Azione 10 del 5 marzo 2018

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Cooperativa Migros Ticino

G.A.A. 6592 Sant’Antonino

Settimanale di informazione e cultura Anno LXXXI 5 marzo 2018

Azione 10 M alle shop pag ping ine 3138 /

Società e Territorio Le lezioni all’esterno aiutano a sviluppare molte competenze, l’esempio del programma GLOBE

Ambiente e Benessere Il dottor Carlo Schönholzer, primario di nefrologia dell’Ospedale di Lugano spiega i vantaggi della dialisi peritoneale

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Politica e Economia Xi Jinping presidente a vita senza limiti alla sua leadership

Cultura e Spettacoli Un percorso difficile, quello del geniale Artaud, di cui ricorrono i settant’anni dalla morte

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di Simona Sala pagina 27

Iwan Palombi

Le storie di Franca Leosini

8 marzo: qualcosa sta cambiando a Riad di Monica Puffi Per la prima volta: un’espressione ultimamente ricorrente quando si leggono notizie riguardanti il ruolo delle donne dell’Arabia Saudita. Soprattutto da quando il principe ereditario Mohammed bin Salman ha lanciato la sua sfida di modernizzazione chiamata Vision 2030, una specie di perestrojka economico-sociale per la petro-monarchia in crisi a causa del dimezzamento del greggio e quindi della riduzione degli introiti dello Stato. Recentissimi segnali di cambiamento al femminile sono: la prima sfilata in pubblico di moda femminile a Gedda il 23 febbraio scorso, il concerto di operetta a Riad per la festa della donna, la prima Settimana della moda nel Paese, sempre a Riad, in marzo. Riapriranno anche i cinema, dopo un bando di 35 anni voluto dagli islamisti per scoraggiare l’intrattenimento e tutte le forme di divertimento per uomini e donne: ma questa è un’altra storia, che non riguarda solo le donne del regno, ma appunto rientra in un quadro di riforme che prevedono significative aperture sociali. Gli editti reali a favore delle donne, in questa monarchia assoluta che non ha un parlamento, non ha una costituzione ma solo un consiglio

del sovrano in cui siedono i discendenti inturbantati di al-Wahhab che vegliano sulla legittimità degli al-Saud, rappresentano lo spirito delle primavere arabe, giunto fin qui a scalfire l’addirittura intoccabile sistema patriarcale maschile. Il primo vero storico tabù venuto cadere, nel settembre 2017, è la revoca del divieto di guidare alle donne (ma soltanto dopo aver ricevuto il permesso da un uomo); il secondo, sempre di settembre, riguarda il permesso alle donne di andare allo stadio sportivo (anche se soltanto sedute nei settori riservati alle famiglie, lontano dai tifosi maschi non sposati). Le riforme del giovane principe non si fermano qui, proseguono sulla via tracciata dal defunto re Abdullah, che aveva concesso alle donne il diritto di voto e di elezione alle Comunali del 2015 e aperto la più grande università femminile al mondo. Da febbraio, infatti, è stato concesso alle saudite di gestire business in proprio, questa volta senza il consenso del marito o di un familiare maschio. Inoltre, per la prima volta le donne potranno arruolarsi nell’esercito senza combattere (ma qui l’uomo deve vivere nella stessa provincia nella quale saranno dislocate). Una quasi rivoluzione, che mostra quanto le donne si siano sempre dovute confrontare con permessi o divieti, rilasciati o imposti dall’uomo. Le associazioni per la difesa dei diritti

umani stigmatizzano però il fatto che resta in vigore il rigido sistema di tutela del «guardiano» che tiene segregate le donne di qualsiasi ceto sociale: sono i padri, i mariti, i fratelli, addirittura i figli, ai quali la donna deve sempre chiedere il permesso per sposarsi, studiare, lavorare, viaggiare, ricevere cure mediche. Ma, come detto, nel regno saudita le cose iniziano a cambiare e il principe bin Salman ha deciso di cogliere le spirito del tempo: affrancando sempre di più la nazione dall’economia del greggio e del wahhabismo e liberando la forza lavoro femminile che rappresenta una risorsa economica importante del rinnovamento (in pratica però la percentuale delle donne che lavorano è poco più del 20% ). In realtà, nonostante i piccoli passi avanti in termini di emancipazione femminile e di diritti delle donne, la strada è ancora lunga e in salita e certamente sarà ostacolata dagli ambienti religiosi ultraconservatori. Nel frattempo le eleganti attrici in abito nero di Hollywood hanno sfilato sul red carpet per protestare contro i maschi molestatori. Ma è silenzio sul potere incondizionato dei «guardiani» e sulla legge che non prevede condanne per il marito che stupra la moglie e anzi invita la donna alla pace familiare. I dogmi della tradizione religiosotribale sono sacri anche per l’Occidente?.


Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 5 marzo 2018 • N. 10

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Attualità Migros

M Genitori si diventa!

Il programma

Scuola Club di Migros Ticino Riparte il 15 marzo il nuovo ciclo di eventi

Giovedi 15 marzo

Mariapia Borgnini, psicopedagogista e arteterapeuta, formatrice di Mindfulness. La forza gentile dell’attenzione. Piccole storie di Mindfulness.

«Living the Room»

Giovedi 12 aprile

Chiara Bramani, esperta di progettazione e formazione I conti che contano. Giovedi 17 maggio

Bruno Tognolini, poeta e scrittore multimediale Rime e storie vitamine. Gli incontri si terranno nella sede di Lugano della Scuola Club, in via Pretorio 15, dalle ore 18.30 alle 20.00.

Scelti per voi Corsi sulla genitorialità e non solo MBSR (Mindfulness Based Stress Reduction). Gestire lo stress mediante la consapevolezza

Dal 9 aprile al 9 giugno 2018. Programma di 8 settimane/Fr. 590.–. Play therapy. Il gioco e i suoi poteri terapeutici. Formazione psicoeducativa per genitori Un divano per tre ospiti d’eccezione.

È tutta dedicata alla genitorialità l’edizione 2018 della serie di eventi che la Scuola Club di Migros Ticino propone da alcuni anni al suo territorio. Poiché genitori non si nasce, ma si diventa affrontando giorno dopo giorno, in modo creativo e positivo, le tante sfide legate alla crescita delle nuove generazioni, la Scuola Club ha deciso di mettersi al fianco di mamme e papà, nonni e nonne, insegnanti e di tutti coloro che a vario titolo svolgono nella comunità ticinese un’azione educativa. Oggi la strada della genitorialità è costellata di problematiche inedite. Non ci sono soluzioni preconfezionate alle quali attingere. Confrontarsi con chi sta percorrendo lo stesso cammino, o lo osserva con gli occhiali della competenza, può rivelarsi di grande aiuto. Anzitutto, per sentirsi meno soli e disorientati, ma anche per diventare

più consapevoli, e dunque più forti, nel leggere e affrontare con qualche strumento in più le prove che la crescita di un altro essere umano porta inevitabilmente con sé. Questo «apprendere dalla vita», nella vita, la Scuola Club l’ha trasformato in «metodo»: ascoltare la storia dell’altro diventa una formazione «oltre l’aula». È un apprendimento accessibile, morbido, familiare, proprio come il divano rosso della Scuola Club, divenuto ormai il simbolo di questa iniziativa. Gli appuntamenti in calendario vedranno l’alternarsi di profili diversi, ma tutti in qualche modo «genitori» che, con linguaggi molteplici, proporranno un medesimo desiderio di prendersi cura dei bambini e dei ragazzi, e della relazione con loro. Giovedi 15 marzo aprirà il ciclo di eventi Mariapia Borgnini, psicope-

dagogista e arteterapeuta, formatrice di Mindfulness. Il titolo dell’incontro – La forza gentile dell’attenzione. Piccole storie di Mindfulness – è anche quello del libro in cui l’autrice racconta la sua esperienza di professionista con gli adolescenti, i bambini e gli adulti di ogni età. Nella seconda serata, giovedi 12 aprile, intitolata I conti che contano, Chiara Bramani, esperta di progettazione e formazione, tra i coordinatori del progetto del Cantone «Il franco in tasca», introdurrà nella forma dinamica del workshop alcuni temi legati all’educazione finanziaria, da come gestire la paghetta o allestire un budget con il proprio figlio, all’affrontare una situazione di indebitamento. Chiuderà il ciclo, giovedi 17 maggio, Bruno Tognolini, poeta e scrittore multimediale. Con Rime e storie

Da Picasso a Praga FORUM elle P ubblicato il nuovo programma di attività

marzo-settembre del club femminile di Migros

Conferenze, uscite di gruppo, spettacoli teatrali, visite guidate e altro ancora: la proposta di FORUM elle alle proprie iscritte per la stagione 2018 è come sempre molto ricca e stimolante. Ecco il programma

Giovedì, 22 marzo, Suitenhotel Parco Paradiso: Assemblea FORUM elle Ticino e incontro con Cristina Milani, presidente World Kindness Movement.

Azione

Settimanale edito da Migros Ticino Fondato nel 1938 Redazione Peter Schiesser (redattore responsabile), Barbara Manzoni, Manuela Mazzi, Monica Puffi Poma, Simona Sala, Alessandro Zanoli, Ivan Leoni

Mercoledì, 11 aprile, MASI Lugano: Picasso – uno sguardo differente. Sabato, 21 aprile, Sala teatro LAC: Slava’s Snowshow. Giovedì, 24 maggio, Visita alla Villa Cicogna Mozzoni di Bisuschio. Giovedì, 7 giugno, Pinacoteca Züst Rancate: Valeria Pasta Morelli. Mercoledì, 27 giugno, Suitenhotel Parco Paradiso: Incontro con Loretta Dalpozzo. Giovedì, 6 settembre, Suitenhotel Parco Paradiso: Incontro con Alberto Meroni. Sabato 8/lunedì 10 settembre, Messner Mountain Museum, Bolzano. Venerdì, 12/martedì, 16 ottobre, Madrid e Bilbao.

Sabato 1/martedì, 4 dicembre, Praga. (Questi tre viaggi sono proposti in collaborazione con l’agenzia Dreams Travel Biasca). Le informazioni di dettaglio su ognuno degli appuntamenti in calendario sono pubblicate sul sito www. forum-elle.ch, nella pagina della sezione Ticino. Sullo stesso sito sono pubblicate le modalità di iscrizione a FORUM elle. In conclusione vi ricordiamo che giovedì, 8 marzo, Giornata internazionale della donna, FORUM elle sarà presente con un punto informativo davanti alla Migros in Via Pretorio a Lugano, per promuovere l’associazione e diffonderne l’attività.

Sede Via Pretorio 11 CH-6900 Lugano (TI) Tel 091 922 77 40 fax 091 923 18 89 info@azione.ch www.azione.ch

Editore e amministrazione Cooperativa Migros Ticino CP, 6592 S. Antonino Telefono 091 850 81 11

La corrispondenza va indirizzata impersonalmente a «Azione» CP 6315, CH-6901 Lugano oppure alle singole redazioni

Stampa Centro Stampa Ticino SA Via Industria 6933 Muzzano Telefono 091 960 31 31

vitamine, Tognolini, giocando con la parola che si fa poesia, ne mostrerà il grande potere terapeutico per guarire le piccole «ferite» del quotidiano di grandi e piccini. Per continuare ad accompagnare i genitori e le altre figure educative nel loro impegno, la Scuola Club offre la possibilità di approfondire alcune delle tematiche trattate con corsi sulla Mindfulness e la Play Therapy. Gli incontri si terranno presso la sede di Lugano della Scuola Club, in via Pretorio 15, dalle ore 18.30 alle 20.00. Come partecipare

Per ragioni organizzative è gradita l’iscrizione alle singole serate (Tel. 091 821 71 50 / scuolaclub.lugano@migrosticino.ch).

Modulo 1 – una questione di cervello! Dal 26 aprile al 7 maggio 2018 Orario: 18.30 – 21.30 Dove: sede di Lugano, Scuola Club Migros Ticino 3 incontri di 3 ore-lezione / Fr. 225.–. Modulo 2 – Che stress... giochiamoci su! Date e orario da definire Dove: sede di Lugano, Scuola Club Migros Ticino 2 incontri di 3 ore-lezione / Fr. 150.–. Modulo 3 – Un incontro nella casa magica Date e orario da definire Dove: sede di Lugano, Scuola Club Migros Ticino 1 incontro di 3 ore-lezione / Fr. 75.–. Informazioni e iscrizioni

Tel. 091 821 71 50 – scuolaclub. lugano@migrosticino.ch – www.scuola-club.ch

Appello ai soci della Cooperativa Migros Ticino Cari soci, nel corso della dodicesima settimana che segue questo avviso, la vostra Cooperativa procederà all’elezione dell’Ufficio di revisione per un nuovo mandato biennale (2018-2019). L’elezione si svolgerà secondo le disposizioni dello Statuto del 7 giugno 2008 e del Regolamento per votazioni, elezioni e iniziative della vostra Cooperativa del 2 dicembre 2015. Quali soci potete consultare questi documenti (presentando la vostra quota sociale o la tessera di socio) in tutte le filiali di Migros Ticino nonché presso la sede della Cooperativa a S. Antonino. In applicazione dell’art. 30 dello Statuto, il Consiglio di amministrazione ha nominato un Ufficio elettorale, che oltre a ricevere le proposte elettorali sorveglia lo svolgimento dello scrutinio.

Esso è così composto: ■ avv. Filippo Gianoni, Bellinzona, presidente; ■ Myrto Fedeli, Cadenazzo, vicepresidente; ■ Roberto Bozzini, Giubiasco, membro; ■ Pasquale Branca, Giubiasco, membro; ■ Giovanni Jegen, Locarno, membro. I soci della Cooperativa possono presentare proposte elettorali, che devono soddisfare le disposizioni previste dallo Statuto (art. 35) e del Regolamento (art. 27) ed essere inoltrate entro il 24 marzo 2018 all’Ufficio elettorale di Migros Ticino. Le proposte elettorali e tutta la corrispondenza destinata all’Ufficio elettorale devono essere indirizzate al suo presidente.

Tiratura 101’766 copie

Abbonamenti e cambio indirizzi Telefono 091 850 82 31 dalle 9.00 alle 11.00 e dalle 14.00 alle 16.00 dal lunedì al venerdì fax 091 850 83 75 registro.soci@migrosticino.ch

Inserzioni: Migros Ticino Reparto pubblicità CH-6592 S. Antonino Tel 091 850 82 91 fax 091 850 84 00 pubblicita@migrosticino.ch

Sant’Antonino, 5 marzo 2018 Cooperativa Migros Ticino Il Consiglio di amministrazione

Costi di abbonamento annuo Svizzera: Fr. 48.– Estero: a partire da Fr. 70.–


Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 5 marzo 2018 • N. 10

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Società e Territorio Vivere in montagna La famiglia Leonardi ha deciso di abitare in Valle Bedretto occupandosi durante la stagione sciistica dell’area di svago di Cioss Prato che, grazie a loro, ora dispone di un parco giochi per l’estate e di un’originale Miniera dei Cristalli

Il caffè delle mamme Quello che i ragazzi non dicono è il nuovo saggio della family coach Nan Coosemans che aiuta i genitori a interpretare i silenzi e i comportamenti dei figli adolescenti pagina 6

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Ragazzi impegnati in osservazioni scientifiche e ambientali per il programma internazionale GLOBE. (M. Martucci)

Fuori dall’aula

Formazione L’outdoor learning, cioè l’imparare all’aperto, aiuta a sviluppare molte competenze Marco Martucci «Fuori dall’aula!». A scuola è un comando perentorio. Ma «fuori dall’aula!» può anche essere un’esortazione, un invito alla classe e all’insegnante o anche un desiderio di quest’ultimo a varcare una soglia per continuare la lezione all’esterno, allo scopo di migliorarne l’efficacia. Quando già insegnavo da diversi anni, uno dei miei figli rientrò un giorno da scuola particolarmente eccitato. Sapeva che il papà era professore di scienze e proprio per questo insisteva a mostrarmi un quaderno, con l’intenzione – come dopo capii – di farmi un grande piacere. Non stava più nella pelle: «Papà, abbiamo fatto le stagioni!». Detti un’occhiata attenta al quaderno e lessi ciò che mio figlio, con bella e ordinata grafia di scolaretto diligente, aveva scritto. E rimasi di sasso, mentre un brivido mi correva giù per la schiena. Una frase: «in inverno fa freddo perché la Terra è più lontana dal Sole». Che fare? Non dissi assolutamente nulla. Da una parte mi rincresceva smorzare un entusiasmo tanto sincero da far tenerezza. Dall’altra temevo di adombrare l’immagine che mio figlio s’era fatta dell’insegnante, per altro persona degna della massima stima. Ancor oggi non so se la mia scelta di non intervenire fu giusta. Invero l’errore era madornale. Ed era un errore doppio, di contenuto e di metodo. Le

stagioni non dipendono dalla distanza fra Terra e Sole; anzi, nel nostro inverno boreale siamo più vicini al Sole. E poi tutti sanno che gli australiani festeggiano il Natale sulla spiaggia perché da loro inizia l’estate e l’Australia non è certo più vicina al Sole. Com’è risaputo, le stagioni nascono dall’inclinazione dell’asse terrestre sull’eclittica, un concetto non tanto semplice da spiegare e da comprendere. Ma anche se l’insegnante avesse dato una spiegazione corretta – su questo c’è comunque da dubitare – avrebbe compiuto un altro tipo di errore, metodologico. Sarebbe stata una spiegazione ex cathedra, lontanissima dal mondo dell’esperienza quotidiana di un bambino. Cosa avrebbe dovuto fare, allora, per svolgere il tema delle stagioni? Avrebbe dovuto guardar fuori dalla finestra o meglio ancora invitare i suoi allievi a farlo. Le giornate si accorciano, il sole scalda per meno tempo, è più basso sull’orizzonte, le ombre sono più lunghe. Ma, per far questo, sarebbe stato necessario uscire o far compiere agli scolari delle osservazioni all’esterno, fuori dall’aula. Appunto. Il mondo non finisce lungo le quattro pareti dell’aula: anzi, proprio lì comincia e va avanti all’infinito, in attesa d’esser scoperto. Per sapere cosa c’è dall’altra parte della collina c’è poco da discutere: bisogna salirci sopra! Fuori dall’aula: la vera aula è

il mondo, è l’universo. L’aula va bene per ripararsi dalla pioggia o dal freddo, per leggere e scrivere e per fare esperimenti di chimica o fisica, ma molte di queste cose si possono fare anche, e magari meglio, fuori dall’aula e non occorre neppure andar troppo lontano. È un processo educativo oggi noto in tutto il mondo attraverso l’anglismo outdoor learning, imparare fuori o, il che è lo stesso, outdoor teaching, insegnare fuori. In realtà, come spesso succede, non c’è nulla di veramente nuovo. Senza scomodare Aristotele che insegnava camminando con i discepoli lungo i viali del suo Liceo di Atene, apprendere e insegnare fuori, all’esterno, s’è sempre fatto. Imparare a sciare o a giocare a calcio, potare un albero o seminare il frumento, navigare su una barca a vela, osservare il cielo e riconoscere le nuvole o le costellazioni. Ci sono un sacco di opportunità per imparare all’esterno, come i circoli sportivi, lo scoutismo, le associazioni ambientaliste con le loro attività rivolte ai giovani, i campi estivi, le vacanze e le escursioni in famiglia o, più spontaneamente, i giochi all’aperto con i sassi o con la terra, tanto per fare qualche esempio. Ma allora, si dirà, che c’è di nuovo e di particolare in questo outdoor learning? È il suo inserimento – in modo complementare e accanto al tradizionale insegnamento dentro un’aula – nell’educazione formale, cioè nei programmi

scolastici. Ci sono scuole, come nell’Europa del nord, dove l’outdoor learning è pratica corrente; altre, nelle quali è limitato a periodi dell’anno o a luoghi appositi come la «scuola nel bosco». Un vero outdoor learning si fa con regolarità, quando è meglio che non lo stare chiusi in classe. I temi da sviluppare sono tantissimi, non limitati alla sola educazione ambientale, alle materie scientifiche o all’educazione fisica ma adatti anche ad altre discipline, a condizione che se ne ricavi un vantaggio rispetto allo stare soltanto in aula e che l’insegnante ci creda e non si arrenda di fronte alle piccole e comunque superabili difficoltà che potrebbero sorgere. Come il timore che la classe sfugga al controllo o che qualcuno possa farsi male o sporcarsi eccessivamente o la «biofobia» di certi genitori per i quali portare i figli nella natura consiste nel lasciarli in un parco giochi messo in sicurezza. Questi e altri piccoli problemi si lasciano risolvere facilmente con un poco di buon senso e di organizzazione e comunque quasi svaniscono di fronte agli innegabili vantaggi di un ben preparato outdoor learning, in grado di sviluppare molte competenze: lo sviluppo di progetti, la comunicazione, il lavorare in gruppo, la capacità di osservare e descrivere, la coordinazione dei movimenti, per citarne alcuni. Non da ultimo, la creazione di un coinvolgente

rapporto con l’ambiente naturale, un suo apprendimento in prima persona, un’empatia verso la natura, valori preziosi oggi purtroppo pericolosamente troppo spesso assenti. Se poi all’outdoor learning s’aggiunge anche l’opportunità di collaborare alla ricerca scientifica, la motivazione non può che aumentare. È la citizen science dove il cittadino non scienziato di professione può, con le sue osservazioni e le sue misurazioni contribuire alla raccolta di dati importanti per la scienza. Esemplare in questo ambito è il programma internazionale di educazione scientifica e ambientale GLOBE, organizzazione non profit nata negli Stati Uniti nel 1994 sotto gli auspici dell’allora vicepresidente Al Gore e presente oggi in tutto il mondo, anche in Svizzera. Le attività di GLOBE, rivolte soprattutto alle scuole di ogni ordine e grado, spaziano dalla meteorologia all’osservazione dei mutamenti stagionali delle piante, dallo studio del suolo all’analisi dei corsi d’acqua: tutte attività svolte sul campo, all’aperto, con la possibilità d’inserire i dati raccolti in banche dati nazionali ed internazionali, a disposizione della comunità scientifica e di tutti i partecipanti in ogni parte del mondo. Informazioni

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Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 5 marzo 2018 • N. 10

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Società e Territorio

La libertà di vivere in montagna

Incontri La famiglia Leonardi ha deciso di abitare in Valle Bedretto e dodici anni fa ha ripreso e trasformato

l’area di Cioss Prato Sara Rossi Guidicelli

«Non sono un tipo da città», mi dice Marco Leonardi, sposato con Agnese e papà di due bambini. «Il caos non fa per me e mi piace la natura; però quando abbiamo voglia di vita sociale, notturna o culturale, non ci mettiamo molto a raggiungere i centri». I Leonardi vivono in Val Bedretto e lavorano a Cioss Prato. Agnese era impiegata in una panettiera ad Airolo, Marco è cresciuto in Leventina e quando si sono sposati vivevano ad Airolo. Entrambi, soprattutto lui, avevano frequentato quel pezzetto estremo di Ticino verde d’estate e bianco d’inverno che è la Valle Bedretto. La Bedretto dei poeti, delle passeggiate in neve fresca sulle ciaspole, ma anche della strada chiusa, ogni tanto; la Bedretto del più bel romanzo ticinese, delle paste frolle e della libertà. Ma la Val Bedretto, si scopre quando vi si trascorre qualche giorno, è un luogo selvatico dove vive gente molto socievole. Agnese e Marco Leonardi hanno ripreso Cioss Prato, quel praticello dove si scia, con una pista per bambini e una buvette. Una dozzina di anni fa hanno avuto due possibilità tra cui scegliere: continuare l’attività di un ristorante ad Airolo o fare il lavoro stagionale a Cioss Prato. Hanno optato per la seconda perché la Valle Bedretto li affascinava e perché non era un lavoro serale e men che meno notturno. Si sono rimboccati le maniche, perché hanno quel carattere lì e in montagna spesso quando non c’è qualcosa te lo inventi. «Abbiamo pensato a cosa fare per l’estate; ci abbiamo pensato fin dall’inizio, ma naturalmente abbiamo cominciato con un lavoro stagionale. Poi però i bambini erano così affezionati a questo posto – e noi pure – che abbiamo cercato soluzioni per starci sempre». E così, in collaborazione con il Comune di Bedretto, hanno creato il parco giochi, progettato a lungo e infine costruito con le proprie mani. L’area giochi si vede dalla strada: colorata, con un ruscello che passa in mezzo, storte torri di castello e altalene di quelle che ci puoi stare su in tanti, le sdraio e i tavoli per i genitori che si riposano mentre orde di bambini giocano con gli attrezzi e con l’acqua. Alla buvette si mangia un pasto caldo e si gustano le paste frolle casalinghe, deliziose, che sfornano Agnese e Marco. Turisti e villeggianti ne approfittano ogni giorno nella bella stagione. Un’altra «invenzione» è la Miniera dei Cristalli: «Mio papà ha questa passione», racconta Marco. «Va a cercare cristalli, da sempre. La montagna ne

Agnese e Marco Leonardi con i due figli di dieci e undici anni. (Stefano Spinelli)

nasconde parecchi, bellissimi, molto grandi. Sono composizioni scintillanti che abbiamo portato nella grotta qui vicino al ristorante e abbiamo esposto, un po’ come se fossero in natura».

Tra le idee realizzate da Agnese e Marco c’è il bellissimo parco giochi per l’estate e l’originale Miniera dei Cristalli Non bisogna immaginarsi le teche con file di sassolini, bensì la ricostruzione di una miniera in cui il visitatore scende e percorre a piedi, con antri e teche scavati nella roccia in cui sono stati posti i cristalli della Valle Bedretto che il nonno, poi il papà di Marco hanno trovato. Si vedono pareti intere luccicanti, enormi bouquet di quarzo affumicato, formazioni impressionanti per grandezza e bellezza. E nei cunicoli aleggia la domanda: in che modo la roccia di montagna è capace di trasformarsi e di svilupparsi? Cosa succede a una pietra

in uno spazio vuoto? Che voglia di giocare al diamante le viene? «Per me è stimolante avere questi pensieri: immaginarsi cosa potrebbe esserci ma non c’è ancora e poi provare a realizzarlo», Marco parla della loro vita, anche se per un attimo penso che si riferisca ai cristalli. «La grotta sta andando bene, proprio perché offriamo le nostre proposte in un luogo ristretto e la conduzione è famigliare. La gente arriva e può usufruire di tutti i servizi: ristorazione e divertimenti diversi. Noi ci dividiamo i compiti e un pochino a volte cominciano ad aiutarci anche i bambini, per esempio a pulire e mettere a posto la pista di ghiaccio», racconta Marco che dei due è il più vulcanico. «Ogni tanto devo mettere un freno alle sua voglia di novità e contare le nostre forze», sorride Agnese. Quello che più amano della loro vita è ciò che possono offrire ai loro figli, di dieci e undici anni: tempo insieme, un impegno condiviso, tanto svago e salute, aria buona, giochi avventurosi nella natura. «Certo sono tecnologizzati come tutti i ragazzi di oggi. Se li metti davanti a un gioco elettronico

devi dare dei limiti, delle regole, se no vi passano la giornata. Però apprezzano lo stare all’aperto, il costruirsi la capanna d’estate e l’igloo d’inverno. Prendono la posta e vanno dai loro amici nel paese a fianco, noi ci fidiamo di loro e dell’ambiente circostante. Ci sembra una fortuna impagabile». Durante il fine settimana e le vacanze scolastiche la famiglia Leonardi vive in uno châlet in mezzo alle piste di Cioss Prato, che si raggiunge a piedi o in motoslitta; il resto del tempo stanno a Villa, dove passa lo scuola bus. «Se le condizioni fossero quelle di cinquant’anni fa, non avremmo potuto vivere qui, o forse non avremmo voluto. Ora il Cantone è molto organizzato e le condizioni sono ottimali. Quando nevica passa lo spazzaneve e non siamo gente che pretende l’impossibile: sappiamo bene cosa vuol dire e ci rendiamo conto che i servizi non possono essere in ogni luogo in ogni momento. Abbiamo imparato anche un po’ ad aspettare oltre che a rimboccarci le maniche, il che non fa male. E comunque bisogna dire che siamo serviti molto bene». Hanno molto da fare, ma mi sem-

vita lunga schiacciato dall’imperativo dell’accelerazione e dell’innovazione. Mi è venuto in mente quel passaggio del saggio di Fabio Merlini e Silvano Tagliabue Catastrofi dell’immediatezza dove si chiamano in causa D’Annunzio, la poesia e lo stretto legame con il corpo umano per «cui leggere veramente una poesia è leggerla con tutto il corpo» affinché vi sia sintonia tra ritmo interiore e ritmo esterno. Peccato, che nel XXI secolo, questa attenzione per la sintonia tra ritmo interiore e ritmo esterno l’abbiamo data in pasto alle ortiche nel tentativo di rincorrere un’armonia distopica tra il nostro ritmo organico e quello meccanico divorati da un consumo compulsivo e sempre meno capaci di assorbire l’innovazione. Quell’innovazione che paradossalmente è anche un backlash, una regressione nello sviluppo per-

ché spesso incompatibile con le idee di giustizia sociale e di sostenibilità ambientale. Ma i nostri imperativi ormai sono accelerazione e innovazione, costi quel che costi. E qui mi viene in mente un altro saggio, parte del volume appena uscito per UTET La cultura ci rende umani, nel quale Paola Mastrocola traccia l’identità della scuola del prossimo futuro: sarà digitale, iperconnessa e, soprattutto, sarà la scuola delle competenze, del know how e del problem solving. Non conterà il sapere in sé ma il fare, non conterà l’apprendere lento e individuale ma il saper applicare rapidamente per un fine preciso, non avrà più importanza passare un sapere ma certificare delle abilità. In fondo è così che ci muoviamo oggi schizzati e sollecitati da mille impulsi e distrazioni tecnologiche concentrati a raggiungere obiettivi e a

bra di capire che il loro stile di vita li porta ben lontani dallo stress di una persona con molti impegni in città, magari orari d’ufficio e figli che bisogna portare in mezzo al traffico a vari corsi di qui e di lì. Hanno la loro attività e insieme a lei prendono un ritmo di lavoro, che sanno controllare e che si accorda con il loro bisogno di accogliere gente, avere un bel daffare ma anche a un certo punto fermarsi e rilassarsi. Danno lavoro a un’impiegata a tempo parziale che li aiuta in tutte le faccende dello sci lift e del ristorante e poi i famigliari e alcuni amici danno una mano quando c’è il pienone. Secondo Marco e Agnese non sarebbe cambiato molto se fossero vissuti in un’area urbana. Anche lì avrebbero inventato le cose che più gli facevano piacere, realizzandole piano piano, un po’ come il gioco del diamante. Per tutti vale la stessa domanda, in montagna o in città. Sei in uno spazio tutto tuo ancora da riempire e cosa fai? Aspetti che succeda qualcosa o crei tu stesso il miracolo? Sicuramente i Leonardi di Cioss Prato creano un ammirevole cristallo.

