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Parabob: quanto tempo in un solo minuto

Altri campioni ◆ Incontro con l’atleta Christopher Stewart all’Olympia Bob Run di Celerina

Quel sibilo. Lo sfrecciare a oltre cento chilometri all’ora sul ghiaccio. E il gioco di forze nelle curve paraboliche che rendono unico lo spettacolo. Siamo all’Olympia Bob Run di Celerina, in alta Engadina, dove si stanno allenando gli atleti paralimpici di bob.

Tra di loro, anche un atleta svizzero, impegnato nelle fasi che precedono la sua discesa. È qui, alla partenza dell’Olympia Bob Run, che ci siamo dati appuntamento per conoscerci e per saperne di più su questo straordinario sport.

«L’allenamento principale consiste nella coordinazione manoocchio, capacità che può essere esercitata ad esempio attraverso il tiro al piattello»

«Allegra!». Ci accoglie così, Christopher Stewart, salutandoci in un romancio impastato dal suo simpatico accento americano. E anche se in realtà la lingua romancia lui non la conosce, il suo legame con l’Engadina è forte e profondo, perché è stata proprio questa terra a regalargli una seconda vita dopo l’incidente.

Mancano ancora una trentina di minuti alla sua partenza, il tempo per una chiacchierata.

Quarantanovenne, Christopher Stewart è nato nel Massachusetts da madre tedesca e padre inglese. Terminata la scuola dell’obbligo decide di recarsi a studiare in Giappone, dove rimane anche per lavoro negli anni successivi. Poi, nel 2004, un cliente della ditta lo convince a trasferirsi a lavorare in Svizzera.

«Oltre al mio lavoro, mi piaceva il fatto che in Svizzera si possano praticare molti sport diversi fra loro» ci racconta Christopher. E partendo da casa sua, a Zurigo, di sport ne scopre parecchi, in particolare lo sci, la mountain bike e il windsurf. Fin quando non si lascia attrarre dal parapendio. Le montagne svizzere si prestano bene a questo sport, e i lanci si susseguono. A fine estate del 2011 decide di volare nell’Oberland Bernese. Purtroppo, l’atterraggio è difficoltoso e da lì in poi perderà l’uso delle gambe. «Non mi sono mai perso d’animo – dice Christopher. La mia degenza al Centro paraplegici di Nottwil è durata esattamente sei mesi. Ero motivato a ritornare il più in fretta possibile alla mia vita di sempre».

Terminata la degenza in clinica, Christopher, che non ha mai smesso di lavorare, rientra al suo domicilio. Inizia a praticare nuovi sport, anche estremi, quali ad esempio il kitesurf e il monosci. E spesso nel suo tempo libero si reca in Engadina. È qui che qualche anno prima aveva conosciuto sua moglie, che era attiva professionalmente nella zona. Ed è qui che già prima dell’incidente aveva iniziato a tessere una rete di contatti interessanti. «Spesso ci trovavamo con amici e conoscenti a Celerina» aggiunge Christopher. «Poi, un giorno, per caso, sono venuto a conoscenza che lungo la pista di bob si lanciavano anche persone paraplegiche. Mi sono interessato e ho scoperto che l’Associazione Svizzera dei Paraplegici tutti gli anni proponeva due giorni di prova. La cosa mi ha subito stuzzicato». Nel 2015 e nel 2016 Christopher partecipa alle giornate di prova e, parallelamente, prende lezioni alla scuola di bob di St. Moritz. «Non senza difficoltà, ho insistito e insistito ancora per migliorare la mia tecnica di guida e nella stagione 2016/17 ho iniziato le mie prime gare» ricorda Christopher. I risultati non tardano ad arrivare. Le competizioni si susseguono, vince il titolo europeo e si classifica due volte al secondo posto nella generale di Coppa del Mondo. Sono anni felici, anche nella vita privata, coronati dal matrimonio e dall’arrivo della piccola Louisa.

Ma torniamo a noi. «Come vedi il bob è un po’ più corto rispetto a uno a due per normodotati – spiega Christopher –, e questo per il fatto che è predisposto soltanto per un atleta.

All’interno della scocca sono applicate delle cinture per fissare il busto, visto che la stabilità del nostro tronco è compromessa. Inoltre abbiamo una sorta di freno a mano per rallentare a fine corsa. La condizione necessaria per prendere parte a una gara, è che il pilota possa entrare senza aiuti di altre persone all’interno del bob». Oltre a ciò, rispetto al bob tradizionale, ci sono altre due differenze. La prima è che la partenza è data da un pisto- ne idraulico con un impulso di forza uguale per tutti i partecipanti, la seconda è che il peso totale, bob e pilota, dev’essere pari ad almeno 100 chili. Chi non li raggiunge può applicare delle zavorre per toccare il quintale.

«Una volta partiti – spiega Christopher – il pilota fa la differenza solo nella guida, esattamente come nelle categorie per i normodotati. Non esistono neppure categorie che tengono conto della gravità della disabilità, come ad esempio in altri sport che prevedono dei coefficienti di tempo diversi a dipendenza della gravità dell’andicap».

Per raggiungere un alto livello, come nel suo caso, occorre molto esercizio anche nel periodo estivo e autunnale. «In estate ci alleniamo prevalentemente in palestra per mantenere stabile il peso corporeo – spiega Christopher. Ma l’allenamento principale consiste nella coordinazione mano-occhio, capacità che può essere esercitata ad esempio attraverso il tiro al piattello. Inoltre sono molto indicati gli esercizi di meditazione, rilassamento e concentrazione».

Esercizi di concentrazione, mantra o rituali che vengono svolti anche prima della competizione. «Ogni

Christopher Stewart ha già vinto il titolo europeo e si è classificato due volte al secondo posto nella generale di Coppa del Mondo. (IBSF International Bobsleigh & Skeleton Federation) curva viene visualizzata e percorsa mentalmente con l’aiuto del movimento delle braccia e delle mani, esattamente come fanno gli sciatori prima di presentarsi al cancelletto di partenza» spiega Christopher. «Durante la visualizzazione cerco anche di sentire mentalmente i rumori che vengono generati nelle varie fasi della discesa». E poi il via, per poco più di un minuto di discesa. Grazie all’allenamento mentale, durante la gara Cristopher entra in un flusso dove tutto si muove al rallentatore. In un certo senso è come se riuscisse ad avere più tempo per focalizzare l’attenzione sui movimenti da compiere, e questo gli permette una guida più rilassata, precisa e sicura.

«Scivolare a 130 chilometri orari e con delle accelerazioni che possono arrivare a 5g è un’emozione indescrivibile», conclude Christopher. Ma tutto ciò non sarebbe possibile senza uno staff professionale che lo segue nei suoi allenamenti e nelle sue gare. Uno sport individuale, dunque, ma con un team alle spalle, che porterà Christopher a raggiungere tanti altri traguardi importanti e, chissà, a motivare anche qualche nuovo atleta a dedicarsi a questo affascinante sport.

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