Azione 52 del 27 dicembre 2023

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Anno LXXXVI 27 dicembre 2023

Cooperativa Migros Ticino

G.A.A. 6592 Sant’Antonino

Settimanale di informazione e cultura

edizione

52

MONDO MIGROS

Pagine 4 – 5 ●

SOCIETÀ

TEMPO LIBERO

ATTUALITÀ

CULTURA

Nel suo ultimo libro Alberto Pellai si rivolge ai ragazzi per promuovere un’educazione emotiva al maschile

Louis Riel, rivoluzionario canadese dei primi del Novecento, è stato immortalato da Chester Brown

Si chiude un altro anno di guerre e problemi ambientali irrisolti. Cosa ci riserva il futuro?

La storia di Arnaldo Cipolla, redattore viaggiante del «Corriere della Sera» nel secolo scorso

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Foto Archivio della città di Mendrisio, fondo Macconi

Quando WikiLeaks era a Capolago

Carlo Silini

Rischiare la pelle con la penna in mano Carlo Silini

Nell’Ottocento gli eroi della libera informazione eravamo «noi» idealisti del neonato Ticino, che lavorando a braccetto coi perseguitati dell’altra parte della ramina e sostenendo la loro causa di liberazione dall’oppressione straniera preparavamo il terreno mentale dei futuri italiani ai rivolgimenti da cui sarebbe nato il loro Paese. Come? Attraverso le stamperie: le ormai scomparse tipografie sulle sponde del Ceresio che il collega Pietro Berra (intervistato alle pagine 34 e 35) paragona a WikiLeaks, il sito che negli scorsi anni ha sbugiardato le torbide derive di alcuni Paesi super democratici (oltre che di regimi liberticidi). WikiLeaks a Capolago, quindi, dove dai torchi della Tipografia Elvetica uscivano libelli, pamphlet e manifesti firmati dalle menti più brillanti della confinante Penisola. E da dove a notte fonda partivano i contrabbandieri di libri, varcavano la frontiera e diffondevano il verbo

della rivolta contro l’impero austriaco che occupava Lombardia e Veneto. Rischiando la vita e in alcuni casi perdendola, come successe a Luigi Dottesio, il carbonaro catturato a pochi metri dal confine, incarcerato a Como e impiccato in piazza, a Venezia, nel 1851. Quanti giornalisti svizzeri o italiani, oggi, sarebbero disposti a rischiare la pelle per un simile ideale? Male che vada, da noi, i cronisti rischiano una denuncia per diffamazione, ma non certo per aver scritto contro una dittatura. Il che non significa che la Svizzera sia il paradiso della libera espressione. Siamo al 12esimo posto nella classifica internazionale sulla libertà di stampa. Pochi sanno, infatti, che gli articolisti elvetici rischiano fino a tre anni di carcere se pubblicano servizi basati su dati bancari trapelati o rubati. Come dire che il fine, la ricerca della verità, non giustifica i mezzi, le gole profonde che passano ai media documenti scot-

tanti sottobanco (il metodo WikiLeaks). Da lì a farci passare per martiri dell’informazione, però, ce ne corre. Da noi la libertà di penna, di microfono o di videocamera è un diritto che comporta scarsi rischi (a meno di essere inviati di guerra, continuando la tradizione di grandi reporter come Arnaldo Cipolla, di cui si parla a pag. 33). C’è da chiedersi come mai pochi professionisti ne approfittino per esporre le proprie idee a difesa dei perseguitati. In altre parti del pianeta non è così. Limitandoci all’ultimo fronte caldo: dallo scorso 7 ottobre – riferiva un rapporto del 15 dicembre di Reporter senza frontiere – tredici giornalisti sono stati uccisi dall’esercito israeliano nella Striscia di Gaza e uno dai miliziani di Hamas in Israele, altri tre in Libano. In Ucraina nel 2023 ne sono morti «solo» due (una dozzina nel 2022). Ma i corrispondenti assassinati sul campo sono solo la punta dell’iceberg. Per

ogni reporter ucciso nel mondo possiamo contarne centinaia di altri perseguitati, minacciati, zittiti, silurati o scomparsi. Riuscirà a fuggire dalla vendetta di Putin, per esempio, Marina Ovsyannikova, la redattrice che nel marzo 2022 aveva innalzato un cartello contro la guerra in Ucraina durante una diretta tv in Russia, è stata arrestata, ha fatto mea culpa e dopo essere scappata in Francia con la figlia è stata condannata in contumacia a otto anni e mezzo di carcere da un tribunale russo e ora teme di essere avvelenata? Tifiamo per lei e per gli innumerevoli «signori e signore nessuno» della stampa perseguitata, braccati, stanati e uccisi all’insaputa del mondo. Prestiamogli la nostra voce, glielo dobbiamo. A noi costa poco, ma potrebbe essere l’unico risarcimento per il loro sacrificio nascosto. Se non lo scriviamo noi dalle nostre oasi di pace, chi altro potrà farlo?


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SOCIETÀ ●

Attenti all’enorme lumaca africana È venduta come animale domestico «carino» ed è resa popolare dai social, ma danneggia l’ambiente e tenerla in casa o toccarla può mettere a rischio anche la salute

La fotografia oltre Instagram Mi sento me stessa quando... è il libro nato da un laboratorio di fotografia e scrittura creativa proposto ai ragazzi delle Scuole Medie di Chiasso

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Papà, educate i figli maschi alle emozioni

Il caffè delle mamme ◆ Lo psicoterapeuta Alberto Pellai nel suo libro Ragazzo mio. Lettera agli uomini veri di domani si rivolge agli adolescenti con le parole che lui stesso, da ragazzo, avrebbe voluto sentirsi dire dal proprio padre Simona Ravizza

«Spesso i nostri figli maschi fanno fatica a gestire i loro stati emotivi, approcciano la sessualità con i codici della pornografia, per un senso di appartenenza al maschile trattano e banalizzano la relazione con l’altro sesso con commenti volgari». Lo dice Alberto Pellai e lo fa come padre di 4 figli di cui 2 maschi e come psicoterapeuta dell’Età evolutiva. Sono parole che a Il caffè delle mamme fanno riflettere sull’importanza di un’educazione emotiva al maschile, per promuovere competenza sentimentale, affettiva e sessuale nei nostri figli che sono gli uomini di domani. Per farlo allora anche stavolta, come già fatto in passato, invitiamo i papà: «Il cambiamento nella vita dei nostri figli maschi può avvenire a partire da noi», è la convinzione di Pellai che ci piace sottoscrivere per favorire un dialogo padre-figlio.

Nel suo libro Ragazzo mio – Lettera agli uomini veri di domani (ed. DeAgostini, 2023) Pellai si rivolge ai preadolescenti e agli adolescenti con le parole che lui avrebbe voluto sentirsi dire da ragazzo dal proprio padre e che oggi ritiene importante condividere con i figli: «Perché di molte cose, a chi nasce maschio, si dice poco o niente. Su molti temi fondamentali della vita, noi uomini, quando siamo ragazzi, proviamo a fare tutto da soli. Di emozioni, affetti, sessualità nessuno ci dice nulla». Tra le life skill che i ragazzi devono inserire nel loro processo di crescita, l’obiettivo è insegnargli a vivere senza paura dell’amore, esplorare la sessualità senza cadere in alcune trappole ancora troppo diffuse. E infine, fornirgli la competenza più importante di tutte: il rispetto. Il risultato finale per noi genitori è una sorta di vademecum utile per crescere maschi emotivamente più consapevoli. È un dialogo al maschile da cui possiamo però imparare anche noi madri. Partiamo qui a Il caffè delle mamme con un’operazione-verità: quali sono gli argomenti tipici di una conversazione al maschile fin da piccoli? Pellai centra in pieno la risposta: i videogiochi, il calcio, poi il sesso. Vediamo cosa c’è dietro. Ai maschi fin da bambini vengono proposte storie di supereroi che compiono imprese straordinarie, salvano il mondo, combattono con armi di ogni tipo e misura. L’ambito del tifo sportivo poi è proprio uno di quelli dove la violenza reale e virtuale spesso raggiunge

Freepik

«Di molte cose, a chi nasce maschio, si dice poco o niente… Di emozioni, affetti, sessualità nessuno ci dice nulla»

l’apice e una delle esperienze più divertenti e formative degli esseri umani – lo sport – si trasforma in occasione di umiliazione, prepotenza e aggressività senza senso. Basta peraltro vedere, ci diciamo al Caffè, cosa succede ai bordi dei campi da calcio dove giocano i nostri figli. Infine il sesso: è il termine più utilizzato, difficilmente nei discorsi al maschile si parla d’amore. Cosa imparano, dunque, i nostri bambini? «Tutto ciò che viene proposto nel tempo libero ha a che fare con i temi del combattimento e della guerra, dello sport e dell’azione, mentre nulla, e ribadisco nulla, ha al centro i grandi temi della vita – sottolinea Pellai –. Eppure sarà molto più probabile avere a che fare, prima o poi, con una storia d’amore, piuttosto che con un missile lanciarazzi o con un raggio laser». Succede poi che in casa si guardi a volte un film sentimentale e, mentre qualcuno piange, spesso i maschi alzino gli occhi al cielo come a dire: ma che roba è? I maschi stanno lì, rigidi, impalati, consapevoli – e forse anche fieri – del fatto che loro nella vita non si lasciano nemmeno sfiorare da tutto ciò che è emozionale. Del resto, le sto-

rie che parlano di vicende sentimentali, dell’amore, delle fatiche e delle gioie di costruire un percorso di intimità con un’altra persona sembrano andare bene solo per le ragazze. «Non ti metterai mica a piangere come una femminuccia?», è la frase con cui ancora oggi molti papà si rivolgono ai propri figli. E quando arrivano gli ormoni a mille, il modello di sessualità che i giovanissimi hanno, più spesso di quel che pensiamo, è dettato dalla pornografia (chi è interessato può leggere Il caffè delle mamme del 28 agosto 2021). Spiega Pellai: «Uno dei problemi che la pornografia porta nella vita dei giovanissimi è mostrare una sessualità che esiste spesso solo nei video. Uno dei problemi più grandi della pornografia facilmente accessibile da smartphone e tablet è che spesso comprende violenze fisiche e psicologiche rivolte al genere femminile. Sullo schermo vengono rappresentate interazioni connotate, in percentuale enormemente superiore rispetto a quello che avviene nella vita reale, da atti violenti, di dominazione, di sottomissione, mentre le donne sono spesso solo corpi sempre disponibili e pronti a tutto». Insomma, i sentimenti sono con-

siderati una cosa da femmine, il vero uomo è forte, a volte duro, senza cedimenti, non lascia trasparire mai alcuna emozione, ma affronta la vita sempre di petto, e l’argomento del sesso tutt’al più viene affrontato nei suoi aspetti pratici – ovvero come si fa, come ci si protegge dal rischio di malattie a trasmissione sessuale e gravidanze indesiderate, come si ottiene il massimo del piacere –, difficilmente negli aspetti più emozionali e relazionali.

Alberto Pellai si rivolge ai padri per ribaltare un falso mito: quel che conta non è crescere veri uomini, ma uomini veri In questo contesto arriva il messaggio, potente, di Pellai che si appella ai giovanissimi e ai loro padri (ma non solo) per ribaltare un falso mito: quel che conta non è crescere veri uomini, ma uomini veri. «È questo e solo questo il messaggio che dobbiamo rivoluzionare. “Sii un vero uomo”: queste quattro parole per milioni di uomini al mondo sono state la causa della peggiore infelicità cui potessero esse-

re esposti. Perché sentirsi dire quella frase li ha obbligati a fingere di essere come i cowboy: sprezzanti del pericolo, sempre pronti a estrarre la pistola dal cinturone e fare fuoco, senza nemmeno un secondo di ripensamento. Invece, ogni uomo è innanzitutto una persona, e come tutte le persone prova gioie, paure, dubbi». Eccolo, il modello diverso di cui i padri devono farsi portavoce: «Vorrei parlarti di un modello diverso, quello dell’“uomo vero” – osserva Pellai –, un uomo che sa provare emozioni e soprattutto sa mostrarle, un uomo che non ha timore di vivere e rivelare tutti i lati di sé, anche quelli comunemente considerati “deboli”». Basta maschere per nascondere le lacrime, basta definire sdolcinata la parola amore e parlare del fare sesso come di qualcosa che conferisce potere e virilità: nella realtà è molto meglio fare l’amore. Il messaggio finale di Pellai, per Il Caffè delle mamme, se diventasse realtà sarebbe davvero capace di rivoluzionare il mondo: «Uomini adulti e veri si diventa costruendo la propria identità e progetto di vita sul termine rispetto». Papà che ne pensate? Impariamo a crescere maschi emotivamente maturi!


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MONDO MIGROS

Il dessert si fa esotico

Attualità ◆ La frutta esotica rappresenta un’alternativa sana e gustosa per trasformare i dessert in una festa per il palato. Alla Migros ora ne trovate un’ampia scelta

Se un tempo i frutti esotici erano considerati un lusso, da consumare di tanto in tanto nelle occasioni speciali, oggi molti di essi sono ormai diventati parte integrante della nostra alimentazione e sono disponibili tutto l’anno. Basti pensare alle banane, all’ananas, al kiwi, al mango o ancora all’avocado, frutti di cui oggigiorno non potremmo più fare a meno. Oltre ad apportare colore e gusto sulla nostra tavola, i frutti esotici contengono anche preziose sostanze nutritive come vitamine e sali minerali utili a sostenere e rafforzare il nostro organismo. Da soli, in una macedonia, per arricchire una pietanza salata oppure come complemento di uno smoothie supervitaminico: le possibilità d’impiego dei frutti esotici sono davvero molteplici. Oggigiorno buona parte di questi frutti reperibili nei negozi

non provengono da Paesi troppo lontani. Infatti, negli ultimi anni molti di essi vengono coltivati nel bacino del Mediterraneo. Tra i frutti esotici più particolari disponibili attualmente nei negozi Migros, possiamo citare per esempio la cherimoya, un frutto a forma di cuore dal gusto simile alle fragole e alla cannella. Appartenente alla famiglia dei frutti della passione, la granadiglia possiede una polpa dal sapore intenso e aromatico che ricorda i tropici. La rinfrescante carambola è perfetta per arricchire e decorare molti piatti grazie alla sua forma a stella. E che dire del mangostano, un’autentica delicatezza dalla polpa bianca e succosa considerato uno dei frutti esotici più deliziosi in assoluto. Venite a scoprire queste e altre bontà tropicali nel vostro supermercato Migros di fiducia.

Frutta esotica con panna al cocco

Ecco un dessert perfetto per sorprendere i propri ospiti in occasione delle festività. Mettere in congelatore per mezz’ora una confezione da 2,5 dl di latte di cocco. Sbucciare un ananas, eliminare il torsolo e tagliarlo a fette. Pelare un mango, eliminare il nocciolo e tagliare a fette la polpa. Sgranare una melagrana. Tagliare una limetta a spicchi e dimezzare due frutti della passione. Adagiare tutti i frutti su un vassoio. Mescolare il latte di cocco con un cucchiaio di zucchero a velo e montare a neve il tutto con uno sbattitore elettrico fino a ottenere un composto spumoso. Sbriciolare alcune meringhe sulla frutta e servire accompagnato dalla panna di latte di cocco.

Sapori raffinati

Attualità ◆ Le ostriche regalano un piacere gastronomico senza eguali. Questa settimana alla Migros i raffinati molluschi sono in promozione speciale. Inoltre, sabato 30 dicembre, nelle filiali con pescheria, si potranno anche degustare su richiesta

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Gli amanti delle ostriche nei maggiori supermercati Migros trovano come novità le ostriche francesi Geay «Spéciale» N. 3. Questo prodotto di qualità superiore è allevato nella regione della Marennes-Oléron, sulla costa atlantica, dove da cinque generazioni la famiglia Geay è attiva nell’ostricoltura. Il processo di allevamento delle ostriche è lungo e complesso e dura dai 3 ai 4 anni, a seconda della qualità. La regione della Marennes-Oléron è nota per l’affinamento delle ostriche nelle «claires», delle vasche naturali di argilla, dove i molluschi acquisiscono un sapore unico e un caratteristico colore verde-blu. Le ostriche Geay «Spéciale» vengono allevate nel rispetto di un severo disciplinare per almeno 42 mesi, di cui gli ultimi 4 mesi nelle «claires». Queste particolari condizioni di allevamento

conferiscono alle ostriche Geay delle qualità uniche: la consistenza è carnosa e croccante, al gusto sono leggermente sapide, dolci, con un aroma di frutta a guscio. Inoltre, sono povere di calorie ma ricche di proteine, iodio e zinco. Le ostriche si servono preferibilmente crude, nella loro conchiglia, condite semplicemente con uno spruzzo di succo di limone e poco pepe. Sono ottime accompagnate da qualche fettina di pane scuro imburrato. Per aprirle occorre uno speciale coltello da ostriche, dalla lama corta e spessa e il manico robusto. La lama viene inserita tra le due valve e con un gesto rapido si fa leva, sollevando e staccando la conchiglia superiore, facendo attenzione a non rovesciare il guscio inferiore che contiene il mollusco e lo squisito liquido.


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MONDO MIGROS

Il gusto della tradizione

Attualità ◆ Cotechino e zampone non possono mancare a Capodanno. Alla Migros trovate queste specialità anche di produzione ticinese

Azione 34% Cotechino prodotto in Ticino per 100 g Fr. 1.25 invece di 1.90 dal 29.12 al 31.12.2023, fino ad esaurimento stock

Sia lo zampone sia il cotechino rappresentano una tradizione culinaria imprescindibile in occasione delle feste di fine anno, non solo in Italia ma anche alle nostre latitudini. Tanto più che, secondo la credenza, consumare questi salumi cotti a Capodanno accompagnandoli alle classiche lenticchie, apporterebbe prosperità e fortuna per il nuovo anno. Migros propone nel suo assortimento alcune specialità prodotte nella nostra regione con carni svizzere o ticinesi, così come un cotechino di vitello. Il cotechino viene preparato artigianalmente con carne svizzera di maiale seguendo una ricetta della tradizione. Una volta sezionata, la carne è macinata e miscelata accuratamente con lardo, cotenna, spezie e vino rosso. L’impasto così ottenuto viene insaccato in un budello naturale e lasciato asciugare in apposite celle. Per apprezzare al meglio tutti gli aromi dell’insaccato, si consiglia di immergerlo prima nell’acqua fredda e di

cuocerlo poi in acqua calda ma non in ebollizione per un’oretta. È importante non bucare prima il cotechino per evitare di disperdere nell’acqua i gustosi e preziosi succhi del prodotto. Lo zampone è disponibile in due varianti differenti, entrambe di produzione ticinese. Gli ingredienti sono simili a quelli del cotechino. Se quello a firma Sciaroni utilizza carni suine svizzere di prima scelta, lo zampone nostrano viene invece prodotto dalla Salumi del Pin con carne di maiali allevati in Ticino nel rispetto della specie. Tutti e due i prodotti sono precotti e necessitano solo di essere scaldati in acqua calda per un’ora, immergendoli insieme al loro involucro originale. Infine, chi cerca un prodotto con meno grassi, alla Migros trova il cotechino con carne magra di vitello. Già cotto al vapore e sottovuoto, si prepara anch’esso immergendolo in acqua calda con il proprio sacchetto per ca. mezz’ora. Annuncio pubblicitario


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SOCIETÀ

Una falsa domestica, anche pericolosa Mondoanimale ◆ Le lumache giganti africane che è sempre più di moda ospitare in casa sono una seria minaccia per l’uomo e per la natura

Concorso ◆ Una gustosa serata di selvaggina

Maria Grazia Buletti

Lumache giganti, lumachegiganti, lumache giganti plus: così è presente sul social Instagram la Lissachatina fulica, un’enorme lumaca proveniente dall’Africa che spopola pure su Facebook con il «Gruppo pubblico lumache giganti africane» e che conta la bellezza di 953 membri. È venduta come animale domestico «carino» ed è resa popolare da persone che l’hanno scelta per compagnia (ci sarebbe di che riflettere sul concetto di compagnia di un animale domestico). D’altronde, su Instagram l’hashtag #giantafricanlandsnail appare in più di 56mila pubblicazioni e ciò fa presupporre che le tante persone che ne possiedono una non siano consapevoli dei rischi per la salute a cui espongono sé stesse e la propria famiglia, dato che si tratta di una specie di lumaca di terra che distrugge piante, terreni e costruzioni in cemento. Ma soprattutto non è esente da rischi per la salute dell’essere umano!

