Azione 36 del 4 settembre 2023

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edizione 36

MONDO MIGROS

Pagine 2 / 4 – 5

SOCIETÀ

C’era una volta una villetta rosa... la storia di Casa Pantrovà della coppia di autori Kläber-Tetzner

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Reborn babies: migliaia di donne spendono cifre incredibili per iperrealistiche bambole al silicone

TEMPO LIBERO Pagina 13

I piani di Ermotti, la scomparsa di Credit Suisse e i tagli al personale. Cosa sta succedendo ad UBS

ATTUALITÀ Pagina 19

Le scelte coraggiose del Parc Ela

l mistero dei negazionisti climatici

A volte non si riesce a credere a ciò che si legge. Per esempio: uno dei temi politici di maggior successo nel Vecchio continente è il cosiddetto «negazionismo climatico». Come spiega a pag. 25 Marzio Rigonalli, alcuni movimenti di area conservatrice e/o nazionalista, «negano il riscaldamento globale, si oppongono alle misure che vengono prese per contrastarlo e vorrebbero uscire dall’Accordo di Parigi», un trattato internazionale che chiede di mantenere entro la fine del secolo al di sotto dei 2 gradi centigradi la crescita della temperatura media globale sulla superficie delle terre emerse e degli oceani. Non ci si crede, perché sembra impossibile che dei partiti di prima grandezza (tra cui lo spagnolo Vox e il tedesco Alternative für Deutschland) senz’altro guidati da persone più che mediamente istruite, sposino teorie antiscientifiche che li associano più o meno direttamente ad astruse teorie del complotto. O a tentare,

invano, di conciliare la scienza con credenze e scelte che la contraddicono. In questi casi bisognerebbe parlare di dissonanza cognitiva. Il paradosso è che dal punto di vista dei negazionisti climatici, complottisti sono, al contrario, quanti osano ipotizzare che dietro alle loro posizioni si nascondano gli interessi di una certa lobby energetica, in particolare quella del petrolio. E contrattaccano. Il 27 maggio scorso, un articolo di Laura Paddison sul sito della CNN spiegava che meteorologi e comunicatori climatici sono inondati da messaggi minatori e false accuse secondo le quali mentono sulla meteo o la controllano, esagerando i valori termici. Ma con quali oscuri interessi, ci chiediamo?

Non ci si crede, soprattutto, perché i cittadini elettori hanno la possibilità di verificare sulla propria pelle l’assoluta concretezza dell’idea astratta di «surriscaldamento del clima».

Mettiamo pure che non leggano o che leggano ma non credano alle notizie che quasi ogni giorno ci dicono, per esempio, che il mese di luglio 2023 è stato di 1.0 °C più caldo rispetto alla norma registrata tra il 1991 e il 2020 (fonte: MeteoSvizzera). O che l’anno scorso la canicola ha provocato 59 decessi in Ticino e 474 in Svizzera (fonte: Ufficio federale dell’ambiente).

Per non parlare degli impressionanti scompensi nel resto del pianeta (vedi l’articolo di Cristina Marconi a pag. 23). Certo, le statistiche vanno interpretate e restano freddi numeri sideralmente distanti dalla vita reale.

Mettiamo poi che i negazionisti climatici e i loro abbondanti elettori non siano operai addetti alla stesura dell’asfalto nei cantieri stradali o non abbiano nulla a che fare con l’agricoltura, due fra i numerosi ambiti nei quali gli sbalzi di temperatura hanno effetti immediatamente misurabili. Ma possibile che non

Adelphi pubblica Guerra, il primo dei due romanzi inediti ritrovati di Louis-Ferdinand Céline

CULTURA Pagina 27

si accorgano che ogni estate è peggiore della precedente? Che negli ultimi mesi gli eventi meteorologici sono stati quasi solo estremi: calura asfissiante, fiumi prosciugati, ghiacciai in estinzione da una parte e tuoni, fulmini, tempeste con chicchi grossi come pugni e relative inondazioni dall’altra?

Forse godono di una straordinaria resistenza fisico-genetica al calore, sono foderati d’amianto, o vivono in una bolla d’aria condizionata e non si accorgono del Sahara che avanza fuori dalle finestre. Anche se non ne condividiamo le idee, accettiamo di confrontarci con le ragioni di chi non è convinto che il cambiamento climatico sia causato soprattutto dalle attività inquinanti dell’uomo. Ma coi negazionisti assoluti c’è poco da discutere: arrivare a negare la realtà stessa del surriscaldamento è come mettere la mano in una pentola d’acqua bollente e dire che è giusto un po’ tiepidina.

Settimanale di informazione e cultura Anno LXXXVI 4 settembre 2023 Cooperativa Migros Ticino
◆ ● G.A.A. 6592 San t’Antonino
Fabio Dozio Pagina 7 Carlo Silini lorenzfischer.photo

Salazar con alcuni esemplari di agenda del Percento culturale Migros.

to ai cambiamenti della società: quello che era il core business della scuola, ossia le lingue e l’informatica, fanno ormai parte delle competenze di cui le persone sempre più spesso già dispongono. È quindi fondamentale trovare nuove vie per distinguersi, come ad esempio la salute o la creatività».

Sfogliando i programmi degli eventi sostenuti in Ticino dal Percento culturale nel corso degli anni a saltare all’occhio è la duplice attenzione alla scena culturale, che da una parte ha presentato grandi protagonisti appartenenti alla scena culturale internazionale, dall’altra ha messo in campo sensibilità e un interesse particolare per la scena locale, in un equilibrio che è la cifra nonché il segreto del successo di questa offerta.

Il Percento culturale di Migros Ticino si muove in perfetto equilibrio tra realtà internazionali e realtà locali

L’anniversario dei cinquant’anni del Percento culturale di Migros Ticino, nel 2009, ha rappresentato un’occasione imperdibile per fare una sorta di bilancio, che Yvonne Pesenti Salazar, storica di formazione, non si è lasciata scappare: riconoscendo il valore dell’eredità che si trovava tra le mani e sulla quale intendeva costruire il futuro, ha fatto una ricerca su tutti i programmi dal 1959 in avanti, realizzando un indice per settori, enucleando le conferenze, i concerti, le mostre, gli spettacoli di danza e di teatro, gli incontri e i progetti, inserendoli infine in un’agenda (vedi box).

Percento, per amore di cultura

Speciale 90esimo ◆ Yvonne Pesenti Salazar e Luca Corti raccontano l’impegno di Migros Ticino in ambito sociale e culturale

Simona Sala

«Gottlieb Duttweiler, il fondatore della Migros, ha posto le basi per l’impegno sociale della Migros più di 60 anni fa. Per lui era chiaro che il successo economico comportasse l’obbligo di compiere investimenti duraturi nella società. Ancora oggi poniamo al centro la persona. Con le nostre numerose offerte per i target più diversi ci impegniamo per una società varia, aperta e in grado di affrontare il futuro», queste le parole di Hedy Graber, responsabile della Direzione Società e cultura della Federazione delle cooperative Migros.

L’impegno di Migros verso la cultura, che si realizza anche attraverso il Percento culturale (che è una emanazione dello statuto aziendale, e come tale è nato per volontà di Gottlieb Duttweiler nel 1957) e si traduce in un contributo annuo calcolato in base al fatturato, in Svizzera sull’arco di sei decenni ha portato a un investimento complessivo nella cultura e nella società in senso lato quantificabile in oltre 5 miliardi di franchi.

Non vi è però unicamente il Percento culturale nazionale, che fa capo alla Federazione cooperative Migros (FCM), bensì anche quello legato ad alcune cooperative regionali (tra cui il Percento culturale di Migros Ticino), che si presenta naturalmente in modo più circoscritto, ma allo stesso tempo è complementare, permettendo e garantendo una maggiore vicinanza al territorio e agli attori attivi localmente.

Per parlare della straordinarietà di

questo sostegno, nel suo genere unico al mondo, abbiamo incontrato Yvonne Pesenti Salazar, responsabile di Percento culturale di Migros Ticino e Scuola Club dal 1999 al 2016, e Luca Corti, attualmente in carica e responsabile, oltre che del Percento culturale di Migros Ticino, anche della Comunicazione di Migros Ticino.

Seguendo l’idea di Duttweiler la prima stagione del Percento culturale di Migros Ticino della nostra regione è partita nel settembre del 1959

Ricorda Yvonne Pesenti Salazar: «All’epoca ero vicepresidente di Pro Helvetia, quindi attiva nella promozione culturale da anni. A livello nazionale la cultura era in mano a tre grandi attori, Pro Helvetia, Ufficio federale della cultura e Percento culturale; quest’ultimo era quello più innovativo, poiché si occupava già di cultura giovanile, aveva una strategia e animava la riflessione su mediazione e promozione culturale. Le istanze federali in qualche modo imparavano da questa fucina di idee che si muoveva in modo innovativo e pionieristico. Quando ho iniziato a lavorare per Migros Ticino mi sono anzitutto occupata del rilancio della Scuola Club.

Il programma di sostegno alla cultura invece era abbastanza circoscritto e faceva parte di quella che allora si chiamava Sezione culturale e sociale di Migros Ticino ed era stata diretta da Sergio Jacomella prima e Sergio Pozzi in seguito. Nel DNA della Migros si è sempre sentito fortissimo il fatto che ci fosse una sezione culturale che si occupasse dell’educazione degli adulti e di promozione culturale al fine di offrire degli strumenti di orientamento in una società che cambia.

Questi due ambiti sono stati concepiti da Duttweiler come un tutt’uno: la formazione consente tra le altre cose di accedere alla cultura, mentre la cultura è a sua volta formativa, poiché al di là del piacere e dell’intrattenimento ci offre una lettura, non solo originale ma anche critica del mondo».

Luca Corti, che ha ereditato il timone del Percento culturale in un momento di transizione (temporaneamente per gli attori culturali è previsto un sostegno da realizzarsi attraverso la promozione e la messa a disposizione di competenze e know how), completa: «Io, giorno per giorno, cerco di tradurre nella situazione attuale il codice di ciò che ho ereditato. In questo momento il Percento culturale sta aiutando la Scuola Club a superare un momento di grande trasformazione, anche al fine di garantire il mantenimento dei numerosi posti di chi ci lavora. In questi anni la formazione è cambiata in segui-

Alcuni grandi nomi dai programmi delle stagioni del Percento culturale

Letteratura

Pablo Neruda, Eugenio Montale, Leonardo Sciascia, Gianni Rodari, Italo Calvino, Patrizia Valduga

Teatro e danza

Walter Chiari, Giorgio Albertazzi, Mariangela Melato, Marina

Massironi, Arnoldo Foà, Franca

Valeri, Paolo Villaggio

Conferenze e incontri

Renato Dulbecco, Rita Levi-Montalcini, Piero Angela, Leoluca Orlando, Fulco Pratesi, Jacques Piccard, Margherita Hack

Musica

Cecilia Bartoli, Richard Galliano, Arturo Benedetti Michelangeli, Mahalia Jackson, Academy of St.Martin-in-the-Fields

Mostre

Werner Bischof, Franco Beltrametti, Bruno Munari, Rolando Raggenbass, Francine Mury

Poiché la disponibilità del Percento culturale di Migros Ticino è intrinsecamente legata al fatturato di Migros Ticino, e dal momento che fino al 2016 essa costituiva un corpus unico insieme alla Scuola Club, i margini di manovra e intervento sono in passato stati certamente maggiori, come ricorda Yvonne Pesenti Salazar: «Anzitutto ho introdotto un nuovo logo, “Percento culturale” come a livello nazionale. Poi nella ristrutturazione della sede luganese ho coinvolto l’artista Maria Pia Borgnini, che ha ideato uno straordinario intervento di Kunst am Bau. La stessa artista ha poi realizzato due bellissime opere anche per i nuovi spazi di Locarno e Bellinzona, ristrutturati in seguito. Negli anni sono poi nati dei partenariati, come quello con Palco ai giovani della Città di Lugano, o come il Premio Migros per l’arte corredato di una mostra con le opere di giovani artisti emergenti. Last but not least, ricordo le energie investite per la cultura popolare e la collaborazione con Franco Lurà, poi sfociata nelle trasmissioni di Rete tre e le serate dei Frontaliers». Completa Luca Corti, «Come già detto, ci muoviamo ora su un altro piano, pur restando nel solco della tradizione abbiamo dovuto stare al passo con i tempi, anche perché gli interessi della gente negli anni non sono più gli stessi. Abbiamo dunque cercato di mettere l’accento sul digitale e su nuove forme di cultura, come ad esempio la street art. Ora guardiamo al futuro con fiducia, mettendo temporaneamente a disposizione degli operatori culturali la nostra esperienza e il nostro network, ma convinti che il rilancio della Scuola Club Migros sia a buon punto e che si possa ripartire quanto prima con la classica stagione culturale di Migros Ticino, consapevoli più che mai dell’importanza del Percento culturale, e decisi a non venire meno al nostro ruolo nella scena culturale ticinese».

Settimanale di informazione e cultura Anno LXXXVI 4 settembre 2023 azione – Cooperativa Migros Ticino MONDO MIGROS 2 MONDO MIGROS ●
Luca Corti e Yvonne Pesenti

Il Parco naturale è un progetto condiviso Intervista a Veronika Widmann, la nuova direttrice del Parc Ela nel Grigioni, il più esteso della Svizzera

La minaccia del calabrone asiatico Già arrivato in Svizzera, manca poco che invada anche il Ticino; la popolazione è invitata a segnalarne eventuali avvistamenti

Casa Pantrovà torna all’infanzia

Restez FIT! cerca saggi per la sua giuria

Il progetto socio-culturale rivolto agli over 65 nato nell’ambito del festival teatrale FIT torna anche nella nuova edizione

Carona ◆ La villetta rosa, ereditata dalla coppia di autori Kläber-Tetzner, è una casa per artisti e accoglie una residenza di scrittura in ambito audiovisivo per la gioventù

A Carona si torna a scrivere per i giovani e i giovanissimi. A Casa Pantrovà, la residenza che fu della coppia di autori per l’infanzia Lisa Tetzner e Kurt Kläber. La villetta rosa che sovrasta il nucleo del villaggio (oggi quartiere della grande Lugano) venne costruita dai due scrittori tedeschi grazie ai diritti d’autore incassati dai loro due libri di maggiore successo, pubblicati all’inizio degli anni 40 del Novecento: Zora la Rossa (le avventure di una ragazzina alla testa di una banda giovanile sulla costa adriatica, che si ribella alle ingiustizie del mondo degli adulti) e Fratelli neri (la storia di Giorgio, piccolo spazzacamino della Val Verzasca, che riesce a liberarsi dalla «schiavitù» in cui viene costretto a Milano).

I titoli italiani dicono forse poco o nulla, ma i due romanzi per l’infanzia sono dei classici del Novecento in Germania e nella Svizzera tedesca (Die Rote Zora und ihre Bande e Schwarze Brüder) e sono stati tradotti in tutto il mondo, con numerosi adattamenti teatrali e cinematografici. Tanto che il Museo nazionale di Zurigo ha dedicato una mostra (in corso fino al 12 novembre prossimo) ai libri dei due autori tedeschi, riparati in Ticino per sfuggire al regime nazista.

Il ritorno a Carona della scrittura per la gioventù (in forma audiovisiva) è stato promosso da un concorso lanciato dalla Divisione cultura della Città di Lugano, in collaborazione con Casa della Letteratura per la Svizzera italiana, Gruppo registi e sceneggiatori Svizzera italiana e Ticino Film Commission. La residenza d’artista messa a concorso offre il non comune privilegio di soggiornare un mese in quell’appartato laboratorio creativo che è Casa Pantrovà.

Quest’anno, ad aggiudicarsi la seconda edizione del concorso è stato il progetto di Sandra Moser dal titolo Rossana, Jaris und die Anderswelt, una storia ambientata in contesto circense sul tema del superamento del trauma della malattia e della perdita.

A Carona, Kurt Kläber (conosciuto con lo pseudonimo di Kurt Held) e Lisa Tetzner avevano trovato il loro paradiso creativo. Vi erano giunti nel 1933 attratti dalla colonia germanofona che vi soggiornava negli anni Venti del Novecento. Nel 1918 Theo e Lisa Wenger, nonni materni dell’artista Meret Oppenheim, avevano acquistato una casa di vacanza nel nucleo del villaggio dall’atmosfera mediterranea sulla privilegiata collina prealpina dell’Arbostora. Lisa Wenger era un’autrice di filastrocche per bambini e il suo più noto Joggeli gira ancora nelle biblioteche per bambini della Svizzera tedesca. Hermann Hesse,

che aveva sposato in prime nozze la figlia dei Wenger nel 1924, era ospite fisso a Carona.

In questa enclave tedesca in terra ticinese, dove la coppia di scrittori aveva affondato definitivamente le sue radici, prese forma nel 1956 la loro amata villetta rosa, costruita su un poggio soleggiato che per anni avevano coltivato a orto. Casa Pantrovà, dal nome che strizzava l’occhio al Pan Perdü, il noto grotto di Carona dove Kurt giocava a bocce, divenne per alcuni anni meta prediletta di amici scrittori alla ricerca di quella pace nella natura che potevano trovare a Carona.

Kurt Kläber si spense nel 1959 e la moglie gli sopravvisse solo 4 anni. Alla sua morte, nel 1963, Lisa Tetzner si assicurò che la loro casa continuasse a ospitare artisti liberi di alimentare la propria creatività. L’eredità Kläber-Tetzner è stata amministrata dalla Fondazione svizzera per la cultura Pro Helvetia per 40 anni. Nel 2005 Casa Pantrovà è stata acquistata dal comune di Carona (poi confluito nel

2013 nella grande Lugano). Da allora è gestita dall’Associazione omonima, fondata da un gruppo di irriducibili che si sono battuti affinché la proprietà rimanesse in mani pubbliche. Memoria storica delle vicende e soprattutto dell’ospitalità della residenza è Sylvia de Stouz, origini ginevrine, gioventù zurighese, costumista cinematografica e teatrale per 40 anni in giro per l’Europa, ma sempre con base a Carona. È lei che mi accoglie a Casa Pantrovà. Mi apre il cancello e attraversiamo il giardino, che scende a lambire il nucleo da una parte e confina con il recinto del bosco dei cavalli dall’altra. Premette subito che questa visita guidata è un’inattesa occasione fortunata. «Possiamo approfittare del contrattempo avuto dall’ospite che doveva arrivare oggi. Perché non capita spesso di trovare la casa vuota e quindi accessibile senza disturbare la quiete garantita a chi vi soggiorna. Forse un paio di settimane l’anno, non di più», mi spiega questo «angelo custode» della casa.

Entrare a Casa Pantrovà è come

fare un salto negli anni Cinquanta. Si respira lo spirito del tempo. Tutto è rimasto esattamente come l’aveva lasciato Lisa Tetzner nel 1963: arredamento semplice, caldo, e funzionale, piccole librerie colme sparse nei corridoi, cucina con i mobili in legno su misura, sala da pranzo e salotto con invitante uscita sulla terrazza-giardino lastricata; al piano di sopra le camere con grandi finestre che si affacciano nel verde e il grande studio, con le due scrivanie massicce, un pianoforte e le pareti tappezzate di libri, soprattutto (e non potrebbe essere altrimenti) letteratura per l’infanzia e la gioventù in varie lingue.

Luogo privilegiato per ritiri individuali di massima concentrazione, la casa si presta soprattutto al soggiorno di musicisti, che sfruttano la location appartata per prolungare senza problemi di vicinato le loro attività. «Ospiti fissi per i loro seminari –puntualizza Sylvia – sono ad esempio vari professori dei Conservatori di Zurigo e di Lucerna (entrambi membri dell’Associazione Casa Pantrovà),

che prenotano le loro settimane di anno in anno».

Sul ripiano di un secretaire in sala da pranzo è aperto un classeur: raccoglie i fogli con i messaggi lasciati dagli ultimi ospiti, gran parte in tedesco. In uno scaffale sono riposti altri 8 raccoglitori con le pagine scritte dai residenti di Casa Pantrovà in 60 anni.

«Questa casa è un luogo d’incontro. – racconta Sylvia sfogliando i messaggi – C’è anche chi si aspetta per salutarsi o si lascia dei biglietti. È successo anche che un figlio ritrovasse nei raccoglitori un messaggio scritto dal padre in gioventù».

Non si fanno nomi. «Discrezione» è la parola d’ordine per Sylvia, che glissa sui residenti illustri che hanno animato Casa Pantrovà negli ultimi anni. Accompagnandomi al cancello mi fa notare come non esistano insegne o indicazioni per individuare la casa. Google maps a parte, naturalmente.

Informazioni: www.landesmuseum.ch www.pantrova.ch

SOCIETÀ ● ◆ Settimanale di informazione e cultura Anno LXXXVI 4 settembre 2023 azione – Cooperativa Migros Ticino 3
Kurt Kläber e Lisa Tetzner costruirono la loro villetta rosa a Carona negli anni 50 e si assicurarono che la casa continuasse a ospitare artisti anche dopo la loro morte. (Città di Lugano) Pagina 10 Pagina 11 Pagina 7

Signor Lombardi, ci può parlare un po’ di lei?

Ho 42 anni e sono sposato con Marinela, abbiamo due figli di 8 e 9 anni, Anna e Francesco. Vengo da una famiglia contadina, già i miei bisnonni a inizio 900 possedevano un’azienda agricola dove allevavano bovini e producevano formaggio. Come formazione ho intrapreso un apprendistato di meccanico di precisione e successivamente di commercio, per poi subentrare nell’azienda di famiglia Agroval SA una ventina di anni fa. Oltre all’attività imprenditoriale, nel tempo libero mi piace seguire l’hockey su ghiaccio, viaggiare e fare gite in montagna con la famiglia.

Quali sono i prodotti che fornite a Migros Ticino?

La gamma di articoli che produciamo per Migros Ticino spazia dai formaggi a pasta semidura Canaria, Leventina, San Gottardo Prealpi ai formaggi d’alpe DOP Fieudo e Canaria, passando per la classica formaggella fino agli iogurt di montagna disponibili in una quindicina di gusti.

Cos’hanno in comune queste specialità?

Sono prodotti artigianali e genuini, realizzati con passione utilizzando solo latte di montagna privo di foraggi insilati. I formaggi stagionati nelle nostre cantine naturali sono inoltre tutti a base di latte crudo, cosa che permette di ottenere dei prodotti

Sapori di alta montagna

Attualità ◆ Ad Airolo l’azienda Agroval SA produce per Migros Ticino diverse specialità a base di latte di montagna. Intervista al dinamico imprenditore Ari Lombardi, titolare dell’azienda leventinese

Vieni a scoprire le genuine specialità della nostra regione! Dal 5 al 18 settembre ti aspettano numerose promozioni e degustazioni sui prodotti firmati Nostrani del Ticino. nostranidelticino.ch

dalle proprietà organolettiche uniche, con aromi particolarmente intensi dei nostri pascoli alpini.

Da dove proviene il latte che utilizzate?

Il prezioso latte dell’Alta Leventina viene raccolto da una decina di produttori locali certificati come contadini di montagna. Al momento della consegna si effettua un’analisi qualitativa affinché esso sia conforme alle disposizioni, perché se il latte non è buono non potrà mai dare un buon formaggio. Le mucche sono allevate nel rispetto della specie, d’estate brucano l’erba dei pascoli alpini, mentre d’inverno vengono tenute in ampie stalle con la possibilità di uscire all’aperto.

C’è un prodotto della sua azienda a cui è particolarmente legato?

Non ho un prodotto preferito particolare, ogni giorno cerchiamo sempre di dare il meglio e il massimo di noi stessi per produrre delle specialità che possano soddisfare pienamente i gusti e le esigenze dei consumatori.

Quanto è difficile essere un imprenditore in alta montagna?

È certamente un mestiere duro e impegnativo, fatto di sfide e sacrifici quotidiani. Ma allo stesso tempo è un lavoro affascinante che regala anche molte soddisfazioni.

Nelle foto: Mucche al pascolo sull’Alpe di Fieudo. I formaggi della Agroval SA vengono affinati in cantine naturali.

(Foto di Giovanni Barberis)

A base di latte crudo di montagna, pasta semidura, affinato per almeno 2 mesi in cantina naturale. Colore giallo e sapore delicato leggermente acidulo.

Formaggio di montagna a pasta semidura a base di latte crudo, affinato in cantina naturale per almeno 2 mesi. Colore giallo paglierino con sapore leggermente acidulo e salato-dolce.

Formaggio d’alpe a pasta semidura, grasso, a base di latte crudo di montagna. Colore giallo pronunciato con crosta grigia. Affinato per almeno 2 mesi secondo le direttive DOP.

Formaggio a base di latte crudo ticinese di montagna, grasso, stagionato per minimo 2 mesi. Pasta di colore giallo con crosta giallo-scura. Sapore dolce e aromatico.

