Anno LXXXVI 4 dicembre 2023
Cooperativa Migros Ticino
G.A.A. 6592 Sant’Antonino
Settimanale di informazione e cultura
edizione
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MONDO MIGROS
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SOCIETÀ
TEMPO LIBERO
ATTUALITÀ
CULTURA
Oggi si combatte la diffusione di notizie false anche con l’aiuto dell’Intelligenza artificiale
A volte non occorre avere un gran motivo per rendere necessario un viaggio fra presente e passato
In Russia le compagne dei riservisti, in trincea da 15 mesi, si rivoltano contro il Cremlino
Nostalgia di un golf è la mostra del cantautore Paolo Conte in corso alle Gallerie Uffizi di Firenze
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Enrico Martino
Le avventurose ferrovie del Messico
Enrico Martino
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I maledetti tempi dell’irrealtà Carlo Silini
Accidenti ai linguisti. Verso la fine di novembre radunano in tutto il mondo giurie di esperti con professori, filosofi, artisti, scrittori e giornalisti per decidere qual è stata la parola dell’anno. Così facendo, costringono l’opinione pubblica a mettere il dito nelle piaghe sanguinanti dell’attualità. Ovvio che in cima alle classifiche spuntano termini che hanno segnato non solo l’ecosistema linguistico, ma anche le nostre esistenze, in genere più nel male che nel bene. A seconda del Paese, o – come nel caso elvetico – della regione linguistica, spiccano soprattutto le differenze. In Svizzera tedesca quest’anno ha vinto la parola da piazza finanziaria zurighese «monsterbank», con riferimento al crollo del Credit Suisse, salvato-divorato dal gigantesco e storico rivale dell’UBS. «Solarexpress» ha primeggiato nel romancio, dove la popolazione ha recentemente approvato un progetto di impianto fotovoltaico da 100 milioni di franchi. Svizze-
ri italiani e svizzeri francesi hanno privilegiato temi non solo locali. Gli italofoni hanno voluto «GPT», pensando all’irruzione nella vita quotidiana (cioè nei nostri inseparabili telefonini e pc) di strumenti come ChatGPT, capaci di creare testi e/o immagini grazie all’intelligenza artificiale. Un trend che con termini analoghi (Collins Dictionary ha scelto proprio «intelligenza artificiale») ha dominato la scena ovunque. I romandi, invece, si sono mossi tra realtà e simbolo, premiando il termine «décombres», macerie. Perché tutto crolla, di questi tempi: i palazzi bombardati in Ucraina e nella Striscia di Gaza, e numerose altre sicurezze. Nello stesso spirito, noi italofoni abbiamo messo al secondo posto «tunnel» con accezione sia locale (le magagne della galleria del San Gottardo) che internazionale (i cunicoli scavati dai terroristi di Hamas per trattenervi gli ostaggi e dirigere le operazioni belliche). Anche non volendo, la parola trasmette
l’impressione assai diffusa di trovarci ancora dentro un tunnel, con la luce giù in fondo. Si spera. Ragionando sulle parole, aleggia anche la percezione di vivere una sorta di tempo dell’«irrealtà». L’intelligenza è artificiale, appunto. E le comunicazioni a volte sembrano finte. «Ghosting» è la terza parola classificata dagli svizzero-tedeschi. Il termine viene utilizzato per indicare la pratica di interrompere bruscamente tutte le comunicazioni e i contatti multimediali con qualcuno. Sparire dal mondo virtuale degli scambi su chat e social, insomma, e farlo senza dare spiegazioni, come quando si abbandona il partner dicendo «esco a prendere le sigarette» e si scappa in Boeing 747 dall’altra parte del pianeta. Alla fine, resta l’impressione di aver parlato per un pezzo con un fantasma (ghost). Non è che stiamo impazzendo? Il Cambridge Dictionary, che è il dizionario online più popolare tra gli studenti di inglese, per dire, ha collo-
cato in cima alla lista delle parole più rilevanti del 2023 «hallucinate» e l’ha messo in reazione con l’IA, capace di produrre un linguaggio «in modo che sembri umano», ergo «ha allucinazioni e produce false informazioni». Consola, e quindi forse è la parola antidoto ai mali del momento, la scelta di Merrian-Webster, società Usa che produce dizionari, che ha optato per «authentic», autentico, temine che esprime il bisogno più profondo di oggi, la necessità di non precipitare dentro ai mondi, falsi o piuttosto bene imitati, dalle macchine. Autenticità da non intendere come pretesto per dare sfogo incontrollato ai lati peggiori del proprio carattere o agli istinti belluini. Siamo uomini, non bestie, ma neppure macchine. Autenticità come ancoraggio alla realtà, alle cose pensate con la nostra testa, fatte con le nostre mani, amate col nostro cuore. La luce in fondo al tunnel c’è, e siamo noi.
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Anno LXXXVI 4 dicembre 2023
azione – Cooperativa Migros Ticino
MONDO MIGROS
Il camion secondo bambine e bambini
Il nuovo logo del camion Migros è opera della fantasia di Gemma. (Fabio Gaspari)
Info Migros ◆ Il camion vendita della Migros ha un nuovo logo e un nuovo nome
Il camion vendita della Migros rappresenta solo una delle numerose idee e visioni del fondatore Gottlieb Duttweiler, ma certamente è quella che è rimasta nel cuore della gente, come ha recentemente dimostrato il successo del Nostalgia Tour. Nel mese di settembre il grande camion-supermercato ha visitato 24 località tra Ticino e Mesolcina, risvegliando i ricordi di chi lo aveva frequentato, e la curiosità di chi invece è troppo giovane per esserci mai salito. Fra questi vi è anche l’undicenne Gemma, residente a Stabio, che sulla scia dell’entusiasmo, dopo avere visitato il camion, ha parteci-
pato al concorso legato al Nostalgia Tour. Come recitava il concorso, bambine e bambini dovevano progettare un logo e trovare un nome per il camion vendita. L’undicenne Gemma con il suo disegno l’ha spuntata su tutti gli altri partecipanti. «Mia madre mi ha portato a visitare il camion nella tappa di Riva San Vitale e mi è piaciuto tantissimo», racconta, «così ho deciso di partecipare al concorso». Gemma, che ama disegnare, leggere, fare costruzioni con i Lego e lavoretti manuali, ha realizzato un disegno speciale: «Ho disegnato una ruota tagliata a metà, una parte rappresenta la ruota di gomma, l’altra i prodotti che si vendono alla Migros». La giovane Gemma, un carattere timido coniugato con una grande creatività, ha potuto toccare con mano il risultato dei suoi sforzi: il logo da lei creato è ora riprodotto sul camion, insieme al nuovo nome. «Migros Mobile» si chiama adesso il camion, grazie a un’idea di altri quattro vincitori del concorso: Gladys Buzzi, Liam Meli, Alois Mar-
Concorso ◆ Conosci persone che meriterebbero di veder realizzato un proprio sogno? Nominale ora!
tinelli e Arman Pacolli. Migros Ticino si congratula con tutti loro! Un camion, quello della vendita, ora ancora più vicino alle nuove ge-
nerazioni, poiché porta un nome e un logo scelti da loro. E che vedremo anche nei prossimi mesi, durante inaugurazioni ed eventi vari.
Un grande impegno premiato
Info Migros ◆ Congratulazioni ai nuovi specialisti del commercio al dettaglio di Migros Ticino Un traguardo che fa onore a tutta l’azienda, quello raggiunto da alcuni volenterosi dipendenti di Migros Ticino che hanno completato il loro percorso formativo di Specialisti del commercio al dettaglio. Come riporta il sito della Società impiegati commercio (sic), questi specialisti lavorano come sostituti della direzione di un negozio o di un punto vendita, come gerenti di filiale oppure come responsabili di reparto / settore nella vendita di servizi e prodotti. Essi assumono compiti di gestione e sviluppo dei collaboratori, svolgono mansioni a livello finanziario e contabile e si occupano di logistica e approvvigionamento. Gli specialisti nel commercio al dettaglio illustrano le strategie e i principi aziendali per l’attività quotidiana dei collaboratori, gestiscono e sostengono i propri team nella vendita e creano condizioni quadro favorevoli. Hanno completato la formazione come Specialisti del commercio al dettaglio Marco Ruberto (Gerente Losone), Giorgio Cassinelli (Gerente Boffalora), Stefano Della Santa (Responsabile Team Mercati specializzati Agno), Alessandro Galizia (Gerente Melano), Jasmina Banjac (Sostituto Gerente Bellinzona), Schertenleib Sascha (ex Sostituto Gerente Taverne attualmente
A Natale la Migros dà vita ai sogni
Da sinistra, Marco Ruberto, Sascha Schertenleib, Stefano Della Santa, Giorgio Cassinelli, Jasmina Banjac, Mattia Keller, Direttore Migros Ticino, Rosy Croce, Responsabile dipartimento Risorse umane Migros Ticino, e Jean-Marc Bassani, Responsabile dipartimento vendita (non nella foto Elia Patt e Alessandro Galizia; foto Fabio Gaspari).
Specialista CCR) ed Elia Patt (Sostituto Gerente Ascona). A distinguersi per i loro ottimi risultati sono stati Marco Ruberto, che con la sua media del 5.5 si è classificato al primo posto in Ticino e al secondo a livello nazionale, e Giorgio Cas-
sinelli con Stefano Della Santa che, con la loro media del 5.3, si sono piazzati al secondo posto del Ticino. Migros Ticino attribuisce da sempre grande valore alla formazione dei propri collaboratori e alle possibilità di carriera interne all’azienda.
Redazione Carlo Silini (redattore responsabile) Simona Sala Barbara Manzoni Manuela Mazzi Romina Borla Natascha Fioretti Ivan Leoni
Sede Via Pretorio 11 CH-6900 Lugano (TI)
Per questo la direzione e il centro di formazione di Migros Ticino si congratulano con tutti per il raggiungimento di questo importante traguardo e per aver ottenuto il certificato federale di Specialisti del commercio al dettaglio.
«La Migros fa di più per la Svizzera», anche a Natale. Grazie all’Albero dei sogni Migros, e al ritorno dell’amato folletto di Natale Finn, anche le persone e le famiglie svizzere meno fortunate dal punto di vista sociale o finanziario potranno festeggiare un buon Natale. Conosci persone particolarmente meritevoli di veder realizzato un loro sogno? Dalle vacanze in famiglia, passando per gli abbonamenti fitness e i corsi di formazione, fino ai biglietti per i festival e le esperienze molto speciali dietro le quinte della Migros, dal 19 novembre fino a Natale la Migros darà vita ai sogni della gente. Per nominare qualcuno, bisogna selezionare il sogno corrispondente da una delle cinque categorie presenti nella fucina dei sogni di Finn, il tenero folletto che a Natale diventa un simbolo inconfondibile della Migros. È possibile scrivere un breve messaggio di saluto o spiegare il motivo per cui è stata nominata una determinata persona. Il folletto Finn appenderà poi la nomination all’albero dei sogni digitale. Una stessa persona può essere nominata per più sogni, ma non può candidarsi da sola: è sempre necessario qualcuno che la nomini. Ogni giorno vi è inoltre anche la possibilità di vincere un buono acquisto sulla ruota della fortuna di Finn. I sogni da realizzare saranno estratti a sorte. Per partecipare e trasformare così i sogni in realtà collegarsi con www.migros.ch/traumbaum; registrarsi; scegliere un sogno da una delle cinque categorie. Buona fortuna!
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azione
Settimanale edito da Migros Ticino Fondato nel 1938 Abbonamenti e cambio indirizzi tel +41 91 850 82 31 lu–ve 9.00–11.00 / 14.00–16.00 registro.soci@migrosticino.ch
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SOCIETÀ ●
La povertà in Svizzera Se ne parla da quarant’anni ma non si riesce a debellare, anzi oggi è in aumento e assume nuove forme
L’inclusione giorno per giorno Intervista a Giada Besomi ideatrice e presidente dell’associazione New Ability di Lamone
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Istantanee sui trasporti Dopo l’apertura della galleria di base del Ceneri il trasporto pubblico segna una forte crescita
Libera la musica che è in te Nelle stazioni le FFS hanno messo dei pianoforti a disposizione di chiunque voglia suonare
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L’IA è un’arma potente contro la disinformazione
Tecnologia ◆ L’Intelligenza artificiale è usata anche per contrastare la diffusione di notizie false. Il professor Riccardo Gallotti, coordinatore del progetto europeo AI4TRUST, ci spiega come Mattia Pelli
L’osservazione che Riccardo Gallotti fa al termine dell’intervista, quando sto già chiudendo il quaderno degli appunti, è tutt’altro che banale. «Sempre più utilizzeremo strumenti come ChatGPT per scrivere testi. In questo modo la lingua usata dall’Intelligenza artificiale diventerà prescrittiva, e a poco a poco il nostro modo di scrivere si conformerà a quello che è considerato “giusto” dai suoi modelli linguistici». Ma non c’è inquietudine nelle parole di questo fisico teorico, che lavora a un progetto di contrasto della disinformazione online grazie all’Intelligenza artificiale (IA). «Le IA come ChatGPT non sono state addestrate a dire cose vere, sono solo in grado di unire parole che stanno bene insieme. Ma se gli chiedi di spiegarti la filosofia di Socrate, al momento possono farlo solo con la profondità di comprensione di un liceale».
Nella lotta alla disinformazione l’ultima parola spetta sempre agli esseri umani anche se supportati dall’IA. (Freepik.com)
Le nuove tecnologie sono utili anche per capire quanto le notizie false siano il risultato di una campagna concertata in modo volontario Il vero limite di questa nuova tecnologia di cui parlano tutti è la sua incapacità di considerare il contesto in cui le cose vengono dette e scritte; questa è una specialità degli esseri umani, che hanno l’ultima parola anche nel progetto europeo da sei milioni di euro finanziato dall’Ue e coordinato proprio da Riccardo Gallotti. Si chiama AI4TRUST, e ha lo scopo di combattere la disinformazione online grazie all’alleanza tra esseri umani e macchine. È coordinato dalla Fondazione Bruno Kessler (FBK) di Trento, l’Ente della Provincia autonoma che opera nel campo scientifico tecnologico e delle scienze umane e che è riuscito a ritagliarsi un ruolo importante nel campo delle IA a livello internazionale. Sulla collina che si affaccia sulla città sede dell’FBK, Riccardo Gallotti lavora con i colleghi a un sistema di raccolta dati che consentirà di monitorare numerose piattaforme social online quasi in tempo reale, segnalando, mediante l’analisi di testo, audio e video i contenuti ad alto rischio di disinformazione. Questi verranno poi rivisti da esperti, i cosiddetti fact-checkers, che si occuperanno del debunking, cioè di confutare sulla base dei fatti le fake news. Anche se questo termine non piace a Riccardo Gallotti, che preferisce utilizzare quello di misinformazione – nata da un errore involontario – o di disinformazione, quando la notizia falsa viene diffusa con intenzioni manipolatrici. I risultati di questo
lavoro saranno messi a disposizione degli addetti ai lavori e dei professionisti dell’informazione su una piattaforma dedicata. L’impegno in questo campo di Riccardo Gallotti, che dirige il CHuB Lab (The Complex Human Behaviour Lab) della FBK, viene da lontano: formatosi come fisico teorico, si appassiona alla fisica della complessità, quella che studia non gli oggetti in quanto tali ma i rapporti che hanno tra di loro. Si occupa di trasporto pubblico e di spostamenti in aereo usando i dati che – fino all’avvento di Elon Musk – si potevano liberamente trarre da Twitter e nel gennaio del 2020 alla FBK viene coinvolto in un progetto lanciato dal professor Manlio De Domenico, ora all’Università di Padova. Lo scienziato ha avuto l’idea di seguire l’evoluzione della disinformazione attorno a un virus che ancora non interessava a nessuno: nasceva così l’Infodemic Observatory for COVID-19, che verrà poi sostenuto dall’OMS come strumento di monitoraggio della diffusione della misinformazione attorno alla pandemia. Ma come funziona AI4TRUST?
«Prima di tutto – spiega Riccardo Gallotti – abbiamo individuato tre temi attorno ai quali lavorare: il cambiamento climatico, la salute pubblica e la questione dei migranti, tutti argomenti con un impatto globale e su cui prolifera la disinformazione. Grazie a degli strumenti di data science scandagliamo un set di parole chiave ma anche di utenti e gruppi chiave presenti sui social media e su alcune testate online. Il risultato è una grande mole di dati che viene data in pasto all’intelligenza artificiale, la quale estrae le tematiche e le narrative emergenti in rete e le segnala al team internazionale di professionisti dell’informazione, che si occupa di verificare la loro veridicità, le seleziona e le sottopone al vaglio della critica. Inoltre, grazie all’IA e a strumenti matematici propri della scienza delle reti complesse, si può riuscire a capire quanto le notizie false siano il risultato di una campagna concertata in modo volontario oppure no». Viene in mente, naturalmente, la campagna elettorale che portò all’elezione nel 2016 di Donald Trump a presidente USA, segnata dall’interfe-
renza di operazioni di disinformazione sui social orchestrate dalla Russia. Insomma, l’obiettivo di AI4TRUST è quello di creare una piattaforma di consultazione dove i professionisti possano avere sott’occhio i trending topics, cioè i temi attorno ai quali cresce la disinformazione in un dato periodo. In questo caso l’IA funziona come un filtro, che sulla base dei modelli su cui è stata «educata» riesce a fornire materiale già selezionato ai revisori umani cui spetta l’ultima parola. Ma come fare a istruire l’Intelligenza artificiale? «Prendiamo l’esempio dei discorsi di odio: si mette a punto una tabella di Excel con 1000 frasi valutate da annotatori umani come hate speech (linguaggio d’odio, ndr.) e altre 1000 valutate come di linguaggio normale. Sulla base di queste l’IA impara a differenziare le une dalle altre, in un processo di apprendimento continuo basato su set di dati che gli vengono dati in pasto, mentre le sue competenze vengono continuamente testate». Quello della disinformazione è un tema delicato e di grande impatto, anche politico: secondo un’inchiesta in-
ternazionale IPSOS del 2019 ben 86% dei 25mila intervistati in tutto il mondo sostenevano di essere stati confrontati a fake news su Internet, in particolare su Facebook, e quasi nove su dieci hanno ammesso di averci inizialmente creduto. Il nuovo fronte della battaglia contro la disinformazione online è quello dei deep fake, cioè fotografie, audio o video modificati in modo così realistico dalle IA da sembrare veri: il politico al quale si fa dire il contrario di quello che ha detto veramente oppure una innocente foto di un’adolescente che viene trasformata in un nudo, come è successo recentemente in Spagna. «Paradossalmente – spiega Riccardo Gallotti – per un’IA è più facile riconoscere i deep fake in un video o in un audio che le fake news in un testo scritto. Anche perché alcune comunità nelle quali si è diffusa la disinformazione su alcuni temi hanno imparato ad usare i neologismi per passare sotto i radar». L’IA è dunque un’arma potente nelle mani di chi vuole diffondere notizie false. Ora potrà esserlo anche per chi vuole opporsi alla loro diffusione.
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MONDO MIGROS
Prosciutto di San Daniele DOP
Attualità ◆ Un prodotto sopraffino che racchiude tutta l’eccellenza ed esperienza dei mastri prosciuttai friulani
Azione 34% Prosciutto crudo San Daniele per 100 g Fr. 6.60 invece di 10.10 solo lunedì 4 e martedì 5.12.2023 fino ad esaurimento dello stock
Sulla tavola delle feste non possono mancare alcune chicche culinarie di particolare pregio. Una di queste è sicuramente rappresentata dal Prosciutto di San Daniele, specialità originaria dell’omonima cittadina del Friuli, conosciuto per il suo sapore delicato, l’inconfondibile tenerezza e il tipico aroma dolce. Diventato un’eccellenza italiana apprezzata in tutto il mondo, il crudo San Daniele viene prodotto con passione e dedizione da mastri prosciuttai seguendo metodi e regole di secolare tradizione che gli regalano una delicatezza unica. Dal 1996 la specialità è riconosciuta come prodotto a Denominazione di Origine Protetta (DOP), vale a dire che si distingue per avere la zona di origine esclusiva e rigorosamente de-
limitata, con l’obbligo di rispettare le severe norme del Disciplinare di Produzione lungo l’intera filiera. Il San Daniele è fatto esclusivamente con tre ingredienti essenziali: cosce di maiali allevati in Italia, sale marino e il microclima unico della località friulana che assicura al prodotto una stagionatura ideale. L’aroma elegante e delicato del San Daniele è un perfetto connubio tra dolcezza e fragranze tipiche della carne stagionata. Possiede un bel colore rosato con striature bianche uniformi del grasso della marezzatura. Il sapore si fa più intenso con il passare della stagionatura, che deve essere di minimo 13 mesi ma può protrarsi anche fino a 24 mesi per ottenere un prodotto dalle qualità incomparabili.
Tutto il sapore del mare
Attualità ◆ Gli scampi sono tra i crostacei più apprezzati e permettono di preparare piatti molto raffinati. Per i vostri fantastici piatti festivi vi proponiamo gli scampi MSC surgelati a un prezzo speciale, ma solo sabato 9 dicembre
Voglia di gustare qualcosa di raffinato dal sapore di mare, sfizioso e facile da preparare? In questo caso un piatto a base di scampi è sicuramente la scelta perfetta per prendere per la gola i propri ospiti. Crostacei molto amati per il loro sapore delicato e morbido, la carne magra dalla consistenza compatta e l’assenza di lische, gli scampi sono un’autentica bontà cucinati nei
modi più svariati: alla griglia, saltati in padella, al forno, al vapore o bolliti. Il loro aspetto si caratterizza per il bel colore rosa, la forma allungata e le sottili chele. I crostacei possono raggiungere una lunghezza di 15 cm e pesare fino a 200 g. La coda è l’unica parte commestibile. Se acquistati interi, devono essere sgusciati e privati dell’intestino prima del consumo.
Scampi gratinati al forno
Azione Hit Scampi surgelati MSC, 750 g Fr. 29.90 solo sabato 9.12.2023, fino ad esaurimento dello stock
Una ricetta semplice per un piatto festivo da leccarsi i baffi Ingredienti per 2 persone: 12 scampi – 4 cucchiai di formaggio grattugiato – 4 cucchiai di pangrattato – 2 spicchi d’aglio tritati finemente – succo di 1 limone – prezzemolo fresco tritato – 4 cucchiai di burro fuso – sale e pepe q. b. Preparazione: Preriscaldare il forno a 200° C. Mescolare bene in una ciotola formaggio, pangrattato, un po’ di prezzemolo tritato, aglio, burro fuso, succo di limone, sale e pepe, fino ad ottenere un composto omogeneo. Disporre gli scampi puliti in una teglia e spalmarli con il composto fino a coprire i crostacei. Passare la teglia in forno per 15-20 minuti fino a quando sulla superficie si forma una crosticina dorata e croccante. Servire con una maionese alle erbe o una salsina al limone accompagnate da un’insalatina fresca o verdure miste.
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MONDO MIGROS
Idee regalo fai da te
Attualità ◆ Il blog di Do it + Garden Migros ti offre tante idee creative per dei regali natalizi unici e originali Adventskranz im klassischen Look Couronne de lʼ’avent version classique Corona dell’Avvento in stile classico 12 Alter/Âge/Età
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SOCIETÀ
La povertà in un Paese ricco
Fragilità sociale ◆ L’indigenza in Svizzera e in Ticino è una realtà. Se ne parla da quarant’anni, ma non si riesce a debellarla, anzi, è in aumento e si declina in forme diverse Fabio Dozio
«Il mio auspicio è di essere un giorno disoccupato, ma sarà difficile. Constato infatti un aumento delle richieste di aiuto da parte di persone che hanno storie diverse, che non hanno mezzi sufficienti e non sempre riescono ad avere accesso agli aiuti pubblici. È una fascia grigia di popolazione che non ce la fa e si rivolge a noi». È fra Martino Dotta che ci racconta la sua esperienza quotidiana di paladino dei poveri in Ticino. Ha creato la Fondazione Francesco per l’aiuto sociale che gestisce due strutture di accoglienza, il centro Bethlehem, che da poco ha sede nella masseria di Lugano Cornaredo, e Casa Martini a Locarno. Fra Martino non sarà mai disoccupato, purtroppo, perché la povertà in Ticino e in Svizzera è una realtà in aumento. «C’è un aspetto che mi crea un grande sconforto: vedere che chi è in una situazione di precarietà non riesce a uscirne, malgrado tutti i nostri sforzi». La povertà in Ticino è uno studio della metà degli anni Ottanta, curato dall’economista Christian Marazzi. Un lavoro importante che ha illuminato il Paese su un fenomeno che sembrava tabù. «Rispetto agli anni Ottanta è cambiata la percezione, – ci dice Marazzi – ora si sa che la povertà esiste, allora lo studio era visto come una curiosità. Guardando anche retrospettivamente, si rilevano delle costanti: la categoria più fragile è costituita dalle famiglie monoparentali, che svelano il rilievo della dimensione femminile, poi anche le famiglie numerose. Un cambiamento nel corso degli anni riguarda la povertà fra gli anziani: sembrava quasi estinta o almeno contenuta, invece c’è un ritorno. Il reddito fisso, ossia pensioni che non aumentano, subisce le conseguenze dell’inflazione». La Svizzera è un Paese ricco, ai vertici delle classifiche mondiali. Ma, si sa, la ricchezza non è distribuita equamente fra la popolazione. Il numero dei poveri è alto e dal 2014 è in continuo aumento. La pandemia è stata una mazzata per molti e ora c’è l’inflazione. Nel 2021, circa 745mila persone, vale a dire l’8,7% della popolazione, era colpito da povertà reddituale. L’Ufficio federale di statistica (UST) conferma che le persone più frequentemente colpite da povertà reddituale sono quelle straniere, che vivono sole o in famiglie monoparentali, senza formazione postobbligatoria e che sono escluse dal mercato del lavoro. Parallelamente, una persona su venti era in una situazione di deprivazione materiale e sociale. Il 5,2%, circa 448mila persone, era confrontato con questa deprivazione, che significa essere costretti a rinunciare a importanti beni, servizi e attività sociali per ragioni finanziarie: per esempio, non essere in grado di sostenere una spesa imprevista di 2500 franchi in un mese.
Se lavorare non basta Ma non è detto che lavorare basti per evitare il baratro della povertà. Il mondo del lavoro è sempre più difficile: aumenta il precariato, non manca la disoccupazione, gli stipendi sono fermi e in Ticino siamo confrontati con bassi salari e dumping. Il fenomeno dei working poor è ormai radicato e, in Svizzera, nel 2021 si contavano circa 157mila persone occupate che non
Collaboratori della Centrale alimentare di Caritas Vaud caricano derrate alimentari destinate ad associazioni attive sul territorio. (Keystone)
hanno percepito un reddito superiore alla soglia di povertà, nonostante avessero un impiego. «La povertà laboriosa – precisa Christian Marazzi – ha ormai una dimensione strutturale, perché dipende da un modello liberista di crescita economica, dove la precarietà è la regola. Il dato nuovo sono gli indipendenti, un gruppo professionale che in Ticino conta circa 28mila persone. Si tratta di neoindipendenti, soggetti dell’esternalizzazione delle imprese, di chi fa lavoretti o lavora a tempo parziale. Durante la pandemia hanno rivelato la loro fragilità. Tant’è vero che il Consiglio federale in sei giorni ha esteso l’indennità di perdita di guadagno a questa categoria. Ecco un esempio di come, se si vuole, si possono adottare misure incisive per contrastare la povertà».
Secondo l’Ufficio federale di statistica nel 2021 in Svizzera più dell’8% della popolazione era colpito da povertà reddituale Un quadro preoccupante. La soglia di povertà utilizzata dall’UST è determinata dalla Conferenza svizzera delle istituzioni dell’azione sociale (COSAS). Nel 2021 ammontava mediamente a 2’289 franchi al mese per una persona che viveva da sola e a 3’989 per due adulti con due bambini. Decisamente difficile far quadrare i conti con entrate simili, anche se, da questi redditi, sono stati dedotti i premi della cassa malati, le imposte e i contributi delle assicurazioni sociali. «Si rivolgono a noi – ci spiega fra Martino – non solo nuclei famigliari, ma anche singole persone che sono al beneficio dell’invalidità o dell’assistenza, ma che non ce la fanno, perché magari hanno debiti da recuperare e il margine di manovra per il sostentamento si riduce. Abbiamo riorganizzato la consulenza e il lavoro di orientamento sociale per rispondere alle numerose richieste di aiuto. Poi incontriamo anche molti stranieri, ex richiedenti l’asilo, che hanno ottenuto il permesso B e possono esercitare un’attività lucrativa, ma si tratta di lavori precari e poco qualificati che non permettono di uscire da una situazio-
ne di bisogno e di fragilità. Stranieri che vivono con il timore di perdere il permesso e quindi non osano chiedere i sussidi per la cassa malati. In questo Cantone c’è una popolazione straniera che si sente minacciata».
legare alla benevolenza delle organizzazioni umanitarie, come la nostra, un sostegno che potrebbe essere garantito dall’ente pubblico. L’assistenza da sola non basta, c’è troppa gente che vive con l’acqua alla gola».