La sua bava in realtà è un vettore di malattie come il verme polmonare del ratto che può causare una forma di meningite nell’uomo Quest’ultimo allarmante aspetto ha spinto Cleo Bertelsmeier, professoressa associata presso il Dipartimento di ecologia ed evoluzione della Facoltà di biologia e medicina dell’università di Losanna (UNIL), a prendere posizione con un comunicato stampa divulgato a metà ottobre: «I social network sono pieni di foto di persone che mettono questo animale a contatto con la pelle o addirittura con la bocca. Esse sostengono che la sua bava dovrebbe essere benefica per l’epidermide, mentre in realtà è un vettore di malattie come il verme polmonare del ratto (Angiostrongylus cantonensis) che può causare una forma di meningite nell’uomo». Sempre a ottobre, la dottoressa

Un esemplare di lumaca gigante tenuta incautamente in mano, col rischio di procurarsi danni alla salute, anche gravi. (Author Cadet-nev)

Bertelsmeier ha pubblicato sulla rivista «Parasites & Vectors» i risultati dello studio sulle lumache giganti condotto col suo gruppo di ricerca dell’UNIL, sconsigliandone pure fortemente il consumo. Stiamo parlando di una gigante lumaca di terra, originaria dell’Africa orientale della lunghezza di oltre 20 centimetri. È vorace invasiva e particolarmente problematica. Gli esperti spiegano che si riproduce molto velocemente: «Ogni lumaca contiene organi riproduttivi sia femminili che maschili; dopo un singolo accoppiamento, ognuna può produrre da cento a cinquecento uova. Difficile da sradicare perché non ha predatori naturali, può vivere fino a nove anni e può riprodursi senza accoppiarsi di nuovo, generando covate di uova ogni due o tre mesi». Eppure l’allarme lanciato quest’anno dalla professoressa Bertelsmeier non è cosa nuova neppure in Svizzera, dove già nel 2022 era stata segnalata la presenza di sette esemplari di Lissachatina fulica in un frutteto a Saxon, in Vallese. Già allora, la biologa del Servizio forestale, natura e paesaggio

del canton Vallese Camille Pitteloud aveva lanciato l’allarme: «Per quanto ne sappiamo, si tratta di una prima volta in Svizzera, ma possono essere una minaccia per natura e agricoltura, poiché divorano tutti i tipi di piante». A suo tempo, in Vallese la situazione non è stata giudicata allarmante, perché «localizzata in un’area ben delimitata e la zona è controllata ogni settimana». Sul come sono giunte nel frutteto, la biologa è stata esaustiva: «Presumiamo che alcuni privati le abbiano acquistate come animali domestici o da compagnia, per poi rilasciarle in natura, anche se ciò è vietato». Dunque, a causa dell’espandersi del fenomeno, oggi si torna a parlare di un gasteropode tutt’altro che innocuo, malgrado il suo aspetto «amichevole» e non bisogna nemmeno lasciarsi ingannare dal fatto che esistono alcuni prodotti per la pelle e alcuni sciroppi a base di bava di lumaca: non si tratta della stessa specie, come spiega Leila Fedulov della Farmacia Bernasconi di Bironico da noi interpellata per fare chiarezza su questi prodotti: «La principale caratteristica del siero

Una sosta al Bellavista

di bava di lumaca è la sua elevatissima capacità rigenerativa che viene poi sviluppata in dermocosmesi e usata come potente anti-rughe e anti-macchie per via dei molti principi attivi contenuti nella bava di lumaca che da decenni sono sfruttati per la cura della pelle, come collagene, elastina e altri ancora». La nostra interlocutrice parla anche di uno sciroppo utilizzato per la tosse grassa. «A dicembre del 2019 alcune persone sono riuscite ad alleviare una tosse persistente con l’aiuto dello sciroppo a base di bava di lumaca, assunto naturalmente da chi non aveva ribrezzo al pensiero del contenuto, e sempre a complemento delle tradizionali terapie», tiene a precisare Fedulov che conferma come questo prodotto naturale sia in voga già da una quindicina d’anni e non abbia nulla a che vedere con la specie di lumaca gigante dalla quale ci stanno mettendo in guardia perché davvero pericolosissima per la nostra salute. Un altro appunto importante da parte sua: «Non dobbiamo dimenticare che, al di là delle proprietà rigeneranti, idratanti e cicatrizzanti della bava di lumaca, come tutti i prodotti naturali anche questo potrebbe presentare un’intolleranza dovuta a qualche eccipiente a cui qualcuno potrebbe risultare più reattivo». Tornando alla pericolosità della lumaca gigante africana, gli esperti spiegano che questa si estende ad altri fattori come il bordo del suo guscio affilato e in grado anche di bucare un copertone di una macchina. Inoltre, pare sia vorace al punto da rappresentare una minaccia per oggetti di plastica e costruzioni di cemento, perché in grado di divorare anche l’intonaco della casa. Naturalmente, questi animali non hanno nessuna colpa, ma sono semplicemente stati spostati dall’uomo in un ambiente nuovo. Impreparati a difendersi, causano squilibri gravi agli ecosistemi in cui sono stati erroneamente e avventatamente immessi loro malgrado.

Nel corso di tutto l’inverno il Buffet Bellavista, situato a 1200 metri lungo la linea che porta in vetta al Monte Generoso, offrirà una serie di serate all’insegna della buona cucina regionale. Il ristorante, da poco ristrutturato, grazie a un’atmosfera intima e curata saprà incantare gli ospiti. «Azione» estrarrà a sorte settimanalmente due ticket che permetteranno di scoprire la bellezza del Monte Generoso. Il prossimo appuntamento, dedicato alla selvaggina, è previsto il 6 gennaio 2024. Dove e quando Serata selvaggina, sabato 6 gennaio 2024, Buffet Bellavista. Orari: Partenza da Capolago ore 19.00, ripartenza da Bellavista ore 21.30. Prezzi: (trenino e menù a 3 portate, bevande escluse): adulti CHF 60.–, ragazzi 6-15 anni CHF 40.–, bambini 0-5 anni treno gratuito. Info e prenotazioni montegeneroso.ch

Concorso «Azione» mette in palio due ticket per il 6 gennaio 2024 che includono ciascuno il biglietto andata e ritorno a bordo del trenino a cremagliera e la cena di tre portate. Per partecipare al concorso mandare una e-mail a giochi@azione.ch (oggetto «Selvaggina»), indicando i propri dati entro martedì 2 gennaio 2024. Buona fortuna! Per info: www.montegeneroso.ch

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SOCIETÀ

Autoritratto di sette adolescenti

#nonsoloinstagram ◆ A Chiasso un laboratorio di fotografia e scrittura creativa proposto ai ragazzi delle Scuole medie sfocia in una mostra e poi in un libro

Tutto è iniziato un paio di anni fa, quando l’artista fotografa Aline d’Auria ha proposto al docente Loris Viviani di dar vita a un laboratorio creativo, una specie di doposcuola in cui i ragazzi e le ragazze delle Medie di Chiasso potessero esprimersi attraverso la fotografia e la scrittura, senza assolutamente nessun tipo di valutazione. Qualcosa di libero, profondo e umano dal titolo #nonsoloinstagram. Il gruppo si è formato con sette ragazz (non tutte si identificano con il femminile di questa parola), interessate alla proposta e da lì sono iniziati gli incontri. Aline ha portato libri di fotografia, immagini da commentare, insieme sono andati a vedere mostre e paesaggi, hanno ascoltato musica provando a scrivere cosa suscitava in loro. Le ragazz sono state stimolate a osservare fuori, osservarsi dentro, provare a usare le immagini e le parole per raccontare una parte di loro stesse. Hanno realizzato degli autoritratti, degli scatti a persone di famiglia, ai luoghi di vita, a ciò che le colpiva. Sono state invitate a mettere i pensieri su carta senza curarsi della forma. Loris, che si occupava della parte testuale, racconta che ha fatto un lavoro di «descolarizzazione», perché a volte il contesto della scuola non incoraggia l’espressione dell’io più profondo. «Come una foto sfocata a volte parla più di un’immagine perfetta dal punto di vista tecnico, così anche un testo sgrammaticato può essere più forte e potente di una serie di frasi senza i cosiddetti errori», spiega e Aline aggiunge: «Volevamo staccarci dall’idea che la foto perfetta è quella in cui tu sei uscita perfetta, con il trucco perfetto ecc. Quello che ci interessava di più erano la sincerità, l’aderenza a sé, la ricerca di qualcosa che fosse importante, almeno nel momento della creazione». Hanno anche fatto un ritiro di tre giorni a Cabbio, una frazione del Comune di Breggia, per lavorare insieme. «Sono stati momenti di unione e di sorprese», racconta Loris. «Accadono cose impensabili e non program

© Mi sento me stessa quando…

Sara Rossi Guidicelli

mabili, come un momento speciale a cucinare una torta di mele e a parlare di filosofia». Aline aveva portato la sua attrezzatura professionale e le ragazz si sono fotografate a vicenda, e hanno fotografato anche quello che le colpiva intorno a loro, oggetti, situazioni, paesaggi. Dopo il primo anno il doposcuola è sfociato in una mostra, dentro a uno spazio che hanno trasformato in una galleria d’arte, con l’aperitivo, gli amici, il pubblico, un dj. Si è trattato di un lavoro collettivo: non ci sono le firme personali, tutto è di tutte, le anime si fondono nel racconto corale. Chiedo ad alcune delle ragazz come si sono sentite, come hanno vissuto questo monte-ore. «Ormai siamo delle artiste», ride una di loro. «Non volevamo che finisse, perciò, anche se alcune di noi avevano concluso le medie, abbiamo chiesto di proseguire con un altro progetto. Ci siamo dette che questa mostra poteva diventare un libro e così, durante tutto l’anno scorso abbiamo lavorato ancora con Aline, Loris e

con una grafica, Lia Araujo. Ne è nato un libro che si intitola Mi sento me stessa quando, che raccoglie le nostre fotografie, i nostri testi e un’introduzione poetica di Prisca Agustoni». Si tratta di un volumetto rosso fatto di bella carta e con la grafica curata, e appena lo si apre è chiaro che si sta entrando in qualcosa di intimo. «Raccontare noi stesse», dicono le ragazze, «è stato liberatorio. All’inizio non è facile, almeno non per tutte. Ma poi abbiamo capito che ci potevamo fidare, le une delle altre, e anche di Aline e Loris. Abbiamo capito che non avrebbero spifferato i nostri segreti e che avrebbero rispettato i nostri desideri. Scrivere fa sentire più leggeri. È un po’ come fare ordine dentro di sé. A volte quello che abbiamo scritto può sembrare cupo, ma rappresenta tutto il nostro essere, è solo la parte che di solito teniamo nascosta». Chiedo loro se davvero, come ho letto, «crescere fa schifo». Ridono. «Ma no, cioè, sì, a volte. Ti senti sola, fai

fatica a trovare qualcuno come te. Ma poi passa. Le medie fanno schifo, ma ci sono alti e bassi, sono momenti». È come la poesia: è vera nell’attimo. Come la fotografia. I testi parlano della vita familiare, delle cose che si hanno nella testa, di ciò che non si capisce, dei momenti in cui nessuno ti ascolta, di quando gli adulti (genitori, insegnanti) instaurano relazioni che non funzionano; se il mondo fa schifo non è certo solo colpa dell’adolescenza. Il libro esprime anche la difficoltà di accettare il proprio corpo, la propria immagine: «È che stiamo cambiando, quindi non è facile. L’infanzia se n’è andata e a volte allo specchio non ci riconosciamo», raccontano, ammettendo che ogni persona è sempre molto severa con sé stessa, figuriamoci con un corpo nuovo ancora in formazione. Mi parlano di episodi in cui non si sono sentite accettate per il loro aspetto fisico. «Succede in continuazione, a scuola, alla fermata del bus. Ti dicono parole, ti

prendono in giro, a me hanno anche buttato i sassi». Forse poi si dimentica, ma la vita da adolescenti non è facile per niente. Qualcuno ha scritto nel libro: «Quando mi dicono “sii te stessa” penso: ma come faccio a essere me stessa se nessuno mi vuole come sono veramente?». Spesso si dice che oggi facciamo troppe foto, ma secondo Aline d’Auria non bisogna giudicare negativamente a priori: «È il nuovo linguaggio, è un modo di esprimersi e di comunicare. Se però scelgo una foto e decido di stamparla, la espongo in un contesto, mostra o libro che sia, sto facendo un passo importante e la faccio diventare un messaggio. Anche una foto banale, messa in risalto, prende potenza. Quindi anche quando mandi la foto di quello che stai mangiando magari stai dicendo qualcosa di importante». Aggiunge una delle ragazze: «È vero, magari è il piatto che hai cucinato con qualcuno o per qualcuno, oppure è stato un momento bello e te ne vuoi ricordare o vuoi che l’altra persona se ne ricordi. La forza sta in quello che c’è dietro alla foto». Ora mi dicono che fanno più foto di prima e che le guardano in modo diverso. Sanno che non è solo il soggetto che importa, o la tecnica, ma lo sguardo di chi ha guardato nell’obiettivo e scattato. Il libro, generoso e pieno di coraggio, è stato recepito benissimo, dal pubblico, dai compagni, da alcuni dei genitori (altri non lo hanno visto e alcuni non lo hanno letto fino in fondo). Le autrici hanno ricevuto parecchi commenti positivi e hanno capito che è un volume che tocca ogni persona in un modo diverso. Una di loro non lo rilegge perché si emoziona troppo, un’altra lo sfoglia ogni sera «come una messa». Si intitola Mi sento me stessa quando… e si trova a Chiasso, nella Libreria Leggere e alla Galleria Consarc. Una frase, dentro al libro, forse, riassume l’autoritratto collettivo delle sette giovani: «Ecco come mi sento quando scrivo: sono un po’ triste, un po’ felice e un po’ arrabbiata».

Viale dei ciliegi Orianne Lallemand-Éléonore Thuillier, Il meraviglioso Natale di Lupetto Gribaudo (Dai 18 mesi) E delle stesse autrici, sempre editi da Gribaudo: • Lupetto cerca e trova. Viva il Natale!; • Le 7 storie di Natale di Lupetto; • Natale e altre feste con Lupo.

Questi libri natalizi di Lupetto sono l’occasione di presentarvi l’intera serie, creata dieci anni fa dalle autrici francesi Lallemand (per i testi) e Thuillier (per le illustrazioni): in originale P’tit Loup, Lupetto è un cucciolo-bambino, nelle cui vicende ogni cucciolo umano può rispecchiarsi. Storie semplici, dedicate a quegli aspetti apparentemente minimi, ma per i bambini importantissimi, di cui è costellata la quotidianità: Lupetto si veste da solo, Lupetto usa il vasino, Lupetto va dai nonni, Lupetto ama la sua baby-sitter, e così via. Altre volte si tratta di grandi eventi, come l’inserimento a scuola, o la nascita di un fratellino. E altre vol-

di Letizia Bolzani

te ancora il tema è più incentrato sulle emozioni: Lupetto non vuole condividere, Lupetto ha paura del buio, Lupetto vuole fare il capo, Lupetto si arrabbia… Un personaggio molto amato dai piccoli, così come molto amato è il suo, potremmo dire, «cugino grande», Lupo. La serie di Lupo, delle stesse autrici, è precedente, esiste dal 2009, e anche in questo caso si tratta di episodi incentrati su un tema, ma i temi sono meno domestici e quotidiani (Lupo vive nel bosco, ha avventure in cui entra anche la dimensione fantastica) e leggermente più complessi. Uno dei

quattro libri natalizi che vi sto presentando ha proprio Lupo come protagonista: Natale e altre feste con Lupo, ed è un libro con tantissimi adesivi riposizionabili, per completare a piacere le varie narrazioni: si potrà ad esempio vestire Lupo, addobbare l’albero, apparecchiare la tavola. Gli altri tre libri, cartonati e per i più piccini, hanno invece come protagonista Lupetto: nelle 7 storie di Natale troveremo un piccolo racconto per ogni giorno della settimana; Il meraviglioso Natale è un libro tattile, con inserti di diversa consistenza da toccare; mentre Viva il Natale! è un classico «cerca e trova», con grandi immagini in cui reperire vari oggetti, incentivando nominazione e osservazione. Le vicende di Lupo e Lupetto ci divertiranno in queste feste, o in ogni altro momento dell’anno. Anna Genni Miliotti Le scarpe della Befana Illustrazioni di Cinzia Ghigliano, Le Rane Interlinea (Da 4 anni)

Le Edizioni Interlinea promuovono ogni anno il premio «Storia di

Natale» e il racconto vincitore viene pubblicato in un libretto di piccolo formato, a sfondo blu, illustrato da apprezzati artisti. Anno dopo anno questi volumi arrivano a formare una bibliotechina di Natale che annovera le migliori firme della letteratura italiana per l’infanzia, come Mino Milani, Vivian Lamarque, Roberto Piumini, Bruno Tognolini, Anna Lavatelli, Anna Vivarelli, e molti altri. Visto che ci stiamo avvicinando a gennaio, vi propongo una storia più incentrata sull’Epifania, peraltro appena ristampata (in

nuova edizione, con nuova copertina), anche se la prima pubblicazione risale al 2009, anno appunto in cui la scrittrice Anna Genni Miliotti vinse il Premio. Ma la Befana (come Babbo Natale) non conosce tempo e dunque questa storia non invecchia. La Befana arriva ogni anno, arriva di notte, tuttavia, a differenza di Babbo Natale, le sue scarpe avrebbero bisogno di un restyling, o quanto meno di una sistematina: La Befana vien di notte/con le scarpe tutte rotte… La piccola Daria chiede alla sua mamma il perché di quelle scarpe rotte, e la mamma le racconta che alla Befana manca il tempo di farsele aggiustare dallo gnomo calzolaio, perché, povera vecchia, è troppo impegnata, tutto l’anno, a preparare i doni per i bambini. Ci penserà l’intraprendente Daria a risolvere il problema, e la Befana le sarà molto grata. E la filastrocca si rinnoverà a sua volta: La Befana in ciel si muove/con le scarpe tutte nuove. Una piccola storia tenera, ben valorizzata dalle illustrazioni di Cinzia Ghigliano.