Formaggio ticinese d’alpe di latte crudo, prodotto sull’omonimo alpeggio e stagionato in quota per almeno 2 mesi nel rispetto del disciplinare DOP.

Disponibili in una quindicina di gusti, gli iogurt di montagna si caratterizzano per la loro consistenza cremosa con pezzetti di polpa di frutta. Il loro sapore è leggermente acidulo.

Formaggio ticinese di montagna a pasta molle, prodotto con latte termizzato. Affinamento in cantina naturale per almeno 21 giorni. Pasta di colore bianco e crosta giallina, con sapore dolce e aromatico.

Azione

Tutti gli iogurt di montagna Nostrani –.10 di riduzione dal 5.9 all’11.9.2023

Settimanale di informazione e cultura Anno LXXXVI 4 settembre 2023 azione – Cooperativa Migros Ticino MONDO MIGROS 4
«I nostri prodotti sono fatti solo con latte di montagna»
Ari Lombardi Agroval SA, Airolo

Scatena la tua creatività!

Attualità ◆ Partecipa al nostro entusiasmante concorso di disegno che ti darà la possibilità di esporre la tua opera nei nostri supermercati Migros

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plicissimo: recati nella filiale più vicina a te e ritira l’apposito foglio A3 che ti mettiamo a disposizione. Dai sfogo alla tua fantasia e creatività disegnando e colorando quello che più ti piace all’interno della sagoma prestampata. Una volta terminato il tuo capolavoro, compila il foglio con i tuoi dati

e quelli dei tuoi genitori e consegnalo presso il banco accoglienza o alle casse del negozio. Attenzione, il disegno dovrà essere consegnato entro il 30.9.2023. Fra tutti i lavori ricevuti, una giuria interna sceglierà i disegni vincitori per ogni negozio. Quest’ultimi saranno poi stam-

pati su appositi pannelli espositivi e posizionati accanto alle casse self-service Migros per diverse settimane, dove potranno essere ammirati da clienti, amici, parenti e conoscenti. Non aspettare oltre, corri alla tua Migros, ritira il tuo foglio e scatena la tua creatività!

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Ela, il parco naturale più grande della Svizzera

Territorio ◆ Orme di dinosauro e affreschi giotteschi, fra le curiosità del Parc Ela. Natura e fauna, ma soprattutto economia sostenibile fra le priorità della nuova direttrice Veronika Widmann

Se consideriamo i parchi regionali e naturali, non c’è confronto tra il nostro cantone e il Grigioni. Quest’ultimo, oltre allo storico Parco nazionale della bassa Engadina, fondato nel 1914 e che è il più antico delle Alpi, ha creato negli ultimi anni quattro parchi regionali. Biosfera in Val Müstair, Parco naturale del Beverin, Parco della Val Calanca, ultimo nato, e il Parc Ela, che è il più grande della Svizzera e si estende dalla Valle dell’Albula a quella del Giulia, con i passi del Settimo, Julier e Albula. In Ticino, invece, nel recente passato, ci sono state discussioni, dibattiti, controversie per cercare di realizzare due progetti di parco, nel Locarnese e nella valle di Blenio: falliti entrambi.

Il Parc Ela, che prende il nome dal pizzo che sta al centro della regione, copre una superficie di 659 km 2 e comprende sei comuni: Davos Wiesen, Schmitten, Alvra/Albula, Bergün Filisur, Surses (Savognin), Lantsch/Lenz, dove vivono 5’726 abitanti.

Il Parc Ela ha ricevuto nel 2012 il marchio «Parco naturale regionale» da Berna. In Svizzera ce ne sono altri 15. Dettaglio da non sottovalutare è che i comuni hanno di fatto realizzato il parco prima ancora che venisse riconosciuto ufficialmente dall’autorità federale: circolavano già gli opuscoli informativi che lo descrivevano e promuovevano. Un’iniziativa dal basso di grande valore e che dimostra che le comunità montane, se si danno da fare, possono raggiungere obiettivi ragguardevoli e significativi.

«La partecipazione della popolazione è un fattore decisivo – ci dice la nuova direttrice del Parc Ela, Veronika Widmann – Qui ci sono atteggiamenti molto diversi che possono convivere: c’è una parte della popolazione che si impegna e si coinvolge nelle nostre iniziative, proponendo spunti e progetti, e altri abitanti che non hanno particolare interesse. Noi cerchiamo sempre di insistere sul fatto che i progetti non devono svilupparsi nei nostri uffici, ma necessitano di conoscere le esperienze e i bisogni degli abitanti per sapere in quale direzione lavorare. Il Parco ha lo scopo di contribuire allo sviluppo regionale in sintonia con la popolazione. Noi abbiamo una visione, è ovvio, ma occorre il sostegno della gente, altrimenti il lavoro del Parco non vale niente».

Parc Ela è caratterizzato da diversi aspetti: la flora e la fauna, con 70 specie di mammiferi, rappresentano il punto forte; poi ci sono i villaggi, quasi incontaminati, con una vivace cultura romancia, tedesca e anche italiana (anche se Bivio, confluito in Surses, ha perso buona parte della sua italianità); tre torbiere d’importanza nazionale (Alp Flix, Alp da Stierva e Valle del Settimo); i prodotti regionali che vengono protetti e promossi e, non da ultimo, il trenino rosso della Ferrovia retica, patrimonio dell’Unesco, con le linee dell’Albula e del Bernina, che offre capolavori di inge-

gneria come il viadotto Landwasser, vicino a Filisur.

Incontriamo la giovane direttrice del Parco a Tiefencastel, nei suoi uffici a due passi dalla rotonda stradale, bivio fra la valle del Giulia e quella dell’Albula. Sotto l’ufficio scorre con irruenza il fiume Albula. Veronika Widmann, 36 anni sudtirolese o, se preferite, altoatesina, è un’economista con specializzazione in sostenibilità ed è piena di entusiasmo per il nuovo incarico assunto a febbraio. Quali sono i suoi obiettivi? «Il mio primo compito è lavorare sulla struttura del Parco, la gestione deve diventare più professionale e più efficace. Negli ultimi anni ci sono stati molti cambiamenti e l’organizzazione è mutata parecchio: si è passati da un team di tre persone a una dozzina. Ho il mandato di mettere a punto nuove procedure di gestione per garantire il miglior funzionamento di tutta la struttura. Un obiettivo fondamentale è la promozione dello sviluppo sostenibile nella regione, che si articola in tre settori: natura e paesaggio, economia sostenibile e educazione. Finora la priorità è stata la natura, che è l’es-

senza del Parco, il motivo per cui il Parco è nato. Ora la promozione deve concentrarsi sull’economia sostenibile. Abbiamo tante iniziative e tanti progetti che cercano di promuovere l’agricoltura, sostenere la gente che lavora nel Parco e le piccole aziende tradizionali. Anche il turismo riveste un ruolo importante e va declinato in modo sostenibile. Per questo cerchiamo di collaborare con i diversi attori sul territorio, guardando anche alle buone pratiche all’estero: ci sono tanti esempi interessanti, non deve essere tutto inventato da zero. Abbiamo una rete di partner con i quali lavoriamo su progetti precisi, sviluppando la rete logistica per la commercializzazione dei prodotti locali. Collaboriamo con gli alberghi che vogliono sviluppare un piano di azione per diventare più ecologici e più sostenibili. Ultimamente abbiamo iniziato un progetto per creare e mettere in rete gli artigiani, organizzando incontri che favoriscano la diffusione delle idee innovative che nascono nella regione. Il Parco deve avere il ruolo di facilitatore per sviluppare e sostenere idee che possano giungere da attori economici diversi. Dobbiamo favorire la motivazione e la mentalità costruttiva».

Si parla molto di turismo sostenibile che, negli ultimi anni, si sta diffondendo un po’ dappertutto. Un turismo che deve privilegiare la scoperta di territori anche periferici e che cerca di limitare il più possibile l’impatto negativo sull’ambiente, favorendo la conoscenza dei luoghi, delle culture, delle tradizioni e delle comunità locali. «Al centro di tutto c’è l’esperienza individuale, – precisa Veronika Widmann – per vivere l’esperienza della natura e del paesaggio non sono necessarie installazioni particolari; non si tratta di realizzare un parco

nel Parco, ma di mettere in luce e dimostrare le ricchezze che abbiamo, le particolarità, le unicità, la potenzialità del territorio, dalla geologia a Bivio alla varietà dei boschi e della fauna. Tante peculiarità che non sono nemmeno conosciute dagli abitanti della regione. Poi abbiamo un patrimonio culturale che va promosso e fatto conoscere. L’anno scorso abbiamo organizzato sette eventi attorno alla tematica delle ricchezze del suolo, ripercorrendo la storia dei romani che transitavano attraverso i nostri valichi o studiando le orme dei dinosauri scoperte sul corno di Tinizong. Abbiamo un patrimonio da valorizzare e questo è un nostro compito».

Nato dall’iniziativa dei sei comuni della regione (meno di 6’000 abitanti) il Parco si estende dalla Valle dell’Albula a quella del Giulia

Un Parco che offre la possibilità di scoprire un’orma di dinosauro? Non male come originalità. Ma non è la sola. I luoghi che meritano una visita sono molti: la chiesetta di Stugl, sopra Bergün, che risale al tredicesimo secolo, ed è decorata con affreschi di pittori della scuola di Giotto; la chiesa di Mistail, a Tiefencastel, uno dei più vecchi edifici sacri della Svizzera con tre absidi perfettamente conservate; le rovine del castello di Belfort, appartenuto ai baroni di Vaz, che nel tredicesimo secolo governavano su gran parte dei Grigioni; il passo del Lunghin, sopra quello del Settimo, dove nascono tre fiumi che portano le loro acque nel Danubio, nel Reno e nel Po.

Come sono i rapporti fra il Par-

co e il Cantone e i Comuni? «Con il Cantone – spiega la direttrice – ci incontriamo ogni tre o quattro mesi, il nostro interlocutore è l’Ufficio della natura e dell’ambiente. Abbiamo rapporti anche con l’Associazione dei parchi dei Grigioni, per definire lo stato dei nostri lavori. Anche con i Comuni abbiamo rapporti regolari per farli partecipare ai nostri piani di azione. Ora stiamo preparando la pianificazione dei prossimi quattro anni ed è molto importante coinvolgere i comuni, per capire quali sono le loro idee e come intendono muoversi. Il nostro rapporto con il mondo della politica è decisamente positivo».

L’anno scorso il Parco ha concluso la sua prima fase di vita. Ora la Direzione deve presentare la pianificazione per i prossimi quattro anni, per poi poter accedere ai finanziamenti. «Proponiamo i progetti che vogliamo fare nei prossimi quattro anni. –ci dice Veronika Widmann – Ci sono cinque obiettivi che valgono per tutti i parchi svizzeri e che vanno rispettati: preservazione della natura, promozione dell’economia sostenibile, sensibilizzazione ed educazione, management e comunicazione e ricerca. Coerentemente con questi obiettivi definiamo i progetti e facciamo proposte pratiche con le richieste dei mezzi finanziari. Vale la regola del 50%. La Confederazione finanzia il 50% se Cantone e Comuni garantiscono a loro volta il restante cinquanta. Il nostro bilancio è di 2,3 milioni di franchi l’anno».

Un’ultima domanda, prima di lasciare l’ufficio di Tiefencastel. La nuova direttrice non ha ambizioni di grandezza, non pensa di ampliare il Parco? «Vogliamo restare senz’altro il Parco più grande della Svizzera! – afferma ridendo di gusto Widmann –Stiamo valutando se ci sono possibilità di svilupparci. Non ci sono idee concrete. Abbiamo ancora sette anni per varare il prossimo piano di sviluppo. Se fra tre o quattro anni ci fosse qualche opportunità in questo senso, potremmo discuterne. Il nostro confine a nord è Lantsch/Lenz, poco dopo c’è Lenzerheide, ma lì non funziona, abbiamo già valutato, ci sono criteri diversi. Finora non abbiamo esaminato in quale direzione potremmo ingrandirci. Per ora abbiamo sei comuni e tanti attori, basta così».

Il Parc Ela è una storia di successo che in questi dodici anni si è consolidata. Il marchio di qualità è riconosciuto in tutta la Svizzera, ha permesso di irrobustire l’identità della regione, che riesce a qualificarsi per originalità e sostenibilità a due passi dall’Engadina, ormai sempre più condizionata dal turismo di massa, con uno scempio edilizio. Parc Ela è ancorato alla regione e agli abitanti e guarda avanti per percorrere nuove vie.

Informazioni www.parc-ela.ch

Settimanale di informazione e cultura Anno LXXXVI 4 settembre 2023 azione – Cooperativa Migros Ticino 7 SOCIETÀ azione Settimanale edito da Migros Ticino Fondato nel 1938 Abbonamenti e cambio indirizzi tel +41 91 850 82 31 lu–ve 9.00 –11.00 / 14.00 –16.00 registro.soci@migrosticino.ch
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Redazione Carlo Silini (redattore responsabile)
Simona Sala
L’Alp Flix è una delle tre torbiere di importanza nazionale protette all’interno del Parco; sotto, Veronika Widmann, economista con specializzazione in sostenibilità, è direttrice del Parc Ela dallo scorso febbraio (lorenzfischer.photo)

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Il calabrone asiatico vola in Svizzera

Mondoanimale ◆ Sotto stretto monitoraggio la diffusione di questa specie non autoctona e pericolosa per le api

Piante e animali non autoctoni si stanno diffondendo in tutto il mondo, compreso il nostro paese. È una realtà suffragata pure dal Servizio sanitario apistico (Ssa) che annuncia la diffusione del calabrone asiatico in Svizzera e invita la popolazione a segnalarne le eventuali presenze sul sito www.calabroneasiatico.ch dove si trovano le indicazioni per imparare a individuarlo e riconoscerlo, distinguendolo da altri insetti autoctoni a cui somiglia, come, ad esempio, il calabrone europeo.

La specie nociva comprende volentieri le api domestiche nella propria dieta: «Per proteggere la fauna d’insetti autoctona e le colonie di api mellifere, è molto importante monitorare e distruggere rapidamente il maggior numero possibile di nidi della specie invasiva», riassume il Ssa riferendosi a questa presenza indesiderata che, per ora, continua a diffondersi nella Svizzera francese e nella Svizzera nordoccidentale: «Dopo il primo avvistamento nel 2017, i rilevamenti della specie alloctona in questo Paese sono aumentati significativamente nel 2022, quando è stata scoperta in 24 siti ubicati in otto cantoni (AG, BL, FR, GE, JU, NE, SO e VD), mentre quest’anno sono già stati rilevati 101 casi in 8 cantoni».

Un’avanzata che non ha ancora interessato il Ticino, ma solo per ora. Non possiamo dormire sogni sereni,

spiega il consigliere regionale del Servizio sanitario apistico per la Svizzera italiana Michele Mozzetti citando lo studio del Centre for Agriculture and Bioscience International (su mandato dell’Ufficio federale dell’ambiente):

«In Svizzera si prevede che l’Altipiano e le zone di bassa quota della regione del Giura siano adatte per il calabrone asiatico. Le valli calde, come la valle del Reno e il Rodano, ampliano ulteriormente la potenziale distribuzione nelle Alpi. Inoltre, si stima che anche la punta meridionale del Canton Ticino, intorno a Lugano e Mendrisio, sia molto adatta per il calabrone asiatico».

La minaccia rappresentata da questi predatori è duplice: «Eliminano un gran numero di api per nutrire le larve e la loro presenza all’ingresso dell’alveare spaventa le bottinatrici, che tendono a limitare le uscite (paralisi del volo), e quindi a ridurre le riserve per l’inverno con conseguente arresto della deposizione di uova da parte della regina». Mozzetti spiega che, solo per ora: «A nord e a sud, il Ticino è protetto dalla catena alpina e le colonie di calabrone asiatico sono ancora relativamente lontane. Basterebbe però che un autocarro di legna proveniente da zone infestate scarichi dalle nostre parti il suo carico, con delle fondatrici rifugiate in qualche fessura della corteccia, che la colonizzazione potrebbe avere inizio».

Lindt ora in azione

Marianne Tschuy (del Servizio sanitario apistico), dal canto suo rassicura sull’innocuità del calabrone asiatico nei confronti dell’essere umano: «Sebbene pericoloso per gli insetti, esso è generalmente mansueto e non aggressivo nei confronti dell’uomo. Tuttavia, la Vespa velutina (ndr: questo il suo nome scientifico) protegge e difende il suo nido». Guardare ma non toccare: è la ragione per cui, malgrado la popolazione sia invitata a segnalarne la presenza «agire sulla distruzione dei nidi sarà di competenza esclusiva di specialisti qualificati».

Lo specialista in salute delle api Fabian Trüb spiega come riconoscerlo facilmente: «Ha diverse caratteristiche proprie: è leggermente più piccolo della specie autoctona (cala-

brone europeo); il suo colore principale è il nero con sottili strisce gialle sull’addome e le estremità delle zampe sono gialle». Il nido primario viene costruito in primavera, in luoghi protetti dalle intemperie («per lo più a 0.5-3 metri dal suolo»), mentre un nido secondario sarà costruito in estate: «Quest’ultimo diventa molto più grande e di solito si trova nella chioma degli alberi alti».

La lotta in atto a contrastarne l’espansione poggia proprio sulla distruzione dei nidi, afferma Mozzetti: «Già nel 2020 si è avuta conferma dell’arrivo del calabrone asiatico in Svizzera, soprattutto per la presenza di nidi a indicarne lo sviluppo. Malgrado i mezzi introdotti per la loro distruzione, nel 2021 la scoperta di un

nuovo nido primario nel cantone di Ginevra ha confermato la presenza di giovani regine feconde, mentre le altre regine sopravvissute all’inverno saranno responsabili della costruzione di nidi nel corso dell’anno».

Tenuto conto che sono state evidenziate delle regioni sensibili («il canton Ticino non è ancora annoverato, ma non per questo bisogna sottovalutare la situazione»), è importante che tutti partecipino allo sforzo di osservazione per evitare una diffusione troppo rapida e gravi danni alle colonie di api mellifere: «Segnalare un calabrone asiatico significa contribuire a evitare la rapida diffusione di questa nuova specie esotica invasiva». Il nostro interlocutore ribadisce l’importanza delle segnalazioni tempestive anche per il nostro territorio a sud delle Alpi; un compito demandato alla popolazione a cui ricorda nuovamente il link sul quale inviare le proprie osservazioni: «A causa della frequente confusione con specie autoctone parzialmente protette, non ha senso uccidere gli insetti osservati. Quindi, per una chiara identificazione è sufficiente postare una foto o un video su www.calabroneasiatico.ch, con i dati dell’avvistamento e i propri dati personali. Questo permette di ricevere poi un riscontro con conferma o smentita da parte degli specialisti di insetti che si faranno carico di verificare e attuare le misure del caso».

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A teatro in tandem intergenerazionale

Anziani ◆ Nell’ambito del Festival Internazionale del Teatro e della Scena Contemporanea torna Restez FIT !, il progetto rivolto agli over 65

Il Festival Internazionale del Teatro e della Scena Contemporanea è ormai una realtà consolidata da diversi anni a Lugano. Creato nel 1977 dalla Cooperativa d’Animazione culturale Teatro Panzinis Zirkus (poi ribattezzato Teatro Pan), con il nome Giostra del Teatro, e concepito inizialmente come festival rivolto all’infanzia e alla gioventù, esso allarga via via i propri orizzonti fino a divenire Festival Internazionale del Teatro (dal 1989). Nel 2016 Paola Tripoli riprende la direzione dalle mani di Vania Luraschi, dando nuova linfa al Festival e, contemporaneamente, lanciando progetti di stampo sociale. Nel 2018, parte il progetto Keep FIT with Radio, che consolida l’intento di coinvolgere i giovani nel Festival, e nella scorsa edizione prende avvio l’iniziativa Restez FIT!, che include un’ottantina di anziani. Quest’ultimo progetto socio-artistico rivolto alla fascia più anziana della società, con l’intento di farla maggiormente partecipe della vita culturale e sociale, si articola in due parti. La prima rivolta ai grandi anziani che risiedono in casa di cura e sono per lo più affetti da varie patologie psico-fisiche, la seconda, invece, a persone anziane autonome che vivono talvolta situazioni di solitudine. Questo progetto è stato ben accolto e sostenuto dall’Ufficio federale della cultura e da varie istituzioni private che ne hanno riconosciuto il valore, per contrastare il potenziale disagio sociale vissuto dalla popolazione anziana.

Ne abbiamo parlato con Katia Gandolfi, ideatrice di Restez FIT!

Signora Gandolfi, c’è una «visione» da parte della direzione del FIT rispetto a questa progressiva apertura verso le fasce più delicate della società?

Da quando Paola Tripoli è al timone del FIT, il Festival è cambiato a tutti i livelli e si è voluto lavorare sui diversi tipi di target per avvicina-

Viale dei ciliegi

Eulàlia Canal

La felicità è una tazza di tè illustrazioni di Toni Galmés

Terre di Mezzo (Da 5 anni)

È una di quelle narrazioni teneramente filosofiche, sulla ricerca del senso della vita, che spesso troviamo nella letteratura per l’infanzia, attraverso la prospettiva di personaggi animali. A volte sono libri che si limitano a una dimensione meditativa, colta forse più dagli adulti, ma questa è una di quelle che si distingue, perché c’è anche una storia, condotta con un buon ritmo, dove accadono delle cose e dove ci si affeziona ai personaggi. E le illustrazioni di Toni Galmés, catalano come l’autrice del testo, contribuiscono molto a darle calore. Il punto di partenza di questa ricerca esistenziale è molto pratico e proprio in questa alternanza tra «alto» («la felicità non è fuori è dentro», dice il saggio ed enigmatico Serpente) e «basso» (« magari si riferisce allo stomaco – pensa il simpatico e più terre-à-terre Lupo – il mio brontola quando ho fame») risiede in gran

re un pubblico più ampio alla scena contemporanea, dare a più persone l’opportunità di andare a teatro e di guardare diversamente alla società, per creare delle aperture su spettacoli che trasmettono realtà di Paesi diversi e che arricchiscano riflessioni politiche o sociali che siano. Da qualche anno a questa parte, c’è l’intento di creare nuove sinergie e il FIT si è dato i mezzi per creare progetti di stampo sociale, è fondamentale rendere più accessibile il teatro a quelle persone che, per diverse ragioni, lo considerano ancora lontano dal proprio mondo. Cerchiamo, dunque, di «smontare» paure e preconcetti, ci avviciniamo ai giovani, agli anziani, ma anche ai migranti, ai ragazzi in difficoltà che vivono in foyer, o ancora a persone in condizioni di precarietà economica grazie al biglietto sospeso. Tutto questo creando rete con gli enti presenti sul territorio, come Infogiovani, SOS Ticino, la Croce Rossa, Casa Astra, Soccorso d’inverno. Lavoriamo, insomma, su diversi fronti

per creare il più possibile partecipazione e inclusione, ma anche incontro tra realtà diverse, che è fonte di arricchimento.

Ci può raccontare come si è svolta la parte artistica di Restez FIT? In generale, l’intento del progetto è quello di rafforzare la partecipazione culturale degli anziani e creare dei momenti di socializzazione, rendendo gli anziani «protagonisti» di un progetto aggregativo. Per quanto riguarda il progetto artistico, lo scorso anno l’artista Rubidori Manshaft ha collaborato con due case di cura, coinvolgendo una quarantina di grandi anziani. Ha fatto loro dei calchi alle mani e raccolto delle video-interviste, per poi in un secondo tempo elaborare un progetto artistico e scrivere a quattro mani, insieme alla drammaturga Angela Dematté, lo spettacolo teatrale Alcune cose da mettere in ordine, che debutterà al LAC il 7 e 8 ottobre 2023 e che speriamo di poter fare girare nel resto della Svizzera. Vi sarà

anche una sorta di «restituzione» all’interno delle case di cura, verosimilmente un’esposizione interattiva, con la possibilità di ascoltare tracce delle testimonianze raccolte, che sono racconti sul fare, sulle mani. Si è partiti, infatti, dal calco delle mani per parlare con gli anziani di quello che hanno fatto nel corso della loro vita o che non possono più fare. Da lì sono scaturiti dei ricordi e un coinvolgimento emotivo più profondo, relativo alla loro esperienza passata, a questo loro recente passaggio nelle case di cura, ai loro sentimenti e talvolta alle loro paure rispetto a questo cambiamento.

E il progetto socio-culturale, che ha luogo durante il Festival, come si svolge e a chi si rivolge?

