Cooperativa Migros Ticino
Società e Territorio La tecnologia al servizio della disabilità: l’attività e i progetti dell’Associazione REACT
Ambiente e Benessere Fra i tumori più frequenti, con circa 2500 nuovi casi diagnosticati all’anno, il melanoma in Svizzera detiene il primato del tasso di incidenza più alto d’Europa
G.A.A. 6592 Sant’Antonino
Settimanale di informazione e cultura Anno LXXX 10 luglio 2017
Azione 28 Politica e Economia Corea del Nord: Trump chiede sanzioni Onu ma Russia e Cina si oppongono
Cultura e Spettacoli A Colmar un’opera difficilmente dimenticabile: l’altare di Issenheim di Grünewald
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di V. Cammarata pagina 10
Vincenzo Cammarata
Un cielo quasi sereno su Smirne
Uno, due o tre candidati? di Peter Schiesser La corsa alla successione di Didier Burkhalter in Consiglio federale entra nel vivo. Le eventuali candidature si fanno un po’ meno eventuali, anche se – al momento in cui scriviamo – ufficiali non sono ancora, ma la sensazione è che questa volta le probabilità che l’Assemblea federale scelga un ticinese siano alte. Un’occasione che secondo molti osservatori e politici non si ripresenterebbe tanto presto, se venisse sprecata. Ma come fare a non sprecarla? Presentando una candidatura unica che raccolga il consenso e l’appoggio di tutte le forze politiche ticinesi? Da più parti si dice che solo mostrandosi unito il Ticino può sperare di farcela, solo così saremmo credibili di fronte al resto del paese. Eppure ci si può chiedere: una cosa simile viene richiesta anche ai candidati di altri cantoni? Nutro forti dubbi che un socialista zurighese trovi il supporto dell’UDC e viceversa (Blocher ha mai avuto il sostegno pieno del suo cantone?), ma nessuno si sognerebbe di imporre agli zurighesi una simile condizione di «unanimità». Inoltre, trovare un candidato che faccia l’unanimità in Ticino è forse
un’illusione, si può invece mettersi l’animo in pace e riconoscere di essere un cantone litigioso, avendo però il coraggio di presentare delle candidature forti, anche se non piacciono a tutti. A questo punto, sorge il secondo interrogativo: uno o più candidati? L’ufficio presidenziale del PLR è propenso a presentarne uno solo, la discussione all’interno del partito però forse non è ancora chiusa, perché anche una doppia candidatura può avere i suoi vantaggi. Un solo candidato segnala al PLR nazionale e ai deputati a Berna che il PLR ticinese vi concentra tutta la sua forza e convinzione. D’altro canto, una doppia candidatura (doppia o addirittura tripla, come suggerisce Fabio Pontiggia nel suo editoriale sul «Corriere del Ticino» del 4 luglio), espressione di sensibilità e orientamenti diversi, offrirebbe ai gremi nazionali e ai deputati alle Camere la possibilità di valutare quale candidato/a abbia le migliori possibilità di essere eletto/a. Non è per forza un segnale di debolezza o di indecisione presentare più di un candidato, a patto che gli sia riconosciuta la statura politica per svolgere il ruolo di consigliere federale. Nel caso specifico, supponendo che vogliano candidarsi il capogruppo PLR alle Camere Ignazio Cassis, l’ex consigliera di Stato Laura
Sadis (che si è detta disponibile, ma dà ad intendere di aspettare una «chiamata» dal partito), come pure il consigliere di Stato Christian Vitta (che ha annunciato di concorrere nel caso non si optasse per una candidatura unica), una doppia candidatura avrebbe ancora più senso, in particolare se mettiamo a confronto Cassis e Sadis. Il primo potrebbe pescare più voti a destra, la seconda a sinistra (anche in quanto donna). Tuttavia, queste valutazioni facili facili possono scontrarsi con molte altre variabili, anche di natura tattica (come ci ha suggerito un membro influente del PLR ticinese, Oltralpe c’è chi vorrebbe una donna liberale radicale in Consiglio federale, ma non ora, bensì quando se ne andrà Johann Schneider-Ammann, e questa sarebbe Karin Keller-Sutter). Per cui oggi è troppo presto per capire quali e quanti candidati ticinesi possano farcela. E infine, come è stato detto da più parti in queste settimane, attenti alle aspettative: un consigliere federale ticinese non è un rappresentante del Ticino, deve fare gli interessi nazionali, e la sua carica gli permette una libertà d’azione limitata. Di certo può portare nel gremio una sensibilità diversa, necessaria per la coesione della Svizzera, ma non può fare miracoli per il (solo) Ticino.
Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 10 luglio 2017 • N. 28
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Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 10 luglio 2017 • N. 28
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Società e Territorio I nuovi media nella vita dei millennials Le ricerche James e Mike, condotte a livello nazionale, indagano il rapporto tra i giovani e i media con sondaggi che coinvolgono anche i genitori
Una minicrociera in compagnia di Oliver Scharpf L’Uri è il più vecchio dei battelli a vapore in circolazione sui laghi svizzeri: vale una gita sul lago dei Quattro Cantoni
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Ripensare la casa
Anziani Incontro con Stefano Cavalli responsabile del Centro
competenze anziani della Supsi
E3 di Los Angeles, il ritorno alle origini Videogiochi N ovità e tendenze presentate
all’Electronic Entertainment Expo 2017
Stefania Hubmann
La tecnologia per bambini con disabilità
Attività educative Un progetto triennale
dell’Associazione REACT
Loris Fedele Ormai da una trentina d’anni le tecnologie dell’informazione e della comunicazione, con i loro sviluppi, hanno permesso di fornire aiuti compensativi utili per la riabilitazione, la comunicazione e l’autonomia delle persone con disabilità. Ciascun disabile ha caratteristiche uniche e quindi la pedagogia specializzata, prendendosi cura della persona, cerca di sviluppare al meglio le sue potenzialità adattative. Per farlo utilizza strumenti didattici sempre più adeguati e tecnologie fornite dalla ricerca applicata, strumenti che mirano a ridurre gli ostacoli che si presentano a chi è costretto a vivere con un handicap. L’utente disabile usando il computer può accedere a sistemi operativi e a diverse applicazioni adattabili alle sue esigenze. Pur nei limiti legati alla singola menomazione, questi strumenti favoriscono anche l’integrazione scolastica e lavorativa del disabile. Nel canton Ticino da una trentina d’anni sono stati sviluppati programmi informatici e strutture dedicati a persone gravemente disabili sul piano sensoriale, motorio, intellettivo e comunicativo. In prima fila vi era il Centro Informatica Disabilità (CID), braccio operativo della Fondazione Informatica per la promozione della persona disabile (FIPPD). Proprio per mantenere e recuperare quei lavori e approfondire le potenzialità garantite dai progetti innovativi che ne sono scaturiti è nata nel 2012 l’Associazione REACT, che si propone, nel contesto delle tecnologie al servizio delle persone disabili, di promuovere e sostenere l’attività di ricerca applicata e di completarne i risultati.
Azione
Settimanale edito da Migros Ticino Fondato nel 1938 Redazione Peter Schiesser (redattore responsabile), Barbara Manzoni, Manuela Mazzi, Monica Puffi Poma, Simona Sala, Alessandro Zanoli, Ivan Leoni
Proprio in collaborazione con la FIPPD un primo progetto REACT, con l’aiuto della SUPSI e di alcuni tecnici privati, sfociò in un Kit REACT, sperimentato con successo presso l’Istituto Provvida Madre di Balerna (vedi «Azione» del 30.12.2013). Attraverso l’accesso al computer e ai programmi gli allievi disabili, con la sola pressione su bottoni-radio, scrivevano frasi, spostavano figurine, giocavano. Comunicavano individualmente, ma potevano anche operare condividendo l’azione con uno o due compagni. Negli ultimi anni la disponibilità di nuovi mezzi tecnologici ha anche permesso di allargare gli orizzonti dell’educazione speciale, nella presa a carico scolastica degli allievi con disabilità cognitive. Due anni fa queste tecnologie hanno trovato ospitalità in un’aula dimostrativa situata nelle scuole elementari al Palasio di Giubiasco. L’Aula REACT ha superato brillantemente i suoi primi 18 mesi di attività. La docente Chiara Rigozzi, che vi ha preparato e catalogato tutte le attività didattiche, l’ha frequentata giornalmente con i suoi allievi. Altre colleghe hanno collaborato alla pianificazione e agli obiettivi di lavoro, frequentando l’aula con altri allievi della scuola speciale. In particolare Laura Rusconi, che ha regolarmente approfittato dell’aula dimostrativa, portandovi i suoi allievi da Minusio. Un tecnico che vi ha lavorato, Andrea Salvadè, professore SUPSI in elettronica e responsabile del laboratorio TTHF, non nasconde la sua soddisfazione: «Possiamo dire che i programmi e le strutture sviluppate rispondono veramente al meglio ai bisogni delle docenti e soprattutto dei Sede Via Pretorio 11 CH-6900 Lugano (TI) Tel 091 922 77 40 fax 091 923 18 89 info@azione.ch www.azione.ch La corrispondenza va indirizzata impersonalmente a «Azione» CP 6315, CH-6901 Lugano oppure alle singole redazioni
Chiara Rigozzi alla lavagna interattiva multimediale e Laura Rusconi ai bottoni-radio.
ragazzi che vi operano. L’entusiasmo non scaturisce solamente dalla novità, che poi piano piano va scemando, ma è conseguenza della qualità della nostra proposta e dei software e degli hardware installati. Un valore aggiunto a questa realizzazione è il fatto di avere instaurato un proficuo e continuo contatto con l’Ufficio della pedagogia speciale e con il Centro delle risorse didattiche e digitali del DECS». Tante scuole speciali nel cantone hanno ricevuto, o presto riceveranno, dei computer con una varietà di programmi. L’aula REACT resterà come polo di riferimento. Le docenti che vi hanno operato hanno preparato un CD e stanno divulgando le tecniche da loro utilizzate presso i colleghi che le applicheranno altrove. L’Associazione REACT continua a pensare al futuro. Una volta acquisiti dalla FIPPD i diritti sui programmi realizzati negli ultimi 20 anni, ha pianificato un progetto evolutivo triennale che ha chiamato REACT3. Il 21 giugno scorso è stato dato formalmente il via all’operazione. Il primo obiettivo è quello di
mantenere aggiornati i programmi e addirittura di arricchirli con ulteriori moduli ma, poiché ci si rende conto che lo sviluppo tecnologico non si arresta e crea sempre nuove opportunità, si vuole andare oltre. I tablet, per esempio, non erano disponibili e sufficientemente evoluti fino a qualche anno fa, ma ora sono una realtà molto utilizzata, per cui REACT sta pensando di adattarli ai suoi scopi. Tornando all’aula dimostrativa di Giubiasco è da notare che, rispetto a una normale aula col computer, ha il grande vantaggio di essere dotata di una grande lavagna interattiva multimediale (L.I.M.), con uno schermo touch che si può usare con una penna speciale o inviando comandi a distanza con i già citati bottoni-radio. È possibile visualizzare testi, riprodurre disegni e animazioni, scrivere, caricare programmi di gioco. Le docenti Rigozzi e Rusconi hanno sottolineato che la cosa interessante verificata con l’uso della L.I.M. è la grande motivazione che essa suscita. Nel momento in cui l’allievo comincia a utilizzarla dimentica qualsiasi altro stimolo
esterno e resta concentrato al 100% su ciò che sta facendo, ponendo tutta l’attenzione su questo grande schermo. Per le docenti diventa uno strumento prezioso per comprendere quanto un allievo può riuscire a fare e se sta utilizzando al massimo le sue potenzialità di attenzione e comprensione. REACT conta anche di sostenere un gruppo di lavoro, fatto di tecnici e di chi opera sul campo, per avere un costante confronto fra bisogni e potenziale e fare in modo che gli ultimi due anni di proficua esperienza non siano stati un fuoco di paglia. Già fin d’ora il Cantone potrebbe sostituire il personale della SUPSI nella manutenzione ordinaria dei programmi e delle installazioni dell’aula speciale, lasciando al laboratorio TTHF lo spazio per nuove ricerche al riguardo. Tra i desideri di REACT vi sarebbe anche una seconda aula didattica speciale per il locarnese. Infine sarebbe bello, in accordo col DFA, poter istituire una formazione continua per educatori, multidisciplinare, sviluppando attività mirate in ambito pedagogico e ingegneristico.
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Fra la casa con il giardino o il grande appartamento familiare e la casa per anziani esistono soluzioni abitative alternative in risposta ai nuovi bisogni di una crescente popolazione anziana? Da qualche tempo il mercato sta rispondendo in modo affermativo. I progetti di abitazioni a misura di anziano, le residenze intergenerazionali, l’integrazione di nuovi servizi nei complessi residenziali sono in aumento. Enti e associazioni si chinano sulla questione nell’ambito di uno sviluppo insediativo che, oltre alle tendenze demografiche, deve guardare alle esigenze sociali, ambientali ed economiche. Nella Svizzera francese sono in corso diverse sperimentazioni nel tentativo di capire come soddisfare necessità di fatto assai eterogenee. Per una valutazione della situazione ticinese, soprattutto dal punto di vista dei diretti interessati, vale a dire degli anziani, ci siamo rivolti a Stefano Cavalli, responsabile del Centro competenze anziani (Dipartimento economia aziendale, sanità e sociale) della SUPSI. Al momento non esistono ricerche mirate su questo aspetto della vita degli anziani ticinesi. Stefano Cavalli è però l’autore – con i colleghi Michele Egloff e Barbara Masotti e con Francesco Giudici dell’Ufficio di Statistica del Canton Ticino – di un approfondito studio generale pubblicato due anni or sono. «Fragilità e risorse della popolazione anziana in Ticino» fornisce dati significativi basati su un campione rappresentativo composto da 700 persone di età superiore ai 65 anni. Dalla ricerca emerge che il fenomeno degli anziani residenti in strutture appositamente concepite per la loro fascia d’età è ancora marginale a livello numerico. Spiega al riguardo Stefano Cavalli: «La ricerca evidenzia che la maggior parte delle persone anziane, anche dei grandi anziani, continua a vivere a casa propria, mentre una minoranza, meno del 20% degli ultraottantenni, vive in una casa per anziani. Questo grazie a due sostegni fondamentali: la famiglia e i servizi di aiuto a domicilio. Negli ultimi anni si è effettivamente manifestato un interesse per soluzioni abitative intermedie, ma al momento riguarda solo un numero esiguo di anziani e, anche se questo numero tenderà sicuramente a crescere, non credo che diventi maggioritario». Quali i motivi alla base di questa affermazione? «Gli anziani ci tengono a rimanere a vivere al proprio domicilio, nella casa o nell’appartamento dove hanno costruito la loro storia, al quale sono legati molti ricordi. Con l’invecchiamento lo spazio troppo grande, la mancanza di comodità, le barriere architettoniche rappresentano problemi che, soprattutto chi è proprietario, cerca di risolvere in loco. C’è inoltre da considerare l’aspetto economico. Due terzi dei giovani anziani (65-79 anni) e la metà degli ultraottantenni sono proprietari del loro domicilio, di cui spesso hanno già pagato gran parte dell’ipoteca. Trasferendosi rischiano di ritrovarsi in spazi più ristretti a costi maggiori. Vendere la casa (o l’appartamento) non è sempre la soluzione, perché si vorrebbe poterla lasciare ai figli. Un altro problema legato al trasloco è quello di dover abbandonare il quartiere o il paese, visto che questi nuovi complessi sorgono piuttosto nei centri urbani, perdendo così la rete sociale costruita sull’arco
Davide Canavesi
In Ticino la maggior parte degli anziani continua a vivere a casa propria. (Marka)
di un lungo periodo, a volte dell’intera vita. Solo l’avvicinamento alla residenza dei figli può agire da stimolo positivo». La differenza fra la realtà urbana e quella delle valli che caratterizza il canton Ticino è un ulteriore fattore di diversità per quanto riguarda il fabbisogno abitativo degli anziani. Nelle valli ci sono più persone che risiedono in abitazioni meno confortevoli e difficilmente accessibili per un anziano fragile, ma il legame con il territorio è generalmente più forte. In queste zone progetti abitativi innovativi per gli anziani potrebbero favorire la permanenza in valle, ma non sono attrattivi per gli investitori il cui interesse economico è legato ai grandi numeri. Il responsabile del Centro competenze anziani, pur valutando positivamente le iniziative pubbliche e private in corso, evidenzia inoltre che gli anziani più bisognosi di questa tipologia di appartamenti non sono tanto quelli ancora autosufficienti quanto i più fragili, con la salute in parte già compromessa. Attualmente il Ticino, come la Svizzera francese, è caratterizzato da un’incisiva politica a favore dei servizi di aiuto a domicilio per ritardare la presa a carico in istituto. Il numero di anziani residenti a casa propria e con bisogni importanti sta aumentando. «Mi riferisco, ad esempio, a coloro che dipendono dall’aiuto di terzi per svolgere i gesti essenziali della vita quotidiana», precisa il ricercatore. «Circa la metà di loro vive a domicilio proprio grazie ai servizi citati e all’aiuto dei familiari. Tutte queste persone presentano dei bisogni maggiori rispetto ai destinatari dei nuovi progetti abitativi per anziani. Un altro esempio è l’aumento delle problematiche di tipo cognitivo nella popolazione che risiede a domicilio. È però vero che lo scopo di queste iniziative è piuttosto quello di motivare i giovani anziani ad anticipare il trasferimento per vivere gli anni futuri in condizioni migliori». Condizioni definite migliori secondo i criteri oggettivi dei promotori o il parere dei familiari. Le preferenze degli anziani, come riferito, non sono ancora state indagate. Per il ricercatore bisognerebbe quindi capire a quali condizioni sarebbero disposti a lasciare la propria abitazione, quali sarebbero per loro vantaggi e svantaggi e quali le priorità. L’inchiesta dovrebbe coinvolgere dei giovani anziani ma anche coloro che arriveranno all’età della pensione
fra 10-15 anni. A breve il Centro competenze anziani si occuperà piuttosto dei grandi anziani, partecipando a uno studio nazionale sui centenari. Attualmente nel nostro cantone molti progetti e di riflesso la ricerca si concentrano sulla salute, mentre è ancora relativamente poco sviluppato il tema della vulnerabilità relazionale nella quale l’abitazione gioca un ruolo di primo piano. Per il responsabile del Centro competenze anziani questo aspetto è tutt’altro che trascurabile, ma risulta difficile reperire le persone a rischio di isolamento sociale. Se rimanere a casa propria il più a lungo possibile, anche a costo di vivere soli, è la soluzione di gran lunga preferita, l’insorgere di problemi di salute può limitare i contatti sociali ed essere all’origine di un sentimento di solitudine. Non a caso i nuovi progetti residenziali introducono la presenza del custode sociale o di enti già attivi nell’aiuto agli anziani. Ripensare completamente il modo di vivere nella terza età, prendendo decisioni già nella fase attiva della vita significa modificare in modo assai radicale la visione della stessa. Per certe culture è forse più semplice e in Svizzera alcune realtà sembrano già essere entrate in questa dimensione, come dimostrano anche diversi esempi citati durante un recente seminario organizzato da ASPAN Ticino (Associazione svizzera per la pianificazione del territorio) in collaborazione con l’associazione Generazioni & Sinergie, ideatrice del Pentalogo, una lista di criteri e concetti per abitare bene a tutte le età. L’incontro, svoltosi lo scorso marzo a Bellinzona, ha toccato un ampio spettro di nuove sfide legate al tema dell’abitare, dai nuovi fabbisogni derivanti dall’invecchiamento della popolazione al ruolo della pianificazione del territorio. Significativo il contributo di Dario Spini, professore all’Università di Losanna e direttore del polo di ricerca nazionale LIVES, per il quale le sperimentazioni in corso nei cantoni romandi – come appartamenti per più anziani con spazi privati ed altri in comune o soluzioni modulari per le abitazioni in proprietà – corrispondono alla necessità di disporre anche nell’ambito abitativo di risposte diversificate per soddisfare i bisogni di una popolazione anziana molto eterogenea. Popolazione che proprio in Ticino è in proporzione più numerosa rispetto al resto della Svizzera.