La società connessa di Natascha Fioretti I mulini a vento e il nostro ritmo interiore Se c’è un’immagine nitida, che ho portato via con me tornando da Amsterdam, è quella dei mulini a vento di Zaanse Schans, un villaggio di 40 case a 20 km dal capoluogo olandese, sulla banchina del fiume Zaan dove il tempo sembra essersi fermato. Qui, in quella che un tempo era considerata l’area industriale, nel 18. secolo si contavano 900 mulini a vento. Alcuni risalivano addirittura al 1321 e venivano usati per muovere l’acqua, macinare la farina, lavorare le spezie, la mostarda, il cacao e i colori tessili. Diminuirono drasticamente nel Novecento quando furono sostituiti dai motori a vapore. Per fortuna, nel 1925, l’associazione Vereniging De Zaansche Molen decise di conservare quelli rimasti altrimenti delle magiche tor-

ri con le pale oggi non vi sarebbe più traccia. Camminando tra questi giganti animati dal vento che sembrano sorridere, lo sguardo corre a perdifiato sui prati e sull’acqua, senza riuscire a distinguere il confine tra loro, gli uni si perdono negli altri. Ed entrando nei mulini, in quello della mostarda ad esempio, o in quello della segheria, subito appare chiara una cosa: qui, sfruttando l’energia naturale del vento, l’uomo lavorava in un rapporto sinergico in armonia con i tempi e gli umori della natura. Sentire gli odori, rintanarsi nel loro guscio di legno mentre fuori soffia il vento fa riemergere sapori, atmosfere e ritmi di un tempo mai conosciuto eppure così familiare. A parte le strutture, di tutta questa proverbiale lentezza nella società di oggi non vi è più traccia e se, per sbaglio, qualcosa vi è rimasto non avrà

risolvere problemi nel breve termine. Eppure non dimentico la densa bellezza degli studi universitari scandita proprio dalla lentezza, lentezza come humus per lasciare sedimentare e interiorizzare saperi ed esperienze. E mi tornano in mente le pale dei mulini a vento che girano e girano spinte dal vento mentre all’interno l’energia armoniosamente tutto muove e trasforma senza trucco e senza inganno. Dovremmo anche noi essere dei mulini a vento più inclini a seguire ritmi, cicli e impulsi della natura e allora sì ritroveremmo quell’armonia tra il nostro ritmo interiore e il tempo esterno. E, se invece, ci ostineremo a voler far coincidere il nostro ritmo organico con quello meccanico e con l’accelerazione dei tempi digitali, alla fine, temo, altro non saremo che dei mulini senza pale e senza spirito.


Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 5 marzo 2018 • N. 10

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Società e Territorio

Capire gli adolescenti Il caffè delle mamme Il nuovo saggio della family coach

Nan Coosemans aiuta i genitori a interpretare i silenzi dei figli

Simona Ravizza I figli che da chiacchieroni e sempre sorridenti si trasformano in essere muti e perennemente svogliati, insofferenti alle regole e ribelli, più in sintonia con gli amici che con i genitori dai quali si sentono incompresi, desiderosi di essere indipendenti ma non ancora autonomi. E ancora: il loro cuore che batte per la prima volta, la curiosità per il sesso, la prima sigaretta, gli amici e le delusioni. Noi genitori saremo mai pronti ad affrontare gli anni della bufera, ossia l’adolescenza? La domanda a Il caffè delle mamme è ricorrente. Adesso una risposta all’interrogativo arriva da Nan Coosemans, formatrice e madre di due pre-adolescenti e di un bambino appena nato, da quasi vent’anni family coach e autrice del nuovo saggio Quello che i ragazzi non dicono (ed. Sperling & Kupfer, 23 gennaio 2018): «Il segreto è imparare ad ascoltarli». Il consiglio non è una contraddizione in termini: anche i silenzi – con gli stati d’animo, gli sguardi e gli umori che li accompagnano – possono essere interpretati e compresi ancora prima delle parole. Un esempio a tal proposito arriva dall’ultimo film di Luca Guadagnino Chiamami con il tuo nome, appena uscito nelle sale e candidato a quattro Oscar. Il momento più toccante è quando Elio, il figlio 16 enne che ha incontrato l’amore e si è scontrato per la prima volta con la delusione che fa a

pezzi il cuore, si siede senza dire nulla sul divano accanto al padre. Non c’è una raffica di domande, il senso di smarrimento non viene liquidato con frasi del tipo «tanto passerà, ci siamo passati tutti», nessun giudizio sulle scelte compiute va a sminuire il dolore dell’adolescente. Il padre cerca di mettersi nei panni del figlio, con l’esperienza del proprio vissuto, ma senza farsene sopraffare: «Stai male e ora vorresti non provare nulla, forse non hai mai voluto provare nulla, ma ciò che ora provi io lo invidio. Soffochiamo così tanto di noi per guarire più in fretta, così tanto che a trent’anni siamo già prosciugati e ogni volta che ricominciamo una nuova storia con qualcuno diamo sempre di meno, ma renderti insensibile così da non provare nulla, è uno sbaglio». È la rivendicazione del dolore come momento ineludibile di crescita e contraltare della felicità. Così, che sia per una questione amorosa o per qualsiasi altro problema che un adolescente può trovarsi ad affrontare, il padre di Elio riesce a vincere la sfida lanciata da Nan Coosemans: «Scoprire le parole e i gesti che permettono ai genitori di essere il sostegno di cui i figli hanno bisogno per trovare la loro strada e camminare sicuri». Ma nella vita quotidiana come possiamo riuscirci? Le preoccupazioni che accompagnano la crescita dei nostri figli, fin da quando sono in pancia, sono destinate ad aumentare esponenzialmente con l’arrivo dell’adolescenza, quando i

bambini che abbiamo conosciuto stanno per diventare giovani adulti con il cervello e il corpo in subbuglio. Uno scombussolamento che ha anche motivazioni scientifiche: «Nei primi dieci anni di vita il cervello del bambino si forma con gli input che arrivano dai genitori e dalle persone più vicine. Dalla preadolescenza fino ai venticinque anni, la corteccia frontale “si riforma”, attraverso un processo in cui vengono rielaborate le informazioni ricevute fino ai dieci anni – spiega Nan Coosemans –. Per dirlo in maniera più semplice: durante l’adolescenza i ragazzi hanno bisogno di scoprire certe cose da soli, hanno voglia di esplorare il mondo e di farlo a modo loro sentendosi indipendenti». Del resto, il termine adolescenza deriva dal latino adolescere, che significa crescere. In questa fase i ragazzi fanno anche più fatica a dormire: «È stato appurato che si verifica un ritardo nel rilascio della melatonina, uno degli ormoni che induce il sonno. La sua concentrazione nel sangue aumenta nelle ore serali, ma nei giovani sembra che inizi ad aver effetto verso mezzanotte: ecco perché i nostri giovani vanno spesso a letto più tardi e hanno più difficoltà a svegliarsi al mattino – continua l’autrice di Quello che i ragazzi non dicono –. Dall’altra parte hanno bisogno di dormire di più, quindi nei weekend recuperano il sonno, rimanendo a letto fino alle undici o più. Sarà bene tenere conto del fatto che questi orari rilassati non sono solo

Gli adolescenti hanno bisogno di spazi di autonomia.

frutto di pigrizia». Ma i genitori spesso fanno fatica a capire i loro sentimenti e il perché dei loro atteggiamenti. Il rischio è di innescare incomprensioni e conflitti. «Gli adolescenti devono essere liberi di sognare, di esplorare e di cadere in piena autonomia – scrive Nan Coosemans –. I genitori hanno il compito di incoraggiare le loro esplorazioni, rispettando al massimo la loro indipendenza, senza mai sostituirsi a loro». Ne Il Piccolo Principe lo scrittore francese Antoine de Saint-Exupéry ci fa riflettere: «Tutti i grandi sono stati piccoli, ma pochi di essi se ne ricordano». Lo stesso monito vale a maggior ragione per l’adolescenza. Ribadisce Nan Coosemans: «A volte dimentichiamo di metterci nei panni dei nostri figli, e non ricordiamo più come ci comportavamo noi e come vivevamo la nostra fase adolescenziale». Bisogna semplicemente esserci, osservare e ascoltare, far sentire che crediamo in loro, mai giudicare. Ma che fatica! Coosemans dà una serie di consigli pratici per riuscire a sfangarla: allargare gra-

dualmente i loro spazi di autonomia; lasciare che i figli crescano e sperimentino da soli in modo da aumentare autostima e fiducia in se stessi; rispondere tenendo ben presente il loro punto di vista senza offrire soluzioni pronte sul piatto con la saggezza di oggi; non continuare a offrire consigli non richiesti, ma fare sentire gli adolescenti ascoltati e capiti; mai prendere sul personale i pensieri, i sentimenti e le responsabilità dei figli. Ne Il gabbiano Jonathan Livingston di Richard Bach, il giovane Jonathan risponde così alle preoccupazioni della mamma: «Non mi importa se sono penne o ossa, mamma. A me importa soltanto imparare cosa si può fare su per aria». Il gabbiano vuole abbandonare la massa dei comuni gabbiani per i quali il volo è un semplice mezzo per procurarsi il cibo e volare alto nel cielo. Senza farsi condizionare dall’affetto che prova per i genitori, né dalla paura di deluderli. Noi genitori, dobbiamo aiutare i figli a volare. Per traghettarli dall’adolescenza alla vita adulta. Annuncio pubblicitario

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Società e Territorio Rubriche

Lo specchio dei tempi di Franco Zambelloni Un mestiere pericoloso Il giorno di San Valentino, in un liceo della Florida, si è verificato uno dei peggiori fatti di sangue degli ultimi anni: un giovane di 19 anni entra nel campus armato di un fucile automatico, fa scattare l’allarme in modo che tutti si precipitino fuori dell’edificio e spara all’impazzata facendo 17 morti e 14 feriti. Un gesto di follia? Può darsi (ci penseranno gli psicoterapeuti a elaborare il profilo patologico dell’attentatore, adducendo tutte le attenuanti del caso); quel che è certo è che si è trattato di una rabbiosa vendetta. Il diciannovenne era un ex studente espulso dall’istituto per problemi disciplinari: a modo suo, ha fatto giustizia. Il caso è clamoroso, ma ce ne sono altri, meno sconvolgenti, che pure costituiscono segnali inquietanti di un declino aberrante. In Italia, sempre nel febbraio di quest’anno: in un Istituto Commerciale di Caserta uno studente diciassettenne estrae un coltello a

serramanico e sfregia il volto dell’insegnante davanti a tutta la classe. Il motivo? L’insegnante voleva interrogarlo, lui si è rifiutato; il docente, allora, gli ha assegnato una nota di biasimo disciplinare (la seconda in due giorni) e il ragazzo si è vendicato. Ancora: a Foggia, l’11 febbraio, un ragazzo di Scuola Media viene rimproverato per cattiva condotta; il giorno dopo il padre dell’allievo aggredisce il vicepreside davanti ad altri genitori. La scuola sta diventando un luogo pericoloso e il mestiere dell’insegnante una professione a rischio. Nel nostro Cantone le cose, almeno per ora, non fanno registrare casi così allarmanti; però, anche qui si moltiplicano i segnali che indicano quanto la professione diventi sempre più difficile. Nel gennaio di quest’anno appariva la notizia di un docente di liceo messo sotto inchiesta dal DECS perché denunciato per battute irrispettose nei confronti di

un allievo. Lo stesso mese una maestra di scuola elementare veniva denunciata e sospesa per avere legato le gambe ad un’allieva per farle tenere una posa corretta. Nel marzo 2016 una maestra veniva sospesa dall’insegnamento perché accusata di «comportamenti maneschi»; per quel che ne so, non è poi risultato nulla a suo carico, ma la sospensione si è prolungata in attesa di una decisione governativa. Non stupisce, dunque, che le ricerche statistiche segnalino sempre più frequentemente la condizione di stress e di disagio dei docenti: già nel 2003, in Italia, un’inchiesta rivelava la crescita vertiginosa del numero di insegnanti che, in preda all’ansia e alla frustrazione, dovevano fare ricorso a psicofarmaci o cadevano in burnout. In Ticino, nel 2013, il Consiglio di Stato ha lanciato un progetto di sostegno per insegnanti in difficoltà. Uno studio della SUPSI rilevava, nel 2015, l’onda

crescente di docenti stanchi, demotivati, spinti ad abbandonare precocemente un mestiere che probabilmente non era più quello da loro iniziato molti anni prima. L’età del pensionamento è scesa, in quattro anni, da una media di 64 anni a 61; e sempre più numerosi sono gli insegnanti che non reggono il tempo pieno e scelgono un impiego parziale. Nel 2017 un altro studio commissionato dal DECS rilevava che l’8 per cento dei docenti presentava sintomi di burnout: dato allarmante, perché un docente stressato può magari reagire impulsivamente alle strafottenze e all’indisciplina degli allievi, col rischio di passare così dall’aula scolastica a un’aula di tribunale. Certo, sono molti i fattori che rendono più difficile, oggi, questa professione: il groviglio delle direttive pedagogiche e didattiche, la scomparsa dell’autorità, la responsabilità educativa sempre più delegata dalle famiglie alla scuola,

la perdita del prestigio sociale un tempo legato alla figura del docente, la burocrazia scolastica in aumento. Ma l’aspetto più problematico sta nell’assenza di un codice di comportamento corretto per gli allievi e nella mancanza di misure disciplinari in caso d’infrazione. Nella condizione attuale, l’allievo può permettersi di fare tutto quello che vuole; il docente non può permettersi nulla. I ruoli si sono rovesciati. Negli anni Sessanta veniva trionfalmente proclamata la pedagogia antiautoritaria; anni dopo, lo stesso Benjamin Spock – uno dei suoi massimi profeti – ritrattò clamorosamente molte delle sue tesi. Ma di fatto, direi che è proprio questa la visione pedagogica che si è imposta, almeno per ora. Adesso, negli USA, per contrastare la violenza nelle scuole Trump ipotizza di consegnare armi agli insegnanti: sarà questa la pedagogia del futuro?

una spirale, il capogiro passa solo se accetta di passeggiare su un altro pianeta. Straordinario un lezionario dell’ottavo secolo vergato su pergamena in siriaco: lingua danzante, tipo balletto contemporaneo. Ecco alcuni dei famosi papiri Bodmer scoperti in Egitto nel 1952. Manca il famoso papiro 66: il più antico manoscritto del Nuovo Testamento. Immancabile invece la Bibbia di Gutenberg, una vetrina tutta per sé. Primo libro stampato a caratteri mobili, verso il 1452 a Mainz, quarantotto esemplari esistenti. Trenta milioni di dollari è solo una cifra indicativa, l’ultimo risultato d’asta è fermo al 1978. Riluccica la foglia d’oro utilizzata per miniare la capolettera E. E dal primo incunabolo del mondo si passa a un’Ave Maria messicana in pittogrammi nahuatl della fine del Cinquecento, accanto la prima edizione di una ballata sboccata di Villon. Si è poi rapiti da un antico Corano e dal cambio di passo verticale di un manoscritto giapponese del 1496. Due pagine del Kokinshū, millecen-

toundici poesie ordinate in venti libri a tema, come le stagioni, gli amori, le separazioni. Al piano di sotto pregusto El Sur di Borges e intanto mi sorprendo della calligrafia minuta e accuratissima di Conan Doyle: The adventure of the Abbey Grange (1904). In giro incontro la cartina con su l’isola di Lilliput, quattro Shakespeare, un tulipano variegato acquarellato nel 1717 ad Amsterdam. Non c’è verso di trovare le otto pagine manoscritte di El Sur, nessuna traccia neppure dell’inchiostro delle note di Mozart. Tra l’altro, va forse detto, il fratello maggiore di Bodmer è stato uno sfrenato collezionista beethoveniano. Chiedo di Borges al Luca Notari e mi dice che si trova in cassaforte e che «è esposta solo la punta dell’iceberg». Mi chiede se ho voglia di dargli una mano a riportare dei libri dalla sala conferenze ai depositi e vedere così il retroscena della biblioteca bodmeriana (429 m). Toccare con mano i libri e andare dietro le quinte della Bodmeriana? Non ci penso due volte, affare fatto. Sbrigato

il compito con l’aiuto di un carrello e intravisto degli scarabocchi portentosi di Michaux, il Notari ora mi mostra – operando con una manovella che apre il sipario – la particella di tutto un mondo. Libri che vivono qui una perenne primavera nascosta, riposti a una temperatura costante di diciotto gradi e mezzo. La combinazione per la stanza dove c’è Borges, il papiro 66 eccetera, la conoscono solo il direttore e il vicedirettore. Ci andiamo lo stesso, così, per sport. Arrivarci è un labirinto, le porte poi si devono chiudere subito «sennò scatta l’allarme». Tra le nuove acquisizioni, sui ripiani di una libreria di metallo, ecco una magnifica prima edizione del El jardin de senderos que se bifurcan (1941): color carta da zucchero, un po’ sbrindellata sul dorso. Lo prendo delicatamente in mano, apro e sul frontespizio, insperata ma creduta possibile con tutto il cuore, la sua calligrafia timida. Una dedica in sette parole, con tanto di numero civico a tre cifre di un’avenida a Buenos Aires.

subisce, però, gli influssi del contesto, politico e culturale, in cui prende piede. Si adegua. C’è, insomma, populismo e populismo. In proposito, una volta ancora, la Svizzera è rappresentativa. Convivono, sul suo suolo, forme di populismo, fra loro diverse, ma entrambe, per nostra fortuna, assimilate dalle regole democratiche. Ecco, da un lato, l’UDC, già partito degli agrari, guidato da una figura bifronte, emblema delle virtù nazionali, efficienza e attaccamento al territorio, collezionista d’arte, ovviamente svizzera, e, in pari tempo, scomodo attaccabrighe. A questa compagine storica, si è affiancata, negli anni 90, la Lega dei ticinesi che, soprattutto, nei suoi esordi avventurosi e pittoreschi, il populismo l’aveva interpretato a pieno titolo. Ma, a sua volta, doveva cedere ai condizionamenti del potere. Seduti sulle famigerate «cadreghe», gli eletti cambiarono modi, se non obiettivi e ideologia. Ed è, a questo punto, che il populismo è chiamato a rivelare i suoi reali contenu-

ti, nei cui confronti timori e riserve si giustificano. Con i suoi connotati semplici, schietti, attraverso un linguaggio che usa parole quotidiane, anche il populismo nostrano copre fraintendimenti e alimenta illusioni. Si sente l’unico vero depositario di virtù locali e tradizioni ancestrali, esaltandone non soltanto la specificità ma addirittura la superiorità rispetto agli altri. Da qui, l’insidiosa deriva verso un razzismo, camuffato da un’apparente bonarietà e giustificato dalla crisi economica. Creata, del resto, dai cattivi che governano a danno della brava gente, che invece sarebbe in grado di fare meglio. Ciò che riconduce a una visione sbrigativa di una situazione ben più complessa e impegnativa. Intanto, le argomentazioni del tipo «prima i nostri» hanno successo, danno un contentino momentaneo, ma travisano la fisionomia autentica del paese. Quella di un Ticino che, per sua fortuna, trova interpreti e difensori che si muovono su ben altri piani, consape-

voli di un cambiamento con cui devono fare i conti. Certo, il dialetto va studiato e tutelato, come fanno Franco Lurà e i suoi colleghi, non però imposto nelle scuole di oggi. A loro volta, gli attrezzi rurali trovano giustamente posto nei musei delle valli, i prodotti dell’artigianato e della gastronomia locali popolano mercati e mercatini a iosa. Ma, in pari tempo, si aprono palchi destinati ai cantanti, agli attori, ai registi delle nuove generazioni. Perché cambiano gli interpreti e cambia la materia prima della nuova ticinesità. Un esempio, più di altri, la dice lunga: il successo del film Frontaliers disaster, dove un tipico aspetto della vita di gente di confine, quale siamo, l’eterna litigiosità fra ticinesi e italiani, è affrontata con senso dell’umorismo e delle proporzioni. Un’ancora di salvezza più che mai indispensabile, per cavarsela, in tempi di guai. Che, poi, a dire il vero non sono così catastrofici come si compiacciono a dipingere i nostri populisti.

A due passi di Oliver Scharpf La biblioteca bodmeriana a Cologny Martin Bodmer (1899-1971), accanito bibliofilo zurighese noto per ventidue papiri che prendono il suo nome, ogni mattina per trent’anni, tra le dieci e le dieci e mezza, telefona alla sua segretaria, Odile Bongard. Membro del Comitato Internazionale della Croce Rossa dal 1939, va a vivere proprio in faccia alla sua sede, dalla parte opposta del Lemano, sulle docili alture di Cologny. Erede diciassettenne di una grande fortuna ottenuta grazie all’industria paterna di seta grezza, rincorre il sogno della biblioteca universale. «Weltliteratur», parola di Goethe, 1827. Villa Haccius a Cologny diventa il posto per stipare tutta la Weltliteratur possibile: autunno 1951, nasce così, in origine aperta solo a ferventi ricercatori, la Bibliotheca Bodmeriana. Bus linea A da Rive: un quarto d’ora neanche e un primo pomeriggio polare di fine febbraio scendo a Cologny. Da queste parti, un paio di anni fa, avevo dato notizia del prato Byron e per via di una mostra su Frankenstein, accennato alla

Fondazione Martin Bodmer, creata nel febbraio 1971 per portare avanti la Bodmeriana. Basta attraversare la strada e sono a pochi passi da vedere dal vivo la scrittura di Borges. Cinque parallelepipedi di vetro tra due porzioni di villa neoclassica, segnalano la presenza ipogea del museo ideato dal solito Botta. Alla cassa ritrovo il Notari, ex supplente di italiano gli ultimi mesi di liceo: la Hewitt si era rotta un ginocchio sciando in Engadina. Porta a vetri, buio in sala, luce dalle vetrine quando ci si avvicina. Un librone, aperto e illuminato, fluttua nel nero teatrale. È la prima edizione tedesca dei Viaggi di Pietro della Valle (1674): scopritore a Persepoli della scrittura cuneiforme; la prima forma conosciuta di scrittura. Incisa nell’argilla migliaia di anni fa, come mostra un reperto sumero lì a fianco. Gilgamesh, Libro dei morti di Hor, Odissea quattrocentesca in greco, assaggio di copto sahidico del Vangelo Secondo Matteo salvato in extremis da un incendio. Qui il bibliomane spirituale sprofonda in

Mode e modi di Luciana Caglio Populismo, a ognuno il suo Siamo reduci da settimane, vissute in un crescendo di ansiosa aspettativa, e per i ticinesi su due fronti. Come cittadini elvetici, direttamente coinvolti

L’umorismo come àncora di salvezza.

nella votazione «No Billag», e come spettatori, maliziosamente curiosi delle vicende elettorali italiane. In entrambi i casi, spesso a dominare la scena era proprio il populismo, i cui interpreti vanno per la maggiore nel mondo politico attuale. Inevitabile il riferimento all’inquilino della Casa Bianca che, delle caratteristiche fisiche e mentali del populista sembra il prototipo, nella versione yankee più grezza e pacchiana. Non tutti i populisti, infatti, si assomigliano, fuori e dentro. Osservando il campionario europeo, ci s’imbatte in fisionomie contrastanti, persino sfumate. L’Italia, in quest’ambito ben fornita, presenta una folta schiera di figure non paragonabili. Salvini, di certo, non assomiglia a Di Maio e neppure a Berlusconi. E, se in Austria Sebastian Kurz assume toni pacati, il suo vicino, l’ungherese Viktor Orban pratica un populismo in termini assoluti e alza reticolati alle frontiere. Tutto ciò per dire che l’avanzata populista, dato di fatto incontestabile,


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Ambiente e Benessere L’Europa s’inchina all’Asia Il panorama delle destinazioni turistiche è in continuo movimento e si volge ad Est

La difficile vita dell’edredone Anche gli ecosistemi marini artici si stanno lentamente modificando in risposta al riscaldamento globale

Un secondo all’italiana Fette di pesce spada rosolate e servite con un contorno di cime di rapa saltate

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Quindici medaglie meritate Ai Giochi olimpici invernali di Pyeongchang i rossocrociati si battono al meglio conquistando un bottino inatteso pagina 13

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Quando i reni smettono di funzionare Medicina Come l’emodialisi, la dialisi

peritoneale permette di continuare a vivere sostituendo, in parte, la funzionalità renale

Maria Grazia Buletti «Quando il nefrologo mi ha comunicato che avrei dovuto sottopormi entro breve alla dialisi, in un primo momento mi è crollato il mondo addosso. Ero spaventato all’idea del futuro che mi attendeva...», Rüdiger S. ha 48 anni e soffre di un’insufficienza renale che lo ha condotto a doversi sottoporre a dialisi del sangue. «Quando la funzionalità renale scende al di sotto della soglia del 10 per cento, è necessario sottoporre la persona a dialisi di cui oggi disponiamo di due metodologie che proponiamo ai pazienti affinché possano scegliere quella che meglio farà al caso loro: l’emodialisi (vedi «Azione» no. 42 del 16 ottobre 2017) e la dialisi peritoneale, meno conosciuta ma che per contro presenta parecchi vantaggi», spiega il dottor Carlo Schönholzer, primario di nefrologia dell’Ospedale Regionale di Lugano. Ed è proprio della dialisi peritoneale (DP) che siamo tornati a parlare con il nefrologo e con una paziente, Elena (46 anni) che ha condiviso con noi la sua esperienza: «Quando mi sono ammalata ho dovuto sottopormi urgentemente all’emodialisi e, non appena le mie condizioni di salute si sono stabilizzate, i medici si sono adoperati per spiegarmi che esisteva un’alternativa all’emodialisi ed era la dialisi peritoneale che aveva la stessa funzione ma poteva essere praticata direttamente da me, a casa, la notte mentre dormo». Elena oggi si dice estremamente contenta di aver scelto di praticare la DP che comporta, fra i diversi vantaggi, quello di conservare una certa indipendenza e di poter continuare a lavorare e a studiare senza doversi recare tre volte alla settimana per mezza giornata in un centro di emodialisi. Cos’è esattamente la DP e come si pratica, ce lo spiega Schönholzer: «Ci basiamo sul fatto che la membrana che riveste la parete interna della cavità addominale (peritoneo) è estremamente porosa ed estesa (secondo l’altezza della persona può raggiungere la superficie di circa due metri quadri); la DP usa dunque il peritoneo come filtro dializzante naturale prodotto dall’organismo, per ripulire il sangue dalle scorie metaboliche e dall’acqua in eccesso.

Attraverso un catetere impiantato precedentemente all’addome, viene introdotta nella cavità addominale una soluzione dializzante che, a contatto con la ricca rete di capillari sanguigni del peritoneo, raccoglie scorie e liquidi in eccesso presenti nel sangue. Lo scambio di sostanze si basa su semplici leggi fisiche, così come succede con l’infuso contenuto in una bustina di tè che passa nell’acqua. Dopo qualche ora la soluzione “satura” viene sostituita con una nuova». Molti, dicevamo, i vantaggi di questa dialisi troppo poco conosciuta, che però viene presentata e spiegata ai pazienti insieme all’emodialisi «affinché possano scegliere quale si addice di più alle proprie esigenze e al proprio stile di vita». Il vantaggio espresso anzitutto da Elena riguarda l’indipendenza che questo trattamento permette di avere rispetto all’emodialisi. «La DP mi permette di vivere la mia vita e ottemperare ai miei impegni senza costrizioni e senza assenze da scuola (io studio) e dal lavoro», afferma la nostra interlocutrice che ci racconta come la DP le permetta inoltre di andare in vacanza senza problemi e di non sentirsi una persona ammalata che dipende dal centro di emodialisi: «Basta portarmi appresso le sacche di liquido necessarie alle notti che passiamo fuori casa e tutto funziona molto bene; anche quando mio marito le aveva dimenticate, durante un viaggio in Francia, siamo andati all’ospedale vicino e ce le hanno fornite senza problemi». L’indipendenza che la DP offre rispetto all’emodialisi viene vissuta dai pazienti come un guadagno di tempo e come una riconquista della propria autonomia. Schönholzer conferma che «la prosecuzione dell’attività professionale e di altre attività del tempo libero sono facilitate; vi sono minori limitazioni per quel che concerne la dieta e l’apporto di liquidi, nonché maggiore autonomia di gestione del trattamento. Tutti questi sono considerati parametri che aumentano la qualità della vita». Pensiamo anche agli sportivi che possono continuare a praticare sport come ginnastica, ballo, tennis, jogging, sci, equitazione e quant’altro: «Ci si può dedicare anche agli sport acquatici per i quali il catetere non rappresenta un impedimento:

Il dottor Carlo Schönholzer primario di nefrologia dell’Ospedale di Lugano e la signora Elena, paziente. (Vincenzo Cammarata)

basta proteggerne il foro d’uscita nel modo appropriato che l’équipe dell’unità di DP provvederà a illustrare al paziente, insieme a tutti gli accorgimenti da adottare in questi casi». Il nefrologo parla pure della formazione che viene impartita al paziente e a eventuali suoi famigliari che possono aiutarlo a praticare la DP, come dell’eventuale aiuto che ricevono, sempre a domicilio, le persone troppo anziane per essere del tutto indipendenti: «Inoltre, il personale infermieristico è a disposizione 24 su 24 attraverso una linea telefonica diretta con il reparto di nefrologia, per ogni evenienza, e risponde a ogni domanda di questi nostri pazienti, casomai si trovassero in difficoltà». Questo permette di placare eventuali timori iniziali di pazienti e famigliari, come è successo a Hubert, marito di una signora di 62 anni che pratica la DP a domicilio: «Quando mia moglie si è ammalata e abbiamo

considerato la possibilità di optare per la DP a domicilio, inizialmente temevo la grossa responsabilità che avrei avuto. Ora sono tre mesi che mia moglie esegue la DP a casa, mia moglie è completamente a suo agio, indipendente, e il cambio della sacca fa oramai parte della routine quotidiana». Un metodo conveniente anche per gli anziani, afferma il medico che conferma pure come la presenza di liquido nell’addome non provoca senso di disagio: «All’inizio della terapia si può avvertire una leggera sensazione di “pancia piena”, che tuttavia si smorza in poco tempo. Un adulto può tenere da 2 a 2,5 litri di liquido nell’addome senza avvertire disagio». Due sono le tecniche di DP: «Quella continua con 4 scambi di liquido distribuiti durante la giornata (richiede 4 momenti al giorno di circa 30 minuti), e quella peritoneale automatizzata (con una macchina, cycler) che durante la notte fa entrare e uscire

automaticamente il liquido dializzato nella cavità peritoneale». Ciascuno sceglie quella che meglio gli si confà. Questo, insieme all’indipendenza dal centro di emodialisi e al sentirsi «meno ammalati», è il vantaggio più grande che questo tipo di dialisi può offrire a chi la sceglie per sé.

Video intervista Sul canale Youtube di «Azione» e su www.azione.ch la videointervista al dottor Carlo Schönholzer.


Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 5 marzo 2018 • N. 10

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Ambiente e Benessere

In giro per il mondo

Viaggiatori d’Occidente Sempre più turisti internazionali scelgono l’Asia

ma in questo settore economico la regola è il cambiamento delle destinazioni

Una mappa per sognare Bussole I nviti

a letture per viaggiare

Claudio Visentin Il mondo non è poi così grande. Dopo tutto, gli Stati sono solo poco più di 200: 196 di loro sono riconosciuti a livello internazionale come Stati sovrani mentre altri – una decina – faticano a ottenere qualunque riconoscimento. Siete mai stati in: Artsakh, Repubblica popolare di Doneck, Repubblica popolare di Lugansk, Somaliland, Transnistria? Conosco la risposta. Proprio perché gli Stati del mondo non sono poi molti, qualcuno è riuscito a visitarli tutti. Per esempio il giornalista americano Albert Podell, nell’arco di mezzo secolo di viaggi. Strada facendo ha avuto qualche guaio – in Marocco ha parcheggiato nel mezzo di un campo minato – ma giustamente sostiene che «più vanno male le cose, più belle saranno le storie che racconterai». Ancora meglio ha fatto il danese Henrik Jeppesen: nel 1996, a soli 28 anni d’età, è diventato il più giovane membro del «Club dei 196», esclusivo ritrovo di collezionisti di Stati e timbri sul passaporto. Forse l’uomo che ha viaggiato di più al mondo è Don Parrish, settantenne di Chicago: è stato infatti in tutti i 325 territori sulla lista del Travellers’ Century Club (i soci devono aver visitato almeno 100 Paesi, 19 di loro sono stati in ogni angolo della terra). Gli vogliamo bene anche soltanto perché ha fatto una capatina in tutti e 26 i nostri cantoni.

Nell’ultimo quarto di secolo, dal 1990 al 2016, gli arrivi internazionali sono passati da 439,5 milioni a 1,3 miliardi Ma l’eroe di ogni impiegato è un norvegese sulla quarantina, Gunnar Garfors: in meno di dieci anni ha visitato 198 Paesi senza perdere il posto di lavoro fisso. Il vero primato qui è spremere il massimo dalle cinque settimane di vacanza all’anno disponibili in Norvegia (più due settimane di festività nazionali). Servono imprese titaniche (e un poco fantozziane): Gunnar Garfors sostiene per esempio di aver visitato 19 Paesi in un sol giorno: Grecia, Bulgaria, Kosovo, Macedonia, Serbia, Bosnia-Erzegovina, Slovenia, Ungheria, Repubblica Ceca, Croazia, Austria, Germania, Belgio, Olanda, Lussemburgo, Francia, Svizzera e Liechtenstein. Se sono le cinque, questa dev’essere l’Olanda...

«Nelle librerie di viaggio, soprattutto nelle librerie di viaggio, ci sono le mappe. Ci sono e sono di tutti i tipi, per gli usi più svariati. Mappe di interi continenti, mappe di città capitale, mappe di colline dietro casa: mappe per chi gira in macchina e mappe per chi cerca sentieri e ciclabili; mappe arricchite dai siti di interesse storico e artistico e mappe con indicazioni sulle altimetrie e la conformazione del territorio...».

La Cina è quarta nella classifica delle mete internazionali, dopo Francia, Stati Uniti e Spagna. (Pxhere.com)

Chi ha propositi meno ambiziosi deve inevitabilmente fare delle scelte ed è interessante considerare i continui cambiamenti nella fortuna dei diversi Paesi. Nell’ultimo quarto di secolo, dal 1990 al 2016, gli arrivi internazionali sono passati da 439,5 milioni a 1,3 miliardi. Il loro numero è triplicato, ma soprattutto i turisti si sono distribuiti in modo diverso. La novità più importante, di lungo periodo, è la continua ascesa dell’Asia nel «secolo cinese». Nel 1950 gli arrivi internazionali erano solo 25 milioni e il 66 per cento si dirigeva verso l’Europa, il centro del turismo mondiale. L’Asia contava allora per meno dell’1 per cento. Oggi la metà dei turisti sceglie ancora l’Europa ma Asia e Pacifico sono saliti a un quarto della quota di mercato. La Cina è quarta per arrivi internazionali (dopo Francia, Stati Uniti e Spagna) e non nasconde di mirare al primo posto. Anche Australia e Nuova Zelanda da qualche anno sono molto apprezzate, specie tra i giovani, sia per la cultura popolare (il set del Signore degli anelli) sia per un mercato del lavoro dinamico. In questa parte di mondo nessuno ha però registrato una crescita pari a quella della Cambogia. Nel 1990, dopo il genocidio compiuto dai Khmer rossi

e la guerra col Vietnam, solo 17mila turisti internazionali visitavano il Paese; nel 2016 sono stati 5 milioni (i dati sono dell’Organizzazione mondiale del turismo), anche se la maggior parte si limita agli spettacolari templi di Angkor Wat, magari nell’ambito di una gita dalla vicina Thailandia. Con ritmi assai sostenuti crescono anche Birmania/Myanmar (da 21mila nel 1990 a 2,9 milioni nel 2016), Laos (da 14mila a 3,3 milioni) e Vietnam, le nuove destinazioni di tendenza per i viaggiatori zaino in spalla (backpacker). Dopo il sud-est asiatico, i viaggiatori più intraprendenti e curiosi – gli apripista del turismo internazionale – già guardano verso l’America centrale (assai popolare anche per ragioni ideologiche qualche decennio fa) oppure gli Stati nati dalle rovine dell’Unione sovietica in Asia centrale, lungo l’antica Via della seta: Kazakistan, Kirghizistan, Tagikistan, Turkmenistan, Uzbekistan. Insomma il panorama delle destinazioni è in continuo movimento e basta poco per rimescolare le carte, a cominciare dalla politica internazionale. L’Ungheria ebbe un momento di gloria nel 1989 – quinto Paese più visitato al mondo – con la caduta del Muro, per-

ché fu il primo ad aprire i suoi confini all’Occidente. Ma è stata poi quasi dimenticata, complice anche una lingua decisamente ostica. La Siria accoglieva 8,5 milioni di turisti nel 2010, oggi si dibatte nella guerra civile. Gli Stati Uniti dopo l’elezione di Trump (il cosiddetto «Trump Slump») hanno perso 3,5 milioni di turisti internazionali e qualcuno se lo sarà preso il vicino canadese. Anche i media sono sempre più influenti: per esempio la piccola Islanda riceveva solo 140mila visitatori nel 1990, nel 2017 sono stati 2 milioni grazie alla popolare serie televisiva Trono di spade. E la Svizzera? La prima destinazione del pianeta, dove il turismo internazionale fu scoperto e brevettato, nel 1990 si affacciava ai piani nobili della classifica con l’undicesimo posto. Ora è molto più in basso, al trentacinquesimo, con quasi tre milioni di turisti in meno. Ma è inevitabile, considerate le dimensioni del Paese e il peso dei concorrenti, e forse non dovremmo neppure preoccuparci troppo. Dopo tutto questa gara senza sosta per il primato è anche assai faticosa: e allora perché non ritagliarsi una confortevole nicchia di mercato curando gli equilibri tra entrate turistiche, sostenibilità ambientale e qualità della vita?

Se il turismo internazionale ridisegna continuamente la carta del mondo, le mappe pazienti cercano ogni volta di raccontarlo da capo. Ma nella geometria regolare del reticolo di meridiani e paralleli si nascondono segreti e misteri, promesse di viaggi e scoperte. È quanto racconta nel suo nuovo libro il nostro collaboratore Paolo Ciampi. Celebrare la bellezza delle mappe nel tempo del GPS e dei navigatori può sembrare un nostalgico ritorno al passato, ma non lo è, non in questo caso. Serve piuttosto a rimarcare il significato di una diversa esperienza. Infatti gli strumenti elettronici ci conducono da punto a punto, certo con efficienza ma poco curandosi del mondo attraversato, ridotto a una linea. La mappa invece, nel rispondere alla fondamentale domanda «Dove sono?», ci colloca in un territorio. Come scrive Paolo Rumiz, camminare con una carta oggi è quasi un atto di disobbedienza civile, significa rivendicare il diritto alla sorpresa, alla distrazione, all’emozione; e il diritto di perdersi naturalmente. E poi la mappa non serve solo strada facendo. La si dispiega sul tavolo prima di un viaggio, nello sforzo di immaginarlo, o al ritorno, nel ricordarlo e raccontarlo: «Ora in una misura ora in un’altra mescolano sempre sogno e realtà, desiderio e dato di fatto, l’altrove e il qui e ora». Bibliografia

Paolo Ciampi, Il sogno delle mappe. Piccole annotazioni sui viaggi di carta, Ediciclo, 2018, pp.96, € 9,50.

La magica formula di Tutankhamon Giochi di parole Un trucco speciale, dove solo la matematica può dare una spiegazione Ennio Peres 1. Capovolgete sul tavolo tre bicchierini non trasparenti, disponendoli ai vertici di un ipotetico triangolo equilatero.

2. Mostrate al pubblico la formula qui di seguito riportata, affermando che è stata ricavata da una misteriosa iscrizione trovata sul sarcofago del faraone Tutankhamon e che dona poteri paranormali a chi la usa in particolari condizioni: P = X3Y–XY3,

3. Per verificare l’attendibilità della vostra affermazione, chiamate uno spettatore (di buona volontà…) e, dopo aver girato le spalle al pubblico, fornitegli le seguenti istruzioni: a) attribuisci due valori interi positivi alle incognite X e Y, scegliendoli a tuo piacere, con il solo accorgimento che sia: X>Y; b) ricava il valore che, così, viene ad assumere la P (ad esempio, se lo spettatore scegliesse X = 4 ed Y = 2, dovrebbe calcolare: P·= 43·2–4·23 = 64·2–4·8 = 128– 32 = 96); c) somma tra loro le cifre del risultato ottenuto, ripetendo questo procedimento finché non ti rimane una sola cifra (nel nostro esempio, otterrebbe: 9+6 = 15; 1+5 = 6); d) conta un bicchierino alla volta, in

senso orario a partire da quello posto più in alto, un numero di volte pari al valore della cifra risultante;

e) poni una moneta sotto il bicchierino sul quale si è fermato il tuo conteggio. 6. Voltatevi verso il tavolo e, senza esitazione alcuna, sollevate il bicchierino sotto il quale si trova la moneta. A tale scopo, tenete presente che, al termine di tutte le operazioni sopra descritte, se non saranno stati commessi errori, il bicchierino sotto il quale si troverà

la moneta sarà sempre quello posto in basso a sinistra.

Per dimostrare che non avete indovinato per caso, potete replicare questa stessa performance, con altri spettatori, una quantità di volte a vostra discrezione. Spiegazione del trucco

In base a una curiosità matematica di antica data (risalente ai tempi di Tutankhamon?), scelti due numeri interi qualsiasi, o almeno uno dei due è un multiplo di 3, oppure lo è la loro somma o la loro dif-

ferenza. Quindi, essendo sicuri che, tra i quattro numeri: X, Y, (X+Y) e (X–Y), uno almeno è multiplo di 3, deve essere un multiplo di 3 anche il loro prodotto: P = XY(X+Y)(X–Y). Considerando che: (X+Y)(X–Y) =, si può porre: P = XY(X+Y) (X–Y) = XY(X2–Y2); ovvero: P = X3Y–XY3. Di conseguenza, indipendentemente dai valori di X e Y (purché X > Y), il numero P risultante dalla nostra formula sarà sempre un multiplo di 3. Siccome, per un noto criterio di divisibilità, la somma delle cifre di un multiplo di 3 è ancora un multiplo di 3, il risultato delle operazioni che abbiamo fatto svolgere allo spettatore potrà essere uguale solamente a: 3, 6 o 9. Per cui, il conteggio effettuato sui bicchierini, finirà inevitabilmente su quello in basso a sinistra (cioè il terzo in quest’ordine).


Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 5 marzo 2018 • N. 10

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Ambiente e Benessere Mamma Edredone tiene i suoi pulcini vicino a sé per riscaldarli e proteggerli dai predatori. (Franco Banfi)

Questione di sopravvivenza

Reportage I cambiamenti climatici influenzano anche gli ecosistemi marini artici, ciò che mette in difficoltà

la fauna delle zone glaciali nei periodi di riproduzione Sabrina Belloni L’Artico è sicuramente uno dei luoghi al mondo più inospitali. Eppure, sorprendentemente, durante i mesi estivi numerose specie di uccelli marini, balene, pinnipedi e altri animali, percorrono migliaia di chilometri migrando dalle zone temperate alle acque glaciali, ove trovano abbondanza di cibo e condizioni idonee a riprodursi. Tuttavia, anche gli ecosistemi marini artici si stanno lentamente modificando in risposta al riscaldamento globale. All’aumentare delle temperature dell’aria e dell’acqua, la direzione e l’intensità dei venti predominanti cambiano. Di conseguenza varia la dinamica delle formazioni di ghiaccio, la loro circolazione idrografica, lo scioglimento, la salinità dell’acqua, la penetrazione della luce nell’ambiente oceanico e i nutrienti disponibili. I ricercatori stanno riscontrando un progressivo spostamento da un sistema di acqua gelida con abbondanza di biomassa nella comunità bentonica (a stretto contatto con i fondali o con supporti solidi), a un sistema di acqua più temperata con biomassa distribuita nella colonna d’acqua, e stanno analizzando gli effetti a lungo termine che tale mutamento sta producendo e la risposta della fauna selvatica. A causa dell’aumento delle temperature, della minore superficie ghiacciata, dell’assottigliamento della banchisa e della conseguente maggiore penetrazione della luce solare, l’annuale produzione di alghe è aumentata del 47 per cento fra il 1997 ed il 2015, e inoltre questo fenomeno inizia precocemente ogni anno. Le alghe aderiscono alle superfici immerse degli iceberg e della banchisa e vengono trasportate lungo le loro rotte finché il ghiaccio si scioglie e sono liberate nella colonna d’acqua. Esse sono alla base della catena alimentare artica: vengono ingerite dal krill e dai copepodi (zooplancton), che a loro volta nutrono sia balene sia molluschi mitili e altri invertebrati, i quali sono predati dagli uccelli marini e dai pinnipedi, che vengono cacciati dai mammiferi (prevalentemente volpi artiche e orsi polari). Un caso curioso riguarda gli uccelli marini, e in particolare l’interazione fra gli edredoni comuni (Somateria mollissima, la più grande anatra dell’emisfero settentrionale), i gabbiani e le volpi artiche. Durante la stagione degli

Il gabbiano glauco è considerato uno dei principali predatori dell’Artico; qui setaccia i nidi degli Edredoni in cerca di uova. (Franco Banfi)

Uno stercoraro viene messo in fuga da un Edredone che difende il suo nido. (Franco Banfi)

amori, gli edredoni formano coppie e migrano verso i territori artici di riproduzione, dove si nutrono tuffandosi sino a 20 m di profondità, alla ricerca di molluschi e mitili di cui sono ghiotti. Giungono in Artico a primavera, ma attendono lo scioglimento del ghiaccio per costruire il nido sulla terraferma e sulle scogliere. All’inizio dell’incubazione, i maschi abbandonano le femmine e si riuniscono in gruppi, lasciando alle partner tutti gli obblighi parentali di cura e difesa dei pulcini dai predatori. Il nido è rivestito prima con detriti vegetali e poi imbottito scrupolosamente dalla edredone femmina con le soffici piume che cadono dal petto e che hanno una caratteristica unica di fortissima coesione fra loro, per riparare le uova dalle sferzate dei venti artici. La femmina depone una media di 4/6 uova e inizia l’incubazione, che dura mediamente 25 giorni. Come strategia di sopravvivenza, le edredoni si riuniscono in grandi colonie, che possono comprendere sino a 10-15mila individui, ove collaborano per dissuadere i predatori, riducendo l’area di esposizione e pertanto il rischio per i pulcini di essere predati dai gabbiani e dalle volpi artiche. I gabbiani agiscono d’astuzia: mentre un paio di esemplari attaccano la femmina edredone per farle abbandonare il nido, altri gabbiani irrompono sulle uova rompendone il guscio, oppure sui pulcini indifesi alla schiusa. Le volpi artiche invece attendono che la femmina si allontani per saccheggiare il nido e assicurarsi le calorie necessarie alla propria sopravvivenza. Spesso le volpi nascondono le

ducono in condizioni ambientali più ostili alla sopravvivenza, e gli edredoni appartengono a questa categoria. Il tempo di cova è più lungo, i pulcini nascono molto evoluti, con gli occhi aperti e sono già ricoperti di un piumaggio abbastanza sviluppato, che in poche ore asciuga e che li tiene sufficientemente caldi senza che debbano essere costantemente scaldati dalla madre. Ciò consente loro di abbandonare il nido poche ore dopo la schiusa delle uova. Nelle specie «inette» invece, i pulcini vengono al mondo senza piumaggio, ciechi e incapaci di camminare. Per queste caratteristiche, devono rimanere nel nido e sono totalmente dipendenti dai loro genitori. Il 50 per cento circa delle specie di uccelli artici rientrano nella categoria precoce, rimangono nelle uova 3 o 4 settimane. Il maggior periodo di incu-

uova in anfratti del terreno per conservarle e cibarsene durante l’inverno. In passato, le uova degli edredoni venivano raccolte abbondantemente anche dagli abitanti della Groenlandia e dell’Islanda, oltre che dai balenieri, dove queste grandi anatre costituiscono ancora oggi delle vaste colonie. Recentemente in Islanda, è stata predisposta una delle zone di cova più grandi al mondo, riuscendo perfettamente a integrare e promuovere l’equilibrio riproduttivo delle anatre con la tradizionale raccolta del piumaggio dai nidi, la quale oggi avviene sotto il controllo delle autorità, dopo che i nidi vengono abbandonati dalla femmina e i pulcini sono in grado di volare. I piccoli degli uccelli si possono suddividere in due grandi tipologie: nidifughi (o precoci) e nidicoli (o inetti). Solitamente le specie precoci si ripro-

La furbizia della volpe artica a caccia di uova sovrasta ogni possibilità di sopravvivenza. (Franco Banfi)

bazione richiede che la madre deponga le uova il più presto possibile, quando il clima è ancora molto freddo. All’interno delle uova, gli embrioni si alimentano con i grassi e le proteine ivi contenuti, e quindi i pulcini usciranno già capaci di camminare e allontanarsi dal nido, seguendo la madre e non separandosene nei primi giorni di vita. Gli anatroccoli appena nati sono naturalmente predisposti a seguire il primo soggetto in movimento, che nella maggior parte dei casi è la madre: se vengono separati dalla figura materna dopo aver acquisito questo imprinting, essi la cercano attivamente, emettendo richiami. I vantaggi delle specie precoci diventano evidenti quando le uova si schiudono. I pulcini possono camminare e correre, i componenti di una famiglia si disperdono in diverse direzioni quando un predatore si avvicina, in modo che nel peggiore dei casi il predatore riuscirà a fare solo una vittima. I predatori più comuni sono le volpi artiche, ermellini, stercorari e gabbiani. Tuttavia è pericoloso per i pulcini continuare a correre. Per un pulcino, la miglior tecnica di sopravvivenza è quella di fermarsi e rimanere immobile, diventando invisibile. Le specie che eccellono in questo comportamento hanno minore probabilità di essere catturate come altri piccoli e colorati animali tipo lemmi o altri roditori, che invece corrono tra l’erba per scappare dal pericolo. Questi ultimi non hanno l’istinto di bloccarsi e rimanere immobili. Sparpagliandosi in diverse direzioni, inoltre, i pulcini delle specie precoci non competono tra loro per il cibo.


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Ambiente e Benessere

Pesce spada in salsa verde

Migusto La ricetta della settimana

Piatto unico Ingredienti per 4 persone: 2 cc di capperi ·2 rametti di dragoncello ·1 mazzetto di

migusto.migros.ch/it/ricette Per diventare membro di Migusto non ci sono tasse d’iscrizione. Chiunque può farne parte, a condizione che un membro della sua famiglia possieda una Carta Cumulus.

prezzemolo · 8 c d’olio d’oliva · 1 cc di senape granulosa · ½ limone · fleur de sel · 2 spicchi d’aglio · 800 g di cime di rapa · 4 fette di pesce spada di circa 180 g ciascuna. 1. Sciacquate i capperi con acqua fredda. Tritate finemente le erbe e i capperi e mescolatele con la metà dell’olio e la senape. Unite la scorza di limone grattugiata finemente. Condite la salsa con il sale. 2. Tagliate l’aglio a fettine sottili. Mondate le cime di rapa ed eliminate le foglie più grosse. Riducete il resto a pezzetti, anche i gambi. 3. Rosolate il pesce spada in una padella antiaderente, nell’olio rimasto, per circa 1 ½ minuti per lato. 4. Togliete il pesce dalla padella. Nella stessa fate appassire l’aglio e le cime di rapa per alcuni minuti. Salate. Accomodate le fette di pesce sulla verdura, mettete il coperchio e lasciate cuocere ancora per 2-3 minuti. Servite la salsa verde separatamente.

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Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 5 marzo 2018 • N. 10

(N. 5 - ... cavalieri sulle sta e in battaglia)

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Ambiente e Benessere

Ex coniugi litigiosi contribuiscono alla conquista di ben 15 medaglie 1

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C A V A M P 7 8 9 A L I P E R 10 11 12 I A T O S U 13 14 R A L Ei rossocrociati R Sportivamente Ai Giochi olimpici invernali disputati nella contea coreanaO di Pyeongchang 15 18 19 20 si battono al meglio e tornano a casa con16un 17 bottino inatteso ma più che meritato I L E S I T A R E 21 22 23 24 25 F O F E T A I N balta ai Giochi, mancando la medaglia Tra le altre vittorie che non mol26 27 28 29 30 31 Alcide Bernasconi d’oro contro i russi dopo essersi trovati ti si attendevano, ecco l’engadinese di R B A T Scuol, Nevin I T E N Sapete che cosa significano le Olimpia- ancora in vantaggio di un gol a un miGalmarini, imporsi nel 33 34 35 36 di per un vecchio che se ne sta seduto in 32 nuto dal prolungamento, per Fischer gigante parallelo dello snowboard, A L A C R E A G haLconqui-I poltrona in attesa che non si muovano sembrava tutto ok. All’esordio contro mentre Marc Bischofberger soltanto i sassi del curling e le scopette 37 un modesto Canada, gli svizzeri si sono stato l’argento nello skicross, cui s’ag38 che cercano di rendere più facile, nelle invece squagliati subito e contro gli avgiunge l’oro inatteso vinto dal C U N E A T O O RvallesaO intenzioni dei competitori, il loro avvi- versari più forti non c’è stata storia. La no Ramon Zenhäusern nello slalom,

cinamento alla «casa»? Ebbene, in tre parole: una fatica pazzesca. Ciò per via degli orari strampalati per un normale telespettatore (la Corea del Sud è laggiù e noi, chiaramente, siamo qui), cui vanno aggiunti, nelle prime giornate, i rinvii nello sci alpino causati da un vento freddissimo. Sono così saltati i primi appuntamenti che dovevano accendere l’interesse dei telespettatori con le cosiddette gare veloci. Olimpiadi stranissime, con la bella neve bianca sul tracciato delle varie gare e, appena un centimetro più in là, un paesaggio invece terroso che faceva a pugni con quello delle discese e degli slalom. Anche per la prima partita di hockey dei rossocrociati l’attesa è stata lunga, ma unicamente a causa della programmazione e la Svizzera non avrebbe fatto una bella figura dopo le ultime amichevoli in casa: gioco spesso improvvisato e la solita difficoltà nella trasformazione in rete di alcune belle triangolazioni. Il coach elvetico, però, aveva promesso ben altro. Anche dopo le ultime due gare di preparazione perse all’overtime (1-2) a Kloten contro i tedeschi, saliti prepotentemente alla ri-

Giochi Cruciverba «Ieri siamo andati tutti a cena da Carlo, dovevamo preparare il risotto e nella ricetta c’era scritto...» Trova il resto della frase risolvendo il cruciverba e leggendo le lettere evidenziate. (Frase: 2, 5, 1, 5, 2, 1, 9, 2, 5)

formazione è da rivedere e, se possibile, rinforzare. Insomma, per il vecchio spettatore, le cose non stavano mettendosi bene. In più, nel doppio misto del curling dovevamo puntare su una coppia strana, separata nella vita da un 1 divor2 zio e che, pare, anche nella contea di Pyeongchang, nel privato e non solo, 7 i due non se le mandavano a dire. Più forte la ex moglie Perret o l’ex marito, lo spagnolo Rios? Inutile farsi domande 9 del genere nel dormiveglia quasi ininterrotto davanti al teleschermo. Non c’è però sfuggita la vittoria degli azzurri contro i curlisti svizzeri: per noi pareva un12brutto13segnale 14 d’allarme. E invece 15 no. A dare un colpo di mano agli elvetici ci ha pensato... Roger Federer, sì il 16 tennista che ha incantato 17tutto il nostro mondo con i suoi tocchi grazie ai quali, proprio nel periodo dei20Giochi è tor19 nato a essere il numero uno mondiale, superando Rafa Nadal. Già che era lì, 23 Roger ha vinto anche il torneo di Rotterdam! Un chiaro incentivo per i connazionali. 25 A ridare una bella spinta ai nostri, ecco anche Dario Cologna, non più giovanissimo neppure lui, che ha con-

(N. 6 - Gatto orsino - A quello del pop corn) 3

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G A T T O N I 8 O R SUDOKU O SPER I AZIO C 10 L A N A N O N. 5 FACILE 11 A Schema M A N O N Jenny Perret e Martin Rios, affiatati sul ghiaccio, unQ po’ meno Uin famiglia. I (Keystone) Z4 L E O N E 18 quistato per la terza volta consecutiva snowboard) che proprio non conosceB A R M A N il titolo olimpico nella 15 km. Mai suc- vo, cosìU come N i nomi D delle due5 ragazze. cesso prima. A chiudere la serie di medaglie delle 21 22 8Fanny La seconda settimana dei Giochi è ragazze, ci haO pensato la7bionda O L A N C I O L stata caratterizzata dalla grande carica Smith, bronzo nello skicross. 24 svizzera un po’ su tutti i fronti, grazie Mentre sulla pista2della 7 discesa, T facile,Cil piùOforte R D E L I A anche alle splendide ragazze dello sci, apparentemente dida Michelle scesista del momento, ossia il6 bernese 26 Gisin, Wendy Holdener, cui s’aggiungono Sarah Höfflin (oro) e Beat Feuz, ha colto il terzo posto in conE P O P E A C O R N Mathilde Gremaud (argento) nello slo- dizioni difficili, causa il materiale rivepestyle, specialità (di acrobazie con lo

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MEDIO P D U N. N6A 11 Scoprire i 3 1T A E N O7 numeri corretti 14 15 da inserire nelle caselle colorate. ’ U T B 6A S 18 19 2 3 Giochi per “Azione” - Febbraio S Stefania U Sargentini C C O2018 21 O L E R (N. 5 - ... cavalieri sulle sta e in battaglia) 9 C A V A M P S L 4E A L U I P E A R1 26 I A T O S U R I S A O R A L E R 3 5T I L E S I T A R E N S C IO T F O F E T A N 6 R B A T I T E A R I T M 9N I A L A C R E A G L I Soluzione:

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Regolamento per i concorsi a premi pubblicati su «Azione» e sul sito web www.azione.ch

latosi non appropriato.

8 9 4 Vinci una delle 3 carte regalo da 50 franchi con il cruciverba 4 3con il 2 8 dellesi2 ècarte regalo da franchi sudoku (N. 7 - ... un pugno eauna testa... scatenata la50 rissa) 1 6 4 2 5 1 2 3 4 5 6 7 8 Sudoku

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ORIZZONTALI 1. Una gobba nel deserto 4. Lo sportivo che incassa di più… 9. Prefisso che vuol dire vino 10. Correlativo di quam 11. Possessivo francese 12. L’antico «do» 13. Linguaggio di programmazione 15. Pronome poetico 16. Può essere di frutta o del discorso... 18. Abbreviazione di latitudine 20. Incitazione spagnola 21. Tornate alla vita 22. L’America che si adopera... 23. Una figlia di Labano 24. Crescono nell’allegria...

