasso

Rassegne ◆ Si è chiusa con un ottimo bilancio, artistico e di pubblico, un’edizione assolutamente unica del festival jazz nella cittadina di confine

Gli anniversari sono un’occasione per valutare un percorso compiuto, per riguardare avvenimenti trascorsi e tirare una sorta di bilancio. In ciò che riguarda l’edizione numero 25 del «Festival di musica e cultura jazz» di Chiasso possiamo dire che, tra jazzofili, l’impegno nell’azzardare confronti, nello stilare classifiche, nel muovere critiche tra passato e presente, è stato grande. Molti di loro, presenti alle tre serate (e al pomeriggio domenicale speciale) hanno rievocato con trasporto le numerose scoperte e sorprese che il festival ha prodotto negli anni. A cominciare dalle suggestive intitolazioni («Who Shot Miles Davis?», «56 balene per Mingus», «Come un fiammifero nella notte», «Dove sono quei maledetti canguri?») diventate leggendarie, per poi meravigliarsi per le varie dislocazioni negli spazi più sorprendenti (le prime edizioni nel Teatro in procinto di essere ristrutturato, poi ai Magazzini FFS, alla Fabbrica Calida, allo Spazio Officina, prima in ristrutturazione e in seguito nella sua nuova fisionomia, e infine il rientro nel Cinema Teatro).

Gli esercizi di chiacchiera specialistica sono stati quindi assai apprezzabili. Qui si esplica l’attività che rende giustizia alla denominazione del festival; è qui, cioè, che viene praticata quella «Cultura jazz» di cui orgogliosamente si fregia. E alla domanda «Cos’è la cultura jazz?», potremmo rispondere con Eric Hobsbawn, autore della fondamentale Storia sociale del jazz: «Il jazz è anche i luoghi dove è suonato, le strutture commerciali e tecniche dalle quali è circondato, i rapporti che crea. Coloro che ascoltano il jazz, che scrivono di jazz, che leggono di jazz, sono il jazz».

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Procediamo quindi nel resoconto delle tre serate, più un pomeriggio, che hanno visto il Cinema Teatro assumere una sua configurazione più originale, aperta, aiutata anche da una piacevole impostazione scenografica. La programmazione musicale è stata particolarmente variata. Ad alcuni gruppi che si annunciavano in partenza come eventi di assoluto rilievo si sono alternate formazioni e artisti meno conosciuti ma realmente interessanti.

Tra questi il cantante e solista di oud tunisino Dhafer Youssef, che poteva essere considerato un artista più adatto a Festate, che a un festival jazz. Il vivace caporchestra ha invece strabiliato con una world music dai ritmi intricati e ipnotici, degna dei migliori Zawinul Syndicate (e la presenza al basso di Swaeli Mbappe, figlio del celebre Etienne, crea un legame

Il quartetto del batterista Antonio Sanchez sul palco del Teatro di Chiasso. (U. Wolf)

diretto con quell’esperienza). Menzione speciale nel gruppo per il batterista-percussionista Adriano Dos Santos Tenorio.

Anche l’esibizione della cantante e pianista Kadri Voorand è stata pienamente convincente, per caratura solistica e doti di entertainer dell’artista estone. Di grande suggestione poi il quartetto del trombettista polacco Piotr Schmid, dalla tecnica controllata e chirurgica. Il suo omaggio al trombettista connazionale Tomasz Stańko è stato molto preciso, senza sbavature. Ultima menzione, nel gruppo degli artisti meno conosciuti, per l’eccezionale sassofonista nigeriano-britannica Camilla George, che ha proposto un jazz intessuto di schiette reminiscenze africane. Il suo stile al sax alto è estremamente preciso e nitido, così come la sua presenza sul palco è imponente, nonostante la figura minuta. Si è trattato di una vera sorpresa, in particolare in rapporto all’idea che il «nuovo» jazz debba nutrirsi necessariamente di influenze hip-hop. Qui si è risentito con piacere il sound di certi album afro-jazz alla (Abdullah Ibrahim) Dollar Brand anni 70.

Un accenno finale per i grandi nomi. Veramente spettacolare e magnetica l’esibizione di Antonio Sanchez con il suo quartetto. Il batterista messicano è uno dei maggiori specialisti del suo strumento, ma soprattutto ha dimostrato una grande attenzione e capacità di compositore, in una band che asseconda in modo perfetto la sua scelta stilistica di essenzialità e di intelligenza. Perfetti e impeccabili anche i membri del trio Rymden, che cercano di dare una svolta originale all’eredità raccolta dal trio del compianto Esbyörn Svensson. Mentre Dan Berglund al contrabbasso e Magnus Öström alla batteria sono ancora gli stessi di allora, Bugge Wesseltoft alle tastiere non cerca mai di sostituirsi a Svensson, e grazie a lui la musica prende un’altra, apprezzabilissima, direzione.