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Settimanale di informazione e cultura

Anno LXXXVI 27 dicembre 2023

SOCIETÀ / RUBRICHE

L’altropologo

13

azione – Cooperativa Migros Ticino

di Cesare Poppi

L’altro Marx

I decenni a cavallo fra ’400 e ’500 segnano un periodo particolarmente travagliato nella storia europea. In molti si contendevano il primato in Italia tirando i Papi per la giacchetta non sempre con risultati apprezzabili per il controllo della penisola. Con la scoperta delle Americhe si delineava all’orizzonte uno spostamento del baricentro economico globale dal Mediterraneo alle Indie Occidentali e ai commerci transatlantici. La nobiltà vedeva così ridotti i profitti della rendita fondiaria a favore di una borghesia commerciale sempre più irrequieta prima e imprenditoriale poi (quella che il «vero» Marx avrebbe chiamato «l’accumulazione originaria» del Capitale). A questo rispondeva inasprendo lo sfruttamento a tutti i livelli della servitù della gleba in diretta concorrenza con la Chiesa Romana che con quella contendeva decime e balzelli sempre più bizzarri: separati in casa Feudatari e Clero, dovevano in-

gegnarsi. Poi carestie, epidemie, scoramento: in Italia si registrò un crollo demografico… Nel 1517 Papa Leone X era a corto di fondi per completare la Basilica di San Pietro. S’inventò allora una Special Edition di Indulgenze plenarie a chi avesse fatto donazioni. Un oscuro frate agostiniano, certo Martin Lutero, si mise di traverso: Dio concede salvezza attraverso la fede e non tramite le opere. Se anche stacchi l’assegno e paghi per costruire San Pietro e sei un furfante non te la caverai. E così pure chi vendeva false promesse di salvezza. Il Papa scomunicò il monaco e così fece l’Imperatore Carlo V per tenersi buona Roma. E non solo Roma. Le novantacinque tesi di Lutero di quella che divenne poi la Riforma Protestante ebbero un effetto immediato fra le classi popolari e contadine. Variazioni, aggiunte e anche equivoci della trasmissione orale fungevano da volano moltiplicatore di versioni con-

La stanza del dialogo

trastanti, a volte improvvisate quando non fantasiose e velleitarie, di cosa potesse voler dire e implicare il ritorno a un Cristianesimo primitivo purificato dalle distorsioni di Clero e Nobili. Fra il 1524 e il 1525 la Rivolta dei Contadini squassò i ranghi ormai storicamente scassati dell’ordine costituito in Germania, Alsazia, Svizzera, Austria e Südtirol/Alto Adige. Si calcola che in quegli anni almeno 300’000 insorti, sfidarono con falci e forconi le corazze e alabarde dei terribili Landsknechte pagati per sopprimere le rivolte in una miriade di insorgenze grandi e piccole… Lo scenario ideale che formava il background a volte confuso (ma non per questo meno genuino) del movimento era un utopico ritorno a un Cristianesimo Originario (con ogni probabilità mai esistito) dove i beni erano posseduti in comune e il clero era il Servo dei Servi di Cristo. Fu così che il 27 dicembre 1521 tre predicatori della Dottrina Riformata ar-

rivarono a Wittenberg, nella Sassonia meridionale. Nicolaus Storch, Markus Stübner e Thomas Drechsel. Passati alla storia come i Profeti di Zwickau, erano stati appena esiliati dalla loro città a causa delle loro dottrine radicali. Sono oggi riconosciuti come l’avanguardia storica dell’Anabattismo. In sostanza, semplificando: il Battesimo non può essere amministrato agli infanti ma solo agli adulti poiché come al Giordano lo Spirito può solo essere accolto da persone consenzienti. Attacco al cuore di quello che fu chiamato Pedobattismo, lo Spiritualismo dei Nostri sosteneva che la gestione del vero significato delle Scritture non potesse venire dalla Chiesa ma solo come rivelazione individuale a ciascun credente. E questo a premessa della promessa (!) certa e ineludibile di un’Apocalisse catastrofica da lì a poco. Possono ben capire i forbiti lettori de l’Altropologo che i tre non andarono lontano. Dopo un iniziale successo

di pubblico e critica, venutosi a sapere che erano stati in contatto a Zwickau con Thomas Müntzer, leader da lì a poco della rivolta dei contadini, i tre attirarono i sospetti delle Autorità cittadine. Allertato, Filippo Melantone, figura di spicco della Riforma e amico personale di Lutero, decise di giocare l’Asso di Bastoni. Persuase Lutero ad abbandonare il castello di Wartburg dove era detenuto «in custodia protettiva» su richiesta e con garanzia del Consiglio di Wittenberg. In otto famosi sermoni, a partire dal 6 marzo 1522, Lutero fece girare il vento contro quelli che apostrofò come Schwärmer: mestatori, fanatici. Fiutata l’aria nuova, i tre alzarono i tacchi e sparirono dalla circolazione. Il grande storico di quegli eventi, L. P. Qualben, sostiene che il vero cognome di Thomas Drechsel fosse in realtà Marx. L’Altropologo investiga le genealogie degli Altri Marx. A presto per aggiornamenti.

di Silvia Vegetti Finzi

L’educazione alle relazioni inizia dalle domande ◆

Gentile professoressa, mi congratulo con lei per aver ricevuto dal Comune di Milano la benemerenza, l’Ambrogino d’oro, per la sua attività. La seguo da anni su queste pagine, ora i miei figli – due maschi e una femmina – sono adolescenti e mi trovo disorientato di fronte alla tempesta mediatica scatenata dal terribile femminicidio della giovane Giulia da parte dell’ex compagno Filippo. È stato uno shock per tutti ma non c’è bisogno di continuare a rendere pubblici tutti i particolari dell’inchiesta né di colpevolizzare tutti i giovani uomini in quanto eredi di secoli di patriarcato. Hanno compreso che non è amore quello che uccide per volontà di potere e di possesso ma se continuiamo a ripeterglielo in modo ossessivo rischiamo la reazione contraria: che non ne vogliano sapere più niente. Colgo favorevolmente la proposta di introdurre nelle scuole corsi di educazione affettiva ma prima di tutto le chiedo: cosa devo fare io? / Enrico D. Caro lettore, il ruolo di genitore non s’improvvisa ma credo che lei stia

svolgendo il compito più importante per un educatore: interrogarsi. Da quando lei era adolescente molte cose sono cambiate ma per sapere dove andare dobbiamo conoscere da dove veniamo. Quando si denuncia il Patriarcato, cioè una società basata sull’autorità paterna, cui per secoli è stato delegato il potere pubblico e privato, ci si riferisce a un modello in gran parte superato. Ma nulla è mai passato per sempre e residui storici permangono tuttora nella nostra mente. L’ inconscio cambia più lentamente rispetto ai mutamenti esterni e, in soggetti particolarmente fragili e in momenti di crisi, può emergere con violenza inaudita. Ma è vero che, se continuiamo a considerare i ragazzi come colpevoli e le ragazze come vittime, rischiamo di allontanarli invece che di promuovere buone relazioni tra di loro. Chi sta crescendo, affrontando il futuro, ha bisogno di senso critico verso se stesso e gli altri ma non solo. La voglia di diventare grandi si

La nutrizionista

nutre soprattutto di fiducia e di speranza. Per cui il modo più efficace di spronarli e sostenerli è, da parte degli educatori, di testimoniare una buona vita sia in famiglia sia fuori. In questi anni la cultura umanistica è in crisi, posta ai margini rispetto a quella scientifica. Considerata superata, non svolge più la funzione orientativa di un tempo. Sino a qualche generazione fa bastava agli alunni, per sentirsi compresi e sostenuti, la stima di un solo insegnante, di solito quello di materie letterarie. Era sufficiente la sua approvazione per trovare la forza di realizzarsi senza cedere al conformismo e senza reagire alle norme con comportamenti asociali. Ma se quell’insegnante è in crisi, se si sente isolato e poco considerato come può aiutare gli altri? Nella cultura umanistica (letteratura, storia, teatro, musica, arti visive,…) sono contenuti valori e modelli di comportamento ad alto valore formativo. Ma pare che ora i bambini ab-

biano meno parole rispetto ai genitori e quindi meno idee. Abituati a seguire sul cellulare cartoni animati senza interagire, sono diventati una generazione silenziosa, che non fa domande. Invece è proprio dalle domande che inizia l’educazione alle relazioni e all’affettività senza diventare un bla bla bla. Domande che vanno sollecitate sapendo che per diventare efficaci devono esprimere, non solo fatti ma emozioni. E tutti quanti siamo, di fronte alle emozioni, analfabeti affettivi. Ci eravamo illusi che, mettendo maschi e femmine negli stessi banchi, avremmo risolto il problema del rapporto tra i sessi, ma non è così. Non basta cambiare la realtà esterna se non muta contemporaneamente il mondo interno. Riprendiamo quindi a riutilizzare le favole per proporre ai bambini situazioni problematiche, ad alto indice di emotività, storie da raccontare, commentare e discutere insieme. E di seguito i romanzi, le poesie, i drammi che costituiscono la nostra cultura.

Più dei corsi di educazione affettiva, servono insegnanti sensibili che, oltre a valutare le prestazioni, comprendano le diverse personalità degli alunni, i loro stati d’animo, le relazioni che intercorrono nella classe. Lo stesso vale per i genitori, spesso troppo mirati al successo scolastico o sportivo dei figli e delle figlie, piuttosto che alla loro realizzazione complessiva. Per concludere, caro lettore, la ringrazio per le sue congratulazioni. Considero l’Ambrogino d’oro, che ricevo con gratitudine, un beneficio secondario della tarda età, quando il premio più importante è costituito dalla salute e dalla serenità. Informazioni Inviate le vostre domande o riflessioni a Silvia Vegetti Finzi, scrivendo a: La Stanza del dialogo, Azione, Via Pretorio 11, 6901 Lugano; oppure a lastanzadeldialogo@azione.ch

di Laura Botticelli

Come arricchire una dieta povera di fibre alimentari? ◆

Buongiorno, da anni mia mamma (92. enne) soffre di colite microscopica. Il gastroenterologo ha consigliato di seguire una dieta povera di fibre: no alle farine integrali (dunque pane bianco, pasta e riso non integrale) e solo qualche verdura cotta come patate e carote. Bandite tutte le verdure come cavoli, verze, broccoli e i legumi. Anche la frutta è limitata a: banane, mele e pere. Tuttavia mia mamma comincia a stufarsi di tante limitazioni e anch’io non so più cosa cucinarle oltre alle solite cose. Per esempio il finocchio fa differenza se lo si mangia crudo o cotto? Le patate, con buccia o senza? Non è facile seguire una dieta variata. Quale altra verdura e frutta posso aggiungere alla sua dieta? Inoltre, c’è differenza tra una verdura cruda e una cotta? Un sentito ringraziamento. / Maria I. Gentile Maria, effettivamente la dieta

povera di fibre a lungo termine risulta essere monotona, e per questo darò volentieri delle indicazioni per aiutarvi a migliorarla. Prima però desidero spiegare anche agli altri lettori la ragione per cui il medico vi ha proposto tale alimentazione. La colite microscopica è un’infiammazione dell’intestino crasso (colon) che provoca diarrea acquosa persistente, crampi, dolori addominali o gonfiore, perdita di peso, nausea, incontinenza fecale e disidratazione. Il disturbo prende il nome dal fatto che è necessario esaminare il tessuto del colon al microscopio per identificarlo, dato che lo stesso può apparire normale con una colonscopia. Non sono ancora note le cause ma i fattori di rischio possono essere l’età, dai 50 anni in su, il fumo, malattie autoimmuni o fattori genetici. I sintomi della colite microscopica

possono andare e venire frequentemente. A volte si risolvono da soli. I medici tentano un approccio graduale, iniziando con i trattamenti più semplici e facilmente tollerabili. Di solito si inizia con modifiche alla dieta e con farmaci che possono aiutare ad alleviare la diarrea persistente, e per questo viene proposta la dieta povera di fibre. La fibra è un tipo di carboidrato – presente in frutta, verdura, legumi e cereali – che non viene digerito dal corpo. Una dieta povera di fibre limita questi alimenti così che nell’intestino crasso circoli meno materiale non digerito e le feci siano meno voluminose. Cosa mangiare quindi? Carne, pesce, uova e formaggi non hanno fibre. Per quel che concerne i latticini, se soffre molto di diarrea è meglio provare prima quelli poveri di lattosio, quindi latte senza lattosio, yogurt naturali ricchi

di probiotici e preferire i formaggi stagionati come lo sbrinz, il grana, l’Appenzeller eccetera o con la muffa come brie, tomino e via elencando. I cereali sono consigliati solo se raffinati, oltre alla pasta e al riso (che può cucinare come risotto o crema di riso o riso in brodo) sono permessi anche la polenta gialla, il semolino e quindi pure gli gnocchi alla romana, il cous cous e gli gnocchi di patate. La buccia è la parte fibrosa delle patate quindi meglio sbucciarle e bollirle, per poi consumarle così o in purea o in crema o in brodo/asciutte con la pasta. Per quel che concerne frutta e verdura sono entrambe molto ricche di fibre e c’è poca scelta oltre a quella da lui raccomandata. Normalmente cuocere e frullare distrugge un po’ la fibra, a crudo invece è più presente. Vi consiglio l’acquisto di un estrattore che

estrae da frutta e verdura cruda il succo e lascia tutta la polpa e le fibre in un contenitore a parte. Lavora a bassi giri e con minore potenza rispetto a una centrifuga e in questo modo vengono mantenute gran parte delle proprietà nutritive degli alimenti. Può prepararli di sola frutta o di sola verdura o anche mischiarle assieme, e poi berne il succo o preparare con il succo delle gelatine o dei ghiaccioli. Se vedete un miglioramento dei sintomi parlatene col gastroenterologo e chiedete se potete inserire di nuovo, piano piano, le fibre. Informazioni Avete domande su alimentazione e nutrizione? Laura Botticelli, dietista ASDD, vi risponderà. Scrivete a lanutrizionista@azione.ch



Settimanale di informazione e cultura

Anno LXXXVI 27 dicembre 2023

azione – Cooperativa Migros Ticino 15

TEMPO LIBERO ●

Wadi Rum: va protetto oggi più che mai La cosiddetta Valle della Luna, ovvero il deserto nel sud della Giordania, da set cinematografico è ormai diventato meta del turismo di massa

Una sfiziosa e leggera insalata Lingue di carote di vari colori e ceci croccanti uniti su una crema di tahina regalano un antipasto sano e variopinto

Avatar: Frontiers of Pandora Ispirato al famoso film creato da James Cameron, il nuovo gioco «d’azione» di Ubisoft è più che altro una passeggiata nella giungla

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La storia di un eroe del popolo

Graphic novel biografiche ◆ Si intitola Louis Riel il fumetto di Chester Brown dedicato all’omonimo personaggio ottocentesco ribelle e leader della resistenza dei Métis (meticci) canadesi Benedicta Froelich

In barba a quanto la cosiddetta «opinione comune» sembrerebbe suggerire, quella della graphic novel , o «romanzo a fumetti», costituisce una forma di narrazione ben più versatile di quanto il lettore casuale possa immaginare; infatti, benché la maggior parte di noi tenda automaticamente ad associare l’idea di fumetto con i prodotti seriali più o meno commerciali acquistabili in edicola, la gamma dei generi narrativi che questo mezzo è in grado di trasmettere con efficacia al pubblico è ben lungi dall’essere ristretta agli universi fantastici dei supereroi o alle storielle per bambini. Per questo, nell’ambito delle graphic novel di argomento biografico è possibile imbattersi in piccoli capolavori perfino quando si sconfina in un campo delicato come quello relativo alle figure del passato oggi considerate alla stregua di veri e propri martiri politici o religiosi. Un esempio magistrale è rappresentato da Louis Riel, leader ottocentesco della resistenza dei Métis (meticci) canadesi, che nel 2003 è stato celebrato in un suggestivo volume realizzato da Chester Brown, oggi universalmente riconosciuto come uno dei più importanti autori viventi del fumetto underground. Sebbene, infatti, la figura di Riel sia praticamente sconosciuta alle nostre latitudini, il suo è un nome presente in ogni libro di storia canadese, trattandosi di un personaggio ancor oggi controverso, che evoca forti emozioni in chiunque abbia studiato le vicissitudini delle minoranze in Canada e nelle altre ex colonie inglesi. Del resto, è difficile rimanere indifferenti davanti alla parabola di Riel, che la graphic novel segue a partire dai primi atti di ribellione fino all’inevitabile, tragico epilogo di un’epopea destinata a una fine infausta: come leader del popolo Métis canadese, l’audace Riel guidò ben due insurrezioni contro il Governo, la prima delle quali avrebbe addirittura dato vita alla provincia del Manitoba; e sebbene l’appoggio popolare sembrasse favorire la sua causa, la successiva ribellione del 1885, scoppiata al ritorno di Riel da un esilio durato alcuni anni, si sarebbe conclusa con la cattura del leader indipendentista – il quale, accusato di alto tradimento, venne giustiziato poco tempo dopo, entrando così nella leggenda. Eppure, quella di dedicare una graphic novel a una figura da molti considerata quantomeno ambigua all’epoca della pubblicazione appare come una scelta piuttosto singolare, soprattutto se compiuta da un autore della popolarità di Chester Brown – la cui fascinazione per il personaggio è legata non soltanto alla sua natura di vero e proprio folk hero, ma anche alla supposta schizofrenia che, secon-

do molti storici, avrebbe tormentato Riel; facendone proprio il tipo di personaggio che si presta perfettamente a una narrazione fumettistica, in tutta la sua vibrante epica a effetto. Di conseguenza, la graphic novel si concentra sull’ultimo periodo della vita del leader, dipingendolo in effetti come un predestinato, il cui martirio assume connotati quasi cristici, favoriti dalla percezione che Riel stesso aveva del proprio ruolo: quello di un profeta inviato da Dio a liberare gli oppressi del Canada. Tuttavia, più ancora che l’elemento narrativo legato alla trama e al suo dirompente potere evocativo, il maggior punto di forza di questo volume risiede nell’intuizione grafica dell’autore: sapendo di dover narrare una storia drammatica, il cui fulcro sarebbe stato il volontario martirio dell’eroe, Brown ha colto in pieno l’importanza che lo stile di disegno avrebbe rivestito, e deciso quindi di utilizzare uno sguardo simile a quello tradizionalmente impiegato dagli artisti della scuola

franco-belga, che da decenni esercita un’influenza capillare sul fumetto mondiale. In contrapposizione all’alto voltaggio emotivo della vicenda, l’elemento grafico poggia sulla cosiddetta «linea chiara» – un tratto estremamente pulito e sintetico, quasi infantile, qui abbinato a un layout della pagina pressoché elementare. Anziché suggerire monotonia, le vignette squadrate, della stessa forma e grandezza, enfatizzano l’importanza del testo in esse contenuto – in questo caso, dei pensieri di Riel, così da far risaltare la forte introspezione che caratterizza l’intero lavoro. Di fatto, scandendo in modo tanto regolare (e apparentemente monotono) la narrazione, l’autore permette al lettore di concentrarsi sul messaggio della storia, evitando che l’aspetto grafico distragga dal vero fulcro dell’azione. Perché, sebbene sia vero che la forma fumetto è da sempre caratterizzata da un perfetto equilibrio tra parola e immagine, è altrettanto vero che è il tipo di narrazione impiegata – nello specifico, la natura stessa del racconto e il genere narrativo prescelto – a determinare con precisione quanto bi-

lanciati tra loro questi elementi debbano essere; e nel caso di un lavoro come Louis Riel , animato da una trama dalla forte valenza simbolica, una soluzione grafica non ingombrante come quella prescelta dall’autore si rivela l’unica davvero in grado di reggere alla perfezione il senso di ineluttabile tragedia che pervade la vicenda. Non

solo: al fine di mantenere alta la tensione narrativa per l’intera durata del racconto, Brown conferisce alle immagini statiche e spesso ripetitive un ritmo lento e cadenzato, quasi musicale – scandito, vignetta dopo vignetta, da dialoghi brevi e allusivi, la cui sintesi quasi telegrafica ricorda la suggestiva incompletezza dei pannelli esplicativi

di un film muto dei tempi andati. Ciò si percepisce con particolare forza nei surreali monologhi di Riel, nei quali la scansione dei momenti, quasi solenne nel suo incedere misurato, enfatizza ulteriormente la natura instabile e «aliena» del personaggio. Così, se Louis Riel presenta, agli occhi più smaliziati, un gusto irrimediabilmente antiquato e quasi démodé nella sua apparente semplicità, allo stesso tempo, in termini di tecnica narrativa, costituisce un vero e proprio «centro perfetto»; il che dimostra una volta di più come, nelle mani giuste, il fumetto possa essere un mezzo ottimale per la narrazione di vicende di ampio respiro storico – non solo di natura altamente drammatica, ma anche (e soprattutto) dalle tematiche delicate e controverse. In fondo, il compito più adatto per un’arte che, in termini di pura potenza e suggestione narrativa, nulla ha da invidiare al cinema o alla letteratura. Bibliografia Chester Brown, Louis Riel, Coconino press Fandango (2004), 288 pagine.