La parte socio-culturale, attiva nel corso del Festival, coinvolge invece una decina di anziani (autosufficienti e che hanno voglia di socializzare) nella cosiddetta Giuria dei Saggi. In una modalità di Tandem intergenerazionale, essi assistono a 4 spettacoli

insieme alla Giuria giovani, composta da ragazzi tra i 16 e i 22 anni di età. Il Tandem ha riscontrato molto successo nella scorsa edizione e speriamo che le istituzioni, anche locali, lo sostengano in futuro, perché c’è una reale necessità di creare occasioni di incontro: gli anziani hanno molto piacere a lavorare con i giovani, e anche i ragazzi sono usciti arricchiti da questo scambio. Per entrare in contatto con gli anziani passiamo dai Centri diurni, dai media oppure da conoscenti, dopodiché cerchiamo di instaurare con loro un clima di fiducia, perché spesso hanno paura di non essere all’altezza, dicono di non conoscere niente di teatro. Idealmente vorremmo coinvolgere gli anziani che sono soli, e che proprio per questo hanno più necessità di relazionarsi, paradossalmente sono proprio quelli meno facilmente raggiungibili. Giovani e anziani sono invitati dopo gli spettacoli a condividere pensieri, sensazioni ed emozioni, creando una vera e propria sinergia ed esperienza di reciproca condivisione delle rispettive umanità, sulla base dei racconti teatrali seguiti. Invitiamo quindi con piacere gli over 65, curiosi di partecipare al progetto Restez FIT!, secondo questa modalità divertente e profonda, a contattarci.

Informazioni

Per iscrizioni: Katia Gandolfi, 091 225 67 61 o press@fitfestival.ch, entro il 18 settembre. Maggiori informazioni su: www.fitfestival.ch

Restez FIT! cerca una decina di over 65 per costituire una Giuria dei Saggi, che visionerà una serie di spettacoli in tandem con una Giuria Giovani (16-22 anni). Date: 23 settembre (preparazione) e 4 appuntamenti dal 3 al 7 ottobre 2023. Il programma delle giornate prevede la visione gratuita di 4 spettacoli di teatro (Teatro Foce di Lugano), pranzo insieme offerto e partecipazione all’emissione radio, per chi lo desidera.

parte l’umorismo del libro. Il punto di partenza di questa recherche sono gli occhiali, persi, di Orso, che dovrà uscire a cercarli. Sul suo cammino Orso incontrerà altri animali che stanno cercando qualcosa, ma di ben più astratto. Scoiattolo cerca la felicità, Tasso il sonno perduto, e Lupo degli amici. Formeranno un bel quartetto, conversando amabilmente nel tepore della casa di Tasso, davanti a un tè alla fragola e a dei biscotti

al cioccolato (o a panini con le sardine). Dei quattro, Scoiattolo è il più inquieto, vuole cercare il segreto della felicità, e allora ogni tanto va per il mondo, scoprendo che la felicità è qualcosa di molto diverso per ognuno, e forse per lui – non solo il più inquieto ma anche il più socratico –essa sta proprio nello spirito della ricerca. Gli altri le loro cose nel frattempo le hanno trovate, e Orso non solo ha trovato gli occhiali, ma anche un sentimento che assomiglia molto all’amore, e che ha a che fare con un’Orsa con cui fare lunghe passeggiate al fiume.

Janosch, Troviamo un tesoro Logos (Da 4 anni)

L’atmosfera del libro precedente mi fa venire in mente le storie di un autore che anni fa era molto noto e oggi è purtroppo un po’ dimenticato, nonostante la pregevole operazione di Logos Edizioni, che ne sta ripubblicando gli incantevoli piccoli libri: Janosch, nome d’arte di Horst Eckert,

scrittore, illustratore e drammaturgo, nato nel 1931 a Zabrze, nell’attuale Polonia, e poi trasferitosi a Monaco di Baviera, fino al 1980, per poi spostarsi a Tenerife, dove tuttora vive, conducendo una vita semplice, lontana dai media, apprezzando le piccole essenziali cose della vita. Come fanno, in fondo, anche i suoi personaggi, soprattutto Orso e Tigre, protagonisti di avventure alla ricerca della felicità che finiscono sempre per far loro

scoprire che essa è più vicina di quanto si pensi, e spesso diversa da come si immagini. Sin da Oh, com’è bella Panama, luminoso esempio «circolare» di saggezza del quotidiano (uscito nel 1978, portò Janosch alla fama, ed è oggi considerato un vero e proprio classico), in cui si scopre che la vera magia era sempre stata con noi, come le scarpette di Dorothy nel Mago di Oz , Orso e Tigre ci deliziano con le loro tenere peripezie.

In Troviamo un tesoro, il tema è ancora una volta questo, qui declinato con un viaggio dei due amici alla ricerca di oro e denaro per poter comprare tutto ciò che si desidera: un gommone, un dondolo da giardino, una cuffia da pilota, una lampada, degli stivali… Attraverseranno campi, boschi e mari, faranno incontri felici e altri un po’ meno, l’oro lo troveranno anche, ma non riusciranno a tenerselo per molto. Meglio così, il vero tesoro è poter far ritorno a casa, sentendosi più leggeri, più felici, più amici, più pronti ad apprezzare ciò che già si ha. Less is more, insomma. In perfetto stile Janosch.

Settimanale di informazione e cultura Anno LXXXVI 4 settembre 2023 azione – Cooperativa Migros Ticino 11 SOCIETÀ
di Letizia Bolzani Un momento di Restez FIT! dell’edizione 2022 (FIT Festival)

Liberi da Papi e Imperatori

Relinquo vos liberos ab utroque homine: «Vi lascio liberi da entrambi gli uomini». Questa la frase leggendaria e sibillina con la quale San Marino, fondatore dell’omonima Repubblica, prese congedo dalla comunità di monaci da lui fondata il 3 settembre 301 e destinata a divenire il più antico Stato Repubblicano Costituzionale ancora esistente.

Marino era un muratore originario dell’isola dalmata di Arba, oggi Rab, in Croazia. Divenuto cristiano, era fuggito a Rimini per sottrarsi alle persecuzioni di Diocleziano. Qui il vescovo Gaudenzio lo aveva ordinato diacono, incarico nel quale si distinse subito per la cura e la carità verso i poveri e gli infermi. Ma non durò molto: una donna, si dice una malata di mente, lo accusò di essere stato suo marito e di averla abbandonata – una mossa certo non molto popolare specie nelle prime, intransigenti comu-

nità cristiane. Marino allora decise di ritirarsi su Monte Titano e vivere da eremita. Presto la sua fama di sant’uomo indusse altri a seguirlo. Cresciuta in numero e in fama, la comunità ricevette in dono il Monte Titano da una ricca signora riminese. Il resto è storia del quinto più piccolo Stato del mondo (61 kmq) dopo il Vaticano, Monaco e le polinesiane isole di Nauru e Tuvalu. Annoverato fra i Paesi col più alto reddito pro capite al mondo, detiene anche il record di seniorità democratica.

Come abbia fatto un Paese che conta oggi solo 33’000 cittadini a mantenere l’indipendenza all’interno di un Paese come l’Italia che – c’è chi dice – non sia stato invaso e conquistato solo dai marziani ma sarebbe troppo presto per dirlo in maniera definitiva, resta uno di quei misteri che la Storia ogni tanto produce come per scherzare e ricordarci di quanto le vicende uma-

La stanza del dialogo

ne possano essere imprevedibili. Nel 1503 Cesare Borgia riuscì ad occupare San Marino col consenso di suo padre Papa Alessandro VI prima che il successore Giulio II (l’arcigno sponsor di Michelangelo) non lo inducesse a tornarsene a casa sua. Nel 1543 un’armata guidata dal nipote di Papa Giulio III ci riprovò ma l’invasione fallì quando una densa nebbia confuse gli attaccanti che furono poi debitamente bastonati dai sanmarinesi con la protezione – si dice – di San Quirino. Ci provò nel 1739 anche il Cardinale Alberoni, Legato Pontificio di Ravenna, ma Papa Clemente XII ne restaurò l’indipendenza solo quattro mesi dopo. Lo stesso Napoleone fu persuaso dal Capitano Reggente Sanmarinese Antonio Onofri divenuto suo amico a non annettersi il piccolo Stato: all’offerta subdola dei francesi di farsi garanti in perpetuo della libertà di San Marino, i sanmarinesi risposero con

un «no grazie» che – ancora si narra nelle osterie – corrispondesse ad un «vaffa». Gli austriaci erano lì lì per farlo quando Garibaldi in fuga vi trovò temporaneo rifugio prima di beffare i suoi inseguitori con una veleggiata notturna verso Venezia per poi farsi di nebbia. Insomma: giù le mani da San Marino, che chi ha provato a mettercele si è sempre scottato. Nel 1862 il nuovo Regno d’Italia decise di mettersi in sicurezza firmando un trattato perpetuo di amicizia. E questo nonostante – o forse proprio perché – San Marino sia sempre stato uno hub di contrabbando e paradiso fiscale per operazioni di ogni dubbio genere. Da bordo di Cèmare, piccolo ma coraggioso veliero ora ormeggiato a Marina di Ravenna, il vostro Aff.mo

A ltropologo guarda quella che il Pascoli descrisse come «l’azzurra vision» (mi raccomando la seconda «i» pronunciatela con la dieresi, che suona

Quando la brava bambina diventa una giovane donna

Cara dottoressa, sono una diciottenne né bella né brutta, carina. Media intelligenza, medio successo scolastico, media famiglia borghese. Il mio problema, come hanno dimostrato le vacanze, è l’incapacità di conservare le amicizie e di avere un approccio normale con i ragazzi. Quando sono partita per il mare avevo già un problema con la mia miglior amica. Maddalena è tutto il contrario di me: bella, vivace, esuberante, si butta a testa bassa in tutte le esperienze e quando, come è più volte accaduto, le cose vanno male, si rinfranca confidandosi per ore e piangendo sulla mia spalla. Improvvisamente, senza alcun preavviso, però mi ha detto: «Mi hai stufato. Non vediamoci più», ed è partita invitando a casa sua, in montagna, una compagna di classe che non avevamo mai frequentato prima.

Arrivata al mare, contavo di rifarmi con qualche conoscenza di ombrellone ed eventuali, sperati corteggiatori. Inve-

ce sono rimasta seduta sulla sdraio tra mamma e papà finché il bagnino, impietosito, mi ha invitato in discoteca. Mi sono trovata tra ragazze scatenate, disinibite, pronte a ridere e a scherzare mentre io, nel confronto, m’irrigidivo sempre più. Mi aiuti! Non voglio trovarmi vecchia, sola e incupita come la prof di matematica. Voglio la mia giovinezza!! Lia

Cara Lia, dopo il racconto di tante delusioni apprezzo la rivendicazione finale: «voglio la mia giovinezza». Riscontro in questa espressione una volontà di vivere in prima persona, senza considerarsi una conseguenza delle circostanze e degli altri, che apre le porte al futuro. Sei cresciuta realizzando le aspettative dei genitori e degli insegnanti, contenta di non avere problemi e conflitti. Ma, con l’adolescenza, la brava bambina deve lasciare il posto a una giovane donna decisa a diventare sé

La nutrizionista

poetico) di San Marino che si staglia orgogliosa sulla linea dell’orizzonte lontano. Da bambino – o forse giovane adolescente – il futuro Altropologo collezionava i francobolli di San Marino perché erano i più belli i più colorati e i più grandi del mondo. Ricordo la serie degli animali e in special modo il Fagiano da Venti Lire. Al borsino degli scambi fra collezionisti valeva poco perché era «facile» – ovvero comunissimo. Ma mi piaceva lo stesso per il colori e la dimensione maxi. Ieri, 3 settembre 2023, sono passati 1722 anni dall’augurio inaugurale perpetuo che un muratore lasciò in eterno legato di libertà da Papa e Imperatore (gli utroque homine di cui sopra): propongo ai miei Confederati lettori, che di quella libertà se ne intendono, di alzare un calice alla salute dei loro cugini d’oltralpe, pur se con un giorno di ritardo: buon compleanno San Marino!

stessa, anche a costo di scontentare, deludere le attese altrui e, di conseguenza, soffrire. È quello che ha fatto Maddalena, purtroppo a tue spese. Se alla tua età ti trovi sotto l’ombrellone con mamma e papà, è perché non hai costruito alternative. Per anni ti sei limitata a consolare Maddalena, magari pensando: «per fortuna non mi dispero come lei». Ma spesso accade che la confidente non voglia più identificarsi con l’immagine che ha dato di sé, che si senta nuova e diversa e parta alla ricerca di relazioni inedite, di uno specchio che le rimandi un ego senza ombre. Lo comprendo perché alla tua età anch’io ho sperimentato il tradimento dell’amica del cuore. Un vissuto doloroso, difficile da accettare ed elaborare. L’unico modo per renderlo un motivo di crescita è capirne il senso, il messaggio che ci invia. Si tratta, mi pare, di prendere in mano il filo rosso della tua vita, di chie-

derti chi sei e come vuoi diventare senza aspettare una risposta esaustiva. La vita s’impara solo vivendo. I rischi non mancano ma non si diventa adulti senza affrontare delusioni e rimpianti. La paura ti ha bloccato sulla sdraio di famiglia come quando eri piccola. Ma sei una donna adulta e non è quello il tuo posto. Ci sono mille modi per trascorrere una vacanza indipendente: il volontariato, lo sport, interessi culturali, viaggi organizzati. L’importante è che sia tu a decidere dove e con chi andare. Non credo, ma la sorte è bizzarra, che troverai in discoteca il tipo con cui scambiare il primo bacio. La tua personalità richiede la capacità di attendere, selezionare e affrontare i rischi di scegliere e farsi scegliere a costo (i pericoli non mancano mai) di assomigliare alla triste prof di matematica. Quello che ti propongo è un programma ovvio, ma non per te sigillata

Contro le zanzare, non aglio e alcol, ma eucalipto... forse

Gentile Laura, leggo spesso la sua rubrica e gli ultimi articoli mi hanno fatto riflettere e ho preso coraggio per porle la mia domanda. Tutte le estati sono preso di mira dalle zanzare anche se mi riempio di repellente e mi vesto sempre con pantaloni, magliette con le maniche lunghe e scarpe chiuse. Purtroppo le loro punture mi creano allergia e parecchi dolori. Esiste una dieta o un cibo che posso mangiare e che mi cambia l’odore della pelle in modo da non farmi più pungere? / Sandro

La ringrazio molto, Sandro, per leggere la mia rubrica e per la sua interessante domanda. Chi non è mai stato punto dalle zanzare? Personalmente ho sempre subito un sacco di morsi e pure io, fino a pochi anni fa, ero allergica, mio nonno paterno invece lasciava che le zanzare gli si appoggiassero sul braccio perché tanto non lo pungevano, anzi morivano senza che le schiacciasse! Ma perché?

Alcune persone hanno maggiori probabilità di essere punte dalle zanzare rispetto ad altre a causa dei batteri presenti naturalmente sulla nostra pelle, sono questi batteri a svolgere un ruolo cruciale nella nostra attrattiva per le zanzare. Essendo purtroppo questi insetti anche portatori di malattie pericolose, un recente studio in Africa ha cercato di capire da quali odori fossero attratte ed è risultato che le zanzare erano maggiormente attirate dagli acidi carbossilici presenti nell’aria, compreso l’acido butirrico, un composto presente nei formaggi «puzzolenti» e stagionati. Questi acidi carbossilici sono prodotti dai batteri sulla pelle umana e tendono a non essere visibili a noi. Al contrario, gli insetti sembravano essere scoraggiati da un’altra sostanza chimica chiamata eucaliptolo, che è presente nelle piante. I ricercatori sospettavano che un campione

con un’alta concentrazione di eucaliptolo potesse essere correlato alla dieta di uno dei partecipanti. Magari possiamo provare a bere infuso a base di eucaliptolo?

Su altri alimenti e bevande che possono tenere a bada le zanzare in rete circolano molti «miti», ad esempio la banana e l’aglio; in verità, quando si arriva a studiare la scienza che starebbe alla base di queste teorie, gli entusiasmi crollano. Non esiste niente, infatti, che sia scientificamente provato a sostegno di queste affermazioni ed è improbabile che mangiare banane o aglio cambi sostanzialmente il modo in cui le zanzare ci distinguono dalla folla, anche se con l’aglio ci puzza il fiato.

Forse uno dei rimedi casalinghi più pervasivi percepiti per prevenire le punture è l’assunzione di vitamina B. Personalmente l’ho provato pure io e pensavo funzionasse all’inizio. Sono

stati effettuati però due studi in merito – il primo negli anni Quaranta e più recentemente uno nel 2005 – ma in entrambi non si evincono prove secondo cui l’assunzione di vitamina B offrirebbe una protezione significativa dalle punture di zanzara. Ho scoperto che, negli anni Sessanta, il trattamento di prima linea contro la febbre da malaria era il gin tonic. Riguardava più il tonico che il gin. Un ingrediente chiave nell’acqua tonica è il chinino. Derivato dalla corteccia di un albero di china, il chinino era stato identificato come trattamento per la malaria e storicamente è stato di fondamentale importanza nella lotta contro i parassiti che causano la malaria. È importante notare che mentre si pensa che sia tossico per i parassiti, non ci sono prove che effettivamente fermi le punture di zanzara. Inoltre, l’acqua tonica moderna non contiene quasi chinino.

nell’orgoglio e nella paura. Man mano che frequenterai persone affini, vedrai che dietro i comportamenti esuberanti di chi ammiri, e forse un po’ invidi, si celano le tue stesse insicurezze. La capacità di ascolto, che hai affinato con Maddalena, ti sarà utile per instaurare rapporti con i coetanei. I giovani uomini non attendono altro per iniziare una relazione. Ma, attenta, non fermarti lì. Tu stessa meriti attenzione e comprensione senza rassegnarti alla posizione di passiva ricezione delle emozioni altrui, per secoli assegnata alle donne.

Informazioni

Inviate le vostre domande o riflessioni a Silvia Vegetti Finzi, scrivendo a:

La Stanza del dialogo, Azione, Via Pretorio 11, 6901 Lugano; oppure a lastanzadeldialogo@azione.ch

A quanto pare esiste pure una correlazione tra l’alcol e le punture di zanzara. Altri studi in Africa hanno dimostrato che bere birra può renderci più «appetibili». Dopo aver bevuto qualche bicchiere di birra si è notato che i volontari attirano più zanzare rispetto a quelli che bevono solo acqua. Il perché resta ancora un mistero. Per concludere e rispondere alla sua domanda, la comunità scientifica ci sta lavorando ma non è ancora arrivata a una soluzione, dobbiamo quindi armarci di pazienza e magari bere meno alcol e provare con l’eucalipto? Grazie mille per l’interessante e… puntuale domanda!

Settimanale di informazione e cultura Anno LXXXVI 4 settembre 2023 azione – Cooperativa Migros Ticino SOCIETÀ / RUBRICHE 12 ◆ ● L’a
tropologo
l
◆ ●
di Silvia Vegetti Finzi
◆ ●
di Laura Botticelli
Informazioni Avete
alimentazione
nutrizione? Laura
lanutrizionista@azione.ch
domande su
e
Botticelli, dietista ASDD, vi risponderà. Scrivete a

Marocco: la bussola berbera

L’antico popolo del Sahara si affidava a un gioiello artigianale per guidare i propri viaggi di notte e nelle tempeste di sabbia

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Una golosissima torta coi lamponi

La preparazione di una cheesecake soavemente cremosa richiede tempo, ma è certo che, una volta pronta, entusiasmerà grandi e piccoli

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Ticino e ticinesi in bicicletta

Duecentoquaranta pagine ricche di fotografie, di personaggi e di aneddoti nel libro di recente pubblicazione firmato da Giancarlo Dionisio

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I sogni e i desideri dei «genitori al silicone»

Tendenze ◆ Il fenomeno dei reborn babies e la linea sottile che intercorre tra gioco e cura, tra passione e ossessione

Nel corso degli ultimi anni, i media internazionali hanno cominciato a interessarsi a un fenomeno recentemente sviluppatosi soprattutto nei Paesi anglosassoni, e che sembra esercitare particolare fascino su una società occidentale sempre più impegnata a interrogarsi sulla sua scarsa natalità; infatti, sebbene la questione non riguardi i bambini, bensì delle «semplici» bambole, il quesito alla base di questa tendenza appare suggestivo: cosa succede se dei normali bambolotti vengono «ricondizionati» con cura artigianale, così da divenire attraenti anche per gli adulti e dare vita a un florido mercato di nuovi acquirenti?

È proprio quanto accade oggi con i cosiddetti reborn babies, nome impiegato per distinguere questi specialissimi bambolotti dai normali prodotti analoghi acquistabili nei negozi di giocattoli. I reborn, realizzati perlopiù in morbido silicone, sono infatti caratterizzati da un realismo assoluto, al punto da poter essere facilmente scambiati, a un primo sguardo, per bambini in carne e ossa; e per i clienti che li ordinano a caro prezzo presso i molti professionisti specializzati – spesso impegnati a realizzare esemplari personalizzati su commissione –

possono divenire, a tutti gli effetti, reali quanto un figlio.

Del resto, basta una rapida esplorazione su social network quali YouTube e TikTok per imbattersi in decine di canali dedicati alla minuziosa documentazione delle gesta di donne, e perfino intere famiglie, dedite ad accudire i loro reborn come se fossero bimbi reali, spesso mettendo in scena veri e propri «giochi di ruolo» per aspiranti genitori, che, oltre all’acquisto di intere nurseries e guardaroba infantili, prevedono rigorose routine quotidiane a misura di pupo – dando infine vita a mini-nuclei famigliari basati su questi preziosissimi oggetti del desiderio.

È chiaro che un fenomeno di questo tipo si presta a facili interpretazioni, e perfino a demonizzazioni, di carattere antropologico e sociologico; infatti, benché una cospicua fetta della cosiddetta «comunità reborn» non s’identifichi affatto con il ruolo di «genitori al silicone» e preferisca prendere le distanze dalla tendenza del roleplay per limitarsi all’attività di semplici collezionisti, in molti si sono interrogati su quale sia la linea di demarcazione tra il semplice hobby e una forma di proiezione quantomeno rischiosa.

Tuttavia, se è vero che molti tra coloro impegnati nella gestione dei reborn si aspettano che i loro bambolotti ricevano più considerazione di quella normalmente riservata a un giocattolo, altri considerano quest’interesse un semplice passatempo; tanto più che, nonostante le pompose teorie degli psicologi di turno, non tutte le persone (principalmente donne mature) dedite a tale hobby sono reduci dalla perdita di un bambino, o hanno dovuto rinunciare alla maternità.

In realtà, la ricerca dimostra che la maggior parte delle madri di reborn non ha una storia traumatica alle spalle, anzi: non sono rari i casi di coppie che coinvolgono i propri «veri figli» in questa passione, magari spingendosi fino a trattare i bambolotti come loro reali fratelli o sorelle.

Anche per questo, l’opinione pubblica è perlopiù portata a ritenere che l’energia e il denaro spesi nel prendersi maniacalmente cura di una bambola (un reborn di alto livello può arrivare a costare svariate migliaia di dollari) potrebbero essere spesi dai «genitori» in modo più produttivo e altruistico –ad esempio, adottando un bambino a distanza tramite una delle tante associazioni benefiche che offrono questa possibilità, o dedicandosi a un’attività

di volontariato infantile; oppure, addirittura, prendendosi cura di un minore in affido. E sebbene questa possa definirsi una valida osservazione, sembra tuttavia ignorare il fatto che, a volte, il desiderio di maternità può palesarsi in assenza delle condizioni ideali a realizzarlo – il che può causare una frustrazione in alcuni casi anche molto opprimente.

Non è infatti un caso che il bacino di utenza maggiore nelle prenotazioni di reborn riguardi i neonati, ovvero bambini così piccoli da essere totalmente dipendenti dalle cure materne; in questo caso, l’atto di prendersi cura del bambolotto implica innanzitutto un contatto tattile prolungato, dal quale deriva un conforto pressoché immediato, fortemente connesso al rilascio delle endorfine nel corpo – un po’ come quando ci si prende cura di un animale domestico e il solo atto di accarezzarlo procura un senso di benessere diffuso nel proprietario.

In tal senso, la gestione del «bambino» può essere considerata come (e soprattutto) a beneficio della madre, che ne trae una gratificazione e un senso di sé dei quali ha, evidentemente, un grande bisogno; ma questo non significa che la medesima persona abbia la piena disponibilità a prendersi cura di

un bambino reale, o sia davvero in grado di gestire tutte le necessità ed esigenze pratiche, fisiche, emotive e perfino economiche che la sua presenza in casa comporterebbe. Allo stesso tempo, è stato dimostrato che persone sofferenti da gravi disturbi d’ansia (così come gli anziani affetti da Alzheimer o altre malattie degenerative) possono trarre grande conforto dall’occuparsi di una o più di queste bambole. E se ogni considerazione relativa alla passione per i reborn dovrebbe comunque rimanere avulsa dal giudizio – come del resto si confà a qualsiasi attività non risulti nociva a chi la pratica, né a nessun altro – è, in fondo, inevitabile che, quando e se portato agli estremi, il fenomeno possa sollevare dubbi o preoccupazioni. Molti sembrano volutamente, però, ignorare un dettaglio cruciale: ovvero che, indipendentemente dal contesto, qualsiasi hobby si traduca in un eccessivo investimento di tempo e risorse tradisce spesso una grande solitudine di fondo. E forse, il reale obiettivo, per una società che ama definirsi civile, dovrebbe essere innanzitutto quello di trovare modi funzionali per lenire tale solitudine, piuttosto che lamentarne retroattivamente le possibili conseguenze.