Unico svizzero in cartellone, il trombonista Samuel Blaser ha proposto una curiosa rievocazione del sound jamaicano del collega Don Drummond, storico membro degli Skatalites. Il progetto, sincero, sembra riuscito a metà. Ultimissimo accenno «ticinese» al concerto domenicale con la New Azzan Big Band di Claudio Belloni. Ha proposto il suo sound vellutato e raffinato, per certi aspetti miracoloso, dovuto a un inossidabile caporchestra e a un gruppo di dilettanti encomiabili. Vera cultura jazz, anche questa.

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In fin della fiera

Carissima, ti spiego i termini giuridici

Carissima, avrai notato anche tu che, dopo un intervallo di qualche anno, giudici e avvocati sono tornati a essere noti e popolari come gli influencer. È dato per imminente il debutto di un video gioco che li vede protagonisti. Più della metà dello spazio di telegiornali, giornali radio, quotidiani, talk show, social, è occupato da notizie, dichiarazioni, interviste, provenienti dal fronte delle procure e dei tribunali. Tutto un materiale denso di termini giuridici, né potrebbe essere altrimenti. È mio dovere spiegarti il significato dei termini più ricorrenti. Cominciamo dai più semplici. Il «Codicillo» è un piccolo Codice che contiene le piccole norme – dette anche normine – che disciplinano i reati commessi da bambini. «Asse ereditario»: semplice asse di legno collocato al centro della sala nella quale il notaio legge il testamento. I presunti eredi devono cercare di salirci sopra, osta-

Voti d’aria

colati in tutti i modi da quelli che già vi si trovano: solo coloro che riescono a rimanere sull’asse fino alla fine della lettura hanno il diritto di entrare in possesso della loro quota di eredità. Si comprende cosa sono gli «Accordi in deroga» solo apprendendo che la «Deroga» è una tipica barca a fondo piatto usata nelle valli di Comacchio per pescare le anguille. Quando un avvocato o un giudice vogliono essere sicuri che il Patto da loro proposto sarà accettato dalle due parti, le fanno salire sulla Deroga, le conducono al largo e minacciano di buttarle in acqua se non firmano. Il «Comodato» è un piatto tradizionale cucinato per essere servito alla cena di giudici e avvocati all’inaugurazione dell’Anno Giudiziario. La ricetta del Comodato varia per piccoli dettagli da Procura a Procura. Ingrediente principale è la polpa di carne bovina, fatta a tocchetti e messa a macerare nel vino rosso, con spezie, ci-

Nostalgia del pulpito

Basta pochissimo per far partire l’accusa di nostalgia. Oggi bisogna guardare con ottimismo alle magnifiche sorti e progressive, e se osi appellarti a un buon esempio del passato sei un disfattista, uno jettatore o peggio un nostalgico. Ricordo l’entusiasmo collettivo (voto 2), vicino all’ebbrezza (voto 1), per Facebook, per YouTube, per Twitter; poi vennero con altrettanto slancio Instagram e TikTok… Ricordo che se confessavi, a occhi bassi e un po’ arrossendo, di non essere un praticante di quella fede, venivi preso per un eretico, o per un anacoreta, un frate minore (molto minore) per di più scalzo (molto scalzo), oppure per un vecchio babbione o peggio ancora per un lugubre intellettuale di sinistra neanche tanto gramsciano, tra il radical chic e una sorta di dandy elitista e snob. Movimenti spontanei di convinti attivisti del Verbo Social si

mobilitavano per fare proseliti e convertire i riluttanti scettici: rimanere indifferenti a quell’alba della democrazia, a quella rivoluzione finalmente realizzata di libertà eguaglianza e fraternità, senza pulpiti e senza cattedre, significava rifiutarsi al confronto con il popolo, vivere fuori dalla realtà presente e soprattutto futura. Da quei primi anni Duemila, i cyber-utopisti sono rimasti tali, gli apocalittici additano il demonio, la sterminata folla di ferventi sensibili all’aria del tempo continua indifferente a collegarsi, ad aprire account e profili, forsennatamente e allegramente a chattare. I realisti ne segnalano il (clamoroso) rovescio della medaglia, compresi i guadagni spropositati (e morbidamente tassati) dei giganti tecnologici, i controlli da Grande Fratello, le conseguenze letali per gli equilibri già fragili della democrazia. Vedi alle vo-

A video spento

polle, carote, lauro, sedano. Stufata con un sugo a base di cipolla, peperoni e pomodori. Servita con fette di polenta. Per antica tradizione, il vino lo portano i cancellieri. Non è da tutti digerire una bella porzione di Comodato. Di un uomo di legge fragile di salute o invecchiato male si dice che «non è un giudice, o un avvocato, incline ai Comodati».