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una specialità che non sembrava adatta alla sua notevole statura. Ed è stato lui a dare la carica alla squadra svizzera, vincitrice del Team Event, nel quale si sono misurati atleti e atlete delle varie nazioni, anche questo un... successone. E stata infatti una grande prova d’assieme contro avversari fra i migliori nelle varie discipline. Per concludere, hanno detto la loro anche i curlisti ginevrini, bronzo dopo una finale tesissima contro il Canada. E i due coniugi litigiosi? Ebbene, Jenny Perret e Martin Rios, nonostante tutto, hanno regalato alla Svizzera la prima di 15 medaglie svizzere ai 23.esmi Giochi olimpici invernali, forse scambiandosi una tenerezza 9 mentre salivano sul5podio, dopo la sconfitta col Canada nella finale del «doppio misto», altra discipli3 eccessivamente 8 na che s’aggiunge al già lungo programma olimpico. 6imPer3 questo5motivo, dopo poche magini della cerimonia di chiusura, il vecchio telespettatore 3 5ha avuto 6 ancora 4 la forza di fare «clik», mentre col pensiero andava a8rincuorare 7 la sfortunata sciatrice nostrana, Lara Gut, che aveva mancato per un solo centesimo la me6 nel super-G. 2 daglia di bronzo

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U G I M T5 5I C 4 6 L A T 9 I N A 1 2 A6 7 4N T 7 2E

N. 7 DIFFICILE

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L E E S E’ I L T E 2

C U N E A T O O R O 26. Torna se ora non c’è... 19. Sono in fin di vita Soluzione della settimana precedente SUDOKU PER AZIONE - FEBBRAIO 2018 27. Attore figlio del celebre Eastwood 21. Tipi di angoli FAUNA E CURIOSITÀ – Altro nome del Binturong: GATTO ORSINO – N. 5 FACILE 29. Frequenti quelle cardiache 22. Prende i voti A cosa somiglia il suo odore: 1A QUELLO4DEL POP-CORN. (N. 6 - Gatto orsino - A quello del pop corn) Schema Soluzione VERTICALI 25. La Sister di un famoso film 1 2 3 4 5 6 4 9 G A T T5 O N I 9 6 4 3 8 9 2 1 7 55 1. Il Dio di Cicerone 28. Sillaba sacra ai buddisti 7 8 2. Intrisi d’olio 5 9 5 1 7 6 4 3 2 8 O R3 O 8 S I C 3. Un avverbio 9 10 7 8 3 5 6 7 8 26 1 3 5 9 4 16 L A N A N O 1 1 11 4. Avverbio di negazione francese 11 2 7 2 7 8 9 1 3 5 6 4 A3 5 M6 A4 N O N 5. Mortificante 12 13 14 15 5 7 Vincitori del concorso Cruciverba 6. Il settentrione d’Italia 3 6 4 5 2 8 7 9 1 Q6 U I Z 8 L7 E O N E 1 1 1 16 18 su «Azione1708», del 19.02.2018 7. Un attore Bruce 1 9 5 4 7 6 8 3 2 U N5 D B6 A R M2 A N 8. Sottile, fragile G. Collavini, S. Garzoni, E. Rizzini 3 1 4 19 20 21 22 8 9 4 5 2 6 3 8 9 4 1 7 1 1 1 O O L A N C I O L Vincitori del concorso Sudoku 10. Essenza cosmica nella filosofia cinese 24 13. Dispari nelle buche su 23«Azione 08», del 19.02.2018 4 T3 C2 O R D E8 L I A 6 4 73 7 2 5 1 86 8 9 25 26 14. Se abbaia non morde L. Schumacher, M. Zafferri 1 1 1E1 P O6 P4 E A2 5 C3 O R N 8 1 9 6 4 7 2 5 3 17. Vi si dividono gli studenti 8 4 6 N. 6 MEDIO I premi, cinque carte regalo Migros Partecipazione online: inserire la 7luzione,1 corredata da nome, è possibile 5 cognome, 7 4 un 1 pagamento 9 6 3 in2 contanti 5 8 8 deve dei premi. 6 I vincitori 2 del valore di 50 franchi, saranno sor-(N. soluzione del cruciverba o del indirizzo, saranno avvertiti 7 - ... un pugno a testa... si èsudoku scatenata la rissa)email del partecipante 6 5 4 9 8 6 2 5 1 3 4 sarà 7 teggiati tra i partecipanti che avranno nell’apposito formulario pubblicato essere spedita a «Redazione Azione, per iscritto. Il nome dei vincitori 1 2 3 4 5 6 7 8 4 5 6 9 1 fatto pervenire la soluzione corretta sulla pagina del sito. Concorsi, Lugano». D2 U3 NC.P. A 6315,P66901 U G I L2 Epubblicato 4 5 2 su3«Azione». 9 8 7 Partecipazione 10 entro il venerdì seguente la pubblica-9 Partecipazione postale: 11la lettera o Non si intratterrà corrispondenza sui riservata esclusivamente a lettori 6 7 2 3 8 5 9 1 che 4 E N O T A9 M T E S zione del gioco. la cartolina postale che concorsi. Le vie legali sono escluse. Non risiedono in Svizzera. 114 riporti 12 13 15 la so3 9 4 7 1 2 8 6 5 ’ U9 T B1 A2 S I C E’ I

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Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 5 marzo 2018 • N. 10

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Politica e Economia La macelleria siriana Il Paese di al-Assad non è solo terreno di scontro fra alleanze rivali ma è anche un gravissimo dramma umanitario

L’Egitto verso le elezioni Il regime ha eliminato ogni forma di opposizione credibile e tutti i potenziali candidati pericolosi per Al Sisi sono stati costretti a ritirarsi dalla corsa presidenziale

Aiuti umanitari Charities nei guai per lo scandalo degli abusi sessuali ad Haiti che ha travolto la Ong britannica Oxfam

I conti delle SUPSI Avenir Suisse ha messo sotto la lente i costi delle scuole professionali universitarie

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Xi Jinping, dittatore a vita Cina Il Comitato Centrale del Partito

Beniamino Natale Xi Jinping, l’«uomo forte» cinese, è a un passo dal raggiungere l’obiettivo che ha perseguito da quando, molti anni fa, ha cominciato la sua scalata al potere assoluto. Dal 2012 Xi ricopre le tre cariche più importanti della Cina, quelle di segretario del Partito Comunista Cinese, presidente della Repubblica Popolare e capo delle forze armate. Per evitare il concentramento del potere nelle mani di un solo uomo, fu introdotta poco dopo la morte di Mao Zedong, fondatore della Cina comunista, una regola secondo la quale quelle tre cariche possono essere assegnate alla stessa persona solo per due mandati consecutivi di cinque anni ciascuno. L’esistenza di questo limite è stata considerata da sinologi, imprenditori e politici stranieri la prova che la Cina era avviata a diventare un paese relativamente libero, a procedere gradualmente ma senza tentennamenti sulla strada della legalità e della modernità, un paese pronto a uscire dall’isolamento e a prendere il posto che gli spetta nella comunità internazionale. Ora il Comitato Centrale ha proposto che il limite dei due mandati quinquennali venga abolito. Per dirla con il «Global Times», il quotidiano che esprime le opinioni dell’ala dura e nazionalista del partito, «la proposta comprende l’aggiunta alla Costituzione del Pensiero di Xi Jinping sul Socialismo con Caratterische Cinesi per una Nuova Era e la rimozione dell’espressione di limiti temporali per il presidente e il vice-presidente del paese». Guarda caso, il giornale ha affidato la spiegazione di questa «proposta» a Su Wei, un intellettuale che nel recente passato è stato tra gli entusiasti sostenitori di un altro aspirante uomo forte, Bo Xilai, che oggi è in prigione dopo aver perso la lotta per il potere che aveva ingaggiato proprio con Xi Jinping. «In particolare nel periodo dal 2020 al 2035, che è un periodo cruciale per la realizzazione della modernizzazione socialista – afferma Su – la Cina e il partito hanno bisogno di una leadership stabile, forte e coerente». In altre parole povere: Xi rimarrà al potere per un periodo indefinito, probabilmente a vita. Oggi ha 64 anni. La «proposta» del CC deve essere approvata nelle prossime settimane dall’Assemblea Nazionale del Popolo, il

Parlamento «con caratteristiche cinesi» che non ha altro ruolo che quello di ufficializzare le decisioni del CC: nessun dubbio sul fatto che la confermerà. Secondo il ragionamento dei numerosi «amici» di Xi, la Cina ha conosciuto il suo miracolo economico dopo che Deng Xiaoping aveva smantellato i centri del potere maoista. Il gruppo dirigente ha quindi deciso che era necessaria una dirigenza collettiva che impedisse l’accentramento del potere nelle mani di un solo uomo. Dopo Mao, Deng. Dopo Deng, Jiang Zemin. Dopo Jiang, Hu Jintao. Ogni successivo leader aveva meno potere del precedente e la permanenza della leadership collettiva avrebbe dovuto essere assicurata dalla norma che stabiliva il limite dei due mandati quinquennali per il leader supremo, una figura della quale non sembra possibile fare a meno in Cina e in altre culture asiatiche. Jerome Cohen, lo studioso americano considerato il massimo esperto vivente del sistema legale cinese, ha così commentato: «(la proposta del CC) significa che il Partito Comunista Cinese ha dimenticato la lezione del lungo dispotismo di Mao». «Questo ci spinge a pensare a Chiang Kai-shek (il «generalissimo» che, sconfitto dai comunisti, instaurò una feroce dittatura a Taiwan), a Yuan Shikai (il generale che da repubblicano si trasformò in aspirante imperatore dopo la sconfitta dell’ultima dinastia) o, prendendo in considerazione altri paesi asiatici, al dittatore filippino Ferdinand Marcos e al sudcoreano Park Chung-hee. Certamente, alcuni hanno sottolineato che l’esempio di Vladimir Putin potrebbe avere fortemente influenzato Xi ». Secondo Cohen la riforma creerà «brontolii e preoccupazioni» nell’élite cinese e tra gli intellettuali, «specialmente perché nello stesso gruppo di “proposte” del CC con le quali è stato eliminato il limite ai mandati è stata confermata la creazione della National Supervisory Commission», una sorta di super-governo, che renderà il regime più repressivo e più libero da obblighi legali che mai, imponendo quella che equivale ad una «inquisizione con caratteristiche cinesi». Gordon G. Chang, uno studioso molto critico verso Pechino, ha ricordato che dalla Cina, tra il 2015 e il 2017, non solo sono stati esportati capitali per oltre due trilioni di dollari ma che «ri-

AFP

comunista ha deciso di non limitare a due mandati la carica del presidente. L’attuale leader potrebbe restare presidente ancora per moltissimi anni

cerca dopo ricerca, alcune condotte da organismi statali cinesi, risulta che circa la metà dei ricchi ha programmato di emigrare nei prossimi cinque anni». Nella sua «lotta alla corruzione», un’etichetta che appare sempre più come la copertura di purghe in stile staliniano, Xi ha colpito 1,5 milioni di funzionari, a tutti i livelli del partito/ stato. Il recente arresto di Wu Xiaohui, fondatore della conglomerata Anbang, proprietaria tra l’altro del Waldorf Astoria di New York e oggetto dei desideri di Jared Kushner, il rampante genero del presidente americano Donald Trump, indica che Xi non si ferma davanti agli intoccabili dei decenni passati e che nessuno si può sentire al sicuro – una tattica che ancora una volta non può non ricordare Josif Stalin. Wu è infatti sposato con una nipote di Deng Xiaoping. Altre imprese facenti capo a parenti e/o alleati di Deng e dell’exprimo ministro Wen Jiabao, sono finite nel mirino dell’uomo forte: la Wanda Dalian, la HNA, la Ping An, ecc.

Difficile dire dove sia finita l’ala veramente riformista del PCC, quella che fin dal 1989, dopo il massacro di studenti e cittadini di piazza Tienanmen, ha cercato di portare gradualmente la Cina verso la supremazia della legge e, se non proprio verso la democrazia, certamente verso una società nella quale dovrebbero avere diritto di cittadinanza la libertà di opinione e di parola. Di questa ala del partito – che certamente esiste e conta un alto numero di aderenti, a tutti i livelli – non si sente parlare almeno dal 2008, quando i supposti riformisti Hu Jintao (allora segretario del PCC e presidente della Repubblica) e Wen Jiabao (allora primo ministro e «uomo immagine» del Paese) hanno iniziato la marcia verso il ritorno all’assolutismo che oggi viene coronata da Xi Jinping. La determinazione di Xi è pericolosa anche e forse soprattutto sul piano internazionale, e in particolare su quello regionale. Intellettuali e militari «vicini» a Xi – gli unici dei quali oggi è possi-

bile sentire le opinioni – hanno indicato che un attacco militare a Taiwan è possibile nei prossimi anni. L’ isola si è oggi trasformata in una vibrante democrazia nella quale la maggioranza dei cittadini non ha alcun interesse a «riunificarsi» (in realtà Taiwan è stata parte della Cina solo in periodi brevissimi e lontani nel tempo) con la «madrepatrtia» retta da una dittatura non dissimile da quella che fu esercita su di loro da Chiang Kaishek fino a pochi decenni fa. Altri possibili punti di conflitto sono il Mar della Cina meridionale – che Pechino ha militarizzato negli anni scorsi ignorando le proteste degli altri paesi rivieraschi – e le dispute territoriali con l’India, una potenza storicamente e oggettivamente rivale che è entrata a far parte del Quadrilateral o Quad – cioè l’alleanza economica e militare tra Usa, Giappone, India e Australia che riunisce la democrazie che si affacciano sul Pacifico e che è una delle principali iniziative di politica internazionale del presidente Trump.


Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 5 marzo 2018 • N. 10

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Politica e Economia

La Siria nell’era post-Isis

Scenari mediorientali L a rete di schieramenti e alleanze internazionali si è indebolita e ogni singola potenza

ha incominciato a tutelare i propri interessi. Prima fra tutte la Turchia che sta occupando l’enclave curda di Afrin in Siria Marcella Emiliani Sconfitto l’Isis, oggi in Siria si combatte su due fronti caldi: il cantone curdo di Afrin, invaso il 20 gennaio scorso dalla Turchia, e la circoscrizione della Ghouta orientale alla periferia di Damasco. Sembrano due guerre differenti, ma in realtà non lo sono. Ufficialmente il governo turco sostiene che il proprio intervento in Siria serve a «preservare l’integrità territoriale del Paese» e a sostenere i ribelli siriani contro le Unità di difesa del popolo curdo (Ypg) nel Kurdistan siriano. In realtà Ankara, appoggiata da una nebulosa di gruppi oppositori del regime di Bashar al-Assad più o meno affiliati al Libero Esercito di Siria, intende sottrarre ai curdi dell’Ypg il controllo del cantone di Afrin prima di tutto perché li considera «terroristi» per la loro collaborazione coi curdi turchi del Pkk, il Partito dei lavoratori del Kurdistan – fuorilegge in Turchia dal 1984 –, e in secondo luogo per impedire che il cantone di Afrin (ad ovest dell’Eufrate) riesca ad unirsi agli altri due cantoni del Kurdistan siriano ad est dell’Eufrate, Qamichli e Kobane, realizzando così la contiguità territoriale fra i tre cantoni di quella che nel 2014 gli stessi curdi siriani hanno proclamato la Federazione democratica del nord della Siria alias Rojava, autonoma di nome e di fatto. E un Kurdistan siriano unito, autonomo o indipendente potrebbe invogliare i curdi turchi ad imitare il suo esempio. Attenzione ora al gioco a geometria variabile delle alleanze sul terreno. I due cantoni curdi ad est dell’Eufrate, Qamichli e Kobane, erano e sono protetti dagli americani, mentre Afrin fino al 20 gennaio scorso, quando è iniziata l’Operazione Ramoscello d’ulivo, era monitorato da un contingente di terra russo. Tutti schieramenti creati da quella che era la priorità delle priorità in Siria fino al dicembre dello scorso anno ovvero la lotta all’Isis o Daesh che dir si voglia. Una volta sconfitto l’Isis questa rete di schieramenti si è indebolita e ogni singola potenza intervenuta nel carnaio siriano ha cominciato a tutelare prima di tutto i propri interessi nazionali anche a costo di entrare in conflitto con gli alleati. Sotto questo profilo quella che ha rischiato e rischia di più è proprio la Turchia. È un’ alleata storica degli Stati Uniti e membro della Nato, ma non accetta la protezione, l’addestramento e le forniture di armi che gli Usa hanno garantito e garantiscono alle Unità di difesa del popolo curdo (Ypg) in funzione anti-Isis. Non dimentichiamo che le Ypg dal 2014 sono state in prima fila nella lotta al Daesh. Ed è proprio per questo che Washington le continua ad appoggiare, perché in Siria le priorità degli Stati Uniti sono impedire che l’Isis rinasca dalle sue ceneri e al tempo stesso «contenere» l’Iran. La Turchia, però è alleata anche della Russia di Putin e fa parte della troika Russia-Turchia-Iran che lo scorso anno ha negoziato la creazione in Siria di quattro de-escalation zones, in

Ghouta, dopo i bambardamenti dei jet siriani e russi, assomiglia a un inferno in terra. (AFP)

cui le armi dovrebbero tacere; troika che si ripropone sempre unita quando si tratta di difendere Bashar al-Assad, ma i suoi membri in realtà perseguono obiettivi diversi. Russia e Iran hanno tutto l’interesse a tenere in piedi il regime di Damasco, la Russia perché attraverso la Siria di Bashar è tornata ad essere una potenza di peso nell’intero Medio Oriente e a ottenere basi sul Mediterraneo; l’Iran per realizzare quella direttrice sciita che gli consente di raggiungere il Mediterraneo e minacciare Israele via Siria-Libano-Gaza. La Turchia invece è di tutt’altro parere: intanto sta occupando una fetta di Siria con la collaborazione del Libero Esercito di Siria, nemico di Bashar, e il suo fine ultimo sembra tornato ad essere la caduta del dittatore di Damasco, come lo era nel 2011 quando, per abbattere Bashar, armava e sosteneva l’Isis dietro le quinte sperando che facesse il lavoro sporco in sua vece. Sbagliando calcoli. Per tornare ad Afrin, prima di intervenire Erdoğan si è visto costretto non solo a volare a Mosca da Putin per chiedergli di spostare il contingente russo dall’area – cosa che Putin ha fatto – e a telefonare più volte a Trump per evitare che le sue truppe o i suoi jet entrassero in collisione con il sistema di «copertura» che gli americani ancora garantiscono ai curdi. Curdi che, non sentendosi sostenuti a dovere dai loro alleati (Russia e Stati Uniti) come quando combattevano l’Isis, per difendersi dalla Turchia si sono rivolti nientemeno che a Bashar al-Assad che non più tardi del 21 settembre ha inviato contingenti militari a dar man forte alle Unità di difesa del popolo curdo (Ypg) e a pattugliare la frontiera con la Turchia. Il rischio così è diven-

tato quello di uno scontro tra turchi e siriani con un certo sconcerto nell’area e a livello internazionale. Stando alle fanfare di Ankara l’Operazione Ramoscello d’ulivo starebbe andando a gonfie vele, la Turchia avrebbe conquistato ben 300 km quadrati nell’area di Afrin, ma il nervosismo di Erdoğan, e il suo dover giocare su troppi tavoli indicano piuttosto una strategia confusa dai pericolosi risvolti internazionali ma anche interni nella misura in cui il numero delle bare rimpatriate dal Kurdistan siriano si moltiplicano. Nel frattempo l’avventura turca ad Afrin nell’attenzione internazionale è stata surclassata dal dramma che si sta consumando nella circoscrizione della Ghouta orientale alle porte di Damasco. Ghouta, a differenza di Afrin, è compresa in una delle quattro de-escalation zones, e a venir meno al divieto di intervenire in armi nell’area sono stati l’esercito siriano, la Russia e l’Iran con i suoi figliocci libanesi, gli Hezbollah. Come promesso, una volta sconfitto il terrorismo islamico dell’Isis, Bachar al-Assad si è impegnato a stanare «metro per metro» tutti gli altri «terroristi» cioè gli oppositori al suo regime che dopo il repulisti fatto dall’esercito siriano e alleati nell’area di Idbil (altra de-escalation zone violata), dall’inizio dell’anno si sono ammassati proprio nella Ghouta orientale. E come è nel suo stile Bashar usa tutti i mezzi più barbari per raggiungere l’obiettivo: assieme all’aviazione russa, i suoi jet effettuano bombardamenti quotidiani tanto da trasformare Ghouta nell’«inferno in terra» come ha denunciato il segretario generale dell’Onu António Guterres. I 400’000 abitanti della circoscrizione

sono costretti a vivere nelle cantine o in rifugi improvvisati nel sottosuolo, i cadaveri imputridiscono per strada e mancano totalmente l’acqua, il cibo e l’elettricità. A farne le spese, come al solito, sono i più deboli: dal picco dell’offensiva governativa il 18 febbraio al 28, secondo l’Osservatorio siriano per i diritti umani i morti sono stati quasi 600, di cui almeno un quarto bambini, e più di 2500 i feriti. E dire che, sfidando i continui veti della Russia, il Consiglio di sicurezza dell’Onu il 25 febbraio era riuscito ad approvare la risoluzione n. 2401 che avrebbe dovuto imporre a Ghouta (ma anche ad Afrin) una tregua umanitaria parziale di 30 giorni – a partire dal 27 – per consentire dalle 9 alle 14 l’evacuazione dei feriti più gravi e dei civili. Niente da fare. La tregua è stata violata lo stesso 27 febbraio e sempre il 27 sono arrivate altre due notizie ferali. Il «New York Times» ha raccontato di aver preso visione di un rapporto inedito dell’Onu in cui si rivela che a fornire alla Siria materiali per la fabbricazione di armi chimiche (come «pannelli, termometri e valvole resistenti all’acido») sarebbe stata la Corea del Nord e tecnici missilistici nordcoreani sarebbero stati visti in complessi industriali «notoriamente usati in passato nella produzione di armi chimiche». In pratica, nonostante Bashar al-Assad nel 2013 – dopo aver gasificato la popolazione dei sobborghi orientali di Damasco – si fosse impegnato a distruggere i propri impianti e arsenali chimici, impresa completata nel 2014, avrebbe bellamente continuato a produrre questo tipo di armi di distruzione di massa. Tra il 2012 e il 2017, stando

all’Onu, sarebbero avvenute almeno 40 consegne di componenti missilistiche e materiali «doppio uso» militare-civile da parte della Corea alla Siria. Nessuno degli osservatori ha però da esibire prove incontrovertibili che il regime di Damasco produca effettivamente armi chimiche, ma il 13 febbraio e ancora il 26 i cittadini di Ghouta hanno denunciato l’uso di bombe al cloro con vecchi e bambini ricoverati nei pochi ospedali rimasti con sintomi di soffocamento. L’altra notizia sconfortante è arrivata dalla BBC di Londra. Anche in Siria si sarebbero verificati abusi sessuali sulle donne da parte di cooperanti internazionali che in cambio degli aiuti pretendevano favori particolari. Se si pensa che in Siria gli aiuti arrivano col contagocce ed è difficile distribuirli anche tra gli sfollati e i rifugiati si ha la misura del degrado morale che le guerre portano con sé. Non bastassero quelle già in corso, in Siria sembra infine profilarsene un’altra. Il 28 febbraio la Fox News americana ha trasmesso immagini satellitari di quella che la rete televisiva ha definito «una nuova base militare dell’Iran in Siria» nei pressi di Damasco, «con depositi grandi abbastanza da contenere missili in grado di colpire Israele». Tra Israele e l’Iran la tensione è al calor bianco da un mese, ma fino ad oggi nessuno dei due paesi ha mostrato fretta per arrivare a uno scontro diretto. Il clima in Siria però è ormai tale che il minimo incidente o pretesto può scatenare altri inferni. Nell’era post-Isis infatti le potenze mediorientali hanno scelto proprio il cadavere della Siria per sfrenare i propri appetiti o regolare vecchi conti. Annuncio pubblicitario

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Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 5 marzo 2018 • N. 10

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Politica e Economia

Voto bulgaro in Egitto Presidenziali del 26 marzo I l Paese è in grandi difficoltà economiche e sta vivendo una preoccupante

involuzione autoritaria, nella quale è stata eliminata ogni forma di opposizione credibile Costanza Spocci «Il regime ha eliminato ogni forma di opposizione credibile e tutti i potenziali candidati pericolosi per Al Sisi sono stati brutalmente costretti a ritirarsi dalla corsa». Nathan J. Brown, analista del Carnegie Endowment e professore alla George Washington University, commenta secco l’avvicinarsi delle elezioni presidenziali egiziane del prossimo 26-28 marzo: «Il regime voleva che si presentasse un candidato debole, che raccogliesse solo una manciata di voti per legittimare le elezioni». Ed è proprio quello che è successo. L’unico sfidante di Al Sisi è un perfetto sconosciuto: Moussa Moustafa Moussa, parlamentare del partito filo-governativo El Ghad, che a metà gennaio si era pubblicamente espresso in favore della candidatura di Al Sisi . Il 29 gennaio, però, a 15 minuti scarsi dalla scadenza ufficiale per la deposizione delle candidature, quando Al Sisi era ancora l’unico candidato in corsa, Moussa si è fiondato in fretta e furia a depositare i suoi documenti all’Autorità Nazionale per le Elezioni. Così 2 febbraio è ufficialmente iniziata la campagna presidenziale 2018. «Ci sono due processi in corso in Egitto al momento», spiega Brown: «Il primo, è che il principale impulso di questo regime è di eliminare la politica dalla vita del Paese». L’apparato ha dunque voluto una campagna presidenziale debole, per mantenere la formalità elettorale, ma svuotandola di significato. Il secondo motivo, dice l’analista, «è che sebbene Sisi sia in una posizione forte, la lotta si gioca all’interno dell’apparato militare e securitario, dove non sono tutti entusiasti dell’attuale presidente». Non è un caso per che i candidati esclusi a forza dalla corsa presidenziale avessero quasi tutti un trascorso nell’establishment. Ahmed Shafiq, ex-generale dell’aviazione, è stato prelevato dalla sua casa di Abu Dhabi per essere deportato al Cairo, dove è stato «trattenuto» in un hotel per diversi giorni senza possibilità di comunicare con l’esterno. Il 7 gennaio si è ufficialmente ritirato dalla corsa elettorale. Sami Anan, ex-Capo di Stato Maggiore, è stato arrestato e processato da un tribunale militare per essersi candidato

contro Al Sisi, a cui imputava strategie di governo difettose che avrebbero sovraccaricato di responsabilità le forze armate e indebolito il settore civile. Il Colonnello Ahmed Konsowa, condannato lo scorso dicembre, dovrà scontare 6 anni in un carcere militare. Persino il nipote dell’ex-presidente Sadat, Mohamad Anwar Sadat, vicino all’intelligence egiziana, è stato escluso dalla corsa. «Erano tutti candidati che costituivano una minaccia proveniente dall’interno dell’apparato statale». Questo, secondo Brown, evidenzia come ci siano diverse fazioni che competono all’interno del regime militare egiziano. Un elemento importante che contraddistingue Abdel Fattah Al Sisi e che spesso viene dimenticato, sottolinea Brown, è che escluso Mohammed Morsi dei Fratelli Musulmani, l’Egitto ha avuto presidenti che «pur facendo parte dell’apparato militare, avevano tutti una propria indipendenza politica». Nasser e Sadat hanno avuto un trascorso politico prima di entrare nell’esercito e persino Mubarak ha ricoperto la carica di vicepresidente prima di diventare capo di Stato. «Per Abdel Fattah Al Sisi il percorso è diverso», dice l’analista, perché è entrato nei militari quando era ancora adolescente, ha servito nell’esercito tutta la sua vita e ha chiesto il permesso dell’establishment militare prima di candidarsi alla presidenza. È sempre stato ed è ancora parte integrante dell’esercito e questo lo pone in una posizione difficile. Perché? I militari in Egitto sono la più grande industria del Paese che detiene almeno il 40% del Pil, e l’attuale presidente egiziano è stato a capo dell’esercito solo dal 2012 al 2014. «È chiaro che Al Sisi non abbia avuto abbastanza tempo per stabilire il proprio dominio e controllare per intero l’apparato militare». C’è poi un altro elemento da considerare, dice Brown: quando l’ex-Federmaresciallo ha deciso di correre alla presidenza i militari sono diventati parte effettiva dell’apparato statale. «Così facendo l’esercito si è esposto politicamente e da istituzione apolitica qual era, è diventato il centro nevralgico del regime». Questo significa che ogni fallimento delle politiche pubbliche del governo, gli incidenti ferroviari o le riforme economiche non

La campagna elettorale è ufficialmente partita il 2 febbraio ma nessuno batterà il quasi candidato unico Al Sisi. (AFP)

riuscite, ricadono per intero sulle spalle dei militari. «È più che normale che alcuni ufficiali indipendenti siano preoccupati dell’andamento del regime», dice l’analista, e a maggior ragione a fronte di un’inflazione montante, accompagnata da politiche di taglio dei sussidi a gas ed elettricità richiesti dal Fondo Monetario Internazionale. A metà 2013, l’ex-presidente Mohammed Morsi era stato fortemente criticato per la forte stagnazione economica, fino alle proteste di piazza che avevano poi aperto la via alla sua deposizione. Allora a 1 euro corrispondevano 9 Lire Egiziane; oggi ne corrispondono 21,8 LE. A questo si aggiungono i burrascosi rapporti con l’Arabia Saudita, che dal 2013 ha iniettato 25 miliardi di dollari nell’economia egiziana, aggiudicandosi il titolo di maggior finanziatore dell’Egitto post-Morsi. Riyadh però non ha ricevuto in cambio la contropartita che si aspettava dal Cairo, cioè le due isole contese del Mar Rosso, Tiran e Sanafir, né un coinvolgimento militare egiziano a fianco dei sauditi in Yemen. Non è perciò scontato che, nonostante le pressioni statunitensi, in futuro l’Arabia Saudita non decida di ridurre i suoi investimenti. «Questo si traduce in una pressione politica per il governo, che gli arriva anche dai suoi sostenitori», tira le somme Brown: la crisi economica ha raggiunto anche le tasche delle classi più abbienti e non dà segni di miglioramento. Un ulteriore banco di prova del

regime sono le operazioni di controterrorismo in Nord Sinai, continua Brown, dove da cinque anni a questa parte si susseguono operazioni contro l’insorgenza islamista che nel frattempo si è ri-denominata Wilayat Sina (ISIS in Sinai). Bombardamenti massicci, forze speciali e fanteria dispiegati sul terreno non sono però serviti a sradicare i gruppi jihadisti. Anzi, gli attentati si sono moltiplicati su tutto il territorio egiziano. In compenso, sono morti centinaia di civili, si contano migliaia di sfollati e le poche immagini che escono dal campo di battaglia mostrano macerie e muri di case diroccate ridotti a colabrodo. A fronte di tutto ciò la strategia in Nord Sinai rimane la stessa. Il 9 febbraio, a una settimana dall’inizio della campagna elettorale, il governo ha rilanciato l’Operazione Sinai 2018: bombardamenti a tappeto massicci con l’utilizzo comprovato di bombe a grappolo. Wilayat Sina intanto ha già risposto alle operazioni, rilasciando un video intitolato «i Protettori della Sharia» in cui minaccia attentati nelle giornate elettorali. «Le repressioni feroci e violente di questi anni hanno lasciato profonde cicatrici nel tessuto sociale e politico di tutto l’Egitto», anche se politicamente il regime sembra aver ottenuto un successo: lo smantellamento dell’organizzazione dei Fratelli Musulmani. La domanda che Brown si pone, è se una parte dei Fratelli sarà in grado di raccogliere i cocci e formare un movi-

mento, seppur più piccolo, in grado di rientrare nella vita politica del Paese. «Ci sono persone nel regime che stanno valutando se permettere la rinascita di un’opposizione con cui si possa dialogare, invece di avere un’insorgenza armata in Sinai e nel resto del Paese». Per il momento però non è un’eventualità che Al Sisi sembra voler considerare. Al contrario, ogni piattaforma politica di opposizione civile viene prontamente repressa: che sia laica, come il movimento che ha sostenuto la candidatura dell’avvocato Khaled Ali, ritiratosi dalla «farsa elettorale», o che sia islamo-liberale, come il partito di Moneim Aboul Fotouh, ex-Fratello Musulmano, arrestato lo scorso 14 febbraio con l’accusa di spargere notizie false contro Al Sisi e di far parte della Fratellanza. «Non credo che ci saranno cambiamenti drammatici nel regime nei prossimi anni», dice Brown, che però specifica: «Il malcontento in Egitto è reale e diffuso». L’analista è convinto che nel lungo periodo l’instabilità del Paese potrebbe scoppiare in maniera più violenta e caotica: «Negli sconvolgimenti del 2011 c’erano forze politiche ben identificate, in grado di giocare nell’arena politica, in particolare i fratelli Musulmani». Ora, dice, «quello che abbiamo è uno scontento afono, senza voci rilevanti che possano articolare un’agenda politica o negoziare per le diverse circoscrizioni elettorali». E le conseguenze, conclude, sono da temere. Annuncio pubblicitario


Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 5 marzo 2018 • N. 10

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Politica e Economia

L’industria degli aiuti umanitari Charities nei guai Lo scandalo degli abusi sessuali ad Haiti ha travolto alcuni collaboratori della Ong britannica