Come ogni anno, anche nel 2017 a Los Angeles si è tenuto l’Electronic Entertainment Expo, la principale manifestazione dedicata al mondo dei videogiochi. Negli sconfinati saloni del Los Angeles Convention Center si sono dati appuntamento sviluppatori, creativi, giornalisti e videogiocatori provenienti da tutto il mondo. L’E3 ha una lunga storia alle spalle. Nata nel lontano 1995, un’eternità fa per questo settore, negli anni ha ospitato gli annunci più importanti, i personaggi più stravaganti e alcuni dei peggiori disastri del mondo videoludico. L’edizione 2017 è stata particolare perché, per la prima volta in assoluto, ha aperto le sue porte anche al pubblico e non solamente alla stampa e agli addetti ai lavori. Dei 68’400 visitatori totali, ben 15’000 erano semplici giocatori che hanno coronato il sogno di partecipare all’evento più importante dell’anno. Un’edizione caratterizzata quindi da moltissimo entusiasmo extra ma anche da catastrofici ingorghi di persone che hanno causato qualche malumore tra i partecipanti professionisti. L’E3 non si limita solamente alla fiera. Nei giorni precedenti l’apertura diverse grandi aziende hanno organizzato conferenze e showcase per mostrare le novità in arrivo nei prossimi mesi. È il caso di Bethesda Softworks che ha organizzato un vero e proprio luna park in un parcheggio situato a downtown, stordendo i visitatori con musica a tutto volume (suonata dai popolarissimi DJ The Chainsmokers) e annunci riguardanti giochi vecchi e nuovi. La conferenza di Microsoft era tra le più attese, con l’annuncio di Xbox One X, la console più potente al mondo in arrivo a fine anno. PlayStation non ha deluso i suoi fan con una conferenza incredibilmente zeppa di esclusive di prim’ordine. Citiamo anche Ubisoft, che tra un annuncio e l’altro, è riuscito persino a far salire sul proprio palco il creatore di Super Mario Shigeru Miyamoto. Il giapponese ha mostrato al mondo il primo gioco in cui il famoso idraulico italiano fa coppia con i bislacchi conigli del publisher francese, sorprendendo genuinamente il pubblico presente in sala. Qualche delusione invece per la conferenza dedicata ai giochi su PC, quasi totalmente priva di novità di rilievo, nonostante il mercato dei videogiochi su computer sia più florido che mai. Facendo un giro tra gli stand dell’E3 è possibile tastare il polso del mercato. Se l’edizione del 2016 era dominata dalla realtà virtuale e dai siste-
mi di controllo alternativi, quest’anno abbiamo assistito ad un ritorno alle origini. Le novità erano principalmente legate ai giochi e, in minor parte, ai componenti per PC. Nonostante le cifre ufficiali parlino di ben 120 espositori su 293 con prodotti legati alla realtà virtuale, la loro presenza è passata in sordina. Un chiaro segno di come i giocatori hanno accolto tiepidamente gli sforzi di Oculus, HTC e PlayStation nel proporre esperienze VR, preferendo i sistemi di gioco legati a controller e schermo televisivo. Quello a cui invece i gamer continuano a rispondere sono i titoli ad alto budget. Impossibile citarli tutti quanti ma citiamo tra le varie esclusive il nuovo Super Mario Odyssey, Mario + Rabbids: Kingdom Battle su Nintendo Switch. Forza Motorsport 7, Sea of Thieves, Ori and the Will of Wisps su Xbox One. Days Gone, Uncharted: The Lost Legacy, Horizon Zero Dawn: The Frozen Wilds e Spider-man su PlayStation 4. Molti anche i giochi che usciranno su più piattaforme contemporaneamente come Destiny 2, Call of Duty WWII e Lawbreakers. Anche il mondo dei giochi indipendenti su PC ha avuto ampio risalto. Titoli come The Escapists 2 e Yoku’s Island Express sono stati mostrati in fiera mentre lo sviluppatore Devolver Digital ha proposto l’iniziativa «indie megabooth», un’area dedicata agli sviluppatori emergenti situata in un parcheggio appena fuori dalla fiera. Quest’anno c’è stato anche spazio per l’approfondimento in una serie di conferenze e discussioni chiamate E3 Coliseum. Organizzate nella cornice del The Novo, una sala conferenze parte del complesso L.A. Live, hanno dato spazio a diverse presentazioni. Le discussioni spaziavano tra vari argomenti quali la creazione di giochi, nuove tecnologie e trend, celebrazioni, approfondimenti e molto altro. Tra i momenti più interessanti e divertenti citiamo la discussione tra l’attore Jack Black e il designer Tim Schafer, entrambi molto conosciuti nei rispettivi campi e che hanno collaborato, nel 2009, per il videogioco comico Brütal Legend. L’edizione 2017 dell’Electronic Entertainment Expo non ha mancato di intrattenere gli spettatori, sia presenti a Los Angeles che in tutto il resto del mondo via video in diretta e social network. Un’edizione forse un filo sottotono, dal momento che sono mancati annunci inattesi, che però, in ultima analisi, non ha deluso le aspettative. L’industria dei videogiochi sembra essere, anche quest’anno, in ottima forma e in continua espansione.
Shigeru Miyamoto, il creatore di Super Mario, sul palco di Ubisoft. (D. Canavesi)
Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 10 luglio 2017 • N. 28
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Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 10 luglio 2017 • N. 28
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Società e Territorio I nuovi media nella vita dei millennials Le ricerche James e Mike, condotte a livello nazionale, indagano il rapporto tra i giovani e i media con sondaggi che coinvolgono anche i genitori
Una minicrociera in compagnia di Oliver Scharpf L’Uri è il più vecchio dei battelli a vapore in circolazione sui laghi svizzeri: vale una gita sul lago dei Quattro Cantoni
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Ripensare la casa
Anziani Incontro con Stefano Cavalli responsabile del Centro
competenze anziani della Supsi
E3 di Los Angeles, il ritorno alle origini Videogiochi N ovità e tendenze presentate
all’Electronic Entertainment Expo 2017
Stefania Hubmann
La tecnologia per bambini con disabilità
Attività educative Un progetto triennale
dell’Associazione REACT
Loris Fedele Ormai da una trentina d’anni le tecnologie dell’informazione e della comunicazione, con i loro sviluppi, hanno permesso di fornire aiuti compensativi utili per la riabilitazione, la comunicazione e l’autonomia delle persone con disabilità. Ciascun disabile ha caratteristiche uniche e quindi la pedagogia specializzata, prendendosi cura della persona, cerca di sviluppare al meglio le sue potenzialità adattative. Per farlo utilizza strumenti didattici sempre più adeguati e tecnologie fornite dalla ricerca applicata, strumenti che mirano a ridurre gli ostacoli che si presentano a chi è costretto a vivere con un handicap. L’utente disabile usando il computer può accedere a sistemi operativi e a diverse applicazioni adattabili alle sue esigenze. Pur nei limiti legati alla singola menomazione, questi strumenti favoriscono anche l’integrazione scolastica e lavorativa del disabile. Nel canton Ticino da una trentina d’anni sono stati sviluppati programmi informatici e strutture dedicati a persone gravemente disabili sul piano sensoriale, motorio, intellettivo e comunicativo. In prima fila vi era il Centro Informatica Disabilità (CID), braccio operativo della Fondazione Informatica per la promozione della persona disabile (FIPPD). Proprio per mantenere e recuperare quei lavori e approfondire le potenzialità garantite dai progetti innovativi che ne sono scaturiti è nata nel 2012 l’Associazione REACT, che si propone, nel contesto delle tecnologie al servizio delle persone disabili, di promuovere e sostenere l’attività di ricerca applicata e di completarne i risultati.
Azione
Settimanale edito da Migros Ticino Fondato nel 1938 Redazione Peter Schiesser (redattore responsabile), Barbara Manzoni, Manuela Mazzi, Monica Puffi Poma, Simona Sala, Alessandro Zanoli, Ivan Leoni
Proprio in collaborazione con la FIPPD un primo progetto REACT, con l’aiuto della SUPSI e di alcuni tecnici privati, sfociò in un Kit REACT, sperimentato con successo presso l’Istituto Provvida Madre di Balerna (vedi «Azione» del 30.12.2013). Attraverso l’accesso al computer e ai programmi gli allievi disabili, con la sola pressione su bottoni-radio, scrivevano frasi, spostavano figurine, giocavano. Comunicavano individualmente, ma potevano anche operare condividendo l’azione con uno o due compagni. Negli ultimi anni la disponibilità di nuovi mezzi tecnologici ha anche permesso di allargare gli orizzonti dell’educazione speciale, nella presa a carico scolastica degli allievi con disabilità cognitive. Due anni fa queste tecnologie hanno trovato ospitalità in un’aula dimostrativa situata nelle scuole elementari al Palasio di Giubiasco. L’Aula REACT ha superato brillantemente i suoi primi 18 mesi di attività. La docente Chiara Rigozzi, che vi ha preparato e catalogato tutte le attività didattiche, l’ha frequentata giornalmente con i suoi allievi. Altre colleghe hanno collaborato alla pianificazione e agli obiettivi di lavoro, frequentando l’aula con altri allievi della scuola speciale. In particolare Laura Rusconi, che ha regolarmente approfittato dell’aula dimostrativa, portandovi i suoi allievi da Minusio. Un tecnico che vi ha lavorato, Andrea Salvadè, professore SUPSI in elettronica e responsabile del laboratorio TTHF, non nasconde la sua soddisfazione: «Possiamo dire che i programmi e le strutture sviluppate rispondono veramente al meglio ai bisogni delle docenti e soprattutto dei Sede Via Pretorio 11 CH-6900 Lugano (TI) Tel 091 922 77 40 fax 091 923 18 89 info@azione.ch www.azione.ch La corrispondenza va indirizzata impersonalmente a «Azione» CP 6315, CH-6901 Lugano oppure alle singole redazioni
Chiara Rigozzi alla lavagna interattiva multimediale e Laura Rusconi ai bottoni-radio.
ragazzi che vi operano. L’entusiasmo non scaturisce solamente dalla novità, che poi piano piano va scemando, ma è conseguenza della qualità della nostra proposta e dei software e degli hardware installati. Un valore aggiunto a questa realizzazione è il fatto di avere instaurato un proficuo e continuo contatto con l’Ufficio della pedagogia speciale e con il Centro delle risorse didattiche e digitali del DECS». Tante scuole speciali nel cantone hanno ricevuto, o presto riceveranno, dei computer con una varietà di programmi. L’aula REACT resterà come polo di riferimento. Le docenti che vi hanno operato hanno preparato un CD e stanno divulgando le tecniche da loro utilizzate presso i colleghi che le applicheranno altrove. L’Associazione REACT continua a pensare al futuro. Una volta acquisiti dalla FIPPD i diritti sui programmi realizzati negli ultimi 20 anni, ha pianificato un progetto evolutivo triennale che ha chiamato REACT3. Il 21 giugno scorso è stato dato formalmente il via all’operazione. Il primo obiettivo è quello di
mantenere aggiornati i programmi e addirittura di arricchirli con ulteriori moduli ma, poiché ci si rende conto che lo sviluppo tecnologico non si arresta e crea sempre nuove opportunità, si vuole andare oltre. I tablet, per esempio, non erano disponibili e sufficientemente evoluti fino a qualche anno fa, ma ora sono una realtà molto utilizzata, per cui REACT sta pensando di adattarli ai suoi scopi. Tornando all’aula dimostrativa di Giubiasco è da notare che, rispetto a una normale aula col computer, ha il grande vantaggio di essere dotata di una grande lavagna interattiva multimediale (L.I.M.), con uno schermo touch che si può usare con una penna speciale o inviando comandi a distanza con i già citati bottoni-radio. È possibile visualizzare testi, riprodurre disegni e animazioni, scrivere, caricare programmi di gioco. Le docenti Rigozzi e Rusconi hanno sottolineato che la cosa interessante verificata con l’uso della L.I.M. è la grande motivazione che essa suscita. Nel momento in cui l’allievo comincia a utilizzarla dimentica qualsiasi altro stimolo
esterno e resta concentrato al 100% su ciò che sta facendo, ponendo tutta l’attenzione su questo grande schermo. Per le docenti diventa uno strumento prezioso per comprendere quanto un allievo può riuscire a fare e se sta utilizzando al massimo le sue potenzialità di attenzione e comprensione. REACT conta anche di sostenere un gruppo di lavoro, fatto di tecnici e di chi opera sul campo, per avere un costante confronto fra bisogni e potenziale e fare in modo che gli ultimi due anni di proficua esperienza non siano stati un fuoco di paglia. Già fin d’ora il Cantone potrebbe sostituire il personale della SUPSI nella manutenzione ordinaria dei programmi e delle installazioni dell’aula speciale, lasciando al laboratorio TTHF lo spazio per nuove ricerche al riguardo. Tra i desideri di REACT vi sarebbe anche una seconda aula didattica speciale per il locarnese. Infine sarebbe bello, in accordo col DFA, poter istituire una formazione continua per educatori, multidisciplinare, sviluppando attività mirate in ambito pedagogico e ingegneristico.