La «Corte dei Conti», lo dice la parola stessa, è un cortile pieno di nobili. La sua istituzione risale al 1188 quando Enrico il Plantageneto concesse ai Conti, un anno prima di morire, l’uso esclusivo di un cortile della sua reggia. Era una richiesta avanzata fin dai tempi del padre di Enrico, Goffredo IV il Bello, perché i Conti non volevano mescolarsi con i Marchesi e i Baroni; queste due ultime categorie di lavoratori avanzarono richiesta analoga. Il fatto che non venissero accontentati secondo alcuni storici è all’origine della guerra dei Tre Cortili. In

tempi recenti la Commissione per le Pari Opportunità ha avanzato la richiesta che venga istituita anche una «Corte delle Contesse». Il «Concorso di Reati» è una prestigiosa gara disputata ogni anno in una diversa sede giudiziaria: quest’anno tocca a Biella e già si stanno facendo preparativi per accogliere degnamente i partecipanti provenienti da tutta Italia. Il trofeo va a quel giudice che abbia saputo, nel corso del precedente anno giudiziario, escogitare il Reato più estroso e singolare. Il «Diritto d’Autore» detto anche «Diritto Griffato» è, come ognuno si può immaginare, un diritto che solo pochi privilegiati possono permettersi. La gran massa degli imputati deve accontentarsi di quello di serie, prodotto in grandi quantità dalle multinazionali del diritto e venduto dalla grande distribuzione. Il «Diritto di Albinaggio», abolito grazie alla Rivoluzione Francese,

non era altro che il diritto dei nobili di annoverare fra la numerosa servitù anche un albino, considerato, secondo una diffusa credenza, un portafortuna. Fa il paio con il «Diritto di Baliatico», anch’esso giustamente abolito, che consentiva ai nobili di tenere presso di sé la loro Balia per sempre anche quando erano diventati anziani.

Il «Giudizio Abbreviato», conosciuto anche come il «Giud Abbr» viene adottato quando tutte le parti in causa sono d'accordo nel dimezzare i tempi del dibattimento. Nella Sentenza sarà riportata solo la prima metà delle parole, tanto la seconda metà si indovina sempre. Anche l’eventuale condanna sarà scontata solo per la prima metà, come ricompensa per aver fatto risparmiare metà tempo. Carissima, ora sei in condizione di seguire con profitto le cronache giudiziarie.

Il tuo amico

ci: Trump e Putin. Qualche giorno fa il New York Times elencava le false testate digitali americane (Chicago Chronicle, Miami Chronicle, New York News Daily e altre) diffuse dalla Russia come strumenti di disinformazione per destabilizzare gli Stati Uniti in vista delle elezioni presidenziali. Una fabbrica di falsità utile a orientare (disorientare) l’opinione pubblica. Sarà da nostalgici affermare che piuttosto che vivere (navigare) in un mondo senza pulpiti o insidiato da migliaia di falsi pulpiti-pescecani sarebbe preferibile rivalutare i vecchi pulpiti autorizzati, con facce franche e riconoscibili, forse severe ma responsabili di quel che dicono? Per chi volesse essere guidato tra i pulpiti di un tempo (sempreverdi, voto medio: 6+), si consigliano due libri da tenere fissi sul comodino come vademecum per il prossimo millennio. Il primo è di

Ma quanto è sopravvalutata «la prima volta»

«A volte ho l’impressione che Dio, nel creare l’uomo, abbia in qualche modo sopravvalutato le Sue capacità», così Oscar Wilde. Che cos’è la sopravvalutazione? Esistono studi in grado di spiegarci la stima esagerata dei meriti di qualcuno o del valore di qualcosa? Le ricerche più significative si devono a due professori americani della Cornell University, David Dunning e Justin Kruger, nel 1999. A volte, gli ignoranti sono quelli che pensano di saperne più di tutti: è un fenomeno psicologico, chiamato, appunto, «effetto Dunning-Kruger», che si verifica quando una persona con scarsa competenza in un determinato campo tende a sovrastimare le proprie capacità e a sottovalutare quelle degli altri. Le persone che ne soffrono hanno una percezione distorta della propria competenza e si mostrano eccessivamente sicure delle proprie opinioni. Le persone altamente competenti

tendono ad avere una maggiore consapevolezza delle proprie lacune. Elementi che finiscono per avere non solo un impatto sul fronte psicologico, ma anche sociale. È appena uscito una divertente antologia che raccoglie le risposte di scrittrici e scrittori contemporanei alla domanda: che cosa è sopravvalutato? Un «effetto Dunning-Kruger» per intellettuali. In Aragoste, champagne, picnic e altre cose sopravvalutate ( Einaudi, collana «Stile Libero Extra»), Arnaldo Greco avvia un’indagine sull’argomento. Sedici le persone interpellate. Teresa Ciabatti ritiene sopravvalutata «la prima volta» e racconta di averla vissuta come un «pensiero da togliersi». Le fa eco Gaia Manzini su «primo amore», salvo precisarci che il primo vero amore non è necessariamente legato a un ordine cronologico. «È proibito dire: non mi piace viaggiare, non mi piacciono le vacanze»,