TEMPO LIBERO ● ◆ Settimanale di informazione e cultura Anno LXXXVI 4 settembre 2023 azione – Cooperativa Migros Ticino 13
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Una bussola a forma di gioiello: l’artigianato

Reportage ◆ Per orientarsi nel deserto, basta inserire un bastoncino in un foro e osservare l’ombra che proietta per sapere dove andare. Di

Nel trambusto dei vicoli del suk, i negozianti sono alquanto tenaci. Con un misto di fascino e forza, esortano i turisti ad apprezzare la loro merce e li spingono a comprare al minimo cenno di interesse.

Sono a Marrakech solo da poche ore e non riesco a smettere di ammirare i colori, i dettagli dei palazzi, i portoni della Medina. La piazza Jemaa el-Fnaa, epicentro del traffico frenetico, di esibizioni artistiche e animate trattative commerciali, mi ha accolto nel cuore della notte. Un pesante e umido silenzio avvolgeva ogni cosa, mentre le strade godevano di una tregua temporanea dal traffico eterogeneo delle ore diurne: veicoli a due, tre, o quattro ruote, creature a quattro zampe o due gambe, alcune motorizzate, altre trainate a mano.

Uno dei gioielli più diffusi è la «fibula», una pratica spilla utilizzata per fissare o unire tessuti come i mantelli

Ora che la luce del sole sta salendo alta nel cielo, il suk mi ha inghiottita interamente. Sono ipnotizzata dalla profusione di tessuti e manufatti appesi e, se solo non dovessi fare i conti con i limiti della compagnia aerea con cui tornerò a casa, avrei già comprato un appendiabiti in rafia a forma di cactus, un copriletto con pompon colorati, un tappeto così grande che sarebbe difficile trovare un posto dove distenderlo, e babbucce dai colori tanto audaci da far arrossire un pavone.

Mentre accarezzo un tappeto immaginando come apparirebbe ai piedi del mio divano, sento chiamare in inglese alle mie spalle. Mi giro istintivamente e vedo un uomo seduto in fondo a una bancarella di artigianato. È vestito di blu, ha un turbante in testa e fa cenno di avvicinarmi. Alle pareti gioielli d’argento adornati con pietre di vari colori e per terra un piatto enorme di couscous avvolto nel cellophane. Tra poco sarà ora di pranzo.

«Mi piacciono le tue scarpe. Vieni che ne faccio uno schizzo». I convenevoli qui non vanno di moda. Le avevo comprate a Vienna, queste scarpe rosa salmone; sono fatte interamente di materiale riciclato e leggerissime ai piedi. Pensando che sia un affare breve annuisco con impazienza, desiderosa di esplorare la città. Mi siedo su uno sgabello che non supera i venti centimetri di altezza e sfilo la scarpa sinistra senza sapere che rimarrò in questa posizione per delle ore.

Il venditore, di nome Jamal, non ha fretta. Prende la scarpa, la esamina e la rimette al suo posto. Si allontana fino all’ingresso del negozio, dove risciacqua con cura due bicchierini di vetro lasciando una macchia umida sulla strada polverosa, poi sparisce, lasciandomi sola. Dopo alcuni interminabili minuti, torna con una caraffa piena di acqua bollente e delle foglie di menta. Riempie i bicchieri fino all’orlo e la meticolosa preparazione del tè marocchino si conclude. L’aroma si diffonde nei pochi metri quadrati del negozio, e mentre Jamal disegna, esamino gli oggetti che mi circondano e gli chiedo cosa sono, a cosa servono. I gioielli che vedo alle mie spalle, mi spiega, possono essere utilizzati dai berberi come bussola.

Abituata ai marchingegni nostrani con ago e magnete, i conti non mi

tornano, così chiedo al mio anfitrione di spiegarmene il funzionamento.

Senza una parola, Jamal ha deciso che ho tutto il tempo del mondo, e se per un istante la cosa mi innervosisce, con impeto decido di abbandonarmi alla lentezza. Prendo il mio bicchiere di tè e appoggio la schiena alla parete, mettendomi in ascolto.

Jamal traccia linee brevi e sottili su un foglio di carta con la punta della penna, delineando la forma della mia

scarpa mentre mi spiega le condizioni fisiche e geologiche del Marocco che modellano gli habitat della sua gente. Distingue tra popolazioni sedentarie, transumanti e nomadi. La transumanza, uno stile di vita pastorale e agricolo, prevede lo spostamento periodico delle mandrie tra regioni ben definite con climi diversi, mantenendo una base sedentaria in un villaggio costruito. È nella regione del Medio Atlante che si verificano gli sposta-

menti stagionali più caratteristici. Infatti, la maggior parte dei pastori del Marocco centrale si sposta di pochi giorni, o addirittura di poche ore, dalla propria residenza quando le mandrie hanno pascolato troppo a lungo sugli stessi pascoli, o quando la stagione avanzata ha seccato l’erba. Naturalmente, più numerose e ricche sono le tribù, più estesi sono gli spazi destinati al pascolo.

Le piogge non sempre cadono co-

Ritratto di Jamal nel suo negozio; sotto da sinistra a destra: bancarelle al centro della piazza Jemaa-el-Fna di Marrakech, Le variopinte e profumate bancarelle del suk di Marrakech; a lato: gioielli berberi che possono essere usati come bussole, inserendo nel foro un bastoncino o una penna; la bussola Tuareg è riconoscibile dagli inserti in legno di ebano.

me dovrebbero, così i pascoli a volte si estendono oltre i confini delle foreste e delle colture, creando tensioni tra i pastori di montagna e i contadini sedentari delle pianure. Solo quando ci sono abbastanza terre di passaggio per nutrire le mandrie e le terre coltivate non intralciano l’accesso alle sorgenti e ai pascoli, le relazioni tra di loro sono serene. Ma la politica indigena stabilisce una regola chiara: le colture non possono continuare a invadere le tappe

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notte,

l’artigianato berbero

notte, invece, la croce d’argento può essere usata per osservare la stella polare

lare che rappresenta, secondo alcuni, la donna e la tenda, quindi la casa o la famiglia.

Un’altra forma comune è l’agadez, o croce del sud, tradizionalmente originaria delle tribù tuareg. Questi braccialetti d’argento, amuleti, collane e pietre semipreziose forniscono alle donne una dote che possono barattare con denaro o con oggetti necessari al sostentamento della famiglia.

Ma che cosa c’entrano le bussole?, chiedo a Jamal. Lentamente l’uomo posa la scarpa e, con la penna che tiene in mano, indica il foro al centro di tutti i ciondoli. «Vedi questo? D’estate, nel deserto, lo scirocco solleva così tanta sabbia che per giorni e giorni non si riesce a vedere un bel niente. Per orientarsi nel deserto, basta inserire un bastoncino qui e osservare l’ombra che proietta per sapere dove andare. Di notte, invece, la bussola può essere usata per osservare la stella polare; scorgendola attraverso il foro, indicherà la direzione del sud».

del percorso. I nomadi, invece, si spostano a grandi distanze, utilizzando i cammelli e senza un habitat stabile. Le tribù nomadi del Marocco si estendono verso il sud, il Wadi Noun, e verso est e sud-est, dalle pendici orientali del Grande Atlante. Gli Aït Youssi, i Marmoucha, gli Aït Bou Ichaouen, i Beni M’Guild sono solo alcune delle tribù nomadi che popolano queste regioni. Alcune tribù percorrono il Sahara solo di giorno, mentre altre si spostano anche di notte, utilizzando sofisticati strumenti di orientamento. La tecnologia, tuttavia, non ha sostituito del tutto le tradizio-

ni: le donne berbere ricevono elaborati gioielli d’argento dai loro mariti al momento del matrimonio. Questi gioielli, oltre a essere ornamentali, rappresentano un simbolo di ricchezza e di status sociale, nonché una forma di protezione in caso di difficoltà o vedovanza.

E cosa c’è di meglio di un buon pezzo d’argento? Uno dei gioielli più diffusi è la «fibula», una pratica spilla utilizzata per fissare o unire tessuti come i mantelli. Il disegno della fibula è arrivato in Marocco con i Romani ed è essenzialmente una sorta di spilla ancestrale, con la sua forma triango-

Le macro-regioni del Marocco

In Eléments d’ethnographie marocaine del 1932, Joseph Bouirrilly in Marocco individuava quattro macro-regioni.

1. La regione nord-atlantica, che dal nord di Casablanca sale fino a raggiungere Meknes, Fez e Taza; è caratterizzata da piogge abbondanti e terre fertili, ed è attraversata in tutte le direzioni da un sistema naturale di vie di comunicazione. In questo vasto territorio si trovano pascoli e materiali naturali che possono essere utilizzati per la maggior parte dell’anno.

2. La regione dell’Atlantico meridionale, che si estende a sud di Casablanca:

è una regione di steppe, cioè di pianure erbose dolcemente ondulate, con poca acqua, dove crescono spontaneamente erbe e piante cespugliose. In questa regione, che presenta pascoli più scarsi e utilizzabili solo in inverno, ci si dedica soprattutto alla coltura dei cereali. L’entroterra forma una steppa che può essere utilizzata come pascolo durante l’inverno. Le parti a diretto contatto con la montagna, dove talvolta abbondano ruscelli e sorgenti, hanno pascoli utilizzabili in ogni momento.

3. La regione orientale è una regione di steppe con un clima continentale, molto poco piovoso, freddo d’inverno, molto caldo d’estate con specie di oasi lungo i fiumi.

4. Le steppe della regione atlantica meridionale degli altopiani e del Ma -

La pozzanghera che si era formata all’ingresso della bancarella è sparita e la polvere si è riappropriata della strada. La sagoma della mia scarpa occupa un angolo del foglio bianco, accanto a scarabocchi indecifrabili. Tra qualche anno, medito tra me e me, forse tutti in Marocco porteranno scarpe simili a queste. Mi infilo la scarpa poggiata sul tavolo e faccio un cenno a Jamal mentre tratta con una cliente francese. Sarà la penombra del negozio o l’eloquenza del commerciante, ma il sole sembra più luminoso di quando sono arrivata ed esco dal negozio un po’ stordita. Ora una bussola mi sarebbe utile per orientarmi nelle strade del suk.

Informazioni Su www.azione.ch, si trova una più ampia galleria fotografica.

Lo spirito di un popolo libero

Considerati gli indigeni del Marocco, i berberi si definiscono amazi , o «popolo libero». Si dividono in Botr e Branès; questi ultimi costituiscono la maggioranza della popolazione berbera. Rappresentano circa il 60% della popolazione del Maghreb (Marocco, Algeria, Tunisia) e sono suddivisi in decine di gruppi etnici e migliaia di tribù.

L’attuale Maghreb era un tempo condiviso da tre grandi gruppi etnici di tribù: i Masmoudas, gli Zénètes e i Sanhadja

Molti berberi sono nomadi o seminomadi e il loro sostentamento si basa sull’allevamento e sull’agricoltura. Gruppo seminomade che abita principalmente la regione del Sahara in Nord Africa, i Tuareg hanno una cultura particolare e sono noti per il loro abbigliamento tradizionale, che comprende lunghe vesti fluenti e foulard che li proteggono dal duro sole del deserto. Sono spesso coinvolti nel commercio e nel trasporto attraverso il Sahara.

rocco orientale erano regioni più pastorali che agricole, percorse per buona parte dell’anno da pastori che si spostavano man mano che i pascoli si assottigliavano, impoverendosi con la stagione calda. In queste regioni si può notare che non esistono villaggi, ma grandi agglomerati, importanti mercati in netto contrasto con la vita rurale che, ancora oggi, si sviluppa alle porte delle città. Un’altra caratteristica di queste regioni è che le coltivazioni si trovano in prossimità di punti d’acqua e dove è stata possibile l’irrigazione. La coltivazione di alberi si riduce a specie adattate al clima secco e alle brusche variazioni di tempera -

tura, come l’olivo, il fico, la vite in particolare e, nell’estremo sud, l’argania e la palma.

Il Rif e la Jbala sono regioni con un regime essenzialmente diverso da quello dell’Atlante, proprio per il modo in cui si distribuiscono le acque; vi si sviluppa una vita sedentaria, pastorale e agricola. I pascoli sono abbondanti, ben localizzati, utilizzabili tutto l’anno, e i villaggi sorgono in prossimità di questi pascoli, più sulle alture che nei fondi delle valli, che sono spesso deserte. Le montagne dell’Atlante presentano, da un lato, valli molto umide e, dall’altro, pianure e pendii interni, a est e a sud, estremamente secchi.

Gli Gnawa sono una popolazione che discende dagli schiavi portati in Marocco dall’Africa occidentale, e vantano una tradizione culturale e musicale unica, che incorpora elementi della cultura africana, islamica e berbera. Molti Gnawa vivono nelle regioni desertiche del Marocco e dipendono dalla musica e dall’intrattenimento per il loro sostentamento.

Gli Hassaniya sono una popolazione che abita principalmente la regione del Sahara occidentale del Marocco. Sono un popolo nomade che si basa sull’allevamento e sull’agricoltura per il proprio sostentamento e hanno una lingua e tradizioni culturali distinte, fortemente influenzate dalle loro radici arabe beduine.

Questi sono solo alcuni esempi delle diverse popolazioni che vivono nelle regioni desertiche del Marocco. Ogni gruppo ha una cultura, una

storia e uno stile di vita unici, plasmati dall’ambiente e dalle sfide che devono affrontare vivendo nel deserto. Le radici della cultura berbera affondano nella storia del Marocco, caratterizzata da un forte legame con la terra e la spiritualità, e da un grande senso di comunità basato sula condivisione del cibo.

L’apertura a influenze mediterranee, africane, orientali, europee e internazionali ha definito le sue caratteristiche attuali. Quello berbero è un popolo millenario che ha mantenuto la propria lingua e cultura per almeno 3mila anni, a riprova del fatto che la loro scrittura, chiamata tifinagh, è antica quanto il fenicio.

L’attuale Maghreb era un tempo condiviso da tre grandi gruppi: i Masmoudas, gli Zénètes e i Sanhadja, a loro volta composti da un gran numero di tribù in costante lotta tra loro.

Per queste tribù, che vivevano di pastorizia, l’espansione dei territori di pascolo, le rotte di transumanza e l’accesso all’acqua erano questioni dalle quali scaturivano spesso conflitti, a cui si aggiungeva l’avidità dei beni che circolavano sulle rotte commerciali.

Se in Europa è diffusa la tendenza a considerare la proprietà della terra, l’attaccamento al suolo e la sedentarietà come simboli di uno status sociale superiore, questa concezione risale a quella della città antica, greca e soprattutto romana: alla base della società vi erano la tomba, la casa, il campo familiare.

Diverso è il discorso in Oriente e in buona parte del Nord Africa, dove le condizioni geografiche e climatiche sono diverse a seconda della regione. Se alcune favoriscono la vita agricola e sedentaria, altre, al contrario, obbligano gli abitanti a sottomettere la loro esistenza a quella delle loro mandrie che non possono sussistere senza pascoli abbondanti. Devono quindi spostarsi in continuazione man mano che la stagione avanza e i pascoli si esauriscono.

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Ricetta della settimana - Cheesecake con lamponi

Ingredienti

Ingredienti per 12 pezzi

Per 1 tortiera apribile di circa 24 centimetri Ø

burro per la tortiera

2 uova

1 dl di panna semigrassa

400 g di formaggio fresco, ad esempio Philadelphia

180 g di panna acidula

semigrassa

2 c d’amido di mais

1 busta di zucchero vanigliato

120 g di zucchero a velo

1 limone

3 c di confettura, ad es. di lamponi

lamponi freschi o surgelati (scongelati prima dell’uso) per guarnire

Base della torta

50 g di burro

200 g di biscotti d’avena

2 prese di fleur de sel

Preparazione

1. Foderate la base della tortiera con carta da forno. Impacchettate esternamente la tortiera con carta alu, in modo da rendere lo stampo impermeabile (la torta cuoce a bagnomaria). Imburrate il bordo. Sciogliete il burro per la base. Macinate finemente i biscotti nel tritatutto e mescolateli con il sale e il burro. Distribuite la massa sulla base e livellatela schiacciandola con il fondo di un bicchiere. Mettete in frigo.

2. Lasciate riposare tutti gli ingredienti a temperatura ambiente. Scaldate il forno statico a 180 °C. Mescolate gli ingredienti fino allo zucchero a velo compreso. Unite la scorza di limone grattugiata fine e distribuite la farcia sulla base della torta. Lavorate la confettura mescolandola e distribuitela a gocce sulla cheesecake. Con il manico di un cucchiaio mescolate in modo da ottenere un effetto marmorizzato.

3. Accomodate la teglia in uno stampo alto. Riempite lo stampo d’acqua in modo che arrivi fino a metà della teglia. Cuocete a bagnomaria la cheesecake nella parte bassa del forno per circa 45 minuti. Aprite lo sportello e lasciate raffreddare il dolce nel forno spento. Lasciate riposare il dolce per almeno 6 ore, meglio se per tutta la notte al fresco. Guarnite con i lamponi.

Preparazione: circa 30 minuti; cottura a bagnomaria: circa 45 minuti; refrigerazione: almeno 6 ore; raffreddamento: 1 ora

Per persona: 5 g di proteine, 24 g di grassi, 28 g di carboidrati, 350 kcal

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Pagine rossoblù nella storia del Tour de Suisse

Editoria ◆ Le gesta dei ciclisti più interessanti del nostro cantone narrate da Giancarlo Dionisio

Moreno

Non è una volata, e nemmeno una cronometro. Sulle strade eroiche del Tour de Suisse – Ticino e ticinesi in bicicletta – il libro curato dalla capace penna del nostro collaboratore Giancarlo Dionisio, edito da Fontana Edizioni – è di quelli che vanno letti e gustati capitolo per capitolo. Anzi… tappa per tappa, per restare in tema.

Duecentoquaranta pagine ricche di fotografie, di personaggi e di aneddoti. Quelli che hanno fatto la storia del pedale rossoblù. In funzione della corsa nazionale per eccellenza, di cui Dionisio ha narrato in prima persona oltre venti edizioni, ma anche con qualche escursione al di fuori dei patrii confini, per raccontare le epiche imprese (tanto in positivo quanto in negativo) dei ticinesi che, in sella a una bici, hanno scritto altrettanto importanti pagine di storia.

Un libro che nasce sulla base di un altro progetto: «Era da tempo che cullavo l’idea di mettere su carta qualche aneddoto legato ai miei 25 anni di videocronista alla Rsi», premette l’autore del libro. «Quel progetto, per il momento, è ancora lì, nel cassetto dei desideri. Parlando con Raoul Fontana ha però preso forma quest’altro progetto, pensato per essere inserito nella Collana Terra Ticinese. Per me è stato un po’ come voler restituire almeno in parte tutte quelle emozioni che il ciclismo, e il Tour de Suisse in particolare, mi avevano dato in tutti quegli anni

che l’ho seguito professionalmente».

Questo il Grand Départ di un’opera che è andata via via crescendo. «E non poco: inizialmente sarebbe dovuto essere un volumetto di una novantina di pagine, o giù di lì, ma ben presto mi son reso conto che non sarebbero bastate per raccontare tutto e tutti in maniera sufficientemente esaustiva. Al tirar delle somme, il tutto è così lievitato alle 240 pagine complessive. Il filo conduttore con cui ho cercato di legare un capitolo all’altro è stato la relazio-

Giochi e passatempi

Cruciverba

Attenzione: in via eccezionale per motivi tecnico-informatici questa settimana sarà possibile inviare le soluzioni di cruciverba e sudoku solamente fino al 6 settembre ore 24.00. Vi ringraziamo per la comprensione.

Forse non tutti sanno che l’essere umano da un adulto ha 206 oma da neonato…

Trova il resto della frase leggendo, a cruciverba ultimato, le lettere evidenziate.

(Frase: 2, 2, 5, 8)

ORIZZONTALI

1. Cartilagine a forma di semi luna

7. Era un meraviglioso giardino

8. Abbreviazione di ettometro

9. Si dice per esortare

10. Servizio segreto statunitense

11. Le iniziali dell’indimenticabile

Montanelli

12. Mare e isola dell’Antartide

13. Parte della Commedia

dantesca

17. Un colore

18. Un dio greco

19. Gruppo sociale chiuso

ne tra il Ticino, i ticinesi e il Tour de Suisse, menzionando quelli che l’hanno corso (nella prima parte), ma anche quelli che la corsa ciclistica nazionale per eccellenza la vedono a bordo strada, soffermandomi pure sui rapporti tra le località organizzatrici di arrivi e partenze e la casa madre dei vari patron che si sono avvicendati negli anni (nella seconda parte)».

Da Luigi Luisoni, primo ticinese a concludere la gara (nel 1933) a Rubens Bertogliati, ultimo ticinese «doc»

a prendervi parte (nel 2012), per un totale di trentasette ticinesi sulle strade del Tour de Suisse. Tutti menzionati da Dionisio… «Ho volutamente tralasciato il lavoro di ricerca capillare sui singoli personaggi, anche perché questo non doveva essere un libro storico, ma uno più “emotivo”. Per cui mi sono soffermato su alcuni aspetti di questi sportivi, raccolti o direttamente dalle loro voci, oppure con lunghe telefonate con i parenti ancora in vita di quelli nel frattempo deceduti».

Paragonando a una gara ciclistica la stesura di questo libro vien da chiedersi se è stata più una tappa in montagna, una volata o una cronometro: «È stata una vera e propria corsa a tappe, né più né meno come il Tour de Suisse stesso. Ci sono state delle volate dettate dalla tempistica e dal calendario promozionale che è seguito la pubblicazione, come pure delle vere e proprie ascese come… al San Gottardo, specie per reperire tutte le fotografie. E non sono mancate nemmeno le cronometro, sotto forma di telefonate fiume e incontri con corridori che già conoscevo, ma di cui ho potuto conoscere sfaccettature che mi erano restate nell’ombra quando ancora vestivo i panni del cronista». Tra i trentasette ticinesi che hanno battuto le strade del Tour de Suisse, ce n’è stato uno che ha segnato più di altri la sua storia e quella del ciclismo ticinese: «Sicuramente Attilio

Moresi, primo ticinese a imporsi nella classifica generale del Tour de Suisse, nel 1961». E oltre i confini nazionali, «Mauro Gianetti, senza dubbio. Capace di scrivere importanti pagine di storia in sella e poi di “reinventarsi” come team manager a carriera conclusa».

Con il suo autore, sfogliamo ora il libro per soffermarci su qualche chicca… «Potrei citare Piero Tarchini e il suo singolare primato, che resiste tutt’oggi, del più grande distacco mai registrato in una tappa del Tour de France (causa la rottura del telaio, poi riparato da un ferramenta di paese), oppure ancora Gottfried Weilenmann, ticinese “d’adozione”, sposatosi con una hostess conosciuta sul volo Bruxelles-Ginevra preso per spostarsi da una gara all’altra e poi accasatosi ad Aldesago, dove con le sue stesse mani, assieme al fratello, aveva costruito la casa. Oppure ancora di quella madonnina d’oro regalata a Fränk Schleck da sua nonna per il battesimo e baciata dallo stesso lussemburghese una volta giunto al traguardo di Caslano dopo un pauroso volo nella discesa da Cademario: era letteralmente sparito dalle telecamere per diversi interminabili secondi…».

Curiosità e aneddoti, questi, rievocati da Dionisio, unitamente a parecchi altri, nel suo libro. Da leggere tutto d’un fiato. Anzi, pedalata dopo pedalata…

Vinci una delle 2 carte regalo da 50 franchi con il cruciverba e una carta regalo da 50 franchi con il sudoku

20. Preposizione articolata

21. Alta accorcia la spiaggia

23. Noto monte biblico

25. Un tipo di farina

26. Pronome indefinito

27. Coltivati ad ortaggi e alberi da frutto

VERTICALI

1. Un dito

2. Formaggio olandese

3. Possono trasformarsi in melanomi

4. Preposizione

5. Esprime dubbio, incertezza

6. Detto anche «centopelle»

10. Litorale

12. Lo cura il giardiniere

13. Simile al limone

14. Altari pagani

15. Un regista di nome Christopher

16. Le iniziali dell’attore Selleck

17. Quasi unica

19. Costoso

21. Isola del Mar d’Irlanda

22. Pronome personale

24. Un po’ di rumore

25. Due nel salotto

Regolamento per i concorsi a premi pubblicati su «Azione» e sul sito web www.azione.ch

Soluzione della settimana precedente

RIDIAMO INSIEME – «Ciao Carlo, ieri non riuscivo a prelevare con il bancomat finché sul monitor non è apparsa la scritta…» Scritta risultante: «CHE FAI INSISTI? ALLORA NON CI SIAMO CAPITI!»