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Sdraiati sulla sabbia fina a contare le stelle

Reportage ◆ Da incantato paesaggio lunare a set cinematografico è finito per essere meta del turismo di massa: il deserto di Wadi Rum va protetto oggi più che mai Luigi Baldelli, testo e foto

«È pulito». Così rispondeva Lawrence d’Arabia quando gli domandavano perché l’attraeva così tanto il deserto. In particolare si riferiva al Wadi Rum, anche detto la Valle della Luna: deserto nel sud della Giordania che ospitò le imprese del militare e scrittore britannico a capo della rivolta araba durante la dominazione ottomana a inizio Novecento. Ma il Wadi Rum non è per fortuna attraente solo perché pulito, anzi, oggi meno che mai per questo. Il deserto di Wadi Rum attrae e ammalia con la sua bellezza, la sabbia fina e rossa e le rocce di arenaria, che si alzano come torri in mezzo al deserto. Affascina con il suo colore arancione acceso del mattino quando sorge il sole, per trasformarsi in bianco e rosso incandescente durante la giornata, diventare rosa al tramonto e azzurro e viola prima dell’arrivo della notte. Con i suoi 74mila ettari di estensione, questo deserto è oggi un’area protetta, e dal 2011, sito dell’Unesco e patrimonio dell’umanità, attestazione che certifica un «fenomeno naturale superlativo di straordinaria bellezza». La Valle della Luna è sempre stata crocevia di genti e culture. Già 8mila anni prima di Cristo, qui c’erano insediamenti umani, di cui ancora oggi si possono osservare incisioni rupestri sulle pareti rocciose.

Tra i danni del turismo di massa, anche lo spostamento del villaggio di Rum, necessario per trasformare quello esistente in sito turistico, senza chiedere agli abitanti Nel IV secolo Avanti Cristo le sue dune erano calpestate dai nabatei, popolo di commercianti dell’epoca (a loro si deve anche la costruzione della città di Petra, sempre in Giordania). Per il loro spessore culturale e storico, questo popolo rappresenta una rilevante e antica civiltà che ha saputo adattarsi e sfruttare al meglio il deserto di Wadi Rum, fondamentale per la loro evoluzione e prosperità. Negli anni seguenti, altre carovane di cammelli qui si incrociavano, di ritorno dalla città sul mare di Aqaba o diretti verso la Siria o il Libano, facendo diventare questo deserto uno dei più importanti centri geopolitici ed economici durante il II e I secolo a.C. Da qui passava anche la famosa Via dell’Incenso, che collegava l’Arabia meridionale con il Mediterraneo. Oggi, i nabatei hanno lasciato il posto ai beduini, che ancora abitano il deserto risultando un elemento significativo della cultura giordana. Anche i beduini, come i loro antenati, si sono adattati e modellati al clima arido e ai tempi del deserto, facendolo diventare casa loro. Popolo nomade, i beduini hanno sviluppato abilità straordinarie per trovare risorse in queste distese di sabbia e rocce, sopravvivendo a una vita dura e a un clima difficile, spostandosi stagionalmente nei vari pascoli dove si trovano acqua e cibo per il loro bestiame, scegliendo di trascorrere i mesi estivi nel nord del Paese mentre il periodo invernale nel deserto meridionale; portandosi sempre dietro le loro tende di pelo di capra. Il loro legame con il deserto è profondo e unico, così come le loro antiche tradizioni. Studi geologici ci dicono che il de-

serto di Wadi Rum ha iniziato a formarsi nell’era geologica del Cambriano grazie all’erosione di un fiume che per millenni ha intaccato la roccia e scavato la sabbia. La conformazione del paesaggio che oggi appare ai nostri occhi lo rende decisamente unico: le rocce di arenaria stratificata, modellate durante i millenni dal vento, creano forme strane, che la fantasia ci porta a fare assomigliare a funghi, cupole, ponti, animali mitologici, figure umane. Questo ambiente così «fantascientifico» è stato la scenografia naturale di tante produzioni cinematografiche, soprattutto perché ricorda la superficie del pianeta Marte. Basti ricordare, per citarne alcuni, Pianeta Rosso, The Last Days on Mars o il kolossal di Ridley Scott The Martian. «Vasto, echeggiante e simile a una divinità». È sempre Lawrence d’Arabia, nella sua autobiografia I sette pilastri, a descrivere con queste parole il Wadi Rum, sua casa per più di vent’anni e che lui ha attraversato in lungo e in largo a piedi o a dorso di cammello. Quando ci si siede su una duna o all’ombra di una roccia e si spinge lo sguardo nel vasto infinito, non è difficile pensare a questo mare di sabbia come a una divinità, un luogo di culto che ti porta a un raccoglimento e alla meditazione, che ti spinge a domande che forse non troveranno mai una risposta, che ti ricorda quanto sia maestosa la natura e quanto sia piccolo l’uomo. Ti ammonisce e ti impressiona al mattino presto, quando il chiarore azzurro dell’alba lascia spazio ai raggi del sole che sorge maestoso da dietro

le montagne e la luce arancione piano piano invade l’ambiente intorno. Il tempo sembra fermarsi e si guarda ipnotizzati l’astro che sale piano verso il cielo. Sembra un tempo lungo, ma sono solo pochi minuti e la bellezza intorno si svela sempre di più con l’aumentare della luce, lasciando spazio a meraviglia e incanto. Una divinità che ti ricorda che il Wadi Rum può essere cattivo e violento nelle ore roventi del giorno, quando il caldo lo rende infernale e la ricerca di un luogo ombroso è l’unica cosa che può portare sollievo mentre la caligine trasforma le rocce intorno in statue tremolanti e la foschia limita la vista verso l’infinito. Ma diventa invece una divinità accogliente, la sera, prima del tramonto, quando le brezze portano refrigerio, la luce diventa ovattata, di un colore blu intenso come il mantello di un mago, le ombre si allungano e le rocce piano piano si immergono nel buio. La notte è solo silenzio e le stelle sembrano a portata di mano. Tutta questa bellezza non poteva certo rimanere nascosta e oggi il deserto di Wadi Rum è solcato da turisti, ci sono strutture alberghiere simili a camping di lusso (è vietato realizzare case in muratura all’interno dell’area protetta) e viavai di jeep che portano in giro i visitatori nelle zone e nei luoghi più interessanti. Il turismo è la più importante fonte di reddito per la popolazione locale, ma viene anche da domandarsi che impatto abbia sul deserto e sulla sua gente. I beduini sono sempre stati autosufficienti, fa parte del loro stile di vita. Gli animali hanno sempre fornito carne, latte o lana. Le tecnologie moderne aiutano, co-

me ad esempio i pannelli solari. Ma se pensiamo alla quantità di rifiuti che vengono lasciati dai tantissimi turisti, questo diventa certamente un problema. Perché non è facile smaltirli, bisogna caricarli sulle auto e portarli al villaggio più vicino. Mentre a volte vengono abbandonati lungo le strade sterrate. Analoga preoccupazione possiamo averla per l’acqua, che è la chiave per sopravvivere nel deserto. Perché se i beduini nomadi sostano nel Wadi Rum solo nei piovosi mesi invernali, dove c’è più acqua e la vegetazione per gli animali è più abbondante, per chi vive tutto l’anno nel deserto la conservazione dell’acqua è essenziale. Ma chiaramente tanti turisti significa anche più richiesta di acqua. Altro danno collaterale prodotto dal turismo di massa sviluppatosi negli anni che hanno preceduto il coinvolgimento delle comunità locali, è stato addirittura lo spostamento del villaggio di Rum, riadattato più lontano, per trasformare quello esistente in sito turistico, il tutto senza consultare gli abitanti. Da ciò la conferma che il turismo nel Wadi Rum è un’arma a doppio taglio: pur essendo una fonte di reddito, non è interamente sostenibile. Anche perché comporta cambiamenti culturali e di stile di vita. Ad esempio, molti beduini hanno abbandonato l’allevamento degli animali per diventare guide turistiche, lavorare nei lodge e nei ristoranti, legando la loro esistenza all’andamento del turismo stesso (non dimentichiamo che la Giordania, anche se è un luogo attualmente piuttosto pacifico è circondata da aree

e Paesi con forti tensioni, come Siria, Israele, Libano che comportano periodicamente cali di turismo ogni volta che le ostilità esplodono). Al di là dei vantaggi economici, oggi il sito è sotto osservazione per quanto riguarda l’impatto ambientale. Basti pensare che l’aumento del turismo ha significato l’incremento di strade, linee elettriche, alberghi, auto. Quindi lo sforzo deve essere rivolto verso la conservazione dell’area con pratiche turistiche sostenibili che consentano una qualità di vita ottimale per gli abitanti e divertimento per il visitatore, preservando allo stesso tempo il paesaggio per le future generazioni di visitatori e abitanti. La sera, avvolti dal silenzio del deserto, i pensieri si fanno più chiari e ci si guarda intorno, spaesati e impressionati da tanto spazio, a contemplare le stelle che si accendono e le rocce che diventano blocchi neri confondendosi con la sabbia. Piano piano ci si lascia cullare e trasportare verso le dune. E tutto sembra tornare quello di sempre, quello che il Wadi Rum era mille e passa anni or sono. L’immaginazione e la fantasia fanno inventare tende di beduini circondate dalle mandrie di cammelli, uomini attorno al fuoco e voci che raccontano leggende e storie fiabesche. Al risveglio sale un po’ di malinconia, pensando che bisognerà lasciare questo posto unico, dove bellezza, natura, storia e favole si uniscono e si intrecciano in un racconto unico. Informazioni Su www.azione.ch, si trova una più ampia galleria fotografica.


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2. Tagliate i kumquat a fette sottili. 4. Sistemate tutto su un piatto da portata. 5. Spolverizzate di cannella. 6. Cospargete con i petali di rosa sbriciolati e le foglie di menta. 7. Irrorate con il miele. 8. Accompagnate con gelato alla vaniglia. Consiglio utile: a piacere completa la macedonia con i datteri. Preparazione: circa 30 minuti. Per persona: circa 4 g di proteine, 1 g di grassi, 42 g di carboidrati, 200 kcal.

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Una passeggiata nella giungla aliena

Videogiochi ◆ Avatar: Frontiers of Pandora è visivamente molto ben riuscito ma non offre altrettanta sostanza di gioco Davide Canavesi

Il film Avatar, creato da James Cameron, è stato un fenomeno cinematografico senza pari nel 2009. Una esplosione di effetti in grafica digitale d’altissimo livello che diede pure l’impulso per la creazione dell’industria del cinema in 3D. A oltre dieci anni di distanza, il secondo film, Avatar: La via dell’acqua ha ottenuto un buon successo, sebbene non davvero paragonabile al primo. Senza sorpresa, il mondo dei videogiochi ha seguito molto da vicino l’andamento delle pellicole e, negli anni, ha proposto diversi titoli. L’ultimo nato è toccato ai francesi di Ubisoft, i quali – con Avatar: Frontiers of Pandora – propongono un gioco d’azione in prima persona che si muove parallelamente ai film. In questo nuovo gioco, uscito quest’autunno per console casalinghe e PC, non impersoneremo però il protagonista cinematografico, Jake Sully, ma un giovane abitante Na’vi del pianeta Pandora. La storia di questo gioco si apre con quattro ragazzi rimasti orfani. Accolti dagli umani, vengono cresciuti e addestrati come parte del programma Avatar per essere impiegati in missioni di avvicinamento ai nativi. I giovani crescono lontani dalla loro tribù e dalla loro cultura finché la situazione sul pianeta alieno non finisce per deteriorarsi e sfociare in una guerra aperta tra le due fazioni. Viste le nuove circostanze, gli umani decidono di chiudere il program-

ma di istruzione dei quattro giovani e di sbarazzarsi di loro. Per sfuggire a morte certa, i ragazzi vengono ibernati dalla loro insegnate umana in capsule criogeniche dopo aver promesso la loro liberazione rapida. Tuttavia, prima che la promessa possa essere mantenuta, trascorrono ben quindici anni. Il risveglio si rivela traumatico, facendoli ritrovare in una base ormai abbandonata da anni, insieme a un consistente gruppo di militari delle forze umane e a un enigmatico salvatore Na’vi di nome So’lek. Non ci accontenteremo però di sfuggire al nemico: la nostra missione sarà salvare il popolo Na’vi dall’invasione. L’inizio dell’avventura di questo gioco introduce personaggi e situazioni in modo piuttosto intrigante ma, purtroppo, non sa mantenere alto il livello della trama per tutta la sua durata. La caratterizzazione dei personaggi è poco interessante e ben presto faremo fatica a ricordare ogni singolo strano nome Na’vi. Anche le vicende dei vari personaggi principali e secondari mancano di mordente, scadendo spesso in semplici pretesti per farci fare qualcosa. Frontiers of Pandora è un titolo d’azione con elementi role play e con visione in prima persona. All’interno del gioco, ci ritroveremo immersi in una giungla densa, popolata da una ricca fauna e flora. Dal punto di vista visivo, il lavoro di Ubisoft riesce in modo

eccezionale a trasportarci in un paesaggio alieno, dove ogni elemento si muove organicamente. I nostri primi passi in questo mondo hanno lasciato un’impronta significativa. Durante l’esplorazione, apprezzeremo i meccanismi di attraversamento del mondo, che si riveleranno rapidi e agili. Grazie alla visuale in prima persona, gli spostamenti sembrano parte di un gioco di parkour, grazie alle eccezionali abilità atletiche del nostro Na’vi, ciò che conferisce al gioco un tocco distintivo che lo separa dall’esperienza di impersonare un personaggio umano. Battere i terreni e i cieli di Pandora ci poterà in contatto con diversi nemici umani ma anche animali selvaggi e risorse da raccogliere. Un mondo

Giochi e passatempi Cruciverba Un messaggio per voi dalla redazione di «Azione»! Lo troverete risolvendo il cruciverba e leggendo le lettere evidenziate. (Frase: 6, 4, 1, 5, 1, 6, 7)

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23. Articolo 24. Fiume del Kenya 25. Poker mancato 27. Obblighi, impegni 28. Non durano a lungo VERTICALI 1. Seguono ovunque i loro idoli 2. Ninfa greca della montagna 3. Le iniziali dell’attrice Ranieri 4. Flemmatico 5. Il nome della Campbell 6. Lo esegue la fanfara 11. Uno dei Sette Nani

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ORIZZONTALI 1. Il noto Federico regista 7. Stato del Brasile 8. Sono uguali nel fidanzamento 9. Un avverbio 10. Un anagramma di none 12. Corpuscolo di materia 13. Un indumento 16. Sinonimo di mercaptani in chimica 17. Primo dei numeri 18. Si anima girando un film 20. Fanno rima con ma... 21. Albero tropicale

esplorabile molto vasto che per il primo terzo dell’avventura dovremo percorrere a piedi e che in seguito potremo sorvolare a bordo di un Ikran, un destriero alato particolarmente utile per coprire grandi distanze in breve tempo. Quale che sia la nostra scelta di trasporto però saremo confrontati con il secondo problema legato a questo gioco: è molto bello da vedere ma non offre granché da fare. Nonostante la presenza di missioni principali e secondarie, l’attraversamento e l’esplorazione del mondo sembrano più simili a una passeggiata interattiva, con una grande bellezza visiva ma con poche attività davvero coinvolgenti. Possiamo cacciare, raccogliere risorse, cerare oggetti, acquisire migliora-

menti per abiti e armi e nuove abilità. Il combattimento, che sia con arco e frecce o con armi da fuoco umane, risulta coinvolgente. Le diverse abilità speciali, da sbloccare in specifiche zone della mappa, ampliano notevolmente le nostre capacità attive e passive. Attraverso il semplice sistema di miglioramenti, possiamo potenziare aspetti come la caccia o il combattimento, aumentando il nostro livello, necessario per poter proseguire nella storia principale. Portare a termine compiti secondari, insieme al lavoro su crafting (raccolta e uso di materiali e oggetti) e potenziamenti, diventa essenziale per evitare di rimanere virtualmente bloccati nell’avanzamento del gioco. A complicare ulteriormente le cose, in Frontiers of Pandora è presente un sistema di fame, che costringe il nostro personaggio e il nostro destriero alato a dover costantemente gestire questo aspetto per mantenere la forma ottimale. Avatar: Frontiers of Pandora è un gioco visivamente molto ben riuscito ma che non offre altrettanta sostanza di gioco. Una buona presentazione visiva e delle meccaniche di base solide non bastano a controbilanciare una storia scialba e la scarsa varietà di cose da fare. I fan dei film di James Cameron saranno molto probabilmente soddisfatti ma saranno anche in numero sufficiente a fare di questo gioco un successo commerciale?

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12. Il soccorso del Pascoli 13. Si parla a Smirne 14. Spesso si associa agli altri 15. In italiano e in tedesco 16. Vetrina per preziosi 18. Integri 19. Una discussione con il professore... 21. Poiché in francese 22. Un figlio di Poseidone 23. Un letto a Parigi 24. Pronome personale 26. Iniziali del 40esimo presidente USA

Soluzione della settimana precedente LETTERA A BABBO NATALE – Caro Babbo Natale anche quest’anno ti chiedo un corpo snello e un portafoglio grasso… Resto della frase:… PERCHÉ L’ANNO SCORSO TI SEI CONFUSO P A S T I E R A

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Regolamento per i concorsi a premi pubblicati su «Azione» e sul sito web www.azione.ch I premi, tre carte regalo Migros del valore di 50 franchi, saranno sorteggiati tra i partecipanti che avranno fatto pervenire la soluzione corretta entro il venerdì seguente la pubblicazione del gioco. Partecipazione online: inserire la soluzione del cruciverba o del sudoku nell’apposito formulario pubblicato sulla pagina del sito. Partecipazione postale: la lettera o la cartolina postale che riporti la soluzione, corredata da nome, cognome, indirizzo del partecipante deve essere spedita a «Redazione Azione, Concorsi, C.P. 1055, 6901 Lugano». Non si intratterrà corrispondenza sui concorsi. Le vie legali sono escluse. Non è possibile un pagamento in contanti dei premi. I vincitori saranno avvertiti per iscritto. Partecipazione riservata esclusivamente a lettori che risiedono in Svizzera.