In Ticino
Le richieste di Caritas e il ruolo della Confederazione
Per quanto riguarda il Ticino, si stima che circa 80mila persone siano confrontate con il rischio povertà. Cosa può fare lo Stato? «Nelle misure di contrasto alla povertà, lo Stato ha fallito. – afferma Marazzi – Non ha dimostrato in modo sistematico di voler affrontare la questione. In Ticino l’unico tentativo riuscito, almeno in parte, per affrontare la povertà delle famiglie, è stata la creazione, con Pietro Martinelli al Dipartimento della della sanità e della socialità, degli assegni di prima infanzia e degli assegni integrativi. È stata l’unica misura innovativa che ha permesso di evitare che le famiglie si impoverissero alla nascita di un figlio. Lo spirito di quelle prestazioni era superare l’assistenzialismo. Per il resto, niente: è stato perfino eliminato l’Ufficio delle abitazioni economiche. Di fronte a questa inerzia dello stato sociale si è animato il privato sociale: Tavolino magico, Soccorso d’inverno, fra Martino, ecc. Non è un caso che durante la pandemia gli indipendenti si siano rivolti a queste strutture private, alle associazioni caritatevoli. Se si fossero rivolte all’assistenza, avrebbero dovuto privarsi del furgoncino o dei locali che usavano per il loro lavoro, perché, se possiedi beni, non hai diritto ai sussidi. Questo la dice lunga sulla impreparazione, rigidità e fiscalità delle istituzioni». Altri due dati sono significativi per contestualizzare la fragilità del Cantone. Per quanto riguarda il fisco, un quarto della popolazione soggetta all’imposizione fiscale non paga tasse. 110mila persone, quasi un terzo della popolazione, beneficiano dei sussidi cantonali per l’assicurazione malattia, per una spesa del Cantone di 335 milioni di franchi. «Una cosa che ripeto da tempo – ci dice fra Martino – è che, a mio avviso, lo Stato dovrebbe coordinare meglio gli aiuti alla popolazione: si assiste alla tendenza di de-
Caritas svizzera è da sempre impegnata a lottare contro la povertà e denuncia le lacune e i difetti del nostro sistema di sicurezza sociale. Per contrastare la povertà, che è ormai strutturale, Caritas «chiede al mondo politico ed economico di garantire a tutta la popolazione della Svizzera una vita dignitosa con una sicurezza sociale». Per raggiungere l’obiettivo di abolire la povertà si avanzano sei richieste: lavoro dignitoso con stipendi che assicurino la sussistenza, pari opportunità educative, pari possibilità per tutte le famiglie, un sistema sanitario privo di barriere, la garanzia della sussistenza e un alloggio a prezzi accessibili. Caritas insiste nel proporre una riforma fondamentale del sistema svizzero della sicurezza sociale. C’è dispersione fra chi eroga prestazioni, è necessaria una sola istituzione che garantisca una previdenza pubblica di base a tutta la popolazione. La Confederazione, da parte sua, ha prolungato fino al 2024 la «Piattaforma nazionale contro la povertà», che dovrebbe sviluppare le misure di prevenzione. Tanti studi sullo stato della socialità elvetica, ma misure che sembrano rimanere nel limbo della teoria. In particolare, si spiega che si potrà intervenire anche «con minori mezzi» e che «il Governo rinuncerà altresì all’erogazione di aiuti finanziari a progetti pilota o manifestazioni di terzi». Dulcis in fundo: «Per l’attuazione operativa delle misure, in qualità di organo responsabile, l’Ufficio federale delle assicurazioni sociali (UFAS) avrà a disposizione un credito per beni e servizi pari a 250mila franchi l’anno e risorse di personale per 1,4 posti». Il Consiglio federale investe poco per combattere la povertà, anche se sappiamo che il federalismo prevede che siano i Cantoni ad assistere gli indigenti.
«C’è un vuoto sul piano federale, la Confederazione è assente. – sostiene Marazzi – Rimane la via delle iniziative popolari, come quella che proponeva il reddito universale o reddito di base. Ma l’ideologia del lavoro di cui è ancora impregnata la società elvetica è un ostacolo non indifferente. La povertà è un risvolto di un modello iper produttivista e dell’ideologia del successo e questo non può che produrre esclusione ed emarginazione. Se non si affrontano le cause delle disuguaglianze con misure radicali, come il reddito universale, non se ne esce. Negli anfratti della povertà si annidano forme di populismo, come chi dice che l’immigrazione crea povertà, mentre è vero il contrario».
Una nuova forma di povertà «Vorrei segnalare che c’è anche una nuova forma di povertà, – spiega fra Martino – una povertà relazionale, non tanto economica, ma che riguarda le relazioni interpersonali. Con la pandemia è emersa la rinnovata necessità di socializzazione informale, da ricercare non in ambienti strutturati o istituzionali, come Pro Senectute o Pro Infirmis, ma semplicemente per cercare un’occasione di incontro. Perciò molte persone sole vengono a pranzo alle nostre mense di Locarno e Lugano. C’è un bisogno di ritrovare fiducia negli altri». La povertà nella ricca Svizzera è dunque una realtà che non si riesce a debellare. Fra Martino saluta positivamente il maggior interesse per il tema della povertà: «Se ne parla in convegni e incontri, ma il rischio è di fermarsi lì, di discuterne senza poi fare granché per cambiare le cose: basta guardare alle conseguenze delle difficoltà finanziarie del Cantone». Eppure, la Costituzione elvetica è chiara in proposito. All’articolo 12 recita: «Chi è nel bisogno e non è in grado di provvedere a sé stesso ha diritto di essere aiutato e assistito e di ricevere i mezzi indispensabili per un’esistenza dignitosa». E all’articolo 41: «La Confederazione e i Cantoni si adoperano affinché ognuno possa trovare, per sé stesso e la sua famiglia, un’abitazione adeguata a condizioni sopportabili».
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Anno LXXXVI 4 dicembre 2023
azione – Cooperativa Migros Ticino
Metafora onirica di un Paese stra
a i r e h c n a Bi e l i b i n e t s o s e v o e l t e r o f con
Reportage ◆ Nel romanzo Ferrovie del Messico di Gian Marco Griffi, il protagonista astigiano ha ricevuto l’incarico di mappare la quasi Enrico Martino, testo e foto
John Wayne, James Coburn, Pancho Villa, Gustave Eiffel. Un’ammucchiata di star hollywoodiane, rivoluzionari e archistar unite da un improbabile comun denominatore, il treno sullo sfondo di deserti minerali e canyon spettacolari. Non c’è da stupirsi se le ferrovie messicane, metafora onirica di un Paese straordinariamente impossibile, sconvolgono anche la grama esistenza di Magetti Francesco detto Cesco, milite repubblichino nella Asti del 1944, che nel bel mezzo della Seconda guerra mondiale riceve l’ordine perentorio di tracciare una mappa della rete ferroviaria messicana. Ci voleva la fantasia di Gian Marco Griffi per trasformare questo vortice kafkiano di guerra, amori e morte nelle Ferrovie del Messico (Laurana edizioni, 2022), eletto a furor di popolo romanzo cult, tanto da essersi aggiudicato il titolo di «Libro dell’anno» di Fahrenheit (noto programma radiofonico condotto da Loredana Lipperini per la Rai), ed essere finito nella dozzina dello Strega di quest’anno.
Oggi solo il Ferrocarril Chihuahua al Pacifico, l’ultimo treno passeggeri ostinatamente deciso a resistere, lancia ogni mattina il suo fischio lacerante nella stazione di Chihuahua prima di inerpicarsi lungo la Sierra Madre del Norte per sbucare sul PaOggi solo il Ferrocarril cifico quindici ore e 652 chilometri dopo, oltre a 86 gallerie e 39 ponti, Chihuahua al Pacifico, se tutto va bene. Uno tra i più spettal’ultimo treno passeggeri colari percorsi ferroviari del mondo, ostinatamente deciso terminato nel 1961 ottantanove anni e a resistere, lancia ogni una Rivoluzione dopo il progetto inimattina il suo fischio ziale, realizzando il sogno un po’ folle di Albert Owens, fondatore di una da uomo Una rete ferroviaria sospesa da sem- Maglietta colonia «socialista» a Topolobambo Migros Essentials pre in una dimensione quasi onirica, in Messico, di collegare il Mid-West bio, elastam, tra improbabili gloriosi destini e tra- in cotone degli Stati Uniti con i porti messicani colli verticali, travolta dai tagli neo- disponibile in abbreviando diversi colori, sul Pacifico, la distanza liberisti della fine del secolo scorso. tg.con l’Estremo Oriente. S–XXL, al pezzo I cantori più famosi dei suoi ultimi Ne avrebbe di storie da raccontare rantoli sono stati gli scrittori Paul questo treno che attraversa da sempre Theroux e Maruja Torres che – attra- sogni d’argento e di follia, dove chi versando il continente dalla Patago- può guarda scorrere il paesaggio dai nia al confine con gli Stati Uniti, il finestroni panoramici del Vistatren – primo con L’Ultimo Treno della Pata- riverito da controllori con divise da gonia, la seconda con Amor America film di Walt Disney – e tutti gli altri – hanno dedicato alcune imperdibili usano la ferrovia al posto di una strapagine proprio alle ferrovie messica- da che non c’è accalcandosi in convone. Negli anni Ottanta del Novecen- gli che partono quando se lo ricordato a cantare i treni della rivoluzione no e arrivano quando possono. Sotto ci ha pensato anche Amparo Ochoa, i loro piedi, i binari si srotolano lunla Voz de Mexico che infiammava stu- go il labirinto di rocce della Barrandenti, campesinos e operai con il Cor- ca del Cobre, il «Canyon del Rame», rido de Pancho Villa, rievocando le quattro volte più esteso del Grand sbiadite fotografie di soldaderas che si Canyon del Colorado, con i suoi cosporgono dai vagoni ostentando fie- lori minerali che ti afferrano alla goramente cartuccere e polverosi fucili. la, praticamente immutati dal 1541
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Copper Canyon (Barranca del Cobre): ferrovia panoramica da Chihuahua al Pacifico; a sinistra, Durango, ranch La Joya, un tempo di proprietà di John Wayne, utilizzato per molti film western; sotto da sinistra: sul treno tra Los Mochis e Chihuahua; isolati nel remoto paesaggio della formidabile e spettacolare Barranca del Cobre (Copper Canyon) vivono più di 50mila Tarahumara, il primo popolo indiano più numeroso del Messico settentrionale che si fa chiamare Raramuri, «corridori», per la capacità di correre su lunghe distanze; incontri particolari sul treno occidentale di John Wayne.
quando i conquistadores della spedizione di Coronado cercarono quassù le mitiche città d’oro di Cibola. Sembrerebbe facile la chiave d’accesso a una delle aree naturali più incontaminate dell’America Settentrionale ma i suoi segreti si nascondono nelle viscere di canyon invisibili ai turisti che gridano «terrific» affollandosi per il selfie di rito davanti allo spettacolare anfiteatro di rocce dello spartiacque di Divisadero. Di notte, però, quando i turisti sono rintanati nei loro hotel, poche luci fioche sparpagliate tra gli strapiombi segnalano le presenze quasi invisibili delle rancherias dove vivono i Tarahumara. «È la vita moderna ad essere arretrata rispetto a loro, non sono i Tarahumara a essere arretrati rispetto al mondo d’oggi», aveva scritto un secolo fa il drammaturgo e saggista francese Antonin Artaud, folgorato da questo popolo di nomadi verticali, forse aiutato anche dallo sballo del peyote. Non c’è stato bisogno di visioni allucinogene, negli anni Novanta, per un assalto al treno in stile western di bandidos che avevano sostituito scalpitanti cavalli con più Slip a vita alta da donna modeste mountain bike approfittando dell’ansimare del treno Migros a ogni sa- Essentials in poliammide riciclato, GRS, lita. Era finita male, con un turista polizia» racconta con impassibile iroolandese freddato senza troppi pro- disponibile elastam, in diversi nia un al poliziotto blemi mentre li riprendeva forse pencolori, tg. S-XXL, pezzo privato impugnansando di trovarsi in un reality. «Si do il suo cuerno de chivo, il «corno di sono ammazzati tra loro per la sparti- capra» come viene soprannominato il zione del bottino, senza bisogno della popolarissimo kalashnikov mentre il
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SOCIETÀ
Costruire castelli da abitare col cuore Inclusione ◆ Intervista a Giada Besomi fondatrice dell’associazione New Ability
Notizie in breve Redazione
Alessandra Ostini Sutto
È nato «Vivavoce» «Il nostro slogan è: realizziamo sogni, costruiamo castelli e li abitiamo con il cuore», afferma l’esperta di educazione fisica adattata e inclusione Giada Besomi a proposito di New Ability, con sede a Lamone, di cui è fondatrice e presidente. Missione dell’associazione è infatti quella di proporre attività di qualità aperte a tutti (bambini, anche molto piccoli, adulti, con e senza disabilità, di tutte le culture), con lo scopo di trovare dentro a ogni persona le risorse, le abilità e le passioni che le permettano di evolvere e realizzare ciò in cui crede.
L’associazione nata nel 2011 promuove l’inclusione sociale di persone con malattia, disabilità o vulnerabilità Il progetto ha preso avvio nel 2011, con un corso rivolto a insegnanti sportivi. L’anno successivo, Giada Besomi – da sempre animata da una forte passione per l’arte, la danza, il teatro e lo sport – ha iniziato, con alcuni insegnanti di danza, a proporre delle attività a un gruppo di ragazze con disabilità. Da qui è nato un progetto di danza integrata, disciplina in cui persone con e senza disabilità ballano insieme. Nel 2015 è stata fondata l’associazione New Ability, che oggi offre un ampio ventaglio di corsi e attività, le quali permettono ai partecipanti di entrare in contatto, divertirsi, esprimersi e vivere dei momenti di creatività, nel rispetto delle proprie caratteristiche, attraverso l’arte, la danza lo sport e la cucina. Di questo interessante progetto, abbiamo parlato con la sua altrettanto interessante creatrice, Giada Besomi, la cui storia viene raccontata in 101 donne di successo in Ticino di Michele Lo Nero (Edimen, in collaborazione con Fontana Edizioni, 2022). Facciamo un passo indietro; è vero che con la creazione della sua Associazione ha realizzato qualcosa da lei sognato fin da quando era bambina? Da piccola avevo il sogno di creare una scuola frequentata indipendentemente dalle abilità o da eventuali malattie o disabilità di ogni bambino. Sognavo corsi di teatro, danza, arte e sport ad affiancare le classiche materie. Fin dalla scuola dell’infanzia ho avuto l’occasione di conoscere bambini stranieri, che arrivavano da contesti differenti, compagni con difficoltà scolastiche e disabilità. Amavo osservare ed entrare in contatto con chi aveva delle diversità, cercando di trovare quel punto in comune che ci dava la possibilità di collaborare, conoscerci e apprendere. E crescendo, com’è continuata la sua storia, da questo punto di vista? Nell’adolescenza, così come da adulta, ho mantenuto la curiosità di comprendere l’altro, scoprire nuove culture, nuovi contesti sociali. Nello stesso tempo ho continuato a coltivare le mie passioni per lo sport, l’arte, la musica e le arti sceniche. Ho iniziato a svolgere volontariato da giovanissima, ampliando le mie conoscenze nello sport adattato al-
Un momento di uno spettacolo finale dei corsi di danza e teatro aperti a tutti, bambini, adulti, persone con e senza disabilità, persone di tutte le culture, che l’associazione propone fin dalla sua nascita.
la disabilità, nella cultura inclusiva e nell’aiuto a famiglie e giovani vulnerabili. Abbiamo compreso da dove nasce il suo interesse per le tematiche dell’inclusione; questo ha avuto un’influenza sulla scelta del suo percorso di studi? La convinzione che ogni individuo è unico e che le diversità sono un arricchimento, mi ha dato la spinta per intraprendere gli studi nella psicologia sportiva, nel coaching arte e spettacolo, nel counselor sistemico famigliare e nell’attività fisica adattata. Percorsi particolari che non erano conosciuti alle nostre latitudini, ma che mi hanno permesso di varcare i confini, conoscere nuove realtà, altre lingue e molti professionisti di diversi settori. Cosa l’ha spinta, a un certo punto, ad intraprendere la strada che l’ha portata alla creazione di New Ability? Nel 2010 ho cominciato a pensare a come creare un cambiamento culturale nella visione dell’inclusione in Ticino. Ho iniziato a studiare il territorio, a parlare con famiglie e persone con disabilità e vulnerabilità per capire i loro bisogni. Nel 2011 si è presentata la possibilità di offrire un corso di danza adattato all’interno di una scuola di danza; da qui è partita l’avventura, che negli anni si è trasformata in New Ability. Qual è la filosofia propria dell’associazione? Crediamo che ogni individuo ha la possibilità di vivere appieno la propria esistenza e che ogni elemento di diversità diventa risorsa di un benessere comune, che è poi quello che intendiamo promuovere, unitamente alla diffusione di una cultura inclusiva e socialmente responsabile. Una visione rappresentata in modo significativo dal vostro logo… Il simbolo di New Ability è una mano con al centro una stella. La stella rappresenta le passioni, i sogni e le capacità. La mano suggerisce che
ognuno ha in essa il proprio destino. La mano rappresenta quindi il fatto che ognuno può decidere cosa fare per cercare di ottenere il meglio nella propria vita e concretizzare i propri sogni. La mano rappresenta anche il gruppo composto da persone diverse per cultura, età, genere, status sociale, abilità, ecc. che può aiutare a realizzare la propria stella, grazie proprio a questa diversità. Come accade durante le nostre attività, dove ognuno può apprendere e insegnare, indipendentemente della sua storia e dalla sua situazione. È questo dunque il tipo di inclusività cui mirate? Esatto. Questo genere di inclusione però non si improvvisa, si costruisce giorno per giorno, togliendo tabù e barriere, imparando a guardare gli altri negli occhi senza giudizio, con la curiosità dei bambini di scoprire ciò che ancora non conoscono. È un cambiamento culturale non facile da cogliere, un’educazione continua ad accettare l’essere umano così come si presenta al mondo, nella sua forza e nella sua vulnerabilità. Abbiamo detto che le vostre attività sono aperte a tutti; di fatto chi vi partecipa? Di base nasciamo per il bisogno delle famiglie di avere un luogo di sgravio dove la persona con disabilità o malattia possa trascorrere del tempo di qualità apprendendo nuove abilità spendibili nella quotidianità. Attualmente alle nostre attività partecipano persone che hanno voglia di mettersi in gioco e apprendere nuove abilità, scoprire e sperimentare attraverso un gruppo eterogeneo. Oltre a ciò, ci siamo ampliati dando nuove possibilità per il tempo libero e lavorativo a persone che si trovano in una fase di vulnerabilità o con disabilità per riprendere in mano la propria vita e sperimentare nuove occasioni di crescita. La vostra Associazione ha ottenuto diversi riconoscimenti; quest’anno, per esempio, avete vinto il premio della Fondazione CSS per il vostro impegno sociale.
Qual è, secondo lei, la «chiave del vostro successo»? I nostri punti di forza sono la trasparenza, la qualità, la capacità di collaborare e la flessibilità. Ascoltiamo i bisogni di chi vive l’associazione, i feedback e ci miglioriamo ogni giorno. Siamo pronti a lasciare andare le attività di cui non c’è più bisogno, per accoglierne di nuove a seconda delle persone che arrivano. Non abbiamo paura di perdere partecipanti o soci, perché crediamo nella libertà di scelta e vediamo l’associazione come la tappa di un percorso, che consente di proseguire il viaggio con un nuovo bagaglio. Oltre a ciò, accogliamo in un ambiente dove ogni individuo può esprimere la propria diversità senza giudizio, ed è bello vedere come ciò venga poi portato nelle proprie vite, per esempio con l’apertura di nuovi progetti o anche solo facendo più attenzione al benessere sociale. Quanto conta oggigiorno l’approccio manageriale nella gestione di un’associazione? Le associazioni sono paragonabili a un’azienda e sempre più sono richieste competenze professionali per la loro gestione. Avere un’organizzazione strutturata e una governance appropriata permette, oltre a migliorare gli standard di qualità, di diminuire i rischi finanziari e aumentare le possibilità di autofinanziamento, di portare avanti i progetti sul lungo termine ed essere lungimiranti, creando un impatto nella società. In conclusione, ci sono dei progetti in corso o per il futuro che vuole segnalare? Da pochi mesi abbiamo aperto il servizio sociale per i nostri soci e amici, per mezzo del quale aiutiamo chi ne ha bisogno a comprendere i propri diritti, a essere informati sulle procedure di aiuto, come pure indirizzati o accompagnati ai servizi preposti. Stiamo inoltre cercando una nuova sede, dove poter inserire tutti i progetti e ampliare i servizi. Informazioni www.newability.ch
L’Impresa sociale Sostare di SOS Ticino ha presentato negli scorsi giorni una nuova rivista con l’intento, scrivono i responsabili, «di guardare dietro le quinte del mondo dell’integrazione e dell’inserimento socio-professionale». Il primo numero di «Vivavoce», questo il nome scelto per la testata, è dedicato al tema dell’apprendimento e raccoglie alcune testimonianze dirette di persone coinvolte in misure per l’integrazione sociale e l’inserimento nel mondo del lavoro, ritratti inediti, fotografie e racconti, interviste a giovani e adulti che partecipano a programmi di Sostare, riflessioni sul tema del futuro e per finire anche delle poesie. Sostare è un’impresa sociale di SOS Ticino, che coniuga la gestione del Ristorante Casa del Popolo di Bellinzona con attività di orientamento, formazione, inserimento e sostegno socioprofessionale. Accoglie annualmente, nei suoi percorsi, un’ottantina di partecipanti giovani e adulti al beneficio di prestazioni assistenziali. In particolare è impegnata nel campo della formazione, con programmi di preparazione all’apprendistato e accompagnamento nella formazione professionale, rivolti a giovani svizzeri, domiciliati e rifugiati accolti in Svizzera. «Vivavoce» prevede la pubblicazione annuale di uno stampato di 40 pagine a colori, durante gli altri mesi dell’anno offrirà periodicamente una newsletter che sarà disponibile sul sito www.sostare.ch. Grazie al contributo cantonale e federale per la promozione delle competenze di base degli adulti, il ricavo della vendita della rivista è interamente devoluto alla formazione dei partecipanti dei programmi di Sostare. «Vivavoce» cartaceo è disponibile presso il Ristorante Casa del Popolo di Bellinzona, a Lugano presso la Bottega del Mondo e al Kam For Sud Bazaar di Locarno.
Tornano le «Settimane delle stelle» È un anniversario importante quello di quest’anno per l’iniziativa di raccolta realizzata da UNICEF Svizzera e Liechtenstein. Compiono infatti 20 anni le «Settimane delle stelle» durante le quali i bambini in Svizzera e nel Liechtenstein si impegnano per altri bambini che vivono nel bisogno. I partecipanti possono raccogliere fondi in molti modi: vendendo marmellate fatte in casa, confezionando corone dell’Avvento, con rappresentazioni teatrali… Non ci sono limiti alla fantasia. Il motto di quest’anno è: «Non arrendersi mai. Aiutare i bambini in Bangladesh». Questo Paese dell’Asia meridionale è tra i più colpiti dai cambiamenti climatici. Il continuo innalzamento del livello del mare rischia di sommergere un quinto della superficie del Paese. Come se ciò non bastasse, i fiumi straripano, portando via terreno prezioso. Anche gli uragani tropicali costringono le persone a trasferirsi nelle aree urbane, per esempio nella città di Khulna, nel Bangladesh meridionale. Con le «Settimane delle stelle» 2023 l’UNICEF vuole sostenere più di 80’000 bambini e le loro famiglie negli slum di Khulna, installando un sistema idrico e fognario in grado di resistere anche alle conseguenze dei cambiamenti climatici. Informazioni: https://kidsunited.unicef.ch/it/ aiutare/settimane-delle-stelle
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Successi e sfide di treni e bus
Istantanee sui trasporti ◆ Con la galleria di base del Ceneri il trasporto pubblico segna una forte crescita Riccardo De Gottardi
za FFS e alla linea panoramica SOB, società che gestisce il servizio per conto delle FFS) è stata infatti del 29%. I passeggeri segnano forti incrementi nelle stazioni di Bellinzona, Lugano, Lugano-Paradiso, Mendrisio, Chiasso, Locarno, Tenero; A Castione-Arbedo e a Sant’Antonino addirittura raddoppiano. Si registrano solo poche eccezioni, come a Giubiasco, dove i Locarnesi che si recano nel Sottoceneri e viceversa non devono più cambiare treno, e a Lamone-Cadempino, rimasta emarginata dalla nuova linea di base. Non hanno per contro ancora recuperato interamente la ferrovia Lugano-Ponte Tresa e la Centovallina. Complessivamente, l’incremento dei viaggiatori sui servizi bus ha superato i valori del 2019 già nel 2021. A fine 2022 esso si è ancora consolidato e ha raggiunto il 9%; con punte molto elevate nel Locarnese (+19%) e nel Luganese (+10%). Solo nel Bellinzonese e nel Mendrisiotto si è invece ancora leggermente al di sotto dei livelli prepandemici (-3% in entrambe le regioni). Il numero di passeggeri a tutte le fermate segna una progressione. Da alcune informazioni ancora provvisorie, che il documento pubblicato non poteva ancora considerare, risulterebbe un’ulteriore robusta crescita anche nei primi nove mesi del 2023. Se la tendenza fosse confermata a fine anno, il lancio dei nuovi servizi avrebbe raggiunto un traguardo di assolu-
Evoluzione dei passeggeri nei trasporti pubblici in Ticino
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In questi ultimi mesi le ferrovie sono state nel mirino delle critiche. Per i ritardi che talvolta fanno perdere le coincidenze, per qualche panne tecnica al materiale rotabile, per un malaugurato incidente o per i disagi dei cantieri. È bene tornare anche a parlare dei risultati ottenuti. Lo ha fatto il Dipartimento del territorio, che ha pubblicato l’esito dei rilievi svolti con le imprese di trasporto. Essi documentano l’evoluzione dei viaggiatori trasportati in Ticino a partire dal 2019, l’anno che ha preceduto il diffondersi della pandemia e l’apertura della galleria di base del Ceneri. C’era da temere che, dopo anni di impegno e sforzi promettenti, la tappa fondamentale del rilancio dei trasporti pubblici non decollasse nonostante i tempi di percorrenza dimezzati tra Sopra- e Sottoceneri, il servizio rinnovato sulla linea panoramica del San Gottardo fino a Locarno, le maggiori frequenze, l’ammodernamento di diverse stazioni. Il potenziamento, modulato in funzione dei diversi contesti regionali, ha toccato pure gran parte dei servizi su gomma dell’intero Cantone. Ovunque si è cercato di organizzare una vera e propria catena di trasporto. I valori d’utenza ora resi noti per il 2022 spazzano via ogni dubbio. Quelli registrati nel 2019 sono stati infatti quasi ovunque superati. La crescita degli utenti ferroviari (che fanno capo ai servizi TILO, alla lunga percorren-
n ferrovia to rilievo. Non certamente conclusivo, poiché il potenziale per un trasporto pubblico veramente capace e attrattivo è ancora tanto. Il successo può tuttavia anche capovolgersi. Alcuni campanelli di allarme sono già suonati. Il servizio nella valle del Vedeggio è ancora insoddisfacente, nelle ore di punta certi treni sono troppo affollati (non è forse giunto il momento di pensare ai treni a due pia-
n bus
ni?) e i ritardi sono ancora eccessivi. I percorsi di diverse linee bus appaiono tortuosi e ancora sprovvisti dell’indispensabile precedenza rispetto al traffico automobilistico. I programmi di agglomerato ora in via di allestimento in tutto il Cantone offrono l’opportunità di migliorare. Nuovi utenti si conquistano se la rapidità e l’affidabilità del servizio compiono un ulteriore progresso.
Inoltre il telelavoro ha preso piede e richiede proposte tariffali innovative per chi è utente regolare ma non quotidiano. Qui è chiamata in causa la Comunità tariffale Arcobaleno. Insomma, vi è da augurarsi che la fiducia conquistata sul campo dai nuovi servizi sia garanzia di continuità nel sostegno finanziario degli enti pubblici e sia sprone per le imprese a fare ancora meglio nei prossimi anni. Annuncio pubblicitario
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sostenere l’esame professionale Federale in lingua italiana volto a ottenere l’APF. Sono titoli riconosciuti a livello internazionale come ISCED di livello 6 – Bachelor, o equivalenti (Laurea triennale) e certificano le competenze in due professioni nuovissime, molto ben retribuite e decisamente richieste dal mercato svizzero e internazionale. Mi preme qui sottolineare che ad oggi solo ated in Ticino è riconosciuto come ente preparatorio in lingua italiana. Concretamente, chi si iscrive e consegue l’attestato si posiziona in «pole position» come professionista per tutte quelle imprese che sono alla «disperata» ricerca di figure professionali qualificate e competenti nell’ambito della cyber sicurezza o nella gestione dell’evoluzione digitale di qualunque organizzazione. Ma soprattutto ricerche e analisi dimostrano che con un attestato professionale ottenuto, ad esempio, dopo i nostri percorsi, si raggiunge il livello salariale superiore. Entriamo più nel dettaglio del «Corso di formazione per la preparazione all’esame federale di Cyber Security Specialist». Che genere di figura professionale forma? Considerando le vulnerabilità a cui siamo esposti quotidianamente, è chiaro che chi si occupa di cyber sicurezza è oggi un professionista indispensabile – e molto ben pagato! - per tutte le realtà profit e non profit, in qualsiasi area del globo. In particolare, il nostro corso include un ampio programma di lezioni e moduli che vanno dall’analisi dello scenario, all’individuazione e mappatura delle minacce, fino alla gestione completa e autonoma dei Cyber rischi. Formiamo una figura professionale che, non solo può gestire una strategia di sicurezza seguendo le buone pratiche di Governance, ma valuta anche l’implementazione delle procedure di sicurezza applicata ai Sistemi Informativi dell’impresa per cui lavora.
L’appuntamento
I dettagli in una serata informativa il 12 dicembre alle 18.00 La digitalizzazione è una componente fondamentale per le aziende moderne, che necessitano di implementare tecnologie avanzate per rimanere competitive nel mercato globale. In questo contesto, l’importanza di formare adeguatamente il personale sulla gestione della sicurezza e delle competenze digitali è cruciale. Per questa ragione, ated e Formati Academy propongono percorsi formativi mirati a sviluppare le competenze e per preparare agli esami federali in «Cyber Security Specialist» (terza edizione) e in «Digital Collaboration Specialist» (seconda edizione). I percorsi con inizio a marzo 2024, della durata di un anno e mezzo cir-
ca, a numero chiuso, sono strutturati con testimonianze e docenze di professionisti di livello internazionale. È prevista la possibilità di seguire i singoli moduli. I corsi completi hanno un costo di 15’000 CHF, con possibilità di dedurre il contributo federale. Il contributo federale copre il 50% dei costi della formazione per un massimo di Fr. 9500 franchi. Per chi fosse interessato a partecipare alla selezione, è opportuno annunciarsi a info@ated.ch È, inoltre, in programma una serata informativa online per illustrare il percorso in «Digital Collaboration Specialist». Appuntamento è per il 12 dicembre 2023 a partire dalle ore 18.00. Info su www.ated.ch
LUCA MAURIELLO Direttore della formazione ated Quale tipologia di azienda o organizzazione dovrebbe prevedere al proprio interno uno specialista nella cyber security? Qui dobbiamo assolutamente sfatare un mito. Nell’era digitale, la gestione del rischio informatico è diventata una componente indispensabile per la sopravvivenza e il successo di ogni tipo di azienda o organizzazione. Non esistono più settori immuni dalle minacce cyber: dalle piccole imprese ai grandi colossi multinazionali, dalle istituzioni finanziarie agli enti pubblici, tutti sono potenziali bersagli di attacchi informatici. Ogni realtà pone l’accento sull’importanza di avere al proprio interno specialisti in cybersecurity. Professionisti qualificati non solo contribuiscono a proteggere le risorse aziendali, ma si occupano anche di prevenire la perdita di dati sensibili, garantendo la continuità operativa e la fiducia da parte dei clienti. L’implementazione di strategie di cybersecurity è oggi considerata un investimento necessario piuttosto che un costo opzionale. Gli specialisti nel campo sono in grado di valutare le vulnerabilità di un sistema, di progettare infrastrutture sicure, e di reagire prontamente in caso di violazioni della sicurezza. La loro expertise va oltre la semplice risposta agli incidenti, includendo la formazione del personale sull’importanza delle buone pratiche di sicurezza e lo sviluppo di una cultura aziendale che ponga la cybersecurity al centro della propria strategia di business. Con l’aumento incessante degli attacchi informatici in termini di frequenza e complessità, la figura dello specialista in cybersecurity diventa un pilastro irrinunciabile per le organizzazioni che puntano alla resilienza in un panorama digitale in costante evoluzione.