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Fra la casa con il giardino o il grande appartamento familiare e la casa per anziani esistono soluzioni abitative alternative in risposta ai nuovi bisogni di una crescente popolazione anziana? Da qualche tempo il mercato sta rispondendo in modo affermativo. I progetti di abitazioni a misura di anziano, le residenze intergenerazionali, l’integrazione di nuovi servizi nei complessi residenziali sono in aumento. Enti e associazioni si chinano sulla questione nell’ambito di uno sviluppo insediativo che, oltre alle tendenze demografiche, deve guardare alle esigenze sociali, ambientali ed economiche. Nella Svizzera francese sono in corso diverse sperimentazioni nel tentativo di capire come soddisfare necessità di fatto assai eterogenee. Per una valutazione della situazione ticinese, soprattutto dal punto di vista dei diretti interessati, vale a dire degli anziani, ci siamo rivolti a Stefano Cavalli, responsabile del Centro competenze anziani (Dipartimento economia aziendale, sanità e sociale) della SUPSI. Al momento non esistono ricerche mirate su questo aspetto della vita degli anziani ticinesi. Stefano Cavalli è però l’autore – con i colleghi Michele Egloff e Barbara Masotti e con Francesco Giudici dell’Ufficio di Statistica del Canton Ticino – di un approfondito studio generale pubblicato due anni or sono. «Fragilità e risorse della popolazione anziana in Ticino» fornisce dati significativi basati su un campione rappresentativo composto da 700 persone di età superiore ai 65 anni. Dalla ricerca emerge che il fenomeno degli anziani residenti in strutture appositamente concepite per la loro fascia d’età è ancora marginale a livello numerico. Spiega al riguardo Stefano Cavalli: «La ricerca evidenzia che la maggior parte delle persone anziane, anche dei grandi anziani, continua a vivere a casa propria, mentre una minoranza, meno del 20% degli ultraottantenni, vive in una casa per anziani. Questo grazie a due sostegni fondamentali: la famiglia e i servizi di aiuto a domicilio. Negli ultimi anni si è effettivamente manifestato un interesse per soluzioni abitative intermedie, ma al momento riguarda solo un numero esiguo di anziani e, anche se questo numero tenderà sicuramente a crescere, non credo che diventi maggioritario». Quali i motivi alla base di questa affermazione? «Gli anziani ci tengono a rimanere a vivere al proprio domicilio, nella casa o nell’appartamento dove hanno costruito la loro storia, al quale sono legati molti ricordi. Con l’invecchiamento lo spazio troppo grande, la mancanza di comodità, le barriere architettoniche rappresentano problemi che, soprattutto chi è proprietario, cerca di risolvere in loco. C’è inoltre da considerare l’aspetto economico. Due terzi dei giovani anziani (65-79 anni) e la metà degli ultraottantenni sono proprietari del loro domicilio, di cui spesso hanno già pagato gran parte dell’ipoteca. Trasferendosi rischiano di ritrovarsi in spazi più ristretti a costi maggiori. Vendere la casa (o l’appartamento) non è sempre la soluzione, perché si vorrebbe poterla lasciare ai figli. Un altro problema legato al trasloco è quello di dover abbandonare il quartiere o il paese, visto che questi nuovi complessi sorgono piuttosto nei centri urbani, perdendo così la rete sociale costruita sull’arco
Davide Canavesi
In Ticino la maggior parte degli anziani continua a vivere a casa propria. (Marka)
di un lungo periodo, a volte dell’intera vita. Solo l’avvicinamento alla residenza dei figli può agire da stimolo positivo». La differenza fra la realtà urbana e quella delle valli che caratterizza il canton Ticino è un ulteriore fattore di diversità per quanto riguarda il fabbisogno abitativo degli anziani. Nelle valli ci sono più persone che risiedono in abitazioni meno confortevoli e difficilmente accessibili per un anziano fragile, ma il legame con il territorio è generalmente più forte. In queste zone progetti abitativi innovativi per gli anziani potrebbero favorire la permanenza in valle, ma non sono attrattivi per gli investitori il cui interesse economico è legato ai grandi numeri. Il responsabile del Centro competenze anziani, pur valutando positivamente le iniziative pubbliche e private in corso, evidenzia inoltre che gli anziani più bisognosi di questa tipologia di appartamenti non sono tanto quelli ancora autosufficienti quanto i più fragili, con la salute in parte già compromessa. Attualmente il Ticino, come la Svizzera francese, è caratterizzato da un’incisiva politica a favore dei servizi di aiuto a domicilio per ritardare la presa a carico in istituto. Il numero di anziani residenti a casa propria e con bisogni importanti sta aumentando. «Mi riferisco, ad esempio, a coloro che dipendono dall’aiuto di terzi per svolgere i gesti essenziali della vita quotidiana», precisa il ricercatore. «Circa la metà di loro vive a domicilio proprio grazie ai servizi citati e all’aiuto dei familiari. Tutte queste persone presentano dei bisogni maggiori rispetto ai destinatari dei nuovi progetti abitativi per anziani. Un altro esempio è l’aumento delle problematiche di tipo cognitivo nella popolazione che risiede a domicilio. È però vero che lo scopo di queste iniziative è piuttosto quello di motivare i giovani anziani ad anticipare il trasferimento per vivere gli anni futuri in condizioni migliori». Condizioni definite migliori secondo i criteri oggettivi dei promotori o il parere dei familiari. Le preferenze degli anziani, come riferito, non sono ancora state indagate. Per il ricercatore bisognerebbe quindi capire a quali condizioni sarebbero disposti a lasciare la propria abitazione, quali sarebbero per loro vantaggi e svantaggi e quali le priorità. L’inchiesta dovrebbe coinvolgere dei giovani anziani ma anche coloro che arriveranno all’età della pensione
fra 10-15 anni. A breve il Centro competenze anziani si occuperà piuttosto dei grandi anziani, partecipando a uno studio nazionale sui centenari. Attualmente nel nostro cantone molti progetti e di riflesso la ricerca si concentrano sulla salute, mentre è ancora relativamente poco sviluppato il tema della vulnerabilità relazionale nella quale l’abitazione gioca un ruolo di primo piano. Per il responsabile del Centro competenze anziani questo aspetto è tutt’altro che trascurabile, ma risulta difficile reperire le persone a rischio di isolamento sociale. Se rimanere a casa propria il più a lungo possibile, anche a costo di vivere soli, è la soluzione di gran lunga preferita, l’insorgere di problemi di salute può limitare i contatti sociali ed essere all’origine di un sentimento di solitudine. Non a caso i nuovi progetti residenziali introducono la presenza del custode sociale o di enti già attivi nell’aiuto agli anziani. Ripensare completamente il modo di vivere nella terza età, prendendo decisioni già nella fase attiva della vita significa modificare in modo assai radicale la visione della stessa. Per certe culture è forse più semplice e in Svizzera alcune realtà sembrano già essere entrate in questa dimensione, come dimostrano anche diversi esempi citati durante un recente seminario organizzato da ASPAN Ticino (Associazione svizzera per la pianificazione del territorio) in collaborazione con l’associazione Generazioni & Sinergie, ideatrice del Pentalogo, una lista di criteri e concetti per abitare bene a tutte le età. L’incontro, svoltosi lo scorso marzo a Bellinzona, ha toccato un ampio spettro di nuove sfide legate al tema dell’abitare, dai nuovi fabbisogni derivanti dall’invecchiamento della popolazione al ruolo della pianificazione del territorio. Significativo il contributo di Dario Spini, professore all’Università di Losanna e direttore del polo di ricerca nazionale LIVES, per il quale le sperimentazioni in corso nei cantoni romandi – come appartamenti per più anziani con spazi privati ed altri in comune o soluzioni modulari per le abitazioni in proprietà – corrispondono alla necessità di disporre anche nell’ambito abitativo di risposte diversificate per soddisfare i bisogni di una popolazione anziana molto eterogenea. Popolazione che proprio in Ticino è in proporzione più numerosa rispetto al resto della Svizzera.
Come ogni anno, anche nel 2017 a Los Angeles si è tenuto l’Electronic Entertainment Expo, la principale manifestazione dedicata al mondo dei videogiochi. Negli sconfinati saloni del Los Angeles Convention Center si sono dati appuntamento sviluppatori, creativi, giornalisti e videogiocatori provenienti da tutto il mondo. L’E3 ha una lunga storia alle spalle. Nata nel lontano 1995, un’eternità fa per questo settore, negli anni ha ospitato gli annunci più importanti, i personaggi più stravaganti e alcuni dei peggiori disastri del mondo videoludico. L’edizione 2017 è stata particolare perché, per la prima volta in assoluto, ha aperto le sue porte anche al pubblico e non solamente alla stampa e agli addetti ai lavori. Dei 68’400 visitatori totali, ben 15’000 erano semplici giocatori che hanno coronato il sogno di partecipare all’evento più importante dell’anno. Un’edizione caratterizzata quindi da moltissimo entusiasmo extra ma anche da catastrofici ingorghi di persone che hanno causato qualche malumore tra i partecipanti professionisti. L’E3 non si limita solamente alla fiera. Nei giorni precedenti l’apertura diverse grandi aziende hanno organizzato conferenze e showcase per mostrare le novità in arrivo nei prossimi mesi. È il caso di Bethesda Softworks che ha organizzato un vero e proprio luna park in un parcheggio situato a downtown, stordendo i visitatori con musica a tutto volume (suonata dai popolarissimi DJ The Chainsmokers) e annunci riguardanti giochi vecchi e nuovi. La conferenza di Microsoft era tra le più attese, con l’annuncio di Xbox One X, la console più potente al mondo in arrivo a fine anno. PlayStation non ha deluso i suoi fan con una conferenza incredibilmente zeppa di esclusive di prim’ordine. Citiamo anche Ubisoft, che tra un annuncio e l’altro, è riuscito persino a far salire sul proprio palco il creatore di Super Mario Shigeru Miyamoto. Il giapponese ha mostrato al mondo il primo gioco in cui il famoso idraulico italiano fa coppia con i bislacchi conigli del publisher francese, sorprendendo genuinamente il pubblico presente in sala. Qualche delusione invece per la conferenza dedicata ai giochi su PC, quasi totalmente priva di novità di rilievo, nonostante il mercato dei videogiochi su computer sia più florido che mai. Facendo un giro tra gli stand dell’E3 è possibile tastare il polso del mercato. Se l’edizione del 2016 era dominata dalla realtà virtuale e dai siste-
mi di controllo alternativi, quest’anno abbiamo assistito ad un ritorno alle origini. Le novità erano principalmente legate ai giochi e, in minor parte, ai componenti per PC. Nonostante le cifre ufficiali parlino di ben 120 espositori su 293 con prodotti legati alla realtà virtuale, la loro presenza è passata in sordina. Un chiaro segno di come i giocatori hanno accolto tiepidamente gli sforzi di Oculus, HTC e PlayStation nel proporre esperienze VR, preferendo i sistemi di gioco legati a controller e schermo televisivo. Quello a cui invece i gamer continuano a rispondere sono i titoli ad alto budget. Impossibile citarli tutti quanti ma citiamo tra le varie esclusive il nuovo Super Mario Odyssey, Mario + Rabbids: Kingdom Battle su Nintendo Switch. Forza Motorsport 7, Sea of Thieves, Ori and the Will of Wisps su Xbox One. Days Gone, Uncharted: The Lost Legacy, Horizon Zero Dawn: The Frozen Wilds e Spider-man su PlayStation 4. Molti anche i giochi che usciranno su più piattaforme contemporaneamente come Destiny 2, Call of Duty WWII e Lawbreakers. Anche il mondo dei giochi indipendenti su PC ha avuto ampio risalto. Titoli come The Escapists 2 e Yoku’s Island Express sono stati mostrati in fiera mentre lo sviluppatore Devolver Digital ha proposto l’iniziativa «indie megabooth», un’area dedicata agli sviluppatori emergenti situata in un parcheggio appena fuori dalla fiera. Quest’anno c’è stato anche spazio per l’approfondimento in una serie di conferenze e discussioni chiamate E3 Coliseum. Organizzate nella cornice del The Novo, una sala conferenze parte del complesso L.A. Live, hanno dato spazio a diverse presentazioni. Le discussioni spaziavano tra vari argomenti quali la creazione di giochi, nuove tecnologie e trend, celebrazioni, approfondimenti e molto altro. Tra i momenti più interessanti e divertenti citiamo la discussione tra l’attore Jack Black e il designer Tim Schafer, entrambi molto conosciuti nei rispettivi campi e che hanno collaborato, nel 2009, per il videogioco comico Brütal Legend. L’edizione 2017 dell’Electronic Entertainment Expo non ha mancato di intrattenere gli spettatori, sia presenti a Los Angeles che in tutto il resto del mondo via video in diretta e social network. Un’edizione forse un filo sottotono, dal momento che sono mancati annunci inattesi, che però, in ultima analisi, non ha deluso le aspettative. L’industria dei videogiochi sembra essere, anche quest’anno, in ottima forma e in continua espansione.
Shigeru Miyamoto, il creatore di Super Mario, sul palco di Ubisoft. (D. Canavesi)
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Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 10 luglio 2017 • N. 28
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Società e Territorio
I nuovi media nella vita dei ragazzi
Ricerca Le ricerche nazionali James e Mike indagano il rapporto tra i giovani e i media tramite sondaggi
che coinvolgono anche i genitori
Alessandra Ostini Sutto Che i nuovi media siano parte integrante della vita dei millennials è un dato di fatto. Ma quali sono i principali media utilizzati dai ragazzi in Svizzera? Con quale frequenza e con quali motivazioni? Quali sono le loro competenze mediatiche? A questi ed altri interrogativi rispondono Mike e James, due ricerche nazionali dirette dall’Alta Scuola di scienze applicate di Zurigo (ZHAW) e condotte nelle tre regioni linguistiche del Paese. Per la Svizzera italiana, la Facoltà di scienze della comunicazione dell’Università della Svizzera italiana è partner di ricerca. «Concretamente un gruppo di ricercatori dell’Istituto Media e Giornalismo si occupa di organizzare e coordinare la ricerca. Questa si svolge intervistando i bambini e i ragazzi e somministrando il sondaggio ai genitori e, successivamente, analizzando i dati ottenuti, che possono poi servire ad autorità, istituzioni, professionisti del settore scolastico e genitori per valutare la rilevanza dei media nella vita dei giovani», spiega Eleonora Benecchi, responsabile di James e coresponsabile di Mike per la Svizzera italiana.