scrive Francesco Piccolo nel suo saggio, dedicato a «viaggi e vacanze». E poi: «Andare a visitare luoghi, o andare a vivere per una settimana in un posto più scomodo e quasi sempre più pericoloso di casa mia, non mi piace. Non solo non mi entusiasma, ma mi deprime». Cristiano De Majo piccona il mito letterario della montagna e immagino si riferisca ai romanzi di Paolo Cognetti. Nadia Terranova ritiene sopravvalutata la sopravvalutazione: «Fare figli sarà di certo sopravvalutato ma anche non farli non scherza, così come realizzarsi sul lavoro e viceversa liberarsi dalle aspettative, per non parlare dell’amore e così via fino al limone sulla frittura di pesce». Arnaldo Greco spiega in un’intervista quanto sia difficile esprimere pareri: «Ci sono troppe opinioni, come si fa ad avere un pensiero originale? Non è facile. Magari pure il sempre citato Pasolini, se avesse potuto twit-

un grande giornalista e scrittore, Corrado Stajano, e si intitola Destini (Il Saggiatore). Il secondo è di un grande archeologo e storico dell’arte, Salvatore Settis, e si intitola Registro delle assenze (Salani). Sono raccolte di ritratti e biografie di persone che i due autori hanno conosciuto e ammirato. Basterebbe fare alcuni nomi per innescare la trappola micidiale (e inevitabile) della nostalgia (canaglia). Tra le «vite di un mondo perduto» raccontate da Stajano c’è quella del manager olivettiano Paolo Volponi, scrittore visionario convinto che «i ribelli erano il lievito della terra». C’è l’«umile venditore di libri» che fu Roberto Cerati, il direttore commerciale della Einaudi che quando la casa editrice dello Struzzo fu acquistata da Berlusconi decise di rimanere al suo posto come un custode dell’Altare della Patria (anche se l’amata Patria non c’era

di

più). C’è un ritratto memorabile del banchiere illuminato Raffaele Mattioli, uomo di conti e letterato che si definiva un conservatore anarchico, mecenate che salvò dalla crisi diversi editori e che fece della Ricciardi una delle collane più prestigiose di classici. Settis racconta maestri e compagni di strada. Ne ricordo solo due (il voto con lode va da sé). Lo storico dell’antichità Arnaldo Momigliano: «la storia è una re-interpretazione del passato che porta a conclusioni sul presente». Carlo Azeglio Ciampi, che considerava la sua formazione di filologo classico indispensabile per l’attività di banchiere: «Rispetto dei documenti e ricerca della verità». Etica della competenza, la definisce Settis, pronunciata dal pulpito più alto. Etica e competenza: due valori di cui i social possono fare a meno, senza nostalgia.

tare quindici opinioni al giorno, tipo “oggi presentazione, bellissima serata con gli amici della libreria” avrebbe perso secondo me un po’ di autorevolezza. C’è questa frenesia di esternare un pensiero. Quindici opinioni social, l’intervistina con tre domande. E tutto con scarsa comprensione di come vivono le persone, mi pare che c’è un tono sempre molto enfatico che invece allontana il pubblico. Sono molto contento che in questa raccolta non c’è nessun racconto enfatico. Claudio Giunta nel suo contributo dice che la partecipazione è sopravvalutata, e sono abbastanza d’accordo». Come, abbastanza d’accordo? Il pezzo di Claudio Giunta, dedicato alla «partecipazione», è il più riuscito per intelligenza e profondità: «Nella prima puntata di Horace and Pete – scrive Giunta –, la serie tv di Louis CK, a un certo punto due dei clienti del bar si mettono a difendere uno le posizio-

ni dei conservatori e l’altro le posizioni dei liberal, e la conversazione diventa presto una lite, finché un terzo avventore si mette in mezzo e a poco a poco li convince che le loro posizioni non sono poi troppo distanti, che il loro errore consiste nel partire da un’idea sbagliata delle opinioni dell’interlocutore. Ecco che, grazie alla mediazione di una persona più saggia, la conversazione ha permesso ai due litiganti di capire che ciò che li rende simili è più di ciò che li rende diversi. Virtù del dialogo, pensa lo spettatore. Invece no. Ecco che un quarto personaggio interviene per dire che tutta quella attività di mediazione, quella faticosa ricerca di un terreno comune, è una finzione: «Non cercano di raggiungere un accordo, questo è uno sport di mer…». Le persone più intelligenti, nel bar, se ne sono rimaste zitte davanti alla loro birra». Meglio non partecipare, meglio non valutare.