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Un sogno per il 2024 Si chiude senza rimpianti un altro anno caratterizzato da guerre e problemi ambientali irrisolti. Cosa ci riserva il futuro?

Vent’anni di freno all’indebitamento La Svizzera è un’eccezione in un mondo con molti debiti in crescita anche al di là dei vincoli costituzionali

Conviene investire in azioni? Chi intende costituire un patrimonio non può fare a meno delle azioni. Sacha Marienberg, esperto di Banca Migros, ci spiega perché

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Soldati del fronte ucraino in attesa nei pressi di Kiev. (Keystone)

Come finirà la guerra in Ucraina

Prospettive ◆ Analizziamo tre possibili scenari: crolla Mosca, crolla Kiev oppure crollano entrambe. Quale il ruolo degli Usa? Lucio Caracciolo

Quella tra Russia e Ucraina è ormai da un anno la più classica guerra d’attrito. Dunque un conflitto che non può essere risolto con una battaglia decisiva ma con il logoramento dell’avversario. Tre possibili esiti: crolla la Russia, crolla l’Ucraina, crollano entrambe. Fino a questa primavera noi occidentali, almeno nella comunicazione ufficiale, ritenevamo possibile la prima ipotesi. In particolare i «falchi» della Casa Bianca puntavano sul collasso del regime russo. Ma la storia russa insegna che quando a Mosca (o prima San Pietroburgo) crolla il regime, crolla anche lo Stato. Di qui anche i progetti abbastanza fantasiosi di spartizione della Federazione Russa, tra cui quelli del capo dell’intelligence militare ucraina, Budanov, che spiccavano per ottimismo. Due mesi fa lo stesso Budanov ha ritenuto di dover precisare che la guerra «non finirà con una parata militare ucraina sulla Piazza Rossa». Probabilmente una battuta. Perché in caso contrario toccherebbe credere che il capo dei servizi di Kiev viveva in un mondo tutto suo e si è svegliato un poco tardivamente. Oltre

alla resistenza ucraina sostenuta da Usa, europei e altri occidentali, specie asiatici (Corea del sud in testa), al successo avrebbero dovuto contribuire anche le sanzioni sempre più severe imposte alla Russia – interessante che la Svizzera abbia seguito tutti i pacchetti sanzionatori Ue, neanche ne fosse Stato membro. Ma pensare di battere con lo strumento delle sanzioni uno dei pochi Paesi economicamente autosufficienti del pianeta era idea sbagliata in sé. All’abilità russa di rovesciare l’effetto di questo strumento su chi pensava di usarne si deve poi buona parte del sentimento di stanchezza per la guerra diffuso in America e in Europa.

Affrontare una guerra d’attrito in stato di totale dipendenza da aiuti esteri significa tentare l’avventura Quanto alla seconda ipotesi, il crollo ucraino, appare oggi molto più realistica. Affrontare una guerra d’attrito in stato di totale dipendenza da aiu-

ti esteri significa tentare l’avventura. Le cifre parlano chiaro. Sotto il decisivo aspetto demografico, l’Ucraina indipendente che Zelensky continua a dichiarare di voler ripristinare nei suoi confini originari, ereditati dall’Urss, aveva alla nascita (1991) 51 milioni di abitanti, oggi secondo le istituzioni ucraine ufficiali ne ha 28-29. Moltissimi i rifugiati all’estero, che difficilmente rientreranno prima della fine delle ostilità, se mai vorranno tornare in un Paese largamente devastato dall’invasore russo. Questo significa fra l’altro una scarsità di uomini e donne da mandare al fronte, tanto che in diverse città la polizia opera retate per fermare gli apparenti renitenti e spedirli a combattere il nemico. L’aspetto militare è ancora meno incoraggiante. Anzitutto, c’è uno scollamento quasi totale fra leadership politica e vertici delle forze armate. In particolare fra il presidente Zelensky e il comandante in capo militare, generale Zaluzhny. La sconsiderata controffensiva di primavera di fatto non è mai partita. Di norma avrebbe dovuto prevedere, fra

l’altro, un rapporto di forze di tre a uno in favore dell’attaccante. Di fatto era l’inverso. Nei molti mesi di preannuncio della controffensiva i russi hanno avuto modo di blindare i territori conquistati dietro quattro linee difensive e campi minati a perdita d’occhio.

L’America non può ammettere di aver perso la guerra indiretta contro la Russia. Torna di moda la proposta «coreana» Infine l’aspetto economico-finanziario. Kiev ha ottenuto armi e munizioni per un volume pari a circa 30 volte il suo Pil. Si tratta in gran parte di prestiti da restituire, almeno in teoria. Non è bastato sotto il profilo militare. È invece bastato per accentuare il gravosissimo deficit delle casse pubbliche. A tenerle in piedi finanziamenti a piè di lista europei, americani e di organizzazioni internazionali a dominanza occidentale. Non dureranno in eterno. Sicché oggi a Kiev si teme che la situazione

possa precipitare, viste anche le rivalità fra leader politici locali e altri oligarchi, che minano l’autorità fino a ieri indiscussa di Zelensky. La terza ipotesi, se sono corrette le osservazioni relative alle prime due, è fuori discussione salvo sorprese clamorose. E qui interviene la decisiva dimensione internazionale della guerra. L’America non può ammettere di aver perso la guerra indiretta contro la Russia. Ciò comporterà o un intervento diretto (impensabile a oggi) o una magia comunicativa che trasformi la sconfitta in vittoria o almeno in sopportabile pareggio. Torna quindi di moda la proposta «coreana»: sospensione del conflitto a tempo indeterminato, linea di divisione con cuscinetto intermedio lungo le trincee scavate dai soldati sui due lati del fronte. Rinvio della soluzione a tempo indeterminato. Molti pensano che per arrivare a tanto servirà attendere l’esito del voto presidenziale americano. In parole povere, un altro abbondante anno di massacri, a questo punto davvero inutili. Sempre che non siano i russi sfondare il fronte.


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ATTUALITÀ

Un sogno per il 2024: la tregua olimpica

Bilanci ◆ Si chiude senza rimpianti un altro anno caratterizzato da guerre e problemi ambientali irrisolti Cosa ci riserva il futuro? Alfredo Venturi

Nessuno si era fatto troppe illusioni, chiudendo un anno fa il 2022 che aveva visto esplodere il sanguinoso conflitto ucraino e salutando questo 2023 che a sua volta ci lascia consegnandoci un bilancio ancora più amaro. Si pensava che toccasse all’anno nuovo, che aveva accolto un’eredità pesantissima, provare a chiudere i conti con un passato recente quanto crudele. Non sarebbe stato possibile immaginare che non solo questa guerra in piena Europa avrebbe continuato a imperversare, persino crescendo d’intensità, ma addirittura che un’altra guerra non meno cruenta avrebbe investito un angolo nevralgico del Medio Oriente. Innescato da un brutale attacco terroristico, il nuovo conflitto ha visto scatenarsi un altrettanto brutale spirito di vendetta. E così la guerra, esattamente come in Ucraina, ha colpito ben oltre i bersagli militari accanendosi contro i civili. L’anno si conclude dunque, una volta ancora, senza lasciare rimpianti. Nemmeno c’è stato quel colpo di coda che gli ottimisti a tutti i costi chiedevano alla comunità internazionale a proposito della sfida ambientalista. Non solo: la conferenza delle parti che si è celebrata a Dubai ha visto prevalere la voce di chi confida ancora nel petrolio come motore dello sviluppo. Non a caso il dibattito si è svolto in una delle aree di maggior produzione petrolifera. Alla fine si è raggiunto un risultato significativo ma insufficiente rispetto alle drammatiche urgenze che premono: un impegno a risanare l’ambiente slittato fino al 2050. Qualcosa di simile a quanto accadde nel 2013, quando toccò alla Polonia, che produce, consuma ed esporta carbone, l’altro combustibile fossile da tempo sul banco degli imputati, il compito di ospitare la conferenza annuale sul cambiamento climatico.

Il rischio nucleare Dunque il 2024 che varca la soglia di questo capodanno nasce con molti peccati originali, che hanno il loro simbolo eloquente nel nostro povero pianeta minacciato due volte. Da una parte un rischio potenziale, il possibile allargamento al nucleare dell’uso già devastante che si fa delle armi più sofisticate della storia, dall’altra ben più che un rischio, una realtà piuttosto: un deterioramento ecologico che come dimostrano i limiti della diplomazia ambientalista rischia ormai di sfuggire a ogni controllo. Ci vuole un ottimismo inossidabile per credere alla possibilità che le misure fin qui adottate possano davvero invertire la tendenza e assicurare la svolta decisiva invocata da chi si ostina a difendere l’ambiente. Per capire l’urgenza di questa svolta basta pensare all’innalzamento delle acque marine, all’angoscia degli abitanti di quegli Stati insulari che ogni giorno scrutano il

Sede del Comitato olimpico internazionale, Losanna. (Keystone)

fenomeno, consapevoli che prima o poi le loro terre finiranno sommerse dall’oceano.

Consolidamento dei BRICS L’anno nuovo ci mostrerà il progressivo consolidamento di una struttura che ancora si chiama BRICS (Brasile, Russia, India, Cina, Sudafrica) anche se ormai l’acronimo non corrisponde più all’effettiva consistenza del gruppo. Infatti a partire dall’inizio di gennaio 2024 altri cinque Stati (Egitto, Etiopia, Iran, Arabia Saudita, Emirati Arabi Uniti) entreranno a farne parte. Mancherà invece l’Argentina, che era stata ugualmente invitata ma ha scelto una strada diversa eleggendo un presidente conservatore, Javier Milei, risolutamente avverso all’adesione e alla visione anti-occidentale dei BRICS. Mancherà anche l’Algeria, che invece avrebbe voluto entrare ma è stata respinta dopo che l’India ha posto il veto, secondo voci diplomatiche su pressione della Francia desiderosa di contrastare l’attivismo algerino nel Sahel. Altri Paesi potrebbero essere cooptati nel gruppo, che si propone di fronteggiare l’egemonia finanziaria e culturale degli Stati Uniti e il ruolo del dollaro americano nelle transazioni internazionali.

Biden contro Trump Nell’agenda del 2024 spiccano due eventi, l’uno politico e l’altro spor-

tivo. Il primo: le elezioni presidenziali in programma negli Stati Uniti all’inizio di novembre. Toccherà alle due massime formazioni politiche, repubblicani e democratici, il compito di sciogliere attraverso le primarie il nodo delle candidature. Si profila comunque la possibilità, non proprio gradita secondo i sondaggi alla maggioranza dell’opinione pubblica, di un nuovo duello fra i grandi vecchi della politica americana, Donald Trump e Joe Biden, che già sconfisse l’avversario nel 2020. Dominerà l’evento un’atmosfera febbrile, con l’ombra di imbarazzanti procedure a carico di Biden e Trump, il primo minacciato di impeachment per il conflitto d’interessi legato ai disinvolti affari di famiglia, il secondo indagato per ripetute violazioni di legge connesse con il voto del 2020. Grava anche sulla vigilia elettorale il sospetto di pesanti ingerenze straniere, attuate con l’arma informatica, che potrebbero influire su un risultato atteso con ansia nel mondo intero.

I Giochi di Parigi L’altro evento che riempirà le cronache del nuovo anno è la trentatreesima olimpiade in programma a Parigi la prossima estate. È la terza volta, dopo i precedenti del 1900 e del 1924, che i Giochi vengono ospitati nella capitale francese. Il presidente Emmanuel Macron e il suo Governo puntano su questa spettacolare sfida sportiva sia per proporre un’im-

magine di capacità organizzativa, sia per rasserenare un’atmosfera internazionale turbata da troppe circostanze avverse. Eppure già ora l’attualità bellica che tiene il mondo con il fiato sospeso getta le sue ombre sulla festa olimpica. Infatti c’è chi vorrebbe aggirare l’ostacolo rappresentato dall’esclusione degli atleti russi per via delle sanzioni facendoli gareggiare senza che esibiscano la loro bandiera. Ma in questo caso, se Mosca dovesse accettare una simile condizione, i responsabili sportivi dell’Ucraina hanno fatto sapere che negherebbero la loro partecipazione.

Sospendere i conflitti Nell’antichità il fuoco olimpico aveva il potere di sospendere i conflitti che così spesso vedevano l’una contro l’altra armate le rissose città-stato della Grecia. Oggi persino questo ci è negato, non esiste più qualcosa di simile alla tregua olimpica, il grande evento sportivo non è più in grado di far tacere le armi e deve fare i conti con la fatale assurdità della guerra. Eppure, se è lecito sognare, lasciateci immaginare che la questione in qualche modo si possa risolvere, che nell’estate parigina russi e ucraini possano trasferire la loro sfida dal campo di battaglia ai campi di gara. Siamo purtroppo sul terreno dell’utopia ma certamente sarebbe un bel salvataggio d’immagine, per questo 2024 chiamato a smentire le inquietanti aspettative che ne accompagnano i primi passi.

Fra i Libri di Paolo A. Dossena

Noam Chomsky e Ilan Pappé, Ultima fermata Gaza. La guerra senza fine tra Israele e Palestina, Ponte alle Grazie, ottobre 2023. «Stiamo lanciando la Nakba di Gaza». Così ha dichiarato in una recente intervista il ministro israeliano Avi Dichter. Ma cosa vuol dire Nakba? Lo si scopre leggendo la seconda edizione del libro del linguista americano Noam Chomsky (che da sempre segue la vicenda arabo-israeliana) e dello storico israeliano Ilan Pappé. Nakba in arabo vuol dire «catastrofe», indicando l’esproprio di massa e l’esodo forzato di 700’000 palestinesi dai territori occupati da Israele nel 1948. Questo concetto è il punto di partenza del libro, dove si legge: «Capire la Nakba è fondamentale per capire la storia di Palestina e Israele». I vari capitoli ruotano quindi intorno a questo paradigma, la «catastrofe» degli arabi dal 1948 a oggi (passando attraverso l’Operazione piombo fuso su Gaza e l’attacco militare israeliano contro la disarmata Flottiglia della libertà, che il 31 maggio 2010 stava portando aiuti umanitari alla Striscia). Il libro non è strutturato come un normale saggio storico, si presenta come una raccolta di interventi (a volte sotto forma di intervista) scritti nel corso dei decenni ma aggiornati, rivisti e corretti per questa nuova edizione e integrati tra loro dal curatore dell’opera, il francese Frank Barat. Lo spirito dell’opera è divulgativo e giornalistico. Perché questa scelta? Si voleva arrivare a un pubblico più vasto, spiega Barat, formare «uno strumento per informare e istruire il pubblico. Sono sinceramente convinto che quanto accade in Palestina non sarebbe durato così tanto se l’opinione pubblica fosse adeguatamente informata». Il quadro della vicenda israelo-palestinese è inserito in una vasta cornice, che prende in considerazione tutti gli attori di questo dramma. Particolare attenzione è riservata – in un intervento di Pappé – al coinvolgimento statunitense. L’opinione dello storico israeliano è condivisa da Chomsky quando scrive: l’America sostiene «la democrazia solo e soltanto se si conforma agli interessi strategici ed economici statunitensi». Quindi i personaggi più tossici sono in America e si raccolgono intorno alla Lega antidiffamazione e ad «altri apologeti di crimini» come l’avvocato Alan Dershowitz, autore di «un’assurda accozzaglia di montature e falsità». La proposta del libro non è la consueta formula «due popoli due Stati». Pappé propone la formazione di uno Stato unico per arabi ed ebrei. Secondo Chomsky questo dovrebbe essere «binazionale, tale da riconoscere che quel territorio comprende due società piuttosto distinte». Forse questa idea è il punto più interessante del libro, perché sia che Israele sia dentro (fino al 2005) o fuori da Gaza (come oggi e nel 2008-2009) la situazione di conflitto permanente non cambia. Per lo stesso motivo si potrebbe però dire che questo è anche il punto debole di questo studio, dato che entrambi i fronti si sono estremizzati fino al punto di non ritorno: la Nakba di Gaza.

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Vent’anni di freno all’indebitamento

Svizzera ◆ Il nostro Paese è un’eccezione in un mondo con molti debiti in crescita anche al di là dei vincoli costituzionali Sentenza storica in Germania per quanto concerne la gestione finanziaria dello Stato Ignazio Bonoli

Scriviamo queste considerazioni mentre in molti Paesi si stanno mettendo a punto, nei vari Parlamenti, le stesure finali dei preventivi 2024. Dalle nostre parti si stanno vivendo sia a livello nazionale, sia a livello cantonale e comunale. Quella che in Italia viene definita «la manovra» si rivela quest’anno particolarmente difficile. Si teme infatti per il prossimo anno, se non proprio una recessione, per lo meno un ristagno dell’economia. Cioè un momento in cui lo Stato è particolarmente sollecitato da sostegni all’economia e da aiuti alla popolazione più in difficoltà. Situazione condizionata anche dal fatto che la lotta contro la pandemia, sviluppatasi all’inizio di questo decennio, ha provocato forti aumenti del debito pubblico a più livelli.

Scopo del freno all’indebitamento è quello del pareggio del bilancio corrente. Quindi lungo l’arco di un ciclo congiunturale le uscite non devono superare le entrate. (Keystone)

Le regole europee vorrebbero che l’indebitamento di ogni singolo Paese non superasse il 60% del Pil A Bruxelles i maggiori Paesi europei hanno concordato la possibilità di sospendere le direttive per il contenimento del debito per tre anni, in modo da far fronte alle necessità di sostegno di cui si diceva. Si ricorderà che sostanzialmente le regole europee vorrebbero che l’indebitamento globale di ogni singolo Paese non superasse il 60% del Prodotto interno lordo (Pil) e che l’aumento annuale del debito non superasse il 3% del Pil nominale. In realtà, fra i Paesi europei maggiori, Italia, Francia e Spagna sono già ora sopra il 100%. Al di fuori dell’Europa, Giappone (250%), Gran Bretagna e gli stessi Stati Uniti sono già sopra questo limite. La Svizzera potrebbe essere uno dei Paesi europei che si attengono alle regole. Anche da noi non mancano però le preoccupazioni per aumenti eccessivi delle spese, non compensate da adeguate entrate. Ma un’importante novità in questo campo viene segnalata in Germania. La Corte costituzionale federale tedesca ha emanato una sentenza storica per quanto concerne la gestione finanziaria dello Stato. Ha infatti decretato che i crediti supplemen-

tari chiesti dal Governo in aggiunta a quelli votati per il preventivo 2021 (tra l’altro ottenuti solo il 27 gennaio 2022) non erano conformi alla Costituzione federale, essenzialmente perché non utilizzati per l’anno in cui sono stati decisi, tra l’altro richiesti con motivi insufficienti per giustificare una situazione eccezionale. La sentenza potrebbe quindi creare un precedente in caso di scostamento dal principio del pareggio dei conti annuale. Senza inoltrarsi oltre su questioni giuridiche, ricordiamo che la Germania dispone anche di un «freno alla spesa» sul tipo di quello svizzero che chiede un pareggio del bilancio annuale, salvo eccezioni temporanee, poi recuperabili più tardi. Anche la Svizzera si è dotata, vent’anni fa, del freno all’indebitamento. Il messaggio del Consiglio federale che chiedeva una modifica della Costituzione è stato accettato dall’Assemblea federale il 22 giugno 2001 ed è stato accettato in votazione popolare il 2 dicembre dello stesso

anno. L’applicazione delle regole che comporta è avvenuta con i preventivi del 2003. Scopo del freno all’indebitamento è quello del pareggio del bilancio corrente. Quindi lungo l’arco di un ciclo congiunturale le uscite non devono superare le entrate. Bisognerà quindi negli anni positivi realizzare utili in modo da finanziare maggiori spese negli anni negativi. Si definisce dunque un limite massimo per le spese e si attribuiscono eventuali scarti a un conto di compensazione. Se questo saldo è negativo si dovranno colmare le differenze negli anni a seguire. Anche le spese straordinarie sono soggette al freno e eventuali maggiori uscite devono essere ammortizzate tramite la gestione ordinaria. Il freno all’indebitamento ha dato buoni risultati. I debiti della Confederazione sono scesi da 124 miliardi di franchi nel 2003 a 97 miliardi nel 2019, cioè con un calo del 10% e una proporzione del 15% rispetto al Pil. Le spese eccezionali dovute alla pan-

demia sono state di circa 20 miliardi ma senza il freno sarebbero potute salire a 400 miliardi, secondo alcune stime. Ciò è avvenuto grazie all’applicazione del semplice meccanismo del rapporto fra entrate e uscite, accompagnato da un sistema di sanzioni che prevede tra l’altro l’uso di eccedenze per ridurre i debiti precedenti. Il freno ha avuto un’accettazione eccezionale (85% dei votanti) presso la popolazione, acquisendo quindi anche una precisa autorità politica.