Cristina Marconi Mentre da ogni dove si alzano appelli ad aiutare Ghouta, ultimo epicentro dell’inferno in Siria, le agenzie internazionali vengono travolte dall’ennesimo giro di scandali, quelli riguardanti gli abusi sessuali a cui le donne siriane sarebbero state sottoposte in cambio di aiuti, cibo, passaggi in auto. Non da parte delle stesse Ong ma dei partners locali a cui gli operatori umanitari sono costretti ad affidarsi per avere accesso a certe regioni. Una situazione così diffusa ed endemica, stando alle testimonianze raccolte dalla BBC, che chiunque abbia ottenuto aiuti viene tacitamente accusato di aver venduto il proprio corpo. Non sono passati neanche venti giorni dall’inizio dello scandalo di Oxfam e la vicenda non fa quasi più notizia, andando a colpire un settore che ci metterà anni per ripulire la propria immagine dagli scandali. E a cercare di difendere il proprio operato davanti ai tentativi di screditare tutto il lavoro fatto e, da ultimo, di tagliare quei finanziamenti che molti governi sognano di poter rivolgere altrove, tanto più in una fase di crescita delle destre e dei populismi. La storia tirata fuori dal «Times» l’8 febbraio punta l’indice contro Oxfam, una delle più grandi charities britanniche, e prende slancio dal clima del #MeToo e della lotta alle molestie sessuali per denunciare una storia del 2011, ampiamente risaputa e insabbiata, riguardante alcuni festini che il responsabile per Haiti, il belga Roland van Hauwermeiren, organizzava nella sua villa con ragazze, anche minorenni, pagate in cambio di sesso. L’uomo era stato allontanato dall’organizzazione a suo tempo ma senza che la vicenda fosse resa pubblica per timore di danneggiare la raccolta fondi. Era finito a lavorare per un’altra Ong senza che nessuno avvisasse sui suoi comportamenti, che stando alle ricostruzioni erano comunque noti da tempo, visto che anche in Chad nel 2006 c’erano stati dei precedenti. «Non sono sorpresa, l’industria degli aiuti preferisce il silenzio», spiega

Linda Polman, giornalista olandese e autrice di vari libri di denuncia sull’Onu e sul settore umanitario, tra cui L’industria della solidarietà, del 2009. «Ma anche il giornalismo internazionale ha le sue colpe, i report esistevano, nessuno ha detto niente», prosegue, osservando come «ora che è venuto tutto fuori sono nervosi, sia da destra che da sinistra». Davanti alla gravità delle accuse, Oxfam ha accettato di rinunciare ai finanziamenti statali in attesa che vengano messe in atto misure di salvaguardia sufficienti ad impedire il ripetersi di situazioni come quella di Haiti, tenendo conto del fatto che nelle ultime settimane sono state moltissime le testimonianze di chi ha raccontato quanto il ricorso alla prostituzione sia diffuso da sempre tra i cooperanti. «Ma gli stati non smetteranno mai di finanziare le Ong, che seguono molto spesso un’agenda governativa: un tempo era anti-sovietica, poi anti-Isis, ora antiimmigrazione», per la Polman, che sottolinea come «siamo tutti vincolati dai nostri obblighi internazionali, che sono funzionali alla nostra agenda interna. È molto problematico da un punto di vista etico, ma non finirà. E non sono i 10 euro che versiamo noi a contare – prosegue la giornalista – ma i fondi statali, che non finiranno mai». Certo, l’opinione pubblica conta e ora il settore dovrà darsi una nuova immagine per evitare di perdere prestigio, «ma di questi tempi lo stanno facendo tutti, pure l’NRA dopo la strage in Florida ha dovuto fare degli sforzi». Per la Polman ci sono, ovviamente, delle differenze tra le varie Ong, e Medici senza frontiere è una di quelle da salvare. «Non accettano molti soldi dallo stato» e quando hanno avuto i loro problemi di molestie hanno agito senza aspettare che ci fosse uno scandalo. «Ma l’insieme dell’industria è troppo potente, creano repubbliche delle Ong, hanno la loro propria agenda. Sono colonialiste, arroganti e ricattano la gente con i loro soldi», prosegue la giornalista olandese, che cita il caso di Haiti, dove «l’industria degli aiuti ha minato le istituzioni pubbliche, sottra-

AFP

Oxfam. L’intero settore del Regno rischia di ritrovarsi a corto di fondi governativi

endo loro insegnanti, medici, personale qualificato grazie agli stipendi migliori e lasciando il paese in una condizione peggiore di quella in cui l’hanno trovato. Poi è il sesso a fare scandalo, ma i problemi sono tanti e ancora più radicati». La reporter cita l’audizione del capo di Save The Children, Kevin Watkins, che ha ammesso che il settore è come miele per gli uomini che cercano potere e che, ritrovandosi a decidere della vita e della morte delle persone, perdono ogni freno. Anche Valentina Furlanetto, giornalista del «Sole 24 Ore», ha scritto un libro sul settore degli aiuti, sul mondo delle Ong e delle Onlus. Anche in questo caso la parola usata nel titolo è evocativa (quello della Polman in lingua

Azione

originale suona più come «la carovana della crisi»): L’industria della carità del 2013. La cronista attacca soprattutto la scarsa cultura della trasparenza che esiste in Italia. Bilanci illeggibili, a condizione che siano disponibili, pratiche discutibili nascoste dietro l’aura di santità che il settore si porta dietro da sempre: alcune associazioni continuano a raccogliere fondi anche una volta che hanno raggiunto gli obiettivi e poi investono il surplus in titoli. «Non si può dire che le Nazioni Unite dopo il Ruanda e la Bosnia siano migliorate», osserva Furlanetto. E allora che fare? «Non mi tirerei indietro dal salvare i bambini, però starei molto attenta ai bilanci prima di fare donazioni», spiega. Lo scandalo di Oxfam ha avuto l’ef-

fetto di travolgere molte altre charities. I risvolti della storia hanno toccato anche un’icona come Jo Cox, la deputata laburista uccisa alla vigilia del referendum sulla Brexit da un estremista di destra: il marito Brendan, rimasto solo ad occuparsi dei due figli piccoli, è stato costretto a dimettersi dalle associazioni create per portare avanti l’eredità morale della politica dopo che è emersa una serie di brutte, bruttissime storie sul suo comportamento passato a Save the Children. Non solo molestie piuttosto pesanti – ha afferrato una donna per la gola dicendole che voleva avere un rapporto con lei, le più anziane erano costrette a fare le ronde durante le feste aziendali per evitare che infastidisse stagiste e nuove leve – ma anche una serie di comportamenti arroganti da un punto di vista professionale che ne hanno segnato la repentina caduta dal piedistallo di semisantità in cui era salito quando, a poche ore dall’uccisione della moglie, aveva saputo trovare le parole giuste per placare l’odio di quelle giornate terribili alla vigilia del referendum sulla Brexit. Erano anni che all’interno del partito conservatore gente come Priti Patel, ex ministro per gli Aiuti internazionali, cercava di tagliare i fondi alle Ong al di sotto di quello 0,7% del prodotto interno lordo a cui il Regno Unito si attiene. Ma in un Paese che per la prima volta fatica a guardare al di là dei propri confini, la retorica della chiusura che si è dimostrata vincente con la Brexit potrebbe esserlo per una seconda volta. Anche perché uno dei pilastri su cui si basa la cooperazione sta venendo meno, in termini di sensibilità: la cultura dell’uomo bianco che aiuta l’uomo nero bisognoso e incapace di badare a se stesso è difficile da giustificare, soprattutto dopo che certe tendenze sono state reiterate per anni nonostante le critiche e gli appelli. Tra queste spicca soprattutto l’utilizzo di foto di bambini smunti e smarriti – tutti citano le immancabili mosche intorno agli occhi per accrescere il sentimento di pena – per fare raccolta fondi: saranno efficaci, ma a che prezzo per la dignità loro e delle popolazioni locali? Annuncio pubblicitario

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Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 5 marzo 2018 • N. 10

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Politica e Economia

Formazione e perfezionamento: vantaggiosi anche dal punto di vista fiscale La consulenza della Banca Migros

Jeannette Schaller

Imposte a livello cantonale 20'000

Limiti massimi per la deduzione dei costi di formazione e perfezionamento (in CHF)

18'000 16'000 14'000

CHF

12'000 10'000 8'000 6'000 4'000 2'000 0 BS AG AR AI

BL BE FR GE GL GR JU

formazione e di perfezionamento, sempre che siano stati sostenuti da voi stessi (nessun rimborso da parte del datore di lavoro) e che possano essere dimostrati. Rimangono esclusi da questa regolamentazione i costi connessi a corsi linguistici che non hanno alcuna attinenza con l’attività professionale e altri corsi legati a hobby.

LU NE NW OW SG SH SZ SO TG UR VD VS ZH ZG TI

Quando un anno fa avevamo accennato queste novità, una mamma (allora senza attività lucrativa e in formazione con l’obiettivo di mettersi in proprio) chiedeva se fosse necessario disporre di un reddito per poter dedurre i costi di perfezionamento. In effetti è proprio così: nessun reddito, nessuna deduzione. Un altro presupposto è che il/la con-

Fonte: autorità fiscali cantonali

Jeannette Schaller è responsabile della pianificazione finanziaria alla Banca Migros

Dal 2016 tutti i costi di formazione e di perfezionamento professionale sono deducibili fiscalmente. Risultano quindi particolarmente interessanti, dal punto di vista fiscale, le riqualificazioni facoltative o le seconde formazioni così come le spese di avanzamento professionale. In questi casi – al contrario dei costi di perfezionamento – in passato non era ammessa alcuna deduzione. L’attuale regolamentazione non è solo migliore sotto il profilo tributario, ma semplifica anche il sistema fiscale, che prima doveva fare i conti con problemi di definizione e distinzione. Il perfezionamento non deve quindi essere più necessariamente associato alla professione attualmente esercitata. La deduzione massima a livello federale ammonta a 12’000 franchi l’anno. I cantoni, per quanto riguarda la loro quota fiscale, possono imporre limiti propri. La maggior parte dei cantoni fa riferimento alla Confederazione. Solo a Basilea-Città è possibile far valere una maggiore deduzione a livello cantonale (18’000 franchi). In Ticino il limite massimo (10’000 franchi) è invece al di sotto del limite della Confederazione. Oltre ai costi di formazione e di viaggio, nelle spese deducibili rientrano anche il materiale didattico, il vitto fuori casa e i costi di pernottamento. Potete detrarre dall’imposta sul reddito tutti i costi di

tribuente abbia conseguito un diploma di scuola secondaria di secondo livello (ad esempio maturità o apprendistato) e abbia compiuto il 20° anno di età. Informazioni

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Politica e Economia

Le scuole professionali superiori si burocratizzano

Insegnamento Uno studio di Avenir Suisse constata un aumento dei costi amministrativi degli istituti

e la diminuzione di quelli per l’attività didattica. Il totale è di 2,7 miliardi di franchi all’anno per 78’000 studenti

Ignazio Bonoli Uno studio di Avenir Suisse, ma anche costanti richiami da parte dell’Associazione dei docenti, hanno sollevato, dall’inizio di quest’anno, il problema delle Scuole universitarie professionali in Svizzera (in Ticino la SUPSI). In sostanza, le critiche maggiori mosse all’istituzione sono quelle di aumentare i costi dell’amministrazione a scapito dell’insegnamento. Cosa che però la Conferenza dei rettori delle Scuole universitarie professionali non ammette, sostenendo che non si possa parlare di «burocratizzazione», tanto meno a scapito dell’insegnamento. Tra questi e altri pareri divergenti, probabilmente – come sempre – la verità sta nel mezzo. In ogni caso non si tratta però di un problema minore, dal momento che concerne ben 78’000 studenti, che costano 2,7 miliardi di franchi. Due ordini di grandezza che inducono a pensare che, dopo un ventennio di attività, un esame della situazione sia necessario. Necessità che hanno indotto non solo «Avenir Suisse», ma anche un comitato di ingegneri e di rappresentanti dell’economia a interessarsi del problema. Secondo l’Ufficio federale di statistica, i costi di 2,7 miliardi di franchi sono ripartiti fra sette scuole universitarie professionali che contano su

un’ottantina di siti. Costi che sono in continuo aumento. D’altro canto, nel confronto internazionale, le SUP svizzere escono molto bene dal punto di vista della qualità dell’insegnamento e della ricerca, ma sono anche al secondo posto, dopo gli Stati Uniti, quanto al costo per studente. Nel contempo, si è però enormemente sviluppato anche l’apparato amministrativo. Sempre secondo l’Ufficio federale di statistica, nel 2016 l’amministrazione ha consumato il 33 per cento dei costi totali, mentre il corpo docente, nella media nazionale, è costato il 49 per cento dell’esborso totale. In confronto, nel 2009, la quota dei costi provocata dall’amministrazione era ancora del 31 per cento, mentre quella per i docenti raggiungeva il 57 per cento. In due dei sette istituti superiori professionali le spese per l’amministrazione erano perfino superiori a quelli per l’insegnamento: si tratta di quella di Berna e di quella della Svizzera italiana. Per quest’ultima l’amministrazione costa il 44 per cento del costo totale e l’insegnamento solo il 36 per cento. Il quadro è invece completamente diverso per la SUP della Svizzera romanda: qui l’amministrazione costa solo il 26 per cento del totale, ma l’insegnamento ben il 57 per cento. Queste cifre e il loro confronto hanno sollevato parecchia curiosità an-

che a livello politico. Tanto più che da ormai un decennio le SUP hanno goduto di maggiore autonomia nella gestione del budget globale. Ma, proprio per questo, la politica ha chiesto maggiori informazioni, il che ha anche provocato maggiori costi amministrativi, senza un corrispondente miglioramento della produttività. Molto viene anche investito nelle collaborazioni esterne e un ulteriore fattore dell’aumento dei costi è dato dall’introduzione della riforma di Bologna (1999) volta a creare un sistema europeo della formazione professionale. Già una decina d’anni fa, il corpo docente aveva avvertito dell’aumento significativo delle spese amministrative e chiesto un cambiamento radicale, che avrebbe posto in primo piano l’insegnamento invece dell’amministrazione. Difficile però da realizzare dal momento che non c’è una gestione trasparente dei bilanci e che anche il personale docente è sempre più costretto a lavori amministrativi. Lo denuncia, in un’intervista alla NZZ, l’ex-presidente dell’Associazione dei docenti, nonché membro della Commissione federale delle SUP, Franz Baumberger. Ma, secondo la segretaria generale della Conferenza dei Rettori delle Università svizzere, Martina Weiss, lo sviluppo dell’amministrazione avviene soltanto in parallelo con le prestazioni delle SUP, e non si può parlare di un in-

La stessa tendenza nell’evoluzione delle spese anche alla SUPSI. (Ti-Press)

debolimento dell’insegnamento, in presenza di un aumento di quasi diecimila studenti rispetto al 2013. La soluzione per mantenere un alto livello di insegnamento potrebbe essere quella di interessare maggiormente gli ambienti economici all’insegnamento, cosa che già in parte si fa. Avenir Suisse giunge perfino a chiedere che non si inseriscano politici nei consigli universitari, ma scientifici, economisti e persone della società civile. Dal canto suo la Confederazione si muove già in

questa direzione con la nuova legge sulla promozione e il coordinamento delle università che, entro il 2022, dovrebbe migliorare la qualità dell’insegnamento e della ricerca, creando le premesse per i futuri finanziamenti federali. A livello politico, si dovrà decidere il ruolo e il grado di autonomia degli istituti universitari, di cui sono responsabili i cantoni. Questi ultimi hanno però tendenza a esigere maggiori controlli e regolamenti, invece di puntare all’autonomia e alla libertà di insegnamenti e di ricerca. Annuncio pubblicitario

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Politica e Economia Rubriche

Il Mercato e la Piazza di Angelo Rossi Dopo le donne con bambini I libri di avventure che abbiamo letto in gioventù e innumerevoli film che abbiamo visto sul grande e sul piccolo schermo ci hanno insegnato che in situazioni di pericolo, per esempio, quando una nave minaccia di affondare, nelle operazioni di salvataggio si usa dare la precedenza alle donne e ai bambini. Questa attenzione non esiste invece sul mercato del lavoro elvetico dove le donne e, in particolare, le donne con bambini sono maggiormente esposte al rischio di restare senza lavoro del resto della manodopera. E questo in barba alle buone intenzioni di chi, come quelli di «Prima i nostri», intende dar lavoro al potenziale di lavoratori presente nel paese. Perché le madri siano particolarmente discriminate dal nostro mercato del lavoro ce lo spiegano Francesco Giudici e Reto Schumacher in un articolo apparso sul numero più recente della rivista «Dati» dell’USTAT. Questi autori partono da una constatazione molto semplice: il tasso di attività femminile è in Svizzera molto elevato, tra i più elevati in Europa almeno per le donne tra i 25 e i

54 anni. Tuttavia questo tasso scende immediatamente di almeno dieci punti quando si considera il contingente di madri con almeno un figlio che ha meno di sei anni. In altre parole in Svizzera (più che in altri paesi), per le madri, la probabilità di perdere il posto di lavoro è particolarmente elevata e questo indipendentemente dal modo in cui evolve l’offerta di lavoro. Ci sono, spiegano gli autori di questo articolo, fattori istituzionali e caratteristiche individuali che rendono alle madri più ostico il mantenimento del posto di lavoro. Sembra addirittura che per loro la difficoltà di reintegrarsi nel mercato del lavoro aumenti con l’aumento del numero dei figli. Gli studiosi dell’USTAT non lo dicono: i dati della statistica dimostrano però che il mercato del lavoro svizzero non è fatto per le madri. Per gli uomini, invece, essere genitore non comporta nessuna discriminazione sul mercato del lavoro. Questa constatazione sembra valere specialmente per il Canton Ticino il quale, in fatto di madri che lavorano, occupa l’ultimo posto della classifica

nazionale. Tra i fattori istituzionali responsabili di questa discriminazione vi sono la carenza di strutture per la custodia della prima infanzia e i costi delle stesse per le famiglie. Altri fattori istituzionali, citati dagli autori dell’articolo che stiamo commentando, sono l’assenza di un congedo paternità e il fatto che nel nostro sistema fiscale il reddito della moglie e quello del marito vengono sommati in un’unica dichiarazione fiscale il che può essere disincentivante in particolare per il membro della coppia che guadagna meno. Vi sono però anche caratteristiche individuali che facilitano o peggiorano la possibilità per la madre di esercitare un’attività lavorativa. Nella loro analisi quantitativa Giudici e Schumacher hanno tenuto conto di 7 caratteristiche di questo tipo e cioè: il numero dei figli con meno di 10 anni, il livello di formazione dei genitori, la loro nazionalità, il loro stato civile, l’età della madre, la differenza di età fra i genitori, e il tasso di occupazione del partner. I risultati di questa analisi indicano che le madri più presenti sul

mercato del lavoro sono quelle che hanno un solo figlio, una formazione di livello terziario (universitario o simile), la nazionalità svizzera, non sono sposate e hanno un partner senza grande differenza d’età, e che lavora a tempo parziale. A questo punto, visto che le caratteristiche individuali giocano un ruolo abbastanza importante nella determinazione della possibilità di lavorare della madre, gli autori dell’articolo che stiamo esaminando si sono chiesti se eventualmente le differenze intercantonali nei tassi di attività fossero dovute a differenze nelle caratteristiche individuali nelle popolazioni di madri con figli dei singoli Cantoni. La risposta a questa domanda è negativa. Le differenze intercantonali nelle caratteristiche della popolazione di madri studiata non bastano per spiegare le differenze tra i Cantoni nei tassi di attività delle madri con figli. Così, per fare un solo esempio, il Ticino continua ad occupare l’ultimo posto in materia di tasso di attività delle madri anche quando venga eliminata la possibile influenza

che su questa variabile possono esercitare le differenze nelle caratteristiche individuali. Lo studio di Giudici e Schumacher è molto interessante, ma i risultati della loro analisi quantitativa, che mettono in evidenza l’importanza dei fattori istituzionali, devono essere presi con le pinze. Intanto perché, come suggeriscono gli autori stessi, vi sono altre caratteristiche individuali che possono influenzare il tasso di attività delle madri. In secondo luogo anche perché – e questa è un’osservazione nostra – l’incentivo a riprendere un’attività di lavoro per le madri può essere molto più importante in un Cantone dove l’offerta di manodopera è scarsa che in un Cantone nel quale lavorano più di 60’000 frontalieri. Per non parlare poi dell’influenza di differenze di natura culturale che sono difficili, se non addirittura impossibili, da quantificare. Così o così: in un mercato del lavoro, quello svizzero, che non è favorevole per le madri, il Ticino occupa la posizione estrema. Non è certamente un record del quale possiamo vantarci.

dice che il «business Trump» sia una miniera d’oro per molti media, ma non spiega tutto. La Cnn per esempio, che secondo Trump è tutta una «fake news» o in alternativa un bidone della spazzatura, non riesce a monetizzare il business antitrumpiano e ancora arranca. Il «Washington Post» al contrario ha trovato un editore facoltoso e illuminato – Jeff Bezos, il signor Amazon – che ha deciso di investire sulla redazione e sull’offerta informativa in un modo che è risultato apprezzato anche dagli utenti finali. La storia del momento, quella che ha fatto risollevare gli occhi a chi lavora per gli elefanti, riguarda l’«Atlantic». Il magazine, che ha una storia lunga più di 150 anni, ha annunciato di recente che assumerà entro la fine del 2018 cento nuovi dipendenti (per metà giornalisti, gli altri si occupano di video, di podcast, di eventi, della nuova unità dedicata ai talenti): l’investimento è possibile grazie all’investimento fatto da Laurene Powell Jobs, vedova del fondatore

di Apple, Steve Jobs, che con la sua società Emerson sta investendo in varie iniziative nei media, compreso Axos, che è uno degli outlet digitali più belli del momento e che non dà, a differenza degli altri, segnali di cedimento. L’editore illuminato cambia le prospettive dei media tradizionali, ma l’«Atlantic» può anche investire, come ha detto il suo direttore, sul proprio «dna»: raccontare e far circolare le idee, in modo accurato e al tempo stesso accattivante. La convergenza tra un presidente che dà molto materiale di discussione, un modello digitale traballante ed editori con una visione più chiara del futuro dell’informazione non basta però a spiegare quel che sta avvenendo. Un altro elemento d’analisi, imprescindibile, è Facebook. Come si sa, il social media che da solo ha più «cittadini» della Cina, non sta passando un bel momento dal punto di vista della propria immagine (da quello economico continua ad andare benissimo): tra fake news,

troll, ingerenze russe, atteggiamenti da «padroni dell’universo», Facebook ha finito per essere un capro espiatorio perfetto per tutti i mali che affliggono il mondo dell’informazione. In realtà, le accuse continue a Facebook hanno fatto sì che l’azienda cambiasse il proprio algoritmo che permetteva agli outlet digitali di rendere visibili – e virali – i loro contenuti, e così ora sono rimasti senza quella vetrina indispensabile, e perdono terreno. Il confronto tra i media e Facebook è quello che oggi dovremmo tenere più sott’occhio: ci sono progetti che continuano insieme, soprattutto a livello di giornali locali (che in America si muovono per minifederazioni), ma ci sono anche progetti che si muovono nel verso contrario. Per la prima volta nella storia, l’industria dei media ha creato un Pac, un comitato di azione politica, per chiedere al Congresso un aiuto a sopravvivere in questa stagione di dominio delle aziende tech: i media chiedono protezione, da Google e da Facebook.

Steiner, critico letterario molto vicino all’orizzonte di Ossola, riconduce la sua idea d’Europa ai caffè storici, spazi di lettura, arena dell’eloquenza e del dibattito, eredi diretti dei circoli del secolo dei Lumi, dove gli «hommes de lettres» s’industriavano per far conoscere i loro progetti riformatori. Ma torniamo al percorso di Ossola, soffermandoci sulla tappa ticinese. Prima Negrentino, chiesa protoromanica: «ci accoglie nel vento un’architettura di absidiole e un campanile svettante al cielo; entrati dalla porticina, le pareti sono una festa di colori di tutte le epoche, dal tardobizantino al Rinascimento: Cristo in mandorla, apostoli, Natività, angeli e cavalieri, come se le varie generazioni e secoli del credere e del camminare avessero voluto la loro parete, il loro spazio, il loro racconto. Ma più commuovono le tracce bizantine, quasi un pittore – nelle ricorrenti

furie iconoclaste dell’Oriente cristiano – fosse fuggito da Bisanzio per venire a Castelseprio e a Negrentino, per lasciarvi il segno della sua arte, dei colori dell’eterno». E poi la chiesa nuova di San Giovanni Battista a Mogno, progettata da Mario Botta, «uno dei capolavori dell’architettura contemporanea, un gioiello che appena spunta sopra le case, nella sua misurata perfezione di cilindro, trafitto, fasciato a spire, celeste. L’alternanza delle fasce marmoree richiama il romanico pisano, che si contempla nella stessa inviolata luce...». Vecchio e nuovo, tracce antiche e linee moderne che si rincorrono, sovrapponendosi e avvolgendosi sotto lo stesso cielo, distanti secoli le une dalle altre eppure unite dalla stessa energia spirituale. Un anelito che per alcuni equivale alla fede, per altri alla speranza. Contro l’indifferenza e la disperazione.

Affari Esteri di Paola Peduzzi La carica degli elefanti Tutti ci stiamo interrogando su che cosa ne sarà del settore dell’informazione, ora che le notizie, vere o false, circolano senza che ci sia più l’intermediazione di un giornalista, di un esperto, di una testata, di chi insomma, con il suo mestiere, potrebbe selezionare e dare una gerarchia al flusso continuo di informazioni. Come è noto una soluzione non c’è, così come non è ancora stato individuato un modello di business che possa essere al contempo redditizio e accurato. Il tema è enorme, ma semplificandolo possiamo dire che, per quel che riguarda l’America che è ancora il posto da cui traiamo ispirazione, nell’ultimo decennio il grande scontro è stato tra i media digitali di nuova generazione e i cosiddetti media tradizionali, gli elefanti. Per lungo tempo i primi sono risultati inarrestabili e prodigiosi: più snelli, più flessibili, più diretti, più rapidi. Abbiamo raccontato, con un misto di stupore e invidia, le avventure di giornalisti di

successo che hanno lasciato il posto di lavoro presso testate storiche per mettersi in proprio, con nuovi brand e nuove offerte di contenuti. Laddove gli elefanti arrancavano, questi piccoli ma accurati e briosi new media andavano veloci. Ora però pare che questo scontro, che pareva definitivo, si stia ribaltando: «Buzzfeed» ha annunciato il licenziamento di 70 dipendenti dopo esser rimasto sotto agli obiettivi di reddito di parecchi milioni di dollari; «Vice» anche non ha raggiunto gli obiettivi (e non di poco: 100 milioni di dollari in meno); «Mashable» valeva 250 milioni di dollari due anni fa, ora ne vale un quinto; e molte altre «tigri» del digitale hanno ammesso di avere perplessità riguardo al futuro. I grandi invece vanno forte: la rincorsa a suon di scoop di «New York Times» e «Washington Post» non è soltanto una riedizione di una guerra leggendaria, ma anche la dimostrazione di una vitalità che pareva perduta. Si

Cantoni e spigoli di Orazio Martinetti Vedere Bisanzio da San Carlo in Negrentino È certamente motivo di soddisfazione ritrovare le chiesette di Negrentino e Mogno elevate a tappa di un circuito europeo, accanto a luoghi dell’anima ben più blasonati, come Anderlecht, Treviri, Odessa, Otranto... Un itinerario composto di diciotto stazioni, che il professor Carlo Ossola, fondatore e primo direttore dell’ISI (Istituto di studi italiani affiliato all’USI), ha compiuto sotto forma di anabasi personale sulle tracce dei miti d’Europa. Le riflessioni, prima pubblicate sul domenicale del Sole 24 Ore e ora raccolte in volume (Europa ritrovata, edizioni Vita e Pensiero, Milano, 2017), fanno parte di un personalissimo disegno che l’autore va definendo da tempo, una sinopia di scoperte, figure, meditazioni, evocazioni. Ossola, lo sappiamo, non è un viaggiatore qualunque. I suoi resoconti traboccano erudizione, il suo bagaglio lascia intravedere interi scaffali di

biblioteche, studi severi, corsi universitari (tenuti soprattutto nel parigino Collège de France). Tre finora i frutti della sua ricerca, non ancora ultimata: la citata Europa ritrovata, il volume su Erasmo nel notturno d’Europa (2015), e da ultimo, fresco di stampa Nel vivaio delle comete, trentasei medaglioni di «un’Europa a venire» (Marsilio editore). Qual è l’Europa di Ossola? È l’Europa della cultura, anzi delle culture, un patrimonio di civiltà condiviso, in cui spicca – zoccolo comune – l’eredità greco-romana, bizantina, cristiana; un lascito spirituale e materiale, sedimentatosi, il primo, nella grande letteratura, il secondo nell’architettura e nell’arte. Ma l’autore, fattosi pellegrino, non si accontenta di registrare questo doppio retaggio, ma cerca, ogni volta, di intrecciare relazioni tra i due ambiti per suscitare una reazione

chimico-intellettuale. Il risultato vuol essere la formazione di un autentico spirito europeo che sbarri la strada alle derive autoritarie, tentazione purtroppo ricorrente nella storia del vecchio continente (disposizione che ricorda il titolo di un saggio del filosofo francobulgaro Tzvetan Todorov: «memoria del male, tentazione del bene»). Sappiamo quanto sia impopolare oggi l’Europa, anche sul piano ideale, dunque al di là del suo concreto cammino politico-economico (Unione europea e moneta comune); un’impopolarità che nel nostro cantone ha raggiunto picchi inimmaginabili fino a qualche anno fa, al punto di disconoscere quanto di positivo si è pur edificato nel corso dei decenni fra mille difficoltà e resistenze. Perfino lo stesso concetto di «Europa» incute timore, svalutato a testa d’ariete di forze oscure pronte a sfondare le porte dei piccoli paesi neutrali. George


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Cultura e Spettacoli Un documentario per i Gotthard Abbiamo incontrato Kevin Merz, autore del primo documentario dedicato alla rockband svizzera che ha fatto la storia della musica

La Signora del giallo A colloquio con la giornalista italiana Franca Leosini, che tornerà in tv con una nuova, attesa puntata di Storie maledette

Scaldarsi a ritmo di jazz Puntuale anche quest’anno l’imperdibile appuntamento chiassese con il grande jazz

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Antonin Artaud (a destra) e Gaston Ferdière a Rodez in un’immagine scattata tra il 1942 e il 1943. (Keystone)

Gesticolando fra le fiamme

Anniversari A settant’anni dalla morte di Antonin Artaud, Adelphi pubblica gli Scritti di Rodez Daniele Bernardi Sin dai suoi esordi, Antonin Artaud (Marsiglia, 1896-Ivry-sur-Seine, 1948) diede molta importanza alle lettere; fra le sue prime opere spicca infatti la celebre Corrispondenza con Jacques Rivière, dove, ancora giovane ma già minato da ciò che definiva una «spaventosa malattia dello spirito», si rivolgeva al direttore della «Nouvelle Revue Française» proponendo la pubblicazione di alcuni testi. Rivière, che rifiutò cortesemente le poesie, volle comunque conoscerlo perché interessato alla sua insolita personalità. Da questi incontri nacque uno scambio epistolare nel quale Artaud, con fatica e sofferenza, metteva in luce un dolore profondo, che lo condannava a «una inapplicazione alla vita». Rivière realizzò allora quanto il suo interlocutore, nel raccontarsi crudamente, avesse straordinarie doti, che sembravano contrastare coi suoi acerbi tentativi letterari, e ventilò la possibilità di pubblicare le lettere. Quindi, nel settembre del 1924,

con l’apparizione della suddetta corrispondenza sulle pagine della «N.R.F», è sancito l’ingresso di Artaud nel mondo letterario francese (sino a quel momento aveva collaborato con alcune riviste e lavorato per il Théâtre de l’Atelier di Charles Dullin). Quanto seguirà è cosa nota. Da tempo dipendente dagli oppiacei e segnato da violenti crolli nervosi, dopo l’adesione al surrealismo (col quale poi ruppe), nel 1926 Artaud fonda il Théâtre Alfred Jarry e firma alcuni allestimenti da Vitrac, Strindberg e Claudel; al contempo si dedica al cinema e alla letteratura: interpreta numerosi ruoli e, assieme ai brani poetici e alle prose, redige i testi che formano il fondamentale Il teatro e il suo doppio (1938). Successivamente, coi riscontri negativi alla messa in scena de I Cenci nel 1935 (sua unica pièce), inizia la fase errabonda della sua vita: il viaggio in Messico e la partecipazione al rito del peyote con gli indios della Sierra Tarahumara; gli spostamenti prima in Belgio e poi in Irlanda, dove sarà arre-

stato perché in stato confusionale; il rimpatrio forzato e dal 1937 nove anni nei manicomi di Le Havre, Sottevillelès-Rouen, Saint-Anne, Ville-Évrard, Rodez, Ivry. A settant’anni dalla morte – e, quindi, con lo scadere dei diritti d’autore sull’opera – Adelphi, una delle massime autorità in Italia per quel che riguarda le versioni artaudiane, ha finalmente proposto una scelta ragionata di lettere dell’ultimo periodo di vita dell’attorescrittore: Scritti di Rodez (1943-1946), a cura di Rolando Damiani. L’iniziativa va a colmare, anche se in modo inevitabilmente parziale, una lacuna poiché ad oggi, di questa fase, il lettore italofono dispone di un materiale frammentario: ad eccezione della eccellente edizione di Succubi e supplizi (Adelphi, 2004) sono reperibili brani unicamente in Al paese dei Tarahumara e altri scritti (Adelphi, 1966), in Alice in manicomio. Lettere e traduzioni da Rodez (Stampa Alternativa, 2008) e in alcune pubblicazioni sparse. Pertanto Scritti di Rodez è la più consistente antologia in lingua italiana dedicata agli

anni in cui Artaud passò alle cure del dott. Gaston Ferdière, direttore dell’istituto di Rodez, amico dei surrealisti, assertore dell’arteterapia così come dell’elettroshock. Al di là delle facili demonizzazioni – senza nulla togliere all’evidenza degli effetti collaterali di quella pratica violenta che è la «terapia per convulsioni elettriche» – il ruolo di Ferdière fu decisivo nella ripresa dallo stato penoso in cui Artaud versava al momento del suo ingresso in clinica; scheletrico e malconcio, non scriveva da anni e se non fosse stato per l’amico poeta Robert Desnos, che nel ’43 lo fece trasferire da Ville-Évrard a Rodez, e per sensibilità di Ferdière, che lo coinvolse proponendogli traduzioni e spunti, probabilmente non avrebbe più scritto (non si dimentichi che, all’epoca di Sainte-Anne, un giovane Jacques Lacan lo aveva visitato escludendo qualsiasi possibilità di ripresa). «Si parla meglio nelle lettere che nei libri», sostiene Artaud in una missiva da Rodez all’amico Jean Paulhan; ed effettivamente in queste pagine, rivol-

te ora a Ferdière, ora ad André Gide, a Roger Blin o a Jean Dubuffet, così come agli psichiatri e ai familiari, la sua voce emerge con una forza che è «il grido stesso della vita» – non sono solo l’arte e la letteratura a essere in gioco in questa dolorosa epopea, ma qualcosa che va ben oltre: qualcosa di nascosto nel corpo, che «l’anima non saprebbe vedere senza esplodere». È dunque da una deflagrazione che si consuma di là dai limiti del dicibile – nei gorghi della schizofrenia – che la voce di Artaud, tuttora, raggiunge il lettore come un grido di allarme: un grido che si scaglia contro il potere occulto dei demoni che lo affliggono nel fisico e contro un mondo in cui non hanno posto l’autentica poesia e il teatro. «La cosa veramente diabolica (...) della nostra epoca», aveva scritto ne Il teatro e il suo doppio, «è l’attardarsi sulle forme artistiche, invece di sentirsi come condannati al rogo che facciano segni attraverso le fiamme». Tragicamente fedele a se stesso, Artaud non cessa di gesticolare nemmeno fra queste pagine.