A chi si rivolge in modo specifico il corso in «Cyber Security Specialist»? La figura dello specialista in Cyber Security diventa fondamentale per la salvaguardia delle informazioni aziendali e personali. È rivolto ai professionisti che desiderano non solo affrontare, ma anche anticipare le sfide nel campo della sicurezza informatica, il corso è la rampa di lancio verso l’eccellenza. Con un approccio olistico e una didattica all’avanguardia, questo corso si rivolge a coloro che sono pronti a trasformare la loro passione in una professione altamente richiesta. L’ingresso nel percorso è tuttavia selettivo: il colloquio di ammissione è l’occasione per discutere con me non solo della conoscenza tecnica, ma anche della determinazione a diventare un baluardo contro le vulnerabilità del cyberspazio. Questo percorso è disegnato con precisione per fornire agli aspiranti specialisti le competenze avanzate necessarie ad affrontare le insidie di un ambiente digitale in continuo mutamento. Signor Mauriello, parliamo dell’altra proposta formativa firmata ated e Formati Academy. Se volessimo tracciare l’identikit del Digital Collaboration Specialist che tipo di profilo possiamo descrivere? Nel mondo lavorativo odierno, laddove la digitalizzazione si intreccia in modo sempre più inestricabile con le dinamiche aziendali, emerge la figura dello Specialista in Collaborazione Digitale. Questo ruolo, di rilevanza crescente nel tessuto imprenditoriale, è incarnato da un professionista che domina l’arte di facilitare l’interazione e la condivisione di informazioni in un ambiente virtuale. Detentore di conoscenze approfondite sugli strumenti di comunicazione digitale e sulle piattaforme di collaborazione online, lo Specialista in Collaborazione Digitale è il motore che alimenta la sinergia tra team distribuiti geograficamente, assicurando che le barriere spazio-temporali siano ridotte al minimo e che la produttività sia ottimizzata. Caratterizzato da una mentalità agile e un innato senso dell’innovazione, questo esperto possiede anche competenze trasversali in ambito IT, gestione di progetti e problem solving. La sua capacità di analizzare i processi
lavorativi e di progettare soluzioni su misura per facilitare il lavoro remoto, lo rende essenziale nel supportare le organizzazioni durante la transizione verso modelli operativi digitali avanzati. Inoltre, il Digital Collaboration Specialist è il punto di riferimento nella formazione dei dipendenti all’uso efficiente delle nuove tecnologie e nell’implementazione di best practice per la sicurezza dei dati. Con un occhio sempre rivolto al futuro, questo professionista è la chiave per trasformare le sfide della digitalizzazione in opportunità di crescita e di sviluppo sostenibile per l’azienda. Spesso si ha la sensazione che alcune professioni siano solo per un pubblico di giovani e che possano essere preclusi a chi già lavora o a chi è attualmente fuori dal mondo del lavoro. Ma nelle nuove professioni e mestieri come il «Digital Collaboration Specialist» per chi si possono aprire opportunità? Il nostro percorso è particolarmente adatto a professionisti con un background commerciale, marketing, HR, comunicazione o IT. Posso qui portare il caso del Presidente e Direttore di ated, Cristina Giotto, che si è iscritta alla prima edizione del corso in Digital Collaboration Specialist. La sua partecipazione ha un doppio valore, perché da un lato ha voluto «toccare» con mano e testare il corso promosso dall’associazione. Ma soprattutto ha deciso di investire in un percorso con l’obiettivo di aggiornare le proprie skill, vista la continua evoluzione di strumenti e piattaforme, che anche lavorativamente si utilizzano ovunque. La Svizzera si distingue a livello internazionale per il suo innovativo sistema di formazione duale, una vera e propria chiave di volta (invidiataci da molti Stati) per lo sviluppo professionale e personale. Questo approccio, profondamente radicato nella cultura elvetica, permette di combinare l’apprendimento teorico con l’esperienza pratica. Il sistema duale non solo ci prepara a rispondere con competenza alle esigenze del mercato del lavoro, ma apre anche le porte a percorsi educativi superiori, conducenti a prestigiosi titoli terziari e questo nuovo titolo professionale si attesta anch’esso come ISCED di livello 6 – Bachelor o equivalente.
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Un piano tra i binari per condividere la musica
In stazione ◆ «Libera la musica che è in te» è l’invito delle FFS che mettono un pianoforte a disposizione di chiunque lo voglia suonare. Lo strumento ha fatto tappa anche a Bellinzona e a Lugano Guido Grilli
Se scendi dal treno o se raggiungi a piedi l’ingresso della stazione, dopo pochi passi puoi incontrare una musica che non può lasciarti indifferente, capace com’è di cancellare lo sferragliare dei convogli, attenuare la corsa frenetica dei viaggiatori: sono lievi note di pianoforte, talvolta accordi di un giro facilmente riconoscibile, altre volte i suoni di una melodia mai udita prima che ora si levano al di sopra di ogni cosa, conquistando spazi, alleggerendo e riconciliando mondi.
L’iniziativa delle FFS propone anche di condividere il proprio video su Facebook e Instagram «Libera la musica che è in te. Accomodati al pianoforte e tieni un concerto per tutti» – è la scritta e insieme l’invito, bianco su rosso, che appare sul cartellone dell’evento Piano on tour promosso dalle FFS davanti al maestoso strumento ancorato in pianta stabile nella hall della stazione di Lugano. Oggetto conosciuto in luogo insolito. E sono molti i passeggeri che a turno raccolgono la proposta di cimentarsi in uno show per gli astanti, per un pubblico occasionale: lavoratori stanchi che rincasano o ripartono per vicine mete, turisti con negli occhi città invisibili, o ancora semplici passanti o figure stanziali. «Io sono un improvvisatore. Quella che ho appena intonato è la Sonata Patetica di Beethoven. Potrei suonarla all’infinito» – racconta con entusiasmo, le mani ancora affondate nei tasti, Loris Jorio, 22 anni, studente di ingegneria elettronica alla Supsi, basco in testa e maglietta a maniche corte a dispetto del freddo, il cappotto appoggiato alla rinfusa sopra lo strumento come se si trovasse nel salotto di casa. «Questa iniziativa delle FFS è davvero interessante. Ascoltare come le persone si buttano con coraggio e riescono a tirare fuori composizioni in uno spazio pubblico, davanti a tutti, è ammirevole». E tu sei fra questi.
«Sì, sono “inciampato” nel pianoforte della stazione il mese scorso quando era installato a Bellinzona, e quando l’hanno tolto da lì l’ho ritrovato qui a Lugano». Qual è il tuo percorso musicale? «Ho frequentato la scuola del Conservatorio e poi ho continuato a studiare per conto mio. E pensare che, proprio di recente, grazie al pianoforte in stazione, mentre suonavo si è avvicinato il chitarrista di una band rock-grange-punk che mi ha invitato a far parte del suo gruppo e ho subito accettato. La formazione, siamo in quattro, si chiama Panico puro. Ora siamo alla ricerca di un cantante… Io sono pazzo per Beethoven, d’altra parte la classica è sempre il fondamento di tutta la musica e occorre integrarla agli altri generi». Ma adesso a cimentarsi sugli 88 tasti è un altro giovane. Anche in questo caso l’impronta del brano che propone è in stile squisitamente classico. Sono accordi di lunga durata, distesi, che rapidamente si diffondono fino a catturare gli sguardi delle persone in attesa sul vicino binario, come in un fermo-immagine. Poi il musicista di un’ora, di una sera, allontana le mani dalla tastiera, si guarda attorno e così le ultime note rimangono sospese. Avremmo voluto almeno chiedergli il nome del brano, ma la fretta per il suo prossimo viaggio è tale che la domanda rimane senza risposta: «Ho il treno, mi spiace, vado in Italia». Poco dopo è il turno di una coppia che ci racconta di essere originaria del Kuwait e di essere diretta a Milano, dove risiede. Al pianoforte si accomoda la donna. Esibisce solo qualche accordo, quanto basta per abbozzare un tema e per un video con il telefonino che appoggia acceso sullo strumento. Dice di suonare solo per divertimento. «Just for fun, just for fun» – sorride e poi si allontana riavvicinandosi alle valigie e al marito. «Io ho imparato a suonare proprio su questo piano della stazione» – ci confida invece Nirojan Sandirasekaram, srilankese tamil, 34 anni, aiuto cucina a Giubiasco e domicilio a Pregassona. «Suono a orecchio, ma dal
Lo studente Loris Jorio è uno degli improvvisati musicisti incontrati nella hall della stazione di Lugano
momento che amo il canto questo mi aiuta a trovare delle melodie. È bello che ci sia la possibilità di dare sfogo alla creatività qui alla stazione, liberamente. Ho registrato anche il video proposto dal sito delle FFS e stasera lo posterò. È già il quarto giorno che mi fermo qui, sto una quindicina di minuti e poi riparto». Istante di sospensione, come nei concerti veri. E così il maestoso strumento rimane improvvisamente sguarnito ma non inanimato: si avvicinano due ragazzini, l’uno convince l’altro a sedersi e poi d’un tratto, come per magia, trascina l’amico nel fanta-
sioso mondo delle auto, e, indicando i tre pedali del pianoforte scherza e lo implora: «Ecco schiaccia, a sinistra hai la frizione, al centro il freno e a destra c’è il gas». Poi i due, baldanzosi, scoppiano in una fragorosa risata e corrono via. Ma come è sorta l’idea di installare pianoforti alle stazioni dei treni, lasciandoli a completa disposizione dei viaggiatori? Lo abbiamo chiesto a Patrick Walser, portavoce e responsabile della comunicazione Regione Sud delle FFS. «L’iniziativa nasce direttamente dalle ferrovie federali svizzere e coincide con la vo-
lontà di rendere le nostre stazioni luoghi di sosta, d’incontro, di scambio e di vita e non unicamente luoghi di transito. In quest’ottica l’azienda, da alcuni anni a questa parte, organizza anche concerti ed esposizioni nelle proprie stazioni principali. L’evento che promuoviamo è stato battezzato Piano on tour e nasce nel 2016. Fino al 2020 il pianoforte ha girato le stazioni svizzere, con ottimi riscontri da parte della clientela, così come un certo interesse mediatico. Il pianoforte, solitamente, si ferma per alcune settimane in una stazione prima di proseguire il proprio itinerario tra l’elenco delle diverse città. Non si tratta però di un unico pianoforte per tutta la Svizzera: sono ben cinque, complessivamente, gli strumenti in viaggio». Come viene giudicato l’evento dai passeggeri? «Con gioia. Il riscontro da parte del pubblico è molto positivo», assicura il nostro interlocutore, che offre il dato sull’ampiezza dell’iniziativa a livello nazionale: «Sono in totale quindici le stazioni che ospitano il pianoforte». Un’idea che, levando lo sguardo oltre i nostri confini, si svolge anche nelle grandi città e capitali europee con analogo successo. Ma la ribalta dei pianisti nelle località svizzere non si esaurisce con l’esibizione di un momento. Ognuno può infatti anche scegliere di condividere la propria performance postando il video con l’hashtag #pianoforteffs su Facebook e su Instagram, cosicché le diverse esibizioni ritrovano nuova energia e visibilità anche sui social. E allora la musica continua, coinvolgendo e conquistando progressivamente altre platee. Tornando nelle hall delle stazioni, con la rinascita della vita culturale, dopo due lunghi anni di stop forzato dovuti alla pandemia, anche i luoghi per antonomasia di arrivi e partenze sono progressivamente tornati a vivere. E Piano on tour è ancora una volta decollato (nel mese di dicembre i pianoforti saranno alle stazioni di Lucerna, Berna e Ginevra) contribuendo a restituire slancio alle attività artistiche e culturali.
La buona cucina europea che conquistò l’America Il Ticino nel cybermondo – 3 ◆ Dai rustici del bucolico nucleo di Mairengo alle sommità culinarie del Delmonico’s Building Alceo Crivelli
Il Delmonico’s Building è uno degli edifici più emblematici della «vecchia New York», sorto sulle vestigia della precedente ubicazione del ristorante Delmonico’s, oggi è parte del patrimonio storico della città. Il leventinese Lorenzo Delmonico e l’omonimo ristorante segnarono indelebilmente la società della Grande Mela, divenendo un punto di riferimento della ristorazione newyorchese e un’istituzione prestigiosa tuttora riconosciuta e accreditata. La fotografia mostra una delle sedi più iconiche del famoso ristorante a pochi mesi dalla sua costruzione e, a differenza di oggi, non ancora sommerso dai grattacieli circostanti. Ciondolando nel cimitero retrostante la chiesa di San Siro, a Faido, salta subito all’occhio – un po’ consunto dal tempo – il monumento celebrativo dedicato a colui che, sa-
ziando illustri languori e rivoluzionando allo stesso tempo la pratica della ristorazione d’oltreoceano, mai si scordava del natio paesello, al quale regolarmente tornava, devolvendo parte delle grandi fortune accumulate nella lontana «Merica» alfine di sovvenzionarne le opere di pubblica utilità. Lorenzo Delmonico, che il giorno successivo alla sua morte – occorsa nel 1881 – fu definito dal New York Times «il più famoso ristoratore del nostro Paese», non vedrà mai l’edificio in questione, la cui costruzione fu ultimata nel 1891, quando la gestione del ristorante era ormai in mano a Charles Delmonico, suo successore. Il ristorante a quel punto vantava già una fama eccezionale, attirando personalità di alta caratura come i presidenti degli Stati Uniti Abraham Lincoln e Henry Wilson,
Il ristorante Delmonico's, tra Beaver e South William Street, a New York, nel 1893. (wikipedia.org)
lo scienziato Nikola Tesla, celebri scrittori come Mark Twain e Charles Dickens. Noto per la prelibatezza dei suoi piatti, e in particolare della sua leggendaria bistecca di manzo, il grande merito di Delmonico è stato quello di esportare – non senza l’indispensabile aiuto dello chef francese Charles Ranhofer – il modello di «buona cucina» europeo in un Paese – gli Stati Uniti – in cui esistevano esclusivamente osterie e table d’hôte a menu fisso, solitamente servito su un semplice tavolone condiviso da tutti gli avventori. Da Delmonico’s gli ospiti potevano invece per la prima volta scegliere tra le pietanze e i vini à la carte, adeguando l’ordinazione al proprio gusto e alla propria disponibilità finanziaria, il tutto confortevolmente seduti a un tavolo a loro riservato, sapientemente abbellito con orna-
menti e tovaglie. Anche in merito all’eccellente qualità di vivande e libagioni – e sul modo di servirle e cucinarle – grazie alla maestria di Ranhofer, Delmonico fece conoscere a New York un gusto tutto francese per la raffinatezza contro cui i ranci dozzinali dei concorrenti nulla potevano. Buongusto francese che ben chiarisce l’origine del francesismo restaurant nella lingua inglese, a definire un nuovo tipo di esercizio pubblico di cui in quel momento Delmonico’s era l’unico rappresentante. Quando si dice il ristorante per antonomasia! In collaborazione con l’Ufficio dell’analisi e del patrimonio culturale digitale, Divisione della cultura e degli studi universitari, Dipartimento dell’educazione, della cultura e dello sport.
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L’importanza delle variazioni
Uomo e natura ◆ Il mutamento di ogni cosa è intrinseco alla realtà fisica, umana o sociale, se così non fosse ci sarebbe solo noia Massimo Negrotti
Il termine «mutamento» è la parola chiave per la descrizione o la spiegazione di qualsiasi fenomeno o contesto. Il mutamento perenne di ogni cosa, già delineato oltre 2000 anni fa da Eraclito, è insomma intrinseco alla realtà, sia essa fisica, umana o sociale. Alla sua base risiede il concetto di «differenza» poiché ogni mutamento consiste proprio nella successione, nel tempo, di differenze. Per esempio, la crescita di un albero implica differenze osservabili di vario ordine ma anche i fenomeni meno direttamente osservabili si sviluppano attraverso differenze, magari infinitesimali, il cui accumulo nel tempo porta a risultati che, presto o tardi, si rendono visibili.
Le variazioni sono anche al centro dei modelli culturali e delle tensioni psicologiche degli esseri umani L’invecchiamento umano è un buon esempio di tutto questo perché le differenze fisiche del nostro organismo, e dunque il mutamento, per esempio l’aspetto esteriore, non possono essere colte giorno per giorno ma il confronto con l’aspetto di qualche anno prima le rivela chiaramente. Nel mondo fisico, poi, sappiamo che l’universo è nato da variazioni di diver-
sa natura e si trasforma costantemente generando fenomeni a loro volta in continua modificazione assegnando, fra l’altro, all’espressione «stelle fisse» un mero significato romantico. In biologia, infine, il termine «evoluzione» sta esattamente a indicare processi, definiti «mutazioni», che agiscono senza alcuna possibile sosta. La stessa ricerca scientifica può essere concepita come incessabile caccia alle differenze: fra i fatti, i risultati sperimentali, le probabilità. Le differenze, e gli effetti del loro sviluppo nel tempo, sono dunque parte integrante della natura e la stessa specie umana, più che esservi adattata, ne è intrinsecamente costituita. Il nostro organismo, infatti, è tenuto in vita proprio da variazioni continue che si distribuiscono a vari livelli, dalle pulsazioni cardiache alle oscillazioni elettriche nel cervello, dalla regolazione termica alla rigenerazione della pelle, e così via. L’opportunità di mantenere un buon tasso di variazione viene non a caso raccomandata in riferimento anche all’alimentazione che, se eccessivamente ripetitiva, finirebbe per essere dannosa. È facile cogliere una forte analogia con la più generale biodiversità la quale, in effetti, ha lo stesso valore in riferimento alla «salute» della biosfera terrestre. Ma le variazioni sono anche al centro dei modelli culturali e del-
Le ferie rispondono a un’esigenza di discontinuità psicologica perché, soprattutto se si viaggia, il tasso di variazione aumenta positivamente. (Freepik.com)
le tensioni psicologiche degli esseri umani. Si consideri un lavoro duramente ripetitivo. Esso, quasi come una tortura della goccia, risulta insopportabile proprio per la mancanza di variazioni sensibili, come se i gesti entrassero in una sorta di risonanza ostile con la dinamica ritmica dell’organismo. Ciò vale per l’arco
temporale quotidiano, nel quale siamo sempre alla ricerca di notizie fresche, di un nuovo intrattenimento o delle variazioni borsistiche, ma anche nell’arco annuale la variazione è essenziale. Le ferie non rispondono solo a una esigenza puramente fisica ma anche a una discontinuità psicologica in quanto, soprattutto se si viaggia,
il tasso di variazione aumenta positivamente. Un evento, questo, che fornisce al sistema psico-fisico, che il teorico dei sistemi Ludwig von Bertalanffy definirebbe «sistema aperto», la possibilità di ripristinare o arricchire il proprio equilibrio. La ricerca di variazioni, nell’esistenza quotidiana o nell’arco della vita, è dunque uno dei più rilevanti obiettivi dell’uomo, ma anche per esso si pongono problemi che riguardano l’eccesso o il difetto. L’eccesso di variazioni pone intuitivamente a rischio l’organismo e il suo equilibrio, come quando, guidando un veicolo a velocità troppo elevate, la percezione delle cose non riesce a stare al passo con la rapidità del loro mutamento. Il difetto di variazioni ha invece due volti. Il primo riguarda l’indisponibilità oggettiva di possibili variazioni a causa di indigenza, di contesti sociali amorfi o comunque privi di stimoli. Il secondo, già richiamato parlando del lavoro ripetitivo, potrebbe essere definito come la sindrome del pensionamento allorché una persona, improvvisamente libera da più o meno gravosi impegni quotidiani, si ritrova libera ma non riesce a individuare obiettivi diversi rispetto alla pura e semplice routine quotidiana. Il risultato di entrambi è la noia, ossia l’antitesi della variazione e dei suoi benefici. Annuncio pubblicitario
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TEMPO LIBERO ●
Oniriche e letterarie ferrovie del Messico Tra improbabili gloriosi destini e tracolli verticali, la linea ferrata messicana fu travolta dai tagli neoliberisti della fine del secolo scorso
Spaventa l’idea di cibarsi con le interiora In verità le frattaglie sono molto più sane di quel che si teme: più precisamente sono digeribili, poco grasse e pure economiche
Cinque simpatici animali decorativi Arriva dal mondo dei boschi l’ispirazione per creare originali e caratteristiche bocce da appendere ai nostri alberi di Natale
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Pagina 21 ◆
Ritorno al passato e ai Chicago Bulls
Tra il ludico e il dilettevole ◆ Un pretesto convincente e una serie di coincidenze fortunate possono bastare a rendere più avventuroso il nostro tempo libero con un viaggio a Milwaukee Sebastiano Caroni, testo e foto
Fra la seconda e la terza liceo, trascorsi un lungo periodo negli Stati Uniti, durante il quale frequentai l’ultimo anno di high school, prima di tornare in Ticino e concludere il liceo. Quel soggiorno fu molto importante sotto diversi aspetti. Avevo diciassette anni: un’età in cui certe esperienze possono rivelarsi estremamente formative. Credo che il carattere formativo di quella esperienza avesse molto a che vedere con il fatto che le mie conoscenze degli Stati Uniti, prima di arrivarci, erano decisamente lacunose, per lo più indirette, influenzate dalla televisione, e dalla mia passione per la pallacanestro. Come dire: quando arrivi in un luogo che si rivela radicalmente diverso dalle tue aspettative, devi rimettere in discussione la tua visione della realtà. E questo significa anche, inevitabilmente, rimettere in gioco te stesso. Viaggiare e vivere lontano implica sempre una ridefinizione del familiare. Immergersi in un’altra cultura significa arricchire, e quindi trasformare, lo sguardo che si porta alla propria cultura di appartenenza.
Quando un luogo si rivela radicalmente diverso dalle tue aspettative, rimetti in discussione la tua visione della realtà e, inevitabilmente, anche di te stesso Ma torniamo, per un attimo, al punto di partenza. Prima di partire, l’organizzazione a cui mi ero rivolto aveva chiesto, a me e agli altri liceali interessati allo scambio, di scrivere una sorta di lettera di presentazione, in modo da fornire qualche elemento che potesse aiutare a decidere in quale zona o località avremmo trascorso il nostro anno di scambio. Non so se succede ancora così con i programmi di scambio delle scuole medie superiori, ma il fatto è che non avevamo nessuna idea di dove saremmo finiti: se in un posto sperduto in mezzo al nulla oppure, magari, in una città moderna e popolosa. Ad ogni modo, ricordo che in quello scritto avevo insistito parecchio sulla mia passione per il basket. Forse fu proprio ciò a portarmi nel Midwest, e più precisamente in Indiana. Con le sue interminabili distese di campi di grano, l’Indiana non è certo la meta più ambita per chi viaggia negli Stati Uniti, a meno di non essere un fedelissimo fan della serie Stranger Things, ambientata proprio nell’Indiana degli anni Ottanta. Quindi, forse, la pallacanestro c’entrava qualcosa. In Indiana, per dire,
nei licei e nelle università la pallacanestro è quasi una religione, e non mancano personaggi che vestono i panni del guru: come Bobby Knight, figura leggendaria che per tanti anni allenò la squadra dell’Indiana University per la quale giocò, prima di entrate nell’NBA, anche un certo Larry Bird. Dunque, come dicevo, il mio anno negli Stati Uniti l’avrei trascorso in Indiana. Per giungere a destinazione – un paesino piuttosto sperduto in mezzo ai citati campi di grano –, non volai a Indianapolis, ma a Chicago, dove la mia famiglia ospitante mi avrebbe accompagnato, in macchina, fino in Indiana. Chicago è nell’Illinois, certo, ma a conti fatti era molto più vicina al paesino dove avrei vissuto di quanto non lo fosse Indianapolis. Era la prima volta che mettevo piede negli Stati Uniti, perciò, ancora oggi, Chicago riveste un’importanza particolare per me: simbolicamente è lì che ha avuto avvio la mia avventura americana. A dire il vero, poi, nei mesi seguenti non è che la vidi più di tanto: una volta per un concerto degli Emerson, Lake & Palmer (ai tempi del liceo mi appassionavo di rock progressivo),
un’altra volta per una visita alla Sears Tower (l’edificio più alto di Chicago), e poi andai anche a vedere una partita di NBA fra i Chicago Bulls e gli Houston Rockets (sì, c’era anche Micheal Jordan). Ma, tutto sommato, all’infuori di queste visite mirate, non è che avessi avuto modo di vedere granché della città, per cui non mi sembrava di poter dire di averla visitata veramente.
Immergersi in un’altra cultura significa arricchire, e quindi trasformare, lo sguardo che si porta alla cultura di appartenenza Di recente, però, mi è capitato di tornarci per un breve viaggio, negli Stati Uniti. In assenza di una ragione che rendesse il viaggio necessario, mi sono trovato un pretesto. I Tool – la rock band californiana capace di rubare il primo posto nelle classifiche di Billboard a Taylor Swift in occasione dell’uscita del loro ultimo album Fear Inoculum nel 2019 – stavano girando gli Stati Uniti: consultando il calendario del tour, mi sono reso conto che durante le
vacanze scolastiche autunnali, all’inizio di novembre, avevano in programma alcune date. Una di queste, a Milwaukee, cadeva a metà settimana, dettaglio particolarmente congeniale a giustificare un breve ma intenso ritorno negli States. Facendo mente locale, mi sono ricordato che Milwaukee è piuttosto vicina a Chicago (più o meno quanto lo sono Berna e Ginevra), e Chicago offre un numero maggiore di voli dalla Svizzera e, quasi certamente, prezzi più interessanti. Sicché ho preso due piccioni con una fava: avrei visitato Chicago per alcuni giorni, prima di recarmi a Milwaukee (il viaggio in treno dura circa un’ora e venti) per il concerto dei Tool. Avrei quindi trascorso un paio di giorni a Milwaukee, per poi tornare a Chicago e riprendere l’aereo per Zurigo. Nell’insieme, il viaggio è stato veramente piacevole, e mi ha dato modo di visitare il centro di Chicago. Fra gli edifici della skyline nella cosiddetta zona downtown, ho passeggiato per il Millennium Park, che ospita un anfiteatro realizzato dall’architetto Frank Gehry, e The Bean, un’intrigante scultura pubblica dell’artista britannico di origini in-
diane Anish Kapoor. Poco distante da lì, ho esplorato l’Art Institute of Chicago e il Field Museum, istituzioni museali fra le più importanti a livello mondiale. Fra un museo e l’altro, ho trovato anche il modo di rinsaldare i legami con il passato, incontrando Ken e John, due compagni di scuola che conobbi ai tempi del mio anno di scambio. Anche Milwaukee, a dire il vero, non scherza in fatto di arte: il suo Milwaukee Art Museum, situato sulle rive del lago Michigan, è fra i più grandi musei degli Stati Uniti. Già dall’esterno, colpisce l’impressionante edificio che lo ospita: una via di mezzo fra uno scafo di una nave e un’astronave spaziale, frutto dell’architetto spagnolo Santiago Calatrava. Girando per le vie di Milwaukee, mi imbatto anche in un grande murales che raffigura, di spalle, Giannīs Antetokounmpo, meglio noto come The Greek Freak, cestista greco dei Milwaukee Bucks, squadra vincitrice del campionato NBA nel 2021. Quanto al concerto, che dire, i Tool non deludono le attese: talento, creatività, spirito visionario, attenzione al dettaglio, concorrono a rendere questa band assolutamente unica.
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Metafora onirica di un Paese strao
Reportage ◆ Nel romanzo Ferrovie del Messico di Gian Marco Griffi, il protagonista astigiano ha ricevuto l’incarico di mappare la quasi im Enrico Martino, testo e foto
John Wayne, James Coburn, Pancho Villa, Gustave Eiffel. Un’ammucchiata di star hollywoodiane, rivoluzionari e archistar unite da un improbabile comun denominatore, il treno sullo sfondo di deserti minerali e canyon spettacolari. Non c’è da stupirsi se le ferrovie messicane, metafora onirica di un Paese straordinariamente impossibile, sconvolgono anche la grama esistenza di Magetti Francesco detto Cesco, milite repubblichino nella Asti del 1944, che nel bel mezzo della Seconda guerra mondiale riceve l’ordine perentorio di tracciare una mappa della rete ferroviaria messicana. Ci voleva la fantasia di Gian Marco Griffi per trasformare questo vortice kafkiano di guerra, amori e morte nelle Ferrovie del Messico (Laurana edizioni, 2022), eletto a furor di popolo romanzo cult, tanto da essersi aggiudicato il titolo di «Libro dell’anno» di Fahrenheit (noto programma radiofonico condotto da Loredana Lipperini per la Rai), ed essere finito nella dozzina dello Strega di quest’anno.
Oggi solo il Ferrocarril Chihuahua al Pacifico, l’ultimo treno passeggeri ostinatamente deciso a resistere, lancia ogni mattina il suo fischio Una rete ferroviaria sospesa da sempre in una dimensione quasi onirica, tra improbabili gloriosi destini e tracolli verticali, travolta dai tagli neoliberisti della fine del secolo scorso. I cantori più famosi dei suoi ultimi rantoli sono stati gli scrittori Paul Theroux e Maruja Torres che – attraversando il continente dalla Patagonia al confine con gli Stati Uniti, il primo con L’Ultimo Treno della Patagonia, la seconda con Amor America – hanno dedicato alcune imperdibili pagine proprio alle ferrovie messicane. Negli anni Ottanta del Novecento a cantare i treni della rivoluzione ci ha pensato anche Amparo Ochoa, la Voz de Mexico che infiammava studenti, campesinos e operai con il Corrido de Pancho Villa, rievocando le sbiadite fotografie di soldaderas che si sporgono dai vagoni ostentando fieramente cartuccere e polverosi fucili.