I debiti della Confederazione sono scesi da 124 miliardi di franchi nel 2003 a 97 miliardi nel 2019 Il meccanismo permette una buona flessibilità nelle spese in casi particolari (per esempio la pandemia), spese che dovranno essere recuperate. Anche in questo caso non si è però rallentato il ritmo degli investimenti, né

quello per le spese sociali o per l’istruzione. Grandi investimenti vengono finanziati tramite fondi speciali. Le sole spese diminuite rispetto al Pil sono però quelle per la difesa. Quest’ultima tendenza potrebbe modificarsi alla luce degli eventi in Ucraina e in Medio Oriente. Ma i tempi sono cambiati e anche il freno all’indebitamento ne dovrà tener conto, per esempio in campo sociale o nella formazione. I mezzi a disposizione non saranno più quelli del ventennio trascorso, ma proprio il freno all’indebitamento sarà in grado di dare indirizzi precisi. Del resto, in questi tempi che si annunciano difficili la Svizzera si trova ancora in una situazione privilegiata rispetto a Paesi – oltre quelli già citati – che mostrano un debito pubblico in crescita, rispetto al Pil, del 123% (USA), o del 104% (Gran Bretagna). Sono dati del Fondo monetario internazionale, il quale indica che sono pochi i Paesi che, dal 2003, hanno potuto ridurre il proprio indebitamento. Annuncio pubblicitario

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Il contrabbandiere di libri proibiti

Storie tra Ticino e Italia ◆ Nell’Ottocento dalla Tipografia Elvetica sul Ceresio partivano clandestinamente i testi che infiammavano gli Carlo Silini

PROTEZIONE SOLARE IN INVERNO

In estate ricorrere alla crema solare è un’ovvietà per molte persone, mentre nei mesi freddi si tende a tralasciare Nell’Ottocento Capolago era come la protezione UV. Anche in questo caso, WikiLeaks, il sito fondato da Julian Assange per diffondereèdocumenti importante proteggere la pelle dagli segreti e imbarazzanti per i potenti del mondo. In un edificioeffetti bianco nocivi del sole, soprattutto affacciato sul lago, accanto al quale oggi sfrecciano – ignari della sua con la neve, che riflette fino al 90% stupefacente storia – i convogli del TILO, venivano dati alle stampe dei raggi solari. gli scritti proibiti dei «patrioti» itaRitratto ottocentesco di Luigi Dottesio di bottega lombarda conservato nei Musei Civici di Como.

liani (prima che l’Italia esistesse), suscitando la ferocia degli austriaci, a quei tempi padroni della Lombardia. È una storia affascinante e molto ben documentata: quella della Tipografia Elvetica, fondata nel 1830, fucina di penne e menti brillanti, all’inizio neppure d’accordo fra di loro, ma accomunate dal coraggio delle idee e dalla passione civile, un «lusso» che a quei tempi poteva anche costarti la vita.

Luigi Dottesio attraversava clandestinamente il confine tra Mendrisiotto e Lombardia per diffondere il verbo dell’unità d’Italia, ma alla fine venne catturato e ucciso Sottovalutazione

delle radiazioni UV

Fra i ribelli dell’Elvetica c’era anche il comasco Luigi Dottesio, l’AssanLa potenza del sole e gli efge dell’epoca appunto, l’uomo che fettiMendridelle radiazioni ultravioattraversava il confine del lette UV) sono siotto per diffondere il credo(radiazioni risorgisottovalutati in invermentale col suo carico spesso di libri proibiti stampati a due passi daAnche Lugano,se uno spesso no. in Ticino, Eden di libertà e rifugio strato di nubi nasconde il sodalla persecuzione. Una passione in- ciò non signile dalla vista, fuocata per la causa politica che si fica che la pelle non venga intrecciava con una contrastata storaggiunta da alcuna radiazioria d’amore che è anche diventata un ne iUV. L’invecchiamento delromanzo che ricostruisce legami la pelle, lerascottature solari e segreti tra una parte e l’altra della La pelle di bambine e bambimina, quando la mercel’incremento clandestina dei melanomi che circolava – però – non erano le sono problemi d’attualità anni è meno protetta dai raggi sigarette né stranieri male cheininarneinverno. La protezione solari rispetto a quella delse arrivati dall’Africa, ma idee, anzi solare è quindi sempre parte le persone adulte, dato che ideali da incidere sul marmo del- del programma di integrante è decisamente più sottile. le lapidi: «…Qui fu l’umile eroica cartolina mostra la figura simbolica della Svizzera e, alle sue spalle, il lavoro della Tipografia Elvetica di Capolago (Archivio della città di Mendrisio, fondo Macconi). cura. Nella vita diUn’antica tutti i giorSoprattutto nei primi anni di Nella pagina accanto, in alto, l’edificio dell’antica stamperia come si presenta oggi. Attualmente il palazzo ospita la Casa d’Arte Miler (foto Azione). stamperia onde il proscritto pensiero si raccomanda una crema vita, i meccanismi naturali in sacro contrabbando ni varcato il consolare con un fattore di prodi autoprotezione non sono fine avvicinava l’Italia ne’ cuori tale di almeno 30 o addiancora completamente svinella Santa parola dalletezione libere terre alle schiave…», si leggerittura sulla base del Berra, vista dall’attuale Italia, la 1853, di quando l’Elvetica è costretre al sito WikiLeaks; trovo dei punti gure sia ticinesi sia italiane, sterza – superiore a seconda luppati. Laalpelle bambine monumento eretto davanti all’edifidi allora, – siamo a emetà i battenti. Per quedi contatto tra Dottesio e la vicenda e assume subito una sua credibilità – del tipo di pelle.Svizzera Per gli sport bambinitahaa chiudere quindi sempre cio dell’ex Tipografia Elvetica. dell’Ottocento – poteva essere sto la vicenda del Dottesio è così di Julian Assange. Incredibilmenpubblicando opere importanti come sulla neve, è indicato il fattobisogno di una protezione Il romanzo in questione si intitoconsiderata la culla della libertà importante. te, il rischio di essere perseguitati Le ultime lettere di Jacopo Ortis di Ugo re di protezione 50. particolare. la Il contrabbandiere di libri, è edito di Stampa? perché si pubblicano testi clandestiFoscolo e di altri autori molto signidalla rediviva Tipografia Helvetica Sì, già nel 1746 era stata aperta la pri- Che cos’era la Tipografia Elvetica ni esiste ancora. Alla Tipografia Elficativi. Entra nei libri di storia nel e l’ha scritto il giornalista e scrittore ma tipografia, la Agnelli in piazin quegli anni? vetica vengono attribuiti 493 volumi 1847, quando Alessandro Repetti, un comasco Pietro Berra, che abbiamo za a Lugano. Da allora la libertà di Immaginando questa realtà nei giorpubblicati. Quasi 500 titoli. Era nata genovese viene a Como per trattare intervistato. stampa si protrae per 107 anni, fino ni nostri, forse poteva corrispondenel 1830 con Carlo Massa e altre fil’eredità del padre e – pare proprio su

Proteggere bene la pelle di bambine e bambini


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Signor Marienberg, attualmente converrebbe investire in azioni?

L’intervista ◆ Anche se l’anno borsistico svizzero 2023 non è stato entusiasmante, chi intende costituire un patrimonio non può comunque fare a meno delle azioni. Sacha Marienberg, responsabile dell’Investment Office della Banca Migros, ce ne spiega i motivi. Jörg Marquardt

Sacha Marienberg, il 2023 non è certo stato un anno felice per gli investitori. Ultimamente l’indice azionario svizzero SMI non ha praticamente superato il livello dell’anno di crisi 2022. Come mai? La debole performance borsistica è dovuta soprattutto a fattori straordinari. Al momento lo SMI risente della flessione dei titoli di Nestlé e Roche. Senza questi, tuttavia, l’indice sarebbe in territorio nettamente positivo. In generale, per i mercati azionari globali l’anno non è stato negativo.

La borsa di Zurigo. (Keystone)

«Riteniamo che nella seconda metà dell’anno vi saranno le prime riduzioni dei tassi di riferimento»

Anche nel caso degli interessi ipotecari? Sì, partiamo dal presupposto che i tassi ipotecari abbiano raggiunto il livello massimo e che l’anno prossimo scenderanno ulteriormente, il che dovrebbe rendere di nuovo più conveniente il finanziamento dell’abitazione di proprietà.

Dunque non c’è alcun motivo per rinunciare a investire in borsa? No. Se si desidera costituire un patrimonio a lungo termine è indispensabile investire in azioni, ad esempio con un piano di risparmio in fondi.

lato mi vengono in mente società tecnologiche come Nvidia, Microsoft o Google. Il recente boom dell’intelligenza artificiale si svilupperà ulteriormente, quindi i titoli che ho menzionato dovrebbero trarne vantaggio.

Bisogna tenere conto di qualcosa in particolare? Oltre a mettere in conto un orizzonte d’investimento a lungo termine, occorre diversificare il più possibile anziché puntare tutto su un’azienda o un settore. Oltre a questo, consiglio di scaglionare gli investimenti, in modo da compensare meglio le fluttuazioni in borsa. I titoli azionari torneranno a salire nel 2024? Questo dipende soprattutto dalla congiuntura e dall’andamento dei tassi. Al momento riteniamo che nella seconda metà dell’anno vi saranno le prime riduzioni dei tassi di riferimento da parte delle banche centrali, a condizione che per allora sia stata superata l’inflazione globale. Per la Svizzera non prevediamo una recessione, ma comunque una decelerazione della crescita economica. Il quadro dovrebbe però migliorare notevolmente nel corso dell’anno prossimo. Cosa consiglia agli investitori? Consiglio loro di concentrarsi sui titoli di qualità, cioè su azioni di società

la popolazione svizzera dovrà probabilmente far fronte a rincari. È così? Sì, è vero. In quasi tutti i comuni salgono i premi della cassa malati, l’imposta sul valore aggiunto e i prezzi dell’elettricità. Inoltre, dato che a inizio dicembre il tasso di riferimento è stato aumentato per la seconda volta, stavolta dall’1,5% all’1,75%, ad aprile bisogna aspettarsi un ulteriore aumento dei prezzi degli affitti. Questo dovrebbe però essere il picco, almeno per il momento.

Sacha Marienberg, responsabile Investment Office della Banca Migros.

con un modello operativo solido e un basso indebitamento, aziende che vantano buoni ricavi indipendentemente dalla congiuntura. Quali, ad esempio? Da un lato penso alle grandi aziende farmaceutiche come Roche, il cui settore è considerato resistente alla congiuntura ed è uno dei principali pilastri dell’economia svizzera. Dall’altro

In che misura i conflitti in Ucraina e in Medio Oriente influenzeranno i mercati finanziari nel corso del prossimo anno? L’esperienza insegna che i conflitti regionali non hanno un impatto duraturo sul mercato azionario. C’è sempre la possibilità di crolli a breve termine, come è stato all’inizio dell’aggressione russa contro l’Ucraina, ma poi le borse si riprendono in modo relativamente rapido. Che genere di investimenti è particolarmente allettante nell’attuale contesto? Le azioni restano l’elemento più importante se l’obiettivo è quello di accrescere il patrimonio. Per ampliare il proprio portafoglio d’investimento, poi, sono consigliabili anche le obbligazioni, ma solo a titolo complementare perché non sono un’alternativa alle azioni, anche se l’anno prossimo

le obbligazioni dovrebbero beneficiare di tassi d’interesse più bassi. E che mi dice dell’oro? In un contesto di mercato fluttuante l’oro può aiutare a bilanciare i rischi del portafoglio a breve termine, ma nel lungo termine non possiede una qualità strategica poiché non genera proventi. I depositi vincolati con tassi d’interesse più elevati continuano a incentivare il risparmio più che in passato: convengono davvero? Assolutamente sì, perché consentono di investire in sicurezza e talvolta hanno anche rendimenti allettanti. Purtroppo molti parcheggiano il loro denaro sul conto salario, che praticamente non frutta interessi. Consiglio quindi ai clienti bancari di trasferire i loro risparmi in conti di risparmio o depositi vincolati. Se si intende accumulare un patrimonio, tuttavia, i depositi vincolati andrebbero integrati con azioni. Rispetto ai Paesi vicini, la Svizzera ha risentito molto meno dell’inflazione, ciononostante nel 2024

Può farci un esempio? All’inizio dell’anno i costi di un’ipoteca a dieci anni superavano ancora il 3% mentre attualmente si attestano intorno al 2,5%. In previsione dell’abbassamento dei tassi di riferimento, i costi di un’ipoteca a dieci anni dovrebbero spostarsi verso il 2%. In questo contesto di mercato è preferibile l’ipoteca fissa o l’ipoteca Saron? Dipende dal grado di rischio che si intende correre. L’ipoteca fissa è la più conveniente per chi punta alla pianificazione finanziaria. Chi per contro è in grado di sopportare incertezze sul mercato dei tassi d’interesse, dispone di sufficienti riserve finanziarie e si attende un calo dei tassi, può optare per un’ipoteca del mercato monetario come la variante Saron. In base alla sua esperienza, esiste un detto di borsa rivelatosi sempre efficace nel corso degli anni? Quanto più elevata è la quota azionaria nel portafoglio, tanto più alto è il rendimento a lungo termine. Il mercato ricompensa chi si assume i rischi di fluttuazioni più importanti, ferma restando l’accortezza di distribuire ampiamente gli investimenti. Annuncio pubblicitario


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CULTURA ●

Capolago come WikiLeaks Storia del contrabbandiere di libri che nell’Ottocento con i suoi testi clandestini a favore degli ideali risorgimentali italiani sfidava i potenti da Capolago

Dove sta andando la musica? Il successo planetario di Taylor Swift, il ritorno dei Beatles con l’IA, il nuovo album dei Rolling Stones, il concerto degli U2 a Las Vegas: quale musica ci aspetta?

Pagine 34-35

Pagina 37 ◆

Arnaldo Cipolla redattore viaggiante

Feuilleton ◆ Giornalista e scrittore fu inviato speciale del «Corriere della Sera» all’inizio del secolo scorso Roberto Festorazzi

Nell’epoca delle fake-news, parrebbe quasi un affronto occuparsi di un monumento del giornalismo di tutti i tempi, quale fu colui che venne ribattezzato il «Kipling italiano». Ci stiamo riferendo ad Arnaldo Cipolla, campione di quella categoria di «redattori viaggianti» – come si chiamavano gli inviati e i corrispondenti di guerra nella prima parte del secolo scorso –, che incantò milioni di lettori. Nei primi decenni del Novecento, costoro ci hanno raccontato il villaggio globale, forse con qualche fronzolo e con qualche artifizio retorico di troppo, ma con una penna capace di stupire e di lasciare ammirati.

Due copertine dei libri di viaggio di Arnaldo Cipolla. A sinistra: La vita meravigliosa pubblicato postumo nel 1949, a destra: Per la Siberia, in Cina, Corea e Giappone pubblicato nel 1928.

Esploratore, scrittore, autore di decine di libri di viaggi, Cipolla nacque a Como, nel 1877, figlio di un garibaldino, Antonio, e di Giulia Bracciforte Si chiamassero Luigi Barzini, o Vittorio Beonio-Brocchieri, Indro Montanelli, Curzio Malaparte o Dino Buzzati, questi narratori di terre lontane, questi affabulatori qualcosa in comune tra di loro ce l’avevano: la sete di avventura, il mal d’Africa o degli altri Continenti lontani, la febbrile ricerca della sfumatura esatta nel rievocare una sensazione colta. Insomma, auscultare il palpito sfuggente e segreto della madre terra. Esploratore, scrittore, autore di decine di libri di viaggi, Cipolla nacque a Como, nel 1877, figlio di un garibaldino, Antonio, e di Giulia Bracciforte. Assunto dal «Corriere della Sera», nel 1907, come corrispondente, assegnato all’Eritrea e all’Africa Orientale, passò successivamente alla «Stampa» di Torino, occupandosi della campagna di Libia del 1911-12. Uomo di inesausta curiosità intellettuale, coltivò e alimentò il genere della letteratura coloniale che gli procurò grande popolarità in Patria. Antesignano del reporter contemporaneo, oltre all’Africa, visitò anche i Paesi del Continente americano, focalizzando l’attenzione sul Medio Oriente, l’Asia Minore e l’India, ma giungendo fino alla Cina e al Giappone. Intervistò Gandhi, al quale donò un suo libro, e il celebre ritrattista inglese William Orpen lo immortalò, in un dipinto, realizzato sul fronte britannico, durante la Prima guerra mondiale, nel 1918. Nel suo ultimo libro, Sino al limite segreto del mondo, pubblicato nel 1937 (nel 1949, uscì, postuma, la sua autobiografia), Cipolla colse come la via del petrolio fosse l’epicentro dei

conflitti del mondo contemporaneo. Suonò l’olifante del suo aulico romanticismo, schierandosi dalla parte degli oppressi del globo terrestre. Arnaldo Cipolla Bracciforte, che associò sempre al patronimico il riferimento al cognome materno, conservò nel suo archivio privato anche le lettere ricevute da Alberto Albertini quando entrò nei ranghi del Corriere. Questi, capo dei servizi esteri del «Corriere della Sera», era con il mitico fratello Luigi, direttore della testata dal 1900 al 1925, coeditore del

quotidiano milanese. Le missive albertiniane rappresentano una testimonianza del rigore anche amministrativo che guidava l’istruzione del «perfetto redattore» corrierista. I materiali qui presi in esame riguardano il 1909, periodo in cui Cipolla venne incaricato di seguire i sommovimenti della polveriera balcanica. Sono documenti tratti da un fondo archivistico della Biblioteca comunale di Como. L’annessione della Bosnia Erzegovina all’impero asburgico, nel 1908, faceva teme-

re un nuovo, grande conflitto, che poi sarebbe scoppiato, alcuni anni più tardi. Uno degli inediti, che pubblichiamo integralmente a parte in questa stessa pagina, conia le «regole d’ingaggio» di un inviato speciale: non un decalogo, ma un «ottalogo» del bravo giornalista immerso nel terreno geopolitico, che – fatta la tara dell’evoluzione anche tecnologica del giornalismo - mantiene ancor oggi una sua validità. È, questa, l’occasione per accennare anche a cosa fosse il «Corrie-

Le 8 regole auree dell’inviato speciale del «Corriere della sera» dell’era Albertini 18 marzo 1909 Sig. Arnaldo Cipolla PRO-MEMORIA 1. Non muoversi dalla propria residenza se non dietro ordine o previo accordo con la Direzione. Muovendosi dare sempre l’indirizzo preciso, far conoscere il proprio itinerario e il proprio recapito, in modo che la Direzione possa in qualunque momento telegrafare con la sicurezza che il suo dispaccio sarà ricevuto. 2. Non raccogliere notizie vaghe o incontrollabili, o quando si raccolgono mettere in chiaro la loro natura e la fonte cui sono attinte.