Il tempo che i ragazzi trascorrono online sta aumentando: smartphone e tablet sono onnipresenti Lo studio James è condotto ogni due anni dal 2010 e coinvolge circa 1000 giovani tra i 12 e i 19 anni; la prima edizione di Mike – incentrata su poco più di mille bambini dai 6 ai 13 anni e su oltre 600 genitori – è invece quella del 2014-15. «Stiamo al momento svolgendo la seconda edizione, i cui risultati usciranno nel 2018», precisa Eleonora Benecchi, che è anche docente di Cultura Digitale e ricercatrice post-doc per l’Istituto Media e Giornalismo. È quindi lo studio James che al momento attuale consente di mettere in luce delle tendenze relative all’uso che i nativi digitali fanno dei media nel loro tempo libero. Secondo le loro dichiarazioni, durante la settimana i giovani trascorrono online 2 ore e 30 minuti, il weekend 3 ore e 40 minuti, dati che corrispondono ad un aumento del 25% rispetto alla rilevazione del 2014. Su questo incremento ha verosimilmente influito la diffusione degli abbonamenti forfettari per i dispositivi portatili, grazie ai quali l’utilizzazione
Secondo lo studio James praticamente tutti i giovani tra i 12 e i 19 anni hanno uno smartphone, il 40% possiede un tablet proprio. (Marka)
mobile di internet non sottostà più a un limite di dati. La disponibilità economica è uno dei fattori che maggiormente influisce sul rapporto tra i giovani e i media, in particolare sul numero e sulla varietà dei dispositivi che essi hanno a disposizione. «Si tratta quindi di un fattore socio-economico che ha anche un impatto culturale – continua Eleonora Benecchi – nonostante aumentino i dispositivi che i ragazzi usano e il tempo che trascorrono online, ci ha stupito osservare come essi mantengano degli spazi di “decompressione” dalle nuove tecnologie, che restano quelli di sempre, e cioè incontrare gli amici e fare sport. Questo, anche se non abbiamo il raffronto temporale, è vero anche per i bambini del Mike: in questa fascia d’età, le attività preferite restano quelle del gioco e lo sport». Il periodo preso in considerazione dallo studio Mike, quello delle scuole elementari, coincide in genere con l’approccio dei bambini ai nuovi media. Di conseguenza sia la scuola che la famiglia rivestono un ruolo importante nel determinare il rapporto dei bambini con questi dispositivi. Le caratteristiche della famiglia – in particolare livello d’educazione e origine – hanno un’influenza significativa sull’uso dei media da parte dei bambini. Quelli che frequentano le scuole elementari imparano generalmente ad usare i media osservando e imitando i genitori, che rimangono quindi dei modelli. Lo studio dimostra però che l’influenza tra genitori e figli in questo caso non è univoca, ma piuttosto reciproca, tanto che si può
parlare di «media familiari» per indicare i dispositivi utilizzati da grandi e piccoli, spesso con una frequenza simile. Visto che si tratta di media condivisi, è bene fissare dei momenti in cui tutta la famiglia ne limiti l’utilizzo, per esempio durante i pasti, i momenti comuni di svago e la sera nelle camere. Si arriva così a toccare il tema delle regole, molto caro ai genitori. «Dai dati di cui disponiamo, i genitori risultano molto attenti all’uso che i figli fanno dei media e ben consapevoli dei rischi connessi. Nella maggior parte dei casi sono in vigore delle regole, che vanno dal divieto assoluto dell’uso di determinati strumenti, ad un uso supervisionato, oppure al ricorso a sistemi di parental control, che prevedono l’applicazione di filtri e limitazioni su pc, smartphone, tablet e tv», commenta Eleonora Benecchi. Non sempre però le regole sono percepite come tali dai bambini. Per esempio, dallo studio Mike emerge che più di un bambino su 10 utilizza il suo cellulare almeno una volta la settimana all’ora in cui dovrebbe dormire; tra quelli più grandi questa proporzione passa a uno su tre. Circa 1/3 dei bambini che possiede un cellulare proprio dichiara che nessuna regola è stata enunciata in materia di utilizzo notturno, mentre quasi tutti i genitori hanno indicato di aver definito delle regole che determinano l’ora, la durata e i contenuti dei media utilizzati. «Tra genitori e figli ci sono delle differenze di percezione. Quando interroghiamo i bambini e poi i genitori per Mike facciamo la differenza tra le regole fisse (per esempio, non si guarda la televi-
sione a cena) e quelle più flessibili. Le regole che non sono applicate sistematicamente dai genitori non sempre sono percepite come tali dai bambini», spiega Gloria Dagnino, ricercatrice post-doc per l’Istituto Media e Giornalismo, che collabora alle ricerche Mike e James, «un altro elemento da citare nella differenza di percezione tra genitori e figli è che se da un lato la maggior parte degli adulti è preoccupata per i pericoli che i loro bambini potrebbero incontrare sulla rete, dall’altro parlando con questi ultimi si scopre che nella stragrande maggioranza dei casi essi hanno un’esperienza assolutamente positiva di internet». Semmai i bambini più piccoli indicano di aver fatto delle esperienze negative con immagini viste alla TV, che, pur nell’era di internet, resta il media dominante per questa età. «La sovrapreoccupazione dei genitori non è comunque un male, dal momento che probabilmente contribuisce a tutelare i bambini dalla visione di contenuti inadeguati – continua Gloria Dagnino – al riguardo, la fascia d’età critica coincide con il passaggio dall’infanzia all’adolescenza, si tratta di un periodo particolarmente delicato perché si è meno soggetti a un controllo rigido da parte delle famiglie, ma non si è ancora del tutto consapevoli dello strumento e dei rischi ad esso connessi». Dallo studio James risulta che la consapevolezza dei ragazzi nell’uso delle tecnologie mediali c’è ed è più grande al crescere dell’età: «La maggior parte dei ragazzi tra i 16 e i 19 anni afferma di mettere in atto dei comporta-
tuale che riunisce i suoi fedeli. A parte che già la Chiesa da decenni fatica in questa impresa, «Il Guardian» in un articolo di Peter Ormerod accusa il padre del social network di avere eccessive manie di grandezza e di soffrire del God complex ora che la piattaforma ha raggiunto i due miliardi di utenti unici al mese. Insomma, non esageriamo. Ci sono così tante sottigliezze, differenze, sensibilità, storie, appartenenze, credi e mentalità che uno o più algoritmi non potranno mai mettere sotto un unico cappello digitale. Anche Facebook e più in generale la Rete hanno dei limiti e vanno riconosciuti. E il primo siamo proprio noi esseri umani. C’è da meravigliarsi? Per quanto la Rete in potenza possa essere il luogo e il mezzo più democratico, aperto, propositivo, virtuoso e collettivo a cui si possa pensare, a viverla, abitarla e uti-
lizzarla siamo noi, parte di un’umanità e di una società moderna che – prendo a prestito le parole di Bauman – non sa nemmeno che cosa sia la felicità e ha perso la tensione verso un modello, verso uno stato di perfezione come lo intendeva Leon Battista Alberti. Siamo anche una società che ha disimparato l’arte di convivere con il diverso e con le differenze. Non va molto lontano il pensiero dell’antropologo Marc Augé che, nel suo ultimo saggio appena pubblicato in italiano Un altro mondo è possibile, ci racconta di un’umanità che ha perduto il suo faro, un’umanità che non sa dove sta andando, non sa ambire al futuro mentre vive nell’illusione di una globalizzazione economica e tecnologica. Ma, soprattutto, ci racconta di una società mondiale ineguale e ignorante, condannata al consumo e all’esclusione.
menti che consentono di proteggere la privacy dei propri profili social e, nella metà circa dei casi, di aggiornare periodicamente queste impostazioni. Resta comunque importante mantenere alta l’attenzione sensibilizzando i ragazzi sia sui rischi immediati, come gli approcci indesiderati da parte di sconosciuti, sia su quelli più nascosti, come l’appropriazione di dati personali», commenta Gloria Dagnino. Da un raffronto temporale risulta che oggi i ragazzi pubblicano meno dati personali sui social network e prediligono applicazioni come WhatsApp e Snapchat dove possono controllare meglio le informazioni relative alla propria vita privata. Dallo studio James, tra i social Snapchat risulta essere quello più usato a livello di frequenza. Assieme a Instagram, per la prima volta dal 2010, ha spodestato Facebook nella classifica dei social più usati dai giovani. «Facebook rimane il social network più popolare tra i ragazzi più grandi (18-19 anni), con percentuali oltre l’80% – precisa Gloria Dagnino – se vogliamo provare a dare un’interpretazione a questi dati possiamo dire che Snapchat, nascendo come applicazione mobile, è sempre a portata di mano e quindi organica rispetto al modo dei più giovani di rapportarsi ai media». James 2016 attesta, infatti, che smartphone e tablet stanno diventando onnipresenti nella vita dei ragazzi: i cellulari hanno raggiunto una penetrazione del 99% e si tratta quasi esclusivamente di smartphone, mentre il 40% circa dei giovani tra i 12 e i 19 anni possiede un tablet proprio. Un altro dei risultati emersi con maggiore evidenza è il dominio del formato video nella quotidianità di bambini e ragazzi. Un terzo dei ragazzi tra i 12 e i 19 anni ha un abbonamento per un servizio di streaming, soprattutto Netflix, che consente di guardare serie TV, film, documentari e altro su una vasta gamma di dispositivi connessi a Internet. Ma il vero fenomeno è You Tube, piattaforma web per la condivisione e visualizzazione di video, fondata in California nel 2005 da tre neolaureati e successivamente acquisita da Google. Il successo del «Tubo» riguarda anche i bambini di Mike: YouTube occupa il primo posto tra le applicazioni preferite, distanziando di molto Instagram, Facebook o WhatsApp. «I ragazzi indicano il divertimento e lo svago come motivo principale per accedere alla rete e YouTube risponde bene a questa esigenza essendo una piattaforma che consente di vedere video ma anche di ascoltare musica, che sono due delle attività indicate come preferite», commenta Gloria Dagnino.
La, società connessa di Natascha Fioretti Internet si è rotto e l’umanità è senza faro In questi ultimi mesi si è sentito dire spesso che Internet si è rotto. Lo ha detto il padre della Rete Tim BernersLee sul «Guardian» esprimendo preoccupazione per tre tendenze che in particolare minano l’essenza del Web in quanto piattaforma aperta e accessibile a tutti per condividere informazioni, cogliere opportunità, collaborare al di là delle barriere geografiche e culturali. A suo avviso, se vogliamo che Internet diventi davvero uno strumento virtuoso al di servizio dell’umanità intera, ci sono tre questioni da risolvere: riconquistare il controllo sui nostri dati personali, evitare il diffondersi della disinformazione, più trasparenza nella propaganda politica. Si è unito al coro anche il fondatore di Twitter Evan Williams che sul «New York Times»
ha dichiarato: «ero convinto che nel momento in cui ognuno di noi avesse potuto parlare liberamente, scambiare informazioni e idee il mondo automaticamente sarebbe diventato un posto migliore. Mi sbagliavo». Non a caso, proprio in questi giorni, Twitter ha annunciato di voler introdurre un nuovo servizio per il controllo delle fake news. L’uccellino azzurro starebbe pensando di inserire una funzione che permette di contrassegnare quei Tweet che contengono informazioni false, fuorvianti o dannose. Mark Zuckerberg invece, proprio nel momento in cui a mio avviso Facebook dimostra di avere perso il suo iniziale spirito social, dice che in futuro la sua piattaforma avrà la missione di fungere da punto di aggregazione per le comunità del mondo, avvicinerà di più le persone, una sorta di chiesa vir-
Credo, se vogliamo davvero salvare Internet e far sì che diventi quello strumento democratico garante di uguale accessibilità e condivisione per tutti in cui ognuno si muove nel rispetto degli altri, che non basti inserire nuovi servizi di controllo delle fake news. La sfida sta nel costruire una società artefice nella realtà di quel mondo democratico, aperto, accessibile, inclusivo e virtuoso che sogniamo per la Rete. Dovremmo però fermarci un istante, riflettere e riconoscere di trovarci in una situazione d’impasse. E invece corriamo, consumiamo, fagocitiamo come se non ci fosse un domani. Come se l’attimo vivente fosse per sempre, dilatato dalla potenza tecnologica che cancella passato e futuro. Eppure, come ci dicono Tim BernersLee e molti altri, il dirupo è a pochi metri. Non solo in Rete.
Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 10 luglio 2017 • N. 28
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Società e Territorio Rubriche
Lo specchio dei tempi di Franco Zambelloni Si va di fretta Quella che oggi viene comunemente chiamata «accelerazione del tempo» è una svolta esistenziale ben nota a molti studiosi che ne hanno fatto oggetto di innumerevoli analisi e di molti altri che hanno scritto elogi della lentezza. In realtà, non è il tempo che accelera: non il tempo passa, siamo noi che andiamo; e di fatto stiamo andando sempre più di fretta. Questa fretta la rilevo quotidianamente, ad esempio negli e-mails che ricevo e che, con ogni evidenza, sono stati digitati precipitosamente, mentre il tasto send è stato premuto prima che l’occhio avesse il tempo di cogliere gli errori di battitura. E, conseguentemente, le frasi sono monche, telegrafiche, per l’esigenza di guadagnare tempo e inviare subito. E, naturalmente, chi scrive si attende una risposta real time. Certo, anche i dispacci telegrafici del passato condensavano la comunicazione in frasette scarne, e gli studenti d’un
tempo si divertivano a coniare modelli di messaggi come questo: «Cara Mella – morta Della – Manda Rino – T’ama Rindo – Baci Nella». Ma i messaggi telegrafici del passato non erano il modo consueto di comunicare; oggi invece gli e-mails e gli SMS piovono a cascata e si confondono nella massa del rumore che ci circonda e nel vortice della fretta che incalza. Un filosofo italiano, ottimo studioso di logica, ha osservato di recente: «Oggi la noia e il suo vuoto sembrano non esistere più: le orecchie sono invase da musica in cuffia, gli occhi da dozzine di finestre su uno schermo; se un collegamento non “funziona” all’istante c’è qualcosa che non va, abbiamo bisogno di più campo, di più giga, di una banda più larga. Abbiamo fretta, non si sa bene di arrivare dove, e siamo costantemente circondati da un gran fracasso». Così scrive Ermanno Bencivenga nel suo ultimo libro, dal titolo La scomparsa
del pensiero. La sua tesi è che la capacità di pensare si va riducendo, specie nei giovani, presi nel vortice del «tempo reale», incalzati dalla reazione immediata agli stimoli del mercato, del consumo, dei desideri. La tesi non è affatto inverosimile. Ci sono studi, ad esempio, che provano che la pratica del multitasking – ossia, l’abitudine di saltare continuamente da un argomento all’altro o da un compito all’altro mentre si è al computer – non fa affatto guadagnare tempo, ma lo fa perdere: in più, interferisce con quella concentrazione che sarebbe necessaria per condurre a termine, e bene, una cosa per volta. Ma, indipendentemente dall’informatica d’oggi, il pensiero è comunque un processo lento che richiede passaggi logici graduali. E questo vale non solo per l’esecuzione di compiti e l’analisi e la valutazione di informazioni, ma anche per quelle meditazioni in solitudine dalle quali tanti
filosofi del passato facevano dipendere la maturazione della consapevolezza di sé, la crescita interiore dell’io. Anche la lettura richiede un suo tempo, come la digestione; e anche la memoria si consolida e si dilata nel tempo, a condizione che ci siano spazi di silenzio e di solitudine per coltivare le rimembranze. Questa nuova accelerazione del tempo ci rende simili a un insetto, l’effimera. Il nome assegnato alla specie degli efemerotteri viene dal greco: ephemeros significa «per un giorno», perché tale è la durata della vita di questo piccolo insetto, una volta uscito dallo stadio larvale. Noi, in realtà, viviamo enormemente più a lungo e la durata della nostra vita tende ad allungarsi sempre di più; ma la fretta con la quale consumiamo il tempo equivale a una contrazione della sua durata nella misura in cui ne diminuisce il significato. Non la quantità, ma la qualità fa conta-
re la vita; ma la mentalità consumistica afferma proprio il contrario. Scrivendo l’Émile nel 1762, Rousseau sosteneva che non bisogna togliere la libertà al bambino allo scopo di evitargli ogni rischio. «L’uomo che ha vissuto di più – scriveva – non è quello che può annoverare il maggior numero d’anni, ma colui che più intensamente ha sentito la vita. V’è chi s’è fatto sotterrare a cento anni, ed era morto fin dalla nascita». Ecco: un uomo simile – ammesso che sia esistito – è come l’effimera, anzi, peggio. Ma Rousseau non faceva che riprendere quanto, prima di lui, avevano insegnato tanti altri filosofi: come Seneca, per il quale la vita non è affatto breve, anzi, ne abbiamo in abbondanza, se ne facciamo buon uso: «Non è che abbiamo poco tempo: ne abbiamo perso molto. Non è breve, la vita che riceviamo, ma breve l’abbiamo resa, e di essa non siamo poveri, ma prodighi».
di Müllerthurgau lucernese. «Tip-top» esclamano quasi all’unisono. Altri si divertono con windsurf e kitesurf, a me basta questo venticello scacciacaldo ai primi di luglio. In direzione di Sisikon, sull’altra sponda, là in alto sul Seelisberg, si nota la cupola color meringa dell’ex hotel Sonnenberg il cui destino s’intreccia curiosamente con quello dell’ex hotel Milano di Brunate: fino al 1983 lassù meditava il guru Maharishi. A differenza dell’hotel a Brunate caduto in rovina, questo è ancora oggi la florida sede della Maharishi European Research University. Poco più in là, al pari di un faro, spicca il campanile di San Michele. Ora Rütli. Il praticello-sedicente culla della patria, si sa, non è niente di che, anzi, pure un po’ rinsecchito. Colpisce di più il debarcadero-chalet. A Brunnen va annotato il cambio di cantone: Svitto. E la mania reciproca di salutare con la manina, da terra come a bordo. A Treib le persiane optical gialle e nere della locanda risalente
al 1482 indicano che si è di nuovo in territorio urano. Da qui parte la funicolare per il Seelisberg. Dopo lo scalo a Gersau, sulla riva opposta, la rotta ping-pong approda a Beckenried, canton Nidvaldo. Qui si può prendere la cabinovia per la Klewenalp. Il tipo del Müllerthurgau fa ciao ciao con la manina a una scolaresca esausta, non se lo fila nessuno. L’apice di questa usanza navale si tocca incrociando lo Stadt Luzern (1928), una voce mette persino le mani avanti dicendoci di salutare bene il battello. Il signor Tiptop allora si scatena rifacendosi dello smacco scolare di prima, anch’io non mi sottraggo e faccio ciao ciao. E per essere in tema gita folk-kitsch mi rifugio nella Uri-Stübli ad azzannare un landjäger con bürli; un succo di mele annaffia il mio rapido pranzo al sacco. Due tavoli di legno, pareti di legno con scorci di Bürglen e Attinghausen dipinti, più diversi fiori alpini tra i quali mi sembra di riconoscere il leggiadro strozzalupo (Aconitum napellus). Tut-
ta vuota e in ombra, le porte spalancate, l’arietta salubre del lago che entra. Ora passiamo nel punto chiamato dei Due nasi: le propaggini del Rigi sono a ottocentocinquanta metri da quelle del Bürgenstock in faccia. A Vitznau, dove parte lo storico trenino per il Rigi, sale una scolaresca scalmanata e i lampi di beatitudine vanno un po’ a farsi benedire. Per la cronaca siamo nel quarto cantone di questo lago: Lucerna. Vado a prendermi un caffè al ristorante sul pontile a poppa, passano via due piatti di filetti di pesce persico fritti con salsa tartare che non sembrano male. Il ristorante è pieno e sembra molto curato, con prodotti e vini regionali, altro che i ristoranti ferroviari di oggi. Nel golfo di Lucerna rapisce lo sguardo il fiabesco castello di Meggenhorn, attorniato da placidi vigneti. Sull’Uri c’è anche una classica bucalettere giallo pannocchia. Non lontano sono in vendita diverse cartoline con su questo storico piroscafo. Ma quasi nessuno scrive più cartoline.
snob, si dedicano al turismo di massa. Già i titoli di certi saggi sono indicativi: L’idiot du voyage, dell’antropologo Jean-Didier Urbain, L’incontro mancato del sociologo Marco Aime, «Ulisse resta a casa», come raccomandavano, sin negli anni 80, Fruttero e Lucentini. Come dire, la figura del turista, e del vacanziero in particolare, non gode buona fama, sui piani alti della cultura che conta. Dove, persino, Paolo Villaggio ha incontrato ostacoli, lungo un percorso a zig zag fra umori contrastanti, prima di diventare, anche grazie a Fellini, una sorta di eroe nazionale alla rovescia, in cui gli italiani si sono riconosciuti. Non si tratta, però, di un’esclusiva della Penisola. Il ragionier Fantozzi, in tenuta da spiaggia con il costume «ascellare», goffo e sfortunato, aveva avuto, infatti, un predecessore, diverso ma fondamentalmente paragonabile, nel protagonista delle Vacances de Monsieur Hulot, film ideato, diretto, interpretato da Jacques Tati, nel 1953.