Oggi solo il Ferrocarril Chihuahua al Pacifico, l’ultimo treno passeggeri ostinatamente deciso a resistere, lancia ogni mattina il suo fischio lacerante nella stazione di Chihuahua prima di inerpicarsi lungo la Sierra Madre del Norte per sbucare sul Pacifico quindici ore e 652 chilometri dopo, oltre a 86 gallerie e 39 ponti, se tutto va bene. Uno tra i più spettacolari percorsi ferroviari del mondo, terminato nel 1961 ottantanove anni e una Rivoluzione dopo il progetto iniziale, realizzando il sogno un po’ folle di Albert Owens, fondatore di una colonia «socialista» a Topolobambo in Messico, di collegare il Mid-West degli Stati Uniti con i porti messicani sul Pacifico, abbreviando la distanza con l’Estremo Oriente. Ne avrebbe di storie da raccontare questo treno che attraversa da sempre sogni d’argento e di follia, dove chi può guarda scorrere il paesaggio dai finestroni panoramici del Vistatren – riverito da controllori con divise da film di Walt Disney – e tutti gli altri usano la ferrovia al posto di una strada che non c’è accalcandosi in convogli che partono quando se lo ricordano e arrivano quando possono. Sotto i loro piedi, i binari si srotolano lungo il labirinto di rocce della Barranca del Cobre, il «Canyon del Rame», quattro volte più esteso del Grand Canyon del Colorado, con i suoi colori minerali che ti afferrano alla gola, praticamente immutati dal 1541
quando i conquistadores della spedizione di Coronado cercarono quassù le mitiche città d’oro di Cibola. Sembrerebbe facile la chiave d’accesso a una delle aree naturali più incontaminate dell’America Settentrionale ma i suoi segreti si nascondono nelle viscere di canyon invisibili ai turisti che gridano «terrific» affollandosi per il selfie di rito davanti allo spettacolare anfiteatro di rocce dello spartiacque di Divisadero. Di notte, però, quando i turisti sono rintanati nei loro hotel, poche luci fioche sparpagliate tra gli strapiombi segnalano le presenze quasi invisibili delle rancherias dove vivono i Tarahumara. «È la vita moderna ad essere arretrata rispetto a loro, non sono i Tarahumara a essere arretrati rispetto al mondo d’oggi», aveva scritto un secolo fa il drammaturgo e saggista francese Antonin Artaud, folgorato da questo popolo di nomadi verticali, forse aiutato anche dallo sballo del peyote. Non c’è stato bisogno di visioni allucinogene, negli anni Novanta, per un assalto al treno in stile western di bandidos che avevano sostituito scalpitanti cavalli con più modeste mountain bike approfittando dell’ansimare del treno a ogni salita. Era finita male, con un turista olandese freddato senza troppi problemi mentre li riprendeva forse pensando di trovarsi in un reality. «Si sono ammazzati tra loro per la spartizione del bottino, senza bisogno della
Copper Canyon (Barranca del Cobre): ferrovia panoramica da Chihuahua al Pacifico; a sinistra, Durango, ranch La Joya, un tempo di proprietà di John Wayne, utilizzato per molti film western; sotto da sinistra: sul treno tra Los Mochis e Chihuahua; isolati nel remoto paesaggio della formidabile e spettacolare Barranca del Cobre (Copper Canyon) vivono più di 50mila Tarahumara, il primo popolo indiano più numeroso del Messico settentrionale che si fa chiamare Raramuri, «corridori», per la capacità di correre su lunghe distanze; incontri particolari sul treno occidentale di John Wayne.
polizia» racconta con impassibile ironia un poliziotto privato impugnando il suo cuerno de chivo, il «corno di capra» come viene soprannominato il popolarissimo kalashnikov mentre il
treno sfiora vagoni-campamentos pieni di fiori in cui vivono le famiglie dei ferrovieri all’ombra di montagne illuminate dall’ultimo sole. Di altri treni messicani sono so-
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ordinariamente impossibile
mpalpabile rete ferroviaria della terra dei cactus
sembrano aspettare che qualche autista si schianti in preda a un colpo di sonno. Sembrano allucinazioni, come le vecchie locomotive piazzate come spartitraffico tra le casette in legno dagli squillanti colori caraibici di Santa Rosalia; è quanto rimane di una strampalata avventura coloniale francese insieme a una chiesetta in ferro progettata da Eiffel, proprio quello della torre. Qui c’era una montagna di rame nel 1885, quando il dittatore Porfirio Diaz invitò la compagnia mineraria francese El Boleo, chiedendo loro di costruire una città e un porto; Don Porfirio avrebbe messo la manodopera, praticamente a costo zero visto che erano indios Yaquis deportati. Quando perì il rame finì, i francesi tornarono a casa lasciando chiesa, locomotive e il profumo di fantastiche baguettes sfornate ancora oggi dalla panetteria El Boleo.
Presto El Tren Maya potrebbe sfiorare siti archeologici Patrimonio dell’Umanità sfrecciando in mezzo alla foresta tropicale della Mesoamerica
pravvissuti solo scarni rottami impregnati di ricordi e leggende, come il paio di scalcinati vagoni che il vento e la polvere stanno lentamente disintegrando all’ombra di un serbatoio per
l’acqua. Sembra l’inizio di un film di Sergio Leone ma raccontano la storia di un gringo che sognava di costruire in questo sperduto angolo di deserto la «Hollywood del Sur»: John Way-
ne, che era innamorato dei silenzi di queste montagne; dopo la sua morte, nella vecchia stazione ferroviaria vivono solo Antonio Lozoya con la sua famiglia, dopo essersi ripresi in tribu-
nale la proprietà venduta dal loro padre all’attore. In un altro deserto nel cuore della Baja California, solitari avvoltoi appollaiati in cima a scheletrici cactus
Due treni ancora più inafferrabili incrociano storie speculari, dai paesaggi ai passeggeri, con le contraddizioni di un Paese straordinariamente impossibile. La Bestia, conosciuta anche come «El Tren de la Muerte», rivela già dal nome il tragico destino dei treni merci utilizzati dai migranti latinoamericani che, per raggiungere gli Stati Uniti attraversando il Messico dal Guatemala, vivono per giorni e notti sui tetti dei vagoni in condizioni fisiche e psicologiche estreme alla mercé di vessazioni e organizzazioni criminali. Tutta un’altra storia, o forse no, per El Tren Maya, progetto un po’ megalomane del presidente messicano Manuel Lopez Obrador alla ricerca di un posto tra i grandi di una nazione in cui i treni hanno spesso avuto un ruolo determinante. Millecinquecento chilometri e diciannove nuove stazioni per creare, almeno nelle intenzioni, centomila posti di lavoro e attirare milioni di turisti; peccato che per farlo i convogli dovranno attraversare a centosessanta chilometri l’ora la più estesa foresta umida tropicale della Mesoamerica sfiorando siti archeologici Patrimonio dell’Umanità e favorendo massicce infrastrutture con gravi ripercussioni su una straordinaria biodiversità, nonostante ottimistici studi di impatto ambientale e promesse di «non sradicare neanche un alberello». «Se non lo fermiamo il presidente piazzerà una stazione persino davanti a qualche piramide» ironizzano con amarezza molti maya che si oppongono a un treno su cui, probabilmente, non potranno mai permettersi di salire. Nel frattempo a Palenque, a pochi passi dalle piramidi maya, i tracciati dei due treni si incrociano insieme ai sogni delle adolescenti dei villaggi che immaginano di viaggiare sul Tren Maya per vedere Cancùn, e agli incubi dei migranti della Bestia, perché anche sui treni le classi sociali esistono e magari si sfiorano. Senza vedersi. Informazioni Su www.azione.ch, si trova una più ampia galleria fotografica
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Digeribili, povere di grassi ed economiche
Gastronomia ◆ Nonostante la cattiva fama di cui godono, alcune frattaglie non mancano di appassionati estimatori Allan Bay
Le frattaglie sono gli organi interni degli animali macellati, quindi tutto escluso muscoli e ossa. Sono, salvo poche eccezioni, digeribili e povere di grassi, inoltre costano meno dei tagli cosiddetti nobili. Non è poco. Ne sono ghiotto. So di appartenere a una minoranza: le frattaglie spaventano tanti, che se ne tengono lontani per «principio». Quando ne chiedo ragione a chi non le ama, infatti, non mi rispondono quasi mai di aver assaggiato questo o quello non gradendolo, bensì di non averne mai mangiate! È dunque una questione di immaginazione: forse non riescono ad accettare l’idea di mangiare le interiora di animali, e dicendo che a loro non piacciono si garantiscono la possibilità di non essere costretti ad assaggiarle. Elenchiamole. Partiamo dalle animelle, da me amate. Sono il timo e le ghiandole salivari di animali molto giovani. In cucina si utilizzano soprattutto quelle di vitello, di agnello e di capretto. Delicate, si abbinano a molte altre pietanze se non a tutte: ma sono ottime anche da sole, nappate con una salsa. Segue il cervello che in linea di massima va mondato, poi pre-lessato, e quindi finito a piacere. Ottimo quello impanato e fritto. Troviamo quindi la coratella (cioè cuore, polmoni, fegato e milza di ovini e caprini). È molto di moda, oggi, per fortuna. Il cuore è solo lungo da mondare. Tagliato a fette, è perfetto per cotture in umido. Segue il diaframma, che sono due, diversi: diaframma esterno, che è una frattaglia tenerissima, delicata, e diaframma interno, che è un taglio. Tocca ora all’onnipresente fegato, questo da più gente molto amato: va cotto poco, in stile veneziano ma va bene anche all’inglese, i mitici faggot. L’intestino è raro, si trova prevalentemente di maiale surgelato. È un budello che si riempie con quello che si vuole; la mitica andouillette francese
(nella foto) è ripiena di trippa di maiale. Ora, sotto con la lingua: abbastanza diffusa, soprattutto se salmistrata. Data per estinta la mammella: la amano, lessata, impanata e fritta, i tedeschi, soprattutto i bavaresi. Il midollo (filoni, schienali) è un caposaldo dell’ossobuco. Ma oggi in molti lo cuociono in forno, diviso a metà per il lungo, lo si gusta poi prendendolo con un cucchiaino. La milza la mangiano, in Italia, soprattutto a Palermo, nella forma di pane ca’ meusa; si trova in vendita sulle bancarelle, quale tipico e mitico cibo da strada. Il musetto è il muso intero cotto in acqua, oggi privato delle guance. Mentre i nervetti «sono Milano». Si mangiano fatti con le cartilagini del ginocchio e dello stinco del vitello, bollite a lungo con verdure, raffreddate, tagliate a pezzetti (più tradizionale) o a fettine sottili (più moderno), e condite. L’orecchio è l’orecchio: cotto come i nervetti ma anche in umido, tipo nella feijoada brasiliana. Il pene non lo mangia più nessuno. Idem o quasi per i piedini. Il polmone pure gode di cattiva fama, sbagliata. Cotto a pezzi in umido è veramente buono. Per contro, il rognone, ovvero il rene, condivide con animelle, trippa e fegato la fama di essere la frattaglia più buona. C’è poi il sangue con i suoi sanguinacci e lo stomaco che viene riempito e cotto in umido. Seguono testina e testicoli, questi rari. Penultima la trippa, che tutti conoscono. Iper leggera, priva di grassi, ipernutriente. I giocatori di football americano, prima delle gare, mangiano cofane di trippa. Ultima la matrice, ovvero vagina più utero, presente in Italia quasi solo in Toscana. Chiudo ricordando due frattaglie muscolose che per molti sono dei tagli: coda e guancia. Di gran moda, la coda da sempre, la guancia da pochi decenni. Da cuocere in umido.
Come si fa?
Come per la volta scorsa, vediamo come si fanno due ricette che necessitano solo di una padella. Merluzzo alla panna. Fate una dadolata fine di cipolla, sedano e carota, circa 4 abbondanti cucchiaiate in tutto. Tagliate 500 g di tranci di merluzzo a cubetti, lavateli, scolateli,
tamponateli con carta da cucina e fateli rosolare uniformemente in un filo di olio o in poco burro, poi sfumate con 1 bicchierino di vino bianco o rosato. Levate e tenete da parte al caldo, ovvero metteteli in un piatto e copriteli con una cloche. Unite nella padella la dadolata di verdure e ancora poco olio o burro e cuocete, mescolando, per 2 minuti. Aggiungete 200 g di panna e portatela al bollore. Rimettete i cubetti in padella e cuoceteli per 2 minuti, irrorandoli con il sugo. Cospargete con prezzemolo tritato, salate e spolverate con abbondante pepe. Servite subito. Dentice con pomodoro. Fate marinare 4 filetti di merluzzo da 100 o 120 g
l’uno in olio arricchito con un trito di prezzemolo, finocchietto e origano, assieme a un po’ di pepe pestato, per 20 minuti, girandoli dopo 10 minuti. Scolate i filetti dalla marinatura e fateli rosolare in un filo di olio con l’aglio per 1 minuto, girandoli dopo 30 secondi. Levate e tenete da parte al caldo. Versate nella padella 1 bicchierino di vino bianco o rosato, unite 150 g circa di salsa di pomodoro e una punta di pasta di acciughe stemperata in poco vino bianco, quindi cuocete per 4 minuti. Rimettete i filetti in padella e cuoceteli per 2 minuti a fuoco dolce, irrorandoli con il sugo. Salate e pepate. Servite subito.
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Ballando coi gusti
Oggi proponiamo due robusti dolci della tradizione anglosassone
Banoffee pie
Devil cake
Ingredienti: 300 g di biscotti digestivi – 150 g di burro salato – 8 banane – 400 g di latte condensato – 100 g di burro – 100 g di zucchero – 500 g di panna – 100 g di mascarpone – fette di banana – cacao amaro
Per la torta: 330 g di farina – 250 g di zucchero – 150 g di cioccolato fondente – 180 g di burro – 4 uova – 3 cucchiai di cacao amaro – 200 g di acqua – 1 bustina di lievito – estratto di vaniglia – 1 pizzico di sale. Per la farcitura e la copertura: 300 g di cioccolato fondente – 300 g di burro – 200 g di zucchero a velo
In una casseruola caramellate lo zucchero e unite il burro fuori dal fuoco. Mescolate, rimettete sul fuoco e scaldate fino ad amalgamare. Aggiungete il latte condensato e fatelo bollire per 1 minuto. Togliete dal fuoco e tenete da parte. Frullate i biscotti con il burro salato morbido e foderate il fondo e metà dei bordi di una tortiera apribile. Mettete lo stampo in frigorifero per 1 ora. Tagliate 6 banane e schiacciatele con una forchetta. Riempite il fondo di biscotti con la salsa al caramello e sovrapponetevi le banane schiacciate. Montate la panna con il mascarpone e 2 cucchiai di zucchero e versatela sulle banane schiacciate. Livellate la panna, coprite il dolce e lasciatelo in frigorifero per 12 ore. Sformate il pie e prima di servirlo guarnitelo con le banane rimaste tagliate a fettine, cospargetelo con poco cacao amaro.
Sciogliete il cioccolato spezzettato con l’acqua. Montate il burro con lo zucchero e il sale. Unite le uova leggermente battute e il cioccolato fuso. Setacciate la farina con il cacao e il lievito e unitela al composto con il cioccolato. Profumate con 6 gocce di estratto di vaniglia e versate lo stampo nella tortiera imburrata e infarinata. Cuocete a 175° per 50 minuti. Sfornate e fate raffreddare. Preparate la farcitura: fondete il cioccolato spezzettato a bagnomaria. Montate il burro morbido con lo zucchero e incorporatevi il cioccolato fuso intiepidito. Tagliate la torta in 3 strati. Farcitela con parte della crema al burro e cioccolato e ricopritela interamente. Guarnite con frutti di bosco neri, per esempio more di gelso.
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Un albero decorato dagli... animali
Crea con noi ◆ Prendendo spunto dai nostri amici che abitano i boschi, possiamo creare decorazioni originali al posto delle bocce Giovanna Grimaldi Leoni
Materiale
Le sagome di cinque animali del bosco tra i più amati dai bambini diventano perfette decorazioni natalizie. Ritagliati su cartone e decorati con elementi naturali, i loro simpatici musetti potranno essere appesi sull’albero di Natale, al centro di una ghirlanda o utilizzati come abbellimento per i vostri pacchi regalo. Questo semplice bricolage, potrà essere realizzato dai bambini dopo una passeggiata all’aria aperta per raccogliere tesori naturali come foglie, legnetti e piccole pigne.
Se necessario pulitele e asciugatele bene. Se avete tempo fatele seccare tra le pagine di un libro o dentro una pressa per fiori, altrimenti potete metterle tra due fogli di carta da forno e stirarle. Questo renderà più durevoli le vostre bocce. Seguendo il cartamodello ritagliate le varie parti del volto dalle foglie e incollatele sulle sagome degli animali. Aggiungete a piacere piccole decorazioni in materiale naturale, come legnetti, minuscole pigne, rametti eccetera. Una volta soddisfatti del risultato, forate la parte superiore delle sagome con un ago grosso e inserite il cordoncino per appenderle. Rifinite a piacere. I vostri animali del bosco sono pronti per essere appesi all’albero, per decorare i vostri pacchetti, o
Procedimento Stampate il cartamodello, ritagliate le cinque sagome degli animali e riportatele su cartone. Con una matita, tracciate i lineamenti interni degli animali e con il pennarello bianco e quello nero colorateli. In alternativa potete utilizzare tempera e pennelli ma questi pennarelli permettono anche ai più piccoli di dipingere in maniera piuttosto precisa. Fate una bella passeggiata nel bosco e raccogliete delle belle foglie, in tante tonalità di colore.
Giochi e passatempi Cruciverba Forse non tutti sanno che Isaac Newton ha… Trova il resto della frase risolvendo il cruciverba e leggendo le lettere evidenziate. (Frase: 9, 2, 9)
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Sudoku Scoprite i 3 numeri corretti da inserire nelle caselle colorate.
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VERTICALI 1. Impraticabili 2. Nessuna cosa 3. Valutazioni di merito 4. Andata alla latina 5. Ai confini di Toledo 6. Pregiato vino francese
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20. Cadde al primo volo 21. Mi... seguono in comitiva 22. Le iniziali della giornalista Gruber 23. Lo è l’eremo
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ORIZZONTALI 1. Un’offerta di ospitalità 6. Crucci, dolori 10. Lo pratica Federica Pellegrini 11. Pianta aromatica 12. Può esserlo la tensione 13. Lo alza l’irascibile 14. Pronome personale 15. Non è all’altezza... 16. Una consonante 17. Due vocali 18. Una malattia infettiva 19. Stato asiatico
per essere l’elemento centrale di una bella ghirlanda natalizia. Buon divertimento!
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(I materiali li potete trovare presso la vostra filiale Migros con reparto Bricolage o Migros do-it)
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7. Leandro morì per raggiungerla 8. Le iniziali del filosofo Tommaseo 9. Isole del Tirreno 11. Soliloquio 13. Difetto 15. Rio affluente di quello delle Amazzoni 16. Le iniziali del politico Tremonti 18. Pericolo in Inghilterra 19. Un anagramma di onta 22. Le iniziali di Tolstoj
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Soluzione della settimana precedente «Mario mi hanno detto che a casa lavi i piatti, lavi il pavimento e i vetri!» – «Se è per questo lavo anche i panni!» – «E tua moglie?» Risposta risultante: «PER FORTUNA LEI SI LAVA DA SOLA» P E R N O E R T E S A S P I A S I P R U A V I E N N A N N O T E A M E T S E A V O L
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Regolamento per i concorsi a premi pubblicati su «Azione» e sul sito web www.azione.ch I premi, tre carte regalo Migros del valore di 50 franchi, saranno sorteggiati tra i partecipanti che avranno fatto pervenire la soluzione corretta entro il venerdì seguente la pubblicazione del gioco. Partecipazione online: inserire la soluzione del cruciverba o del sudoku nell’apposito formulario pubblicato sulla pagina del sito. Partecipazione postale: la lettera o la cartolina postale che riporti la soluzione, corredata da nome, cognome, indirizzo del partecipante deve essere spedita a «Redazione Azione, Concorsi, C.P. 1055, 6901 Lugano». Non si intratterrà corrispondenza sui concorsi. Le vie legali sono escluse. Non è possibile un pagamento in contanti dei premi. I vincitori saranno avvertiti per iscritto. Partecipazione riservata esclusivamente a lettori che risiedono in Svizzera.
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TEMPO LIBERO / RUBRICHE
Viaggiatori d’Occidente
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di Claudio Visentin
Benvenuti in Svizzera, cioè in Svezia ◆
Visit Sweden, l’ufficio di promozione turistico della Svezia, è famoso per l’originalità delle sue campagne. Per esempio nel 2016 pubblicizzò un numero telefonico per informazioni al quale rispondeva uno svedese scelto a caso tra quelli che si erano resi disponibili per l’iniziativa. Era possibile chiamare in qualunque giorno e ora per le più diverse curiosità, dalle polpette alle aurore boreali, dalla vita quotidiana al meteo. Già dal 2012 del resto i cittadini svedesi possono diventare ambasciatori del proprio Paese gestendo per una settimana l’account social (e pazienza se qualche volta ci scappa uno sproposito). Nel 2017 invece l’intero Paese (non una stanza o un appartamento) fu messo in offerta su Airbnb, per celebrare l’antica legge (Allemansrätten) che consente di utilizzare liberamente qualunque spazio che non sia espressamente privato per passeggia-
re, pedalare, cavalcare, sciare, nuotare e campeggiare. Ora però gli svedesi se la sono presa con noi. L’ultima campagna – «Benvenuti in Svezia (non Svizzera)» – ironizza su chi, specie oltreoceano, confonde i due Paesi. L’iniziativa non era così urgente o necessaria ma in effetti qualche caso è documentato, anche ad alto livello, forse per via della vaga assonanza dei nomi, o della croce presente in entrambe le bandiere. E così nel 2018 la Borsa di New York espose la bandiera svizzera in occasione della quotazione di Spotify (un’azienda svedese). E durante un’importante riunione della NATO nel 2022 il presidente degli Stati Uniti Joe Biden citò la Svizzera riferendosi alla volontà della Svezia di aderire all’alleanza militare. Per evitare il ripetersi di questi incresciosi equivoci, nel suo spot promozionale la Svezia propone un accor-
Passeggiate svizzere
do formale per delimitare meglio gli ambiti di competenza. Alla Svizzera vanno le banche (banks), alla Svezia bastano le lunghe rive sabbiose (sand banks). Il gioco continua così: il piacere di dimenticarsi del tempo invece degli orologi di lusso; il rilassamento al posto degli acceleratori di particelle; il silenzio delle foreste rinunciando allo Yodel. Infine la Svizzera si tenga pure l’LSD (che in effetti fu sintetizzato per la prima volta a Basilea nel 1938), la Svezia ha già l’aurora boreale come esperienza psichedelica. Svizzera Turismo non ha risposto alla provocazione: mai fare da cassa di risonanza ai successi altrui! Nel frattempo una ricerca condotta in margine alla campagna promozionale ha rivelato che ogni anno oltre 120mila persone cercano su Google «La Svezia e la Svizzera sono lo stesso Paese?». 85mila sono americani; la superpotenza che domina il mondo così
poco lo conosce. Negli Stati Uniti e in Inghilterra una persona su dieci confonde i due Paesi ma comunque metà degli intervistati non va al di là della geografia e non sa distinguere le due culture; un robusto (e imbarazzante) 28 % mette IKEA e ABBA tra gli aspetti prediletti della… Svizzera. Non sarebbe l’unico caso. Nello show dei Kiss alla Wiener Stadthalle Arena di Vienna è apparso il logo della band «Kiss loves you Vienna» decorato con il blu, le stelle e la Union Jack della bandiera australiana. E per qualche giorno è girata una voce: nell’aeroporto di Salisburgo ci sarebbe uno sportello dedicato a viaggiatori giunti in Austria convinti di essere in Australia. In realtà lo sportello non esiste ma in margine alla smentita si raccolgono centinaia di storie di turisti confusi, specie se le chiamate dei voli sono ravvicinate. Anni fa, all’aeroporto di Nottingham-East Midlands, i pas-
seggeri sono stati invitati a imbarcarsi per Parma, ma hanno risposto in parecchi diretti a Palma (di Maiorca). Le conseguenze possono essere irreparabili se l’errore è avvenuto al momento della prenotazione. In occasione di Euro 2020 un gruppo di tifosi francesi si è ritrovato a Bucarest anziché a Budapest, a ottocento chilometri di distanza, dove giocava la loro squadra. E in alcuni casi dei viaggiatori sono finiti nella Sydney sbagliata (in Nuova Scozia o nel Montana). Dietro al divertimento e alla leggerezza di questi episodi c’è forse anche qualche questione più seria, ovvero una diffusa ignoranza geografica. Nel tempo dell’informazione sempre disponibile in rete, stiamo trascurando la nostra preparazione di base? Anche la vendita di guide turistiche, cartacee o digitali, è in calo. Poi però non lamentiamoci se ci troviamo nel Paese sbagliato…
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di Oliver Scharpf
Le vetrate di Léger a Courfaivre ◆
Per contemplare come si deve le vetrate di una chiesa, guardate prima il meteo, ci vuole una giornata senza tanto sole. Alle quattordici e cinquantasei di una giornata bella grigia come oggi, il treno entra nella stazioncina di Courfaivre. Paesino del Giura a pochi chilometri da Delémont, sulla sponda destra della Sorne, il cui toponimo, un tempo, era associato alle biciclette Condor. E infatti, appena sceso dal treno, in faccia alla stazione, lo sguardo agguanta sulle mura della fabbrica in disuso, la scritta rossa della marca di bici rapaci. In vita dal 1896 a fine anni Novanta, la fabbrica di bici Condor, tra l’altro, sarebbe stato un soggetto ideale per un quadro di Léger. In dieci minuti raggiungo la chiesa dedicata a Saint-Germain d’Auxerre dove si possono ammirare, dal 1954, le vetrate di Fernand Léger (18811955). Famoso pittore francese di cui
non sono mai stato troppo fan ma che ho capito tardi, di colpo, dal vivo. Autore ad Audincourt, in Francia, non lontano da qui, a una cinquantina di chilometri, nel 1951, di diciassette vetrate per via delle quali è stato chiamato da Jeanne Bueche (1912-2000): architetta di questa chiesa dove entro adesso. Bastano pochi passi, lungo la navata scandita in colonne di beton bocciardato, per capire, con la luce niente male di un cielo nuvoloso chiaro e fermo a metà pomeriggio di fine novembre, che le vetrate di Léger a Courfaivre (473 m) sono abbastanza un capolavoro. Innanzitutto, al pianoterra, scorrono quindici semplici vetrate decorative che lavorano ai fianchi, facendo entrare luce colorata camminando. Mi avvicino e appoggio il palmo della mano sulle lastre di vetro incastonate nel tragitto irregolare del beton colato. Spesse fino a due centimetri
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e mezzo, la profondità produce un effetto vivificante nel colore, arricchendone la gamma di tonalità, osservabile soprattutto nei pezzi gialli: virano dal giallo pannocchia al giallo canarino. Oltre all’utilizzo di colori primari – verde, rosso, blu – è l’uso abbondante del vetro incolore a contribuire molto a questa luminosità di base. Per rimanere a bocca aperta però bisogna alzare lo sguardo, verso le dieci vetrate figurate rettangolari in cui quasi tutto accade in un medaglione di un metro e sessanta di diametro. Pesco, senza un ordine cronologico, gironzolando, delle chiavi, una mano, due piedi, una mucca, un asinello, un bambingesù, scritte qua e là, un frammento di una corona di spine che sembra quella della statua della libertà. Il disegno è fitto, forte, attraversato da macchie poderose di colori primari come sempre. Man mano che vago
tra i banchi cercando di acchiappare più simboli possibili dei dieci temi, cinque per parte, decisi dal curato dell’epoca e dall’architetta, specializzata in chiese moderne, si rivela tutta la forza innovatrice di Léger. Qui, per la prima volta, il beton colato di questa tecnica brevettata nel 1933 da Auguste Labouret, diventa disegno. In controluce, il beton appare come il nero vigoroso usato in tanti suoi quadri: non più sfondo, giuntura, contorno, ma raffigurazione sacra e fresca come rebus. In alcune parti, dove il disegno si allarga e prende piede, il beton è armato: ci hanno pensato all’atelier Aubert & Pitteloud di Losanna. A lato dei medaglioni, due notevoli vetrate contrappuntistiche, astratte, rafforzano il tutto. Mentre anche all’interno dei medaglioni, le classiche macchie di colore attraversano i disegni con la grazia di un arcobaleno. Veloce vado a dare anco-
ra uno sguardo a inizio navata sud, a fianco dell’organo, la resurrezione stringata è magistrale: due piedi giganti sopra la tomba aperta e una banda verticale di rosso. Il viaggio termina nel coro, residuo settecentesco della chiesetta ingrandita dove ci sono le ultime due vetrate, ad arco, di Léger: i miracoli della moltiplicazione dei pani e dei pesci e della tramutazione dell’acqua in vino. Qui, degni di nota, ci sono pure il tabernacolo in bronzo con angeli spigolosi di Remo Rossi e il super arazzo di Jean Lurçat. Sullo sfondo di vetro incolore, attraversati dalle solite strisce rosse, blu, gialle, verdi e una sfera verde, scaturisce il tratto nero di mani scese dal cielo, filoni di pane, un pesce, tre brocche, grappoli d’uva, e il volto di Gesù con la corona che ora, senza ombra di dubbio, è come quella della statua della libertà di New York.