3. Nel caso di conflitto non esporsi a rischi inutili. Ricordare la propria qualità che è di corrispondente di giornale e non di belligerante. 4. Non spendere in equipaggiamenti e in provviste somme eccessive, e non sovrabbondare in fotografie. 5. Mantenere le spese nei confini del necessario e dell’utile. Non assoldare aiutanti inutili; insomma, anche dovendo seguire le operazioni di guerra, non dimenticare che un giornale italiano non è un giornale inglese o americano. Non affidare servizi o incarichi ad alcuno senza previo accordo con la direzione.

6. Mantenere il servizio in limiti strettamente proporzionati agli avvenimenti. Se questi sono scarsi o di poca importanza non è affatto necessario telegrafare molto. 7. Per i telegrammi cercare le vie più economiche e non ricorrere a quelle più costose se non dopo accordi, e solo in casi eccezionali. Non telegrafare d’urgenza se non in casi eccezionalissimi. 8. Nel caso nascesse il conflitto e le spese aumentassero in modo da non poter restare nei limiti del forfait stabilito, mandare i conti settimanalmente. Alberto Albertini

re della Sera» nella sua età dell’oro, ossia nel primo quarto del Ventesimo secolo, nel suo duplice ruolo di grande organo di opinione liberale, erede della Destra storica, e di qualificato strumento di informazione. Il quotidiano di via Solferino assolse una delicata funzione nell’orientare la politica estera italiana e garantire i suoi capisaldi, soprattutto nel riferirsi alle grandi potenze democratiche. Sul piano interno, il grande giornale della borghesia milanese era lo specchio, e insieme la guida, dell’establishment liberalconservatore, nel suo antigiolittismo, e nella cauta apertura alle istanze dei nazionalisti più moderati. Con l’avvento del fascismo, il «Corriere della Sera», sulle prime, credette di cogliere in Mussolini il restauratore dell’ordine, contro la marea «rossa». Ma, appena il governo del Duce accennò a picconare i cardini dello Stato liberale, gli Albertini si collocarono all’opposizione, accusando i fascisti di voler instaurare un regime alla maniera del leninismo sovietico. Così i due fratelli editori si videro revocare la gerenza, e il giornale, passato in altre mani, finì per essere «fascistizzato», fin dal 1925. Quanto a Cipolla, morì, di polmonite, nel 1938, quando era imminente la sua nomina a senatore del Regno.


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Il contrabbandiere di libri proibiti

Storie tra Ticino e Italia ◆ Nell’Ottocento dalla Tipografia Elvetica sul Ceresio partivano clandestinamente i testi che infiammavano gli Carlo Silini

PROTEZIONE SOLARE IN INVERNO

In estate ricorrere alla crema solare è un’ovvietà per molte persone, mentre nei mesi freddi si tende a tralasciare Nell’Ottocento Capolago era come la protezione UV. Anche in questo caso, WikiLeaks, il sito fondato da Julian Assange per diffondereèdocumenti importante proteggere la pelle dagli segreti e imbarazzanti per i potenti del mondo. In un edificioeffetti bianco nocivi del sole, soprattutto affacciato sul lago, accanto al quale oggi sfrecciano – ignari della sua con la neve, che riflette fino al 90% stupefacente storia – i convogli del TILO, venivano dati alle stampe dei raggi solari. gli scritti proibiti dei «patrioti» itaRitratto ottocentesco di Luigi Dottesio di bottega lombarda conservato nei Musei Civici di Como.

liani (prima che l’Italia esistesse), suscitando la ferocia degli austriaci, a quei tempi padroni della Lombardia. È una storia affascinante e molto ben documentata: quella della Tipografia Elvetica, fondata nel 1830, fucina di penne e menti brillanti, all’inizio neppure d’accordo fra di loro, ma accomunate dal coraggio delle idee e dalla passione civile, un «lusso» che a quei tempi poteva anche costarti la vita.

Luigi Dottesio attraversava clandestinamente il confine tra Mendrisiotto e Lombardia per diffondere il verbo dell’unità d’Italia, ma alla fine venne catturato e ucciso Sottovalutazione

delle radiazioni UV

Fra i ribelli dell’Elvetica c’era anche il comasco Luigi Dottesio, l’AssanLa potenza del sole e gli efge dell’epoca appunto, l’uomo che fettiMendridelle radiazioni ultravioattraversava il confine del lette UV) sono siotto per diffondere il credo(radiazioni risorgisottovalutati in invermentale col suo carico spesso di libri proibiti stampati a due passi daAnche Lugano,se uno spesso no. in Ticino, Eden di libertà e rifugio strato di nubi nasconde il sodalla persecuzione. Una passione in- ciò non signile dalla vista, fuocata per la causa politica che si fica che la pelle non venga intrecciava con una contrastata storaggiunta da alcuna radiazioria d’amore che è anche diventata un ne iUV. L’invecchiamento delromanzo che ricostruisce legami la pelle, lerascottature solari e segreti tra una parte e l’altra della La pelle di bambine e bambimina, quando la mercel’incremento clandestina dei melanomi che circolava – però – non erano le sono problemi d’attualità anni è meno protetta dai raggi sigarette né stranieri male cheininarneinverno. La protezione solari rispetto a quella delse arrivati dall’Africa, ma idee, anzi solare è quindi sempre parte le persone adulte, dato che ideali da incidere sul marmo del- del programma di integrante è decisamente più sottile. le lapidi: «…Qui fu l’umile eroica cartolina mostra la figura simbolica della Svizzera e, alle sue spalle, il lavoro della Tipografia Elvetica di Capolago (Archivio della città di Mendrisio, fondo Macconi). cura. Nella vita diUn’antica tutti i giorSoprattutto nei primi anni di Nella pagina accanto, in alto, l’edificio dell’antica stamperia come si presenta oggi. Attualmente il palazzo ospita la Casa d’Arte Miler (foto Azione). stamperia onde il proscritto pensiero si raccomanda una crema vita, i meccanismi naturali in sacro contrabbando ni varcato il consolare con un fattore di prodi autoprotezione non sono fine avvicinava l’Italia ne’ cuori tale di almeno 30 o addiancora completamente svinella Santa parola dalletezione libere terre alle schiave…», si leggerittura sulla base del Berra, vista dall’attuale Italia, la 1853, di quando l’Elvetica è costretre al sito WikiLeaks; trovo dei punti gure sia ticinesi sia italiane, sterza – superiore a seconda luppati. Laalpelle bambine monumento eretto davanti all’edifidi allora, – siamo a emetà i battenti. Per quedi contatto tra Dottesio e la vicenda e assume subito una sua credibilità – del tipo di pelle.Svizzera Per gli sport bambinitahaa chiudere quindi sempre cio dell’ex Tipografia Elvetica. dell’Ottocento – poteva essere sto la vicenda del Dottesio è così di Julian Assange. Incredibilmenpubblicando opere importanti come sulla neve, è indicato il fattobisogno di una protezione Il romanzo in questione si intitoconsiderata la culla della libertà importante. te, il rischio di essere perseguitati Le ultime lettere di Jacopo Ortis di Ugo re di protezione 50. particolare. la Il contrabbandiere di libri, è edito di Stampa? perché si pubblicano testi clandestiFoscolo e di altri autori molto signidalla rediviva Tipografia Helvetica Sì, già nel 1746 era stata aperta la pri- Che cos’era la Tipografia Elvetica ni esiste ancora. Alla Tipografia Elficativi. Entra nei libri di storia nel e l’ha scritto il giornalista e scrittore ma tipografia, la Agnelli in piazin quegli anni? vetica vengono attribuiti 493 volumi 1847, quando Alessandro Repetti, un comasco Pietro Berra, che abbiamo za a Lugano. Da allora la libertà di Immaginando questa realtà nei giorpubblicati. Quasi 500 titoli. Era nata genovese viene a Como per trattare intervistato. stampa si protrae per 107 anni, fino ni nostri, forse poteva corrispondenel 1830 con Carlo Massa e altre fil’eredità del padre e – pare proprio su

Proteggere bene la pelle di bambine e bambini


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CULTURA

sfidava i potenti da Capolago

ideali risorgimentali italiani: grazie anche a un eroe dimenticato. Parla lo scrittore Pietro Berra

La targa dedicata a Luigi Dottesio che si trova a Roggiana.

incitamento di Dottesio – scopre la possibilità di acquistare la Tipografia Elvetica. Ci mette le risorse come proprietario unico. E a quel punto le pubblicazioni diventano più coraggiose e, secondo gli austriaci, «rivoluzionarie». In quel periodo entra nella direzione un’altra figura fondamentale: Carlo Cattaneo. Sul piano ticinese quali furono le battaglie dell’Elvetica? Una delle battaglie portate avanti dalla Tipografia riguardava il progetto di far passare il treno sul ponte di Melide, per esempio, progetto che all’epoca fallì. Si interessavano alla riforma della scuola che uno di loro, Cattaneo, realizzerà fondando il liceo cantonale di Lugano. In una delle ascese al monte Generoso di Repetti e Dottesio, i due incontrano Carlo Pasta che stava andando a perlustrare i luoghi dove sognava di creare il suo albergo. Del resto, il padre di Pasta aveva lavorato alla Tipografia Agnelli. Sono passati molti anni da allora. Sì, ma la lezione dell’Elvetica rimane intatta. La grandezza e la lezione per l’oggi della Tipografia è di avere dato voce a tante opinioni diverse che – nel caso specifico – avevano in comune l’idea di riunire l’Italia, di farla diventare un unico Paese. Nel catalogo dell’Elvetica trovi i libri di Gioberti che voleva l’Italia unita ma sotto il Papa e quelli di Massimo d’Azeglio, primo presidente del

Consiglio del Regno di Sardegna, che puntava a sottomettere tutta l’Italia ai Savoia. Vi collabora però anche Mazzini che la voleva repubblicana e Cattaneo che se la immaginava federale, come la Svizzera. Prima di fare il Paese già ci si divideva su come farlo. Cosa rappresentavano la Svizzera e il Ticino per i padri del Risorgimento italiano? Il legame con la Svizzera non è solo per l’ospitalità che i patrioti vi ricevono, ma per la complicità ideale e culturale. Basti pensare alla partecipazione dello stesso Alessandro Repetti alla guerra del Sonderbund e alla frequentazione di Dufour con l’Elvetica. Gli amici svizzeri come Vincenzo Vela e Antonio Arcioni ricambiano, passando il confine nel marzo del 1848: prima per liberare Como e poi, insieme ai comaschi, Milano. C’è un comune sentire spinto da un’idea di libertà e di autodeterminazione dei popoli e dal riconoscersi in una cultura comune. Le due collane più importanti realizzate dall’Elvetica sono quelle dirette da Carlo Cattaneo: L’Archivio triennale delle cose d’Italia (1850-53) e i Documenti della guerra santa d’Italia (184951). La Tipografia disponeva di una serie di corrispondenti che dalla Sicilia (dove l’uomo di riferimento era Francesco Crispi, poi presidente del Consiglio dell’Italia unita) arrivavano fino a Capolago, in una rete incredibile.

Riscoprire la storia lungo i sentieri letterari La storia di Luigi Dottesio, oltre a essere diventata un libro, si presta alla scoperta di luoghi significativi del territorio insubrico. In Italia c’è un percorso pedonale (https://sentierodeisogni.it/ project/lake-como-poetry-way/), ideato da Pietro Berra e curato dall'associazione Sentiero dei Sogni, che arriva proprio fino a Roggiana, al valico tra Vacallo e Maslianico, dove l’eroe del Risorgimento venne arrestato. È l’inizio di un itinerario di 16 chilometri che passa da Cernobbio, da Como e da Brunate. «Sarebbe bello – commenta Pietro Berra – se il sentiero proseguisse oltre la frontiera fino a Capolago. Il percorso pedonale letterario è scandito dalle casette per lo scambio dei libri. Si tratta di strutture interattive con il QR code che propongono mappe digitali e informazioni con audioguide. Ogni casetta è legata alla figura di un autore, partendo appunto da Dottesio e altre

personalità che hanno vissuto nelle nostre zone». Secondo Berra si potrebbe pensare di mettere «altre 5 o 6 casette come pietre miliari tra la frontiera italiana e Capolago. Sono iniziative che godono di una certa visibilità: nel 2019 è uscito il libro Storia del mondo in 500 camminate d’autore. Parla di itinerari letterari a livello mondiale e ha dedicato due pagine a questo percorso». Come nota ancora Pietro Berra, «sul sito dell’Accademia di architettura di Mendrisio (https://www.arc.usi.ch/it/ feeds/10567) si trova un percorso creato da Gianni Biondillo coi suoi studenti che va dall’Accademia di Mendrisio fino a Como, cercando di ritrovare l’identità di luoghi che nel tempo si sono spersonalizzati, sia per cambiamenti architettonici che paesaggistici. Legarli alla storia del Contrabbandiere di libri, sarebbe un modo interessante per ritrovare l’anima di quei luoghi».

Tra amore, coraggio e morte

Il personaggio ◆ Fu arrestato a Vacallo mentre preparava le proprie nozze

Pietro Berra, come descrive Dottesio nel romanzo? Dottesio è figlio di operai tessili. Basterebbe questo a tappare la bocca di chi sostiene, come è accaduto nei mesi scorsi, che il Risorgimento è stato fatto da quattro ricchi che non avevano niente da fare. Aveva interrotto la scuola alla quarta elementare per andare a lavorare. I pochi libri che ha fatto in tempo a intercettare nei primi anni di scolarizzazione lo avevano appassionato. Si iscriverà ai corsi serali che si tenevano all’attuale liceo Volta di Como dimostrando un’enorme generosità verso la collettività. Il momento di passaggio è nel 1836, quando mette a repentaglio la propria vita per assistere da volontario i malati colpiti da un’epidemia di colera. Sappiamo che un ufficiale austriaco dell’epoca aveva scritto una lettera in cui chiedeva che sua figlia, malata di colera, venisse assistita proprio dal Dottesio che era il più serio e affidabile di tutti. Un merito che non gli servirà quando verrà poi portato a processo.

Il tentativo di sposarla sarà poi una trappola, per lui. Vero. Serviva un prete disposto a sposarli, cosa tutt’altro che facile perché allora il Canton Ticino era sotto la diocesi di Como e il vescovo di Como era vicino agli austriaci. Si dice, inoltre, che Dottesio avesse scritto un libro proprio contro di lui, quindi nessun prete era disposto a sposarli. Poi succede che in quel fatidico 12 gennaio 1851, quando Dottesio si reca un’ultima volta a Capolago, lo fa perché l’allora direttore della tipografia, Gino Daelli, gli aveva fatto capire di avere trovato un prete disposto a sposarli, un sacerdote di Campione d’Italia. Luigi Dottesio si reca in Svizzera attraverso il Bisbino, seguendo i sentieri dei contrabbandieri. Giuseppina, alla quale era stato ritirato il lasciapassare, aveva tentato di entrare in Svizzera grazie alla carrozza di un amico super ricco, Zanchi, ma era stata respinta in frontiera. I due si erano dati appuntamento a Mendrisio, dove però arriva solo Zanchi che spiega a Dottesio l’accaduto.

Ed è lì che conosce l’amore della sua vita. Esatto, Giuseppina Bonizzoni, di una classe sociale più alta, ricca, che viveva nel centro storico di Como. Aveva cinque anni più di lui, era moglie di un farmacista e si prodigava anche lei per i malati di colera. Si innamoreranno e si dichiareranno però solo dieci anni dopo, nel 1846, quando lei era ancora sposata e madre di sei figli. Per un anno e mezzo è un amore clandestino. Poi, a gennaio del 1848, il marito di lei muore d’infarto e i due si possono finalmente frequentare, anche se con molte resistenze da parte della famiglia di lei. I parenti la manderanno a Morbegno, in Valtellina, per tenerla lontana dal Dottesio e non farli convolare a nozze.

Com’è finita? A quel punto Dottesio va in grande agitazione. Temendo una perquisizione a casa di Giuseppina (che partecipava al trasporto di libri proibiti) fa di tutto per recarsi da lei. Non sente ragioni e torna verso Como, portando con sé un malloppo che gli aveva dato il direttore dell’Elvetica, passando dal valico di Roggiana (non c’era ancora quello di Pizzamiglio) dove di solito a vigilare c’erano i finanzieri del posto. Ma quel giorno, purtroppo per lui, ci sono anche due guardie della polizia austriaca. Sono loro ad arrestarlo. Un terzo che si trovava in un’osteria di Vacallo lo vede mentre getta il malloppo in uno scoscendimento e va a recuperarlo. Quei documenti gli saranno fatali il giorno del processo, perché attestano

che esisteva una rete di librai che diffondevano testi proibiti. Tragica la fine a Venezia. Sì, a Venezia gli fanno un processo molto irregolare in cui il PM, pagato dagli austriaci, faceva anche il suo «difensore». A Dottesio non era chiaro che la valutazione del suo reato era stata spostata dal codice civile a quello militare. Forse anche per questo aveva rifiutato una via di fuga che gli aveva creato Giuseppina Bonizzoni corrompendo un muratore, quando ancora si trovava nel carcere di Como. Erano fuori dal carcere ad aspettarlo in carrozza e avevano creato un varco per farlo scappare. Ma lui resta lì, pensando che al massimo gli avrebbero inflitto un anno di carcere, mentre se l’avessero sorpreso a fuggire gli anni sarebbero diventati magari dieci. La vicenda, però, finisce molto peggio. Dottesio diventa il simbolo attraverso il quale perseguire il sistema di diffusione di idee ribelli e così si giunge alla condanna a morte. L’esecuzione è affidata a un ragazzo al primo giorno di lavoro come boia che impiccandolo gli spezza male il collo e lo lascia rantolante per mezz’ora in Campo di Marte a Venezia. Quel ragazzo espierà l’errore impiccandosi qualche tempo dopo, in una sorta di finale tragico e al contempo cristologico. Dottesio, nelle sue lettere dimostra un’eccezionale spiritualità. A poche ore dall’esecuzione scrive alla sua Giuseppina di essere l’unico a pagare per tutti, ma la domanda principale che si pone è se sia stato capace di perdonare a sufficienza i suoi persecutori. Una grande figura morale. È importante ristudiare quei decenni 1840-1860 per capire come la cultura abbia contribuito a cambiare le persone e il destino dei nostri due popoli.


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CULTURA

Ritorno al passato o salto nel futuro?

Musica ◆ Il successo planetario dell’icona pop Taylor Swift, il ritorno dei Beatles grazie all’IA, il nuovo album dei Rolling Stones e l’esibizione degli U2 nell’immensa sfera immersiva a Las Vegas: dove sta andando la musica? Guido Mariani

È difficile se non impossibile capire i cambiamenti epocali quando ci si trova in mezzo. Nell’ambito della musica l’anno che sta per concludersi ha infatti dato segnali quantomeno contrastanti. Siamo di fronte a una rottura con il passato, oppure siamo sull’orlo di una potente onda di riflusso? Ci aspetta una musica sempre più social, fluida, immateriale, poliglotta e di facile consumo o bisogna prepararsi a trend che guardano al tempo che fu?