Settimanale di informazione e cultura Anno LXXXVII 18 marzo 2024 azione – Cooperativa Migros Ticino 39 CULTURA / RUBRICHE ◆ ●
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Aldo Grasso
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l'assortimento Sélection per es. Riso rosso, 250 g, 2.55 invece di 3.20, (100 g = 1.02) 20% 4.90 invece di 7.–Fragole Spagna, cassetta da 1 kg 30% 1.25 invece di 1.95 Carne di manzo macinata M-Classic Svizzera, in conf. speciale, per 100 g 35% 19. 3 – 25. 3. 2024
Tutto
Tutto

31%

1.30

15%

2.80

20%

Col sapore intenso di ciò che matura sui rami

1.90

prezzi ultra allettanti Frutta e verdura 2 Migros Ticino
Freschezza a
invece di 2.40 Pomodori a grappolo Migros Bio Spagna/Italia, vaschetta da 500 g, (100 g = 0.38)
IDEALE CON Latte di cocco Thai Kitchen in confezioni multiple, bio, light o normale, per es. normale, 2 x 500 ml, 6.85 invece di 8.60, (100 ml = 0.69) conf. da 2
20%
invece di 3.30 Fettine di pollo Optigal Svizzera, per 100 g, in self-service
invece di 1.90 Carote Svizzera, sacchetto da 1 kg

24%

2.50 invece di 3.30

Limoni Migros Bio Spagna/Italia, rete da 1 kg

23%

Zucchine Bio e Demeter

Italia/Spagna, per es. Zucchine Bio, 500 g, 1.50 invece di 1.95

28%

3.95

invece di 5.50

25%

3.20 invece di 4.30

Asparagi verdi, fini Spagna/Portogallo, mazzo da 500 g, (100 g = 0.79)

Arance sanguigne Italia, rete 2 kg, (100 g = 0.16)

34%

2.95 invece di 4.50

Cuore di carciofo Italia, 400 g

30%

4.40

invece di 6.30

Berliner con ripieno ai lamponi in conf. speciale, 6 pezzi, 420 g, (100 g = 1.05)

Su base croccante con crema alla vaniglia

20%

6.70

invece di 8.40

Millefoglie alle fragole 2 pezzi, 380 g, prodotto confezionato, (100 g = 1.76)

20%

Tutte le torte non refrigerate (articoli Sélection esclusi), per es. torta di Linz M-Classic, 400 g, 3.–

di 3.80, prodotto confezionato, (100 g = 0.75)

Pane e prodotti da forno 3 Offerte valide dal 19.3 al 25.3.2024, fino a esaurimento dello stock. Migros Ticino
invece

Carne e salumi

L’imbarazzo della scelta

CONSIGLIO DEGLI ESPERTI

La carne delle fettine di vitello IP-SUISSE proviene da un allevamento di animali rispettoso della specie e in armonia con la natura. Le fettine

40%

3.50

tenere e sottili sono perfette per preparare la piccata, le bistecche impanate o i saltimbocca. Maggiori informazioni sulla qualità della carne e altri consigli

disponibili al bancone della carne.

In vendita ora al banco

20%

7.10

invece di 5.90
100 g
Entrecôte di manzo Black Angus M-Classic Uruguay, in conf. speciale, 2
pezzi, per
invece di 8.90
Fettine di vitello al banco IP-SUISSE per 100 g
5 Offerte valide dal 19.3 al 25.3.2024, fino a esaurimento dello stock. Migros Ticino Squisita con la zuppa d'orzo grigionese 9.55 invece di 13.–Cosce di pollo Optigal, al naturale e speziate Svizzera, in conf. speciale, 4 pezzi, al kg 26% 5.95 invece di 7.90 Affettato di petto di pollo Optigal Svizzera, 2 x 100 g, (100 g = 2.98) conf. da 2 24% 3.95 invece di 4.95 Bratwurst di vitello IP-SUISSE 2 pezzi, 280 g, in self-service, (100 g = 1.41) 20% 6.95 invece di 9.75 Carne secca dei Grigioni IGP Svizzera, in conf. speciale, 115 g, (100 g = 6.04) 28% 3.55 invece di 4.20 Spezzatino di vitello IP-SUISSE per 100 g, in self-service 15% 2.20 invece di 3.30 Coniglio tagliato Ungheria, per 100 g, in self-service 33% 2.80 invece di 3.80 Prosciutto cotto Puccini prodotto in Ticino, per 100 g, in self-service 26% 8.–invece di 11.50 Luganighetta Svizzera, 2 x 250 g, (100 g = 1.60) conf. da 2 30%