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di Giancarlo Dionisio
Un sospirone di sollievo per la «Nati» degli intoccabili ◆
Nel 1996 Artur Jorge, vincitore nel 1985 della Coppa dei Campioni con il Porto, approdato sulla panchina della Svizzera, fece fuori alcuni fra i gioielli di famiglia: Stéphane Chapuisat, Adrian Knup e l’Angelo biondo Alain Sutter. Furono sostituiti da Ciriaco Sforza in cabina di regia e dai ticinesi Kubilay Türkyilmaz e Marco Grassi in attacco. Il debutto agli Europei inglesi del 1996 fu più che lusinghiero: uno a uno, nel vecchio stadio di Wembley contro i padroni di casa, con Kubi freddissimo nel siglare dal dischetto la rete del pareggio, e Grassi a sfiorare la sorprendente vittoria con un piattone da distanza ravvicinata che si stampò sulla traversa. Il prosieguo della manifestazione fu invece irto di difficoltà, così che il Mister portoghese, senza prove d’appello, fu costretto a fare le valigie. Due settimane fa, in questa rubrica, peroravo la causa degli allenatori,
spesso in balia di dirigenti tanto ambiziosi quanto incompetenti. Uomini consapevoli di essere sovente il capro espiatorio di responsabilità altrui. Ma questo discorso non vale per la nostra nazionale degli ultimi vent’anni. Köbi Kuhn, Ottmar Hitzfeld e Vlado Petković, hanno potuto portare serenamente a compimento il loro mandato, anche perché, tutto sommato, i risultati hanno dato loro ragione. Sotto la guida di Murat Yakin andremo agli Europei in Germania. Quindi dovremmo guardare agli impegni futuri con sorridente ottimismo. Vent’anni fa avremmo salutato questo approdo facendo i caroselli per le strade cittadine. Il prossimo anno andremo invece alla Rassegna continentale con la consapevolezza di aver rimediato una magra figura in uno dei gironi più abbordabili della nostra storia recente. La Svizzera è stata capace di pareggiare o di perdere sfide che
avrebbe potuto dominare. Poche idee e apparente mancanza di fuoco sacro, nella testa e nelle gambe, sono state la costante di una parabola preoccupante che ci ha premiati solo per demeriti altrui. L’aspetto più inquietante si annida, secondo me, nelle difficoltà di gestione di questa lunga fase involutiva. In campo, nessuno ha saputo prendere la Nati per mano. Né gli esperti difensori di caratura internazionale, Akanji, Elvedi e Rodriguez, né il fantasista Xherdan Shaqiri, e neppure il capitano e regista Granit Xhaka. Men che meno ci è riuscito il condottiero in panchina, che non ha mai dimostrato di possedere doti di coaching e la personalità adatta per far girare le sorti di una partita. Se ammettiamo che si possa tradurre in parole il linguaggio del corpo, possiamo tranquillamente affermare che le numerose inquadrature di Murat Yakin durante le parti-
te non vinte contro avversari palesemente inferiori, ci mostravano il volto e la gestualità minimalista di un uomo perso e spaesato. Sopra questo marasma, si è barcamenata la Federazione, che ha preferito temporeggiare. Lo ha fatto quando ci fu un imbarazzante screzio tra il Mister e il Capitano. In quella circostanza probabilmente si preferì calmare le acque. Si è ripetuta quando non ha reagito prontamente alla decisione di Ardon Jashari di rifiutare la convocazione nella Under 21. Ma soprattutto si è presa tutti i rischi del caso concedendo a Murat Yakin di concludere il girone, anche se, molto probabilmente, un volto nuovo avrebbe dato all’ambiente la classica scossa che ci avrebbe portato agli Europei con meno patemi d’animo, più gioia e più speranza. All’indomani dell’ennesimo deludente pareggio casalingo contro il Koso-
vo, il direttore delle squadre nazionali, Pierluigi Tami, aveva dichiarato che la Dirigenza si sarebbe chinata sull’ipotesi di affrontare gli Europei con un nuovo selezionatore, anche se il contratto di Yakin scadrà al termine della manifestazione. Puntualissima è giunta anche la sconfitta contro la Romania. Ciò nonostante le redini le manterrà ancora lui. Al termine della sfida, il CT ha radunato i «ragazzi» a centrocampo per un breve discorso. Intervistato dalla SRF su cosa avesse detto il Mister, Manuel Akanji ha risposto: «Non ho capito, c’era troppo rumore». Insomma, va tutto a meraviglia. La comunicazione tra panchina e campo scorre che è un godimento. Magari la Svizzera vincerà l’Europeo e noi celebreremo l’impresa. Tuttavia, qualche minuscolo dubbio, qualche briciola di perplessità, mi pare sia doverosa.
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Anno LXXXVI 4 dicembre 2023
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ATTUALITÀ ●
Più vicine di quanto si pensi Malgrado il clima da Guerra fredda siamo lontani da un vero divorzio tra America e Cina. Ecco perché
La crisi degli 007 I servizi segreti occidentali non sono in grado di comprendere le minacce come succedeva prima
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Detenuti liberati in anticipo Le carceri sono sovraffollate così Inghilterra e Galles cercano di correre ai ripari
Sempre più stranieri Arrivano in Svizzera attirati dal richiamo del mercato del lavoro e dai buoni salari
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A fare sentire la loro voce sono le mogli dei riservisti (nella foto uno di loro con la compagna alla stazione di Tyumen in Russia), richiamati da Putin nel settembre 2022, dopo aver perso praticamente tutta l’armata con la quale aveva lanciato l’invasione dell'Ucraina. (Keystone)
Donne in rivolta contro il Cremlino
Russia ◆ Le proteste isolate delle compagne dei riservisti lasciano il posto a un movimento organizzato con rivendicazioni politiche Anna Zafesova
«Sono eZausta. Ridatemi mio marito». Lo sticker apparso sui lunotti di molte automobili delle città siberiane in originale usa un sinonimo più brutale, e l’utilizzo della Z – simbolo ormai impopolare delle campagne propagandistiche a favore dell’invasione dell’Ucraina – non richiede altre spiegazioni: il marito della proprietaria dell’auto è stato mandato al fronte, e lei vorrebbe riportarlo a casa. Il movimento delle mogli dei mobilitati – i riservisti richiamati da Vladimir Putin nel settembre 2022, dopo aver perso praticamente tutta l’armata con la quale aveva lanciato l’invasione, sette mesi prima – è nato in sordina, sui social, per uscire rapidamente dal mondo virtuale. Gli episodi di protesta isolati di mogli scontente, placate dai comandanti militari con qualche soldo in più, stanno prendendo ora la forma di una organizzazione con rivendicazioni politiche. Non possono chiedere di fermare la guerra per non venire arrestate, ma nel loro manifesto esigono dai generali e dal presidente di «riportare i mariti a casa per Capodanno 2024, per sempre». «Avevamo un futuro che ci avete tolto, mandate piuttosto al fronte i vostri figli», scrive il canale Telegram «Ri-
torno a casa», intorno al quale verte il nuovo movimento. Una protesta inattesa, che nasce in un terreno che il Cremlino considerava politicamente solido: i russi contrari alla guerra e alla mobilitazione erano emigrati a centinaia di migliaia, e la maggior parte dei riservisti che hanno accettato la coscrizione sono, o almeno erano, abbastanza leali al regime. Dopo 15 mesi in trincea, e senza alcuna prospettiva di tornare a casa, è proprio la base dei fedelissimi putiniani a esplodere di rabbia, soprattutto mentre i giornali riportano i casi clamorosi di assassini che avevano riempito le pagine della cronaca nera, e che si sono guadagnati la libertà dopo essersi arruolati al fronte ucraino. Tra i criminali graziati da Putin ci sono serial killer e leader di culti satanici, uno degli assassini della giornalista Anna Politkovskaja e un femminicida che ha torturato l’ex fidanzata. A loro bastano sei mesi di «espiazione con il sangue», come la chiama il portavoce di Putin, Dmitry Peskov, mentre i riservisti comuni non hanno più scadenze e devono rimanere al fronte fino alla fine dell’«operazione militare speciale». A meno di non pagare: un’indagine di «No-
vaya Gazeta» rivela le tariffe per non venire mandati in prima linea, oppure ottenere un congedo: dai 500 ai 3000 euro, da pagare agli ufficiali.
Un’indagine rivela le tariffe per non venire mandati in prima linea, oppure ottenere un congedo: dai 500 ai 3000 euro Difficilmente però i soldati di Putin potranno tornare a casa a Capodanno: il capo dello Stato non ha ancora annunciato la sua candidatura alle elezioni di marzo prossimo, ma è evidente che non ha nessuna intenzione di lasciare il Cremlino. E anche se il voto, e il suo esito, sono ormai una pura formalità, il regime non vuole rischiare nessuna manifestazione di scontento, che secondo tutti i sondaggi esploderebbe in caso di una nuova chiamata alle armi. Gli stessi sondaggi affermano che quasi il 70 per cento dei russi sarebbe favorevole a far finire la guerra, tenendosi i territori ucraini occupati l’anno scorso. Il Cremlino però pare intenzionato a non accontentarsi: da settimane le truppe russe sono impegnate in assalti contro Avdiivka,
una città nel Donbass già diventata la tomba di decine di migliaia di soldati russi, e a giudicare dalle spese militari nella finanziaria per il 2024 – circa un terzo del totale, a scapito di drastici tagli al welfare, tra cui le voci di sanità e istruzione – Putin non ha nessuna intenzione di fare passi indietro. La guerra gli ha permesso di consolidare ulteriormente il suo potere, mettendo a tacere qualunque dissenso e trasformando la Russia in una quasi monarchia. Non solo la pace verrebbe letta dai russi come una sconfitta, ma aprirebbe la necessità di occuparsi di problemi economici e sociali, subordinati ora a quella che Putin ha presentato al Concilio del popolo russo (un’assemblea di nazionalisti e gerarchi religiosi incaricata di produrre la nuova ideologia dello Stato) come una «lotta di liberazione nazionale» contro l’Occidente. Una svolta ideologica che conferma come anche un armistizio nel Donbass non possa portare una soluzione duratura: se la guerra è «esistenziale», come dice Putin, e il suo obiettivo è quello di ripristinare «l’unione storica di ucraini, russi e bielorussi», Mosca non vorrà fornire garanzie di sicurezza e sovranità a Kiev. Che a sua volta si sta scontrando, per la pri-
ma volta, con un dibattito interno sulle prospettive del conflitto. La controffensiva estiva non è stata il blitz sperato da Volodymyr Zelensky e, anche se le truppe ucraine continuano ad avanzare a sud, si tratta per ora di un progresso troppo lento, mentre il comandante dell’esercito Valery Zaluzhny in un’intervista a «The Economist» ha paventato il rischio di uno «stallo come nella Prima guerra mondiale». Un incubo per gli ucraini e gli occidentali, mentre Putin non sembra particolarmente spaventato dall’ipotesi di una guerra infinita. Kiev ha appena subito l’attacco di droni più massiccio dall’inizio della guerra e gli ucraini temono un altro inverno di bombardamenti russi finalizzati a lasciare le città al freddo e al buio. Nel rischio di uno stallo – di armamenti, di reclute, di denaro – il fattore determinante potrebbe essere la motivazione. Che per gli ucraini resta altissima, per una questione di banale sopravvivenza, fisica e nazionale. Mentre la protesta delle mogli dei mobilitati russi – il «babiy bunt», la rivolta delle donnine, come l’hanno sprezzantemente chiamata i propagandisti televisivi moscoviti – rischia di aprire un secondo fronte nelle retrovie del regime di Putin.
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ATTUALITÀ
America e Cina: più vicine di quel che si pensa
L’analisi ◆ Malgrado il clima da Guerra fredda siamo lontani da un vero divorzio tra le due maggiori economie del pianeta Federico Rampini
La «tregua» siglata da Joe Biden e Xi Jinping al loro summit di San Francisco è una delle rare buone notizie, in un mondo infiammato da due guerre tremende e da tensioni geopolitiche crescenti. Cosa c’è dietro il buon esito di quel summit tra le due superpotenze? È vero disgelo o solo una pausa prima che emergano nuove occasioni di tensioni? La prima lezione di quell’incontro è che, malgrado il clima da guerra fredda, siamo ancora ben lontani da un vero «decoupling» o divorzio tra le due maggiori economie del pianeta. Capire perché è una chiave di lettura dei loro rapporti.
I Paesi che risparmiano – e quindi investono – troppo riescono a crescere solo se il resto del mondo compra i loro prodotti. Non sempre ciò si verifica L’economia cinese cresce quanto o più di quella americana; rimane la potenza produttiva numero uno al mondo e quest’anno la sua industria automobilistica ha superato quella giapponese. In mezzo ai tanti problemi che attraversa – spesso provocati o aggravati dagli errori di Xi Jinping – non bisogna perdere d’occhio la stazza raggiunta dalla Cina e le tante risorse che conserva intatte. Questo spiega, per esempio, perché il gotha del capitalismo americano è accorso alla cena in onore di Xi Jinping che si è tenuta a San Francisco durante quel vertice Asia-Pacifico (costo della partecipazione a quella cena, fino a un massimo di 40’000 dollari a testa). Lo spettacolo dei più celebri chief executive americani accorsi a omaggiare un leader comunista che non li ama affatto suggerisce di tenere i piedi per terra. Troppo spesso si sono lette delle analisi che trattano la gara America-Cina come un Gran Premio di Formula 1, con la telecronaca diretta di chi è passato in testa e un vincitore al traguardo, proclamato in poco tempo. È stato ricordato che qualche tempo fa la Cina sembrava la grande vincitrice nella gestione della pandemia e nella ripresa post-Covid, mentre oggi perde colpi: crisi dell’export, alta disoccupazione giovanile, collasso immobiliare. Viceversa l’America di Joe Biden, che sembrava una sicura candidata alla recessione un anno fa, invece sta continuando a crescere bene, ha un mercato del lavoro sempre vicino alla piena occupazione, ha perfino ridotto le diseguaglianze, ha vinto la corsa ai vaccini anti-Covid ed è in testa in quella per l’intelligenza artificiale. Tutto vero, però per capire i rapporti di forze nel mondo reale ci vogliono sfumature, senso della realtà, cautela, non pagelle o classifiche da campionato. I capitalisti americani che sono accorsi a quella cena sanno che la Repubblica Popolare – nei loro portafogli d’investimenti finanziari o nelle mappe globali delle loro fabbriche o nella distribuzione delle loro vendite – è destinata probabilmente a perdere peso nel nuovo scenario geopolitico di crescente antagonismo tra le superpotenze. Ma «perdere peso» è un concetto relativo, si applica in modi e quantità diversi a seconda dei settori e delle aziende; inoltre «perdere peso» non significa scomparire, diventare irri-
Joe Biden (a destra) e Xi Jinping in California, il 15 novembre scorso. In basso: una nave cargo nel porto di Tianjin, in Cina. (Keystone)
levante. Quando si fanno i paragoni tra la buona crescita economica americana e la deludente crescita cinese bisogna anche tenere presente che i numeri sono influenzati dal fatto che l’America ha un Pil gonfiato dall’inflazione (cosa che vale per i redditi delle sue aziende o dei suoi lavoratori), la Cina ha un Pil che al contrario viene ridimensionato dalla deflazione e dalla svalutazione della moneta nazionale, il renminbi. La Repubblica Popolare è certamente in una fase difficile, ha dovuto dire addio alla turbo-crescita del suo ventennio dorato: dal 1980 al 2012 i suoi tassi di crescita del Pil furono in media del 10% all’anno (e ricordo bene l’euforia regnante perché coincise con gli anni in cui ho vissuto a Pechino). Oggi il Fondo monetario le assegna una crescita media annua del 3,9% nel prossimo quinquennio, e può darsi che si riveli una stima ottimistica. È meno della metà rispetto ai bei tempi an-
dati, ma comunque non è male. Una parte delle difficoltà che conosce la Cina devono indurci a riflettere su uno stereotipo tenace e ingannevole: la favola La cicala e la formica di Esopo. Ovvero il risparmio come virtù e il consumismo come peccato. Applicato ai singoli individui può anche essere vero, esteso alle Nazioni no. I Paesi che risparmiano – e quindi investono – troppo, anzitutto riescono a crescere solo se il resto del mondo compra i loro prodotti (visto che i consumi interni sono tenuti molto bassi), cosa che può verificarsi oppure no. Una crescita trainata dalle esportazioni è dipendente dalla buona salute economica del resto del mondo e dall’apertura delle frontiere altrui. Inoltre l’eccesso di investimento genera a sua volta delle patologie. Lo si è visto nel caso del Giappone negli anni Ottanta e ora lo si vede in Cina: i consumi cinesi sono solo il 37% del Pil, sono stati sacrificati agli investi-
menti, e questi ultimi hanno creato un ingorgo di capacità in molti settori, dalle infrastrutture all’edilizia, alle stesse fabbriche. Uno dei problemi che ha la Repubblica Popolare oggi è come smaltire questi eccessi, non meno dannosi e pericolosi rispetto agli eccessi del consumismo (che tipicamente associamo all’America, dove i consumi delle famiglie raggiungono il 68% del Pil).
Il neo-comunismo di Xi Jinping è apertamente ostile al consumismo individuale che considera una patologia dell’Occidente decadente Spesso le Nazioni formiche hanno qualche modello culturale che accompagna la compressione dei consumi. Nel caso della Cina il neo-comunismo di Xi Jinping è apertamente ostile al consumismo individuale che considera una patologia dell’Occidente decadente. Se a questo si aggiunge l’ostilità verso gli imprenditori privati, si arriva a spiegare in parte quel rallentamento della crescita che secondo alcune stime ha cancellato mille miliardi di dollari di ricchezza nell’era di Xi Jinping. Vi ha contribuito pure la caduta degli investimenti esteri verso la Cina: nel 2022 ha ricevuto il 60% di capitali esteri in meno rispetto al 2015 (nello stesso periodo accadeva il contrario negli Stati Uniti dove gli investimenti dall’estero crescevano del 43%). Anche l’evidente antagonismo geopolitico di Xi nei confronti dell’Occidente è una scelta ideologica costosa. In uno scenario simulato dal Fondo monetario internazionale in cui il mondo si divide per bloc-
chi, e le mappe della nuova globalizzazione coincidono sempre più con le fratture geopolitiche e ideologiche est-ovest, la Cina va a perderci il 4% del suo Pil in un decennio mentre l’America solo lo 0,3%. Questo perché il blocco occidentale rimane tuttora il più ricco. La simulazione di cui sopra però va presa con cautela, perché non è affatto chiaro che l’Occidente voglia e possa ridurre in modo molto sostanziale i suoi legami economici con la Cina. Prendiamo un settore considerato strategico, i semiconduttori: per i quali l’America di Biden sfodera una generosa politica industriale e sovvenziona la costruzione di fabbriche sul proprio suolo, inoltre applica una sorta di embargo per limitare le vendite di microchip molto avanzati a Pechino. Ciononostante, nelle fasce medio-basse di semiconduttori, largamente usate dalle economie occidentali per prodotti maturi come l’auto e gli elettrodomestici, la nostra dipendenza dalla Cina rischia addirittura di crescere: si stima che la sua quota della produzione mondiale possa raggiungere il 42% entro il 2026. Nella cantieristica navale metà della capacità produttiva mondiale è in Cina. L’elenco può continuare. Quando si parla di «de-risking», cioè riduzione del rischio di essere troppo dipendenti dalla Cina, oppure di «friend-shoring» cioè rilocalizzazione di attività produttive verso Paesi più amichevoli, si descrive un mix di aspirazioni, obiettivi strategici e processi di adattamento già in corso da parte di molte Nazioni e aziende: ma nulla di tutto ciò accade alla velocità della luce, né significa che trent’anni di corposi legami con la Cina si possano volatilizzare.
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MONDO MIGROS
APPENA PREPARATI Impossibile resistere: succulento salame, bresaola tagliata sottilissima e delicato prosciutto crudo. Dal 1812 la famiglia Beretta produce molte prelibatezze italiane. I salumi vengono affettati freschi e messi a mano nelle vaschette. Come se fossero appena preparati al bancone, ma conservabili più a lungo.
Fratelli Beretta Specialità italiana Bresaola tagliata fine per 100 g Fr. 10.10
Immagine: Fotostudio MGB, Bruno Rubatscher; Styling: Mirjam Kaeser
Fratelli Beretta Specialità italiana Antipasto Emilia per 100 g Fr. 9.95
CONSIGLIO Fratelli Beretta Specialità italiana Salame Felino IGP per 100 g Fr. 7.70
Non riempire troppo i vassoi. Gli affettati si deteriorano più velocemente se lasciati per troppo tempo a temperatura ambiente. Meglio tenerli in frigorifero e servirsene all’occorrenza.
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ATTUALITÀ
La crisi dei servizi segreti occidentali
L’analisi ◆ All’instupidimento generale contribuiscono le nuove tecnologie. Henry Kissinger ci aveva avvertiti, con scarsi risultati Lucio Caracciolo
La stagione autunno-inverno 20232024 s’annuncia piuttosto calda per le intelligence d’ogni latitudine. La Guerra Grande, come «Limes» definisce la partita strategica fra le tre massime potenze al mondo – Stati Uniti, Cina, Russia – sta sconvolgendo gli equilibri geopolitici consolidati. Il suo recente capitolo mediorientale, riaperto dalla strage del 7 ottobre compiuta da Hamas attorno a Gaza con relativa sanguinosa rappresaglia israeliana, ha aggiunto materiale molto infiammabile alle partite dei Grandi. Quando tutto si muove e si muove tutto insieme, prevedere è impresa quasi impossibile. Ma è precisamente questo il compito delle agenzie di spionaggio: anticipare gli eventi e permettere ai rispettivi decisori di prendere le contromisure in un quadro strategico sufficientemente definito. Oggi scopriamo che i servizi segreti, specie occidentali, non sono attrezzati a capire, quindi a prevenire, le minacce come potevano esserlo prima, ad esempio durante la Guerra fredda o nel decennio della Pax Americana che è conseguito al crollo dell’Urss. Il caso più lampante è proprio l’aggressione di Hamas a Israele, il 7 ottobre. Fino al giorno prima le intelligence israeliane – Shin Bet (interno), Mossad (esterno) e Aman (militare) – muovevano dall’idea che il movimento islamista si fosse adattato alla
dura gestione dell’esistente: la manutenzione della gabbia di Gaza. Salvo periodiche esibizioni missilistiche, dagli effetti comunque limitati grazie alla protezione del sistema di intercettazione Iron Dome. I servizi israeliani erano anzi parte della manutenzione, partecipando al trasferimento dei circa 30 milioni di dollari che mensilmente il Qatar – potenza pirata del Golfo, amica di tutti e dei nemici di tutti – versava ad Hamas per tenere in vita i due milioni e trecentomila palestinesi compressi nella Striscia. L’imborghesimento degli islamisti gaziani era tesi poggiata sulla premessa strategica che dalla fine degli anni Ottanta orienta i governi di Gerusalemme: Hamas ci serve per dividere il fronte palestinese, quindi aiutiamolo a sopravvivere.
Le intelligence israeliane muovevano dall’idea che il movimento islamista si fosse adattato alla dura gestione dell’esistente Premessa che si è dimostrata falsa. Hamas non è affatto addomesticato e non solo non divide i palestinesi ma tende semmai a raccoglierli sotto le proprie bandiere. L’Autorità nazionale palestinese è svuotata di senso. Il marchio degli islamisti è diventato mondiale. Ispira violenze e attentati
in tutto il mondo. I servizi israeliani sono rimasti prigionieri dell’abitudine a considerare il futuro come prolungamento del presente. Così rivelando come anche l’intelligence non sia immune all’aria del tempo, tendente a non considerare l’avvenire se non per evocare l’apocalisse che ci distruggerà. All’instupidimento delle agenzie di intelligence contribuiscono le nuove tecnologie. A Gaza e altrove ci si affida(va) a vigilare sui possibili nemici via mirabolanti sistemi ad altissima tecnologia, che richiedono scarso impiego di manodopera e trasmettono un senso inebriante di sicurezza semiautomatica. Poi arriva l’ingegnoso terrorista che s’infila sotto l’asticella troppo alta fissata dai servizi dello Stato nemico, lavora di carta, penna, voce e fantasia. E ti fa male quando meno l’aspetti. In questo campo emerge il paradosso per cui i miracoli tecnologici, se mal gestiti, sono spesso i peggiori nemici di sé stessi. Nell’intelligence incitano a rinunciare all’uso del cervello, disabilitano le funzioni deputate a studiare il futuro a partire da profonde analisi di passato e presente, con occhio alle rotture più che alle continuità. Vero e proprio appiattimento culturale che si abbatte sull’insieme delle collettività occidentali, di conseguenza anche sui servizi di intelligence. I quali accumulano strepitose
Il cervello va allenato. Se depositato all’ingresso della sala macchine elettroniche si atrofizza. (Pixabay)
quantità di dati senza sapere come interpretarli, connetterli, usarli per anticipare le mosse dei nemici. La cosiddetta intelligenza artificiale, che si suppone moltiplicare l’intelligenza umana, la sta avvilendo ogni giorno di più. Il cervello va allenato. Se depositato all’ingresso della sala macchine elettroniche si atrofizza. Processo in corso, destinato a incrudirsi col tempo. Favorito anche dal clima woke che dalle università a stelle e strisce è percolato nell’intero edificio pedagogico americano, e di qui in Europa. Non in Cina, in Russia o
altre nemesi delle potenze occidentali, che se la ridono vedendoci intesi a strangolarci con le nostre mani. Il 30 novembre è scomparso, centenario, Henry Kissinger. Uomo di Stato di notevolissimo calibro, forgiato nell’intelligence. Negli ultimi anni ci aveva messo in guardia contro l’idolatria dell’intelligenza artificiale. Con scarsi risultati. Ci mancherà anche per questo. Non si vedono in giro molti suoi emuli. Ma forse attraverso le tragedie in corso altre teste pensanti si mobiliteranno per impedire che la sua lezione venga dispersa. Annuncio pubblicitario
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ATTUALITÀ
Carceri sovraffollate? Detenuti liberati in anticipo Regno Unito ◆ Per ovviare al problema le autorità pensano anche al trasferimento dei criminali stranieri nei Paesi di origine
Delinquenti a piede libero nel Regno Unito: il sovraffollamento delle prigioni sta costringendo il Ministero della giustizia britannico a liberare i detenuti in anticipo. Entro fine anno, infatti, migliaia di galeotti condannati in Inghilterra e Galles per reati puniti con pene detentive fino a 4 anni saranno rilasciati prima dei termini. L’alternativa? L’implosione del sistema penitenziario. La popolazione carceraria infatti, lo scorso ottobre, ha toccato la cifra record di 88’225 detenuti e le proiezioni del Governo indicano che salirà fino a 94’400 unità entro marzo 2025 e fino a 106’300 entro marzo 2027. Secondo quanto riportato da «The Times», inoltre, ai tribunali penali sarebbe stato chiesto di rinviare i verdetti di condanna nei confronti di imputati in libertà provvisoria su cauzione in attesa che i penitenziari si svuotino, con il pericolo di lasciare in circolazione autori di reati gravi come stupro o furto con scasso.
Con 159 detenuti ogni 100mila abitanti, Inghilterra e Galles hanno il tasso di incarcerazione più alto fra i Paesi dell’Europa occidentale Il Guardasigilli britannico Alex Chalk ha negato le accuse del quotidiano, pur riconoscendo di avere disposto misure emergenziali per far fronte al sovraffollamento. «Abbiamo deciso di utilizzare i poteri previsti nel paragrafo 248 del Criminal Justice Act del 2003 per far uscire su licenza i detenuti a basso rischio fino a 18 giorni prima della loro auto-
matica data di rilascio», ha spiegato Chalk alla Camera dei Comuni. «Che sia chiaro: questa misura non si applicherà a quanti siano stati condannati all’ergastolo o a pena detentiva di lunga durata, né agli autori di reati violenti o di particolare gravità o ai condannati per terrorismo o crimini di natura sessuale», ha aggiunto il ministro, precisando che i detenuti così rilasciati avranno comunque obbligo di braccialetto elettronico. L’iniziativa alla fine non è molto dissimile da quella adottata dal precedente Governo laburista fra il 2007 e il 2010 quando in questo modo furono scarcerati anticipatamente circa 50mila prigionieri. Tuttavia i Tories a suo tempo erano stati molto critici nei confronti di questo provvedimento, tacciando i Labour di essere «morbidi con i criminali». Senza contare che l’impegno di aumentare di almeno 20mila posti la capienza delle prigioni entro il 2025 era proprio una delle promesse elettorali enunciate dai Conservatori nel manifesto del 2019, e chiaramente non sta venendo mantenuta. La situazione è particolarmente critica: i detenuti sono sempre di più a fronte di uno staff carcerario in costante diminuzione. I numeri sono poco rassicuranti: l’arretrato dei costi di manutenzione dei penitenziari già nel 2001 era stato stimato a un miliardo di sterline, mentre intanto nella sola Inghilterra due terzi delle prigioni strabordano. C’è chi osserva che forse in Inghilterra e Galles si fa un uso eccessivo del carcere: con 159 detenuti ogni 100mila abitanti hanno il tasso di incarcerazione più alto fra i Paesi dell’Europa occidentale. I detenuti in custodia cau-
ErikaWittlieb/Pixabay
Barbara Gallino
telare hanno raggiunto il picco massimo degli ultimi 20 anni e molti di loro, soprattutto donne, scontano condanne piuttosto brevi per crimini non violenti, ma sufficienti a mandare all’aria la loro vita con perdita di alloggio e mezzi di sostentamento, senza tuttavia fornire alcun tipo di riabilitazione. Per non parlare delle degradanti condizioni di detenzione. Secondo un’inchiesta di «The Guardian», molti carcerati sono ormai costretti a dividere con altri celle predisposte per un singolo occupante e sprovviste di gabinetto, con il risultato di dover espletare di notte i loro bisogni dentro a un secchio. Non stupisce pertanto l’impennata di suicidi e atti di autolesionismo registrata nelle prigioni di Inghilterra e Galles. Secon-
do gli ultimi dati del Ministero della giustizia, sono 92 (+24%) i detenuti che si sono tolti la vita fra settembre del 2022 e lo stesso mese del 2023. Nello stesso periodo, si sono anche verificati oltre 64mila atti di autolesionismo (+21%) con un incremento dell’8% nei penitenziari maschili e addirittura del 65% in quelli femminili. Sono anche aumentate del 13% le aggressioni nei confronti del personale carcerario. «Le prigioni sono nel caos», ha dichiarato la laburista Shabana Mahmood, ministra ombra della Giustizia. «I penitenziari traboccano e sono diventati terreno per ulteriori crimini. Nonostante sia stato ammonito più volte, il Governo ha dimostrato dopo 13 anni alla guida del Paese di avere completamente fallito nell’affrontare
questo problema, che di fatto ha solo aggravato». Come risolvere dunque questa situazione? Oltre al rilascio anticipato, Alex Chalk intende rimandare nel Paese di origine i detenuti stranieri. «Ci sono oltre 10mila persone di nazionalità estera nelle nostre prigioni. Non è giusto che stiano nelle carceri britanniche quando potrebbero essere espulsi dal Regno», ha dichiarato il Guardasigilli alla Camera dei Comuni, annunciando provvedimenti per trasferirli nei penitenziari dei loro Paesi di appartenenza, seguendo l’esempio di altre realtà come Belgio, Norvegia e Danimarca. Ogni detenuto infatti costa allo Stato circa 47mila sterline all’anno. Il Ministero della giustizia ha anche stanziato 400 milioni di sterline per realizzare 800 celle prefabbricate e ulteriori fondi per individuare e acquistare nei prossimi 12 mesi terreni sui quali edificare nuove prigioni. Il Governo sta valutando pure misure per ridurre i detenuti in custodia cautelare, passati da circa 9mila nel 2019 ad oltre 15mila quest’anno. La chiave è quella di incoraggiarli ad accettare sconti di pena considerevoli in cambio della dichiarazione di colpevolezza. Al momento, lo sconto massimo è fino a un terzo della pena. Scure infine sulle condanne alle pene detentive inferiori a 12 mesi, che verranno commutate in condanne a lavori socialmente utili. I dati snocciolati da Chalk parlano chiaro: il 58% delle persone uscite di prigione dopo aver scontato meno di 12 mesi dietro alle sbarre ha nuovamente commesso reati, mentre solo il 22% di chi ha visto commutata la pena ha fatto altrettanto.