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Cultura e Spettacoli

«Il documentario è il mio linguaggio»

Quando il bello non è mainstream

Intervista Il regista dalle origini tedesche, svizzere e ghanesi racconta ad «Azione»

il suo primo successo cinematografico Gotthard – One life one soul, in cartellone al Cinestar di Lugano fino al 13 marzo

In scena Danza

e teatro per interpretare la società Giorgio Thoeni

Enza Di Santo Kevin Merz, com’è nato questo lavoro? Come hai conosciuto i Gotthard?

Per dirti la verità è la prima volta che un progetto non nasce da una mia iniziativa, mi è stato proposto da Tiziana Soudani, produttrice con la quale collaboro da parecchi anni. D’istinto ho accettato perché sono una persona che «va molto di pancia», poi però ripensandoci razionalmente era inconcepibile per me perché io non c’entro nulla con i Gotthard. Sono della generazione di un altro genere, non conoscevo bene l’hard rock e avevo anche una specie di pregiudizio; insomma avevo 14 anni quando è arrivato l’anti star Kurt Cobain con il grunge. Però sentivo che era il progetto giusto, così ho approfondito la loro musica e ho scoperto che avevano alle spalle una storia umana molto bella e questo per un regista è importante. Conoscendoli è svanito il pregiudizio, i Gotthard emozionano tante persone per una ragione, ne ammiro la carica. Com’è stato lavorare con loro?

Sono molto professionali. Quando decidono di fare una cosa ci mettono corpo e anima e vanno fino in fondo. Ovviamente si tratta di 5 musicisti con caratteri diversi, qualcuno più aperto davanti alla camera, e qualcuno meno; Leo era restio a farsi filmare. Ho riscontrato una dinamica, che non mi aspettavo, inversa rispetto ad altri progetti: tutti si sono hanno parlato più liberamente durante le interviste filmate e ripetute diverse volte con la telecamera di fronte, mentre quando li seguivo in tour è stato quasi difficile entrare nell’intimità. Quale personalità è stata più complicata da esprimere?

Quando decidi di raccontare tutta la

Kevin Merz in un momento delle riprese. (Jarreth Merz)

storia di una band la cosa più difficile è far emergere ogni singolo personaggio, a cui magari lo spettatore si affeziona. Bisogna fare delle scelte per permettere anche a chi non li ascolta di conoscerli nei primi 15 minuti. In questo caso è stato difficile trattare la figura di Steve Lee, perché non c’è più. Le scene d’archivio su di lui rischiavano di prendere il sopravvento e mantenere un equilibrio ha richiesto molto lavoro. Forse avrei potuto cristallizzare e approfondire di più Steve Lee. Sei un «ritrattista con la telecamera»: come scegli soggetto e taglio?

Solitamente scelgo temi a cui tengo. Per quanto riguarda il taglio, lo stile, negli anni ho trovato il mio linguaggio. Per me è stato naturale fare film, soprattutto documentari. Il soggetto lo scelgo con il flow, a intuito, e spesso è qualcosa di molto vicino a me o alla mia famiglia, come per An African Election. Il documentario che ho appena

terminato è un po’ personale e un po’ universale. Cosa racconta?

Racconta le storie di persone che frequentano un bar di quartiere, il Bar Corallo di Besso. Verrà proposto a «Storie» sulla RSI, l’11 marzo.

Tu che regista sei? A cosa devi pensare prima di un film?

Di solito lavoro con crew molto piccole, e spesso prendo io stesso la telecamera in mano e giro, anche da solo. Non sono autoritario. Per Gotthard – One life, one soul bisognava pensare a fondi e distribuzione, ma in generale mi concentro solo sui soggetti. Penso poco forse. (Ride) Trovi che in Svizzera le istituzioni culturali diano sufficiente sostegno ai documentaristi?

In confronto ad altri Paesi siamo molto fortunati, chiaramente non può mai essere abbastanza. Il documentario in Svizzera è fortissimo, ci sono autori da

Oscar. Il Ticino rispetto alla Svizzera interna ha meno fondi, è difficile superare una certa cifra.

Quanto è difficile la proiezione nelle sale di un documentario?

È difficilissimo, la televisione aiuta di più. Si riescono a ottenere proiezioni singole nei festival, ma il mainstream è della fiction. Hollywood impone fiction, ma al cinema bisognererebbe proporre più spesso documentari. Al Film Festival di Locarno la prima mondiale è stata un successo eccezionale. È la prima volta che un mio film oltre alla visibilità di festival o televisione, viene proiettato in più di 20 cinema svizzeri, è una grande soddisfazione. Se un giorno dovessero girare un documentario su di te, chi vorresti fosse il regista?

Mio fratello, perché mi conosce molto bene e avrebbe la giusta sensibilità per raccontarmi.

La poderosa metafora della vita In scena Alla Schauspielhaus di Zurigo Moby Dick letto da Klaus Maria Brandauer Marinella Polli Settanta avvincenti minuti di Moby Dick proposti da un accattivante narratore come Klaus Maria Brandauer (classe 1943) sono indubbiamente un bellissimo regalo, e per l’avido, vorace lettore e per un classico habitué delle sale di teatro. Un regalo, c’era da aspettarselo, accolto con enorme entusiasmo giovedì e venerdì scorsi dagli spettatori accorsi numerosi alla Schauspielhaus di Zurigo. E con l’appassionato, suadente e virtuoso Brandauer – che come molti di noi avrà letto, riletto, masticato e ruminato il capolavoro di Herman Melville tutta la vita – lì a scavare a fondo nel romanzo e a immedesimarcisi, non possiamo fare a meno di provare emozione di fronte all’indimenticabile incipit «Nennt mich Ismael» («Call me Ishmael», «Chiamatemi Ismaele»). Prendiamo dunque immediatamente a conoscere il narratore più da vicino, le sue filosofiche, ma anche divertenti riflessioni; lo ascoltiamo con grande attenzione quando racconta del ramponiere polinesiano Quiqueg da lui incontrato prima di imbarcarsi sulla baleniera Pequod, lo seguiamo quando fa la conoscenza di Starbuck, Stubb e Flask, rispettivamente primo, secondo e

Il grande attore austriaco ha incantato il pubblico. (Keystone)

terzo ufficiale, e dell’intero, eterogeneo equipaggio. Con lui soffriamo il mal di mare o diventiamo marinai e salpiamo a caccia della balena bianca. Proprio come il capitano del Pequod, con tutta probabilità una delle figure più straordinarie e complesse della letteratura mondiale, biblica e scespiriana a un tempo: Achab (che ricordiamo anche nell’interpretazione

cinematografica di Gregory Peck), una sorta di fanatico, iracondo e misantropo Prometeo, per giunta oltremodo monomaniacale in quanto in preda, più che a un’idea fissa, a un’ossessione profonda e oscura come l’abisso oceanico. Un’ossessione febbrile che si chiama Moby Dick. Sì, proprio lei, la mitica, inafferrabile balena bianca che già una volta lo ha umiliato e sconfitto staccandogli una gamba con un possente colpo di coda, e per la cui uccisione ha promesso a ciascuno una moneta d’oro. Non da ultimo in forza del noto virtuosismo di un Brandauer non soltanto coinvolgente, ma anche coinvolto, all’improvviso ecco che cominciamo a renderci conto di come quest’opera – monumentale e ricchissima di simbologia – sia molto di più del solito romanzo di avventura, e di come questa terrificante caccia all’enorme capodoglio sia del tutto marginale. Le vicende narrate in Moby Dick trascendono infatti ogni tempo e luogo, e ciò che Melville magistralmente descrive va ben oltre la solita epopea marinaresca, e ben oltre, altresì, l’eterna battaglia tra uomo e natura, la lotta tra l’uomo e il mostro, o più precisamente tra l’uomo che, non riuscendo o non volendo rendersi conto dei limiti imposti alla

sua misera condizione, sfida le immani forze della natura. La balena bianca e il suo indefesso cacciatore assurgono qui a poderosa metafora dell’impari, angoscioso confronto con il nero dell’incognito o contro Dio, e di quel tragico spettacolo del fato inesorabile e ineluttabile che sempre finisce con l’eterno duello con la morte. Alla fine sarà infatti la scaltra, rabbiosa, imbattibile Moby Dick, ad averla vinta sulla baleniera da cui si allontanerà pacifica e indifferente, giacché solamente Ismaele, il narratore (furbo il nostro autore), riuscirà a sopravvivere al forsennato viaggio verso l’ignoto. Questa felice proposta della Schauspielhaus è più una lettura-spettacolo che un semplice reading d’autore, e ciò certamente grazie a quella che è la spettacolarità tipica di tutte le lotte impari, che siano poi contro le balene o contro parossistiche ossessioni; ma senza ombra di dubbio anche grazie al carisma del celebre attore austriaco, per l’occasione accompagnato da Arno Waschk al pianoforte, il quale ha alternato al testo eloquenti inserti musicali. Grati, scroscianti e interminabili gli applausi del foltissimo pubblico, e fiori per Klaus Maria Brandauer.

Il pubblico luganese ha potuto recentemente assistere a due spettacoli originali: riflessi mediterranei fra danza e teatro. Era opportuno approfittare di queste occasioni proposte dalla stagione luganese in quanto si trattava di due spettacoli fuori dal mainstream e frutto di dinamiche creative che difficilmente passano inosservate. Anzi, alcune sono ormai parte di realtà internazionalmente riconosciute. Come nel caso della Compagnia Zappalà Danza, fra le più interessanti a livello europeo, approdata sul palco del LAC con La Nona (dal caos, il corpo), un progetto del coreografo Roberto Zappalà realizzato con Nello Calabrò, suo drammaturgo di riferimento. La Nona è una tappa di un lungo processo di riflessioni sull’esistenza e sui valori dell’umanità danzato sulle note della Nona sinfonia di Beethoven nella trascrizione per due pianoforti di Franz Liszt magistralmente eseguita dal vivo da Luca Ballerini e Stefania Cafaro accompagnati dalla voce del controtenore Riccardo Angelo Strano. I dodici danzatori di Zappalà hanno raccolto la sfida di una coreografia moderna accostata a una sinfonia super classica con una cadenza di movimenti ripetuti per una cerimonia a/confessionale distribuita su una scena ingombra di mobili e oggetti sparsi. Su tutto domina una grande croce accanto a simboli di altre religioni. E poi il quesito di fondo: quale fede è la più grande? Risponde la danza di Zappalà, plastica ed elegante, distribuita in sequenze ora ravvicinate ora a coppie poi a gruppi grazie a un ensemble di grande fisicità. Un inno alla gioia alla ricerca dell’amore e della fratellanza. Molto applaudita. A fornire alla Nona un contraltare più laico ci ha pensato la compagnia Carrozzeria Orfeo con Cous Cous Clan: una drammaturgia di Gabriele De Luca, regista a sei mani con Massimiliano Setti e Alessandro Tedeschi. Un ex prete, suo fratello sordomuto e omosessuale con la sorella orba convertita all’Islam per amore di un arabo immigrato, pubblicitario fallito. Vivono in roulottes e macchine dismesse nel parcheggio di un cimitero, spaccato di una società in crisi e dei suoi conflitti: una comunità altamente indesiderabile e dall’equilibrio precario a cui si aggiunge una ragazza misteriosa e imprevedibile. Sarà lei a fornire la soluzione per il riscatto sociale di quegli squallidi disadattati. Diplomati all’Accademia «Nico Pepe» di Udine, la Carozzeria Orfeo con questo lavoro ha sfornato un esempio di disperati su cui sviluppare un altro soggetto teatrale dal ritmo incalzante, dal linguaggio crudo e senza filtri dove temi come il razzismo, l’emarginazione, lo sfruttamento, la diversità e la solitudine sono i colori cupi di una società postmoderna, inquietante e politicamente scorretta. Gran risate da attori straordinari: Angela Ciaburri e Beatrice Schiros con Alessandro Federico, Pier Luigi Pasino, Massimiliano Setti e Alessandro Tedeschi.

La Carrozzeria Orfeo sul «set» del suo Cous Cous Klan. (Federico Bassi)


Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 5 marzo 2018 • N. 10

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Cultura e Spettacoli

Capire, dubitare, raccontare

Incontri Alla vigilia delle nuove, attesissime puntate di Storie maledette, la grande giornalista italiana Franca Leosini

ci ha raccontato i retroscena e i possibili motivi di un successo che dura da oltre due decenni Simona Sala Impeccabile nel suo apparire signorile, lo sguardo scrutatore, le palpebre eleganti... e poi quel sorriso, che per vie naturali e invisibili, trasmette un calore intelligente, indulgente e soprattutto inconfondibile. Franca Leosini è un’interlocutrice attenta, e ha fatto di questa sua qualità una professione. Mossa e spinta da sempre da un rigore giornalistico che, oltre a valerle molti premi, ha creato anche una vera e propria fidelizzazione da parte del pubblico, da ormai ventitré anni su Rai Tre conduce Storie maledette, programma da lei ideato e scritto. La formula dell’incontro con i detenuti, a tu per tu in un’ambientazione ridotta all’osso, davanti allo sguardo esigente delle telecamere, invece che subire il contraccolpo degli anni e di una potenziale usura, si è rivelata vincente. Al punto che proprio negli ultimi anni Franca Leosini è diventata una testimonial trasversale con status di culto, regina su twitter, come ha confermato recentemente l’acclamata apparizione a Sanremo, e icona dei movimenti gay. Abbiamo incontrato la giornalista di origini napoletane nei giorni frenetici che precedono la messa in onda della nuova e attesissima puntata di Storie Maledette. Franca Leosini, quali sono i criteri con cui sceglie i protagonisti delle sue Storie maledette?

Mi devono innanzitutto interessare la tematica di una storia e il suo sviluppo, ma anche aspetti come lo svolgimento, l’origine, la natura dei suoi protagonisti e l’ambiente in cui la storia si è verificata. Non sono necessariamente interessata alle storie che hanno un’importante eco sui media. Uno dei fattori di massimo interesse è l’elemento di inquietudine presente in certe storie, il cosiddetto noir, il dubbio. E umanamente come si prepara a incontrare le persone in carcere?

Innanzitutto con grande rispetto, perché io non solo rispetto loro, ma rispetto anche i loro errori – qualora li confessino – e rispetto i loro punti di vista. Studio il processo, non vado a processare le persone, vado a capire. Nello spot di lancio che è in onda, e di cui ho scritto i testi, dico: «capire, dubitare, raccontare». Questi sono i tre verbi, i tre momenti che io frequento: prima di tutto cerco di capire; poi dubito, e posso dubitare sia di una verità che le persone mi raccontano, sia di una verità processuale, che non è necessariamente la verità storica; infine racconto, e questo è il mio compito,

ma lo faccio in una grande narrazione che scorre all’interno di un’intervista. Ed è una narrazione psicologica, giudiziaria, umana e ambientale, che per questo abbraccia un orizzonte vastissimo.

Come avviene poi l’incontro vero e proprio con la carcerata o il carcerato?

Li incontro solo una volta, e non do mai le domande in anticipo. Proprio recentemente, all’ultimo momento ho rinunciato a un’intervista perché il mio interlocutore (nonostante vi fossero i permessi del DAP – Dipartimento Amministrazione Penitenziaria) mi ha detto che non avrebbe fatto l’intervista se non gli avessi anticipato le domande. La mia è una diretta differita, vi sono solo dei tagli in fase di montaggio, per eliminare le ripetizioni o gli spazi superflui. Incontro il mio interlocutore poco prima delle riprese al fine di stabilire un rapporto di empatia, anche perché per il detenuto sarebbe scioccante andare sotto le telecamere senza avermi incontrata prima. Le domande però posso farle una volta sola. Un’unica volta anticipai una domanda e fu ad Armando Lovaglio, il ragazzo della storia del nano di Termini da cui il regista Matteo Garrone ha tratto il film L’imbalsamatore. Durante il colloquio gli avevo chiesto come sarebbe potuta finire la storia secondo lui. Ripetei la domanda anche sotto le telecamere, ma alla fine dovetti tagliarla in montaggio, perché era recitata. Nelle carceri che riscontri riceve?

I detenuti mi amano molto. Se noi donne abbiamo il sesto senso, loro hanno perfino il settimo: grazie alla loro grande sensibilità sanno se una persona si accosta a loro con rispetto, senza giudizio e senza pregiudizio. Questo mi gratifica molto. Lei sospende dunque giudizio e pregiudizio riuscendo sempre a restare neutra?

Io posso anche non essere neutra, ma devo apparire neutra. Non sospendo il giudizio, ma non lo dichiaro. Io devo conoscere il processo dalla prima all’ultima parola perché i miei interlocutori non conoscono le mie domande e io non conosco le loro risposte. Se una risposta si discosta dagli atti processuali, io ho il dovere di rimettere i fatti nell’ambito di una verità processuale alla quale devo fare riferimento. Magari poi questa può venire superata, quindi do modo all’interlocutore di dire quello che ritiene di potere dire, assumendosi le proprie responsabilità. Dopo la messa in onda non rilascio interviste relative ai casi giudiziari dei quali mi sono oc-

Franca Leosini è autrice unica di Storie maledette. (Iwan Palombi)

cupata, perché il mio compito è quello di ripercorrere la storia, cercando di capire cosa abbia spinto una persona, da una normale quotidianità, all’orrore di un gesto che a quella persona non assomiglia. I miei interlocutori sono tutti non professionisti del crimine, sono persone come me e come lei che a un certo punto cadono nel vuoto di una maledetta storia.

È difficile o necessario prendere

Quelle maledette storie Ventiquattro anni, sedici stagioni, decine di interlocutori, e non sentirli, verrebbe da dire. Storie maledette, la trasmissione di Rai3 ideata, scritta e condotta da Franca Leosini che, come ci tiene a ribadire, ne è autrice unica, ritornerà in prima serata su Rai Tre domenica 11 marzo alle ore 21.20. A rispondere alle domande della giornalista, sotto i riflettori e davanti alle telecamere, ci saranno le protagoniste di uno dei casi più discussi e controversi della recente storia criminale d’Italia, Sabrina Misseri e Cosima Serrano, in carcere a vita per avere ucciso Sarah Scazzi. Lo ricordiamo, per il delitto di Avetrana, avvenuto nell’agosto del 2010, ai danni della giovane Sarah (il ritrovamento del cui corpo fu annunciato in diretta durante una puntata di Chi l’ha visto, non mancando di susci-

tare polemiche accese, anche perché la madre di Sarah era in collegamento con la trasmissione) sono state condannate all’ergastolo la cugina Sabrina Misseri e la zia Cosima Serrano, nonché, per soppressione di cadavere e inquinamento di prove, lo zio Michele Misseri. La preparazione di Franca Leosini per ogni singola puntata di Storie maledette è certosina ed estremamente accurata, e prevede anzitutto uno studio approfondito degli atti processuali (nel caso del delitto di Avetrana si parla di oltre 10’000 pagine), anche perché, come lei stessa ammette «Lo studio degli atti è indispensabile, poiché spesso è nei dettagli che si nasconde il senso profondo di una storia». E sono molte le Storie raccontate da Franca Leosini che hanno rivelato il

loro senso più profondo, portando alla luce aspetti della vicenda magari trascurati, e dando la possibilità al condannato di raccontare la propria dignità in uno spazio diverso e lontano da quello processuale. Per citarne una fra tutte, ricordiamo la puntata del 2016 in cui l’ivoriano Rudy Guede narrò la propria versione del delitto di Perugia in cui morì Meredith Kercher. Guede, condannato a 16 anni di carcere per concorso in omicidio (resta un mistero con chi sia avvenuto il concorso, vista e considerata l’assoluzione di Amanda Knox e Raffaele Sollecito) si presentò all’opinione pubblica in modo del tutto diverso da come questa l’aveva conosciuto: pronto a scontare la pena, ma anche deciso a iniziare una nuova vita, arricchita di una laurea a pieni voti e di una nuova consapevolezza.

distanza dai casi al termine delle interviste?

Le storie mi attraversano: conservo rapporti con i tre quarti delle persone incontrate.

Ci sono delle storie che più di altre ancora oggi non la lasciano in pace?

Eccome, molte, ma non dirò quali... grazie al mio lavoro giornalistico però posso mettere in evidenza determinati punti deboli o le falle verificatesi nel corso del processo. Ma anche i magistrati sono uomini, e a volte si innamorano di una verità e quindi finiscono per cercare le prove di quella verità. Quello che mi chiedo spesso è come faccia a sopportare l’ergastolo chi si dichiara innocente, e forse lo è. Non finisco mai di stupirmi di fronte alla capacità di sopportazione dell’essere umano. I dispiaceri e un certo senso della giustizia fanno dunque parte della sua esistenza...

Credo che fra le cose che mi appartengono con maggiore profondità vi siano l’umanità e l’umiltà. Forse è per questo che le persone affidano a me il loro destino e scendono con me nell’inferno del loro passato. Io mi accosto agli interlocutori senza vizio e senza pregiudizio, sperando di potere incidere nella loro vita. Al di là di incidere sulla storia in termini di salvezza e di soluzione altra rispetto al giudizio già pronunziato dalla magistratura, Storie Maledette permette all’interlocutore di restaurare la propria immagine. Forse ricorda il

caso di Mary Patrizio, che alcuni anni or sono affogò il proprio bambino di cinque mesi nella vasca da bagno: io la intervistai in un ospedale psichiatrico, mostrando come all’epoca dei fatti fosse in preda a un esaurimento post partum. Ora Mary Patrizio è fuori e mi dice che l’atteggiamento della gente nei suoi confronti è cambiato completamente: pensi che soddisfazione per me! Questo è sufficiente per dire che il mio lavoro ha un senso.

È cambiata la sua visione del genere umano dopo tutti gli abissi che ha visitato?

Ho sempre pensato che in ogni petto batta un cuore di tenebra. Sono convinta che noi siamo soltanto più fortunati, siamo riusciti a silenziare i fantasmi e non abbiamo respirato demoni. Ma ognuno di noi può essere candidato a diventare protagonista di una maledetta storia. Franca Leosini, il suo successo sembra crescere giorno dopo giorno, anche grazie ai social... cosa ne pensa suo marito?

Qualche tempo fa mi fece questa domanda per un’intervista Malcom Pagani del «Fatto Quotidiano»... Anzitutto diffido della parola successo, preferisco parlare di risultati, perché il successo ce l’hanno anche quelli del Grande Fratello! A Pagani risposi che per mio marito, che facessi Storie maledette o polpette, era la stessa cosa. Ma il mio era un atto d’amore: so che lui mi ama semplicemente perché sono Franca!


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Cultura e Spettacoli

A Chiasso il «jazz delle città»

J.D. Allen a Jazz in Bess

con varie novità nel formato e con una lista di grandi nomi

rassegna di Rete Due «Tra jazz e nuove musiche»

Festival La cittadina di confine ripropone dall’8 all’11 marzo la sua raffinata rassegna,

Non ce ne vogliano gli organizzatori ma il desiderio è grande di vedere rovesciato il programma del prossimo festival jazz di Chiasso. Di cominciare il pranzo dal dessert, in altre parole. Tale è in effetti l’attesa suscitata dalla presenza del grandissimo Brad Mehldau, che si esibirà nell’ultimo concerto della rassegna, domenica 11 marzo (Teatro di Chiasso, ore 17.00). In qualche modo è in effetti proprio questa giornata straordinaria (per contenuti artistici e quale nuovo spazio cronologico del festival) ad attirare l’interesse degli habitué. Mehldau è già stato di recente a Chiasso, ma con un programma molto diverso e per certi versi inusuale, dedicato com’era al repertorio di Johann Sebastian Bach. Questa volta ci attendiamo invece di poterlo ascoltare nei panni, che tutti gli riconosciamo, di uno dei più interessanti e completi pianisti del jazz moderno. Impossibile non ricordare, poi, in questa straordinaria domenica di jazz, la presentazione pomeridiana (ore 15.00) del documentario dedicato a Ornette Coleman, Ornette. Made in America. Opera della regista Shirley Clarke, il film non è propriamente una novità, poiché realizzato nel 1984, ma offre si-

curamente un’ottima occasione per ricordare la figura e conoscere la biografia di una delle maggiori personalità che la storia del jazz abbia registrato. Tornando a parlare del Festival nel suo complesso, va segnalato che il tema generale della rassegna, il filo conduttore che ne lega i diversi concerti, è quest’anno Jazz and the city. Si tratta in effetti più di titolo calembour, che di una vera cornice tematica. La suggestione metropolitana è in effetti una delle caratteristiche tra le più banali dell’esperienza jazz: potremmo intendere la scelta del tema come un’allusione alle varie realtà urbane internazionali da cui provengono i musicisti. La scena italiana è rappresentata ad esempio dalla presenza della napoletana Maria Pia de Vito, protagonista di un omaggio alla musica brasiliana (venerdì 9, alle 20.45) e dal soulman laziale Luca Sapio (sabato 10, alle 24.00). Dall’Italia proviene anche l’eccezionale pianista Antonio Faraò, che si troverà coinvolto in un omaggio al grande violinista francese Didier Lockwood. Questi avrebbe dovuto essere presente proprio al festival ma è purtroppo morto nelle scorse settimane. A prendere il

Brad Mehldau sarà protagonista del concerto domenicale.

suo posto per un inevitabile tributo alla sua figura (venerdì 9, alle 22.15) è stato chiamato il chitarrista Biréli Lagrène, già protagonista del festival due anni fa. Altro appuntamento «metropolitano» è quello con il trio lussemburghese Reis-Demuth-Wiltgen, che si unirà per l’occasione al sassofonista Joshua Redman (giovedì 8 marzo, alle 22.15). Si tratterà di un incontro ravvicinato tra esponenti di una città europea in cui il jazz sta acquisendo una propria personalità e un grande solista newyor-

chese. Grande attesa suscita comunque la presenza del pianista israeliano Shai Maestro, a cui per la prima volta è stato offerto il ruolo di musicista «in residence»: si esibirà quindi in tutte e tre le serate dell’8, 9 e 10 marzo, in tre differenti formazioni. Ultima segnalazione per un gruppo elvetico-ticinese di recente costituzione: l’Epic Jazz Trio di Max Pizio e Andi Appignani proporrà un incontro con il trombettista italiano Flavio Sigurtà (sabato 10 marzo alle 20.45). /AZ

Concerti Ospite della

Un nuovo appuntamento «in trasferta» per la serie di concerti proposta, con il sostegno del Percento culturale di Migros Ticino, dalla seconda rete radiofonica RSI. Sarà infatti il club luganese Jazz in Bess, sede dell’Associazione Jazzy Jams, a ospitare l’eccezionale sassofonista statunitense J.D. Allen, accompagnato dalla sezione ritmica di Gregg August al contrabbasso e Oliver Robin alla batteria. Allen è uno dei giovani leoni del sassofono moderno e nel corso degli anni si è meritato la fama di eccezionale solista e di eccellente compositore. È facile individuare le ascendenze coltraniane del suo fraseggio ma basta un ascolto appena più attento per rendersi conto di come il flusso musicale sia gui-

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È nato a Detroit nel 1972 ma vive e lavora da anni a New York.

dato da un pensiero complesso e da una prospettiva creativa ampia, inevitabilmente «moderna». Se l’esplorazione coltraniana originaria era per certi versi guidata da uno spirito alla ricerca di una trance e da un abbandono al flusso delle idee, in Allen non si ritrova nessuna ambizione estatica. Per lui la performance davanti al pubblico è un ambito estremamente rigoroso in cui dare fondo a tutta la gamma delle possibilità espressive del suo strumento. Da non dimenticare in questo senso la sua attenzione e il suo approccio di compositore. I suoi partner, in una formazione assolutamente minimalista e implacabile, vengono guidati con estrema precisione lungo un cammino che si costruisce davanti al pubblico sera dopo sera (in questo senso Youtube è sicuramente un formidabile strumento per seguire l’austera presenza scenica del sassofonista). Con una leggerezza strabiliante Allen passa dagli inevitabili spazi di improvvisazione libera e torrenziale a strutture ordinate e di architettura originale e moderna: un fuoriclasse all’opera, senza alcun dubbio.