Anche qui, compare un’esilarante partita di tennis: che abbia poi ispirato Villaggio? Chissà... Ma, diversamente dal collega italiano, questo vacanziero francese non parla. Si esprime a gesti, sfrutta i rumori dell’ambiente, la porta della sala da pranzo che cigola, denunciando la modestia dell’hotel, i fuochi d’artificio, simbolo di una festa che infastidisce, al pari del rombo dei motori. E così, il personaggio, senza parole, la dice lunga. E non parla neppure Rowan Atkinson, il comico inglese, che ha dato vita a Mister Bean, attraverso una serie di ruoli «fantozziani». Cambiano i luoghi, gli ambienti, gli oggetti, ma non il vissuto reale di un impiegato, costretto alla mediocrità e alla sfortuna, anche nelle sue Holidays: quando, nel vagone ristorante del Train Bleu, diretto verso la Costa Azzurra, affronta il primo guaio: alle prese con un piatto di crostacei, inespugnabile. Una sconfitta, se si vuole banale, com’è di regola nei destini fantozziani, dove il ridicolo ha sempre la sua parte.
A due passi di Oliver Scharpf Microcrociera sull’Uri Uno con il «Blick» e birra da mezzo accanto, poco prima di mezzogiorno, all’imbarcadero di Flüelen, assiste all’arrivo dell’Uri. Tra i quindici battelli a vapore in circolazione sui laghi svizzeri – uno sul lago di Thun, uno sul lago di Brienz, due su quello di Zurigo, sei sul Lemano, cinque sul lago dei Quattro Cantoni – l’Uri è il più vecchio. È del 1901. In mezzo a una mandria di turisti salgo a bordo di questo battello battezzato con il breve nome del cantone in cui ci troviamo. Per prima cosa m’infilo nella sala da pranzo di prima classe, tutta in legno intarsiato in stile neobarocco, opera dell’ebanista milanese Filippo Cassina. Giù in fondo, a poppa, due sirene affiancano un segnatempo dell’ottica Kuhn di Lucerna. Visto il bel tempo, solo una coppia di vecchietti si siede a un tavolo, il soffitto è floreale. A mezzogiorno in punto si salpa con tanto di muggito lacustre. Il motore a vapore in bellavista è uno spettacolo posto proprio come in un golfo mistico – bel
termine teatrale per la buca d’orchestra – a cui due del tipo bricoleuraeromodellisti assistono appoggiati alle ringhiere. Benché non capisca un tubo di motori né mi affascinino più di tanto, in questo caso, mi aggrego ai due. Tirato a lucido come argenteria preziosa, sopra la vernice rosso fiammante si legge, in rilievo, il nome dei fratelli Sulzer di Winterthur, ditta fondata nel 1834. Salgo a prua e mi siedo su una delle panchine color salsa rosa. A barra dritta verso la Tellsplatte, prima tappa delle dodici che scandiscono questa microcrociera che approderà a Lucerna alle 14.46. Eccola, sopra questa lastra rocciosa dove è balzato Tell dalla barca per sfuggire a Gessler, c’è la famosa cappella da cartolina dentro la quale, tra l’altro, è stata affrescata – da Ernst Stückelberg nel 1880 – proprio questa scena. Il turchese tropicale del lago da queste parti stupisce sempre, l’andatura caraibica dell’Uri è terapeutica. Una coppia di mezza età si gode il viaggio bevendo una bottiglia
Mode e modi di Luciana Caglio Anche in vacanza si apre la trappola fantozziana La notizia della morte di Paolo Villaggio ha raggiunto molti italiani, e ticinesi (una volta tanto affratellati), sotto l’ombrellone, cioè mentre vivevano la condizione, oggi inevitabile, del vacanziero, di cui proprio il
comico genovese aveva denunciato, con un linguaggio apparentemente grottesco, le derive fantozziane, guai invece reali. Inventando il ragionier Ugo Fantozzi, simbolo delle umiliazioni impiegatizie, aveva, infatti, intuito, anzi presagito, quanto fosse importante anche l’altra faccia del personaggio: quella del lavoratore alle prese con le tentazioni del presunto tempo libero. Dove, e qui sta l’aspetto più impietoso del fenomeno, il travet, sganciato dagli obblighi del subordinato, diventa finalmente padrone di se stesso: mettendosi alla prova in attività che dovrebbero assicurargli successo, piacere, autostima. E, invece, rimane l’imbranato di sempre, afflitto dalla iella del perdente a vita, che comunque non ce la fa. Anzi, l’ambito dello sport, dello svago, della mondanità si rivela ancora più insidioso. Eccolo, allora, arrancare su un campo da tennis, nel singolare, giocato nella nebbia, contro il collega Filini, scena ormai da manuale cinematografico e sociologico.
O, ancora, ultimo predestinato nella gara ciclistica e sugli sci, e incapace persino di sistemare la sdraio sulla spiaggia. Insomma, in vacanza, più che mai, sulle sue giornate, che sono poi le giornate di tutti noi salariati in ferie, incombe l’ormai famosa nuvoletta. Entrata nel linguaggio corrente per definire, al di là della meteorologia, le incognite delle ferie. In verità, proprio incognite, non sono. Appartengono, anzi, a un repertorio di situazioni, disagi, delusioni che accompagnano, in pianta stabile, le esperienze di vacanzieri e weekendisti che, quegli inconvenienti, se li vanno a cercare. Del resto, ne sono puntualmente informati da bollettini ufficiali, che annunciano persino il peggio: code sulle autostrade, attese agli ingressi dei musei, spiagge affollate, prezzi alti. Con ciò si continua a partire. Sfidando le minacce, queste sì imprevedibili del terrorismo. Rimangono, invece, lettera morta i commenti ironici e moralistici che, negli ambienti intellettuali un po’
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Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 10 luglio 2017 • N. 28
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Ambiente e Benessere Smirne, tutti al mare? Turchia: da città tranquilla a teatro di un attacco terroristico; si potrà tornare alla normalità?
All’avventura… Perché viaggiare con un nuovo mezzo di trasporto se puoi usarne uno vecchio? pagina 11
La hosta dalle foglie a cuore Una pianta a ciclo completo: nuovi germogli in marzo, fogliolone per tutta l’estate, colori giallo oro in autunno e riposo completo della pianta in inverno
Un’opera d’arte naturale La trasformazione di molte foglie crea dei preziosi merletti biodegradabili
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Tumori cutanei come curarli? Medicina Diagnosi precoce e interventistica
innovativa sono la carta vincente contro i tumori della pelle
Maria Grazia Buletti La pelle è l’organo di maggior superficie del nostro corpo, del quale è una parte fondamentale. Essa rappresenta una realtà altamente complessa, il «confine» fra il mondo esterno e quello interno, tra l’ambiente e il proprio sé. E non solo fisicamente: dal punto di vista sociale e psicologico la pelle è termometro delle nostre trasformazioni, specchio dei nostri cambiamenti (pensiamo ad esempio all’arrossire o all’avere la pelle d’oca). I tumori della pelle sono fra i cancri più frequenti nella popolazione. Con circa 2500 nuovi casi di melanoma diagnosticati all’anno, la Svizzera detiene il primato del tasso di incidenza di melanoma più alto d’Europa. «In seguito ai cambiamenti climatici, alle abitudini di vita e alla predisposizione genetica, i tumori che attaccano la pelle sono in aumento e colpiscono sempre più anche i giovani», esordisce il medico dermatologo responsabile della chirurgia dermatologica dell’Ospedale Regionale di Bellinzona e Valli dottor Gionata Marazza, il quale distingue tre tipi di tumori alla pelle: «Il melanoma, il carcinoma basocellulare (di cui osserviamo circa 15mila nuovi casi all’anno) e quello squamocellulare che annovera circa 5mila nuovi casi all’anno. Questi ultimi due sono tumori molto più frequenti del melanoma, ma fortunatamente risultano essere curabili in modo efficace se diagnosticati precocemente». Diverse cause giustificano la tendenza all’aumento della manifestazione dei tumori cutanei: «L’invecchiamento della popolazione è un fattore determinante, come del resto per parecchi tumori. Segue l’esposizione ai raggi ultravioletti: più ci si espone e maggiori saranno le probabilità di sviluppare un carcinoma cutaneo. E non dimentichiamo l’aspetto genetico che nei giovani è determinante, in maggior misura nel carcinoma basocellulare e nel melanoma maligno. Infine, possiamo affermare che le persone con la carnagione chiara sono più a rischio di sviluppare lesioni indotte dai raggi solari». La popolazione ha conoscenza del melanoma più che degli altri due tumori cutanei: «Si sviluppa da cellule
diverse da quelle principali della pelle (ndr: melanociti) e può manifestarsi in diverse forme cliniche, più frequentemente con una crescita iniziale progressiva e per questo non sempre di facile diagnosi». Ma più la diagnosi sarà posta in fase precoce e migliore sarà la prognosi per il paziente: «Rispetto a un tempo, oggi il melanoma ha una prognosi migliore, grazie allo sviluppo di nuove tecnologie a disposizione del dermatologo, come per esempio la dermatoscopia, la videomicroscopia (mappatura dei nei in soggetti a rischio) e la microscopia confocale». Negli ultimi 10-15 anni, per il melanoma si sono quindi fatti passi da gigante nella diagnostica, mentre la terapia di scelta è sempre chirurgica: «Bisogna dire che anche la presa a carico oncologica per i melanomi avanzati si è evoluta notevolmente, grazie alle terapie a bersaglio molecolare che agiscono in modo molto più selettivo sul tumore stesso». Il dottor Marazza pone poi l’accento sul fatto che, sebbene il tumore più temuto e conosciuto sia proprio il melanoma, la maggior parte dei tumori cutanei maligni è rappresentata dal carcinoma basocellulare: «Esso si manifesta più frequentemente su parti esposte al sole, con una crescita progressiva, attraverso varie forme cliniche e con la peculiarità di una lesione caratterizzata da una fragilità della pelle (crosticina che non guarisce mai)». A questo punto, il dermatologo consiglia caldamente di mostrare al medico quella che potrebbe sembrarci un’anomalia cutanea di questo tipo. Il carcinoma basocellulare sviluppa solo eccezionalmente delle metastasi, ma è la sua crescita a destare preoccupazione: «Esso presenta un potenziale di crescita locale che distrugge i tessuti cutanei e sottocutanei circostanti; se consideriamo il fatto che è prevalentemente localizzato su viso e naso, e cresce con effetto iceberg (ndr: in profondità più che in superficie), comprendiamo pure come non sia sempre ben visibile al semplice esame clinico». Infine, a completare il quadro dei tre, c’è il carcinoma squamocellulare: «Esso deriva dalle stesse cellule del carcinoma basocellulare (cheratinociti) ed è da considerare attentamente, in quanto cresce con rapidità e nelle varianti più aggressive può portare a
Gionata Marazza, medico dermatologo responsabile della chirurgia dermatologica dell’Ospedale di Bellinzona. (V. Cammarata)
metastasi: questa è sostanzialmente un’urgenza medico-chirurgica». In ogni caso, il tempo è sempre nemico della manifestazione di tumori cutanei e il nostro interlocutore ribadisce l’importanza di mostrare al medico ogni anomalia che riscontriamo sulla nostra pelle. In Svizzera, oltre alla Dermatologia dell’EOC, solo le cinque Cliniche Universitarie di Dermatologia e pochi altri studi medici privati praticano una tecnica chirurgica innovativa. È la chirurgia micrografica, della quale ci parla sempre il nostro interlocutore che opera all’ORBV ed è l’attuale presidente della Società Svizzera di Chirurgia Micrografica. Unica premessa: i tumori melanocitari (melanomi) non sono ideali per l’applicazione della chirurgia micrografica o chirurgia di Mohs, che si riserva principalmente ai carcinomi basocellulari e squamocellulari: «Si tratta di una chirurgia sviluppata negli Stati Uniti a partire dagli anni Trenta
da Frederic Mohs, e oggi si pratica in anestesia locale, sull’arco di una giornata, nella maggior parte dei casi in regime ambulatoriale». La chirurgia micrografica garantisce un miglior risultato sul piano oncologico con un tasso di recidiva del tumore inferiore per rapporto alla chirurgia tradizionale: «Questo perché si tratta di interventi molto mirati di asportazione del tumore, che viene analizzato in estemporanea grazie alla collaborazione con l’Istituto Cantonale di Patologia di Locarno. Ciò permette di valutare se è necessario asportare altro tessuto tumorale in modo preciso, lasciando integro il tessuto cutaneo sano circostante». Il vantaggio innegabile di questa tecnica è l’asportazione del tessuto malato e non di quello sano, riducendo gli abituali margini di sicurezza e facilitando quindi anche la ricostruzione chirurgica finale, con un risultato estetico migliore per il paziente: «Questa
tecnica ci permette attualmente di operare un centinaio di pazienti all’anno». Sappiamo che la pelle è frequentemente associata al concetto stesso di vita: «Vendere cara la pelle», «Salvare la pelle». Quest’ultima espressione va a nozze con la diagnosi precoce dei carcinomi cutanei e l’evoluzione delle tecniche terapeutiche chirurgiche.
Video intervista Sul canale Youtube di «Azione» e su www.azione.ch la videointervista al dr. Gionata Marazza.
Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 10 luglio 2017 • N. 28
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Ambiente e Benessere
Il giorno migliore per godersi ancora Smirne Reportage La domenica al mare con tanta voglia di vivere e reagire, nonostante bombe e attentati
Vincenzo Cammarata, testo e foto «Le ragazze di Smirne sono così». Afferma Ezgi tenendo tra indice e pollice una ciocca dei propri capelli biondi per mostrarli. Nell’altra mano una birra media, bionda anch’essa, ma naturale, in uno dei locali più eclettici e frequentati della città. Ezgi, tanti sogni e un dottorato di ricerca (Phd) in biologia marina, rappresenta un campione delle ragazze della laicissima Smirne. Finora. Da qualche mese, infatti, sull’infinito lungomare dedicato proprio a chi aveva voluto una Turchia secolarizzata, cioè il veneratissimo Mustafa Kemal, in arte Atatürk, passeggiano splendidi occhi mediorientali avvolti in colorati hijab cangianti, mentre – ogni giorno più forti – dagli altoparlanti dei minareti i muezzin chiamano a raccolta i fedeli per la preghiera. Il 5 gennaio scorso un’autobomba vicino al tribunale ha aggiunto altri due nomi al già lungo elenco delle vittime del terrorismo in Turchia. In quegli stessi giorni la città, affacciata sull’Egeo all’altezza della Sicilia, è stata coperta da una coltre di neve, evento più soprannaturale che raro da queste parti. Eppure a Izmir, questo il nome turco, a detta dei suoi quattro milioni di abitanti «non succede mai niente». Non è Istanbul, non è Ankara, non si trova ai confini con la Siria. Niente. Sole e mare. Solo questo, e tanta voglia di divertirsi, di incontrare viaggiatori, meglio ancora se turisti. Così, sfidando le paure che malgrado tutto fanno percepire ancora sicure destinazioni come Nizza, Parigi o Berlino, si potrebbe decidere di passare un fine settimana in quel di Izmir, per scoprirne la grande voglia di vivere e di reagire, soprattutto in questo periodo storico così delicato per il futuro del popolo turco. Per capire le dimensioni di Smirne, che nel 2015 si contendeva con Milano la sede dell’EXPO, una buona idea potrebbe essere quella di recarsi al Kültürpark. Raggiunte le due statue sdraiate lungo i bordi della fontana centrale, ancora vuota per l’inverno, ci si può lasciar guidare dal suggerimento che pare voglia dare una delle due cleopatre. Il suo sguardo, perplesso, punta dritto verso il parco di divertimenti di cui già si scorge la ruota panoramica. Un giro è d’obbligo per osservare finalmente la città in tutta la sua estensione da un punto di vista privilegiato. E poi, chissà quando capita di rifarlo! Le colline piene di case, i due grattacieli che indicano la zona del tribunale e la distesa infinita di palazzine fanno da sfondo al vicino boschetto di palme. Altro giro di ruota e volgendo lo sguardo dall’altra parte si scorge la torre dell’orologio, simbolo della città e
la baia di Smirne, uno specchio di mare costantemente attraversato dai traghetti che collegano il quartiere centrale, Alsancak, al resto dell’area metropolitana di Izmir al di là del golfo. Dal Kordon, il lungomare intitolato per l’appunto ad Atatürk, partono quelli che qui chiamano ancora «vaporetti» pur andando a nafta. Un mar-
ciapiede wifi free in stile Copacabana e un lungo parco che accompagna il mare, spazi verdi curatissimi, piste da jogging in tartan rosso, ciclabili azzurre per il bike sharing e vialetti alberati che in estate diventano freschi tunnel parasole. Il giorno migliore per godersi il lungomare è la domenica. Sveglia tardi
ad Izmir, come accade in tutte le città di mare a chi non va per mare. Già verso mezzogiorno però, il «vascheggio» è l’attività più impegnativa. Ed è proprio dall’arte del passeggio che emerge la vitalità di un luogo, vero genius loci di Smirne. Dal modo con cui ci si ingegna a passare una domenica pomeriggio, dalla voracità di selfie con cui coppie e
gruppi di amici testimoniano la loro esistenza lì e in quel preciso istante, dalla velocità e abilità dei ragazzi sui roller e dalla spensieratezza delle famiglie in bici, si capisce che lì si sta celebrando qualcosa di collettivo. Un esempio del vero genio locale, ma non è il solo, è quello di Sabri, giovane fotografo motomunito che, stampante al seguito, per appena una lira e mezzo (quasi 40 centesimi di franco/ euro), sistema in posa il soggetto e in meno di cinque minuti è in grado di consegnare stampato e imbustato un ritratto, un po’ sbiadito ma pur sempre professionale. Così fra selfisti, fotomodelli, pattinatori e ciclisti, proseguendo verso piazza Konak, spiccano anche dei palloncini colorati legati a un filo e messi a galleggiare fra molo e banchina. Non si capisce subito a cosa servano, forse una decorazione per qualche festa tradizionale. Ma basta restare a guardare qualche secondo la scena e ci si accorge che sono i bersagli di una specie di tiro a segno di un luna park improvvisato. Yusuf carica il fucile a piombini e offre la possibilità di mostrare al mondo l’abilità balistica di chiunque voglia cimentarsi nel tiro. Una Lira, due colpi a disposizione. Anche chi non ha mai imbracciato un fucile, lo si capisce dal freestyle con cui si approccia all’arma, può mirare al palloncino: così ragazzini, ex militari, coppie di fidanzati in tandem, ragazze velate e non, hanno il loro momento di gloria. O di vergogna. Qualche selfie più in là, superati i classici lustrascarpe, l’idea di business più innovativa: Mustafa con la sua bilancia. Passeggiate e senti l’urgenza di sapere quanto pesi. Lui c’è. Un’altra lira e vi togliete lo sfizio. Si sale vestiti con tutte le scarpe, ma il responso vi piacerà: sarete dimagriti almeno di tre chili. Felice lui, felice il cliente: meglio di così?
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Ambiente e Benessere
Sulle ali di una vespa
Viaggiatori d’Occidente Darsi all’avventura a bordo di veicoli storici è di moda
Andare oltre il tempo Bussole I nviti a
letture per viaggiare
Claudio Visentin «Perché esplorare quando puoi rassettare? Perché veleggiare in solitaria quando puoi leggere in tranquillità, fare del trekking quando puoi prendere un taxi, calarti in corda doppia quando puoi scendere le scale, stare in piedi quando puoi sederti, o ascoltare i Greatest Hits di Neil Sedaka quando puoi toglierti la vita da solo?» Così si chiedeva qualche anno fa il comico inglese Tony Hawks e noi potremmo aggiungere alla lista: «Perché viaggiare con un vecchio mezzo di trasporto se puoi usarne uno nuovo?». Per rispondere a questa domanda dobbiamo tornare al 1946. In quell’anno la Piaggio, un’industria aeronautica dell’Italia sconfitta, cercava nuovi prodotti di largo consumo. E l’idea vincente fu una motocicletta diversa da tutte le altre, la Vespa: economica, comoda e divertente. Il suo segreto? La carrozzeria copriva il motore e le parti meccaniche principali; al tempo stesso proteggeva dalla polvere e dal fango della strada, permettendo di guidare con gli abiti di ogni giorno. Superate le necessità immediate dei primi, difficili anni del dopoguerra, la Vespa fu utilizzata anche nel tempo libero per escursioni domenicali, ma certo nessuno poteva immaginare che a distanza di decenni sarebbe stata scelta per lunghi viaggi. Il protagonista di quella svolta fu Giorgio Bettinelli: dopo una fortunata carriera tra musica e cabaret, seguita da una stagione più oscura e difficile, negli anni Novanta Bettinelli comincia una nuova vita in sella a una Vespa ricevuta a saldo di un debito mai pagato. Nel 1992-93 viaggia dall’Italia al Vietnam percorrendo ventiquattromila chilometri in sette mesi (In Vespa. Da Roma a Saigon, Feltrinelli 1997). Poi non si ferma più: nel 199495 discende l’intero continente americano, tra il 1997 e il 2001 compie il giro del mondo (144mila chilometri). Dopo aver superato infiniti pericoli e disavventure in sella alla sua Vespa, Bettinelli muore improvvisamente nel 2008 in Cina per un’infezione; e proprio La Cina in Vespa resterà il suo ultimo libro. Oggi i viaggiatori in Vespa sparsi per il mondo non si contano più e molti di loro utilizzano veicoli storici. Nel 1948, proprio a partire dalla Vespa, la Piaggio realizzò un piccolo veicolo commerciale a tre ruote, l’Ape, anch’esso destinato a un luminoso futuro (sino a oggi solo in Europa ne sono stati venduti due milioni e mez-
La muraglia del Bombögn Solo su www.azione.ch, le escursioni proposte dal giornalista RSI Romano Venziani. Questa settimana ci porta sul Pizzo Bombögn, fra Bosco Gurin e Campo Vallemaggia, alla scoperta di una muraglia eretta nel secondo dopoguerra. Una vera e propria scalinata lunga 300 metri che porta in vetta, 1000 metri sopra Campo Vallemaggia, edificata tra aprile e dicembre del 1948 con pietre squadrate, costruita per proteggere il bosco anti-valanghe dalle capre. E in cima al Bombögn, una croce, che narra ancora un’altra storia.
«Un passo più in là, un movimento ampio o breve. Andare via proprio in un certo momento. È allora che le cose cominciano ad accadere. Quando si schiude la porta della stanza dei giorni quotidiani e si va oltre l’incanto di un tempo immutabile, oltre la promessa beffarda che la vita può attendere ancora a lungo. Andare via. È allora che la vita sembra poter accadere in maniera più decisa e repentina. Intensa e improvvisa. Un passo poco più in là, un movimento ampio, l’andare via proprio in un certo momento. Un gesto che possa placare l’inquietudine…»
Insidie nel deserto della Sirte. La 500 per aggirare il Mediterraneo ha dovuto superare quattro deserti, dalla Libia al Sinai, alla Giordania. (D. Elia)
zo di esemplari). Dapprima l’Ape prese semplicemente il posto dell’asino nel trasporto locale. Poi, quando giunsero i primi turisti internazionali, fu realizzata la versione «Calessino», una sorta di risciò motorizzato per muoversi nelle strette vie dei borghi di mare italiani: diventerà uno dei simboli della Dolce vita, oggi riscoperto in chiave nostalgica. Una sua fortunata filiazione sono i colorati tuk-tuk del sud-est asiatico. L’anniversario dei settant’anni dal primo Ape Piaggio sarà l’anno prossimo, ma i festeggiamenti sono già cominciati con raduni, gare ecc. Nonostante la sua minuscola cilindrata, anche l’Ape è stato usato per lunghi viaggi. Nel 1998 un nostro collaboratore abituale, Paolo Brovelli, guidò un Ape per venticinquemila chilometri da Lisbona a Pechino (Sulle ali di un Ape, Corbaccio 2007). Così Brovelli ricorda quell’esperienza: «Se viaggi alla guida di un Ape il mondo ti accoglie con un sorriso, anche solo per prenderti in giro, e il sorriso è il miglior lasciapassare per nuove conoscenze». Non sono mancati imitatori: l’anno scorso otto ragazzi hanno viaggiato e raccontato l’Etiopia a bordo di tre Ape, col progetto Il mondo al rallentatore. Il regno incontrastato della Vespa durò un decennio, poi gli Italiani, grazie al boom economico, cominciarono a sognare le vacanze al mare. La Fiat propone loro la Seicento, presentata a
Ginevra nel 1955. Ma per qualche misteriosa ragione, a distanza di decenni, gli appassionati di viaggi gli preferiranno la super utilitaria Fiat 500, messa in vendita per la prima volta nel 1957, sessant’anni fa. Uno dei più grandi viaggiatori in Cinquecento è stato un altro nostro collaboratore, Danilo Elia: nel 2005 con una «500 R» del 1973 ha percorso sedicimila chilometri a una media di trenta all’ora attraverso mezza Europa, la steppa del Kazakistan e la taiga della Siberia fino a Vladivostok (La bizzarra impresa – In Fiat 500 da Bari a Pechino, CDA & Vivalda 2006). E nel 2007, con lo stesso mezzo, Elia ha compiuto il periplo del Mediterraneo (Intorno al mare. Tunisia, Libia, Egitto, Giordania, Siria, Turchia in 500, Hoepli 2014). Certo, per percorrere lunghe distanze con una Vespa o una Cinquecento ci vogliono coraggio, spirito di avventura, una briciola di pazzia. Ma ci sono anche molte buone ragioni per questa scelta apparentemente irrazionale. Per cominciare questi curiosi veicoli attirano l’attenzione dei media e quindi rendono più facile trovare sponsor, anche solo per coprire le spese. Durante il viaggio poi sono meno esposti ai guasti perché privi di componenti elettroniche («In un’automobile tutto quello che non c’è non si può rompere», sosteneva Henry Ford)
e al bisogno la loro meccanica intuitiva consente riparazioni di fortuna da parte di meccanici del posto, senza attendere pezzi di ricambio. Infine attirano l’attenzione dei locali, li incoraggiano ad accostarsi spontaneamente ai viaggiatori. L’ispirazione per questi viaggi è nata regolarmente dal basso. Solo quando si accorsero del successo le aziende produttrici concessero supporto tecnico e qualche sponsorizzazione. Del resto andò così anche nel caso più famoso, il furgone Volkswagen, che gli Inglesi chiamano Combi e i Tedeschi Bulli. Incontriamo di nuovo una storia curiosa (e un anniversario). Nel 1947 nessuno ancora sapeva cosa fare dell’auto del popolo (Volkswagen) fortemente voluta da Adolf Hitler, il celebre «maggiolino». In quell’anno si cominciò a pensare a un furgone multiuso, il Transporter, costruito utilizzando lo stesso motore. Come nel caso dell’Ape, il Bulli fu dapprima usato da contadini e artigiani. Ma negli anni Sessanta alcune versioni bicolori col tetto apribile furono adottate dai surfer californiani. E dopo la celebre Summer of Love di San Francisco del 1967, molti giovani provenienti da tutto il mondo guidarono i loro Combi verso oriente lungo l’Hippie Trail, attraverso Turchia, Iran, Afghanistan, Pakistan, India e Nepal: il viaggio più grande.
Le nostre speranze abitano lontane, si nascondono immobili dietro il filo dell’orizzonte. Per questo chi cerca un nuovo inizio deve partire. Può essere un viaggio interminabile, alla fine del mondo, come quello intrapreso da Paul Gauguin nel 1891 verso i colori e la primitiva purezza di Tahiti; oppure il viaggio del diciassettenne Fernando Pessoa per tornare dal Sudafrica a Lisbona nel 1905, solo, pronto ad ascoltare la folla di voci che abitava in lui; ancora la fuga dal nazismo di Albert Einstein attraverso l’Atlantico; infine la traversata degli Stati Uniti in auto compiuta da Joni Mitchell nel 1976, per lasciarsi alle spalle il disincanto di un amore finito. In altre vite invece per varcare quella soglia basta poco, anche solo attraversare Parigi sull’autobus n. 80 per rispondere a un’offerta di lavoro letta sul giornale, come accade un giorno di agosto del 1961 al giovane Robert Luchini, figlio di immigrati italiani, con un negozio di frutta e verdura; alla fine di quel minimo viaggio lo aspettava un lavoro umile presso un elegante parrucchiere per signora vicino agli Champs-Élysées, il nome d’arte di Fabrice, dei corsi di recitazione, una luminosa carriera di attore cinematografico e teatrale… Bibliografia
Federico Pace, Controvento. Storie e viaggi che cambiano la vita, Einaudi, 2017, pp. 178, € 14.00.
M Migros Ticino favorisce la biodiversità Do it + Garden Losone L’area verde della filiale
è ora una preziosa oasi naturale
La Fondazione Natura & Economia è un’ente riconosciuto a livello nazionale. Promuove la pianificazione e la gestione rispettosa della natura in aree aziendali e ha recentemente conferito a Migros Ticino un attestato che certifica l’esemplare gestione naturalistica degli spazi verdi esterni alla filiale Do it + Garden di Losone. L’area è costituita da un mosaico di diversi luoghi naturali allestiti in piena armonia con l’ambiente. Vi spicca il vasto campo a nord, in cui ritroviamo zone a prato secco, radure con poche piante basse e parti di vegetazione più alta su suolo maggiormente fertile. In questo prato è stato posato un albergo per api selvatiche e sono stati disposti mucchi di sassi e legna per ospitare molte altre specie
animali. Sul lato opposto, in direzione di Losone, sono stati invece piantati diversi cespugli indigeni, che in primavera offrono belle fioriture e in autunno portano bacche interessanti per gli uccelli. Gli spazi allestiti in armonia con la natura sono di grande importanza per Migros Ticino, che si impegnerà anche in futuro per favorire la biodiversità autoctona e la sostenibilità ecologica della regione in cui opera: uno sguardo nel verde o una passeggiata nella natura migliorano lo stato d’animo e la qualità di vita!
Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 10 luglio 2017 • N. 28
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Ambiente e Benessere
Una collezione speciale di foglie a cuore
Mondoverde La Hosta è una pianta che richiede poche cure e non tradisce mai le attese stagionali
Anita Negretti Lidia, la mia vicina di casa, ha ottant’anni (ben portati) e uno splendido vaso di terracotta che ospita un grosso cespo di Hosta. Una pianta che si mostra con grandi foglie cuoriformi dalle nervature ben marcate che spuntano rigogliose ogni primavera. Basta lasciarla in piena ombra perché non pretende nulla di speciale, se non un poco di acqua durante le estati più calde. Il vaso di Lidia da più di quindici anni mi osserva indisturbato, rispettando le stagioni: nuovi germogli appena l’aria si fa tiepida in marzo, fogliolone per tutta l’estate, colori giallo oro in autunno e riposo completo della pianta in inverno, visto che nei mesi freddi questa erbacea perenne scompare completamente lasciando il vaso spoglio. Io, come ogni amante del verde, mi innamoro un giorno sì e l’altro pure di una nuova pianta e dopo tanti sguardi verso quella ciotola di Hosta, ho deciso di regalarmene non una, ma ben una collezione da mettere in giardino. Ho scelto, ho comperato, ho pagato, e mi sono messa ad attendere le mie piantine in arrivo direttamente dall’Olanda. Le ho poi trapiantate in un’aiuola all’ombra, sfruttando uno spazio che ho sempre qualche difficoltà a decorare, in quanto non trovo facilmente piante che ben si adattano alla scarsità
di sole. Aggiungendo terreno soffice, ricco di compost e tenendole ben bagnate sono diventate sempre più belle. A primavera sono spuntate le grandi foglie ovate di una Hosta fortunei, alta intorno ai 70 cm, di un bel verde grigiastro e accanto vi ho posato due sue varietà: la «Aureomarginata» con margini delle foglie dorati e la «Albomarginata» con bordi bianco-crema. A una cinquantina di centimetri, per permettere un buono sviluppo sia del cespo sia delle radici, ho trapiantato invece due Hosta glauca, sinonimo di H. sieboldiana, anch’essa originaria del Giappone, ma più compatta della H. fortunei. Alta 50 cm, forma un cespuglio di foglie verde-azzurro con una lanuggine vistosa quando le foglie sono giovani. Il colore verde-azzurro viene ripreso anche nella varietà «Elegans», che le cresce accanto, mentre per spezzare la tonalità, ho piantato a lato H. sieboldiana «Frances Williams», dai margini delle foglie irregolarmente dorati e sfumati di verde. L’ho subito fornita di cartellino con ben indicato il suo nome, e ho scoperto così che il nome di questa varietà è quella del suo ibridatore che l’ha creata negli anni Trenta del secolo scorso. La mia collezione prosegue con un esemplare di Hosta crispula, dalle foglie con margini bianco latte e dalla
lunga punta ricurva, che ho messo in una posizione leggermente più soleggiata per far sì che la colorazione bianca del fogliame venga mantenuta viva, e da alcune hoste della specie longissima. Queste ultime le ho posizionate davanti alle altre, visto che sono più contenute in altezza, raggiungendo solo i venti cm con le foglie molto strette (non più larghe di 2-3 cm, ma lunghe fino a 20 cm). A causa della dimensione che arriva quasi al metro, ho piantato invece dietro a tutte le altre, tre piante di Hosta ventricosa, (H. caerulea) originaria dell’Asia orientale dalle foglie grandi e glauche. Felice dello sviluppo delle mie hosta, ora che siamo giunti in estate, mi posso godere i lunghi steli verdi che si ergono dalle foglie: una volta aperti mi regaleranno belle e profumate fioriture per lunghe settimane. In maggio-giugno sono sbocciate le H. sieboldiana, con fiori bianchi e macchie porpora, mentre la varietà «Elegans» porta fiori rosa-lilla; in contemporanea si sono aperti i fiori color malva di H. ventricosa. Dai toni lilla sono i fiori di H. fortunei, e sbocciano proprio ora (sul finire di giugno e per tutto luglio) profumando l’aiuola del mio giardino. In autunno le foglie diventano giallo dorato, illuminando il terreno sotto al tasso che le protegge dal sole e
Hosta Grand Tiara. (Andy Mabbett)
trascorrono l’inverno in attesa della primavera. Passano le settimane, tornano le giornate tiepide ed io mi riprometto di andare al più presto in giardino per controllare le mie hoste, prima dell’attacco delle loro più golose nemiche: le lumache, vere ghiottone dei loro teneri germogli fogliari. Rimando di qualche giorno e quando vado a trovarle armata di sotto-
vasi colmi di birra per una caccia alcolica alle lumache ecco l’orribile scoperta: un vero banchetto fatto dalle voraci chiocciole a scapito delle belle foglie che ora sono tutte bucherellate: dovrò tenermele così per tutto l’anno. Meno male che posso consolarmi con il vaso di hosta di Lidia: perfetto e con le foglie tutte intere, grazie alle attenzioni anti lumache della mia vicina di casa. Annuncio pubblicitario
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Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 10 luglio 2017 • N. 28
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Ambiente e Benessere
Quando la natura può creare un merletto
quellecheiltombolo.blogspot.ch
Alberi La foglia è una superficie molto... trafficata
Alessandro Focarile, testo e foto Si può parlare di superfici trafficate, quando si parla di foglie, perché sono vere e proprie piste di atterraggio per molti insetti. Una foglia è sede di un’efficiente industria chimica preposta all’elaborazione della fotosintesi, che trasforma l’energia del sole in energia chimica grazie alla clorofilla che presiede ai processi della fotosintesi. Questa importante industria chimica è installata nei canali navigabili costituiti dalle principali nervature, una struttura rigida e ricca di cellulosa: un fitto intreccio di vie di comunicazione, che si irradiano dai centri operativi fino alle più lontane plaghe della foglia, apportando energie vitali.
Il sistema vascolare dei vegetali è molto complesso e può estendersi, dalla radice alla foglia, anche per centinaia di chilometri La foglia produce materiale da costruzione per i coleotteri sigarai, e per una piccola vespa che ricava dalle foglie frammenti perfettamente circolari per approntare il nido: un deposito di cibo che nutrirà, durante diversi mesi, il loro unico figlio (o figlia), poiché la madre deposita un solo uovo, dal quale nascerà l’adulto. La foglia offre nutrimento per le larve (bruchi) degli insetti «minatori», come nel caso della farfallina Cameraria ohridella sull’ippocastano (v. «Azione» del 11 maggio 2015), dove scava le sue gallerie di alimentazione tra le due facce della foglia stessa. Le nervature delle foglie, rigide strutture di sostegno, sono veri e propri canali di adduzione e trasmissione che veicolano fluidi. Si tratta di acqua, sostanze minerali e organiche nutritive,
ma anche componenti tossici (alcaloidi), che risultano assenti nel resto della foglia. Tipico è il caso di una coccinella (Subcoccinella con ventiquattro punti sulle elitre), la quale erode le foglie unicamente al di fuori delle nervature, non essendo una vorace predatrice di afidi (pidocchi delle piante) e creando un artistico merletto. Il sistema vascolare dei vegetali è molto complesso, e tecnicamente razionale. Esso ha inizio dalle radici, il cui sviluppo si può estendere per centinaia di chilometri (sì, chilometri!) attraverso i capillari delle radicelle. Qui, l’acqua è ottenuta dal suolo e continua il suo percorso attraverso un vasto reticolo che la distribuisce in tutte le parti della pianta. Questo capillare sistema idraulico termina nelle foglie, che possono rilasciare l’acqua in eccesso attraverso la traspirazione. È ben nota la ventaglina (Alchemilla), la quale di primo mattino esibisce le foglie imperlate di minuscole goccioline d’acqua. La foglia è un complesso edificio costruito con le proteine, i carboidrati, le vitamine, i sali minerali. Non contiene soltanto sostanze nutritive, ma anche sostanze tossiche, che possono rendersi repulsive per gli erbivori vertebrati, lumache e insetti. Ciò senza dimenticare che molti animali sono in grado di metabolizzare il contenuto tossico, sottraendo quindi la possibilità di alimentazione a eventuali concorrenti. Le foglie hanno una superficie enormemente variabile. Quelle della minuscola azalea delle Alpi (Loiseleuria procumbens) hanno una superficie di pochi millimetri. Esse sfidano le rigide condizioni climatiche dell’alta montagna, fino a 3500 metri sulle Alpi. Per contro, le foglie della Gunnera del sud America, sebbene si tratti di una pianta erbacea, presentano dimensioni gigantesche, fino a tre metri di diametro. Anche le foglie del banano (altra pianta erbacea) possono raggiungere tre metri di lunghezza.
La Victoria regia, della stessa famiglia delle ninfee, è una imponente pianta acquatica, che galleggia sui grandi fiumi del Sud America. Le sue foglie,
perfettamente circolari e ampie fino a un metro di diametro, sono provviste di un alto bordo rilevato e di robuste nervature. Galleggiando, esse possono sostenere il peso di un neonato! Quanto dura lo stormire delle foglie sugli alberi? Alle nostre latitudini, tutte le latifoglie (compresi i larici – v. «Azione» n° 49 del 5 dicembre 2016) perdono le loro foglie al termine della bella stagione. Pini, abeti, agrifogli (Ilex) dopo 2-3 anni. L’edera, una sempreverde che può assumere dimensioni arboree, perde soltanto qualche rara foglia ogni anno. L’araucaria, una bella e insolita conifera delle regioni tempe-
Foglie di lampone (Rubus idaeus) erose dal coleottero Byturus fumatus.
Foglie di sorbo (Sorbus aucuparia) erose dal coleottero Polydrusus cervinus.
Foglie di ontano erose dal coleottero Chrysomela aenea.
rate dell’America meridionale, presente talvolta anche nei nostri giardini, le perde dopo circa 30 anni di età. Alla fine dell’autunno, e durante alcune settimane, alle nostre latitudini il bosco si trasforma in una tavolozza di caldi colori: dal giallo al marrone e al rosso in tutte le tonalità. Il sole, già basso sull’orizzonte, accentua la brillantezza di questi cromatismi. Al suolo ha inizio la trasformazione delle foglie, in quanto il bosco ha bisogno di
riposare, liberandosi di strutture non più necessarie per la sua vita. Batteri, micro-funghi iniziano complessi meccanismi di trasformazione e di demolizione della materia prima vivente, e che hanno quale ultima finalità la formazione di un fertile humus: espressione della continuità della vita. Successivamente, e anche sotto la neve, un imponente esercito di invertebrati (principalmente insetti, collemboli e acari oribatei) contribuisce allo sviluppo di questi processi dinamici e più o meno lenti nel tempo. Una foglia di pioppo scompare totalmente nel corso di un anno, in quanto il reticolo delle sue nervature è molto debole. Per contro, una foglia di castagno ha bisogno di 4-5 anni, in quanto è ricca di tannino che prolunga la sua vita. Le foglie perdono lentamente il loro aspetto iniziale, scompare la clorofilla, il cui verde ha caratterizzato il bosco durante diversi mesi. Viene spesso messo in risalto il loro fitto reticolo di nervature, fino ad assumere l’aspetto di delicati e fantasiosi merletti (foto). Durante la loro alimentazione, molti insetti (bruchi, larve, e adulti) producono una scelta selettiva delle foglie. Questa prerogativa ha un’origine chimica, in quanto non tutta la superficie ha uguali caratteristiche e qualità ai fini alimentari. Si può creare quindi un artistico continuum di vuoti e di pieni. Un’opera d’arte della Natura, ripresa per imitazione da intraprendenti donne fin dai primordi delle civilizzazioni umane. «La foglia è uno dei più complessi laboratori di sintesi che si possano immaginare» (Viola, 1975). Bibliografia
Severino Viola, Piante medicinali e velenose della flora italiana, Edizioni Artistiche Maestretti (Milano), 1975, 270 pp. Frits Warmolt Went, Les Plantes, Life (New York), 1968, 193 pp.
Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 10 luglio 2017 • N. 28
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Ambiente e Benessere Migusto La ricetta della settimana
Pasta con lingue di zucchina Primo piatto Ingredienti per 4 persone: 300 g di tagliatelle verdi · 4 zucchine piccole di ca. 150 g
migusto.migros.ch/it/ricette Per diventare membro di Migusto non ci sono tasse d’iscrizione. Chiunque può farne parte, a condizione che un membro della sua famiglia possieda una Carta Cumulus.
l’una · 2 cucchiai di olio di oliva · 1 spicchio d’aglio · 4 dl di panna semigrassa · 150 g di olive verdi snocciolate · 20 g di crescione · mezzo mazzetto di erbe aromatiche miste (es. basilico, prezzemolo ed erba cipollina) · 2 formaggi freschi di capra di ca. 80 g · sale · pepe. Lessate la pasta al dente in abbondante acqua salata. Scolate e fate sgocciolare la pasta. Con un pelapatate, tagliate le zucchine in lingue sottili. Scaldate l’olio e rosolatele a fuoco medio. Aggiungete l’aglio schiacciato e fatelo rosolare brevemente con le zucchine. Aggiungete la panna e fatela ridurre brevemente. Tritate finemente le olive, il crescione e le erbe. Passate i due formaggi nel trito e mescolate ciò che resta del trito con le zucchine. Unite la pasta alle zucchine, mescolate e regolate di sale e pepe. Servite la pasta con mezzo formaggino di capra.
Preparazione: circa 25 minuti. Per persona: 20 g di proteine, 37 g di grassi, 65 g di carboidrati, 720 kcal/2950 kj.
La Nutrizionista Rubrica online Solo nell’edizione online, www. azione.ch, la rubrica mensile dedicata all’alimentazione. La cura Laura Botticelli, dietista ASDD, che risponderà alle domande dei lettori.
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La sacra racchetta di Roger Federer Non guardano la tv, ma in cuor loro si attendono un altro trofeo, e un altro titolo da festeggiare (N. 26 - ... sono più alti di circa sei centimetri) Alcide Bernasconi
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Il postino suona più di due volte, a casa di Roger Federer. Anzi, non suona neppure una volta. Ci pensano le donne giovani e anziane. Le giovanissime pure. Tanto c’è il computer e si fa in un attimo per rispondere. Mentre scriviamo un po’ tutti stanno trepidando. Il tennista svizzero è ancora a caccia di record alla sua età. E in fondo il popolo della racchetta sa che può dire ancora la sua.
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(N. 27 - ... un pezzetto di gesso) Roger Federer 1 2 mentre si intrattiene con 7 alcuni suoi fans. (Keystone)
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S U V I N O N. 22 MEDIO A G I P E R 10 11 12 6 O Ntimidamente A 2 O qualZ sue colleghe dai4capelli biondi e mosva. E non saranno facili quelle che lo duro, giocando fino a chissà quando, Zche solleva ancora 14 aspettano.13Dopo aver fatto impazzire almeno fin quando gli va di scendere in che remora, ma il pubblico femminile5 si. Ma lo 6 sanno ancora di più le nonne Inon gliele L manda A R I che pregano per1il magnifico, sostenute mezzo mondo imponendosi in Austra- campo, ne vedremo ancora delle belle. a dire.E 19 grandi 20 critilia, infatti, ecco 15 il nostro alle prese16 con 17 Intanto18anche i più A noi, del resto, piace vedere quan- dalla forza della devozione. Donna Mi7 pure lei. A eU P l’avversaL E 3 Tchelle,Tun giorno, R 5O avversari che hanno il dente avvelena- ci della racchetta, di fronte ai risultati do vince stringe alle spalle pregherà to: Nadal,21 Diokovic, Murray non sono 24dell’elvetico si sono ravveduti. Chi lo rio che risponde con un mezzo sorriso: Nell’attesa, un architetto di grido 22 23 25 disposti a subire un altro smacco. aveva criticato, perché non se ne può C chissà se unD giornoI ce la farà anche ad abbozzare O lui? R 4 Eha9iniziato G S il disegno di Donna lo sa benissimo. fare a29meno – mai30dimenticando i moRaggiungere la caratura di Roger, una chiesina con tanto di rete a metà. 26 Michelle 27 28 Per questo mi telefona più volte di que- menti più bui dello svizzero, che non U per chiunque M I voglia D tentare E3 la scalata A LForseAlo desideraSpure il pastore che sti tempi, preoccupata: «Non te la prensono stati molti però – ora stravede per del successo sarà in ogni caso un’imvedrà riempirsi il suo territorio in un 31 32 33 34 dere se andasse male». Ci sono ancora quello che è ritenuto il più grande cam- PpresaO durissima, forse impossibile. Lo T E R E Abattibaleno. I 1 Michelle ov4 R 7 SCon Donna tanti titoli in palio e se Federer tiene pione di sempre. Non manca qualcuno sa Donna Michelle e lo sanno tutte le viamente in prima fila. 35 36 A Giochi N O M A- Luglio L 42017 O6 E T A per “Azione” Stefania Sargentini Vinci una delle 3 carte regalo da 50 franchi con il cruciverba 1 8 e delle regalo (N. una 25 - ... nuovo gas2 checarte chiamarono Montgolda er) 50 franchi con il sudoku (N. 28 - “Non preoccuparti, morirà di solitudine”) 5 9 1 8 6 1
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Sudoku E SO C NF N I AO C C H P N R E G O N. 23E DIFFICILE S C H I A V E I R 10 11 12 Soluzione: O CN O CR UE O R P A3 S IR E M A Scoprire i3 O 16 numeri O corretti O OAnelleR T V GEN OT M R I A P E daT inserire 2 7 P N O T O 18 caselle colorate. G E S UT E O LT R O I A M U R 7 6 1 3 E P I F I S I 20 21 M O R I R E L EC A OR L I AT 9 23 24 V A´ G L SUDOKU I OPER AZIONE M -ALUGLIO D 2017 E (N. 26 - ... sono più alti di circa sei centimetri) N. 21 FACILE 26 27 28 5 2 8 1 Schema Soluzione A N N I S P A G O L ` ` S O N N O P I U M A 3 6 4 9 8 7 2 6 4 8 6 1 31 L T EIL I D RA I U N R O G A T D I 7 5 2 4 1 6 8 5 C2 6R A 9I C I A L I 34 35 6 M3 6 N1 8I 9 E5 3T 4 NA A8 P S9 V3M O 4 S 7A S RI S 1 6 4 3 9 5 7 37 G6 R E T A 5 I 2C E O 1 4 68 8E 9 A N I C E T 2 A3 7S 1 S 2 3 6 S N9 I R I S 8 9 5 2 T I 3M O E I 3 8 89 5 7 29 4 3 23. Rischiare 10
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Il marito alla moglie: «Cara è da un po’ di tempo che mi frulla un’idea in testa!» Trova la risposta della moglie leggendo, a soluzione ultimata, le lettere nelle caselle evidenziate. (Frase: 3, 12, 6, 2, 10)
ORIZZONTALI 1. Un parente 5. Parola di cortesia che offre 9. Personaggio fiabesco 10. Riccardo I lo era di Leone 11. Il regista Avati (iniz.) 13. In italiano e in tedesco 14. Ci sono anche quelli temperati 16. Succhia nei calici 17. Tutt’altro che luminosi 18. Fiume della Manciuria 19. La pistola del Far West 20. Estinguersi 22. Esame accurato che precede una scelta 24. Fatto, fabbricato 25. Cicli di stagioni 26. Può esser fatto di 19 verticale 29. Un anagramma di già 30. Catena montuosa della Turchia meridionale 31. Preposizione 32. L’attore Preziosi (iniz.) 33. Il terzo mese francese 34. Negazione russa 36. Pianta aromatica 37. Imposte che non si aprono...