C H ELE F AR I I

RU N STES I S T IR B AU LI A LA

I premi, tre carte regalo Migros del valore di 50 franchi, saranno sorteggiati tra i partecipanti che avranno fatto pervenire la soluzione corretta entro il venerdì seguente la pubblicazione del gioco. Partecipazione online: inserire la soluzione del cruciverba o del sudoku nell ’apposito formulario pubblicato sulla pagina del sito. Partecipazione postale: la lettera o la cartolina postale che riporti la soluzione, corredata da nome, cognome, indirizzo del partecipante deve essere spedita a «Redazione Azione, Concorsi, C.P. 1055, 6901 Lugano». Non si intratterrà corrispondenza sui concorsi. Le vie legali sono escluse. Non è possibile un pagamento in contanti dei premi. I vincitori saranno avvertiti per iscritto. Partecipazione riservata esclusivamente a lettori che risiedono in Svizzera.

Settimanale di informazione e cultura Anno LXXXVI 4 settembre 2023 azione – Cooperativa Migros Ticino TEMPO LIBERO 17
NT ESTIV O COR NER CODA LEVE AROM I B O S I AL ARI M O NI C ALMI PO I I PLAY E TN IA 5238 746 19 1475 698 32 8963 214 75 4 3 8 7 1 2 5 9 6 9124 563 87 7659 831 24 2 5 9 6 3 8 7 4 1 6812 479 53 3741 952 68
C N OTEC A R AL CE
Sudoku Scoprite i 3 numeri corretti da inserire nelle caselle colorate. 4 896 5 63 7 1 62 1 982 7 9 7 4 7 1 3 6 9 1234 56 7 8 9 10 11 12 13141516 17 18 19 20 21 22 2324 25 26 27

PER FIDO SOLO BUON CIBO. BUON

fr. 0.75

L’India sulla Luna

È il quarto Paese al mondo a compiere un atterraggio controllato sul satellite dopo Usa, Urss e Cina

Pagina 20

Trump visto da Taiwan

L’Estremo Oriente è preoccupato dalla possibile rielezione del tycoon negli Stati Uniti, ecco il perché

Pagina 21

Tra canicola, roghi e alluvioni Viaggio tra i disastri ambientali di questa estate, con l’idea che fare qualcosa per il pianeta si può

Pagina 23

L’estrema destra avanza

Le sue battaglie in Europa: no all’immigrazione, euroscetticismo e negazionismo climatico

Pagina 25

La scomparsa di Credit Suisse e i tagli al personale

Economia ◆ Nel 2025 la seconda banca elvetica verrà inglobata completamente da UBS. In Svizzera salteranno tremila impieghi

Era lo scorso 29 marzo e quel giorno, appena ritornato in sella a UBS, lo aveva definito il suo «scenario di base» numero uno. Una visione che giovedì scorso a Zurigo, Sergio Ermotti (nella foto) ha confermato in occasione di una conferenza stampa seguita dai principali organi di stampa del mondo intero. A detta di Ermotti non ci sarà vita per Credit Suisse al di fuori di UBS. Fondata nel 1856 e finita sull’orlo del tracollo finanziario lo scorso mese di marzo, la seconda banca elvetica verrà completamente inglobata nella sua nuova casa madre. Il suo marchio è destinato a sparire. Lo «scenario di base» è ora anche l’unico sul tavolo del direttore generale ticinese, che ha definito questa soluzione «di gran lunga la migliore possibile». Un’opzione strategica difesa fin dall’inizio anche dal Consiglio federale, intervenuto in marzo per evitare il collasso di CS. Con l’integrazione totale di questo istituto, si chiude anche una lunga rivalità che ha segnato la storia bancaria del nostro Paese, tra picchi di gloria e qualche vertiginoso tracollo finanziario. Con la Confederazione che per due volte è dovuta intervenire a un passo dall’abisso, la prima volta nel 2008 per salvare UBS e quest’anno per mettere al riparo Credit Suisse.

In giacca e camicia, ma senza cravatta (la finanza internazionale sembra permettere anche qualche lieve sgarro al protocollo), lo stesso Ermotti ha comunque voluto far notare che ci vorrà ancora del tempo. L’integrazione avverrà soltanto nel 2025, quando si prevede di completare la migrazione dei clienti da una banca all’altra.

Lo «scenario di base» necessita di un lungo cammino, perché prima occorre ristrutturare Credit Suisse e solo in un secondo tempo si potrà pensare alle possibili sinergie tra i due istituti. In altri termini non è una fusione come tante altre. Lo stato di salute di CS non permette di dare subito il via alle operazioni di integrazione tra i due istituti, prima occorre che Credit Suisse venga rimesso in sesto. E qui gli interventi riguardano in particolare le sue strutture al di fuori del nostro Paese. A detta di Ermotti, che viene chiamato anche «Sergio II» da quando è tornato alla guida del gruppo, l’acquisizione e l’integrazione di Credit Suisse in UBS permettono meglio di qualsiasi altra opzione di accrescere la stabilità della banca e la fiducia della clientela. Fattori fondamentali su cui far leva, anche per evitare di dover ridurre in modo massiccio il personale dell’istituto. A livello mondiale il colosso elvetico dà lavoro a circa 110mila persone, in Svizzera sono invece 38 mila, ripartiti in questo modo: 21mila in UBS e gli altri in Credit Suisse. Da giovedì scorso si conosce anche la portata dei tagli tra i dipendenti che lavorano in Svizzera, anco-

ra da definire quelli che toccheranno le sedi all’estero. Per quanto riguarda il nostro Paese la cura dimagrante annunciata è decisamente inferiore al previsto. Le speculazioni di queste ultime settimane parlavano di una riduzione di ben diecimila posti di lavoro, da giovedì si sa invece che saranno tremila. Anche in questo caso non si procederà subito ad applicare queste misure, che verranno diluite su più anni.

L’utile di UBS del secondo trimestre di quest’anno è pari a quasi 29 miliardi di dollari. Patrimoni in gestione in crescita di 23 miliardi

Regionalmente la piazza di Zurigo soffrirà più di altre a causa di questi tagli, tre quarti dei posti di lavoro interessati verranno soppressi proprio sulle rive della Limmat. Il Ticino do-

vrebbe poterne uscire meglio di quanto temuto in un primo tempo. In ogni caso è previsto anche un piano sociale che i sindacati del settore hanno definito «generoso». Chi verrà toccato dai licenziamenti disporrà di uno stipendio per un anno di tempo e potrà frequentare corsi di riqualifica personale. Resta comunque una spada di Damocle decisamente ingombrante con cui fare i conti: UBS ha comunicato che la nuova banca dovrà essere in grado di risparmiare ben dieci miliardi di dollari all’anno, e questo fino al 2026. Una cifra superiore di due miliardi rispetto a quanto comunicato finora dall’istituto con sede a Zurigo. Per questo, tra i commentatori c’è anche chi fa notare che ai 3000 licenziamenti annunciati oggi, nei prossimi anni potrebbero aggiungersene altri, in quella che in tedesco viene chiamata una «Salamitaktik». Come spesso accade in questi casi, è meglio comunicare le brutte notizie un po’ alla volta. Staremo a vedere

se sarà davvero così, oppure se i vertici di UBS sapranno mantenere ferma la rotta in un ambito così importante come quello dei posti di lavoro. Va comunque detto che al momento c’è mancanza di personale in vari settori dell’economia svizzera. Non per nulla il consigliere federale Guy Parmelin, interpellato sul caso UBS, ha voluto sottolineare che proprio in ambito bancario gli impieghi a disposizione sono oggi all’incirca seimila in tutto il nostro Paese. Scrivanie libere che però non si riesce a occupare.

Tornando a UBS appaiono incoraggianti anche le cifre di bilancio presentate giovedì scorso. L’utile del secondo trimestre di quest’anno è pari a quasi 29 miliardi di dollari, una cifra da primato dovuta soprattutto al prezzo di acquisto di Credit Suisse, molto inferiore al suo effettivo valore di mercato. Positivo anche il dato relativo ai patrimoni in gestione, in crescita di 23 miliardi. Cifre che fanno guardare

al futuro con fiducia, per dirla con le parole di Sergio Ermotti. Ancora decisamente negativi sono invece i dati di bilancio di Credit Suisse, con una perdita di quasi 9 miliardi nel secondo trimestre del 2023. Negli ultimi mesi si è però fermata la fuga di capitali che in primavera aveva quasi decretato il fallimento della banca. Ciò significa che la fiducia della clientela sta tornando, anche per Credit Suisse. La via per mettersi alle spalle diversi anni di gestione scriteriata è comunque ancora lunga, e sarà tutta nelle mani di UBS. A livello politico il dibattito su quanto capitato in questi mesi rimane comunque aperto, basti dire che il Parlamento ha nominato una propria commissione di inchiesta per far luce su questa acquisizione, sull’operato del Consiglio federale e degli organi che si occupano del controllo della piazza finanziaria svizzera. Anche lontano dalla scrivania di Sergio Ermotti il caso UBS-CS rimane pertanto ancora aperto.

● ◆ Settimanale di informazione e cultura Anno LXXXVI 4 settembre 2023 azione – Cooperativa Migros Ticino 19
ATTUALITÀ
Keystone

Quel sogno che diventa realtà

Spazio ◆ L’India è il quarto Paese al mondo a compiere un atterraggio controllato sulla Luna; il significato del notevole traguardo

«L’India è sulla Luna!», esultava S. Somanath, capo dell’Organizzazione indiana per la ricerca spaziale (Isro), al momento dell’atterraggio della navicella Chandrayaan-3 sul satellite lo scorso 23 agosto. Mentre gli facevano eco tutti, ma proprio tutti i canali di news che avevano trasmesso in diretta le delicatissime fasi dell’allunaggio, con tanto di giornalisti proiettati con effetti speciali sulla superficie lunare come se trasmettessero dalla Luna stessa. Dove il modulo Vikram (battezzato così in onore di Vikram Sarabhai, il padre del programma spaziale indiano) e il rover di nome Pragyan («conoscenza» in sanscrito) sono atterrati nella regione polare meridionale stracciando una serie di primati. Non soltanto difatti l’India è riuscita dove la Russia aveva fallito soltanto pochi giorni prima, ma è il quarto Paese a realizzare un atterraggio controllato sulla superficie lunare dopo gli Stati Uniti, la Cina e l’ex Unione Sovietica (la Russia di Putin non ha mai compiuto una missione, quella fallita di recente era il primo tentativo dopo 47 anni). E il fatto che la destinazione fosse uno dei poli lunari rende il successo ancora più clamoroso, visto che nessuno era mai riuscito ad arrivare fino a lì.

Appena Vikram ha toccato la superficie, in tutta l’India, che era rimasta incollata davanti ai televisori, esplodevano petardi e fuochi d’artificio mentre la gente si riversava per

strada ballando, distribuendo dolci e sventolando la bandiera nazionale. «È un momento indimenticabile, fenomenale! È il grido di vittoria della nuova India!», dichiarava il premier Narendra Modi, che aveva seguito l’allunaggio dal vertice dei Brics in Sudafrica, ringraziando gli scienziati che avevano reso possibile il viaggio di Chandrayaan-3. Un viaggio cominciato nel 1962 in un piccolo villaggio di pescatori del Kerala, Thumba. Dove l’allora vescovo del luogo Peter Bernard Pereira aveva ceduto la canonica e la chiesa per le attività di due giovani scienziati: Vikram Sarabhai, appunto, e A. P. J. Abdul Kalam che diventerà poi presidente dell’India. I primi studi e i primi razzi lanciati in orbita nel 1963 sono nati là, assemblati nell’ex Saint Louis High School che ospita adesso un museo spaziale. Trasportati spesso da carri trainati da buoi, o dagli stessi scienziati che, in bicicletta, si spostavano da un laboratorio all’altro con sofisticatissime componenti tecnologiche nel cestello.

Da allora il programma spaziale indiano ha fatto passi da gigante: lanciando nel 2008 Chandrayaan-1 e nel 2019 Chandrayaan-2, che però non è riuscita ad allunare. E, nel 2018, mandando a orbitare attorno a Marte la navicella Mangalyaan. Facendo ammettere l’India nel club elitario delle Nazioni che hanno lanciato una sonda su Marte e dando per giunta uno

schiaffo morale alla Cina, la cui missione sul Pianeta rosso tentata due anni prima con la sonda Yinghuo-1 era miseramente fallita. Mangalyaan, come Chandrayaan, era stata interamente progettata da scienziati e ingegneri indiani, costruita in India da manodopera indiana con materiali di fabbricazione locale e aveva a bordo strumenti di rilevamento rigorosamente made in India. Con un indice costi-benefici da fare invidia: il budget previsto per Chandrayaan-3, probabilmente poi sforato di poco, è di circa 76 milioni di dollari, meno del costo di produzione di un film con effetti speciali. In cifre, mentre il budget complessivo dell’Isro

nell’ultimo anno fiscale è stato inferiore a 1,5 miliardi di dollari, la dimensione dell’economia spaziale privata indiana è già di almeno 6 miliardi di dollari e si prevede che triplicherà entro il 2025 (un dollaro equivale a 0,88 franchi circa). Grazie agli investimenti stranieri, l’India intende quintuplicare la propria quota del mercato globale dei lanci nel prossimo decennio. E sta già lavorando alla missione Gaganyaan: una navicella che porterà sulla Luna tre astronauti indiani.

E se è vero che gli astronauti selezionati per Gaganyaan sono tutti uomini, è vero anche che a Chandrayaan come a Mangalyaan hanno lavorato

un centinaio di scienziate e ingegnere. A cominciare da Kalpana Kalahasti, che era direttrice associata del progetto Chandrayaan-3, passando per Ritu Karidhal Srivastava che era stata direttrice sia di Mangalyaan che di Chandrayaan-2. Un trionfo, appena sciupato dalle polemiche di quanti, a occidente, hanno pontificato sull’opportunità, per un Paese come l’India, di sviluppare un programma spaziale invece di costruire infrastrutture e «servizi igienici decenti», per dirla con la «Bbc». Che non si è accorta, come molti da questa parte del mondo, che servizi igienici, elettricità e acqua potabile sono già oggetto da anni di una capillare campagna governativa e che allo sviluppo di infrastrutture sono dedicate nel bilancio dello Stato cifre molto più consistenti di quelle devolute al programma spaziale. Bisognerebbe essere bambino, o bambina, in un villaggio del subcontinente, per capire. Per capire che Chandrayaan ha regalato a tutti un sogno, una speranza e una possibilità. Come ha detto Faran Jeffery, un analista pakistano: «Il successo di Chandrayaan 3 sarà d’ispirazione nei decenni a venire non soltanto per i bambini indiani ma anche per i bambini di tutti i Paesi in via di sviluppo, a cominciare dal Pakistan». Sarà d’ispirazione a tutti quei bambini che sognano di fare l’astronauta, di andare sulla Luna, di costruire razzi. E che da oggi in poi sanno di non dovere emigrare per realizzare il loro sogno.

Settimanale di informazione e cultura Anno LXXXVI 4 settembre 2023 azione – Cooperativa Migros Ticino ATTUALITÀ 20
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Keystone

Il ritorno di Trump visto da Taiwan

L’analisi ◆ L’Estremo Oriente non nasconde le sue preoccupazioni riguardo a una seconda presidenza degli Usa di The Donald. Anche se vincesse la nomination repubblicana, dice l’analista Yujen Kuo, ci sarebbero gravi ripercussioni e non solo a Taipei

Un aggiornamento sullo stato della campagna elettorale americana lo riassumerei così. A ogni nuova incriminazione – siamo alla quarta, con tanto di mugshot o foto segnaletica! – Donald Trump si rafforza nella base repubblicana e aumenta le probabilità di essere il candidato della destra. La base del suo partito tende a considerarlo vittima di un accanimento giudiziario, non senza qualche ragione. Ma al tempo stesso cominciano a circolare dei sondaggi che rivelano l’impatto diametralmente opposto che gli sviluppi giudiziari hanno sulla fascia degli elettori indipendenti o indecisi: qui le incriminazioni gli fanno perdere consensi.

L’elefante fuori dalla stanza

Dunque il gioco dei democratici, a prescindere dai suoi fondamenti giuridici o etici, è machiavellicamente lucido: bisogna assicurarsi che Trump vinca la nomination repubblicana, perché è assai probabile che egli sarà sconfitto nella sfida finale contro il candidato democratico che, salute permettendo, sarà Joe Biden. Quest’analisi l’ho ripetuta in una mia conferenza a Taipei a fine agosto. Ma non è bastata a rassicurare chi mi ascoltava su quell’isola a poca distanza dalla costa cinese.

In poche parti al mondo il primo dibattito tra candidati repubblicani alla nomination è stato seguito con tanta apprensione quanto a Taiwan dove ho passato di recente una decina di gior-

ni. Forse solo Tokyo, Seul e Manila si avvicinano a questo livello di preoccupazione. Mi riferisco al fatto che un «elefante nella stanza» ha dominato quel dibattito, anzi un elefante fuori dalla stanza: il grande assente Donald che ha snobbato il confronto dall’alto degli oltre venti punti di distacco che infligge al meglio piazzato di tutti gli altri (il governatore della Florida Ron DeSantis). Visto dall’Estremo Oriente il potenziale destabilizzante di una seconda presidenza Trump è enorme. Ma non c’è neppure bisogno d’immaginarlo vincitore nel novembre 2024, perché già la sua nomination innescherebbe delle ripercussioni. Me lo spiega un acuto analista degli equilibri strategici nell’Indo-Pacifico, il professor Yujen Kuo della National Sun YatSen University di Taiwan.

Ossessionato da Obama

Yujen Kuo comincia col riassumere ciò che di Trump si ricorda in Asia. Il fatto che la sua vittoria elettorale nel 2016 fu seguita immediatamente da una telefonata alla presidente di Taiwan, Tsai Ing-wen, che fece infuriare Pechino e sembrò un gesto di forte sostegno a quest’isola, è stato presto dimenticato alla luce dei suoi comportamenti successivi. «Non appena entrato alla Casa Bianca – dice l’analista taiwanese – Trump fu dominato dall’ossessione di disfare tutto ciò che aveva fatto Barack Obama. Allo stesso modo oggi uno dei suoi slogan preferiti è: licenzierò Joe Biden. Il che

può implicare una distruzione del lavoro di alleanze, che ci preoccupa molto. E non c’è bisogno di aspettare fino al risultato del novembre 2024, perché non appena Trump dovesse ottenere la nomination repubblicana già si farebbe sentire il suo impatto all’estero, sull’Ucraina come su Taiwan. A lui piace parlare… Da queste parti noi ricordiamo che nel 2018 Trump lanciò una guerra dei dazi non solo contro la Cina, ma anche contro un prezioso alleato come il Giappone. La sua linea sarà dominata da due tratti: la distruzione dei predecessori, e l’arbitrio totale. Perciò già dal momento della sua nomination l’effetto sarebbe di indebolire gli alleati e rafforzare i nemici. Né esiste un piano B per contenere la Cina, se l’America si ritrae nell’isolazionismo. Nonostante il recente summit di Camp David, dove Biden ha riunito il premier giapponese e il presidente sudcoreano, non ci sono le condizioni per una vera Nato asiatica. Le dispute ideologiche ereditate dalla seconda guerra mondiale e alimentate nel dopoguerra continuano a pesare».

Il mostro militare cinese

Lo scenario Usa in casa repubblicana – che include l’isolazionismo di Ron DeSantis – spaventa tanto più alla luce dell’evoluzione nei rapporti di forze militari in Estremo Oriente. «La capacità delle forze armate cinesi – dice Yujen Kuo – cresce del 3% all’anno ed è moltiplicata due volte e mezzo nell’ultimo ventennio. È un vero mo-

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stro. La flotta militare cinese ha sorpassato quella americana. Gli equilibri si stanno alterando al punto che diventa verosimile per la Repubblica popolare di poter cacciare l’America da quest’area. Questo significa non solo annettere Taiwan ma cacciare gli americani dall’isola giapponese di Okinawa e dalle Filippine. Non è più soltanto una questione di volontà politica, di buone o cattive intenzioni da parte dei leader di Pechino; è una questione di rapporti di forze tra un ex-egemone in declino e un nuovo egemone in ascesa».

Con l’esperto taiwanese rivisito ciò che la guerra in Ucraina può averci insegnato, e anche le lezioni che ne estrae Xi Jinping. Le sorprese positive sono state di tre ordini. Primo, la determinazione delle forze armate e del popolo ucraino nel difendersi. Secondo, la resilienza dell’economia ucraina: dalla produzione agricola alle utility energetiche non c’è stato il tracollo previsto. Terzo, la mobilitazione collettiva dell’Occidente per fornire aiuti. Ma cosa pensa Xi Jinping, quali lezioni ne estrae per Taiwan?

«Anzitutto – dice Yujen Kuo – lui punta a logorare i taiwanesi molto prima che la guerra abbia inizio. È già in atto una guerra ibrida, fatta di disinformazione e tanti atti volti a confondere l’identità dei taiwanesi. Inoltre la Repubblica Popolare sta sfruttando al massimo una specifica vulnerabilità della nostra democrazia, accentuata dal fatto che le nostre élite non capiscono o fanno finta di non capire che la guerra è già cominciata: mi riferisco

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al fatto che continuiamo a praticare una trasparenza totale nel settore delle opere pubbliche e delle commesse statali, il che regala ai cinesi una messe enorme di informazioni sulle nostre infrastrutture. Grazie alla nostra trasparenza sanno tutto di noi, le reti infrastrutturali più strategiche e nevralgiche sono aperte alla penetrazione dei cinesi. Faccio un esempio concreto di quanto siamo ingenui e quindi vulnerabili. Un paio di giorni fa è stato lanciato un progetto per ammodernare le nostre difese aeree, con un investimento da 9 miliardi di dollari Usa. Ebbene, in nome della trasparenza e del buongoverno tutto ciò avviene con procedure pubbliche, ogni dettaglio è disponibile. Quando gli americani effettuano dei wargames per simulare una guerra su Taiwan, tutto si gioca sulla loro capacità di venire in soccorso alle nostre forze armate dopo l’attacco iniziale dalla Cina. Ma gli americani non possono neppure sapere quali infrastrutture sono disponibili per far atterrare le loro truppe e i loro rifornimenti, e quali invece sono già oggi controllate dai cinesi. Quante strutture logistiche dei nostri aeroporti, quante banchine dei nostri porti sono in realtà di proprietà cinese?».

Verso una guerra totale?

In quanto alla possibilità che una guerra su Taiwan si limiti a Taiwan, l’esperto della Sun Yat-Sen University la esclude senza esitazioni. Ecco il suo ragionamento: «Le rotte per portare aiuti a quest’isola vengono da Okinawa e dalle Filippine. Questo significa che l’Esercito popolare di liberazione (le forze armate cinesi) si prepara da anni a chiudere queste possibilità. L’attacco alle basi militari Usa di Okinawa e delle Filippine farebbe subito parte della guerra. Il Giappone non avrebbe l’opzione di decidere se entrare o non entrare nel conflitto, perché sarebbe attaccato comunque, sull’isola di Okinawa che è la più grande base americana del mondo con oltre 24mila marines e 150 jet. Né si può escludere un allargamento immediato alla penisola coreana, magari perché la Corea del Nord ne approfitterebbe per attaccare Seul. O un ingresso della Russia nel conflitto, con un attacco al Giappone settentrionale».

Continua l’esperto: «Il Giappone ha sessantamila isole da difendere, un territorio sparpagliato di sei milioni di km quadrati, è un grande Paese con le forze armate di un piccolo Paese; e non ha mai firmato un trattato di pace con la Russia dopo la Seconda guerra mondiale. Taiwan non è l’Ucraina dove la guerra si sta svolgendo prevalentemente sul territorio di un solo Paese, quello aggredito. In caso di guerra su Taiwan, tutto l’Estremo Oriente diventerebbe zona di guerra, da subito».