In effetti una delle notizie più sorprendenti riguardo all’industria musicale è arrivata, come un fulmine a ciel sereno, nei giorni scorsi. Il colosso Spotify, il più importante servizio di musica in streaming che conta 230milioni di abbonati e che influenza i gusti musicali a livello globale, ha annunciato, attraverso una dichiarazione del suo CEO Daniel Ek, che un quinto della forza lavoro della piattaforma sarà licenziata. Millecinquecento dipendenti saranno lasciati a casa. Una politica aggressiva di posizionamento sul mercato ha inciso profondamente sui bilanci, facendo registrare una perdita di 462 milioni di dollari nei primi nove mesi del 2023. Nello stesso tempo uno studio pubblicato dalla International Market Analysis Research and Consulting Group ha stimato che il mercato internazionale dei dischi in vinile è destinato quasi a raddoppiare nei prossimi anni, passando da un volume di affari di 1,7 miliardi di dollari a circa 3 miliardi nel 2028. Sempre meno musica dai telefonini e sempre più sui giradischi? Il futuro non è più quello di una volta. La questione non è da poco, per-

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Il futuro non è più quello di una volta. La questione non è da poco, perché oggi il «come» si ascolta la musica è anche indicativo di «cosa» si ascolta

ché oggi il «come» si ascolta la musica è anche indicativo di «cosa» si ascolta. Ne è un perfetto esempio il mercato italiano dove la classifica Top of The Music (dominata dallo streaming), riferita al primo semestre dell’anno, vedeva in vetta i giovani rapper Geolier, napoletano classe 2000, e il milanese Lazza. La classifica di vendita dei vinili riportava invece al primo posto l’intramontabile The Dark Side of the Moon, capolavoro dei Pink Floyd che ha festeggiato il mezzo secolo di vita e che da allora ha venduto nel mondo più di 40 milioni di copie. Anche qui si resta perplessi. Il vecchio è in rotta di collisione con il nuovo o c’è un pubblico di giovani che sta riscoprendo i classici e il fascino dei vecchi dischi? Ma la musica è sempre stato terreno di scontro e incontro generazionale, sin da quando i rivali Elvis Presley e Frank Sinatra divisero la scena per uno storico show televisivo nel 1960.

Che cosa resterà musicalmente di questo 2023? Nel mondo del pop internazionale la figura di riferimento è Taylor Swift, ex stellina del country americano diventata icona della musica commerciale di questo decennio. Compare un po’ dappertutto. Il suo tour americano è in grado di far crescere il PIL e la sua love-story con un celebre giocatore di football è seguita ora per ora. Il pop è anche questo. Una nuova regina intanto si affaccia sulla scena: SZA. Trentaquattrenne cresciuta in New Jersey, ama definire le sue canzoni, che uniscono l’R&B e i suoni urban più attuali, semplicemente come la naturale evoluzione della black music. Il suo secondo album, Sos, è entrato nelle classifiche di più di 30 Paesi (in vetta anche in Svizzera) e si appresta a trionfare alla prossima cerimonia dei Grammy Awards dove ha ricevuto 9 nomination. Il pop è però sempre più globale.

Se quest’anno ha visto un appannarsi del fenomeno delle boy band coreane, complice anche l’assenza dei BTS, si è affermato sempre di più il sound latino-americano con artisti dal successo planetario come il portoricano Bad Bunny e il messicano Peso Pluma. Anche i ritmi dell’afro-pop superano ogni confine. Uno dei successi dell’anno è Calm Down del nigeriano Rema, ma non dimentichiamo Makeba della francese di origine malgascia Jain, dedicata a una delle regine della musica africana. Il brano è del 2015, ma quest’anno è diventato virale e onnipresente grazie al social Tik Tok. Il mondo del rock ha visto i più che convincenti ritorni dei Foo Fighters con But Here We Are, il loro primo lavoro dopo la morte del batterista Taylor Hawkins, e dei Metallica con 72 Seasons. Nell’ambito più progressive da segnalare l’attesissimo nuovo album di Peter Gabriel che con i/o,

grazie anche alla collaborazione di Brian Eno, produce il suo primo disco di canzoni originali in più di due decadi e non delude nessuno. Vanno ricordati anche The Harmony Codex, affascinante viaggio musicale firmato Steven Wilson, e la nuova, controversa ma suggestiva, versione di The Dark Side of the Moon di Roger Waters in cui l’ex Pink Floyd reinterpreta il classico quasi fosse uno spettacolo di teatro-canzone. Controverso, ma benvenuto, anche l’ultimo singolo firmato Beatles, Now and Then, in cui grazie all’aiuto dell’intelligenza artificiale ritorna la voce di John Lennon. Non hanno bisogno di AI invece i Rolling Stones che con Hackney Diamonds ci ricordano di essere immortali. Nell’ambito più cantautorale molto convincenti le prove del super gruppo al femminile Boygenius con The Record e dei country rocker Jason Isbell con Weathervanes e Zach Bryan con un album omonimo, tutti artisti candidati ai Grammy nelle rispettive categorie. La musica italiana è sempre più dominata da interpreti indie (come i laziali Calcutta e Fulminacci o il livornese Motta) e rapper di vecchia (Club Dogo, Marracash) e nuova scuola (Tedua, Shiva), ma si apprezzano sempre i nuovi lavori di Ligabue, convincente e intimo in Dedicato a noi, e del poeta Francesco Guccini con le sue riletture in Canzoni da osteria. Per vedere infine come saranno i concerti di domani bisogna volare a Las Vegas dove gli U2 hanno inaugurato una nuova era dei live nella Sphere, colossale teatro in cui lo spettatore è avvolto dallo schermo a led più grande al mondo e completamente immerso in un’esperienza sensitiva, sonora e visiva (nella foto un momento del concerto). In questi giorni anche i Kiss hanno annunciato che il loro prossimo tour vedrà sul palco non più loro, ma i loro avatar digitali. Questa volta il futuro è proprio come ce lo immaginavamo. Annuncio pubblicitario

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Settimanale di informazione e cultura

Anno LXXXVI 27 dicembre 2023

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CULTURA / RUBRICHE

In fin della fiera

39

di Bruno Gambarotta

Buon Natale a quelli che… ◆

Tanti cari auguri a quelli che festeggiano il Natale come si deve…. A quelli che sono nati il 25 dicembre e che non hanno mai ricevuto un regalo di compleanno. A quelli che «noi portiamo gli antipasti» e poi arrivano con un bel panettone. A quelli che, sedendosi a tavola per la cena di Natale posano di fianco alle posate l’iPhone dicendo: «Non si sa mai». A quelli che spiegano la presenza del cellulare sul tavolo: «Mio figlio è andato per la prima volta in vacanza da solo, così posso controllare cosa combina». «Quanti anni ha il tuo ragazzo?» «Trentadue». A quelli che, ricevuta in dono una pianta in vaso, subito la riciclano regalandola a loro volta, dimenticandosi di togliere il bigliettino del precedente donatore. A quelli che, tenendo saldamente in

mano il bicchiere di moscato offerto dal padrone di casa affermano: «Dite quello che volete ma lo champagne è sempre lo champagne». A quelli che fotografano con il cellulare tutti i piatti man mano che arrivano in tavola e sentono il bisogno di spiegarti: «Mando le foto a zia Aurelia che è a casa con l’influenza, così si sente meno sola». A quelli che, quando mostri loro un tuo nuovo acquisto, prima si informano su quanto costa poi ti rivelano che loro l’hanno pagato la metà. A quelli che, per tutta la durata del pranzo, ti illustrano le meraviglie dell’Intelligenza Artificiale e, volendo controbattere le affermazioni di un altro commensale, non si ricordano più come si fa a calcolare a mente una percentuale. A quelli che «un bel libro è il regalo più bello», che «vuoi mettere il fruscio della carta mentre sfogli le pa-

gine», che «vuoi mettere il profumo dell’inchiostro» e sono vent’anni che non leggono un libro. A quelli che si ricordano che devono fare gli auguri a un amico. Lo chiamano e, tra l’altro, lo informano: «Qui seduto vicino a me c’è Bruno che ti saluta». Conclusa la telefona mi riferisce: «Ercole ti fa gli auguri». Oso chiedere: «Chi è Ercole?». Sdegno, scandalo: «Come, non ti ricordi? Per un trimestre siete stati compagni di scuola, alle medie nel 1948!». A quelli che «basta con le grandi mangiate, avevano senso quando il resto dell’anno si tirava la cinghia» e poi si lamentano se dopo venti antipasti si passa già al primo. A quelli che non si accontentano di far sapere a tutti che sono allergici al prezzemolo ma devono raccontare nei dettagli di quella loro amica che, per aver annusato una foglia di

prezzemolo è finita in rianimazione. A quelli che, andati in pensione sei mesi fa, hanno trovato finalmente il tempo per scrivere la loro autobiografia, ottocento pagine corpo 12, e ti fanno dono di una copia con dedica: «Fra una settimana ti telefono, così mi dici cosa ne pensi». «Complimenti, hai trovato un editore». «No, tutti quelli interpellati erano disposti a prenderla in considerazione se fosse stata al massimo di 120 pagine. Invece Amazon me l’ha stampata a pagamento senza togliere una virgola». A quelli che la vigilia vengono da te a cena attirati dalla fama degli agnolotti che tu prepari con la ricetta della tua bisnonna lavorando per tre giorni. Replicano la portata per due volte prima di emettere la sentenza, inappellabile: «Per essere buoni sono buoni, niente da dire. (pausa) Però, lasciatelo dire, i veri agnolotti

alla piemontese sono un’altra cosa». A quelli che, dopo aver chiesto dov’è il bagno, per andarci accendono il navigatore. A quelli che, poiché la loro squadra del cuore è in fondo alla classifica, vogliono convincerti che il mondo del pallone è marcio fino al midollo. A quelli che «l’allarme per i cambiamenti climatici è tutta una scusa per venderti i pannelli solari e che le alluvioni ci sono sempre state». A quelli che, senza che tu gliel’abbia chiesto, ci tengono a informarti, per mettere subito le cose in chiaro: «Io alla sera del 31 dicembre vado sempre a dormire alle dieci». A quelli che sanno stare fermi, in silenzio, senza fare assolutamente niente. E non se ne vergognano. A quelli che sanno stare in ascolto. A quelli che hanno avuto la pazienza di arrivare fino in fondo a questa litania sconclusionata.

Voti d’aria

di Paolo Di Stefano

Influencer e boccaloni ◆

Siamo molto influenzabili. Troppo, se è vero che una certa Chiara Ferragni è riuscita a metter su un bel gruzzoletto, decine di milioni di euro, per forza di persuasione commerciale. Sfogliando un qualunque vocabolario, alla voce «influencer» troverete: «Personaggio di successo, popolare nei social network e in generale molto seguìto dai media, che è in grado di influire sulle opinioni, sui comportamenti e sulle scelte di un determinato pubblico». L’ultima trovata della influencer ex bocconiana è stata la beneficenza a pagamento. Per chi non li avesse seguiti, i fatti sono questi: Ferragni promuove attraverso Instagram dei preziosi «pandori rosa» griffati Ferragni a prezzo triplicato, comunicando che l’incasso andrà ai «Bambini delle Fate», cioè ai bambini autistici di un ospedale. In realtà, l’azienda produttrice dei pandori aveva già fatto una

sua donazione di 36 mila euro ai suddetti bambini senza alcuna correlazione con gli incassi della Ferragni. Equivalenti a oltre un milione. Ne è venuta fuori una multa, da parte dell’agenzia garante della concorrenza, per pratica commerciale scorretta. Per cercare di mettere una toppa al tracollo di reputazione social, l’imprenditrice digitale ha postato un video in cui, con il ciglio umido griffato Ferragni, si scusava dicendo parole commosse e commoventi: «Sono convinta che chi è più fortunato ha la responsabilità morale di fare del bene. Questo è quello che insegniamo ai nostri figli». Parole come pietre, pensate e griffate forse con l’aiuto di un consulente marketing: «Gli insegniamo anche (sottinteso: ai figli) che si può sbagliare, e che quando capita bisogna ammettere…». Si può sbagliare? Proprio così. Eccola ammettere non quella che si direbbe una truffa bella

A video spento

e buona griffata Ferragni ma l’imperdonabile «errore di comunicazione». Per questo, la voce rotta dall’emozione doverosamente griffata, ha dichiarato di voler devolvere un milione di euro per le cure dei bambini. Intanto, però, è saltato fuori un altro pasticciaccio di pasticceria simile al precedente: questa volta non con il pandoro ma con l’uovo di Pasqua griffato. Truffa? No no, ancora una volta, probabilmente, un «errore di comunicazione». E veniamo ai voti: –1 per ciascuno dei 30 milioni di follower che pendono dalla boccuccia griffata della Ferragni, totale di –30 milioni. A cui si aggiunge il voto al genio della griffe rosa: –1 moltiplicato per ciascuno degli acquirenti boccaloni, totale –60 milioni, che sommati ai precedenti -60 milioni fa un voto complessivo di –120 milioni, record assoluto nella lunga storia dei Voti d’aria. A posteriori (ma anche a priori), –1 anche al

Festival di Sanremo che l’anno scorso ha ospitato un insignificante monologo griffato dalla influencer-di-successo che per l’occasione si è presentata, ciglio umidiccio, in versione femminista in cambio della modica cifra di centomila euro. Del resto, basta essere qualcosa-di-successo (meglio se un cretino-di-successo) per essere chiamati a pronunciare uno strapagato monologhetto morale o civile a Sanremo, con standing ovation finale. Tuttavia, più che le astuzie griffate dagli influencer milionari, ciò che preoccupa sono i boccaloni. Che crescono visibilmente di numero: a questo proposito è utile leggere la «storia globale» dell’ignoranza scritta dallo storico inglese Peter Burke e appena uscita in Italia da Cortina. La tesi è che ogni epoca ha creduto di disporre di maggiore conoscenza rispetto all’età precedente, ma non è detto che sia così. Per esempio, oggi: siamo dav-

vero meno ignoranti dei nostri antenati? Bella domanda (6). Il sospetto è che i poteri economico-tecnologici si nutrano dell’ignoranza globale e che dunque fanno di tutto per alimentare la democrazia dei boccaloni. In questo clima, Burke fa appello agli insegnanti, «eroi ed eroine dei tentativi quotidiani di porre rimedio all’ignoranza». Ma sarà sufficiente? Qualche riflessione al riguardo arriva da un’indagine recente dell’Università di Bologna sulla capacità di scrittura degli studenti. I risultati sono disastrosi: nessuna padronanza sul piano logico, sul piano sintattico né sul piano delle scelte lessicali. Se è vero che la capacità di parlare, scrivere, argomentare è indistinguibile dalla capacità di pensare, ecco perché siamo diventati così influenzabili dagli influencer commerciali. E dagli influencer politici. Che sono, più o meno, la stessa cosa.

di Aldo Grasso

La ricchezza protagonista delle serie TV ◆

Se uno pensa a grandi romanzieri come Charles Dickens, Émile Zola, Giovanni Verga pensa all’idea di romanzo sociale. Attraverso le vicende del giovane Oliver Twist, Dickens descrive la situazione di vita nei bassifondi londinesi e le ingiustizie della società vittoriana. Germinal racconta gli scioperi dei minatori nella cornice della grande crisi economica di fine ’800. Nei Malavoglia vengono descritte le sfortunate vicende di una famiglia catanese e l’ambiente da cui, inutilmente, lottano per uscire. Ogni opera è figlia del suo tempo, e il romanzo sociale descrive il grande rivolgimento provocato dalla nascita della società industriale, quando i contadini abbandonarono le campagne per trasferirsi in massa in città, andando così a ingrossare i ghetti dei centri urbani. Ecco la domanda provocatoria: perché la narrativa moderna, rappresentata soprattutto dalla serialità televi-

siva, parla così volentieri di ricchezza, di famiglie agiate? Per disprezzo o per fascinazione? Il cinema si è sempre interessato delle classi sociali più facoltose, magari per trarne allegorie come nel caso del film Il fascino discreto della borghesia di Luis Buñuel, una dissacrazione surreale della morale cristiano-borghese e del conseguente ordinamento sociale. La serialità televisiva si rivolge a un pubblico più vasto e indistinto, sorretta da un orientamento progressista avverso alle classi più abbienti. Basti citare uno dei casi più famosi, quello di Succession, serie TV di HBO, che racconta una saga familiare che ha per protagonista un magnate miliardario del settore dei media, ispirato a Rupert Murdoch, e i suoi figli subdoli, incapaci, fannulloni, diabolici, invidiosi. Nella serie le classi subalterne compaiono poco, e i protagonisti sono ridicolizzati prima di tutto per la loro

inettitudine. La loro ricchezza sfrenata è parte del paesaggio, paesaggio che rappresenta anche una parte importante dell’attrattiva della serie: dai vestiti bellissimi alle ville in Toscana, dai giganteschi yacht agli attici su Manhattan. O di Billions: nel mondo cinico dell’alta finanza newyorchese, a contare è solo e soltanto il denaro (i «billions», miliardi, del titolo). Basti pensare che l’interesse per il racconto seriale è iniziato alla fine degli anni Settanta con il successo di Dallas. A Dallas erano tutti ricchi e cattivi. Nell’intrico di colpe (ogni personaggio aveva la sua piccola «odissea del rancore» da illustrare), si rompe uno degli schemi classici della rappresentazione del «cattivo». In passato, il cattivo era solo, anzi la solitudine era proprio uno dei tratti distintivi di quel sinistro brio che anima la cattiveria. Non si dava opera lirica con tutti i baritoni a con-

tendersi la competenza del male, due Innominati sarebbero stati troppi, l’altra faccia di Biancaneve era ed è una e una sola. J.R. era persino commovente, per lo zelo che profondeva nell’impegno diabolico di boss ricco e spietato. Anche il pubblico più giovane non è rimasto indifferente a queste tematiche; basti pensare a Gossip Girl, serie cult creata da Josh Schwartz e Stephanie Savage, tratta dai romanzi di Cecily von Ziegasar, e andata in onda dal 2007 al 2012 (sei stagioni). Quando Dan (Penn Badgley) si trasferisce con la sua famiglia di bassa estrazione a Brooklyn entra in contatto con le creature apparentemente irraggiungibili dell’Upper East Side e viene trascinato nel loro mondo luccicante, tra party altolocati e sfilate di alta moda, innamorandosi delle due reginette della scuola, le nemiche-amiche Serena (Blake Lively) e Blair (Leighton Meester). «I soldi – ha scritto Giulio Silvano su

«Rivista Studio» ­– sono sempre stati un grandissimo strumento narrativo. Spesso il raggiungimento di uno status economico ha permesso di ottenere quello che si voleva, come l’attenzione di una donna amata in gioventù quando si era poveri – Il Grande Gatsby – oppure ottenere la vendetta – Il Conte di Montecristo. Lì c’era un’immedesimazione con il protagonista. Oggi l’immedesimazione con un Kendall Roy (il protagonista di Succession, ndr) è più difficile. Non partecipiamo con lui all’ottenimento della fortuna, alla conquista di una bacchetta magica che tutto può (in questo i miliardari sono più simili ai supereroi Marvel, dove i miliardi sostituiscono i superpoteri), al massimo facciamo il tifo per lui nello scontro con un altro miliardario, per finta pena o simpatia». La messinscena della ricchezza è un gesto di irrisione o di paura per una nuova povertà?


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