Quando TikTok racconta la prigione
Brasile ◆ Mogli e fidanzate di galeotti pubblicano sul web video che fanno furore in cui raccontano le visite e i loro tormenti
Un fenomeno social ha aperto agli occhi del mondo le porte delle carceri brasiliane. In particolare su TikTok, la piattaforma social che permette di creare, condividere e commentare brevi video musicali. Mogli e fidanzate di detenuti lanciano in Rete brevi video fatti in casa in cui raccontano – con il linguaggio e l’estetica kitsch del social network – le aspettative, l’ansia e i dettagli pratici di ogni loro preparazione per la visita mensile in carcere ai compagni detenuti.
L’organizzazione criminale Primeiro Comando da Capital, forte nelle carceri brasiliane, mostra insofferenza nei confronti di queste star del web I video si arrestano sulla soglia del carcere e raccontano molto delle condizioni reali di vita di chi è in prigione e di chi lo aspetta fuori. Loro si fanno chiamare «cognate» e sono ormai un piccolo esercito di star. Spopolano tra il pubblico di internet. Milioni e milioni di visualizzazioni. Raccontano di loro stesse, ma con rap carcerario in sottofondo queste ragazze sono involontariamente riuscite a far vedere cos’è il mostruoso universo carcerario di un Paese con
una percentuale di cittadini carcerati seconda solo al Salvador, alla Cina e agli Stati Uniti. Un gruppo di ragazze semianalfabete è riuscito laddove generazioni di esimi studiosi, militanti appassionati, sociologi serissimi ha fallito. Clip dopo clip la quotidianità della vita in cella viene mostrata attraverso i dettagli raccontati dalle «cognate in visita». Con ironia, con l’allegria di ventenni che mentre parlano allo specchio si truccano, si aggiustano foreste di ciglia finte e sospirano laccandosi le unghie prima di andare alla stazione di partenza degli autobus con aria condizionata impossibile che le accompagneranno con viaggi lunghissimi attraverso l’immenso Brasile nei pressi del penitenziario. C’è la giovane che afferma: «Vado a trovare il mio ragazzo dopo due mesi di cella d’isolamento». Poi la si vede vestirsi, stirarsi i capelli, truccarsi con cura, sistemare piccoli panini dentro una bustina trasparente che deve superare il controllo al portone finché, racconta lei «un poliziotto molto simpatico, ma tanto simpatico eh, lo dovevate vedere quant’era simpatico, un esempio di empatia, mi fa: “la macchina a raggi X non funziona, visite sospese”. Però puoi parlargli al telefono per 15 minuti». Quel video, uno tra i tanti, ha superato i 6
Keystone
Angela Nocioni
milioni di visualizzazioni, migliaia e migliaia di commenti. Milioni di follower per l’autrice. Roba che la «Folha de Sao Paulo», il principale quotidiano brasiliano con le migliori firme e i migliori videogiornalisti del Brasile, se la sogna. Tutto ciò avviene mentre gattini passeggiano davanti alla telecamera del telefonino, tra sospiri, risate e qualche lacrima. La ricetta di successo su TikTok è questa e loro l’hanno subito capito, trasformando questo
gioco in un lavoro (milioni di visualizzazioni chiamano sponsor, fanno piovere denaro). Nel frattempo il successo cancella in parte lo stigma che pesa sui detenuti e le loro famiglie, costruisce legami e solidarietà tra queste donne che mostrano con semplicità quanta umanità devastata ci sia in carcere e rendono visibile all’esterno la prigione mostrando che non è isolata dal resto della società. Guardando tre o quattro di questi video si impara quel che sta scritto in
volumi e volumi di letteratura carceraria: che in carcere non ci si chiede mai tra detenuti quale reato, o quale accusa, li abbia portati là dentro. È considerato offensivo. Il codice muto del carcere non lo permette. Tanto successo stanno avendo queste donne che l’organizzazione criminale brasiliana Primeiro Comando da Capital – che governa di fatto la maggior parte delle carceri brasiliane e ha grande potere sui familiari dei detenuti a cui assicura a suo modo un welfare in cambio della stretta osservanza delle regole che impone – ha mostrato una minacciosa insofferenza verso queste piccole stelline di TikTok. L’anarchia della Rete spaventa il gruppo criminale – responsabile di organizzazione di evasioni, rivolte in cella, traffico di droga, furto e attività terroristiche – che non può tollerare di non avere il capillare controllo della massa umana immensa e sofferente su cui domina dentro e fuori le prigioni. Le carceri brasiliane sono sovraffollate. In alcuni Stati il numero di detenuti è oltre il doppio rispetto a quello dei posti disponibili. Se all’inizio del secolo il numero dei carcerati si aggirava intorno ai 200’000, in poco più di due decenni è più che quadruplicato. La causa principale: la legge antidroga del 2006 che non fa distinzione tra trafficanti e consumatori.
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MONDO MIGROS
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ATTUALITÀ
Migrazione: Svizzera sempre attrattiva
Prospettive ◆ Continuano ad aumentare le persone in arrivo, allettate dal richiamo del mercato del lavoro e dai buoni salari Ignazio Bonoli
Nelle ultime elezioni federali – a detta dei commentatori – uno dei motivi che hanno favorito la vittoria dell’UDC è la chiara presa di posizione sul tema dell’immigrazione. Lo slogan «10 milioni bastano» deve aver convinto molti elettori, spostando a destra l’arco politico, verso una politica più restrittiva nei permessi di soggiorno. Anche quest’anno, nei primi sei mesi, l’evoluzione si conferma: si è registrato un aumento di 10’732 persone per un totale di 85’732 immigrati. La maggior parte di loro proviene da Germania, Portogallo, Italia, Francia e Polonia. I motivi di questa immigrazione sono principalmente la forte domanda sul mercato del lavoro e il basso tasso di disoccupazione in Svizzera. Sono questi i fattori principali dell’aumento dell’immigrazione in Svizzera. Aumento confermato anche dai dati annuali del 2022. Infatti nel 2022 il saldo migratorio (arrivi meno partenze) è stato di 81’345 persone, con un aumento di 19’819 persone. Così, mentre l’immigrazione globale è aumentata del 14,8%, l’emigrazione è diminuita dello 0,9%. Di conseguenza, a fine anno, il numero di stranieri a titolo permanente in Svizzera era salito a 2’241’854. Degli arrivi di questi immigrati il 52,3% era dovuto alla ricerca di un’attività lucrativa non soggetta a contingente (+7,4%). I soggiorni per formazione e perfezionamento avevano
raggiunto il 10,4% (+4%). Il rimanente 10% circa era dovuto a vari motivi, quali attività soggetta a contingente, rifugiato, casi di rigore dopo decisioni di asilo e applicazione della regolamentazione secondo il diritto degli stranieri. Il quadro svizzero dell’immigrazione si inserisce in una dinamica che concerne praticamente tutti i Paesi industrializzati. In cifre assolute – come vedremo di seguito – la Svizzera non è il Paese che conta il maggior numero di immigrati. Lo è però se si considera il rapporto con il totale della popolazione residente. La percentuale di persone nate al di fuori dei confini nazionali raggiunge il 31% ed è seconda solo a quella del Lussemburgo (50%), ma ben superiore a quella della Germania (17%) o dell’Austria (21%). Un’analoga considerazione può essere fatta anche per quanto concerne l’aumento. Lo testimonia anche il recente rapporto dell’OCSE (Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico) sulla migrazione che confronta i dati del 2019 con quelli del 2022, tenuto conto che i dati del 2021 sono condizionati dal periodo di pandemia da Covid. Questi dati dicono che, in Svizzera, l’immigrazione netta è aumentata del 18%, ma solo del 3% in Germania e del 10% in Austria. Sempre il rapporto OCSE considera che gran parte della migrazione è dovuta a motivi di lavoro, favorita anche
dalla libera circolazione delle persone nell’ambito dell’Ue. Paradossalmente, mentre la migrazione interna allo spazio Ue è costantemente diminuita dal 2016, quella verso la Svizzera è aumentata. Il fenomeno è dovuto alla posizione geografica centrale della Svizzera e all’attrattività del livello salariale. L’accordo di libera circolazione rende praticamente superfluo per le aziende svizzere la ricerca di personale al di fuori dell’Ue. Quello della migrazione non è solo un fenomeno svizzero o europeo. È infatti in forte aumento a livello mondiale. Nel 2022 6,1 milioni di persone sono emigrate in modo duraturo nei 38 Paesi che fanno parte dell’OCSE. Per la prima volta è stata superata la soglia dei 6 milioni, con un aumento del 26%. E questo nonostante il fatto che gli emigranti dell’Ucraina nei Paesi OCSE, circa 4,7 milioni, non siano stati conteggiati, così come i richiedenti l’asilo nel 2022. Questo perché l’OCSE considera una migrazione duratura soltanto quando il migrante ottiene lo statuto ufficiale di soggiorno e viene quindi considerato un rifugiato a tutti gli effetti. A livello mondiale, nell’ambito dell’OCSE, il numero dei migranti è aumentato di un quarto, salendo a 145 milioni. Rispetto alla popolazione la loro quota è salita al 10,6%. Da un decennio la quota maggiore dei mi-
Richiedente l’asilo che si presta come pattugliatore scolastico. (Keystone)
granti è dovuta al ricongiungimento famigliare, che raggiunge quasi il 40% della migrazione permanente. Segue quella per lavoro da Stati terzi (21%) e quella dovuta alla libera circolazione (21%) nell’Ue e tra Australia e Nuova Zelanda. Quella dovuta a ragioni umanitarie era dell’11%. Sempre nei Paesi OCSE è salito a oltre 2 milioni il numero dei richiedenti l’asilo. Tra i vari Paesi primeggiano qui gli Usa con oltre 730mila richieste d’asilo. La quota nei membri OCSE sale al 35% del totale ed è dovuta alla massiccia emigrazione da Cuba e dal Venezuela. Segue comunque la Germania, il cui numero di richiedenti l’asilo sale a 220mila, con provenienza soprattutto dalla Siria, dall’Afghanistan e dalla Turchia.
Su un milione di abitanti si contano 2’616 asilanti in Germania, 2’192 negli Usa, ma ben 2’647 in Svizzera. Stando agli ultimi rilevamenti, il numero di asilanti è ancora in aumento, perfino del 77%, rispetto allo stesso periodo del 2021. Nell’ambito dei maggiori Paesi, solo l’Italia (81%) ha un tasso d’aumento superiore. La Svizzera è attualmente al 42%, mentre l’Austria segnala una diminuzione rispetto alla crescita eccezionale dell’anno precedente. Da tutte queste cifre possiamo dedurre che la migrazione è un fenomeno mondiale e tenderà ad aumentare. La Svizzera non perderà comunque di attrattività, ma il rapporto (anche solo statistico) con la popolazione residente potrà porre qualche problema. Annuncio pubblicitario
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ATTUALITÀ / RUBRICHE
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Il Mercato e la Piazza
di Angelo Rossi
Per il rilancio dell’economia ticinese ◆
Negli anni Sessanta del secolo scorso, quando l’economia tirava e i tassi di crescita annuale erano spesso superiori al 4%, il Governo e il Parlamento ticinesi intavolarono un lungo dibattito sulla possibilità di dotarsi di una pianificazione o programmazione cantonale. Questi due termini sono poi scomparsi dal vocabolario politico, almeno per quel che riguarda l’economia, sepolti nelle macerie semantiche create dal crollo della cortina di ferro. Oggi per definire la politica economica del Governo si va invece nel teologico. Così il Dipartimento cantonale delle finanze e dell’economia ha raccolto gli obiettivi della sua politica di incoraggiamento in una «visione» la cui «missione» recita: «Lavoriamo insieme per una crescita economica duratura e sostenibile che valorizzi lo spirito imprenditoriale e l’innovazione, con risvolti positivi sull’occupazione». Ci si potrebbe chie-
dere se abbia un senso usare termini come visione e missione per definire gli obiettivi della strategia economica del nostro Cantone. Ma non formalizziamoci! Non è decisivo come venga chiamato il documento che contiene gli obiettivi strategici, importante è dare una definizione abbastanza precisa degli stessi e verificare in che misura possono essere realizzati. Per far questo è necessario confrontarli con le tendenze di sviluppo dell’economia. Ma quali sono gli indicatori che potrebbero consentirci di verificare se gli obiettivi della missione cantonale siano o meno fattibili? Cominciamo dalla crescita duratura. L’indicatore principe della crescita è il tasso di variazione annuale del Pil. Questo tasso dovrebbe essere tale da evitare che la disoccupazione cresca. Secondo noi perché ciò sia possibile occorre che il Pil reale ticinese aumenti annualmente di almeno 1,5%. I da-
ti disponibili ci dicono che, dal 2010 al 2020, il citato Pil è cresciuto solo dello 0,75%, ossia a una velocità pari alla metà di quella che sarebbe necessaria per mantenere il pieno impiego. Attualmente, quindi, la crescita è duratura ma insufficiente. Vediamo ora che ne è della sostenibilità della crescita. A livello cantonale l’obiettivo della sostenibilità è specificato in documenti quali le Linee direttive, il Rapporto sugli indirizzi, il Piano direttore cantonale, il Piano energetico cantonale, il Programma cantonale di Legislatura 2019-2023. Difficile invece sintetizzare le tendenze in atto. Ci limitiamo quindi a segnalare che la crescita dell’economia è normalmente accompagnata da un aumento del consumo di energia e questo non è un processo sostenibile. Tuttavia, come mostra la nuova Statistica dell’ambiente e delle risorse naturali, nel corso degli ultimi 10 anni in Ticino il consumo di ener-
gia è diminuito. Contenere il consumo di energia è un aspetto importante della sostenibilità e la tendenza in corso rispetterebbe la missione del DFE. Resta da vedere in che misura la diminuzione nel consumo non sia da attribuire al fatto che l’economia ticinese sta conoscendo una lunga frenata. Rimangono da considerare gli altri due obiettivi quantificabili della missione, ossia l’innovazione, che sarebbe da valorizzare, e l’occupazione per la quale ci si augura vi siano risvolti positivi. In un’economia come la nostra, nella quale l’innovazione è soprattutto innovazione di processo, volta a ridurre i costi, la sua valorizzazione deve essere intesa come un auspicio a incrementare produttività e capacità concorrenziale che sono purtroppo i suoi punti deboli. La statistica ufficiale non riporta indicatori che quantifichino le prestazioni dell’economia ticinese in materia di innovazione. Notiamo però
che un’inchiesta fatta a livello nazionale ha rilevato, per il Ticino, l’emergere di una tendenza negativa per l’innovazione e per le attività di ricerca e sviluppo. È quindi giusto che ci si dia da fare. Più difficile è capire che cosa il testo della missione intenda quando propone che la crescita dell’economia cantonale dovrebbe avere risvolti positivi sull’occupazione. Pensiamo che qui si voglia mettere l’accento su aspetti qualitativi, come per esempio un minor ricorso ai frontalieri, piuttosto che su aspetti quantitativi. Infine stimiamo che in un Cantone che ha conosciuto nel corso degli ultimi due decenni un raddoppio del numero delle aziende – e quindi anche del numero degli imprenditori – affermare di voler valorizzare lo spirito imprenditoriale dice poco: per noi non si tratta che di un’altra illustrazione della retorica mistico-aziendale che ispira tutto il documento del DFE.
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Affari Esteri
di Paola Peduzzi
In Olanda ha vinto l’antieuropeismo ◆
Pensavo in un inizio migliore, ha detto Geert Wilders, vincitore delle elezioni olandesi del 23 novembre alle prese con i primi passi della formazione di un coalizione di Governo. Il Partito per la libertà di Wilders, anti immigrazione, anti islam e anti Europa, ha vinto il maggior numero di seggi nel Parlamento (37) ma per governare ha bisogno di arrivare a 76 seggi. Ha il sostegno del Movimento civico dei contadini che ha 7 seggi; dovrebbe avere il sostegno del partito neonato Nuovo contratto sociale con 20 seggi; ma il piatto forte è il Vvd, il partito liberalconservatore che guida i Paesi Bassi da 13 anni e che ha preso 24 seggi. Quando Wilders dice che sperava in un inizio migliore fa riferimento al fatto che ha già dovuto sostituire il suo «negoziatore esploratore», il senatore Gom van Strien, che nel giro di tre giorni si è dovuto dimettere per un’accusa di frode: il senatore nega tutto,
comunque lascia l’incarico e denuncia una campagna denigratoria da parte dell’élite contro il partito vincitore. Di certo lo shock di questa vittoria fatica ad assorbirsi, ma il problema non sono le accuse, il problema è lo stesso programma di Governo proposto da Wilders con cui ha vinto le elezioni. Guardiamolo, questo programma, a pagina 42. «Il principio guida è agire nell’interesse dei Paesi Bassi e degli olandesi. Prima il proprio Paese»; «il Pvv vuole un referendum vincolante sulla Nexit» (Nexit sta per «Netherlands exit» cioè l’uscita dall’Ue). I Paesi Bassi sono uno Stato fondatore di quella che era la Comunità europea e che oggi è l’Ue, la loro forza economica si fonda sul mercato interno dell’Ue, hanno una grande forza politica a livello comunitario e vogliono fare – nella versione Wilders che vuole diventare primo ministro – come il Regno Unito. «Finché non si sarà te-
nuto il referendum sulla Nexit – si legge nel programma – ci impegniamo a recuperare i nostri miliardi da Bruxelles», a non fare «trasferimento di poteri all’Ue», a ripristinare «tutti i nostri poteri di veto», a contrastare qualsiasi ulteriore allargamento dell’Ue. Con Wilders al Governo i pilastri dell’Ue sarebbero messi in discussione, per non parlare della politica nei confronti dell’Ucraina. A metà dicembre l’Ue deve decidere se aprire i negoziati di adesione all’Ue, c’è già l’ostacolo del veto dell’Ungheria, e anche se Wilders non sarà ancora alla guida dei Paesi Bassi – se mai lo sarà – è evidente che la sua vittoria è una gran festa per Vladimir Putin. Oggi Wilders dice che «si modererà» e questa è la speranza di quasi tutti in Europa: il pragmatismo spesso ha il sopravvento sull’ideologia, soprattutto quando si vuole andare al Governo. Ma ci sono due elementi da considerare: Wil-
ders ha vinto le elezioni perché ha urlato il suo programma, non perché lo ha mitigato o nascosto; Wilders è il fondatore di fatto del sovranismo anti immigrazione e anti europeo dell’Ue, prima di tutti i suoi partner di oggi c’era lui, che dal 2006 – l’anno successivo alla bocciatura nei Paesi Bassi del referendum sul Trattato costituzionale europeo – alimenta la visione nazionalistica dell’Europa, con i muri e le spaccature e quell’illiberalismo che già vediamo in essere in Ungheria. È plausibile pensare che si rimangerà la storia della sua vita per fare patti di Governo? Molto dipenderà anche dalle decisioni del Vvd, da cui lo stesso Wilders proviene (era stato il mentore dell’ex premier Mark Rutte). Il Vvd si è classificato al terzo posto. Oggi, dopo le dimissioni e il ritiro dalla vita politica di Rutte, è guidato da Dilan Yesilgoz-Zegerius, di origine curda, ar-
rivata come rifugiata nei Paesi bassi quando era bambina: scappava dalla Turchia dell’inizio degli anni Ottanta, con una sola borsa, è andata con un barchino da Bodrum all’isola di Kos, e poi su a nord fino ad Amersfoort, a pochi chilometri da Amsterdam. Yesilgoz-Zegerius dice che una storia come la sua, da rifugiata di periferia al centro del potere, ora i Paesi Bassi non saprebbero più crearla, perché sono state accolte troppe persone con politiche di integrazione fragili e il «sogno olandese» è svanito. È anche per questo che la leader del Vvd non esclude una collaborazione con Wilders – forse più sostegno esterno che patto di coalizione – e questo è, come un po’ tutto nel futuro olandese, un’incognita, perché non è chiaro se questa alleanza sarà più europeista e moderata o se invece è lo sdoganamento ultimo dell’antieuropeismo alla guida di un Paese che è il cuore dell’Ue.
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Zig-Zag
di Ovidio Biffi
Quattro candele in cerca di luce ◆
«Dovremo pensare anche all’Avvento». Il richiamo di mia moglie è puntuale. A scortarci fino al Natale sono ormai le quattro candele sul tavolo, non più l’albero di Natale con lucine e figliolanza attorno. La sollecitazione, suggerita oltre che dal calendario anche dal sempre più anticipato riferimento al Natale delle campagne pubblicitarie, è comunque una conferma che l’avvio dell’Avvento mantiene il suo significato, anche se ormai è qualcosa che le nuove generazioni non conoscono o di cui ignorano l’origine. Uno dei tanti dizionari reperibili sul web mi certifica che «Avvento» significa «arrivo, venuta» (con un accento enfatico, come di predestinazione), ovviamente di Gesù. Wikipedia invece ricorda che inizialmente – probabilmente dalla metà del IV secolo – esso fissava un periodo di digiuno tra il giorno di San Martino e le date in cui veniva festeggiata
la nascita di Cristo e la sua manifestazione (6 gennaio). Queste evocazioni mi suggeriscono di tentare una versione personale e meno stagionata dell’Avvento appena iniziato. Il lettore perdonerà se alla fine, pur rimanendo ancorato alle quattro candele, troverà non tanto un Natale religioso ma piuttosto una Venuta sociale e politica. Pensando alle tradizionali quattro candele da accendere ho subito immaginato una dedica per altrettante religioni, assegnando poi a ognuna messaggi di speranza per un futuro di pace, meno brutale, senza divisioni soprattutto fra chi afferma di credere in un solo Dio ma non riconosce che qualcuno possa avere un altro Dio. Mi rendo però subito conto che una simile procedura, ripetuta quattro volte, non reggerebbe. Anzi, sarebbe simile a una predica che nella mia mente viene fulminata da una
sentenza lasciata da José Saramago: «Il mondo sarebbe molto più pacifico se fossimo tutti atei». Così lascio cadere il rimando religioso e decido di privilegiare l’aspetto primordiale, sinora a me sconosciuto, dell’Avvento come digiuno. Non un digiuno che riguarda la fame ma mirato a favorire una disintossicazione dai veleni di una ormai persistente infodemia, la tempesta di informazioni dominanti che le nostre menti sono sempre più costrette a subire dai mezzi di comunicazione. Sia da quelli tradizionali sempre più monocordi (giornali, tv, radio e riviste incapaci di parlare linguaggi diversi), sia da quelli di internet e altri neo-media che veicolano notizie inverificabili, spesso artatamente falsificate, manipolate o addirittura di segno opposto alla realtà. La prima candela la dedico quindi a un digiuno mediatico che in qualche modo riesca a immunizzarci dall’in-
fodemia che, avvelenando l’opinione pubblica, crea e alimenta di continuo un elevato e inarrestabile disordine. Occorre disciogliere il caos mediatico che da anni, oltre a diventare sempre più incontrollabile, paradossalmente funziona da piattaforma delle numerose tensioni politiche (terrorismi, populismi, estremismi razziali e religiosi) e gestisce una vasta serie di interconnessioni, rapportabili a ferite già aperte come sta avvenendo in Ucraina e a Gaza, come pure una pletora di conflitti «dormienti» (al di sotto della soglia bellica in altre regioni del Medio Oriente, dell’Asia e dell’Africa) in grado di creare disordini anche nelle grandi città occidentali. La seconda candela sarà di conseguenza rivolta a favorire una diversa e meno autolesionistica gestione di quella che sinora abbiamo conosciuto come «democratizzazione» dell’informazione, uno strumento
che ha finito per ingigantire lo strapotere della comunicazione televisiva. La luce della terza candela nelle mie intenzioni dovrebbe invece imbrigliare e rendere innocua la disinformazione che vediamo usata sempre più spesso come arma per indebolire la comprensione, a disorientare e scoraggiare l’opinione pubblica, come pure a mettere sotto attacco personaggi delle scene politiche e mediatiche. Di riflesso diventa inevitabile orientare anche la luce della quarta candela nella stessa direzione, sperando di riuscire ancora a correggere e controllare quanto il web ha consentito ai nuovi social media e a chi li usa contro l’etica politica: per addormentare lo spirito critico, banalizzare la realtà e il pensiero, spingendosi sino al punto in cui il fruitore non riesce più a distinguere tra una vita online e l’esistenza offline in cui è collocato (copyright mons. Ravasi).
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CULTURA ●
Piper e Vivien a Gaza Per Gabriele Capelli è uscito il romanzo di Anne-Sophie Subillia, Premio svizzero di letteratura 2023
Le magie di Wes Anderson Anticonformismo, narratori letterari e molto altro nei suoi cortometraggi realizzati per Netflix
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Un grande ritorno Per SUR è uscita una nuova edizione del romanzo di John Updike Le streghe di Eastwick
Memorie inutili ll 5 dicembre alla Biblioteca Salita dei Frati verranno presentate le Memorie inutili di Carlo Gozzi
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© Gallerie degli Uffizi
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Paolo Conte e i suoi disegni protagonisti agli Uffizi
Mostre ◆ Il cantautore italiano svela un altro dei suoi «vizi» oltre alla musica e lo fa nella nuova sala museale dedicata all’arte grafica Blanche Greco
Alla collezione dei duecentocinquantacinque autoritratti delle Gallerie degli Uffizi che coprono 600 anni di storia dell’arte tra non molto si aggiungerà, dopo quello donato dal pittore Yan Pei-Ming, anche l’Autoritratto di un pirla (1978), disegno che attualmente apre la mostra Nostalgia di un golf, un dolcissimo golf di lana blu curata dal direttore Eike Schmidt e Chiara Toti visibile sino al 7 gennaio nelle nuove sale dedicate all’arte grafica. L’autore è Paolo Conte che debutta agli Uffizi questa volta senza il pianoforte, con matite, pennarelli e acquerelli, svelando un altro dei suoi «vizi» oltre alla musica, ma che con questa s’intreccia inevitabilmente come suggerisce anche il titolo della mostra tratto da una delle sue canzoni surreali ed ironiche. Sessantanove i disegni esposti, realizzati dagli anni 70 a oggi, simili a fotogrammi di un film che racconta storie romanzesche e autobiografiche, e altre ne suggerisce aprendo le porte a una fantasia sfrenata tra immagini ambientate negli anni Venti del 900, popolate di musicisti e «pervase» dai ritmi indiavolati della musica Ja-
zz e dai sentimentalismi malinconici del blues. Ricordi e visioni create dalla matita e dai pastelli di Paolo Conte che finiscono col contagiare anche il visitatore, prima affascinato e poi coinvolto e sedotto da questo gioco raffinato di influenze moderniste ed espressioniste, fatto di rimandi tra realtà, musica e poesia. Ci introducono nello spirito e nel «mood» di questo autore e della mostra, alcune illustrazioni dalla sua commedia musicale: Razmataz (2000), o come la definisce lui, la sua storyboard sonorizzata composta da milleottocento disegni accompagnati da musica e dialoghi che racconta l’incontro negli anni 20 della vecchia Europa con i ritmi della giovane musica nera. Al centro della storia l’orchestra Jazz Jamboree di musicisti e ballerini afroamericani che, all’arrivo alla stazione di Parigi, scoprono che Razmataz, una delle sei cantanti del gruppo, è misteriosamente scomparsa. Un intrigo che spinge un detective a indagare tra i vari personaggi emblematici di quel mitico mondo notturno parigino. Così scopriamo l’universo personale di Paolo Conte, dove regnano l’au-
tunno, la pioggia, il tramonto, l’azzurrino del fumo delle sigarette nei jazz club e il grigio perlato delle nebbiose notti parigine degli anni 20-30, o forse un po’ prima, e in un’atmosfera smemorata e romantica, facciamo conoscenza con personaggi e ritrovi musicali di quella storia; ecco Le pianiste, La cantante, Il bassista, Soirée Remington, Il cinema Luxor, ma anche panorami urbani di una Parigi futurista, animata, trafficata di auto che sfrecciano nella notte. Paolo Conte artista tra figurativismo e astrattismo ha la capacità di mescolare linguaggi diversi, così insegue le sue creature e le sue visioni con ogni mezzo: le fissa sul foglio a matita, ma poi le rielabora, le fotocopia, ne fa versioni differenti grazie ai colori, le completa con didascalie che aggiunge in fondo ad ogni opera con la macchina per scrivere. In Alabama Night, Ella Fitzgerald prende corpo prima in un disegno in bianco e nero, che poi viene fotocopiato e reinterpretato con il pennarello. Anche La carrozza degli artisti è in più versioni dai colori sempre più sgargianti; mentre il Treno, disegnato
più volte, possente e veloce, nell’ultima versione diventa un omaggio a Campigli: una malinconica e fuggevole sequenza di visi femminili al finestrino. Paolo Conte – come ha scritto lui stesso – ama la pittura perché, mentre la musica lo eccita, disegnare «lo calma e lo diverte», come s’intuisce anche dal tono di certe sue didascalie e dalla verve dei disegni: «Individuo che cerca di assomigliare a Michelangelo senza barba»; oppure: «Turista belga abbrancato a ballerina francese di Java»; «Il trombonista», o «la Cantante e il pianista», dove la cantante fa di tutto per rubare la scena al pianista con le sue movenze osé e la sua mole; Sophie Tucker, licenziosa «Red Hot Mama» e poi «il Mocambo», tipico localino di provincia tra musica e debiti; i suoi numi tutelari come i mitici jazzisti Jelly Roll Morton, O’Neal Spencer, ma anche «Il diavolo rosso», celebre ciclista astigiano Giovanni Gerbi vincitore di tante gare, quello che, maglietta e bicicletta rossa (nell’immagine), lanciato verso il traguardo, sfrecciò attraverso una processione, si conquistò quel soprannome ed entrò in una canzone di Paolo Conte.