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Tra canicola, roghi e alluvioni

Clima ◆ L’album delle vacanze si riempie ormai di immagini inquietanti

Stuprata a 15 anni

Lugano/Palermo ◆ Quanta fatica per sopravvivere

L’estate dovrebbe essere la silly season (stagione sciocca), quel periodo frivolo fatto solo di pensieri leggeri come la panna sul gelato, trascorso a seguire al massimo storie di amori fatui e qualche caso particolarmente avvincente di cronaca nera, tra una nuotata e l’altra. Quest’anno la stagione di spensierato ha avuto ben poco. Si è aperta con la terribile alluvione in Romagna, terra di vacanze per eccellenza, e si è chiusa con le immagini di una Liguria, altro paradiso estivo, colpita da un nubifragio. Il maltempo ha causato enormi danni anche in Svizzera, pensiamo solo al Locarnese e al Canton Glarona. Nel frattempo abbiamo visto le Hawaii in fiamme, i turisti inseguiti dai roghi a Rodi e in altre isole greche, i ghiacciai sciogliersi come una granita al sole e, in America, le notizie degli uragani stagionali farsi sempre più allarmanti. Questo solo per citare alcuni degli eventi climatici estremi e tralasciando le temperature che hanno raggiunto picchi di intensità mai registrati. Tanto che nelle foto delle vacanze, oltre alle angurie, alle onde e ai sandaletti, forse sarebbe onesto iniziare a far spazio anche ad altro, ai ricordi di come abbiamo affrontato questi momenti che sempre più spesso segnano le nostre estati, gettando un’ombra sulla loro solarità.

L’opzione migliore

è agire, fare la nostra parte, ridurre i consumi, cercare un modo più sostenibile per vivere

Se non prevalesse la rabbia, ci sarebbe quasi da provare tenerezza verso chi si trincera dietro un «che c’è di nuovo, d’estate fa caldo»: ognuno fa quello che può per non farsi travolgere dal panico. Panico che molti scienziati consigliano di evitare comunque, visto che rischia di risultare paralizzante, laddove la cosa migliore da fare è agire, fare la nostra parte, ridurre i consumi, cercare un modo più sostenibile per vivere e chiedere alla politica di fare altrettanto. Anche perché se c’è una cosa che l’estate 2023 ha mostrato in modo molto chiaro è che l’interesse economico non consente più di far finta di niente, sperando di riparare tutto grazie a dei fondi

di emergenza pubblici che presto non basteranno più a coprire i danni. Solo in Italia da maggio ad agosto sono andati esauriti tutti e 35 i milioni di euro previsti per l’intero anno, mentre in alcune parti del mondo le assicurazioni stanno cambiando approccio per non finire rovinate da tutte le richieste. In California ci sono alcune compagnie non fanno più nuove assicurazioni sulla casa e puntano a non rinnovare quelle vecchie a causa degli incendi, un vecchio problema diventato sempre più devastante. Il cambiamento climatico, o qualunque sia il nome che si vuole dare al trend attuale, è economicamente insostenibile a qualunque livello.

Ma per quanto il resto del mondo sia scosso da eventi incongrui come le tempeste di ghiaccio in Texas e i roghi in Canada, un Paese dal clima ben diverso da quello della Sardegna o della stessa California, è il Mediterraneo ad aver sofferto di più quest’estate: il nostro clima sta cambiando più rapidamente di altri, per via del surriscaldamento di un mare chiuso con conseguenze estreme da un punto di vista economico e sociale. Per gli scienziati si tratta di un hot spot, uno dei luoghi in cui il fenomeno è più evidente, e questo per una regione che punta anche molto sul turismo, è un grande problema. Molti inglesi e americani sostengono di non poter più andare in vacanza nei loro posti preferiti, di non avere il tipo di resistenza necessario per ritrovarsi sopra i 40 gradi com’è avvenuto comunemente nei mesi passati. Ci vuole il fisico per andare al caldo e piano piano anche tra la gente del sud del Mediterraneo sta guadagnando terreno la vacanza «al fresco», ad esempio anche la piovosa Londra inizia ad avere senso ad agosto, sempre che non si preferisca direttamente l’Islanda.

Oppure con un po’ di pazienza si può andare, a fine agosto, a sciare a Sestriere, in Piemonte, dove a sorpresa c’è stata la prima, prematura nevicata. Perché se il riscaldamento è la tendenza di lungo periodo, spesso il clima impazzito è quello che si vede giorno per giorno. E la montagna, come succede anche in alcune parti della Svizzera, mostra le ferite in maniera molto più chiara rispetto al mare: alberi secchi, rami spezzati, boschi spettrali, colori più spenti, magia dei

panorami più belli del mondo in pericolo. Ma sono soprattutto le città a dover cambiare assetto, se vogliono tutelare il benessere dei cittadini.

A Milano ormai spuntano giornate di caldo più affini al Rajasthan che a una città del nord in cui un tempo, agosto, poteva essere grigio e piovoso. Non che la pioggia sia mancata, anzi: solo che è arrivata tutta in una notte, insieme a venti così forti che molti alberi della città sono crollati, lasciando uno spettacolo desolante. E i parchi, unico rifugio per chi è stato costretto a rimanere in città, sono rimasti chiusi per tutta l’estate in attesa dei lavori di bonifica sui rami pericolanti, come se con temperature intorno ai 38-39 gradi, in una città di anziani, quei lavori non fossero una priorità.

Con la siccità dovuta alle scarse piogge degli ultimi anni, la capacità per un piromane di fare danni enormi è molto più grande

In pochi posti la politica sembra essersi dimostrata all’altezza della situazione. Nell’isola hawaiana di Maui, un luogo noto per l’aura di spensieratezza vacanziera, sono morte almeno 200 persone per un incendio a Lahaina, dove la comunicazione è stata scadente e soprattutto non sarebbero state usate tutte le misure di emergenza ormai comuni altrove, come la chiusura immediata della rete elettrica. Nella parte della Grecia ai confini con la Turchia gli incendi sono andati avanti indisturbati per più di dieci giorni, devastando un’area superiore a quella di New York, e non si può escludere che in molti casi l’origine sia dolosa. Quello che passa nella mente di un piromane nell’estate del 2023 è assolutamente incomprensibile, ma certo è che con la siccità dovuta alle scarse piogge degli ultimi anni, la capacità che un criminale ha di fare danni enormi è molto più grande. Più che un senso di impotenza, tutto questo dovrebbe risultare in un grande appello all’azione. Teniamoci le nostre cartoline, teniamocele strette, sapendo però che non raccontano più tutta la nostra estate. L’album delle vacanze ormai è fatto anche di altro e ci sta chiedendo il più estivo dei sentimenti: molto amore.

«Sono stata violentata a 15 anni. Non è una cosa che dimentichi. Ma sono andata avanti. Certo, non avevo alternative…». Lo racconta una giovane del Luganese. La conosco da poco tempo. Lo dice guardandomi negli occhi, sapendo che, «da donna», avrei capito le motivazioni della confessione. Come avrei capito al volo quando parlava di sguardi equivoci, parole e azioni indesiderate, ad esempio nel contesto lavorativo. Allora faceva la cameriera. Quello che mi è rimasto addosso, di lei, è l’energia che emanava. La forza della voce, il coraggio delle parole, gli occhi spalancati. È andata avanti per davvero, o almeno così pare, si è costruita una vita. Studia, si è sposata, sembra serena. È dunque possibile «guarire» da un’esperienza di quel tipo? La mente corre allo stupro di Palermo e alla 19enne che ha dovuto subire, a fine luglio, la furia di un branco di ben identificati criminali (che hanno filmato la scena, un video tra l’altro molto ricercato sul Web, si legga Aldo Grasso a pag. 35). E alla lettera che il padre della ragazza violentata da cinque delinquenti a Roma, la notte di Capodanno del 2020, ha dedicato alla prima (apparsa settimana scorsa su «La Repubblica»). L’uomo spiega in dettaglio lo stato di devastazione fisica e morale in cui si ritrova la vittima di tale violenza e l’angoscia delle persone che le vogliono bene. Parla di quell’«esserino annichilito», «un essere spezzato» su cui si trova a vegliare, a distanza di anni; della «bolla tutta interna di dolore fisico e dell’anima» che imprigiona sua figlia. Descrive tra le altre cose l’ansia, le crisi di panico, il terrore degli altri, l’insonnia, il richiamo della morte, i ricoveri, le cure… Si cambia casa, si cambia contesto ma «il mostro» è sempre in agguato, pronto a risvegliarsi. «“Stress post traumatico”, è ovvio, ma in quali patologie si trasformi, in quali fragilità intime e sociali si evolve questo stress non è per niente scontato», sottolinea l’uomo. «Ancora meno lo sono le soluzioni: e allora si tenta un tipo di terapia e poi un’altra; e allora una ragazzina, lucida e che sa di non meritarlo, deve sperimentare se è meglio l’Efexor, il Prozac o il litio e si intossica, e oltre a tutto deve far fronte agli effetti collaterali…». Una via d’uscita sembra difficile da trovare. «Le ferite variano», affermava la psicologa e psicoterapeuta Angela Andolfo Filippini (su «Azione» del 20 marzo 2023). «Le possibilità di recupero dipendono anche da qual è il terreno emotivo su cui si innesta il trauma. Non si tratta comunque mai di “tornare come prima” ma di capire come andare avanti dopo». Il primo passo – sosteneva l’esperta – è legittimare la propria sofferenza, riconoscerla come derivante dalla violenza subita e non come qualcosa di cui si è responsabili, ad esempio per un comportamento o un abbigliamento «sbagliato». La violenza non è mai una reazione ma un’azione deleteria di cui la vittima non ha colpa. Nessuna colpa. La vittima viene all’improvviso travol-

ta da uno tsunami mentre l’aggressore rischia poco. In Svizzera, per uno stupro, da uno a 10 anni di carcere; nel caso di coazione sessuale è prevista una pena detentiva sino a 10 anni o una pena pecuniaria. Ma raramente il giudice infligge i massimi previsti dalla legge e talvolta il criminale si ritrova dopo pochi mesi a piede libero.

Tornando alle parole del papà citato sopra: «Uno stupro è un intricato puzzle di tradimenti che si incrociano e sovrappongono (…): il tradimento di chi ti usa come un oggetto e poi il tradimento di chi vede in te, vittima che ha deciso di denunciare per proteggere tutti, una scocciatura di cui sbarazzarsi così come eri solo un contenitore usa e getta di eiaculazioni animali». E qui si aprono due capitoli, antichi come la vergogna. Da un lato le reazioni degli altri a cosa è capitato (testimoni, vicini di casa, fruitori di notizie ecc.) e il catalogo non è dei più incoraggianti: c’è anche chi non muove un dito di fronte allo scempio e chi ha l’insolenza di scagliarsi contro la vittima, sui social e non solo.

L’altro capitolo è quello delle donne viste e trattate come oggetti. «Bisogna educare i ragazzi a non pensare al corpo femminile come a un recipiente», ha affermato Dacia Maraini sulle colonne di «La Repubblica». Bisogna educare tutti al rispetto (e non le donne a fare attenzione). Spiegare ai ragazzi cos’è l’intimità, il rispetto della volontà dell’altra e dei confini di ognuno. Far passare il messaggio che la violenza non è mai una via. «Gli adulti – sia a casa sia a scuola – devono prendersi il tempo di spiegare e di accompagnare i più giovani attraverso un percorso di consapevolezza», spiegava l’avvocata Lorella Bertani, impegnata nella difesa dei diritti delle vittime di violenza nel Canton Ginevra (su «Azione» del 14 novembre 2022).

Educazione. Rispetto. Li si invoca da tempo, ma con quali risultati? Social, alcuni tipi di musica, l’accesso precoce alla pornografia non aiutano. E una certa mentalità rimane diffusa. Mentre trovate di cattivo gusto la alimentano invece di metterla in discussione. Solo per fare due esempi che di recente hanno scatenato polemiche: gli orinatoi a forma di bocca femminile spalancata, rosso fuoco, nei bagni di alcune palestre italiane. La donna in costume da bagno ricoperta di cioccolato stesa sul tavolo dei dolci di un albergo in Sardegna. Almeno qualcuno si è ribellato. La discussione si è di nuovo aperta. E qui arriviamo alla terza immagine che, in diverse forme, ha cominciato a circolare sul Web: mani aperte e l’hashtag «#iononsonocarne», la campagna social di solidarietà verso la ragazza violentata dal branco a Palermo (che si riferisce a una frase detta da uno degli stupratori, «la carne è carne»). «Io non sono carne», ripetuta da personaggi noti del mondo dello spettacolo. «Io non sono carne». Una triste frase da ribadire ogni giorno, con forza.

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Disastri a Lahaina, sull’isola hawaiana di Maui, dopo gli incendi. (Keystone)

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L’avanzata dell’estrema destra in Europa

Prospettive

La destra radicale e populista si espande sul Continente europeo. In alcuni Paesi è già al potere, in altri sta guadagnando terreno nella sua corsa verso l’ingresso negli Esecutivi nazionali. E un po’ ovunque, in questa aerea politica, è sorta la rivendicazione di giungere un giorno al controllo delle istituzioni europee. Gli esempi della destra radicale al potere non mancano. In Ungheria il primo ministro Viktor Orban è in carica dal 2010 con il suo partito Fidesz. Ha installato un regime che vien comunemente definito democrazia illiberale e che il Parlamento europeo, in una risoluzione votata a larga maggioranza nel settembre dell’anno scorso, ha definito «autocrazia elettorale». In primo piano ci sono i vari attacchi lanciati da Budapest contro i valori dell’Unione europea, in particolare contro le politiche migratorie, i diritti delle persone LGBTQ+ e la libertà di stampa. La Polonia, il Paese più importante nell’Europa centro-orientale, è guidata dalla destra populista di Diritto e giustizia (PiS). Una formazione di ispirazione conservatrice clericale, nazionalista e illiberale. A questo partito appartengono sia il presidente Andrzej Duda sia il primo ministro Mateusz Morawiecki. Il 15 ottobre sono previste nuove elezioni e i sondaggi non lasciano spazio a un possibile cambiamento di maggioranza.

Eletta nel 2022, Giorgia Meloni è la capa di Governo più a destra che l’Italia abbia conosciuto dopo Benito Mussolini

Giorgia Meloni è la capa di Governo più a destra che l’Italia abbia conosciuto dopo Benito Mussolini. In Finlandia, alle ultime elezioni di aprile, c’è stato uno slittamento a destra. Il Partito di Coalizione Nazionale, la principale formazione conservatrice, ha concluso un’alleanza di Governo con due piccoli partiti della stessa area politica e con la destra radicale dei Veri Finlandesi. Anche in Svezia c’è stata una svolta a destra dopo le elezioni del 22 settembre 2022. La destra radicale dei Democratici svedesi è diventata la seconda forza politica del Paese, con il 20,7% dei voti, e ora fa parte del Governo in una coalizione con i liberali, i conservatori e i cristiano-democratici. Negli ultimi mesi, l’attualità svedese ha messo in luce numerose dichiarazioni anti-islamiche di alcuni rappresentanti dei Democratici svedesi e almeno due roghi pubblici del Corano, il libro sacro dell’islam.

Oltre ai Paesi dove la destra radicale è arrivata al potere, preoccupano anche quelle Nazioni dove questi movimenti politici potrebbero arrivare al Governo in tempi relativamente brevi. Trattasi di quegli stati che possono rivelarsi determinanti per il futuro dell’Unione europea, come la Germania o la Francia. In Germania, l’AfD (Alternative für Deutschland), un partito di estrema destra che propone un modello di società fondato sulle divisioni e l’esclusione, sta avanzando in modo importante. I sondaggi gli danno circa il 20% dei voti e lo piazzano al secondo posto dopo la CDU e prima dei socialdemocratici. L’AfD è forte soprattutto nell’ex Germania orientale.

In primavera è riuscito a vincere un ballottaggio locale a Sonneberg, in Turingia, imponendo un suo candidato come primo Landrat, ossia come presidente di un distretto. Le elezioni nazionali sono previste soltanto fra due anni, ma già l’anno prossimo ci saranno alcune elezioni regionali, i cui risultati potrebbero confermare, addirittura ampliare, la tendenza attuale. In Francia, le recenti violente manifestazioni dei giovani e quelle che hanno tentato di bloccare la riforma delle pensioni, hanno consentito al Rassemblement National di Marine Le Pen e alle altre formazioni della destra radicale di aumentare i loro consensi. Le elezioni presidenziali si svolgeranno nel 2027. Secondo la costituzione, Emmanuel Macron non può svolgere più di due mandati e, quindi, non può ripresentarsi. Marine Le Pen, invece, insiste, e dopo tre tentativi falliti nel 2012, 2017 e 2022, è già al lavoro per preparare il quarto tentativo per accedere all’Eliseo.

Il 23 luglio gli spagnoli sono andati alle urne. Il partito popolare si è alleato con l’estrema destra di Vox, confermando l’intesa esistente tra i due partiti in molte province e in più di cento Comuni. Molti si aspettavano un loro successo elettorale, ma non è stato così. Il partito popolare ha progredito meno del previsto e Vox ha perso il 12% dei voti, ossia 19 dei 52 seggi che aveva ottenuto nel 2019. I risultati elettorali hanno reso difficile la nascita di un Governo. Le trattative sono ancora in corso e se non si riuscirà a trovare una soluzione bisognerà tornare alle urne, come è già successo dopo le elezioni del 2015 e quelle del 2019. In Olanda, dopo la caduta della coalizione di Governo, all’inizio di luglio, si terranno nuove elezioni il 22 novembre. Il popolare democratico Mark Rutte, personaggio centrale della politica olandese e anche della famiglia liberale europea, non si ripresenterà. Il centro rischia di ritrovarsi indebolito e la destra radicale, guidata dal Partito per la libertà (PVV) di Geert Wilders, potrebbe trasformare in un successo elettorale i buoni sondaggi di cui gode oggi.

Ci sono almeno tre temi sui quali i gruppi della destra radicale presenti nei vari paesi europei sono concordi. Il più importante è sicuramente la lotta contro l’immigrazione. Per

molti è all’origine di tutte le carenze economiche e strutturali nonché dell’impennarsi dei costi sociali. Per altri, l’immigrazione è vista anche come un pericolo che può portare al «Grand remplacement», alla Grande sostituzione dei nazionali con una popolazione di origine extraeuro-

Il primo ministro ungherese Viktor Orban, a destra, parla con Giorgia Meloni e il premier polacco Mateusz Morawiecki a margine del vertice Ue di fine giugno a Bruxelles. (Keystone)

pea. Là dove può, la destra radicale non esita a prendere misure, rafforzando le frontiere nazionali e ricorrendo a consultazioni popolari, come farà il Governo polacco il 15 novembre, per poter lottare contro il fenomeno in maniera ancora più decisa. Il secondo tema è l’euroscetticismo,

che si trasforma in una chiara opposizione a tutte le autorità comunitarie e, almeno in parte, anche a valori che difende l’Ue. Un terzo tema, che vanta una certa diffusione, è il negazionismo climatico. Alcuni movimenti negano il riscaldamento globale, si oppongono alle misure che vengono prese per contrastarlo e vorrebbero uscire dall’Accordo di Parigi.

La posta in gioco politica dell’avanzata della destra radicale è il futuro delle istituzioni europee. Nel giugno del prossimo anno verrà rinnovato il Parlamento europeo e subito dopo le altre autorità comunitarie. Attualmente la maggioranza nel Parlamento comprende il Partito popolare europeo, i liberali, i socialisti e i verdi. La destra radicale si ritrova nei gruppi della minoranza. L’attuale presidente della commissione, Ursula von der Leyen, per esempio, è stata eletta con l’assenso dei popolari e dei socialisti, quindi da forze di centro-sinistra. L’ambizione della destra radicale alle prossime elezioni è di creare un’alternativa alla maggioranza che governa a Bruxelles, o perlomeno di indebolirla in modo significativo. È prematuro prevedere sin d’ora quale sarà il risultato. Quello che è già noto, però, è che lo scrutinio europeo sarà molto importante e che susciterà un vivo interesse.

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La lotta quotidiana dell’esistenza

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Feuilleton ◆ Adelphi pubblica Guerra, il primo dei due romanzi inediti di Louis-Ferdinand Céline

Non è vero che non succede mai niente di nuovo sul fronte occidentale. Solo nell’ultimo anno, con ancora negli occhi i fotogrammi del film tratto dal capolavoro di Erich Maria Remarque, se guardiamo alla letteratura ispirata alle due guerre mondiali che hanno devastato l’Europa nella prima metà del Novecento sono riemersi da cassetti e vecchi bauli due preziosi manoscritti rimasti nell’ombra per decenni, e che ci impongono proprio per questo di scrivere oggi una nuova pagina nella storia dei loro autori: una versione sconosciuta di Suite francese di Irène Némirovsky, apparsa lo scorso anno con il titolo Tempesta in giugno, e per il primo conflitto (lo stesso di Remarque) nientemeno che due romanzi inediti di un ancor giovane Louis-Ferdinand Céline (nella foto ritratto durante la sua prigionia in Danimarca nel 1947).

Ci sarà lavoro per anni, dicono gli esperti, ma intanto è già uscito in Francia e ora anche in Italia il primo dei due romanzi inediti, Guerra

La notizia del ritrovamento era nota sin dal 2021 ma non finisce di sorprendere per la modalità, quasi romanzesca, dei passaggi di mano. Accusato (giustamente) di antisemitismo e di favoreggiamento del regime nazista, nel giugno del 1944 l’autore di Bagatelle per un massacro si era trovato costretto ad abbandonare in fretta e furia la sua abitazione parigina in rue Girardon, nel 18esimo Arrondissement, per mettersi in salvo in Danimarca via Sigmaringen con un lasciapassare fornitogli dai suoi contatti con gli ufficiali tedeschi. L’appartamento era stato poi svaligiato dai partigiani, così che si credettero perdute per sempre le 6000 pagine manoscritte di cui Céline avrebbe lamentato la perdita per tutta la vita, bruciate o comunque eliminate per rivalsa nei confronti di uno scrittore divenuto improvvisamente scomodo dopo il risveglio dall’incubo hitleriano.

Possiamo soltanto immaginare la sorpresa del giornalista di «Libération» Jean-Pierre Thibaudat quando, alcuni anni or sono, ricevette una telefonata da uno sconosciuto che gli consegnò il malloppo (l’intero archivio perduto di Céline, comprensivo anche di lettere e fotografie) con l’unica richiesta di non far avere nulla alla vedova dello scrittore, Lucette Destouches, che sarebbe poi scomparsa nel 2019.

Ci sarà lavoro per anni, dicono gli esperti, ma intanto è già uscito in Francia e ora anche in Italia il primo dei due romanzi inediti, Guerra, che naturalmente conferma tutte le caratteristiche cui ci ha abituato il Céline

maggiore: impostazione autobiografica neanche troppo dissimulata, contenuti esperienziali e linguistici al limite della censura, scrittura sublime.

La storia di Guerra, per chi conosca la vita di Ferdinand Destouches (Céline è uno pseudonimo ispirato al nome di battesimo della nonna materna), continua da dove si era interrotto Casse-pipe, cioè dall’abbandono del 12esimo reggimento di corazzieri dell’esercito francese durante la Prima guerra mondiale, a seguito di gravi ferite al braccio e alla testa che il «vero» Céline aveva effettivamente subito nel corso della sua breve esperienza militare: «La botta che mi aveva rintronato così profondamente mi aveva come scaricato un enorme peso dalla coscienza, quello dell’educazione, come dicono […]. Ne avevo le palle piene di trascinarmi da un giorno all’altro con un cranio devastato, e soprattutto da una notte all’altra con la testa nella macina e le sensazioni da paracadutista. All’umanità non dovevo più niente, almeno quella che uno si crede quando ha vent’anni e scrupoli grossi come bacherozzi che si aggirano tra tutte le menti e le cose» (pp. 119-120).

In queste poche righe è contenuto il succo, la morale-immorale della favola di queste pagine tradotte in italiano da Ottavio Fatica, che mai come in questo caso è davvero un nomen omen, perché si immagina lo sforzo, tutta l’abnegazione del traduttore confrontato a una lingua così elegante e così estrema al tempo stesso. La lezione che il protagonista trae dalle vicende belliche, a lungo confinate nelle nebbie della sua memoria ferita, è che la guerra non finisce con il rientro a casa (in ospedale) ma si traduce in vita di tutti i giorni, perché non c’è gloria che appaghi i desideri più bassi e profondi, quelli che non era possibile confessare nella Francia borghese e perbenista dei propri genitori. Céline, si sa, non è lettura per tutti i palati, tanto è il cinismo che pervade la sua visione dell’esistenza, descritta con uno stile che è soda caustica in formato verbale.

Eppure, nonostante i temi e personaggi al limite della decenza (e spesso anche oltre: qui un’infermiera ninfomane e necrofila già in là con gli anni), ciò che risalta in filigrana è un attaccamento alla vita, alle persone, ai

luoghi, che l’espressionismo estremo dell’autore non riesce a nascondere, anzi, finisce per esaltare. C’è poco da fare: anche in questo nuovo testo la scrittura di Céline è commovente, nel senso etimologico del termine, perché muove prima ancora di scioccare. L’autore ne era d’altronde ben consapevole e nemmeno in Guerra mancano infatti le occasioni per riflettere sulla nascita stessa della sua vocazione letteraria, sul ruolo della scrittura e il suo posto nel mondo.