2.35

Le

Tante proteine dal latte Formaggi, latticini e uova 6 Migros Ticino
per tortine al formaggio belle saporite
mini Aromat
invece di 8.60 Mini Babybel rete da 18 x 22 g, (100 g = 1.73) 20% 5.–invece di 6.75 Palline di mozzarella Migros Bio 3 x 150 g, (100 g = 1.11) conf. da 3 25%
invece di 8.10
Gruyère grattugiato Migros Bio, AOP 3 x 120 g, (100 g = 1.79) conf. da 3 20%
Uova di Pasqua svizzere da allevamento all'aperto con mini Aromat, 8 x 50 g+ Hit 1.90 invece di 2.55
Blenio per 100 g, confezionato 25%
Selezione Reale DOP disponibili in diverse varietà, per es. dolce, 200 g, 3.60 invece di 4.–, (100 g = 1.80) 10% 1.90 invece di 2.25 Formaggini freschi aha! per 100 g 15%
Ideale
Con
6.85
6.45
Le
4.45
Caseificio
Gorgonzola
invece di 2.95
Gruyère piccante Migros Bio, AOP per 100 g, prodotto confezionato 20%

Senza lattosio e 100% naturale

20%

6.–

invece di 7.50

Caffè Lattesso Fit, Zero o Cappuccino, 3 x 250 ml, (100 ml = 0.80)

Il mare regala bontà

Delizioso per il brunch di Pasqua su pane per toast con mousse di rafano

41%

9.95

invece di 16.90

Salmone affumicato Scotland d'allevamento, Scozia, in conf. speciale, 260 g, (100 g = 3.83)

30%

conf. da 2

20%

6.30

invece di 7.90

conf. da 3

20%

Mezza panna Valflora in bomboletta 2 x 250 ml, (100 g = 1.26)

4.90

invece di 6.15

Panna per caffè Valflora 3 x 500 ml, (100 ml = 0.33)

33%

13.95

invece di 21.–

Branzino intero M-Classic, ASC d'allevamento, Grecia, in conf. speciale, 720 g, (100 g = 1.94)

5.50

11.85

invece di 16.95

20%

Skrei M-Classic, MSC pesca, Atlantico nordorientale, in conf. speciale, 300 g, (100 g = 3.95)

Filetti di sogliola limanda freschi per es. M-Classic, selvatico, Oceano Atlantico nord-orientale, per 100 g, 4.95 invece di 6.20, in self-service

9.95

Con salsa di panna alle erbe

20x

Novità

Tagliatelle al salmone Costa, ASC prodotto surgelato, 500 g, (100 g = 1.10)

9.95

Salmone affumicato Sockeye M-Classic, MSC, aromatizzato con mirto limone e pepe d'allevamento, Norvegia, 100 g, in self-service, in vendita nelle maggiori filiali

Dadi di salmone affumicato M-Classic, ASC, marinati al pepe d'allevamento, Norvegia, 150 g, in self-service, in vendita nelle maggiori filiali, (100 g = 6.63)

frutti
mare 7 Offerte valide dal 19.3 al 25.3.2024, fino a esaurimento dello stock. Migros Ticino
Pesce e
di
conf. da 3
CUMULUS Novità
20x
CUMULUS
20x
Novità
CUMULUS

Dolci e cioccolato

Cosa ci spizzichiamo oggi ...

20%

Tutti i coniglietti di cioccolato Bunny Frey disponibili in diverse varietà, 55 g, 170 g e 900 g, per es. al latte, 55 g, 2.60 invece di 3.20, (100 g = 4.73)

4.70 invece di 5.90

Biscotti Lotus caramello, vaniglia o cioccolato, per es. caramello, 2 x 250 g, (100 g = 0.94)

conf. da 3

30%

5.65 invece di 8.10

Petit Beurre con cioccolato al latte o fondente, 3 x 150 g, (100 g = 1.26)

Dadi al malto o branches, Eimalzin per es. dadi al malto, 3 x 60 g, 4.60 invece di 6.90, (100 g = 2.56)

Tavolette di cioccolato Excellence o Les Grandes Lindt disponibili in diverse varietà, per es. Excellence 85% cacao, 3 x 100 g, 7.55 invece di 9.45, (100 g = 2.52)

Cremosità piena, con panna svizzera

20x

Novità

7.30

Fior di latte Sélection prodotto surgelato, 450 ml, (100 ml = 1.62)

20x

Novità

5.95

Branches Frey

Cremoso cuore di gelato ricoperto di sublime biscotto

Cookie Bites

Milk o Dark, per es. Milk, 30 x 27 g, 9.95 invece di 14.85, (100 g = 1.23)

Lemon Pie Style Icenack prodotto surgelato, 6 x 35 g, (100 g = 2.83)

20x

Novità

5.95

Cookie Bites

8
CUMULUS
CUMULUS
conf. da 2 20%
conf. da 30 33%
conf. da 3 33%
a partire da 2 pezzi
conf. da 3 20%
Brownie Style Icenack prodotto surgelato, 6 x 35 g, (100 g = 2.83) CUMULUS

a partire da 2 pezzi

–.50 di riduzione

Tutte le noci e tutta la frutta secca, Migros Bio (prodotti Alnatura e Demeter esclusi), per es. gherigli di noci, 100 g, 2.60 invece di 3.10, (100 g = 2.60)