A che cosa può servire il bicarbonato di sodio?  sturare gli scarichi  pulire l’argenteria  prolungare la vita dei fiori recisi Scoprirà ricette facili a base di bicarbonato di sodio e ingredienti comuni per:  pulire una pentola il cui fondo si è bruciato  far divertire i bambini, costruendo un vulcano in miniatura  allentare con facilità i nodi troppo stretti  rimuovere le macchie di ruggine Imparerà che il bicarbonato di sodio è puro, efficace e sicuro per l’ambiente. Per di più è naturale al 100%. E risparmierà pure! Il libro “La Magia del Bicarbonato

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Cultura e Spettacoli Rubriche

In fin della fiera di Bruno Gambarotta Ho nostalgia del senso di appartenenza Avevo sei anni, stavo imparando a leggere e sul muro di fronte a casa nostra un mattino apparve una scritta in vernice nera: «Morte per chi ascolta Radio Londra!», con un teschio e due tibie incrociate. Dunque c’era chi rischiava la vita per ascoltare le voci che uscivano da quell’apparecchio Siemens a cinque valvole con l’occhio magico per la sintonia. Troneggiava in salotto, posato sul ripiano di un tavolino e solo nostro padre era autorizzato ad accenderlo, manovrarlo e spegnerlo. Un centrino ricamato lo proteggeva dalla polvere. Ho rivissuto la scena nel film di Woody Allen, Radio Days. In seguito sarebbero arrivati i racconti degli internati militari che erano riusciti a costruire con mezzi di fortuna una ricevente e da quelle voci captate fortunosamente avrebbero tratto l’incoraggiamento a tenere duro. Nel pomeriggio del 16 luglio 1948 gli operai che stavano rifacendo il selciato della via sotto le nostre finestre ci chiesero di alzare al massimo

il volume della radio, volevano ascoltare la radiocronaca da Parigi con Gino Bartali che stava vincendo il Tour de France e così allontanava il rischio di guerra civile a causa dell’attentato a Palmiro Togliatti. Noi ragazzi discutevamo per ore su tutto finché qualcuno metteva la parola fine pronunciando la frase: «L’ha detto la radio». Alle sette di sera del 4 maggio 1949 ero seduto sul gradino esterno al negozio da parrucchiera di mia madre quando una cliente ha fatto irruzione gridando: «La radio ha detto che è morto il Torino!». Era una notizia impossibile ma se l’aveva detto la radio doveva per forza essere vera. Nel corso degli anni si sono impegnati in molti per cercare di demolire l’aura sacrale che circonda la voce che esce da una radio ma per fortuna non ci riusciranno mai del tutto. La radio, cento volte data per morta, cento volte è rinata. Se una notizia inaspettata ci sorprende la ricordiamo molto meglio se l’abbiamo appresa nella modalità dell’ascolto,

perché siamo stati costretti a fare uno sforzo mentale per visualizzarla. La notizia sconvolgente ascoltata da una radio imprime in maniera indelebile nella memoria le circostanze nelle quali l’abbiamo appresa. Ricordo senza sforzo dov’ero e cosa stavo facendo quando dalla radio appresi che avevano sparato al presidente Kennedy, avevano rapito Aldo Moro, avevano abbattuto le torri gemelle di New York. Se la notizia mi arriva accompagnata da immagini in movimento, la subisco passivamente delegando a qualcun altro il lavoro di allestire la scena. La scelta delle immagini a corredo della notizia non può non costituire un commento interpretativo mentre il semplice ascolto lascia il fruitore libero di collocare la notizia nel quadro del suo orizzonte conoscitivo. Nel panorama dell’ascolto le notizie sono un settore importante ma non esauriscono le sue potenzialità. C’è la musica e c’è l’incanto della voce che si realizza nella lettura dei testi. Sappiamo

che nella comunicazione interpersonale ha un forte ruolo il linguaggio non verbale, tanto che il significato delle parole pesa solo per il 12%, il resto essendo costituito dalla postura del corpo, dai gesti, dall’espressione del viso, dal tono della voce. Anche ascoltando la lettura di un testo letterario si attiva una comunicazione slegata dal significato delle parole, ma in questo caso il fenomeno non va a detrimento ma in arricchimento al testo. Possiamo chiamare questo effetto «la musica della prosa», il suo respiro profondo che fa vibrare emozioni fino a quel momento ignote a noi stessi. Se nella solitudine della mia cameretta sto in ascolto di qualcuno che legge un autore a me congeniale (Manzoni, Gadda, Fenoglio) entro a far parte di una comunità di miei simili. Quanto all’ascolto dell’informazione divulgativa, si tratti di scienza, di storia, di filosofia, di critica d’arte, di religione, l’esigenza di essere chiari costringe a sviluppare un ragionamento diretto, senza quelle de-

viazioni che in un testo stampato sono le note. A tutto ciò si aggiunga il contro canto dei commenti e delle telefonate degli ascoltatori che crea una forma di comunicazione bidirezionale. Infine, con l’avvento del podcast, cade l’obbligo di sottostare agli orari di trasmissione. Quel bambino che nel 1943 compitava a stento le scritte minatorie, mai avrebbe immaginato un simile approdo. Non sono sicuro che quest’ultimo sia un progresso. Se so di avere a disposizione la registrazione di un programma che prima mi costringeva a sincronizzare i miei impegni, finisco per non trovare più il tempo per ascoltarla. Tutto attorno a noi congiura per renderci fruitori molecolari di tutto, e così viene meno quel rassicurante senso di appartenenza a un gruppo nell’atto di condividere un’esperienza. Ho nostalgia del tempo in cui mi affrettavo a tornare a casa per non perdere Alto gradimento ed essere poi in condizione di commentarlo con i miei amici.

Ma razionalmente la cosa non convince gli Eleati e Zenone, che per questo gioca in difesa: come potrebbe attaccare, se il nemico è comunque sempre in vantaggio? La squadra di Parmenide dunque afferra le palle di neve, e fin qui tutto bene. Infatti per l’Eleate l’essere, che è e non può non essere, è come uno «sfero tondo», perfettamente tondo, un «bello sfero». Quale migliore invito ad arrotondare con perfezione le munizioni della battaglia? Il problema poi è il tiro, perché per loro, è noto, nemmeno una freccia scagliata nel cielo si muove davvero: l’apparente movimento è dato dal susseguirsi di, come diremmo oggi, «fermi-immagine», di infiniti istanti in cui la freccia è ferma. Figurarsi una palla di neve, che in volo può anche disfarsi. L’allenatore li incoraggia, forza ragazzi, non ragionate troppo, tirate e sarà quel che sarà. Gli avversari sono temibili, primo fra tutti Tommaso Campanella, nato nel Regno di Napoli, a Stilo, nel 1568. Tommaso è stato un vivace filoso-

fo, ma anche come prestanza fisica non aveva rivali. Per evitare la condanna capitale si finse pazzo e sopportò quaranta ore di torture senza ammettere la finzione. Inoltre, Tommaso è convinto che tutto ciò che esiste sia sensibile, abbia delle percezioni, come se il mondo fosse costituito da un solo grande animale. Questa è l’idea, presa dal platonismo, in particolare dall’egiziano Plotino, che consente la razionalizzazione della magia: proprio perché parte di uno stesso corpo, alcuni oggetti possono influire su altri anche a distanza, come quando ci pestano un piede e vediamo le stelle. E questo è anche il motivo per cui Campanella sta parlando alla palla di neve: la incoraggia, le spiega dove colpire e come. Perplesso è il suo compagno di squadra, l’altro Tommaso, quello d’Aquino, anche lui nato nei paraggi, mandato dalla famiglia nel monastero di Montecassino per diventarne ricco abate, avversato poi dalla stessa quando ha deciso di farsi domenicano, quindi

povero e intellettuale, caratteristiche invise alla nobiltà dei d’Aquino. Tommaso non è uno sportivo, ma ha una mira infallibile. Ha chiesto all’altro Tommaso, al Campanella, di coprirlo mentre lui mira Benedetto Croce, ma Campanella non deve far rumore parlando alla neve. Il momento sembra propizio, Benedetto infatti è distratto, controlla che le finestre della sua casa, lì dietro al monastero «’e Santa Chiara», siano chiuse, non sia mai che una palla di neve colpisca la ricca biblioteca. Mentre guarda per aria, i due Tommaso colpiscono, volano le palle di neve, ma qualcuno le devia, è un uomo col cappuccio, è Giordano Bruno, un altro filosofo nato vicino a Napoli, a Nola. Giordano devia, sarà forse magia, nessuno si fa male. Ah no, è che la neve si è sciolta ormai, il sole non è riuscito a stare nascosto, è «in fronte» a noi, e non c’è napoletano, nemmeno filosofo, che riesca a fuggire quel tepore che dopo il freddo scalda la pelle, pazienza per «o pupazz».

bisognerebbe proibire certi romanzi in quanto allucinogeni e stupefacenti come l’oppio. Pensate a una fascetta di questo genere: «Attenzione, i romanzi di Balzac fanno male alla salute!». Probabilmente andrebbero a ruba. Salter è un tossicodipendente da letteratura. Dice: «Penso che leggerò sino alla fine dei miei giorni, come Edmund Wilson, che imparava l’ebraico con le bombole di ossigeno ai piedi del letto». Wilson è stato uno dei critici militanti più intelligenti e autorevoli nel Novecento americano. Apparteneva alla «generazione perduta» di Hemingway, Faulkner e Scott Fitzgerald. A proposito di Hemingway, Salter ha una definizione bellissima: «realismo, ma con riserva». Il suo linguaggio semplice, primario, di poche sillabe e di poche parole rende la sua voce incomparabile. Lo si riconosce ad apertura di libro: «Sul finire dell’estate di quell’anno vivevamo in una casa in un villaggio che guardava le montagne di là del fiume e della pianura». Pensate a quanti

scrittori oggi sono talmente privi di stile da essere beatamente fungibili: si somigliano tutti. La mancanza di stile segnala una mancanza di visione del mondo, ci dice Salter. Leggendo Hemingway, succede invece qualcosa di strano: «si percepisce una specie di avvertimento, una carica elettrica che ci fa fremere, come avviene con il sesso». Ecco un’altra possibilità per invogliare i giovani a leggere: sconsigliare i grandi romanzi perché, come dicevano le nonne di certe pratiche sessuali, nuocciono alla vista. Tra gli scrittori che Salter ama di più c’è Gustave Flaubert, che iniziò a scrivere Madame Bovary trentenne nel 1851 e lo terminò quattro anni e mezzo dopo: il risultato sono trecento pagine definitive e 4500 pagine di minute. C’è un aneddoto molto indicativo dello straordinario rigore stilistico di Flaubert. Quando il suo allievo Guy de Maupassant, trepidando, gli diede da leggere il suo primo racconto, Boule de suif, passati pochi giorni si sentì dire:

«È un capolavoro... Cambierei soltanto due parole». Sosteneva Flaubert: «Una buona frase in prosa dovrebbe essere come un buon verso in una poesia, inalterabile, perché altrettanto ritmico, altrettanto sonoro». Una frase che sarebbe piaciuta a Giorgio Orelli, che ha scritto le sue poche prose come fossero opere in versi. Basta aprire Pomeriggio bellinzonese, il racconto del 1978 riproposto da Casagrande, oppure Un giorno della vita, raccolta di racconti del 1960 ripubblicata da Marcos y Marcos: «Un 28 dicembre tiepido come questo, a più di mille metri, io non lo ricordo. La poca neve sgocciola dai tetti, e tutto scricchia e si sfa come al mese d’aprile. Esci di casa, e ti meravigli di sentire così forte il rumore dei treni che passano nel fondovalle; e se ti guardi in giro, vedi strane cose per aria: sembrano petali, come a primavera...». Sarebbe piaciuto a Salter, che amava gli scrittori capaci di osservare le cose da vicino. Tutto molto nocivo alla salute, pericoloso, da non leggere assolutamente!

Postille filosofiche di Maria Bettetini Palle di neve pensate «Accatv e carot po pupazz». D’altra parte a chi viene voglia di insalatine miste con tanto freddo? Quindi le carote solo a questo possono servire, fare il naso ai pupazzi di neve. Al primo giorno di neve nella zona del Centro e del Sud Italia, ci siamo divertiti con le battute dei romani: nostalgia di Spelacchio, il povero abete natalizio che morì prima di Natale, meritandosi il nome per la mancanza di foglie o aghi che dir si voglia; oppure scherzi sulla sindaca, avvistata allegramente in bicicletta, in maniche corte, a Città del Messico; infine meravigliose viste di piazze, ponti, colossei, tutti coperti di bianco, con commosso commento di quei ruvidoni – e romanticoni – dei romani. Ma i napoletani, loro battono tutti. Quanta neve sarà scesa? Tre, cinque centimetri? Ecco pronta la carota per il naso, «prendete la carota per il pupazzo», accattatevilla, non c’è nemmeno il prezzo, sarà forse in regalo. E poi il capolavoro: nello stesso mercato, «palle di neve già fatte, una 0.50 euro, tre

un euro». Me li vedo, i filosofi di Napoli e dintorni, che si apprestano a una partitina. I loro allenatori hanno già preparato le palle di neve, le passano ai giocatori man mano che scendono in campo, tre al prezzo di due. C’è Parmenide, per la squadra degli Eleati – oggi Elea si chiama Ascea, è sempre un bellissimo paese di mare a sud di Napoli. Gli Eleati, si sa, hanno dei problemi col movimento. Zenone, che gioca in difesa, è quello di Achille e della tartaruga, del piè veloce che mai raggiungerà in una gara di corsa una testuggine partita con un minuscolo anticipo. È un paradosso, naturalmente, l’esperienza insegna che Achille raggiunge e supera la tartaruga in un balzo, perché nella realtà l’infinita segmentazione spaziale non corrisponde a quella temporale. Ossia: Achille non deve aspettare di coprire una a una le minime distanze che lo separano dal simpatico animaletto, consentendogli un ulteriore spostamento, il ragazzo infatti può coprirle tutte in una volta sola.

Voti d’aria di Paolo Di Stefano Attenzione, pericoloso leggere! Per fortuna, nei giorni delle elezioni italiane (2–), mi sono consolato della mediocrità dei discorsi politici rigirandomi tra le mani un piccolo libro da 6–. È L’arte di narrare, pubblicato da Guanda. Essendo un libro che apre le porte verso altri libri, in genere capolavori, lo consiglierei a quelli che resistono al fascino della lettura. Autore James Salter, grande scrittore americano, ex pilota dell’Aviazione militare degli Stati Uniti, morto novantenne nel 2015. Un maestro per Richard Ford (5½ al suo ultimo romanzo, Tra loro, uscito in Italia da Feltrinelli). Non distribuisce insegnamenti o istruzioni per l’uso, Salter: racconta il suo rapporto con i libri. Comincia così: «Può capitare che una persona svenga alla vista di qualcosa, oppure sentendo una notizia, o la voce di una persona creduta morta da tempo; a nessuno capita però di svenire leggendo un libro». Dunque, i libri sono privi di potere emotivo? Tutt’altro. Il primo romanzo citato da Salter è L’amante di Marguerite Duras: nel leggerlo, ricor-

da, «credevo di essere nell’Indocina francese. Vedevo i grandi viali alberati, gli abiti bianchi, il quartiere cinese... Il romanzo è in prima persona. È una confessione inventata, ma io ci ho creduto. È diventato parte della mia storia del mondo». Poi Salter riporta un racconto di François Mauriac a proposito di uno scrittore francese che si chiamava Paul Bourget: il quale un giorno, a quindici anni, entrò in una sala di lettura di rue Soufflet a Parigi e chiese il primo volume di Papà Goriot. Lesse per sei ore e terminato il romanzo di Balzac, si ritrovò per strada verso le sette di sera. «L’allucinazione di quella lettura era così forte» scrisse Bourget «che barcollavo... L’intensità del sogno in cui Balzac mi aveva immerso aveva prodotto su di me effetti simili a quelli dell’alcol o dell’oppio. Impiegai qualche minuto ad assimilare la realtà delle cose che mi circondavano e la mia stessa mediocre realtà». Forse, per spingere verso i libri tanti giovani refrattari alla lettura,


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Idee e acquisti per la settimana

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shopping Specialità della Mesolcina

Attualità L’Angolo del Buongustaio di Migros Ticino comprende numerose prelibatezze di elevata qualità.

Tra queste anche due salumi tipici mesolcinesi

Chi ama i salumi più nobili, non può certo farsi mancare in tavola quelli della Val Mesolcina, regione famosa e apprezzata anche in Ticino per le sue specialità gastronomiche dalla lunga tradizione. L’arte della lavorazione delle migliori carni è nelle mani di alcuni artigiani salumieri che con grande sapienza producono ogni giorno genuine bontà seguendo ricette tipiche locali. Tra i salumi più noti di questa valle del Grigioni italiano, si distinguono la morbida e saporita carne secca e l’aromatico prosciutto crudo leggermente affumicato. È proprio di quest’ultimo che ci parla Raffaele Gullà, esperto salumiere del supermercato Migros di S. Antonino. Signor Gullà, da dove arriva il prosciutto crudo della Mesolcina? Questa specialità è prodotta dalla salumeria Fagetti di Roveredo, azienda con alle spalle una tradizione di oltre 50 anni nella produzione di raffinata salumeria.

Cos’è l’Angolo del Buongustaio? L’Angolo del Buongustaio è un nuovo spazio dedicato all’alta gastronomia, situato all’interno dei reparti macelleria di Migros Ticino, dove trovare un ventaglio di specialità, tutte appositamente selezionate dai nostri esperti, di qualità eccelsa ad un prezzo giusto. I prodotti proposti sono lo specchio dei valori fondamentali di Migros Ticino: artigianalità, sostenibilità, cultura gastronomica, tradizione e produzione responsabile.

Che cosa rende questo prodotto così particolare? Sicuramente un’accurata lavorazione artigianale attenta alla tradizione. Per produrre questo prosciutto vengono selezionate solo le migliore cosce suine provenienti da animali allevati in Svizzera. Le cosce vengono dapprima massaggiate e salate manualmente, per essere poi poste alcuni giorni a riposare in una salamoia a base di vino nostrano e spezie segrete. Dopodiché le cosce subiscono una leggera affumicatura a legna e, infine, vengono lasciate stagionare per almeno due mesi in una cantina di pietra. Come lo si apprezza al meglio? Sicuramente mangiato con del croccante pane scuro, ma si accompagna benissimo anche a un buon risotto oppure a dell’insalatina di stagione. L’importante è gustare il prosciutto dopo averlo lasciato almeno una mezzoretta a temperatura ambiente. Solo così ha modo di sprigionare tutti i suoi delicati aromi.

Il prosciutto crudo della Mesolcina stagiona nell’affumicatoio in pietra per almeno due mesi.

Raffaele Gullà del supermercato Migros di S. Antonino vi invita ad assaggiare il prosciutto crudo e la carne secca mesolcinesi. (Flavia Leuenberger Ceppi)


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Idee e acquisti per la settimana

Tanto si parla della Pasqua che alla fine arriva... la colomba! Attualità Che siano piccole o grandi, con o senza canditi, le colombe Jowa conquistano tutti

Azione 30%

sulla Colomba San Antonio in sacchetto 500 g Fr. 4.50 invece di 6.50 dall’8 al 10 marzo

Colomba San Antonio scatola, 1 kg Fr. 11.50

Flavia Leuenberger Ceppi

tima qualità, come le uova, il burro, lo zucchero, le scorze d’arancia e il miele. Quest’ultimo aiuta non solo a creare una pasta liscia ed elastica, qualità che contribuiscono al volume e sofficità del prodotto finito, ma aiuta anche l’impasto a trattenere i liquidi favorendo l’ottima conservazione della colomba. Molta attenzione è data alla glassatura, ottenuta a partire da albume, zucchero e mandorle. La presenza della glassatura e delle mandorle intere leggermente tostate aggiungono un sapore più intenso, creando un interessante contrasto tra il croccante della copertura e l’interno morbido. Gli arancini, che con la vaniglia conferiscono un sapore delicato, evocano il rifiorire della natura, ma coloro che non amano la scorza candita possono trovare una versione senza canditi. Insomma a mettere tutti in pace basta una dolce colomba da gustarsi la domenica di Pasqua oppure nel suo formato mignon come dolce merenda festiva. / Luisa Jane Rusconi, food blogger

Flavia Leuenberger Ceppi

«Pasqua venga alta o venga bassa, la vien con la foglia o con la frasca». A questo detto vien spontaneo aggiungere che la Pasqua porta con sé non soltanto la primavera, ma soprattutto vede la colomba pasquale tornare ad allietare le nostre tavole. Da Migros l’assortimento di colombe della Jowa di S. Antonino è variegato: dalla piccola colomba di 120 g, alle pezzature di 300 g, 500 g e 750 g fino alla «formato famiglia» da 1 kg. Tra queste colombe anche la Sélection, un poco più ricca di burro e perfetta da regalare. Ad accomunare le colombe è l’impasto tradizionale, una ricetta artigianale che richiede 48 ore di lavoro e una cura scrupolosa di uno degli ingredienti chiave: la pasta madre o lievito naturale. La qualità del lievito naturale passa anche dal tipo di farina usata per la sua lavorazione, importante per ottenere un impasto elastico e resistente a lunghe lavorazioni e all’aggiunta di altri elementi. A contribuire al sapore e alla finezza delle colombe ingredienti di ot-

Pane per Passione State cercando un pane davvero goloso, fatto con ingredienti genuini, croccante fuori e morbido dentro? La risposta è il Pane Passione Rustico delle panetterie Migros che si conserva bene per diversi giorni. Le sue particolari qualità lo hanno reso uno dei pani più apprezzati dalla clientela. Per ottenere un risultato perfetto l’impasto viene lavorato a mano dagli abili panettieri della Jowa e lasciato lievitare per almeno 20 ore prima di essere infornato. Viene utilizzato un sapiente mix di semi e farine – farina di frumento, farina di segale, semi di girasole, spelta, semi di lino, semi di sesamo e tritello di segale – di origine svizzera ottenuto da cereali coltivati secondo le norme TerraSuisse. È delizioso non solo per accompagnare una croccante insalata di stagione, ma anche da solo come pane di tutti i

giorni, spalmato di aromatici paté, oppure affettato per preparare dei panini imbottiti supersfiziosi. Azione 20% Pane Passione Rustico TerraSuisse 380 g Fr. 2.55 invece di 3.20 dal 6 al 12 marzo

I cereali TerraSuisse provengono da un’agricoltura svizzera sostenibile, che crea spazi vitali per piante e animali rari. I contadini rinunciano all’utilizzo di diversi mezzi chimici.


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Idee e acquisti per la settimana

In tavola arrivano gli asparagi Attualità Si apre la stagione di questo ortaggio primaverile tanto apprezzato

Azione 35% sugli Asparagi verdi Messico/Perù, mazzo 1 kg Fr. 5.70 invece di 8.90 Buoni, sani e facili da cucinare: non ci sono scuse, gli asparagi sono i protagonisti dei nostri menù primaverili. Ritenuti ortaggi raffinati sin dall’antichità grazie al loro gradevole e delicato sapore, vantano pure numerose proprietà benefiche per l’organismo: sono depurativi, diuretici, poveri di calorie e privi di colesterolo. Gli asparagi inoltre rafforzano cuore, muscoli e ossa. Verdi o bianchi? Gli asparagi che crescono esposti alla luce solare si tingono di verde per effetto della clorofilla che contengono, mentre quelli bianchi sono coltivati al buio senza che possa avvenire il processo di fotosintesi clorofilliana. Per l’ottima riuscita di ogni piatto a base di asparagi, è importante che essi siano freschissimi: non devono avere rotture e le punte devono essere unite e dure. Solo gli asparagi bianchi vanno pelati per tutta la lunghezza dato che la buccia risulta legnosa, mentre di quelli verdi è sufficiente pelare la parte inferiore. Nei reparti verdura Migros avete la possibilità di scegliere tra il gusto delicato degli asparagi bianchi e l’aroma più intenso di quelli verdi, quest’ultimi disponibili anche nella qualità «fine». Nelle maggiori filiali, sono disponibili tutti gli accessori più adatti alla preparazione degli asparagi, dalle speciali pentole ai pela-asparagi, dalle salsiere alle pinze.

dal 6 al 12 marzo

Axe e Rexona ti regalano un gadget elettronico

8 marzo: Auguri a tutte le donne!

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Una bella notizia per tutti gli appassionati di elettronica d’intrattenimento! Acquistando tre articoli a scelta nell’assortimento degli apprezzati marchi Axe e Rexona (leader tra i prodotti per doccia e tra i deodoranti

da uomo e da donna) si potrà ottenere subito in regalo un simpatico gadget elettronico. Sarà possibile scegliere tra uno speaker per doccia wireless o un power bank portatile per ricaricare il cellulare. La promozione è valida da

subito, fino ad esaurimento delle scorte, presentando lo scontrino al banco accoglienza clienti delle filiali Migros di Biasca, Locarno, Serfontana, Agno, Lugano, S. Antonino, Arbedo-Castione e Pregassona.

La bellissima mimosa, fiore per eccellenza della Festa della Donna e simbolo di forza e femminilità, mercoledì e giovedì, attende coloro che desiderano regalare un bouquet speciale, in tutti i reparti fiori di Migros Ticino. I profumati fiori ornamentali dall’intenso colore giallo provengono dalla Riviera ligure, territorio privilegiato per floricoltura grazie al suo clima mite e temperato.

Affinché rimanga rigogliosa per più giorni, si consiglia di trasferire il mazzo di mimosa in un vaso con poca acqua, posizionarla in un luogo luminoso della casa e aggiungere lo speciale nutrimento che si riceve all’acquisto. Mimosa il mazzo Fr. 6.90 In vendita il 7 e l’8 marzo presso i reparti fiori Migros


Partecipa e addolcisci la tua Pasqua Vinci ora uno dei 1000 cestini pasquali in palio!

I cestini pasquali Famigros contengono cioccolato Frey e una sorpresa Lilibiggs. Trovi tutte le informazioni sul concorso sul sito famigros.ch/cestini-di-pasqua. Termine di partecipazione: 18 marzo 2018.


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Idee e acquisti per la settimana

«I bambini si divertono molto a dipingere le uova» Vanessa Glässel, responsabile di progetto Famigros

Vanessa Glässel è responsabile di progetto per Famigros e mamma di tre bambini.

Vanessa Glässel

«Dipingere le uova è un gioco da ragazzi» Qual è la decorazione di Pasqua più veloce da far fare ai bambini? Il lavoretto più facile è quello di applicare sulle uova già colorate degli adesivi con i motivi di Pasqua. Ma anche dipingere le uova diverte molto i bambini, e con l’apposito set di colori della Migros è davvero un gioco da ragazzi. I più grandicelli potrebbero anche modellare delle forme di pasta di sale, che una volta asciutte possono essere dipinte con colori acrilici. Spesso, quando si fa del bricolage scoppiano battaglie con il materiale. Il set Migros con i colori per le uova è costituito da una quantità precisa. Pennello e colori possono essere usati anche per altri lavori di bricolage. Famigros

Creatività pasquale

Vi piacerebbe ricreare attorno a voi un po’ di atmosfera pasquale assieme ai vostri bambini? Sul suo sito Internet, il club per le famiglie della Migros fornisce molti suggerimenti per realizzare le decorazioni pasquali. E ci sono in palio 1000 cestini di Pasqua

La Pasqua è una bella occasione per mettersi a fare qualcosa tutti assieme. Di solito ai più piccoli piacciono molto i lavoretti creativi. Per mamma e papà, invece, mettersi a ritagliare, bucare, disegnare e pennellare può a volte risultare davvero sfibrante. Soprattutto se le buone idee scarseggiano o se si è di cattivo umore. Famigros, il club delle famiglie della Migros, aiuta i genitori a trovare qualche idea facile da realizzare. Sul sito famigros.ch/it/mondo-delle-idee troverete diversi suggerimenti per il bricolage pasquale, come per esempio tutto quel che si può realizzare con le uova: come si preparano, come si tingono con colori naturali o come si fanno apparire sul guscio motivi floreali. Bricolage senza delusioni

Di solito, ovviamente, non tutto va secondo programma. Per esempio, quando i bambini perdono la pazienza,

proprio non ce la fanno o non sono soddisfatti del loro lavoro. Vanessa Glässel, madre di tre figli e responsabile di progetto per Famigros, conosce bene questi momenti critici. E consiglia di non fissarsi obiettivi troppo ambiziosi e di ripartire in anticipo le varie fasi di lavoro, soprattutto se i bambini coinvolti nel bricolage hanno età differenti e magari sono anche in concorrenza tra loro. L’esperta madre di famiglia ha in serbo anche qualche buon consiglio per alcune idee che si possono realizzare molto velocemente (vedi intervista). Lunedì 5 marzo il sito Internet metterà in palio dei premi molto speciali: Famigros estrarrà a sorte 1000 cestini di Pasqua con tutte le leccornie tipiche di questa tradizionale festa primaverile. Auguriamo a tutti buona fortuna e buona Pasqua. Maggiori informazioni: famigros.ch/it/ mondo-delle-idee

I lavori finiti sono spesso diversi da come si immaginava. Come faccio a non mettermi a piangere? Meno si pretende da se stessi, meno pretenderanno i piccoli da loro stessi. Se si tratta di fratelli di diverse età, i lavori di bricolage possono essere suddivisi in base al loro sviluppo. In questo modo si evitano concorrenza e dispiaceri.