Le prime pagine sono, da questo punto di vista, addirittura memorabili, perché con grande maestria stilistica mettono in scena, quasi in presa diretta, il formarsi del pensiero entro il perimetro chiuso di una mente confusa e devastata, che poco a poco, brano dopo brano, recupera la propria architettura razionale: «Un pezzetto per volta di pensiero ben fatto, uno via l’altro. È un esercizio che stanca vi assicuro. Adesso sono allenato. Vent’anni, uno impara. Ho l’anima più dura, come un bicipite. Non ci credo più alle scorciatoie. Ho imparato a fare musica, sonno, perdono e, come vedete, anche bella letteratura,

con piccoli tocchi di orrore strappati al rumore che non finirà più» (p. 27).

La guerra dopo la guerra, la lotta quotidiana dell’esistenza che è in fondo anche il tema cardine del più celebre Viaggio al termine della notte, sembra essere per Céline uno stimolo inesauribile alla scrittura. Quasi un monito, per sé e per i suoi lettori, affinché si eviti il più possibile di ricadere in quella vera, di guerra, quella dei fucili e dei cannoni; incamminandosi su questa strada la sua storia personale l’avrebbe portato, purtroppo, al collaborazionismo, cioè al sostegno del più forte, assieme alle derive che tutti conosciamo. Attendiamo ora di poter leggere anche il secondo romanzo, Londra, che riprenderà da dove si è interrotto il primo: con il protagonista pronto a lasciare la Francia e ad attraversare la Manica, con tutto il suo bagaglio di rabbia e di rancore.

Bibliografia

Louis-Ferdinand Céline, Guerra

A cura di Pascal Fouché, trad. di Ottavio Fatica, Adelphi, Milano, 2023

● ◆ Settimanale di informazione e cultura Anno LXXXVI 4 settembre 2023 azione – Cooperativa Migros Ticino 27
CULTURA
Pietro Montorfani Pagina 29
Keystone

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Uno sguardo storico sull’omosessualità femminile

Pubblicazione ◆ L’albero e la vite di Dola de Jong, scrittrice olandese di origine ebraiche, è uscito in una nuova edizione

L’albero e la vite di Dola de Jong è un romanzo pubblicato per la prima volta nel 1954, dopo varie peripezie, da una casa editrice olandese: molti degli editori a cui la scrittrice aveva inviato il manoscritto le rispondevano complimentandosi del valore letterario del testo e del suo talento, ma erano unanimi anche nel rifiuto di darlo alle stampe. Prevaleva, infatti, la convinzione che il libro fosse pericoloso, scandaloso. Con questo testo siamo di fronte, allora, a uno dei tanti romanzi scritti da donne che negli anni sono stati messi da parte non perché mancassero di qualità letteraria, ma a causa delle storie raccontate e soprattutto del punto di vista imprevisto, per usare un aggettivo caro alla filosofa femminista Carla Lonzi, a partire dal quale sono stati scritti.

L’albero e la vite rappresentano le due protagoniste, Erika e Bea (ritratte qui a lato sulla copertina dell’edizione francese) che si conoscono grazie a un’amica comune: si incontrano un pomeriggio per caso e dopo un mese già vivono insieme in un piccolo appartamento ad Amsterdam. Bea, la voce narrante, è da subito colpita dalla capacità di Erika di cavarsela con molto poco, dalla sua abilità di costruirsi mobili con materiali recuperati in strada, dal suo modo di essere schiva e affettuosa allo stesso tempo. Quasi immediatamente Bea sviluppa una strana forma di dipendenza nei confronti della sua coinquilina: ha bisogno di aiutarla, di prendersi cura di lei. Si tratta di una necessità che la accompagnerà nel corso di tutta la loro vita insieme, ogni giorno di più. In un primo momento, la loro convivenza sembra essere quella tra due amiche: Bea fa conoscere a Erika il suo fidanzato, ma Erika si comporta in modo sco-

stante con il ragazzo e non perde occasione per farlo sentire di troppo, fino a far scoppiare tra i due fidanzati l’ennesima lite furiosa che allontana l’uomo per sempre.

De Jong è molto abile a raccontare il legame tra le due donne senza definirlo, almeno fino a quando non è Erika stessa a esprimere apertamente il suo desiderio per Bea, che reagisce irrigidendosi e respingendo, almeno in un primo momento, la giovane amica. Anche a causa di un avvenimento spiacevole avvenuto sul posto di lavoro, Erika fa coming out con alcune sue conoscenze, per questo per-

de il posto e una parte della sua rete di relazioni. Bea, invece, non riesce ad accettare tutte le conseguenze del sentimento che prova, che non ammette neanche a sé stessa.

Le due, nonostante i tentativi di Bea di mettersi al riparo dall’amore per Erika, non riescono comunque a separarsi. Lasciano l’appartamento ad Amsterdam e si trasferiscono in una casa sul mare che però Erika abbandona dopo poche settimane per tornare in città, dove inizia una relazione con una ballerina, Dolly, che a differenza di Bea non ha nessuna intenzione di occuparsi di lei e delle sue

sbornie. Trovandola in uno stato di degrado, Bea decide di prendersi cura ancora una volta della sua amata e le due tornano a vivere insieme in un ménage molto interessante, descritto da de Jong con grande abilità. Nel libro domina l’atmosfera di incertezza: la storia è ambientata negli anni precedenti la Seconda guerra mondiale. Il pericolo è fuori, ma è anche dentro le mura di casa: per Bea che non può essere felice perché non sopporta di stare lontano da Erika, ma non riesce ad avere con lei una relazione erotica, e per Erika che è in parte ebrea. È molto interessante come de Jong descri-

va l’impossibilità per entrambe le protagoniste, che hanno due personalità così diverse, di trovare pace.

Preoccupata per i rischi che correrebbe la sua amica in caso di occupazione da parte dei tedeschi nazionalsocialisti, Bea cerca in tutti i modi di trovare il denaro necessario per permettere a Erika di andare negli Stati Uniti. In un primo momento la ragazza è entusiasta all’idea di partire, ma quando il progetto risulta irrealizzabile per via dei costi, reagisce dedicandosi a piccole azioni di sabotaggio e di militanza contro il nemico che occupa.

Il colpo di scena all’interno di un testo che si regge egregiamente anche solo sul racconto di ciò che avviene nelle mura domestiche scaturisce dal personaggio della madre di Erika, divenuta nazionalsocialista già prima dell’invasione tedesca. Nel romanzo si evince che le due avevano avuto un rapporto molto doloroso: la donna aveva costretto Erika a lasciare il liceo per finire in un collegio cattolico dopo che la ragazzina l’aveva scoperta a letto con un uomo che non era suo padre. Quando, all’inizio della guerra, «Ma» cerca di ricucire il rapporto, la reazione di Erika è violenta.

L’albero e la vite è un romanzo importante che permette uno sguardo storico sulle discriminazioni nei confronti dell’omosessualità femminile senza mai indulgere in un discorso ideologico, restando sempre e soprattutto il racconto di un amore: «Avevo un unico obbiettivo, quello di proteggerla».

Bibliografia

Dola de Jong, L’albero e la vite, trad. di Laura Pignatta, La Nuova Frontiera, Roma, 2023.

Cosa siamo disposti a sacrificare per il successo?

Cinema ◆ In questi giorni esce nelle sale ticinesi il lungometraggio Stars: il successo a costo dell’amore di Anna Spacio

L’idea è nata dalla mente di Paolo Meneguzzi, noto cantautore ticinese. Stiamo parlando di Stars: il successo a costo dell’amore, un film che – ricalcando alcune produzioni di genere (Step up, Saranno famosi e High School Musical ) che negli anni scorsi hanno avuto un grande successo di pubblico e in particolare tra i giovani – ci immerge nello show-business musicale e nelle sue distorsioni. Vede protagonisti una trentina di giovani talenti ticinesi (scelti su oltre 300 partecipanti ai casting) che si esibiscono in una pellicola dove il ballo, il canto e la recitazione sono al centro della scena.

Dietro la macchina da presa c’è Anna Spacio (classe 1995), al suo primo lungometraggio, dopo aver frequentato il CISA (Conservatorio Internazionale di Scienze Audiovisive) ed essersi laureata in regia nel 2018. Ha al suo attivo anche alcuni cortometraggi, video musicali e documentari.

Come ci conferma la stessa regista, quello di Stars è stato un lavoro molto lungo interrotto dalla pandemia: «Il progetto vero e proprio era iniziato nel 2018 nella scuola di Paolo, ma le riprese (dopo essere state posticipate di un anno a causa del Covid) sono state realizzate nel Mendrisiotto (Mendrisio, Chiasso e Balerna) e in parte a Lugano solo nell’estate del 2021». Fernan-

do Coratelli è stato chiamato per elaborare l’idea di Meneguzzi e farne una sceneggiatura alla quale la stessa Anna Spacio e i ragazzi hanno poi messo mano durante le prove e le riprese. «In effetti – ci dice – mentre provavamo, siamo intervenuti su alcune parti per rendere le scene ancora più realistiche».

I trenta giovani scelti per partecipare a questa produzione ticinese (oltre allo stesso Meneguzzi ci sono anche il regista e produttore dei Frontaliers Al-

berto Meroni e la RSI) hanno effettuato un lungo percorso preparatorio lavorando con esperti del settore. «Gli attori hanno avuto a disposizione due acting-coach (Alberto Barbi ed Eleonora Giovanardi), mentre i ballerini erano seguiti quotidianamente dal coreografo Mauro Marchese. Le musiche interpretate dai ragazzi – aggiunge la stessa regista – sono tutte originali e scritte da Meneguzzi e dai suoi collaboratori». Un film corale che ha messo a du-

ra prova la giovane regista. «Essendo al primo lungometraggio mi sono circondata di validi professionisti. Personalmente la più grande difficoltà è stata quella di gestire un grande numero di persone presenti nello stesso momento sul set. In questo senso l’aiuto regista Emilio Romeo è stato essenziale, soprattutto nelle prima settimane di riprese quando ha insegnato loro la disciplina per stare sul set».

Interessante anche la collaborazione con i ragazzi. «Erano tutti alla loro prima esperienza. È stato impressionante il loro livello di apprendimento della macchina-cinema. Oltre a imparare perfettamente le battute hanno gestito molto bene il passaggio dalla scuola di Paolo al set. Si sono confermati dei giovani professionisti a tutti gli effetti. Tra di loro c’è chi, come Matilde Ardemagni, sa cantare, recitare e ballare molto bene, altri, come Crystel Hartmeier o Alice Lazzarin, si sono concentrati principalmente sul ballo. Inoltre, è stato importante lo sguardo di Marco Viale che ha curato la postproduzione sonora. È entrato nel progetto in un secondo tempo e, grazie ad alcune sue composizioni d’atmosfera che hanno dato maggiore tensione alle scene, ha arricchito il film di una chiave di lettura in più».

La trama è presto riassunta. Gli stu-

denti di un’accademia sono sottoposti a regole rigide e ad ardue sfide in un clima di forte rivalità, mentre inseguono il sogno di diventare delle star. Tra di loro ci sono anche Lisa e il nuovo arrivato Damiano che, giorno dopo giorno, s’innamorano. Ma questa relazione deve restare clandestina perché rischia di costar loro la possibilità di partecipare all’importante contest finale. «Il film ci pone davanti a una domanda essenziale: che cosa siamo disposti a sacrificare per raggiungere il successo?

Le regole della scuola sono ferree e non permettono la nascita di una relazione tra gli allievi. Un sistema consolidato che appunto l’arrivo di Damiano mette in crisi. Il tutto si svolge in un’età particolare come l’adolescenza dove le decisioni da prendere non sono mai facili. I ragazzi si trovano quindi a un bivio e devono fare delle scelte che segneranno per sempre la loro vita. Perché, se da un lato sono desiderosi di lottare con le unghie per raggiungere l’obiettivo ed essere i migliori nella performance artistica, d’altro lato si confrontano con i sentimenti e gli sconvolgimenti emotivi che essi comportano».

Dopo la prima locarnese di venerdì scorso, Stars approda nelle sale cinematografiche proprio in questi giorni. Per ulteriori informazioni sulla produzione: www.starsthemovie.com.

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Un momento del film. (immagine SA)
Settimanale di informazione e cultura Anno LXXXVI 4 settembre 2023 azione – Cooperativa Migros Ticino MONDO MIGROS 30 PUBBLIREDAZIONALE

Una fede incondizionata nella pittura

Ritratto ◆ Un dialogo a più voci racconta la storia dell’artista-pittore Renzo Ferrari

In un momento particolarmente difficile – almeno per la mia generazione (quella post-globalizzazione) –, in cui tutto sembra complicato e inafferrabile, si presenta, inatteso, con uno sguardo pungente e sarcastico, un artista-pittore che, nel bel mezzo della pandemia (in basso, una delle opere di Renzo Ferrari contenute nel ciclo Al tempo del Coronavirus), dei cambiamenti climatici, delle emergenze energetiche, degli sconvolgimenti comportamentali e perfino di una guerra alle soglie dell’Europa, annuncia la felice pubblicazione della propria monografia commentata e illustrata, nella quale lascia spazio a carta e inchiostro, e a tela e pennello, per testimoniare la sua «militanza artistica».

Renzo Ferrari ha sempre affrontato il mestiere del pittore come un impegno etico

Si tratta di un «racconto» autobiografico e impietoso da cogliere e condividere per la profondità di riflessione che, attraverso la personalissima forma espressiva di Renzo Ferrari, interpreta una condizione generazionale ancora in essere, che coinvolge, necessariamente, anche molti dei suoi compagni di strada. Si tratta di un’incondizionata fede nella pittura, innalzata a ragione del «fare» dentro –annota l’artista – «l’esperienza dell’enigma dell’unica vita che ci è concessa» e che, per Renzo, rappresenta la ragione stessa del vivere, dopo gli anni milanesi e il ritorno al paese natio di Cadro, che (quasi come una coincidenza del destino) è anche l’anagramma di «cardo» (fiore richiamato nel titolo del libro) e che, come spiega lo stesso artista «[…] è diventato il simbolo di una natura poco conciliante. Che resiste. Che manda segnali. E che mostra le spine».

Questo libro sollecita non poche domande per cercare di capire (o almeno intuire) le ragioni del primato del disegno grafico dentro la polie-

dricità del suo linguaggio. Un tratto forte, che resta sempre fruibile come connotazione della personalità e che guida l’osservatore verso intensità ed emozioni. A proposito del tratto di-

segnato, l’artista ha osservato: «Ecco, il bello del disegno è che vedi subito quello che nasce sul foglio, Ensor e Klee parlavano di “fare una passeggiata con il lapis”».

Renzo Ferrari ha sempre affrontato il mestiere del pittore come un impegno etico; ha sempre visto il dipingere come «un’arma da guerra» per correggere le disfunzioni del vivere quotidiano. Nei suoi «racconti dipinti» privilegia la ricerca psicologica del soggetto, che verrà poi trasformata in forma fisica, di volta in volta declinata con graffiante ironia o disarmante sguardo critico. Ma il quadro psicologico resta presente nella totalità delle componenti formali. D’altronde è lui stesso ad affermare: «Se non c’è la figura umana faccio fatica. Sento venire meno il coinvolgimento personale e intellettuale».

Gli aspetti creativi di un mondo fantastico spesso legano forme primitive con intuizioni intellettuali di inquietante attualità, soprattutto nei disinvolti costumi. La cronaca quotidiana, gli aspetti apparentemente secondari, nella rappresentazione del

dipinto possono divenire protagonisti; non esistono regole di condotta, il più delle volte l’artista preferisce comportarsi con la libertà di un «cane sciolto». Le opere selezionate in Album I: il pittore e i cardi e Album II: diario di una collezione permettono di seguire la traiettoria artistica di Ferrari: quelle in cui domina il disegno libero e fluido si alternano a quelle realizzate con strumenti ordinari (penne a sfera, pennarelli, matite, colori, gessetti, evidenziatori…), più di natura domestica che professionale; è il suo recente, disinvolto e piacevole uso dei Moleskine – un supporto meno impegnativo della tela – che gli permette, sempre restando fedele a sé stesso, una nuova forma di sperimentazione. Infatti, i tratti grafici, in precedenza connotati da linee continue e organiche, ora si fanno spezzati, senza continuità; inserti e scritte alterano la matrice compositiva della pagina: disordine e caos grafico diventano protagonisti, convergono verso l’assurdità del dolore e dell’inquietudine che trasmettono.

In ogni caso, il lavoro dell’artista viene ricondotto a una dimensione umana che riconosciamo, nella quale il trascorrere del giorno alla notte riemerge come misura di un impegno quotidiano, al di là dei tempi, delle pause, dei dubbi e dei ripensamenti richiesti dal dipingere.

Lascio, infine, che sia l’artista stesso a concludere questa riflessione: «Mi piace pensare che questi lavori rappresentino il nostro presente e i suoi accadimenti con una prospettiva esistenziale diversa rispetto al semplice reportage. Non a caso, la grammatica di questi lavori è anche quella sospesa e galleggiante della giustapposizione di elementi lontani tra loro, in cui l’inconscio assume un ruolo centrale».

Bibliografia

Renzo Ferrari. Il pittore e i cardi A cura di Luca Pietro Nicoletti, Francesco Pellegrinelli, Edizioni Mimesis, Milano, 2023

Fare la cosa giusta

Quando la povertà mostra il suo volto

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Questo è il sapore dell’autunno.

Un cartellone costellato di autori francesi

Musica ◆ Il direttore artistico Francesco Piemontesi racconta la 78esima edizione delle Settimane Musicali di Ascona

«L’ipotesi iniziale era un’altra, ma quando Ricardo ci ha prospettato questa possibilità nessuno ha avuto dubbi». E così le Settimane Musicali di Ascona e Locarno si aprono domani sera con la Peace Orchestra Project, formata da talenti tra i 18 e i 25 anni provenienti da tutto il mondo, tra cui volutamente alcune zone svantaggiate, diretta da Ricardo Castro nella suite da L’uccello di fuoco di Stravinskij, nella seconda sinfonia di Campogrande (prima esecuzione svizzera) e soprattutto nel Concerto per due pianoforti di Poulenc, olisti Marc-André Hamelin, che sostituisce Martha Argerich, e Francesco Piemontesi, locarnese e direttore artistico delle Settimane Musicali.

«Purtroppo Martha ha avuto dei problemi di salute e non può suonare, ma Hamelin è un grande interprete e sarà bellissimo affrontare Poulenc con lui» dice Francesceo Piemontesi (nella foto). Lo spirito della leggendaria pianista argentina spirerà comunque sul festival e in particolare ispirerà Piemontesi il 17 ottobre, quando chiuderà la rassegna accompagnato dalla Deutsche Kammerphilharmonie Bremen nel Concerto in sol di Ravel.

«Avevo 19 anni, Carlo Piccardi mi procurò un’audizione con Argerich mentre era a Lugano, mi ascoltò nella Sonata Dante di Liszt e da allora è iniziato un rapporto intenso. Quando concorsi al Reina Elisabetta di Bru-

xelles mi ospitò a casa sua per quattro settimane: parlammo tantissimo di musica, anche del Concerto in sol di Ravel che avrei portato in tournée se avessi vinto il concorso». Cosa che accadde, e con lo stesso brano chiuderà la rassegna il 17 ottobre con la Deutsche Kammerphilharmonie Bremen.

«Una pagina spettacolare, gioiosa, virtuosistica, all’inizio volutamente circense – basti pensare al colpo di frusta con cui attacca – però interpretativamente il momento più difficile è il movimento centrale: una lunghissima frase, di quasi due minuti, che il pianista esegue da solo, in un sottilissimo equilibrio di ritmo e melodia».

Poulenc all’inizio e Ravel in conclusione, ma tutto il cartellone è costellato da autori e musiche francesi: «Consultando gli archivi ci siamo accorti che, in modo del tutto casuale, le Settimane Musicali si erano dedicate poco al repertorio francese, e quindi abbiamo voluto dargli uno spazio significativo. Nel terzo dei concerti da camera che si tengono al Collegio Papio, assieme al violinista Augustin Hadelich e alla violoncellista Sonia Wieder-Atherton suonerò il Trio di Ravel, le trascrizioni che ho curato personalmente di Récit du Chant del seicentesco Grigny e de La Boucon del settecentesco Rameau, poi la Sonata per violino di Debussy e Trois strophes sur le nom de Sacher del contemporaneo Dutilleux».

Alla Radice

Musica ◆ Dal 6 al 10 settembre a Berna torna il Musikfestival con un ricco programma Francesco Hoch

Il Musikfestival di Berna quest’anno è nel segno de La radice, presentata graficamente con la scrittura del segno dei radicali matematici, ma intesa in modo esteso, nelle svariatissime maniere collegate al mondo attuale del fare creativo nella musica.

In uno dei primi concerti in programma, la pianista e compositrice Katharina Weber presenta una composizione sulle radici della vita, tra testo, immagini e musica, in dialogo con la direttrice di un Nuovo Istituto per levatrici. Mentre In canzona ad astra , la compositrice Bettina Skrzypczach collabora con un astronomo attorno alla meccanica celestiale su poesie di Keplero. Altri si presentano in collaborazione con un geografo per l’identità dei ricordi sonori del proprio paese d’origine, oppure con una biologa per trovare le sonorità delle radici con elementi naturali provenienti dalla terra.

È da notare che queste musiche si svolgono anche in luoghi particolari dove di solito si svolgono tutt’altre attività, come il Giardino botanico, il Parco degli animali o l’Osservatorio astronomico, dove sono presenti anche istallazioni sui vari temi che si possono visitare liberamente o con una guida in determinate ore.

Le radici vengono musicalmente esplorate anche negli stessi calcoli dei radicali matematici fino a toccare la grande e misteriosa creatività numerica attraverso i numeri «immaginari», «irrazionali» o «infiniti» prendendo spunto dalla famosa artista Meret Oppenheim che da ra-

gazza giocava in modo assurdo con le equazioni matematiche.

Viene offerta anche la possibilità di salire con la funivia fino al Gurten, la collina sopra Berna, per trovare i suoni amplificati di un aquilone mosso dal vento.

Il motto impiegato è «andare alle radici per andare avanti». Un concerto si articola attorno ai compositori che si sono lasciati ispirare da Johann Sebastian Bach. Altri presentano opere che hanno lasciato tracce profonde nella nostra storia, come i famosi Vespri della Beata Vergine, uno dei capolavori di Claudio Monteverdi, oppure i complessi Lieder dell’antica ars subtilior del ’400, e il più vicino capolavoro Lied von der Erde di Gustav Mahler per la sua misteriosa profondità.

La città di Berna possiede poi essa stessa una radice di sperimentatori, musicisti, compositori nell’ambito musicale di gran pregio a livello non solo svizzero, che sono stati attivi fin dalla metà del ’900, ai quali sarà dedicato un concerto con le musiche di Wyttenbach, Holliger e Moser.

I concerti avranno luogo anche in sale frequentate tradizionalmente, dal Conservatorio, alla Dampfzentrale, al Forum Yehudi Menuhin, a varie chiese e anche alla grande Cattedrale, il famoso Münster di Berna. Dove e quando Musikfestival Bern, dal 6 al 10 settembre. www.musikfestivalbern.ch

Negli altri due appuntamenti (8 e 9 settembre) Piemontesi sarà affiancato anche dalla pianista Imogen Cooper e dal tenore Ian Bostridge, interprete di un’intensa Schubertiade. Il 18 sarà l’Orchestra della Svizzera Italiana a omaggiare la Francia, con la Sinfonietta di Poulenc e il Concertino per tromba, orchestra d’archi e pianoforte di Jolivet: «Un autore più o meno contemporaneo di Messiaen, ma meno conosciuto; eppure la sua musica è di alto livello e ha segnato il Novecento musicale francese». Stessi inso-

liti solisti per il Concerto, ben più noto, di Shostakovich; in San Francesco di Locarno, sede degli appuntamenti sinfonici, saranno Bertrand Chamayou e Hakan Hardenberger, uno dei più acclamati virtuosi di tromba al mondo; sul podio Fabien Gabel. Francese è anche Les Siècles, «un’orchestra straordinaria che debutta da noi e che suonerà nella prima parte con strumenti moderni, per accompagnare Isabelle Faust nel Concerto per violino di Ligeti, e nella seconda strumenti antichi, quando François-Xav-

ier Roth la dirigerà nella sinfonia Jupiter di Mozart». Otto giorni dopo Les Siècles, approderà a Locarno la Tonhalle-Orchester di Zurigo, che Paavo Jaarvi dirigerà in una monografia beethoveniana: La consacrazione della casa, la seconda sinfonia e il concerto op. 61 trascritto per pianoforte dall’originale per violino; solista un interprete acclamato quale Olli Mustonen. A suonare con la Tonhalle, a Zurigo, sarà poi Piemontesi, atteso in un progetto incentrato su Rachmaninov: del russo interpreterà una sonata e, con Jarvi e Gianadrea Noseda, il quarto concerto e la Rapsodia su un tema di Paganini

A gennaio Piemontesi debutterà a New York con la Philharmonic nel concerto K 503 di Mozart. Amadeus compare nel secondo appuntamento che vede protagonista l’Osi: il 6 ottobre accompagnerà il violinista Staphen Waarts nel concerto K 218, che Aziz Shokakimov incastona tra le sinfonie Militare di Haydn e op. 70 di Shostakovich. Tre giorni prima arriveranno Andrea Marcon e La Cetra, ensemble di voci e strumenti antichi di Basilea impegnati nella monumentale Messa in si minore di Bach: «Sono contento di recuperare uno dei grandi appuntamenti annullati per il Covid; La Cetra ha vinto il premio europeo per la musica antica e Marcon è un grande interprete del barocco; il suo Mozart è splendido».