Sensazioni, istantanee della memoria di quel ragazzino nato ad Asti e cresciuto con la musica grazie ai genitori pianisti e a un fratello batterista che strimpellava con lui alle feste e nei localini di paese. Questi disegni raccontano anche la sua storia, di lui trombonista e poi xilofonista per passione, quindi avvocato e pianista per tradizione famigliare che però si scopre anche autore di canzoni di successo come: Azzurro, Messico e Nuvole, Siamo la coppia più bella del mondo e tante altre, amate, cantate da Celentano, Iannacci, Caterina Caselli. Poi sul palcoscenico a raccontare il suo universo c’è andato lui stesso, il Conte affabulatore, musicista, disegnatore, artista a tutto tondo che con la mostra Nostalgia di un golf, un dolcissimo golf di lana blu ha riunito i suoi «vizi» e conquista il pubblico ancora una volta. Dove e quando Nostalgia di un golf, un dolcissimo golf di lana blu, Firenze, Gallerie degli Uffizi; fino al 6 gennaio. Orari: ma-do, 8.15-18.30. www.uffizi.it
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CULTURA
Una storia svizzera nella Striscia di Gaza
Romanzo ◆ Con La moglie uscito ora in italiano, Anna-Sophie Subilia ha ricevuto quest’anno il Premio Svizzero di letteratura
«Muhammad ha fissato un dondolo di rattan al soffitto del portico. Da lì, oltre il muretto di cinta, si vede il mare. È come se la casa fosse emersa dalla sabbia sotto forma di cubo e si fosse indurita naturalmente all’aria. La casa è sabbia, e la sabbia entra da tutte le parti. Te la ritrovi nei nodi del tappeto, sotto il tappeto, in bocca, nella frutta appena tagliata. Scricchiola e scrocchia sotto i denti come sale. La casa pare una ceramica (…) Uno dei muri è color pistacchio, decorato da un fregio bianco meringa (…) L’elemento centrale rimane la bandiera della Croce Rossa, issata sul tetto a terrazza, indicatore delle zone di conflitto e la cui sola presenza trasforma il luogo. La donna è orgogliosa della bandiera sulla sua casa provvisoria».
«Definendola “moglie” o “sposa” si dà subito una connotazione precisa all’identità del personaggio che appunto è a Gaza come sposa e accompagnatrice del marito in missione» Siamo a sud di Gaza, corre l’anno 1974 e ad abitare questa casa un po’ cubica, un po’ transitoria è una coppia svizzera. Lei, la moglie, si chiama Piper Desarzens, lui, il marito, è Vivian Desarzens, delegato svizzero del Comitato internazionale della Croce Rossa (CICR) in missione a Gaza. A firmare il romanzo invece è Anne-Sophie Subilia, classe 1982, losannese, scrittrice svizzero-belga, vincitrice del Premio svizzero di letteratura proprio con quest’opera uscita originariamente in francese per l’editore Zoé con il titolo L’épouse (2022). Abbiamo avuto il piacere di incontrarla a Lugano qualche settimana fa ospite della Casa della Letteratura per presentare l’uscita del suo libro tradotto in italiano da Carlotta Bernardoni-Jaquinta e edito da Gabriele Capelli. Studi in letteratura francese e storia all’Università di Ginevra, diplomata
in scrittura letteraria alla Hochschule der Künste di Berna, Anne-Sophie Subilia, dedita anche alla poesia, per scrivere questo romanzo si è ispirata alla storia dei suoi genitori che proprio nel 1974 si sono trasferiti a Gaza per via dell’incarico del padre, delegato del CICR proprio come il protagonista del suo romanzo. Colpisce subito il fatto che La moglie sia uscito proprio ora che il conflitto israelo-palestinese si è riacceso tornando al centro dell’attualità, ma si tratta di una coincidenza. «Certo, la situazione nella Striscia di Gaza era insostenibile da molto tempo ormai e in un certo senso non sorprende quanto sta accadendo. Ma il mio libro è completamente slegato dai fatti di oggi, che sia uscito proprio ora è solo un caso». Di Anne-Sophie Subilia ci piace innanzitutto la scrittura – precisa, asciutta, intima – così come il passo narrativo scandito da frasi brevi, descrizioni ampie e sporadici dialoghi. Una scrittura che ti entra dentro, ti avvolge e a tratti ti fa sentire la presenza, il sapore, «il mormorio» di quella sabbia sparsa ovunque, dentro e fuori casa, dentro e fuori l’anima, come se fosse un elemento costante delle vite di chi abita nella Striscia di Gaza. Un po’ come il khamsin, «il vento del deserto che di solito soffia in primavera». E seppur tutto pare essere secco, asciutto e difficile, ci sono oasi di bellezza, fertilità e speranza. Primo tra tutti il giardino che all’inizio dell’inverno – con il suo terreno secco e povero – fa disperare Piper. «A gennaio ha un aspetto orribile. Nient’altro che sabbia. Canneti ed eucalipti che puntano con le loro lunghe foglie a frusta» ma che in un secondo momento regalerà piccole, intense gioie grazie alla cura e alla sapienza di Hadj, il giardiniere. «Di ritorno a casa. In giardino ci sono stati altri cambiamenti. La carriola è parcheggiata nel cortile, con una pala appoggiata sopra di traverso e delle tracce di cemento secco sul fondo del cassone (…) Adesso quel posto è un
Wikipedia
Natascha Fioretti
pozzo di sole, un’incantevole gloriette. Si sta così bene. La donna rimane a bocca aperta per la gratitudine. Hadj e i suoi figli hanno pulito tutto per liberare la vegetazione preesistente. Limoni, bouganville e kumquat in piena fioritura che non avevano ancora visto. Rivolte verso i limoni, due poltrone di vimini, ormai grigie per l’usura, danno le spalle a una pianta sconosciuta e rigogliosa, molto profumata, che non è né vigna né kiwi, ma anche lei rampicante e a viticci, che è stata disposta a spalliera». Il giardino per la sua presenza e la sua influenza «diventa un personaggio – dice l’autrice. È una metafora, il simbolo dell’amicizia incredibile che si viene ad instaurare con Hadj che è pieno di energia, si occupa di tutto e la rende felice. La donna è felice quando lo vede arrivare con l’asino e i suoi figli. Tra i due c’è una cura, un’attenzione reciproca e il giardino è il centro, il punto di equilibrio e di mediazione» tra due persone provenienti da culture e realtà così diverse. Non per nulla «la flemma» di Hadj sulle prime insospettisce la moglie.
Abbiamo detto all’inizio che i protagonisti hanno un nome, eppure lei, Piper, nel romanzo è sempre la moglie. Perché? «È una scelta provocatoria. Definendola “moglie” o “sposa” in francese si dà subito una connotazione precisa all’identità del personaggio che appunto è a Gaza come sposa e accompagnatrice del marito in missione». Piper entrerà in crisi per questo suo ruolo trovandosi ben presto nel bel mezzo di una crisi esistenziale. Vivian invece è impegnato a incontrare quotidianamente i prigionieri delle carceri di Gaza, Be’er Sheva, Nablus, Hebron, Jenin. Ascolta i racconti e le testimonianze dei singoli, delle loro famiglie trascrivendo le sue impressioni. Tante anche le scene di ordinaria serenità. I venerdì sera al Beach Club, le passeggiate in riva al mare, il sabato mattina in centro o le sere al cinema all’aperto che fotografano la realtà a Gaza (nella foto la vista del porto): «Quella sera vedono solo un quarto del film. Verso le nove, il proiettore singhiozza, poi si spegne tutto. L’insegna e la ghirlanda luminosa
del Beach Club smettono di lampeggiare. I clienti aspettano un momento mentre il proprietario dispiaciuto tenta di rimettere in moto la macchina. Ma è tempo perso, lo sanno tutti. L’elettricità è controllata dagli israeliani che fanno quello che vogliono. Come molti altri venerdì sera su Gaza regna l’oscurità». Seppur il legame con l’attualità non è voluto, è chiaro come proprio questo elemento renda oggi più intensa la lettura de La moglie. Una storia raccontata con delicatezza, con una conoscenza dei luoghi narrati, con momenti di grande malinconia che si alternano a momenti di piccole gioie e conquiste quotidiane in un contesto percepito spesso come difficile e ostile. E a tenere insieme tutto c’è la scrittura di questa autrice, fluida e dolce come la risacca del mare, vero valore aggiunto di quest’opera. Bibliografia Anne-Sophie Subilia, La sposa, Gabriele Capelli Editore, Mendrisio, 2023.
Le nuove povertà
Feuilleton ◆ Puntata conclusiva del romanzo di Lidia Ravera per «Azione». Sul nostro sito sono disponibili quelle precedenti Lidia Ravera
«L’hai rivisto?» «No, non l’ho rivisto. È sparito anche lui. Ma non me ne frega niente. Abbiamo l’invito». «Ci sarà una lista», disse Tom. «Se c’è una lista io sarò su quella lista…il vecchio non è il tipo che ti cancella». Tom accese la luce e si puntellò su un gomito per guardare in faccia sua moglie. «Perché ci vuoi andare?» «Perché non posso lasciare niente di intentato. Non so tu, ma io vorrei uscire da questa situazione». «Anche io», disse Tom. Spense la luce e al buio confessò: «Ho guardato gli annunci di lavoro. Job in tourism». Era la prima volta, in tutta la sua vita. Aveva 42 anni. E la mattina dopo si sarebbe presentato all’Hotel Colosseo, dove aveva trovato un posto da portiere di notte. Betta strinse forte la mano di Sara,
erano schiacciate, tutte e due, nell’angolo sinistro di un vecchio montacarichi che immetteva direttamente nel salone. C’erano almeno venti persone e sembravano conoscersi tutte fra loro. Alcune commentavano quell’esemplare di archeologia industriale che funzionava da ascensore lento. Ne parlavano come di un vecchio rituale. Il palazzo era occupato per due piani da certi laboratori dove sofisticati artigiani realizzavano i costumi per il Teatro dell’Opera. L’ultimo piano era come una grande piazza sospesa sul monumentale Circo Massimo. Era un luogo fastoso e sobrio, freddo per le grandi vetrate, immerso in una penombra illuminata da centinaia di candele, poggiate nel centro di decine di tavole rotonde. Sara guardò sua madre, che perlustrava con gli occhi la sala. La teneva per mano come se fosse piccola, come dovesse farle attraversare una strada pericolosa.
«Che posto pazzesco», disse, tanto per rompere quell’incantesimo. Era un po’ pentita di aver detto di sì quando suo padre l’aveva invitata a sostituirlo: «Vai tu con la mamma. Io prendo servizio alle cinque del mattino, devo andare a letto presto». Aveva sempre un aria grave, quando parlava della sua nuova vita. «Andate a spassarvela» aveva detto, poche ore prima, guardandole mentre si preparavano. «Magari incontrate due principi azzurri, uno piccolo e uno grande, e diventate principessa e regina. In fondo, nel mondo come è diventato, tutto si decide alle feste.» Non era affatto certa, Sara, che si sarebbero divertite. Infatti aveva chiesto il permesso di portarsi l’iPad. Sua madre tremava in un vestito di raso rosso, scollato e attillato che le lasciava nuda la schiena e le sottolineava il sedere. «Me l’ha regalato il tizio che ci ha
invitate al party», aveva detto con una smorfia, siccome sarà lì, sarà contento di vedermelo addosso». «E perché te l’ha regalato? Sa che siamo poveri?» Betta non aveva risposto e le aveva allungato una giacchetta bianca che non metteva più. Avevano riso. Non era difficile ridere, da quando Tom si era esibito in quella accorata esposizione dei loro guai economici. Era come se lei, la figlia, fosse diventata improvvisamente adulta. Betta si era sintonizzata su un’allegria artificiosa. I momenti di disperazione erano più autentici ma più difficili da gestire. Perciò, per un segreto accordo, erano stati eliminati. Nella nuova distribuzione delle parti, Betta era coraggiosamente positiva come certi malati terminali che si ostinano a scherzare, per non pesare sui parenti in visita.
A Sara piaceva che, di nuovo, sua madre passasse ore davanti allo specchio del bagno provando espressioni diverse, come per scegliere la maschera più adatta alla giornata. Che uscisse spesso. Che nessuno sapesse dove andava. Le piaceva che suo padre avesse trovato un lavoro e ne parlasse come di un’onorificenza. Lavorava presso l’hotel Colosseo. Quattro stelle. Turismo di classe. «Dì alla tua amica che tuo padre fa il portiere di notte per poter scrivere». O studiare. O lavorare al suo film. Sara pensò che era una buona idea. Si sarebbero accomodati nella povertà e l’avrebbero fatta diventare elegante, alla moda, invidiabile. Quando tornarono a casa dalla festa baciarono tutte e due Tom che dormiva. Lui fece finta di non svegliarsi. (44 – Fine)
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CULTURA
La ricetta del capolavoro? Un miscuglio di forme
Cinema ◆ Anticonformismo, narratori letterari e scene cartonate nei lavori di Wes Anderson ispirati ai racconti di Roald Dahl
Gestione creativa del narratore e decisi colpi di coda. Abbiamo guardato con ammirazione gli ultimi lavori di Wes Anderson, regista e sceneggiatore anticonformista che viola le regole standard del fare cinema, piega i colori a suo piacimento, produce cortometraggi in controtendenza ai lunghi spropositati, sostituisce la recitazione espressiva con fiumi di parole incalzanti, ma soprattutto rinuncia alla trasposizione totale andando ben oltre la stessa. Lo diciamo subito, ci soffermeremo più sulla forma, che non sulla trama. I lavori – acquisiti da Netflix – cui ci riferiamo sono in ordine di comparsa: La meravigliosa storia di Henry Sugar (mediometraggio di 39 minuti, presentato quest’anno a Venezia), quindi Il Cigno, Il derattizzatore e Veleno (di 17 minuti l’uno). Per non lasciarvi proprio a digiuno: il primo parla della straordinaria storia di un uomo che riuscì a vedere con gli occhi bendati; Il Cigno, crea angoscia mettendo in scena estremi atti di bullismo subiti da un ragazzino; ne Il derattizzatore, come si può intuire, arriva in paese uno sterminatore di ratti (il nostro meno apprezzato); Veleno è tensione allo stato puro: un serpente mortale si è rannicchiato sull’addome di un uomo costretto a rimanere immobile per non rischiare di svegliarlo facendosi mordere. Ammettiamo la nostra ignoranza: non avevamo mai visto altri film di Anderson, d’altro canto questi li abbiamo guardati con occhi non di cinefili o cineasti, ma con quelli di chi le storie cerca di raccontarle nella forma scritta; questione di codici. Non per volontà ma per inevitabilità. Anzitutto per il fatto che i quattro titoli sono gli stessi di altrettanti racconti di Roald Dahl (1916-1990), scrittore per l’infanzia, dicono, sebbene a noi vien da paragonarlo all’italiano Buzzati, i cui testi avevano spesso un tale portato disturbante da render quelle «fiabe» ben altro che storielle per bambi-
YouTube
Manuela Mazzi
ni. In secondo luogo, per come sono stati tradotti, o meglio per come non lo sono stati. Secondo testimonianze dirette del regista (trovate in rete), abbiamo compreso che – pur essendo appassionato di Dahl – inizialmente non riusciva a immaginare come trasformare questi testi in film per il cinema, perché ciò che a lui piaceva era proprio la voce del narratore. Narratore con il quale Anderson ha dunque giocato, adattandogli una scenografia ben aderente, ovvero, creando una cornice «libro» dove farcelo stare, e dunque rinunciando alle situazioni reali. Da qui il regista è partito per sviluppare, di pellicola in pellicola, un’evoluzione del set: da pop-up caratterizzato da costanti e a volte frenetici cambi, tipo carosello, a una versione teatrale più moderata e minimalista nel secondo, passando poi dal doppio scenario (centro paese e campo) nel
terzo, per finire con Veleno che è ambientato in un unico luogo, una sorta di teatro di posa (sitcom), ripreso anche dall’alto. Stessa evoluzione l’abbiamo notata nei personaggi: se nel mediometraggio la recitazione è pressoché inesistente (ottima la capacità inespressiva di Benedict Cumberbatch, nella foto), man mano aumenta, per arrivare a chiudere il ciclo di nuovo con l’attore inglese che incarna nel suo volto tutta la tensione narrativa di Veleno. Ma veniamo ai colpi di coda: sono delle vere e proprie genialate che sfidano le trame originali, e ci pare superino quelle del maestro britannico. Laddove, infatti, Anderson sembra voler aderire al suo mito letterario, restandogli fedele a tal punto da riportare con precisione le stesse battute, l’originale sequenza e la medesima storia in tutte le sue minuzie, allo stesso tempo è così insolente da mo-
dificare la fine dei suoi racconti. Più precisamente ha agito omissioni o brevi aggiunte: (attenzione spoiler) ne Il Cigno, il ragazzino precipita a terra e la madre si dispera (cut); nella versione letteraria, il ragazzino dice di avere male a una gamba e la madre chiama il medico. Ne Il derattizzatore, Anderson aggiunge una battuta che regala al lettore un ulteriore disgusto: girandosi verso la vetrina dove è appeso l’annuncio della scomparsa di una persona, il narratore si interroga sulla ragione per cui i topi non abbiano rosicchiato il cibo-avvelenato, alludendo a qualcosa di più appetitoso a loro disposizione. È ancora uno scambio di battute, quello che ha aggiunto a Veleno, introducendo un’ambiguità che nel testo non esiste. Se tutti questi aspetti generano forme surrealiste, la gestione del narratore presente in scena, che si riferisce a sé stesso in terza, crea veri e propri cor-
tocircuiti divertentissimi e intensifica l’esperienza filmica. Anche in questo caso è evidente l’evoluzione formale. La meravigliosa storia di Henry Sugar è una matrioska: il primo narratore (cioè Roald Dahl interpretato da Ralph Fiennes) racconta di un uomo che trovò un libro, che raccontava di un medico, il quale raccontava di un uomo che vedeva da bendato; e così è anche nel testo scritto; era una narrazione in terza persona invece Il Cigno, per cui Anderson ha forzato la mano, facendo una cosa molto interessante: fa raccontare la storia dall’uomo che è diventato il ragazzino bullizzato (anch’esso sulla scena, in secondo piano). Ora, avendo letto il racconto di Dahl, sappiamo che effettivamente il ragazzino sopravvive, ma l’ambiguità della chiusura del film rimescola le carte e fa sgranare gli occhi allo spettatore. Questo proprio perché, forte della presenza dell’uomo, si è tentati di pensare che il ragazzino se la caverà sempre in ogni caso, mentre alla fine ci si convince che muoia schiantato. Singolare anche la scelta fatta ne Il derattizzatore, dove il narratore è un personaggio interno diretto incaricato di recitare un po’ in terza e un po’ in prima plurale, dato che parla anche per conto di un altro personaggio; è interna diretta, ma con un io narrante più focalizzato, invece, l’esposizione dei fatti nell’ultimo, Veleno, che per noi resta il più riuscito dei tre corti. Ricapitolando e tagliando con l’accetta, siamo davanti a dei capolavori dalla mano stilistica riconoscibile al cento per cento (tanto da creare un genere suo), perché Wes Anderson è riuscito a ideare e produrre film che stanno in equilibrio tra racconto scritto (si parla di forma del linguaggio), libri pop-up (cambi di scena), teatro di narrazione (mono-ambientazioni e falsi monologhi di narratori che si susseguono), TV (vedi sitcom) e cinema (si parla di sfondamento della quarta parete e singolari inquadrature).
Casi di cronaca che hanno colpito l’immaginario SmartTV ◆ Il 20 novembre scorso è partito Edizione straordinaria, il nuovo programma – tra cronaca e storia – targato RSI
L’attesa era alta, giustificata dall’importanza del progetto e dal fatto che i due Lorenzi (Buccella e Mammone, ritratti nella foto) sono, con Jonas Marti, la risposta aziendale alla carenza di autori che molto male ha fatto alla RSI negli ultimi vent’anni. Diciamo però subito che le prime due puntate di Edizione Straordinaria (LA1, lunedì, prima serata, 65 min.) hanno convinto a metà. Il programma si inserisce in un filone altrove già ben esplorato; per tutti il meglio, Atlantide di Andrea Purgatori, LA7 (e attendiamo Far West di Salvo Sottile, Rai3). «Riraccontare quei fatti di cronaca che tanto segnarono l’immaginario collettivo diventa così l’occasione per rileggere quegli eventi con il distacco del tempo». Insomma, utilizzare una storia per un rammemorante «come eravamo», ma anche per capire quanto del nostro passato ha fatto di noi quello che ora siamo. Un incrocio, quindi, tra informazione, storia e indagine sociopsicologica; intenzione lodevole, ma programma molto vasto. La strage di Rivera (1992), il tenta-
tivo di evasione dalla Stampa (1992), il Ticinogate (2000) e i risvolti ticinesi della Pizza Connection (1985): occasioni per misurare l’effetto di fatti localmente clamorosi sul tessuto sociale, sulle abitudini; il drammatico risveglio di un Paese che si scopre «normale». Poco da dire sugli aspetti formali di una produzione ben fatta, levigata. Due minuzie: è parsa incongrua la spedizione a Rijeka e avremmo preferito che l’invariato abbigliamento di taluni intervistati (Gioia, Cavallini, Dell’Ambrogio, Scossa-Baggi) nei due episodi non avesse denunciato un po’ goffamente le modalità dell’intervista. Vagamente invasiva, ma forse necessaria per dare sostanza e drammaticità alla narrazione, la presenza di ricostruzioni «cinematografiche». In generale, vi è un lieve eccesso di drammatizzazione, un tentativo un po’ artificioso di creare attesa e climax narrativo. Anche gli interventi in studio avevano un tono enfatico, quasi da bollettino di guerra. Edizione Straordinaria (almeno nelle prime due puntate) ha un che di sproporzionato
RSI
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nel rapporto tra gli eventi ricordati e il modo in cui lo si fa; uno specchio deformante in cui i fatti locali sembrano acquisire valenza incongrua, come in una localistica lentiforme illusione ottica. La prima puntata (Criscione) è poco ritmata, con tre testimoni degli eventi (in particolare una sopravvis-
suta e un soccorritore) che si accampano in modo eccessivo nel racconto. Si è parlato di «perdita dell’innocenza» dopo i fatti di Rivera; forse così fu, ma questo aspetto è stato indagato poco, ed era quello forse più interessante al di là della tragicità di una storia «di ordinaria follia». Si è ben detto delle circostanze opache che hanno
condotto alla carcerazione alle Pretoriali e alla morte in carcere di Criscione, con qualche percettibile sollievo dopo che la morte dell’omicida aveva consentito di girare la pagina e di tutto dimenticare. Un tema apparso più evidente nella seconda puntata (mancata evasione), con ombre plumbee sulla gestione – un po’ dilettantesca, pare di capire – della crisi da parte dell’autorità. Molto interessante è la parte riferita ai parenti dell’agente di custodia, complice dei malviventi e morto nello scontro a fuoco. Non solo per sottolineare ancora le carenze e gli arbìtri dell’inchiesta, ma per evidenziare la dimensione emotiva: in particolare, la sorella ha proposto una dolente e lucida analisi dell’impossibilità, quasi della colpa, nell’esprimere il lutto per la perdita del congiunto. In conclusione, un buon prodotto televisivo, ma che non ha finora convinto del tutto. Dai due autori è lecito attendersi maggiore creatività, magari qualche coraggiosa capriola in termini di invenzione.
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Né ascete, né madonne, né separatiste Romanzo ◆ Tornano in libreria Le streghe di Eastwick di John Updike per le Edizioni SUR
Le streghe di Eastwick di John Updike tradotto da Lorenzo Medici racconta una vicenda che è già impressa nell’immaginario occidentale grazie al film di George Miller del 1987, solo che il romanzo, senza per forza voler assecondare un luogo comune, è davvero tutta un’altra storia. Alexandra, Jane e Sukie (nella foto ritratte nel film che vede protagoniste Susan Sarandon, Michelle Pfeiffer e Cher) sono tre amiche che abitano a Eastwick, una cittadina degli Stati Uniti vicina all’oceano Atlantico in cui non succede niente, almeno in apparenza, salvo che poi nel corso delle pagine si avvicendano suicidi, violenti omicidi e la morte di un reverendo che si riduce letteralmente in mille pezzi costruendo una bomba da lanciare in una manifestazione contro la guerra in Vietnam. Le tre donne sono divorziate e sono delle streghe. Ogni giovedì hanno l’abitudine di incontrarsi a casa dell’una o dell’altra, spettegolare sugli abitanti della città, soprattutto raccontarsi le vicende erotico sentimentali in cui sono coinvolte, bevendo alcolici e mangiando stuzzichini di pessima qualità. Le streghe sono spesso in bolletta, perché «gli assegni per il mantenimento dei figli arrivavano sempre più tardi» e loro vivono solo del proprio lavoro. Alexandra scolpisce delle statuette che vende per due negozi della città, appartengono al
genere dei simulacri della fertilità, lei le chiama: «poppe». Jane suona il violino per il coro della chiesa e dà lezioni di musica, mentre Sukie scrive per il giornale locale. Tutte e tre si sono sbarazzate, letteralmente, dei loro mariti e si occupano poco e malvolentieri dei propri figli che costituiscono nel romanzo degli elementi di sottofondo, al massimo degli impicci. Il sodalizio tra le tre verrà messo in parte a repentaglio dall’arrivo in città di Darryl Van Horne, un uomo con le mani ricoperte di peli e dal dubbio gusto nell’abbigliamento che ha l’ambizione di rivoluzionare la produzione di energia mondiale dedicandosi a esperimenti confusi, al limite della scientificità. Abusa del turpiloquio e sputa quando parla, tuttavia riesce senza difficoltà a vincere l’iniziale diffidenza delle tre e ad attirarle nella sua villa che ristruttura e poi manda in malora, con il campo da tennis e una vasca di acqua caldissima, in cui fanno il bagno tutti insieme, bevono, fumano e praticano sesso di gruppo ascoltando ottima musica. Nessuna delle streghe si innamora di Darryl, seppur Alexandra sperasse che lui potesse diventare il suo nuovo compagno, un’ancora alla quale aggrapparsi in un momento difficile della vita: si sta avvicinando ai quarant’anni, si sente sola, grassa e ossessionata dalla paura del cancro. Più in generale nessuna delle streghe si innamora: perderebbero i loro poteri.
Keystone
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Per ottenerli è necessario, infatti, lasciare un marito o essere abbandonate da un uomo: le streghe sono tali quando riescono a evitare o ad annientare qualsiasi elemento che possa limitare l’espansione del proprio sé: «Molti dei poteri straordinari […] derivavano dalla semplice riappropriazione dell’identità». Nel romanzo, Darryl non è il Demonio, anche se di certo è uno spiritaccio: «Il suo pene freddo faceva male come se fosse ricoperto di piccole squame». È l’unico capace di esercitare un potere sulle streghe offrendo loro la possibilità di eccedere: con
lui si ubriacano, si abbuffano di cibo, si sballano e si desiderano, si dedicano cioè esclusivamente alla ricerca del piacere, senza creare dei vincoli, stringere un legame, formare una coppia. Per questo, quando Darryl si sposa con la giovane, dolce e paffuta Jenny le streghe si infuriano. In un’ottica femminista il romanzo si macchia di una colpa imperdonabile, quello di non permettere davvero alle sue protagoniste, nonostante i loro poteri, di essere indipendenti dagli uomini che invece risultano necessari nelle loro vite, ma un’interpretazione del genere sarebbe sciocca e scorret-
ta, prima di tutto perché questo bisogno è legato soprattutto a una ricerca del piacere: le streghe di Eastwick non sono né ascete, né madonne, né separatiste. Particolare decisamente eccentrico in un racconto che ha come protagoniste delle streghe, le tre donne sono tutte dotate di una grande compassione nei confronti del genere maschile, della bruttezza degli uomini, delle loro piccolezze e difficoltà. A partire dal presupposto che l’incontro con l’altro sesso nasce da un’esigenza inevitabile, quella del coito, frequentano vecchi giornalisti alcolisti, mariti infedeli e di scarsa intelligenza, senza mai provare davvero nei loro confronti altro se non comprensione. Talvolta se ne prendono gioco, ma senza essere davvero affrante dal disprezzo, dalla rivendicazione, dalla delusione che molto spesso attanaglia il genere femminile nella relazione eterosessuale: «È da questo che si riconosce una vera donna – scherzò Darryl Van Horne – si sente sempre come se l’avessero fregata». Per le streghe di Eastwick evidentemente non è così. E poi questo romanzo è talmente godibile che leggerlo sarebbe comunque un peccato che vale la pena commettere: «Lo spirito ha bisogno di follia come il corpo ha bisogno di cibo». Bibliografia John Updike, Le streghe di Eastwick, SUR, Roma, 2023. Annuncio pubblicitario
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Il ritorno delle Memorie inutili di Carlo Gozzi
Pubblicazioni ◆ Alla Biblioteca Salita dei Frati si parlerà della fortuna editoriale di un intrigo settecentesco dal sapore avventuroso Giorgio Thoeni
La figura di Carlo Gozzi (Venezia, 1720-1806) viene spesso associata a quella di Carlo Goldoni (Venezia 1707-Parigi 1793) in riferimento a una polemica fra i due drammaturghi e letterati veneziani sulla Riforma della Commedia dell’Arte con cui l’autore de La locandiera determinò la fine di una lunga tradizione, trasformando la struttura di base del teatro italiano popolare in commedie non più guidate da un canovaccio e all’improvviso bensì fissate da un copione per dei personaggi che via via abbandonano i caratteri tradizionali delle maschere della Commedia per assumere altri connotati. Inizia così un processo che segna la nascita del dramma borghese. L’occasione per rimettere al centro dell’attenzione il Conte Carlo Gozzi ci viene offerta dalla ripubblicazione delle sue Memorie inutili, la sua autobiografia, un’opera straordinariamente originale e articolata raccolta nell’edizione curata dallo studioso ticinese Fabio Soldini per i tipi di Marsilio editori. Due volumi indivisibili per un totale di 1360 pagine che si aggiungono all’edizione nazionale delle opere del Conte che, in particolare, sono state realizzate con il finanziamento della Fondazione del Centenario della Banca della Svizzera italiana di Lugano. Soldini, saggista e critico letterario, ha dedicato il suo interesse in particolare al Settecento veneziano e ai fratelli Gasparo e Carlo.