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Pane del mese

Fiocchi per un’assoluta leggerezza

Maggiori informazioni sul tema pane: www.migros.ch/ pane

Il nuovo pane biologico ai 5 cereali è l’attuale pane del mese nelle panetterie della casa Migros. Per la sua produzione sono necessarie numerose competenze artigianali dell’arte della panificazione, che ne fanno un pane che si conserva a lungo Serie Specialità nelle panetterie Migros

Testo Claudia Schmidt; Foto Veronika Studer, Gaetan Bally

nificio della casa alla Migros di S. Antonino. Anche il preimpasto e il lungo periodo di riposo contribuiscono a farne un pane che si conserva più a lungo rispetto a un tradizionale pane bianco. Il fatto che sulla pagnotta ci siano cinque intagli è un’idea dei fornai: le incisioni rappresentano i differenti cereali usati. Mauro Pizzagalli: «Senza gli intagli il pane si spezzerebbe e perderebbe la forma desiderata».

Mauro Pizzagalli è panettiere presso la filiale Migros di S. Antonino. È uno dei circa 900 professionisti che più volte al giorno sfornano il pane nelle 130 panetterie della casa. Così il pane è sempre disponibile appena cotto e caldo fino all’orario di chiusura. (Flavia Leuenberger Ceppi)

Attualmente: Bio pane ai 5 cereali

Mauro Pizzagalli

«Il preimpasto e il lungo tempo di riposo ne fanno un pane a lunga conservabilità» Perché è diventato panettiere?

A casa preparavamo sempre il pane. Già da bambino mi piaceva lavorare l‘impasto e infornarlo. Per questo motivo è stato logico io facessi un apprendistato in panetteria. Qual è il suo pane preferito?

Mangio ogni giorno un pane diverso. Solo a colazione mangio il pane ticinese di Sils o la corona croccante. Come companatico mi basta del semplice burro. Per lei il pane è irrinunciabile perché…

… non ci mettiamo mai a tavola senza pane. Il pane semplicemente è irrinunciabile.

Bio pane ai 5 cereali 360 g Fr. 3.60

Foto e Styling Veronika Studer

Oltre al grano, l’attuale pane del mese contiene altri quattro cereali, aggiunti all’impasto sotto forma di fiocchi: farro, orzo, avena e segale – tutti di qualità biologica – che garantiscono un aroma intenso. La crosta croccante e la morbida mollica fanno di questo pane la base ideale per una colazione con le confetture. L’impasto con i fiocchi ha un altro vantaggio. «Mantiene il pane fresco», spiega Mauro Pizzagalli, fornaio presso il pa-

Cosa rende speciale il nuovo pane del mese?

Il pane biologico ai 5 grani ha una crosta fantastica e rimane fresco particolarmente a lungo. Cosa rende così lungo il suo tempo di conservazione?

Viene prodotto con un preimpasto lievita-

to. Unitamente al lungo tempo di riposo, ciò conferisce una lunga conservabilità. Inoltre il pane contiene anche fiocchi di cereali, ciò che concorre a mantenerne la freschezza. La preparazione del pane in casa è diffusa, tuttavia i pani delle panetterie sono migliori. Perché?

Nelle panetterie abbiamo tutti i mezzi tecnici per determinare i tempi perfetti di cottura. Inoltre i nostri forni dispongono della funzione vapore. E possiamo regolare in modo indipendente la temperatura superiore e quella inferiore. Ma questi sono solo alcuni degli aspetti da considerare, perché alla fine dei conti ogni pane è diverso. E ciò che richiede tante competenze. Quali i pani preferiti a S. Antonino?

La baguette cotta nel forno di pietra e la corona croccante. E aumenta il gradimento del pane Val Morobbia. Da quando lo proponiamo anche in un formato più piccolo, se ne rallegrano in particolare i clienti anziani, per i quali una pagnotta di grandi dimensioni è troppo.


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Pane del mese

Fiocchi per un’assoluta leggerezza

Maggiori informazioni sul tema pane: www.migros.ch/ pane

Il nuovo pane biologico ai 5 cereali è l’attuale pane del mese nelle panetterie della casa Migros. Per la sua produzione sono necessarie numerose competenze artigianali dell’arte della panificazione, che ne fanno un pane che si conserva a lungo Serie Specialità nelle panetterie Migros

Testo Claudia Schmidt; Foto Veronika Studer, Gaetan Bally

nificio della casa alla Migros di S. Antonino. Anche il preimpasto e il lungo periodo di riposo contribuiscono a farne un pane che si conserva più a lungo rispetto a un tradizionale pane bianco. Il fatto che sulla pagnotta ci siano cinque intagli è un’idea dei fornai: le incisioni rappresentano i differenti cereali usati. Mauro Pizzagalli: «Senza gli intagli il pane si spezzerebbe e perderebbe la forma desiderata».

Mauro Pizzagalli è panettiere presso la filiale Migros di S. Antonino. È uno dei circa 900 professionisti che più volte al giorno sfornano il pane nelle 130 panetterie della casa. Così il pane è sempre disponibile appena cotto e caldo fino all’orario di chiusura. (Flavia Leuenberger Ceppi)

Attualmente: Bio pane ai 5 cereali

Mauro Pizzagalli

«Il preimpasto e il lungo tempo di riposo ne fanno un pane a lunga conservabilità» Perché è diventato panettiere?

A casa preparavamo sempre il pane. Già da bambino mi piaceva lavorare l‘impasto e infornarlo. Per questo motivo è stato logico io facessi un apprendistato in panetteria. Qual è il suo pane preferito?

Mangio ogni giorno un pane diverso. Solo a colazione mangio il pane ticinese di Sils o la corona croccante. Come companatico mi basta del semplice burro. Per lei il pane è irrinunciabile perché…

… non ci mettiamo mai a tavola senza pane. Il pane semplicemente è irrinunciabile.

Bio pane ai 5 cereali 360 g Fr. 3.60

Foto e Styling Veronika Studer

Oltre al grano, l’attuale pane del mese contiene altri quattro cereali, aggiunti all’impasto sotto forma di fiocchi: farro, orzo, avena e segale – tutti di qualità biologica – che garantiscono un aroma intenso. La crosta croccante e la morbida mollica fanno di questo pane la base ideale per una colazione con le confetture. L’impasto con i fiocchi ha un altro vantaggio. «Mantiene il pane fresco», spiega Mauro Pizzagalli, fornaio presso il pa-

Cosa rende speciale il nuovo pane del mese?

Il pane biologico ai 5 grani ha una crosta fantastica e rimane fresco particolarmente a lungo. Cosa rende così lungo il suo tempo di conservazione?

Viene prodotto con un preimpasto lievita-

to. Unitamente al lungo tempo di riposo, ciò conferisce una lunga conservabilità. Inoltre il pane contiene anche fiocchi di cereali, ciò che concorre a mantenerne la freschezza. La preparazione del pane in casa è diffusa, tuttavia i pani delle panetterie sono migliori. Perché?

Nelle panetterie abbiamo tutti i mezzi tecnici per determinare i tempi perfetti di cottura. Inoltre i nostri forni dispongono della funzione vapore. E possiamo regolare in modo indipendente la temperatura superiore e quella inferiore. Ma questi sono solo alcuni degli aspetti da considerare, perché alla fine dei conti ogni pane è diverso. E ciò che richiede tante competenze. Quali i pani preferiti a S. Antonino?

La baguette cotta nel forno di pietra e la corona croccante. E aumenta il gradimento del pane Val Morobbia. Da quando lo proponiamo anche in un formato più piccolo, se ne rallegrano in particolare i clienti anziani, per i quali una pagnotta di grandi dimensioni è troppo.


Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 5 marzo 2018 • N. 10

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Idee e acquisti per la settimana

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5.95 invece di 9.25

Sminuzzato di pollo Optigal in conf. da 2 Svizzera, 2 x 350 g

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2.55 invece di 3.70 Salametti a pasta fine prodotti in Ticino, in conf. da 2 pezzi, per 100 g

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3.95 invece di 5.90

16.80 invece di 24.–

Arance sanguigne Italia, rete da 2 kg

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5.–

Cesto con fiori primaverili Eva, Ø 18 cm il pezzo

11.45 invece di 13.50 Meraviglia di tulipani, mazzo da 20 disponibili in diversi colori, il bouquet, per es. gialli /gialli e rossi/rossi

2.– invece di 2.50 Furmagèla (formaggella della Leventina) prodotta in Ticino, in self-service, per 100 g

conf. da 2

20%

3.60 invece di 4.60 Pere Abate Italia, al kg

15%

Blenio Caseificio prodotto in Ticino, in self-service, al kg

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2.30

Pomodori datterino Italia, in conf. da 250 g

Migros Ticino OFFERTE VALIDE SOLO DAL 6.3 AL 12.3.2018, FINO A ESAURIMENTO DELLO STOCK

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2.40 invece di 3.– Banane Fairtrade, bio Perù/Messico, al kg

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2.85 invece di 3.60 Cavolfiori Italia/Spagna, al kg

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6.40 invece di 8.– Formentino Anna’s Best in conf. da 2 2 x 120 g

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5.70 invece di 8.90 Asparagi verdi Messico/Peru, mazzo da 1 kg

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5.15 invece di 7.75 La vache qui rit in conf. da 535 g

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2.80 invece di 4.20 Patate resistenti alla cottura Svizzera, busta da 2,5 kg


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I nostri superprezzi. conf. da 2

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3.65 invece di 4.60 Le Gruyère grattugiato in conf. da 2 2 x 120 g

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20% Focaccia alsaziana originale in conf. da 2 per es. grande, 2 x 350 g, 7.80 invece di 9.80

a partire da 2 confezioni

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Tutto l’assortimento di barrette ai cereali Farmer a partire da 2 confezioni, 20% di riduzione

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9.– invece di 12.90 Lasagne M-Classic in conf. da 3 3 x 400 g

2.95 invece di 3.70 Yogurt Greek Style Oh! in conf. da 2 per es. mirtilli-vaniglia, 2 x 170 g

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Biscotti prussiani 500 g

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5.40 invece di 7.20 Biberli d’Appenzello in conf. da 2 2 x 3 pezzi, 2 x 225 g

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20x PUNTI

Tutti i coniglietti Junior Frey, UTZ per es. Carrot Rabbit, al latte, 300 g, 8.90


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20% Tutto il caffè Caruso, in chicchi e macinato, da 500 g e da 1 kg, UTZ per es. Imperiale Crema in chicchi, 1 kg, 12.15 invece di 15.20

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Tutte le tortine e gli strudel M-Classic nonché le tortine bio surgelati, a partire da 2 confezioni, 30% di riduzione

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9.10 invece di 13.05 Délice di pollo Don Pollo prodotto surgelato, 1 kg

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7.40 invece di 9.30 Manella in conf. da 3 3 x 500 ml, per es. Citron, offerta valida fino al 19.3.2018

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3.95 invece di 5.70 Evian in conf. da 6, 6 x 1,5 l

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7.20 invece di 14.40 Gelati da passeggio alla panna in conf. speciale vaniglia, cioccolato o fragola, per es. vaniglia, 24 x 57 ml

50% Tutti gli Ice Tea in bottiglie di PET in conf. da 6, 6 x 1,5 l per es. all’aroma di limone, 4.05 invece di 8.10

OFFERTE VALIDE SOLO DAL 6.3 AL 12.3.2018, FINO A ESAURIMENTO DELLO STOCK

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Tutte le caraffe isolanti, le caffettiere e le teiere Bialetti e Cucina & Tavola (prodotti Hit esclusi), per es. caffettiera Bialetti, argento, per 6 tazze, il pezzo, 14.95 invece di 29.95, offerta valida fino al 19.3.2018

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1.–

di riduzione Tutte le chips Zweifel da 170 g, 280 g o 300 g per es. alla paprica, 280 g, 4.70 invece di 5.70

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Pane Passione rustico TerraSuisse, 380 g, 2.55 invece di 3.20 20%

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Tutti i succhi di mele da 1,5 l e da 6 x 1,5 l (prodotti bio esclusi), per es. succo di mela diluito frizzante TerraSuisse, 1,5 l, 1.65 invece di 2.20 25%

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Biscotti sandwich Blévita Biscuit al cioccolato e cocco, 195 g, 4.80 Novità **

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Pane e latticini Nutella in barattolo di vetro da 1 kg, 5.95 invece di 6.80 10% Cornetto di Sils, rustico e al burro bio, per es. cornetto al burro bio, 45 g, –.75 invece di –.95 20%

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Tutti i tipi di miele in vasetto da 550 g e in flacone squeezer da 500 g, –.60 di riduzione, per es. miele di bosco in vasetto, 550 g, 4.80 invece di 5.40

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Pane e latticini Nutella in barattolo di vetro da 1 kg, 5.95 invece di 6.80 10% Cornetto di Sils, rustico e al burro bio, per es. cornetto al burro bio, 45 g, –.75 invece di –.95 20%

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Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 5 marzo 2018 • N. 10

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Idee e acquisti per la settimana

Mondo animale

Alimenti per ogni età del gatto I gatti non dovrebbero consumare lo stesso cibo nelle diverse fasi della vita. I più giovani necessitano un’alimentazione ricca di proteine, negli adulti è importante che la dieta sia bilanciata, mentre i gatti anziani necessitano meno calorie

0), i Bacchilega (5 media Migros Zoe (6) e Heid s getto pres o i ro p i d ile b a s n o Resp

Crescere, crescere!

1

Il corpo di un cucciolo di gatto deve sviluppare in tempi brevi muscoli e ossa. Il cibo del gattino deve pertanto contenere molte proteine e i minerali importanti come calcio, magnesio, zinco e ferro.

Io e il mio gatto

Mini bocconcini

Dieta ben bilanciata

Cosa pensi che le piace di te? Che le do da mangiare.

I cuccioli hanno una bocca più piccola rispetto agli animali adulti. I bocconcini di cibo particolarmente piccoli aiutano i giovani animali a masticare bene il loro pasto e poter in tal modo assimilare tutti le sostanze nutritive importanti.

Suona disilluso. Beh, i gatti sono così. Al contrario di altri animali della sua stessa specie, lei si lascia per lo meno accarezzare.

Meno calorie

Per l’appetito

«Si sdraia sempre vicino a me» Heidi, cosa ti piace di Zoe? Che è affettuosa. Quando mi metto comoda sul divano, lei si sdraia vicino a me. Chi scommette contro, perde.

Da quando vivete assieme? Da sei anni, da quando era una piccola gattina. E perché il nome Zoe? Questo proprio non lo so (ride). Sono i miei due figli che a suo tempo hanno scelto il suo nome.

2

4

I gatti anziani prendono la vita con più calma. A questo stile di vita si adegua anche il metabolismo: gli animali bruciano meno energia e necessitano pertanto di meno calorie.

3

I gatti adulti prediligono dai 13 ai 16 pasti al giorno, ciascuno dal contenuto calorico pari a quello di un topo. Come per gli umani, è tuttavia importante che la dieta sia bilanciata , obiettivo che si raggiunge più facilmente con gli alimenti pronti.

5

Con l’età spesso i gatti perdono il loro senso del gusto e dell’olfatto. Un elevato contenuto di carne nel cibo pronto contribuisce a un sano appetito.

Come è una tua tipica domenica sera? Zoe riceve il suo pasto serale alle 18.00 – un momento da lei sempre molto atteso. Poi guardiamo assieme la televisione. E tutti sono gelosi, poiché Zoe si sdraia vicino a me.

Vital Balance Adult Pollo umido, 4 x 85 g Fr. 3.10* invece di 3.90

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Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 5 marzo 2018 • N. 10

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Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 5 marzo 2018 • N. 10

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Idee e acquisti per la settimana

aha! Margarina Kokos senza latte, senza lattosio, 200 g Fr. 2.95 Nelle maggiori filiali

La margarina Kokos «aha!» è vegana, non contiene olio di palma ed è versatile nell’utilizzo. Il prodotto è stato introdotto nell’assortimento Migros meno di un anno fa ed è stato sviluppato dalla Divisione nutrizione dell’azienda di produzione Mibelle, del Gruppo Migros. In tal modo la Divisione nutrizione di Mibelle Group è andata incontro alle esigenze di numerosi clienti, che chiedono un maggior numero di prodotti che non contengono olio di palma. La margarina Kokos è la prima margarina che non contiene olio di palma prodotta nel nostro paese. Di cosa è fatta

La margarina Kokos «aha!» contiene il 39 percento di olio di colza svizzero, il 26 percento di grasso di cocco idrogenato (indurito) e il 5 percento di olio di cocco biologico pressato a freddo. Quest’ultimo conferisce alla margarina l’aroma fine e delicato del cocco. Tutti i suoi ingredienti sono vegetali e per tale motivo è adatta per i vegani e per le persone con intolleranza al latte. Olio di cocco idrogenato

Rispetto all’olio di palma comunemente usato, l’olio di cocco ha un punto di fusione più basso. A differenza di quello di palma, l’olio di cocco deve pertanto essere indurito per risultare idoneo alla produzione di margarina. Se si producesse la margarina con grasso di cocco non indurito, questa diventerebbe liquida in fretta una volta messa sulla tavola della colazione. Siccome il grasso di cocco idrogenato è duro come un sasso, è necessario aggiungere puro olio di cocco al grasso. In tal modo si raggiunge una consistenza che permette di spalmare il prodotto. Senza pregiudizi

Molti consumatori hanno pregiudizi nei confronti degli oli idrogenati. Sono frequentemente confusi con gli oli parzialmente idrogenati, che alcuni anni fa sono stati screditati poiché possono contenere acidi grassi trans. Tuttavia con l’idrogenazione non si formano grassi trans. In linea di massima gli oli parzialmente idrogenati non vengono più utilizzati da Migros. aha!

Bontà dalla noce di cocco La margarina di cocco della Migros è vegana ed è la prima margarina svizzera senza olio di palma. È prodotta in Svizzera con olio di colza indigeno, grasso di cocco e olio di cocco biologico. Permette un utilizzo versatile, per cucinare e per cuocere al forno Testo Melanie Michael; Foto Veronika Studer

Produzione sostenibile

L’olio di cocco utilizzato per l’idrogenazione proviene principalmente dalle Isole Salomone, uno Stato insulare dei mari del sud, da piantagioni che sottostanno ai controlli dell’organizzazione «The Forest Trust» (TFT) per quanto riguarda sostenibilità ambientale e rispetto degli standard di lavoro. L’olio di cocco pressato a freddo, che conferisce alla margarina la consistenza che permette di spalmarla e il leggero aroma di cocco, proviene dallo Sri Lanka. È contrassegnato dal marchio del commercio equo Max Havelaar ed è certificato Migros Bio.

Il V-Label dell’Unione vegetariana europea (EVU) certifica prodotti adatti a un’alimentazione vegetariana o vegana. Tutti gli ingredienti e gli additivi sono vegetariani o vegani.

Il marchio aha! contraddistingue i prodotti particolarmente indicati per chi soffre di allergie o intolleranze.

Utilizzo versatile

La margarina di cocco è facile da spalmare e ha un gusto particolare, ciò che la rende un apprezzato companatico. Come le altre margarine, è ideale per cucinare e per cuocere al forno. Il sapore leggermente dolce del cocco contenuto nella margarina conferisce un aroma particolare alle verdure in padella o a una torta spumosa.

M-Industria crea numerosi prodotti Migros, tra cui anche la margarina Kokos «aha!».


Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 5 marzo 2018 • N. 10

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Idee e acquisti per la settimana

aha! Margarina Kokos senza latte, senza lattosio, 200 g Fr. 2.95 Nelle maggiori filiali

La margarina Kokos «aha!» è vegana, non contiene olio di palma ed è versatile nell’utilizzo. Il prodotto è stato introdotto nell’assortimento Migros meno di un anno fa ed è stato sviluppato dalla Divisione nutrizione dell’azienda di produzione Mibelle, del Gruppo Migros. In tal modo la Divisione nutrizione di Mibelle Group è andata incontro alle esigenze di numerosi clienti, che chiedono un maggior numero di prodotti che non contengono olio di palma. La margarina Kokos è la prima margarina che non contiene olio di palma prodotta nel nostro paese. Di cosa è fatta

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Rispetto all’olio di palma comunemente usato, l’olio di cocco ha un punto di fusione più basso. A differenza di quello di palma, l’olio di cocco deve pertanto essere indurito per risultare idoneo alla produzione di margarina. Se si producesse la margarina con grasso di cocco non indurito, questa diventerebbe liquida in fretta una volta messa sulla tavola della colazione. Siccome il grasso di cocco idrogenato è duro come un sasso, è necessario aggiungere puro olio di cocco al grasso. In tal modo si raggiunge una consistenza che permette di spalmare il prodotto. Senza pregiudizi

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Produzione sostenibile

L’olio di cocco utilizzato per l’idrogenazione proviene principalmente dalle Isole Salomone, uno Stato insulare dei mari del sud, da piantagioni che sottostanno ai controlli dell’organizzazione «The Forest Trust» (TFT) per quanto riguarda sostenibilità ambientale e rispetto degli standard di lavoro. L’olio di cocco pressato a freddo, che conferisce alla margarina la consistenza che permette di spalmarla e il leggero aroma di cocco, proviene dallo Sri Lanka. È contrassegnato dal marchio del commercio equo Max Havelaar ed è certificato Migros Bio.

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Utilizzo versatile

La margarina di cocco è facile da spalmare e ha un gusto particolare, ciò che la rende un apprezzato companatico. Come le altre margarine, è ideale per cucinare e per cuocere al forno. Il sapore leggermente dolce del cocco contenuto nella margarina conferisce un aroma particolare alle verdure in padella o a una torta spumosa.

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Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 5 marzo 2018 • N. 10

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Idee e acquisti per la settimana

Noi firmiamo. Noi garantiamo.

M-Industria

Un cliente fedele

Delica: bontà dalla regione di Basilea

L’ex presidente del Consiglio comunale di Zurigo Robert Schönbächler, da oltre 40 anni fa gli acquisti nella «sua» filiale Migros in Limmatplatz. Racconta perché le arance Migros gli rammentano la sua infanzia e cos’altro associa a Migros, oltre al Café Royal Lungo Testo Melanie Michael: Foto Roger Hofstetter

Da oltre 60 anni il nome Delica è sinonimo di alimenti di alta qualità. È una delle più grandi aziende di torrefazione in Svizzera. Oltre al caffè, l’impresa è attiva nei settori spuntini e cucina, che comprendono frutta a guscio, semi, spezie, legumi e funghi secchi. Delica fornisce insegne del commercio al dettaglio, grossisti, aziende di produzione alimentare e di catering.

Café Royal Lungo 10 capsule Fr. 4.10

Star del mese

560 i collaboratori, tra cui 14 apprendisti, attivi nella regione di Basilea presso Delica, industria di produzione Migros.

Qualità regale

Delica produce ogni anno oltre un miliardo di capsule per il caffè. Vengono prodotte capsule a marchio Cremesso, Delizio e Café Royal. 25 miscele, i cosiddetti «blends», alla base dell’assortimento di capsule Café Royal. Tra questi i «Flavoured Editions», per esempio il caffè al gusto di caramello. In alto: la fornitura delle merci con autocarri e vagoni ferroviari a Zurigo alla Migros di Limmatplatz, Sihlquai, negli anni Cinquanta

Foto Heribert Schönbächler

A destra: Robert Schönbächler (a destra, con la palla) con i suoi amici in Röntgenstrasse nel Kreis 5 di Zurigo.

Robert Schönbächler (66), ex presidente del Consiglio comunale di Zurigo (PPD) e giudice di pace nei Kreis 6 e 10 della città, vive da oltre 40 anni nelle vicinanze della filiale Migros di Limmatplatz.

Assieme a suo fratello Walter, lo zurighese Robert Schönbächler iniziò a «fare affari» con Migros già in tenera età. I giovani ragazzi raccoglievano giornali – «che allora erano rari» – in tutto il vicinato e li vendevano poi alla Migros di Limmatplatz a Zurigo. Per un rotolo prendevano 20 centesimi, che per i due rappresentava un «compenso come si deve». Nel reparto agrario della Migros, la carta dei giornali veniva utilizzata per imballare i cespi di insalata. Da oltre 40 anni l’ex presidente del Consiglio comunale vive nelle immediate vicinanze di Limmatplatz, nel quartiere industriale zurighese, oggi chiamato «Züri West». Cresciuto nel Kreis 6 della città, Robert Schönbächler si è sempre divertito a trascorre il tempo nel Kreis 5: «Lì succedevano semplicemente più cose che non da noi». Spesso Robert Schönbächler passava le sue vacanze scolastiche dai suoi nonni, che abitavano in Röntgenstrasse. «A quel tempo le persone semplici, come i ferrovieri e gli impiegati delle poste, vivevano lì». Robert Schönbächler ha vissuto per intero lo sviluppo del quartiere e ne conosce ogni angolo. Rammenta ancora esattamente l’aspetto che aveva la filiale Migros di Limmatplatz negli anni Sessanta. Lui e i suoi amici osservavano la consegna della frutta per delle ore. «Potevamo tenere le arance che cadevano dai vagoni ferroviari, cosa che trovavo molto sociale». Oggi alla Migros non cerca più le arance cadute. Lo interessano maggiormente le capsule del caffè di colore blu di Café Royal. Per lui non esiste un caffè migliore. Ne beve ogni giorno da cinque a sei tazze. «Sì, bevo molto caffè». In aggiunta predilige le frittelle di carnevale della Migros – «un Highlight!»

Chicchi di caffè macinati, della migliore qualità, si celano nelle capsule blu del Café Royal Lungo. Tre le qualità di chicchi da coltivazioni sostenibili, che provengono dall’America Centrale, dall’America del Sud, così come dall’India. Tostato, macinato e confezionato nelle capsule, il caffè giunge infine in Svizzera. La nostra star della settimana è la varietà di caffè in capsula più apprezzata dell’assortimento Café Royal grazie all’armonia dei suoi aromi, alla nobile acidità e a una sottile nota caramellata. Concorso

Da quante regioni provengono i chicchi di caffè del Café Royal Lungo? Rispondi alla domanda e vinci una carta regalo Migros. In palio carte regalo per un valore totale di 500 franchi. Partecipazione su: www.noifirmiamo-noi-garantiamo.ch

M-Industria crea numerosi prodotti Migros, tra cui anche il Café Royal Lungo.


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Noi firmiamo. Noi garantiamo.

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Delica: bontà dalla regione di Basilea

L’ex presidente del Consiglio comunale di Zurigo Robert Schönbächler, da oltre 40 anni fa gli acquisti nella «sua» filiale Migros in Limmatplatz. Racconta perché le arance Migros gli rammentano la sua infanzia e cos’altro associa a Migros, oltre al Café Royal Lungo Testo Melanie Michael: Foto Roger Hofstetter

Da oltre 60 anni il nome Delica è sinonimo di alimenti di alta qualità. È una delle più grandi aziende di torrefazione in Svizzera. Oltre al caffè, l’impresa è attiva nei settori spuntini e cucina, che comprendono frutta a guscio, semi, spezie, legumi e funghi secchi. Delica fornisce insegne del commercio al dettaglio, grossisti, aziende di produzione alimentare e di catering.

Café Royal Lungo 10 capsule Fr. 4.10

Star del mese

560 i collaboratori, tra cui 14 apprendisti, attivi nella regione di Basilea presso Delica, industria di produzione Migros.

Qualità regale

Delica produce ogni anno oltre un miliardo di capsule per il caffè. Vengono prodotte capsule a marchio Cremesso, Delizio e Café Royal. 25 miscele, i cosiddetti «blends», alla base dell’assortimento di capsule Café Royal. Tra questi i «Flavoured Editions», per esempio il caffè al gusto di caramello. In alto: la fornitura delle merci con autocarri e vagoni ferroviari a Zurigo alla Migros di Limmatplatz, Sihlquai, negli anni Cinquanta

Foto Heribert Schönbächler

A destra: Robert Schönbächler (a destra, con la palla) con i suoi amici in Röntgenstrasse nel Kreis 5 di Zurigo.

Robert Schönbächler (66), ex presidente del Consiglio comunale di Zurigo (PPD) e giudice di pace nei Kreis 6 e 10 della città, vive da oltre 40 anni nelle vicinanze della filiale Migros di Limmatplatz.

Assieme a suo fratello Walter, lo zurighese Robert Schönbächler iniziò a «fare affari» con Migros già in tenera età. I giovani ragazzi raccoglievano giornali – «che allora erano rari» – in tutto il vicinato e li vendevano poi alla Migros di Limmatplatz a Zurigo. Per un rotolo prendevano 20 centesimi, che per i due rappresentava un «compenso come si deve». Nel reparto agrario della Migros, la carta dei giornali veniva utilizzata per imballare i cespi di insalata. Da oltre 40 anni l’ex presidente del Consiglio comunale vive nelle immediate vicinanze di Limmatplatz, nel quartiere industriale zurighese, oggi chiamato «Züri West». Cresciuto nel Kreis 6 della città, Robert Schönbächler si è sempre divertito a trascorre il tempo nel Kreis 5: «Lì succedevano semplicemente più cose che non da noi». Spesso Robert Schönbächler passava le sue vacanze scolastiche dai suoi nonni, che abitavano in Röntgenstrasse. «A quel tempo le persone semplici, come i ferrovieri e gli impiegati delle poste, vivevano lì». Robert Schönbächler ha vissuto per intero lo sviluppo del quartiere e ne conosce ogni angolo. Rammenta ancora esattamente l’aspetto che aveva la filiale Migros di Limmatplatz negli anni Sessanta. Lui e i suoi amici osservavano la consegna della frutta per delle ore. «Potevamo tenere le arance che cadevano dai vagoni ferroviari, cosa che trovavo molto sociale». Oggi alla Migros non cerca più le arance cadute. Lo interessano maggiormente le capsule del caffè di colore blu di Café Royal. Per lui non esiste un caffè migliore. Ne beve ogni giorno da cinque a sei tazze. «Sì, bevo molto caffè». In aggiunta predilige le frittelle di carnevale della Migros – «un Highlight!»

Chicchi di caffè macinati, della migliore qualità, si celano nelle capsule blu del Café Royal Lungo. Tre le qualità di chicchi da coltivazioni sostenibili, che provengono dall’America Centrale, dall’America del Sud, così come dall’India. Tostato, macinato e confezionato nelle capsule, il caffè giunge infine in Svizzera. La nostra star della settimana è la varietà di caffè in capsula più apprezzata dell’assortimento Café Royal grazie all’armonia dei suoi aromi, alla nobile acidità e a una sottile nota caramellata. Concorso

Da quante regioni provengono i chicchi di caffè del Café Royal Lungo? Rispondi alla domanda e vinci una carta regalo Migros. In palio carte regalo per un valore totale di 500 franchi. Partecipazione su: www.noifirmiamo-noi-garantiamo.ch

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Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 5 marzo 2018 • N. 10

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Idee e acquisti per la settimana

Gold

Fruttato, equo e solidale I succhi del marchio Migros Gold non sono fatti d’oro colato, ma di delicati frutti maturati al sole. Nel loro paese d’origine la frutta è coltivata con metodi sostenibili e poi commercializzata in modo equo e solidale, come garantisce l’etichetta Faitrade Max Havelaar. La lavorazione del concentrato di frutta avviene in Svizzera, nell’industria Bischofszell Alimentari SA. La gamma comprende diversi succhi, come quello a base di arance di produzione tracciabile o l’esotico succo d’ananas. Anche i succhi della linea Gold non contengono zuccheri aggiunti.

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Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 5 marzo 2018 • N. 10

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Idee e acquisti per la settimana

Ice Tea

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