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In fin della fiera

La difficile vita dello scultore

Un’amica è preoccupata: il suo nipotino, alla domanda «cosa vuoi fare da grande», non ha risposto il calciatore o l’astronauta, ma lo scultore. È un bambino sensibile, la maestra gli ha raccontato di quando gli scultori davano martellate sulle ginocchia di Mosè per farlo parlare. Per dimostrargli che non è più così, ho consigliato alla mia amica di portare il nipotino alla GAM, (Galleria d’Arte Moderna di Torino) per visitare la mostra Viaggio al termine della statuaria con capolavori della scultura italiana dal 1940 al 1980, facenti parte della collezione del museo. Apre la mostra il Ritratto di Eva del 1942 di Edoardo Rubino. Con Eva viene meno l’obbligo della sintonia fra opera e titolo. Un esempio fra i tanti: Donna al sole di Leoncillo. Blocchi di terracotta impastati a mano e accatastati uno sull’altro, non sapremo mai se a caso o seguendo un preciso disegno. Lo contempli e im-

Voti d’aria

magini l’artista in piena estasi creativa: è al mare, ha pranzato con frutti di mare crudi, ha appena saputo che uno dei commensali s’è preso il colera. Per arginare l’ansia crea un capolavoro. Se invece di Donna al sole l’intitolava La fine del Titanic non sarebbe cambiato niente. Nei decenni dal ’40 all’80 del secolo scorso, l’Italia era piena di rottami, di depositi di ferri vecchi, a questi artisti non mancava di certo la materia prima. Questo spiega l’ampiezza e la pesantezza di molte opere. Domando al curatore: sono assicurate contro il furto? La risposta è un secco «no» ma lascia trasparire un retro pensiero: magari qualcuno se le portasse via. È vero che sono di proprietà del museo ma per far fronte alle spese di trasporto bisogna ogni volta accendere un mutuo. Per i collezionisti privati il discorso cambia, per essere autorizzati a tenere in casa uno di questi capolavo-

Imperversare è diabolico

Non sono ancora stato chiamato in Arabia Saudita, ma ci spero, anzi mi offro. Hanno chiamato Brozovic, Ronaldo, Benzema, Firmino, Neymar… Vuoi che prima o poi non chiamino anche me? Almeno per una consulenza calcistica, mi accontenterei di un paio di milioni l’anno, non di più. Ho predetto a un mio amico, anni fa, che l’allora giovanissimo Gianluca Scamacca sarebbe diventato un ottimo centravanti: mi era bastato vederlo giocare poche volte nell’Under21 italiana. Avrei scommesso sul terzino Federico Dimarco, quando giocava nel Verona e non era ancora in Nazionale. Non per vantarmi, ma credo di avere l’occhio, come si dice: avrei già pronta una favolosa mezza dozzina di giovani promesse da consigliare a colpo sicuro ai dirigenti dell’AlAhli, dell’Al-Ittihad o dell’Al-Nassr. Possibile che non ci sia una squadra saudita disposta a investire qualche

milione sul sottoscritto come consulente-osservatore? Sarei pronto a lasciare il «Corriere della Sera» domani mattina… e forse persino la rubrica dell’«Azione» se solo mi offrissero un ingaggio appena dignitoso di qualche milioncino l’anno, due, anche tre-quattro, una miseria, visto l’andazzo. È pur vero che anche le squadre europee non scherzano: 20 di qua, 30 di là, 40 di su, 75 di giù… Scherzi a parte (mica tanto, però…), è moralismo indignarsi per l’osceno spettacolo dello spendi-e-spandi universale (voto d’aria 1-) in certi settori merceologici come il calcio, mentre gran parte dell’umanità va lentamente a fondo? Sono fenomeni incomprensibili, da vertigine. Basta seguire un qualunque telegiornale da cima a fondo per avere sotto gli occhi il quadro plastico della irrimediabile demenza globale. Si comincia con la foto segnaletica di Trump, unico presidente

A video spento

A orrore si aggiunge orrore

Lo stupro di Palermo e la sua rappresentazione. Difficile trovare parole non banali per descrivere la brutalità del branco, il filmato girato durante la violenza, l’esibizionismo dei maschi, il male e la voglia di mostrare il male come un trofeo, i video fake e le chat dove si minimizza sull’accaduto, una realtà parallela dove regna l’indistinzione tra vero e falso, tra responsabilità e incoscienza.

Com’è noto, lo stupro di gruppo subito da una ragazza di 19 anni a Palermo lo scorso 7 luglio 2023 è stato filmato con il cellulare e diffuso in rete. Venti minuti di violenza racchiusi in un video! Nonostante l’intervento della Polizia Postale, su Telegram si sono moltiplicati i gruppi a tema.

A orrore si aggiunge orrore e diventa sempre più labile il confine fra reale e virtuale, fra il mondo social e quello delle aule dei tribunali e delle celle degli istituti di pena. Intanto, so-

ri, devi dimostrare che tutti i componenti della famiglia hanno fatto l’antitetanica. Ti alzi di notte per andare in bagno, ti muovi al buio, è un niente andare a sbattere con uno spuntone dell’opera e ferirsi. Vista a distanza di così tanti anni sembra che questi scultori abbiano avuto una vita facile: vai dal più vicino deposito, ti compri per due lire una carrettata di sfasciume e via con la creatività. Invece, se fai caso con attenzione ai cartellini appesi alle pareti, scopri una sequenza di drammi famigliari. Li svela l’ultima riga: «dono dell’autore». È fin troppo facile indovinare la sequenza degli eventi. Per realizzare il tuo capolavoro hai bisogno di uno spazio adeguato, la sala di casa tua o il garage. Prometti: appena lo finisco lo metto in vendita. Trascorrono i giorni, nessun gallerista o collezionista o fondazione, si fa vivo. La moglie è furibonda: mi spieghi come faccio a pulire in quella stanza?

Dove le ricevo le mie amiche? Oppure: spiegami perché devo tenere la mia auto in strada, sotto la pioggia o la grandine. Terminata l’opera e trovato un titolo è ora di venderla. Non è che trovi dal mattino alla sera un collezionista o che Amazon sia disposto a venderla. Alla fine l’artista cede: se nessuno la compra la regalo. Non si può respingere un dono, però deve essere riciclabile: le due bottiglie di Barolo che mi hanno regalato le porto alla famiglia di amici quando mi invitano a cena, e così via. Ma una tonnellata e passa di capolavoro? Cominciano le scuse dei beneficiati: grazie, non sono degno di tanto onore, posso solo tenerla nel sottoscala ma devo sentire prima cosa ne pensano gli altri condomini. Piovono i consigli non richiesti. Hai provato con il Comune? Alla fine del calvario chiede udienza alla GAM. Provano a resistere, fanno domande: quanto spa-

zio occupa? Quanto pesa? Aspetta un attimo, dobbiamo prima trovarle un posto. Alla fine si arrendono: va bene, la prendiamo, però ti occupi tu di farcela recapitare. Così lo scultore finisce per indebitarsi per pagare le spese di trasporto.

Nessuna forma artistica potrebbe funzionare se non influenzasse in qualche modo le nostre percezioni attraverso le attese da noi nutrite (Ernst H. Gombrich). Una scultura di Gilberto Zorio si può raccontare come una ricetta di cucina: prendete una stella di bronzo, mettetela verticale contro il muro, appoggiatela su una barra di ferro orizzontale con le due punte immerse in due vasche di terracotta: quella di sinistra contiene solfato di rame, quella di destra acido idro cloridrico. Io ci avrei messo, a sinistra l’aceto balsamico e a destra avrei grattugiato una noce moscata. Ma non sono un artista.

statunitense della storia incriminato, arrestato in Georgia e rilasciato dopo soli venti minuti grazie al pagamento di una cauzione di 200 mila dollari (noccioline: voto d’aria –200 mila). Si prosegue con il femminicidio di giornata e con i morti quotidiani al largo di Lampedusa. Si conclude con il trasferimento arcimilionario di un calciatore qualunque a una qualunque sconosciutissima squadra saudita. La prima notizia (Trump), la seconda notizia (femminicidio), la terza notizia (Lampedusa), la quarta notizia (calcio-mercato) non mancheranno di essere puntualmente postillate da altrettanti tweet del ministro italiano delle Infrastrutture e dei Trasporti Matteo Salvini, sempre lesto (2) a commentare il commentabile (e il non commentabile): i cicloni di agosto, la friabilità dei grissini torinesi, l’apertura del nuovo anno scolastico, il salto con l’asta nei mondiali di at-

letica, la scomparsa di Toto Cotugno, la vittoria del Frosinone contro l’Atalanta, le sopracciglia di Orietta Berti, le elezioni in Ecuador, il commercio dei tulipani nei Paesi Bassi, la volée di Sinner, l’ultimo sfortunato volo di Prigozhin, l’aglio o la cipolla nella caponata siciliana. Un intelletto rinascimentale, che sa esprimere la propria circostanziata opinione su ogni argomento dell’attualità e dello scibile umano. Con qualche lacuna sui trasporti e le infrastrutture. Un mondo capovolto. Un mondo capovolto, come quello che dà il titolo a un libro diventato trionfalmente il bestseller del momento. È il pamphlet scritto e pubblicato in proprio dal generale Roberto Vannacci. Un capolavoro omofobo, razzista, misogino. E scorretto, cioè pieno di copia-incolla, strafalcioni grammaticali e anacoluti (2+ di incoraggiamento alla for-

ma, non classificabile ai contenuti). Per constatarne il livello da analfabetismo di ritorno, non ci voleva un linguista come Massimo Arcangeli, che ne ha scritto per il «Corriere della Sera». Sarebbe stato sufficiente un maestro di scuola elementare. Calembour degni dei nanetti del Terzesimo libro di Sani Gesualdi, opera del grande Nino Frassica(5½): «Abbiamo suon di politici e intellettuali», «Sbagliare è umano ma imperversare è diabolico», «Conosco personalmente altre persone che, pur avendo il passaporto tricolore, non spiaccicano più di un “Ciao? come stai?” nella nostra lingua». Proprio così, «spiaccicare» al posto di «spiccicare»: in genere, si spiaccicano le zanzare moleste, e si preferisce non spiccicare una parola piuttosto di dire castronerie. Ma il generale, pur essendo un alto grado dell’esercito tricolore, non lo sa. O lo sà?

no comparsi sui social profili fake di alcuni dei sette giovani palermitani arrestati con l’accusa di violenza sessuale. In uno, quello del ragazzo minorenne all’epoca dei fatti, risultato falso, sono apparse frasi come «Il carcere è di passaggio si ritorna più forti di prima», o ancora «C’è qualche ragazza che vuole uscire con me». Il tutto accompagnato da commenti che alternano odio e curiosità morbosa. La facilità con cui in poco tempo abbiamo preso per veri i video di alcuni dei violentatori di Palermo, dove tra balletti, faccine, cuoricini si minimizzava l’accaduto, si respingevano le accuse, ci si proclamava capri espiatori e vittime dell’odio social con l’hashtag #nonhofattonulladimale, dovrebbe farci paura quasi quanto la violenza. Come ha commentato Andrea Minuz su «Il Foglio» – «L’ingestibilità della bolla social ha raggiunto qui punti di non ritorno: se apriamo TikTok, fra i

primi video spuntano nome e profilo della ragazza violentata, la cui identità dovrebbe com’è ovvio restare ignota. Se andiamo su Telegram tutto un ripugnante mercato nero per entrare in possesso del “video dello stupro” e gente disposta a pagare parecchi soldi per vederlo. Ma per quanto abietto, il video girato da uno degli aggressori risponde ancora a logiche arcaiche e animalesche: l’umiliazione della vittima, il trofeo della violenza, l’impulso sadico, il voyeurismo da snuff movie, con la coda della sua ignobile compravendita nel deep web. Cose agghiaccianti, ma che conosciamo bene. Finito nelle mani degli inquirenti, il video si trasforma poi in prova e arma di giustizia. Diventa utile per ricostruire la dinamica dei fatti, la catena delle colpe e per rafforzare la testimonianza della ragazza». Il prof. Vittorino Andreoli, noto psichiatra, ha proposto una drastica so-

luzione sull’uso aberrante dei social: «Sono una disgrazia permessa dallo Stato, andrebbero cancellati». È una risposta sensata? Soprattutto, è possibile fermare la tecnologia? Ormai la rivoluzione digitale è entrata così prepotentemente nelle nostre vite da condizionarne i comportamenti, le idee, la società stessa in cui viviamo. Quando nacque la tv, molti pensavano ai disastri che avrebbe procurato, senza tener presente che era una comunicazione dall’alto verso il basso ed era in mano a persone responsabili. La diffusione dei social media, invece, attraverso una comunicazione di tipo orizzontale, alimenta un bisogno di visibilità: postare o condividere immagini e contenuti, anche personali e violenti, cercare consensi (like), cercare di esistere. Questi comportamenti costituiscono esempi di un «esibizionismo mediale» che spinge adulti e minori a atteggia-

menti disinvolti, disinibiti, spesso incuranti degli effetti reali delle condotte online. Come scrive Max Fischer in La macchina del caos «il giudizio tradizionale dei primi tempi – secondo cui i social media promuovevano il sensazionalismo e l’indignazione – seppur accurato si rivelò decisamente un eufemismo. Oggi esiste un corpus sempre più ampio di prove, raccolte da decine di studiosi, di giornalisti, di “talpe” e di cittadini preoccupati, che suggerisce che l’impatto dei social sia stato ben più profondo. Questa tecnologia esercita un’attrazione talmente forte sulla nostra psicologia e sulla nostra identità, ed è talmente pervasiva nelle nostre vite, da cambiare il nostro modo di pensare, di comportarci e di relazionarci con gli altri. L’effetto finale, moltiplicato su miliardi di utenti, è quello di cambiare la società stessa in cui viviamo».

Settimanale di informazione e cultura Anno LXXXVI 4 settembre 2023 azione – Cooperativa Migros Ticino 35 CULTURA / RUBRICHE ◆ ●
di Aldo Grasso
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5. 9 – 11. 9. 2023
Hit della settimana

Settimana Migros Approfittane e gusta

Migros Ticino Offerte valide dal 5.9 all’11.9.2023, fino a esaurimento dello stock. Da tutte le offerte sono esclusi gli articoli M-Budget e quelli già ridotti. Il nostro consigliosettimana:della Tutte le patate fritte M-Classic prodotto surgelato, per es. patate fritte al forno, 1,5 kg, 4.15 invece di 6.95 40% 15.45 invece di 23.45 Sminuzzato di pollo Optigal Svizzera, 2 x 350 g conf. da 2 34% Tutto l'assortimento Mister Rice bio per es. Carnaroli, 1 kg, 3.85 invece di 5.50 30% 20.90 invece di 29.90 Olio d'oliva Monini Classico o Delicato, 2 x 1 l conf. da 2 30% Salmì di capriolo, cotto, M-Classic UE, 600 g e 350 g, per es. 600 g, 13.10 invece di 21.90 40% 3.50 invece di 5.20 Prugne Germania/Svizzera, al kg 32%

Un tripudio di colori e vitamine

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4.90 invece di 7.–

Patate resistenti alla cottura Migros Bio Svizzera, busta da 2 kg

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Dal bosco al piatto

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Lattuga foglia di quercia Migros Bio 150 g

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Vitamine congelatoredal

30%

Verdura mista svizzera o piselli dell'orto Farmer's Best, IP-SUISSE prodotto surgelato, in conf. speciale, per es. piselli dell'orto, 1 kg, 3.65 invece di 5.25

Frutta e verdura 2
Migros Ticino
Hit

NOSTRANI DEL TICINO

Migros Ticino offre un assortimento di oltre 500 prodotti della regione. La scelta comprende articoli di tutte le categorie, dalla verdura alla carne, dai formaggi alle bibite fino alle specialità più ricercate. Tutti i prodotti provengono da fornitori locali che li lavorano in modo responsabile e sostenibile.

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Tutta l'uva sfusa per es. Uva Italia, Italia, al kg, 3.60 invece di 4.50
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Pezzi pregiati e trance gustose a prezzi davvero ben riusciti

e salumi 4 In vendita ora al bancone Festival dell'hamburger al bancone per es. hamburger di manzo, IP-SUISSE, per 100 g, 2.10 invece di 2.65 20%
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5 Offerte valide dal 5.9 all’11.9.2023, fino a esaurimento dello stock. Migros Ticino Stagionato 12 mesi 9.50 invece di 14.25 Mini cordon bleu di pollo Don Pollo prodotti in Svizzera con carne del Brasile, 3 x 180 g conf. da 3 33% speziata 2.20 invece di 2.85 Spiedini, IP-SUISSE per 100 g, in self-service 22% Ali di pollo Optigal al naturale e speziate, Svizzera, per es. al naturale, al kg, 9.– invece di 12.–, in self-service 25% 4.95 invece di 7.50 Prosciutto crudo Rapelli San Pietro affettato Svizzera, in conf. speciale, per 100 g 34% 3.95 invece di 4.95 Bratwurst di vitello IP-SUISSE 2 pezzi, 280 g, in self-service 20% 15.–invece di 20.50 Carne macinata di manzo Svizzera/Germania, 2 x 500 g conf. da 2 26% 2.20 invece di 2.80 Luganighetta nostrana Ticino, per 100 g, in self-service 20% 1.95 invece di 2.30 Costine di maiale Svizzera, per 100 g, in self-service 15% 3.85 invece di 4.55 Arrosto di vitello cotto affettato Svizzera, per 100 g, in self-service 15%

Il profumo del mare

Servono circa 500 g di cozze a persona

25%

12.95 invece di 17.40

Cozze fresche M-Classic, MSC pesca, Paesi Bassi, in conf. speciale, 2 kg

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Filetto di passera, MSC per es. M-Classic, selvatico, Oceano Atlantico nord-orientale, per 100 g, 2.85 invece di 3.60, in self-service

30%

12.60 invece di 18.–

Orata reale M-Classic, ASC d'allevamento, Croazia, in conf. speciale, 720 g

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10.95 invece di 19.80

Filetti di pangasio Pelican, ASC prodotto surgelato, in conf. speciale, 1,5 kg

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Ticino
a casa tua Pesce
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Novità: ora da coltivazione svizzera

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Ticino
Gamberetti tail-off cotti Migros Bio d'allevamento, Indonesia, in conf. speciale, 240 g Tagliatelle Teriyaki M-Classic prodotto surgelato, 400 g Cavoletti di Bruxelles Farmer's Best prodotto surgelato, 500 g

Prelibatezze per colazione, pranzo e

Formaggi e latticini 8 Migros Ticino Stagionaturadi almeno 4 mesi Combinabile in tanti modi per piatti sia dolci che salati Tutti i quark Migros Bio per es. quark magro, 250 g, 1.15 invece di 1.40 a partire da 2 pezzi 20% 1.95 invece di 2.45 Tilsiter surchoix Migros Bio circa 250 g, per 100 g, prodotto confezionato 20% 5.95 invece di 7.–Panna intera UHT Valflora, IP-SUISSE 2 x 500 ml conf. da 2 15% 1.80 invece di 2.15 Formaggella ticinese 1/4 grassa per 100 g, confezionata 15% 1.85 invece di 2.20 Formaggini freschi, aha! per 100 g 15% 2.50 invece di 2.95 Merlottino per 100 g, confezionato 15%
cena

Per te sullo scaffale, tra i prodotti di panetteria

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Pane e prodotti da forno 9 Offerte valide dal 5.9 all’11.9.2023, fino a esaurimento dello stock. Migros Ticino
Millefoglie
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invece di 5.–Biscotti prussiani M-Classic in conf. speciale, 516 g
Snack al latte Kinder refrigerati (articoli singoli esclusi), disponibili in diverse varietà, per es. fetta al latte, 5 pezzi, 140 g, 1.40 invece di 1.70 15% 15.35 invece di 19.20 Latte M-Drink UHT Valflora, IP-SUISSE 12 x 1 l conf. da 12 20% 5.20 invece di 6.50 Caprice des Dieux in conf. speciale, 330 g
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Highlight croccanti

LO SAPEVI?

Si chiama noce di barù, ma dal punto di vista botanico la brasiliana doc appartiene alla famiglia dei legumi. Come gusto ricorda le arachidi. Racchiude importanti nutrienti, per questo è considerata un superfood. E la nuova miscela proteica YOU contiene ben il 22% di noci di barù.

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You 10 Topping croccanti per skyr e quark magro Tutti i cereali You per es. Lentil Cacao Crunchy bio, 500 g, 4.75 invece di 5.95 20% 3.15 invece di 3.95 Cookies You Chocolate, Cranberry o Almond, 240 g
Tutti i chips You per es. hummus alla paprica, bio, 100 g, 2.60 invece di 3.30
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Tutti gli skyr You per es. vaniglia, 170 g, 1.40 invece di 1.80 20% Tutta le noci e la frutta secca You per es. Protein Mix, 170 g, 3.50 invece di 4.40 20%

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Con

6.30

Dolci e cioccolato 11 Offerte valide dal 5.9 all’11.9.2023, fino a esaurimento dello stock.
Irresistibili tentazioni
aromi di panpepato
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Palline Choco Coco plant-based V-Love 150 g 20x CUMULUS Novità
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Crème d'Or Vanilla Almond prodotto surgelato, 500 ml 20x CUMULUS Novità Cialde finissime Choc Midor Black & White, Classico o Noir, per es. Black & White, 3 x 200 g, 7.95 invece di 11.40 conf. da 3 30% Tutto l'assortimento Lindt per es. palline al latte Lindor, 200 g, 8.– invece di 9.95 a partire da 2 pezzi 20%
Pralinés For You Frey Creamy Hazelnut o Crispy Cacao, 150 g 20x CUMULUS Novità
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After Eight 200 g 20x CUMULUS
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2.50 Pennette rigate, spaghetti o tortiglioni Agnesi in conf. speciale, con il 50% di contenuto in più, per es. pennette rigate, 750 g

7.95 La Classica al formaggio Buitoni prodotto surgelato, 2 pezzi, 640 g

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Pizze La Trattoria prodotto surgelato, alla mozzarella, al prosciutto o al tonno, per es. alla mozzarella, 3 x 330 g, 5.– invece di 6.60

Scorta 12
Tutto l'assortimento Thai Kitchen per es. latte di cocco, 500 ml, 3.40 invece di 4.30 20%
20x CUMULUS
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da 3
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3
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8.85 Sugo di
x 400 g
conf. da 3
Hit

conf. da 2 20%

Quorn Cornatur

Scaloppina al pepe e limone o alla mozzarella e pesto, per es. scaloppina al pepe e limone, 2 x 220 g, 7.90 invece di 9.90

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Rio Mare disponibile in diverse varietà e in confezioni multiple, per es. Tonno al Naturale, 3 x 112 g, 10.95 invece di 14.10

Croccantezza per tutta la famiglia

conf. da 3

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Ripieno per vol-au-vent M-Classic con funghi prataioli e carne o Forestière, per es. con funghi prataioli e carne, 3 x 500 g, 10.75 invece di 13.50

20%

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Pom-Bär Original o alla paprica, in conf. speciale, 200 g

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Sciroppi in bottiglie di PET

750 ml o 1,5 l, per es. ai lamponi, 750 ml, 2.95 invece di 3.70

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Tutto l'assortimento Evian per es. 6 x 1,5 l, 4.40 invece di 6.60

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Tutte le farine Migros Bio

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Tutto l'assortimento di cereali Nestlé per es. Cini Minis, 500 g, 4.50 invece di 5.60

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Miele di fiori cremoso o liquido, per es. cremoso, 2 x 550 g

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El Tony 12 x 330 ml

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Succhi di frutta Sun Queen, Fairtrade arancia o multivitaminico, 6 x 1 l

Bevande 13 Offerte valide dal 5.9 all’11.9.2023, fino a esaurimento dello stock.

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14

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