–.30 di riduzione

Tutti i salatini da aperitivo Party per es. cracker salati, 210 g, 1.80 invece di 2.10, (100 g = 0.86)

Fagottini ripieni di verdure

20x

Novità

4.75 Empanadas vegetariane J.Bank's prodotto surgelato, 4 pezzi, 280 g, (100 g = 1.70)

25%

Graneo e Corn Chips Zweifel in conf. XXL Big Pack, disponibile in diverse varietà, per es. Graneo Original, 225 g, 4.95 invece di 6.60, (100 g = 2.20)

Con tante fibre

conf. da 3

33%

Stecche Blévita al sesamo, Classic bio o Original, per es. al sesamo, 3 x 295 g, 7.10 invece di 10.65, (100 g = 0.80)

28%

Tortine di spinaci o strudel al prosciutto, M-Classic prodotti surgelati, in conf. speciali, per es. strudel al prosciutto, 2 x 420 g, 7.90 invece di 11.–, (100 g = 0.94)

Con magnesio e calcio

conf. da 12

50%

4.50 invece di 9.–

conf. da 6

40%

Aproz

Classic, Cristal o Medium, 12 x 500 ml, per es. Classic, (100 ml = 0.07)

conf. da 2

Tutti i tipi di Orangina e di Oasis per es. Orangina, 6 x 1,5 l, 8.25 invece di 13.80, (1 l = 0.92)

99.95 Set con gasatore Duo Soda Stream con 2 caraffe, in nero o in bianco, il set

Mantengono le bevande fresche a lungo

29.95 Caraffe di vetro Soda Stream 1 litro

Bevande
aperitivi 9 Offerte valide dal 19.3 al 25.3.2024, fino a esaurimento dello stock.
... e cosa ci sgranocchiamo domani? Snack e
CUMULUS
Hit
Hit
a partire da 2 pezzi

Occasioni da gustare

a

20%

a

partire da 2 pezzi

Tutto l'assortimento di miele (articoli Sélection esclusi), per es. miele di fiori cremoso, 550 g, 4.85 invece di 6.90, (100 g = 0.88)

partire

da

Tutti i sofficini M-Classic prodotto surgelato, per es. al formaggio, 8 pezzi, 480 g, 4.20 invece di 5.95, (100 g = 0.88)

conf. da 3

33%

21.80 invece di 32.70

Chicco d'Oro, in chicchi o macinato 3 x 500 g, (100 g = 1.45)

a partire da 2 pezzi

20%

a partire da 2 pezzi

30%

Capsule di caffè M-Classic compatibili con il sistema Nespresso®, per es. Lungo, 20 capsule, 4.20 invece di 5.95

25%

16.50 invece di 22.–

Mini pizze

Piccolinis Buitoni prodotto surgelato, in confezione speciale, al prosciutto o alla mozzarella, 40 pezzi, 1,2 kg, (1 kg = 13.75)

Tutte i tipi di Caotina in polvere per es. Original, 400 g, 5.80 invece di 7.20, (100 g = 1.44)

Più scura e più saporita della farina bianca

20x CUMULUS

Novità

3.20 Farina semibianca bio 1 kg

30%

Patate fritte o patate fritte al forno, M-Classic prodotto surgelato, in conf. speciale, per es. patate fritte al forno, 2 kg, 7.– invece di 10.10, (1 kg = 3.50)

Scorta 10
Tutto l'assortimento Kellogg's per es. Tresor Choco Nut, 620 g, 5.60 invece di 6.95, (100 g = 0.90) partire da 2 pezzi
2 pezzi
a
30%
30%

a

25%

Tutto l'assortimento di sottaceti e di antipasti, Condy per es. cetrioli alle erbe, 290 g, 1.95 invece di 2.60, (100 g = 0.67)

33%

7.90

di 11.85

Tortelloni Anna's Best ricotta e spinaci o alla carne di manzo, 3 x 300 g, (100 g = 0.88)

a

a partire da 2 pezzi 20%

Olio di girasole M-Classic 1 l, 4.35 invece di 5.40

20%

Tutti i tipi di pasta Tradition, IP-SUISSE

per es. tagliatelle, 500 g, 3.60 invece di 4.55, (100 g = 0.72)

Con semola di grano duro da coltivazione in sintonia con la natura

20%

33%

Lasagne La Trattoria prodotto surgelato, disponibili in diverse varietà, per es. alla bolognese, 360 g, 2.30 invece di 3.40, (100 g = 0.64)

Tutti i tipi di riso M-Classic per es. Baldo, 1 kg, 2.60 invece di 3.25

conf. da 4

20%

Tutto l'assortimento Knorr per es. brodo di verdure, 228 g, 8.80 invece di 10.95, (100 g = 3.86)