La sorprendente autobiografia settecentesca sarà presentata martedì 5 dicembre alle 18.00 alla Biblioteca Salita dei Frati A differenza dell’autobiografia di Goldoni, scritta in esilio e alla fine della sua vita, le Memorie inutili nascono in condizioni diverse: Gozzi le scrive per difendersi. L’episodio accade quando ha cinquant’anni. Prima di allora non ha mai manifestato il desiderio di raccontare la sua vita. Ma succede un fatto clamoroso che lo situa al centro di uno scandalo, un fatto che lo scombussola, come persona e come professionista. A quel tempo Gozzi aveva scritto Le droghe d’amore, una commedia in cui un personaggio secondario viene ridicolizzato. E il pubblico va a teatro perché in quel personaggio riconosce la figura di Pier Antonio Gratarol, allora Segretario del Senato della Repubblica di Venezia, una sorta di Cancelliere. Noto per la sua spiccata mondanità, Gratarol ha un legame con Teodora Ricci, la giovane e principale attrice della compagnia di Antonio Sacchi. Gozzi, autore della commedia è assiduo frequentatore della compagnia e viene accusato di essere responsabile di quella caricatura. La vicenda si fa tragica quando l’onorabilità di Gratarol è ai minimi storici. Ormai in odore di scandalo, decide di fuggire da Venezia, un atto considerato grave per la carica che ricopre e per la quale viene condannato a morte in contumacia. In esilio a Stoccolma scrive la Narrazione apologetica (1779), un’accusa contro i suoi nemici fra i quali mette anche Carlo Gozzi che descrive come un ipocrita quando in realtà lo considera come un rivale in amore. Il testo, seppur censurato come tutto ciò che sfiora la sacralità degli organismi veneziani, sarà comunque diffuso clandestinamente.
Canaletto, Campo santi Giovanni e Paolo a Venezia col monumento a Bartolomeo Colleoni (1697-1768). (Wikimedia)
Finisce fra le mani di Gozzi che, in risposta alle accuse, inizia a scrivere le Memorie inutili (1780) un’autobiografia che a causa delle opposizioni del governo della Serenissima e in una prima stesura vede la luce solo dopo la caduta della vecchia Repubblica. È il 1797 e la Narrazione apologetica torna a galla e viene indicata come esempio della cattiva amministrazione repubblicana al punto che viene creata una commissione per studiare il caso. Viene riabilitato Gratarol e pubblicato il rapporto in cui sono indicati i responsabili, i potenti di allora, fra cui appare anche il nome del Gozzi. Verranno riprese e pubblicate addirittura due edizioni della Narrazione che andranno letteralmente a ruba. Il Conte subisce un duro colpo: mai avrebbe pensato di ritrovarsi al centro di uno scandalo. A 78 anni riprende le carte della prima stesura delle Memorie inutili (circa 500 pagine) e nel giro di alcuni mesi le riscrive completamente annunciando l’intenzione di pubblicare l’autodifesa. I primi due volumi escono entro la fine dell’anno e il terzo all’inizio di marzo del 1798. Ma veniamo all’edizione curata da Soldini per la quale bisogna risalire al novembre del 2000 quando, per iniziativa della Società Filologica Friulana, vengono presentate le Lettere di Gasparo Gozzi. «Al termine dell’incontro, racconta Fabio Soldini, mi si avvicinò una persona del pubblico e si annunciò come l’ultima discendente di Almorò Gozzi (l’ultimo fratello maschio sopravvissuto, ndr): la contessa Loredana Marcello Fiorio di San Cassiano. Desiderosa di conoscere chi si fosse occupato così da vicino dell’illustre avo, m’invitò ad andarla a trovare». Così, visitando la biblioteca della cinquecentesca Villa Gozzi di Visinale, lo studioso si imbatte in una decina di vecchie scatole d’archivio, un fondo da cui emergono manoscritti dei Gozzi e sui Gozzi dal Seicento al Settecento di cui seicento pagine di un’ignota prima stesura delle Memorie inutili in cui prevale un iniziale sentimento di sdegno, una sorta di attacco retorico incentrato nella figura di Teodora Ricci, la giovane e talentuosa attrice della compagnia Sacchi, fra le protagoniste assolute del teatro veneziano dell’epoca in grado di mettere in ombra persino le attrici di Goldoni. Per lei Gozzi scrive su misura diverse commedie di successo, è una sua pupilla. A quel tempo l’autore è parte attiva di un allestimento. Come Goldoni d’altronde. Non solo scrive i testi ma segue tutto, dal tavolino al
palcoscenico, prove e rappresentazioni comprese. Ma per Gozzi il rapporto con l’attrice diventa talmente assiduo da far nascere dubbi e speculazioni… fino all’entrata in scena del giovane Gratarol che inizia a frequentare l’attrice con regolarità suscitando la gelosia del Conte che, considerando quel comportamento non consono a un’attrice, la sollecita invano a interrompere quella relazione. Tornando al 1797,
quando Gozzi decide di riscrivere le sue Memorie ne modifica l’impianto retorico dando al suo iniziale sdegno una veste più filosofica con cui, di fronte alle contrarietà della vita, risponde con una nuova prospettiva, ponendosi con distacco e parlando di sé come per liberarsi da una condizione emotiva di sofferenza. E introduce due categorie narrative: una letteraria, ispirata ad alcuni modelli come quello di Cervantes alludendo a un atteggia-
mento donchisciottesco nei confronti delle avversità, e uno teatrale sulle orme di Tirso de Molina dove ciò che merita di essere descritto deve contenere una forza scenica. Ne risulta un’autobiografia piacevolmente scorrevole. Ma perché definirle memorie inutili? «È un gioco retorico», spiega Soldini. Sono inutili perché, dice Gozzi, «sono una persona umile, mi contrassegna l’umiltà. Il mio avversario (Gratarol) nelle sue memorie esibisce l’opposto per demolire la mia immagine e sostenere la sua partendo da un principio di presunzione. Con le mie memorie vi contrappongo la mia modestia e l’orgoglio. Quindi penso che siano inutili». In realtà, puntualizza Soldini, «Gozzi crea una distinzione fra lettori nemici e amici. Gli preme che siano inutili ai lettori nemici e utili a quelli amici». La sorprendente autobiografia sarà presentata domani 5 dicembre alle 18:00 alla Biblioteca Salita dei Frati con Fabio Soldini e Piermario Vescovo, segretario e membro del Comitato scientifico per l’edizione nazionale delle opere di Carlo Gozzi presieduto dallo stesso Soldini. Un’occasione per conoscere il prezioso lavoro e considerare le Memorie inutili alla pari di un avvincente romanzo. Bibliografia Carlo Gozzi, Memorie inutili, Marsilio, Venezia, 2023. Annuncio pubblicitario
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CULTURA
Phoebe Philo è tornata e fa già tendenza
Mode ◆ Buona la prima per il lancio del suo nuovo brand a fine ottobre che ha fatto il tutto esaurito in poche ore
Phoebe Philo ha il potere di trasformare tutto ciò che sfiora in oro. Per questo il mondo della moda ha aspettato con il fiato sospeso il suo atteso ritorno chiedendosi se la stilista ancora una volta sarebbe riuscita ad imporre il suo minimalismo alle tendenze del momento. E sembra esserci riuscita visto che la sua prima collezione lanciata sul sito phoebephilo.com è andata sold out in 24 ore alleggerendo molti portafogli. Insomma le Philophiles hanno colpito ancora e ora si staranno godendo i nuovi capi con tanto di accessori esclusivi lanciati sul sito proprio in questi giorni.
Si racconta che possa trasformare un semplice polsino in una vera opera d’arte e che il taglio dei suoi pantaloni sia paragonabile a un capolavoro di Michelangelo Per chi non la conoscesse, classe 1973, nata a Parigi da genitori inglesi, la designer ha lavorato prima per la casa di moda Chloé e poi per un decennio – dal 2008 al 2018 – è stata direttrice creativa di Céline. Quando ha lasciato la maison ha portato con sé l’inconfondibile identità del marchio, scatenando un’ondata di nostalgia che è ha capitalizzato nell’account social
Old Céline, un archivio di immagini accuratamente selezionate dalla maison, intriso della malinconia di un amore ormai passato. Per il suo ritorno non sono state necessarie fughe di notizie improvvise, campagne pubblicitarie o anticipazioni. A Phoebe Philo è bastato il suo nome per scatenare l’entusiasmo, perché, in fondo, non c’è niente di più umano che desiderare ciò che non si può avere. La designer, o meglio il suo astuto team di marketing, ha puntato tutto sulla ricerca dell’unicità: dall’obbligo di iscriversi alla newsletter per essere tenuti al corrente del nuovo lancio, al sito come vetrina e piattaforma di vendita, alla limitata disponibilità dei capi, fino ai prezzi a cui sono stati aggiunti troppi zeri. E – ciliegina sulla torta – come partner di questa sua nuova avventura ha trovato Bernard Arnault e il suo LVMH che figura come socio di minoranza. L’equivalente fashion di un blockbuster che attornia solo i veri Re Mida. La nuova collezione è lussuosa e funzionale, rappresenta il «powerdressing», un modo di vestire che comunica l’immagine di una persona affermata con un tocco di eleganza. Ma, dopotutto, non ci si aspettava altro dalla donna che il «Times» considera tra le cento persone più influenti al mondo, una sorta di dea dell’Olimpo della haute couture.
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Virginia Antoniucci
Non a caso sono tante leggende che la circondano, dicerie alimentate dalla riluttanza di Phoebe Philo a partecipare agli eventi mondani. Si racconta che possa trasformare un semplice polsino in una vera opera d’arte e che il taglio dei suoi pantaloni sia paragonabile a un capolavoro di Michelangelo. Se mai dovesse esporre alla National Gallery, il suo sarebbe un omaggio ai posteri. Per ora, possiamo solo riconoscere che ha il dono di rendere ogni abito un inno alla bellezza, dato dall’equilibrio tra caos e ordine. Un concetto quasi alieno in un’epoca in cui un capo diventa obsoleto nel momento stesso in cui lo si acquista. Non è un segreto che Philo abbia sempre avuto un debole nell’utilizzare modelle simili alla sua musa e doppelgänger, Daria Webowy. In questo
nuovo lancio, sembra aver fatto un salto evolutivo, mescolando etnie in un’esplosione cromatica. Eppure, nonostante l’abbondanza di colori, la sua visione estetica sembra ancora bloccata nella taglia XS. Philo aveva già condiviso un’immagine di un lusso intellettuale senza tempo utilizzando il volto della scrittrice Joan Didion per una campagna di Céline, ma continua a prediligere un’unica dimensione del corpo femminile: quella mini size. Le sue creazioni esaltano figure snelle, prive di curve, che si discostano notevolmente dalla realtà di molte donne. Il messaggio pare cristallino: non solo non potete permettervelo, ma in realtà, non siete nemmeno considerate potenziali acquirenti. La sua visione rappresenta un sim-
bolo di emancipazione e potere femminile. Una donna che crea abiti per donne, che sa conciliare il suo lavoro con il ruolo di madre, amica, partner senza rinunce se non autodeterminate. E così come i suoi ideali, le sue collezioni sono concepite per resistere nel tempo. Ma quanto deve durare una borsa per giustificare gli oltre ottomila franchi spesi? Sapevamo che la designer inglese avrebbe alleggerito il portafoglio, ma molti hanno sospettato che volesse proprio svuotarlo. Per il debutto del suo nuovo brand ha mirato all’esclusività creando una spaccatura tra chi ha profuso elogi definendola la nuova voce della moda e chi invece l’ha criticata per la promozione del marchio fatta con scelte poco chiare, vedi ad esempio la disponibilità limitata dei capi e la campagna promozionale. È indubbio il genio creativo di Phoebe Philo e il coraggio con cui ha costruito una carriera che le ha permesso di lanciare un brand tutto suo che – nonostante le critiche – ha registrato il tutto esaurito in poche ore. Tuttavia, quel senso di elitismo irraggiungibile con cui si presenta è diverso dalla sensazione di aspirazione che ci si aspetterebbe da un marchio di lusso, che, invece, sembra rivolgersi a noi solo come spettatori di un’esibizione magnifica alla quale siamo chiamati solo ad applaudire ma non a partecipare. Annuncio pubblicitario
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Frutta e verdura
Dalla A di avocado alla Z di zucca Rie mpi a u n forfe t tariopre zzo V i t a mi n B l a v e rdura a ag di l c o n se r v a z i u n g a o ne
CONSIGLIO FRESCHEZZA Il sapore dell'avocado spagnolo presenta note più intense di noci e di frutta, la consistenza è più cremosa, e la polpa è più gialla rispetto ai frutti sudamericani. Consiglio: se si mangia solo una metà del frutto, il nocciolo va lasciato nell'altra metà. Contiene infatti enzimi che mantengono fresco l'avocado.
22% 1.35 invece di 1.75
Avocado Migros Bio Spagna, il pezzo
30% 4.50 invece di 6.50
25% 4.90 invece di 6.60
27% 6.50 invece di 8.95
Verdura a lunga conservazione, con Vitamin Bag, da riempire Carote, patate resistenti alla cottura, sedano rapa, cavolo bianco, cavolo rosso, cipolle (prodotti bio, Demeter e Sélection esclusi), Svizzera, almeno 2,9 kg
Patate resistenti alla cottura Migros Bio Svizzera, busta da 2 kg
Porro tagliato Migros Bio Svizzera, al kg, confezionato
21% 1.10 invece di 1.40
22% 2.80 invece di 3.60
Minestrone Migros Bio Svizzera, al 100 g
Cime di rapa Italia, 400 g, confezionate
Migros Ticino 2
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Il
Pane e prodotti da forno
Tanta freschezza dalla panetteria Migros ana: m i t t e s a l l n e de a p o r t s o n g al e , Il e s i d o l l e a no n c r u sc h o d o n i l i e mi d s a e m o o m r a a s n e s u a a g no t t t e do l c i . p a t s e u q a e no l l a d a r u t di t ost a ida mol lic a ha il L a m o r b o r i t o de l g r a n o g u s t o sa p
3.20
Twister rustico cotto su pietra Migros Bio 360 g, prodotto confezionato
Tradizionali dolc et ti sv izze ri in format o mig non
Hit 4.65
Panini al burro o michette, precotti, M-Classic, IP-SUISSE per es. panini, sacchetto da 600 g
Migros Ticino
30% 4.40 invece di 6.30
Berliner con ripieno ai lamponi in conf. speciale, 6 pezzi, 420 g
19% 6.85
Mini-biberli ripieni 634 g, prodotto confezionato
invece di 8.55
Offerte valide dal 5.12 all’11.12.2023, fino a esaurimento dello stock. 3
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Carne e salumi
Bocconi prelibati a ottimi prezzi
Trov i le ric et te su mig usto.c h
Con carne di manzo sv izze ra
20% 2.25 invece di 2.85
Involtini di manzo M-Classic Svizzera, in conf. speciale, per 100 g
20% 2.50 invece di 3.15
in conf. da 2
50% 3.80
Prosciutto cotto Parmacotto prodotto in Italia con carne Svizzera, 2 x 100 g
per 100 g, in self-service
20% 3.80
invece di 2.10
Collo di maiale tagliato a metà, IP-SUISSE in conf. speciale, per 100 g
Salametti al Merlot nostrani Ticino, in conf. da 2 pezzi, per 100 g
invece di 4.80
invece di 7.60
20% 6.95
Paillard di lonza di maiale IP-SUISSE
47% 1.10
Carne secca, IP-SUISSE in conf. speciale, 103 g
invece di 8.75
23% 1.50 invece di 1.95
Cervelas M-Classic Svizzera, 2 pezzi, 200 g
50% 9.90 invece di 20.–
Prosciutto di spalla arrotolato affumicato M-Classic Svizzera, al kg, in self-service
Migros Ticino 4
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in conf. da 2
30% di tacchino 22.60 Fettine «La belle escalope» invece di 32.40
Francia, 2 x 360 g
30% 9.55 invece di 13.65
40% 8.30 invece di 13.90
Délice di pollo Don Pollo prodotto surgelato, in conf. speciale, 1 kg
Fettine di pollo impanate Don Pollo prodotte in Svizzera con carne del Brasile, in conf. speciale, 650 g
IDEALE CON
24% 2.20 invece di 2.90
Migros Ticino
20% Peperoni Migros Bio
Tutto l'assortimento Pancho Villa
Spagna, sacchetto da 600 g
per es. Tortillas flour, 8 pezzi, 326 g, 3.60 invece di 4.55
Offerte valide dal 5.12 all’11.12.2023, fino a esaurimento dello stock. 5
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Formaggi e latticini
Latticini in tutte le loro splendide forme
Stag ionat u al me no 11 ra di me s i
30% 1.60 invece di 2.30
15% 2.55 invece di 3.–
20% 2.35
Le Gruyère surchoix AOP per 100 g, prodotto confezionato
per 100 g
10%
per 100 g, confezionato
invece di 2.95
conf. da 2
Formaggella Nostrana Migros Bio
Canaria Caseificio
20% 4.30 invece di 5.40
20% Emmentaler e Le Gruyère grattugiati, AOP 2 x 120 g
20%
Gorgonzola Selezione Reale DOP
Leerdammer a fette
per es. dolce, 200 g, 3.60 invece di 4.–
Original o Lightlife, in conf. speciale, per es. Original, 350 g, 5.30 invece di 6.65
Tutte le fondue Caquelon Noir per es. Moitié-Moitié, Le Gruyère e Vacherin Fribourgeois, AOP, 400 g, 7.60 invece di 9.55
20% 5.20
Caprice des Dieux in conf. speciale, 330 g
invece di 6.50
Migros Ticino 6
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Pesce e frutti di mare
Ottimi amici d’acqua di mare Ora in ve ndit a anc he al banc one
15%
20%
20% Tutti gli yogurt e i drink, Bifidus per es. drink alla fragola, 500 ml, 1.45 invece di 1.85
Tutti i filetti freschi al banco a servizio e in self-service per es. Filetto passera M-Classic, MSC, selvatico/Oceano Atlantico nord-orientale, per 100 g, 2.85 invece di 3.60, in self-service
Assolutament e da provare in un toast con del la mousse di rafano
conf. da 2
20% 5.60 invece di 7.–
conf. da 2
40% Panna intera UHT Valflora, IP-SUISSE 2 x 500 ml
11.95
invece di 20.15
no ni c he ama i f i t a l a p Pe r t e z za l a c r oc c a n
conf. da 3
15% 3.55 invece di 4.20
Salmone affumicato per le feste in conf. da 2 con Sockeye, MSC, e salmone affumicato dell'Atlantico, ASC
per es. Twix mix, 3 x 120 g
Migros Ticino
al bancone e in self-service (prodotti surgelati esclusi), per es. cozze fresche M-Classic, MSC, Paesi Bassi, in self-service, al kg, 7.35 invece di 8.70
20% 8.60 invece di 10.75
Gamberetti tail-on M-Classic, cotti, ASC d'allevamento, Vietnam, in conf. speciale, 260 g
pesca in Alaska/allevamento in Norvegia, 2 x 150 g
conf. da 2
Yogurt Twix mix e M&M's
Tutte le cozze e le ostriche
41% 6.95 invece di 11.90
44% Filetti Bordelaise Pelican, MSC surgelati, 2 x 400 g
di pangasio 10.95 Filetti Pelican, ASC invece di 19.80
prodotto surgelato, in conf. speciale, 1,5 kg
Offerte valide dal 5.12 all’11.12.2023, fino a esaurimento dello stock. 7
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Scorta
Bontà conservabili per colazione, pranzo e cena
a partire da 2 pezzi
20% Tutti i tipi di müesli Farmer per es. Croc mela e cannella, 500 g, 3.60 invece di 4.50
conf. da 2
29% 15.50 Cafino Classic invece di 21.90
in busta, 2 x 550 g
a partire da 2 pezzi
20% Conserve di frutta a partire da 460 g e purea di mele a partire da 810 g (confezioni multiple escluse), per es. purea di mele M-Classic, 885 g, 1.70 invece di 2.10
conf. da 2
30%
20%
Tutte le capsule Nescafé Dolce Gusto, 16 pezzi
Caotina
disponibili in diverse varietà, per es. Lungo, 4.40 invece di 6.35
in polvere o Crème Chocolat, per es. in polvere, 2 x 1 kg, 23.90 invece di 29.90
a partire da 2 pezzi
–.50 di riduzione
Tutta la frutta secca e tutte le noci Migros Bio (prodotti Alnatura e Demeter esclusi), per es. gherigli di noci, 100 g, 2.60 invece di 3.10
8
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conf. da 3
conf. da 3
33%
40%
Lasagne Anna's Best
Fiori o gnocchi, Anna's Best, refrigerati
alla bolognese o alla fiorentina, in confezioni multiple, per es. alla bolognese, 3 x 400 g, 7.90 invece di 11.85
gnocchi alla caprese o fiori al limone e formaggio fresco, in confezioni multiple, per es. gnocchi, 3 x 400 g, 8.90 invece di 14.85
Pizze fatt e a mano in It alia
a partire da 2 pezzi
20% Tutte le olive non refrigerate (prodotti Alnatura e Demeter esclusi), per es. olive spagnole nere snocciolate M-Classic, 150 g, 2.20 invece di 2.70
30% 5.60 invece di 8.–
conf. da 2
Wedges Denny’s prodotto surgelato, Classic e Mexican, in conf. speciale, 1 kg
30% La Pizza 4 stagioni o margherita, per es. 4 stagioni, 2 x 420 g, 11.90 invece di 17.–
20x
20x
CUMULUS
CUMULUS
Novità
3.95
a partire da 2 pezzi
20%
Novità Original Mushy Peas Batchelors 300 g
3.95
Baked Beanz Heinz 415 g
Tutte le salse Bon Chef per es. salsa alla cacciatora, in busta da 46 g, 1.35 invece di 1.65
Offerte valide dal 5.12 all’11.12.2023, fino a esaurimento dello stock. 9
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Scorta
Novità per la dispensa C o n si g l i c on v e r z o: se rv ire a, e formagpatat e g io
20x
20x
20x
Novità
Novità
Novità
CUMULUS
3.90
CUMULUS
Pizzoccheri della Valtellina Da Emilio, IGP 500 g
CUMULUS
3.80
Noodle cup Katsuo Udon Kelly Loves
1.95
186 g
Cracker Table Water Carr's 125 g
Brodo di ve rdure in pasta se nza esal tatori di sapidità né olio di palma
20x
20x CUMULUS
20x
Novità
Novità
Novità
CUMULUS
6.95
Brodo di verdura original Foodoo
CUMULUS
3.50
Cipolle in aceto balsamico Da Emilio
3.50
180 g
in pasta, 220 g
20x
20x
20x
Novità
Novità
Novità
6.90
CUMULUS
Fiori alpini Swiss Alpine Herbs 3g
180 g
marc he , Nov it à fra le nost re te e fondue et ve re delizie con racl
Fiori de corativ i commestibili de lle Alpi sv izze re
CUMULUS
Cipolle borettane in aceto di mele Da Emilio
5.20
CUMULUS
Cipolline svizzere Condy, con aneto 200 g, in vendita nelle maggiori filiali
3.20
Cipolle borettane in aceto di vino rosso Condy 210 g
10
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Dolci e cioccolato
Bevande
Il nostro lato dolce
conf. da 10
43% 3.35
conf. da 6
31%
invece di 5.95
Capri Sun multivitaminico o Safari Fruits, 10 x 200 ml
Tavolette di cioccolato Frey Noir Special 72%, al latte finissimo o al latte con nocciole, 6 x 100 g, per es. Noir Special 72%, 9.– invece di 13.20
conf. da 3
30% Cialde finissime Choc Midor Black & White, Classico o Noir, per es. Black & White, 3 x 200 g, 7.95 invece di 11.40
Con aromi e colorant i naturali
conf. da 6
33% 4.40
conf. da 2
28% Pralinés Lindt Mini o Connaisseurs, in confezioni multiple, per es. Mini, 2 x 180 g, 18.60 invece di 25.90
invece di 6.60
Acqua minerale San Pellegrino 6 x 1,25 l
ol Per long drink analc
ic i
20x CUMULUS
conf. da 10
Hit
Novità
3.95
Jelly Babies Maynards Bassetts 165 g
17.95
Tavolette di cioccolato Lindt assortite 10 x 100 g
20% Tutti i tipi di Lyre's, G'nuine e Giselle per es. Giselle, 700 ml, 13.55 invece di 16.95
conf. da 2
20%
conf. da 12
a partire da 2 pezzi
23%
25%
Graneo o Snacketti Zweifel
Tutti i tipi di Pringles
disponibile in diverse varietà, per es. Graneo Original, 2 x 100g, 4.70 invece di 5.90
per es. Original, 200 g, 2.70 invece di 3.45
13.50 Red Bull invece di 18.–
Energy Drink o Sugarfree, 12 x 250 ml
Offerte valide dal 5.12 all’11.12.2023, fino a esaurimento dello stock. 11
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Bellezza e cura del corpo
Per nutrire pelle e capelli
conf. da 2
a partire da 2 pezzi
25%
20%
Deodoranti Nivea
Tutto l’assortimento pH balance
in conf. multiple, per es. deodorante Dry Comfort, 2 x 50 ml, 4.80 invece di 6.40
(confezioni multiple e da viaggio escluse), per es. Gel doccia, 250 ml, 2.80 invece di 3.50
conf. da 2
a partire da 2 pezzi
25% Tutto l'assortimento per la cura del viso e del corpo Garnier (prodotti per la cura delle mani, deodoranti, confezioni da viaggio e multiple esclusi), per es. acqua micellare detergente All in 1, 400 ml, 6.– invece di 7.95
25% 6.60 invece di 8.80
Tutti gli shampoo o i balsami Elseve per es. shampoo Color-Vive, 2 x 250 ml
C o s me t i c o ve c o n I P e a g a no , cid ial uronic o o
20x conf. da 2
20% Dischetti d'ovatta Primella o bio per es. dischetti quadrati Primella, 2 x 50 pezzi, 2.95 invece di 3.70
CUMULUS
conf. da 2
Hit 2.–
Novità Bastoncini d'ovatta Primella in scatola di cartone, 2 x 200 pezzi
Manhattan 13.90 Fondotinta Lasting Perfection
disponibile in diverse tonalità, per es. 58 Soft Ivory, il pezzo
12
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Casalinghi
Bebè e bambini
Praticità o bellezza?
a partire da 2 pezzi
20% Tutte le bustine morbide bio Holle per es. Banana Lama Demeter, 100 g, 1.60 invece di 1.95
40% Carta igienica asciutta o umida Tempo in conf. multiple o speciali, per es. Premium, FSC®, 24 rotoli, 14.95 invece di 24.95
conf. da 5
Hit 30% Tutto l'assortimento Tangan (confezioni multiple escluse), per es. pellicola salvafreschezza e per forno a microonde n. 11, al pezzo, 2.45 invece di 3.50
10% 8.95 invece di 9.95
19.95
conf. da 2
a partire da 2 pezzi
Minirose M-Classic, Fairtrade disponibili in diversi colori, mazzo da 20, lunghezza dello stelo 40 cm, il mazzo
Hit 9.90
28% 5.– invece di 6.95
Boxer per bambini disponibili in blu, tg. 98/104–134/140
Candele M-Fresh disponibili in diverse fragranze, per es. Apple & Cinnamon
conf. da 5
Hit Rose di Natale vaso, Ø 12 cm, il vaso
17.95
Body per bebè a manica lunga disponibili in rosa o blu, tg. 50/56–98/104
Offerte valide dal 5.12 all’11.12.2023, fino a esaurimento dello stock. 13
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Abbigliamento e accessori
Guardaroba di base
30% Tutti i portafogli per es. portafoglio Bella da donna, color talpa, al pezzo, 20.95 invece di 29.95
20.–
di riduzione
di biancheria 59.90 Set termica con lana merino invece di 79.90
da donna o da uomo, Trevolution disponibile in grigio e in diverse taglie, il set
conf. da 5
conf. da 3
Hit 9.95
conf. da 5
Hit Calze da uomo bio disponibili in nero o bordeaux, n. 39–42 o 43–46
disponibili in bordeaux o rosa, n. 35–38 o 39–42
conf. da 3
Hit
conf. da 3
Hit
24.95 Boxer da uomo
disponibili in nero o blu marino, tg. S–XXL
da donna 12.95 Calze in bambù
Hit
Sloggi 29.95 Slip 24/7 Cotton
disponibili in nero, tg. 38–48, in vendita nelle maggiori filiali
12.95 Slip midi da donna
disponibili in bordeaux, tg. S–XXL
Offerte valide dal 5.12 all’11.12.2023, fino a esaurimento dello stock. 14
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Prezzi imbattibili ACHTUNG: Keine del weekend Zeilenumbrüche verwenden! Prezzi imbattibili del weekend
Solo da questo giovedì a domenica
50% 5.70 invece di 11.45
Prosciutto crudo dei Grigioni surchoix Svizzera, in conf. speciale, 153 g, offerta valida dal 7.12 al 10.12.2023
e, Nuov o nomna & Tav ola à: Cuc i t i l a u q . a s s st e t c he n & C o i K a t n e iv d
40% Tutto l'assortimento di pentole Kitchen & Co. per es. padella a bordo basso Pro, Ø 24 cm, il pezzo, 29.95 invece di 49.95, offerta valida dal 7.12 al 10.12.2023
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44% 7.70 invece di 13.80
Coca-Cola Classic o Zero, 6 x 1,5 l, offerta valida dal 7.12 al 10.12.2023
15
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Per condividere momenti piacevoli
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Tutto l'assortimento Sélection per es. gelato Pure Vanilla Bourbon, prodotto surgelato, 450 ml, 5.75 invece di 7.20
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20%
Raccard al naturale, IP-SUISSE
Variazioni a base di raclette Raccard
in blocco maxi e a fette, in confezioni speciali, per es. blocco maxi, per 100 g, 1.80 invece di 2.25, prodotto confezionato
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a partire da 2 pezzi
conf. da 4
20%
20%
33%
Tutti i biscotti Christmas Bakery in sacchetto da 500 g
Cioccolato da appendere all'albero Frey
Exquisito, 23.95 Caffè in chicchi o macinato
disponibili in diverse varietà, per es. stelline alla cannella, 4.75 invece di 5.95
disponibile in diverse varietà, per es. cioccolato al latte, vuoto, assortito, 500 g, 10.– invece di 12.50
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Da tutte le offerte sono esclusi gli articoli M-Budget e quelli già ridotti. Offerte valide dal 5.12 all’11.12.2023, fino a esaurimento dello stock.
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