Conserve di verdura svizzera o purea di mele, M-Classic disponibili in diverse varietà, per es. piselli e carote, fini, 4 x 260 g, 5.40 invece di 6.80, (100 g = 0.52)

20%

In c'èofferta anche il Crispy Tofu

Fettine alle verdure e patate o Crispy Tofu, Migros Bio per es. fettine, 2 x 180 g, 6.30 invece di 7.90, (100 g = 1.75)

11 Offerte valide dal 19.3 al 25.3.2024, fino a esaurimento dello stock.
invece
conf. da 3
Focaccia alsaziana originale 2 x 240 g o 2 x 350 g, per es. 2 x 240 g, 5.40 invece di 6.40, (100 g = 1.13) conf. da 2 15%
partire da 2 pezzi
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2 pezzi
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Una

scorta di benessere nell’armadietto del bagno

La marca propria Molfina offre un'ampia scelta di articoli per l'igiene femminile, dai salvaslip agli assorbenti, dai tamponi ai prodotti per le parti intime, che convincono per la buona qualità e il prezzo conveniente.

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Tutto l'assortimento di prodotti solari (confezioni multiple escluse), per es. Sun Look Basic Milk IP 30, 200 ml, 6.80 invece di 8.50, (100 ml = 3.40) partire da 2 pezzi

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partire da 2 pezzi

Tutto l'assortimento Zoé (Sun e prodotti per la cura delle labbra esclusi), per es. crema da notte nutriente Gold, 50 ml, 16.– invece di 19.95, (10 ml = 3.19)

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Assorbenti o salvaslip Molfina per es. salvaslip Light Long, FSC®, 2 x 50 pezzi, 4.75 invece di

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Prodotti per la doccia Nivea o Nivea Men per es. Cashmere & Cottonseed Oil, 3 x 250 ml, (100 ml = 0.79)

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Bellezza e cura del
3
LO SAPEVI?
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Tutto l'assortimento Secure (confezioni multiple e sacchetti igienici esclusi), per es. Ultra Normal, FSC®, 20 pezzi, 5.– invece di 6.20 2
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Deterge e nutre la barba

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8.90 Prodotti per la cura della barba Bulldog Shampoo, balsamo, cera o olio, per es. shampoo, 200 ml, (100 ml = 4.45)

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Tutti i detersivi per capi delicati Yvette (confezioni multiple e speciali escluse), per es. Wool & Silk in conf. di ricarica, 2 litri, 9.60 invece di 11.95, (1 l = 4.78)

Morbidezza a base vegetale

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Ammorbidenti e profumi per il bucato Lenor per es. ammorbidente freschezza d'aprile, 1,7 litro, 8.75, (1 l = 5.15)

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Carta per uso domestico Plenty, FSC®

Original, 1/2 strappo o Fun Design, in confezioni speciali, per es. Original, 16 rotoli

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7.65 invece di 9.60

Manella per es. Ultra Sensitive aha!, 3 x 500 ml, (100 ml = 0.51)

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Detersivi Ariel per es. detersivo liquido universale, 1 litro, 12.95

Casalinghi 13 Offerte valide dal 19.3 al 25.3.2024, fino a esaurimento dello stock.
Per una casa pulita e splendente
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Bellezza e praticità

Novità per famiglie con bimbi piccoli

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Shampoo Nivea Baby extra delicato e dalla testa ai piedi, per es. dalla testa ai piedi, 500 ml, 7.95, (100 ml = 1.59)

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Creme e oli Nivea Baby crema contro le irritazioni, crema viso e corpo e olio per massaggi, per es. crema contro le irritazioni, 60 ml, 5.95, (100 ml = 9.92)

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Salviettine umide Nivea Baby per es. soft & cream, 57 pz., 3.95

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Mix di tulipani

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Pantofole Essentials disponibili in marrone, n. 36–45, il paio

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Trolley da viaggio disponibile in blu o color petrolio, taglia L, il pezzo

Il freddo fino a –5 gradi non disturba i primaverilifiori

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Primule disponibili in diversi colori, in vaso, 9 cm, il set

9.90 Tulipani disponibili in diversi colori, mazzo da 24, il mazzo, (1 pz. = 0.41)

13.95 Bouquet di rose M-Classic, Fairtrade disponibile in diversi colori, mazzo da 30, lunghezza dello stelo 40 cm, il mazzo, (1 pz. = 0.47)

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Dentastix Pedigree medium o small, in confezione speciale, per es. medium, 28 pezzi, 720 g, (100 g = 1.38)

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speciali mazzo da 20, il mazzo, (1 pz. = 0.60)
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Spiedini di gamberetti Migros Bio con marinata barbecue d'allevamento, Ecuador, per 100 g, in self-service, offerta valida dal 21.3 al 24.3.2024

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Coniglietti di cioccolato Mahony Frey disponibili in diverse varietà, per es. al latte, 100 g, 3.05 invece di 3.80 partire da 2 pezzi
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