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La devozione dei fan di Roger Federer è tale che qualcuno parrebbe si stia già affidando alla preghiera I campi verdi di Wimbledon sono ormai da tempo il suo giardino. Tornato in grande forma alle competizioni, dopo una stagione di pausa, promette ancora di dare belle emozioni. Molti dubitavano che avesse la forza, lo spirito e una gran voglia di tornare a imporsi, di vincere ancora uno slam, per sorprendere. Anche se stesso, cosa che è puntualmente avvenuta. Donna Michelle ritiene di essere la sua più grande tifosa luganese – dubitiamo però che sia la sola a potersi fregiare di questo titolo. L’affetto che in molti e moltissime provano per il nostro non dovrebbe essere misurato singolarmente, perché prende sempre più forza quando viene sommato a quello di tutti gli altri. Di prova in pro-
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N. 23 DIFFICILE I premi, cinque carte regalo Migros (N. Partecipazione online: inserire luzione, corredata da nome, cognome, è possibile un pagamento in contanti 28 - “Non preoccuparti, morirà ladi solitudine”) 3 9 5 1 5 2 4 6 7 3 8 8 del valore di 50 franchi, saranno sor- soluzione del cruciverba o del sudoku indirizzo, email del partecipante deve9 dei premi. I vincitori saranno avvertiti 1 2 3 4 5 6 7 8 7N Na «Redazione 3 8 Il2 nome 7 5dei 9vincitori 6 4 sarà 1 teggiati tra i partecipanti che avranno nell’apposito formulario pubblicato essere spedita N 2O O P 1RAzione, E G Oper iscritto. 10 11 12 fatto pervenire la soluzione corretta 9 sulla pagina del sito. Concorsi, C.P. 6315, 6901 Lugano». pubblicato su «Azione». Partecipazione 2 9 4 8 7 7O 6R 1C 3O C U O R P A 4 7 6 1 3 8 2 9 5 entro il venerdì seguente la pubblica- 13 Partecipazione postale: la lettera o Non si intratterrà corrispondenza sui riservata esclusivamente a lettori che 14 15 16 9T O Le vieVlegali 1 5 7 2 3 8 4 E sono T Rescluse. I Non A P risiedono E 6 9in Svizzera. zione del gioco. la cartolina postale che riporti la so- concorsi. 17 18 O T E T R I A M U R 5 2 8 1 7 5 2 8 4 9 3 1 6 7
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Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 10 luglio 2017 • N. 28
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Politica e Economia L’India di Narendra Modi Oltre ad aver ribadito l’intenzione a voler lavorare a stretto contatto con gli Stati Uniti, l’India mira ad assumere una leadership regionale allontanando il subcontinente indiano da una dimensione troppo sinocentrica
Svizzera-UE, calma piatta Nonostante in aprile sia stato annunciato lo sblocco dei negoziati, nulla per ora si è mosso – una panoramica delle questioni aperte
Canoni d’acqua ridotti Il Consiglio federale vuole abbassare i canoni d’acqua per salvare le aziende idroelettriche
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Kim Jong-Un esultante dopo il lancio del missile avvenuto il 4 luglio scorso. (AFP)
Asse Mosca-Pechino contro Trump Crisi coreana Il surriscaldarsi dell’atmosfera strategica, dopo il riuscito lancio del missile intercontinentale,
ha l’effetto di rinsaldare l’intesa tattica fra Putin e Xi contrari ad adottare nuove sanzioni Onu contro Pyongyang
Lucio Caracciolo Per la prima volta nella storia gli Stati Uniti sono potenzialmente sotto tiro di una potenza atomica imprevedibile, in grado di distruggere una metropoli americana. Il riuscito lancio di prova di un missile intercontinentale nordcoreano, il 4 luglio, capace di raggiungere il territorio dell’Alaska, ha aperto questo cupo scenario. Accompagnato da un sinistro messaggio del dittatore locale, Kim Jong-un, nel quale si festeggiava il «dono» fatto al popolo americano in occasione dell’Independence Day. Secondo alcuni esperti, la possibilità che Pyongyang si doti di un missile balistico capace di colpire New York non è più remota. Al di là delle dispute tecniche, siamo entrati in una nuova fase strategica, nella quale le antiche categorie della deterrenza nucleare risultano obsolete. La novità è che stavolta di fronte agli Stati Uniti non si situa una superpotenza nemica ma omologa, dunque prevedibile, quale l’Unione Sovietica, ma un paese semisconosciuto, i cui codici strategici non sono espliciti né facilmente divinabili. Indipendentemente
dalla volontà dei protagonisti, il rischio di guerra non voluta, scatenata per accidente o per una percezione sbagliata delle intenzioni altrui, è piuttosto concreto. La guerra non sarà dietro l’angolo, ma i pesi e i contrappesi militari disegnano un piano inclinato che porta allo scontro, probabilmente atomico, fra Corea del Nord e Stati Uniti, con la loro corona di alleati regionali e globali. Gli effetti di questo conflitto sarebbero comunque devastanti sotto il profilo umano e ambientale. E salvo l’obliterazione della Corea del Nord, sono del tutto imprevedibili. Ciò paradossalmente aumenta, anziché contenere, le probabilità che la guerra di Corea, sospesa dal 1953, possa riprendere su scala moltiplicata. Rinnovando la memoria del generale McArthur, che fu destituito dall’allora presidente Truman perché proponeva di lanciare bombe atomiche sui comunisti nordcoreani. La partita coinvolge tutte le maggiori potenze della regione e del pianeta. Lo scontro principale è fra Stati Uniti e Cina. Trump ha messo in chiaro con Xi Jinping che si attende da lui una pressione tale sulla Corea del Nord da
costringerla a rinunciare al programma atomico militare. Il presidente cinese non può accontentarlo, ammesso che lo voglia. Il regime di Pyongyang considera il suo arsenale nucleare in sviluppo una polizza di assicurazione sulla vita e insieme un fattore irrinunciabile di legittimazione interna. Per togliere alla Corea del Nord l’arma di ricatto atomica occorre quindi un colpo di Stato o la sconfitta in guerra del Paese. La prima ipotesi, già esplorata, appare improbabile data l’impenetrabilità del regime. La seconda implica costi formidabili e non quantificabili. Dal punto di vista cinese, l’obiettivo ideale è tenere in piedi la Corea del Nord – magari con un regime meno ossessionato dalla Bomba – perché in caso di collasso e quindi di annessione alla Corea del Sud Pechino si troverebbe con le truppe americane, oggi stanziate nelle basi meridionali della penisola, a ridosso della propria frontiera. Inoltre, la diffidenza se non l’ostilità reciproca, mascherata sotto i panni di un’alleanza solo formale, limita l’influenza cinese a Pyongyang, dove questa viene vista come tendente
ad assimilare il Paese inventato da Kim Il-sung al modello di capitalismo autoritario sperimentato con successo dalla Repubblica Popolare. Non sarà dunque Pechino a trar fuori le castagne dal fuoco per conto di Washington. A complicare l’equazione, lo schieramento regionale. Anzitutto, la Corea del Sud, candidata a essere la prima vittima dell’eventuale conflitto Pyongyang-Washington. La capitale Seul è sotto tiro dell’artiglieria nordcoreana, come una restante metà del Paese. In teoria i nordcoreani potrebbero distruggere la metropoli sudcoreana senza nemmeno ricorrere all’arma atomica. Allo stesso tempo, un attacco di tal genere provocherebbe quasi certamente la rappresaglia atomica statunitense. Si spiega così perché a Seul la parola d’ordine sia giocare la carta diplomatica, a partire dal negoziato diretto con i cugini settentrionali, malgrado lo scetticismo americano. Ma la Corea del Sud diffida anche del Giappone, nemico storico della nazione, tanto che le sue simulazioni di guerra prevedono lo scontro con Tokyo più di quello con Pyongyang. L’arcipe-
lago nipponico è comunque nel mirino nordcoreano, come confermano i test missilistici del regime di Kim Jongun, condotti verso le acque del Mar del Giappone (Mare dell’Est secondo i coreani d’ogni colore). Il surriscaldarsi dell’atmosfera strategica attorno alla penisola coreana ha infine l’effetto di rinsaldare l’intesa tattica Russia-Cina. Putin e Xi Jinping hanno concordato di allinearsi sull’approccio politico-diplomatico, ovvero sull’inasprimento delle sanzioni e della retorica contro Pyongyang, ma senza ventilare nuove sanzioni o ipotesi belliche. Così marcando le distanze dagli Stati Uniti, come ormai su tutti i principali dossier economici e geopolitici. Sono ormai molti mesi che nei laboratori strategici di Washington si studiano e si perfezionano i piani per una guerra preventiva contro la Corea del Nord. Non più solo normale precauzione. La guerra è perfettamente evitabile, ma troppe volte nella storia le pianificazioni più minuziose sono saltate per caso o per incidente. Nulla ci assicura che non possa succedere anche in Corea.
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Politica e Economia
Le ambizioni di Modi
India L’intesa suggellata dall’abbraccio fra il premier indiano e il presidente Trump mira a sconfiggere il terrorismo
internazionale e a fare fronte comune nei confronti del Pakistan e della Cina con i quali sono ai ferri corti
Narendra Modi è di nuovo in viaggio e, come sempre, i suoi viaggi fanno versare al resto del mondo, ma soprattutto ai paesi vicini, fiumi di inchiostro. A ovest i commenti riguardano principalmente il solito folklore che sembra ormai impossibile scrollarsi di dosso quando si parla dell’India. Più a est, i toni si fanno invece sempre più accesi per diversi motivi. La cronaca narra dell’incontro tra Modi e Donald Trump: preceduto da uno scambio di tweet molto più che cortesi, e immortalato dall’ormai storico abbraccio «da orso» tra i due. Sempre per la cronaca, Washington ha approvato la vendita all’India di droni per la sorveglianza navale e di aerei C-17 e ha messo in cantiere una grossa esercitazione militare a tre, India-UsaGiappone nella Baia del Bengala. Sono stati firmati altri trattati di natura commerciale e Trump ha accettato l’invito di Modi a visitare l’India. Un successo, ma soprattutto un successo di natura diplomatica: perché al netto di tutte le osservazioni di costume e le roboanti dichiarazioni pre e post vertice, restano le dichiarazioni congiunte rilasciate dai due leader e, soprattutto, una mossa a sorpresa di Washington che ha provocato reazioni decisamente scomposte in Pakistan. Qualche ora prima dell’incontro tra Trump e Modi, gli Stati Uniti hanno inserito Syed Salauddin nella lista dei terroristi internazionali. Syed Salauddin, capo dell’Hizb-ul-Mujahidin che opera nel Kashmir indiano, risiede felicemente a Islamabad protetto come da manuale dall’esercito e dalla politica. Non ha mai negato di essere l’organizzatore di attentati e stragi in territorio indiano, anzi: qualche giorno dopo è apparso in TV, su una rete pakistana ovviamente, a ribadire che non ha alcuna intenzione di «smettere di combattere per la libertà del Kashmir». Dopo un paio di giorni di silenzio, Islamabad ha reagito dichiarando che Salauddin non è un terrorista ma un partigiano che lotta per la libertà del suo popolo e che il Pakistan non ha alcuna intenzione di metterlo in galera. Il portavoce degli esteri Nafees Zakaria ha testualmente dichiarato che: «Ogni tentativo di equiparare la pacifica lotta indigena dei kashmiri al terrorismo internazionale, e di etichettare come terroristi gli individui che sostengono il diritto all’autodeterminazione è inaccettabile». Tralasciando i commenti sull’uso dell’aggettivo «pacifico» a proposito di bomb blast e stragi compiute dagli individui in questione, si torna sempre al punto di partenza. Vale, per Islamabad, il principio già più volte applicato nei confronti di Mohammed Hafiz Saeed e compagnia bella: il gentiluomo in questione non ha commesso alcun reato in territorio pakistano, quindi non è colpevole di nulla. Come il succitato Hafiz Seed, come gli Haqqani e come tutti gli altri «terroristi buoni» ospitati in Pakistan. A rincarare la dose, è arrivata la dichiarazione congiunta rilasciata dai due leader: in cui si ribadisce l’intenzione di lavorare a stretto contatto per sconfiggere il terrorismo internazionale e si invita il Pakistan a fare in modo che il suo territorio non faccia da base per gli attacchi terroristici lanciati verso altri paesi. Si invitano inoltre «tutte le nazioni a risolvere pacificamente e in osservanza delle leggi internazionali le dispute territoriali e marittime in corso». Il riferimento alla Cina, con cui sia gli Stati Uniti che l’India sono ai ferri corti per la questione del South China Sea, non è nemmeno tanto velato. E le reazioni di Pechino, a dire la verità piuttosto bizantine, non si sono
fatte attendere. Qualche giorno dopo il «Global Times», quotidiano cinese portavoce del governo, pubblicava difatti un articolo in cui si accusava l’India di aver violato il confine indocinese (non la parte disputata ma quella non soggetta a discussioni) soltanto per mostrare a Donald Trump la determinazione di New Delhi a contrastare la crescita della Cina e in cui Modi veniva dipinto come patetico arrampicatore che cercava di ingraziarsi Washington a ogni costo. Da parte pakistana arrivavano invece i commenti indignati del Ministero degli esteri che definiva la dichiarazione di Modi e Trump «peculiarmente inutile per raggiungere l’obiettivo di ottenere stabilità strategica e pace duratura nel sud dell’Asia. Omettendo di menzionare le fonti principali di tensione e instabilità nella regione, la dichiarazione aggrava una situazione già molto tesa». Il ministro degli Interni Chaudry Nisar rincarava ancora la dose, accusando gli Usa di «falsa» giustizia e di ignorare la tragedia del Kashmir per cui «non valgono le norme internazionali sui diritti umani». Sembra la classica storiella del bue e dell’asino, ma è rimarchevole la faccia tosta o, per usare la frase più «alta» degli analisti locali, lo «state of denial» che affligge ormai cronicamente Islamabad. Modi, intanto, tira dritto per la sua strada. E cerca di bilanciare le concessioni piuttosto impopolari che è stato costretto a fare in patria ai partiti di estrema destra con i successi a livello internazionale. D’altra parte Modi non ha mai nascosto di aver particolarmente a cuore la politica estera e l’economia. Poco dopo il suo insediamento, e non era mai successo prima, le linee guida della politica estera indiana sono state pubblicate a cura del ministero degli Esteri sotto il titolo di «Fast Track Diplomacy». Che in pillole vuol dire attenersi a qualche punto fondamentale che fa da corollario alla linea guida fondamentale di tutta la politica di Modi: «India First». Prima l’India, che mira a rivestire un ruolo di leadership regionale in cui anche i vicini si possano riconoscere. La dottrina Modi, un mix calcolato di vecchie e nuove strategie, tende ad assicurarsi che il subcontinente indiano, e il Far East, rimangano pluralistici e non divengano invece sempre più sino-centrici. In questa direzione vanno gli accordi di cooperazione economica e la creazione di organismi commerciali tra paesi e le relazioni diplomatiche strette con i singoli stati. E in questa direzione l’ipotesi che l’India riesca a sviluppare l’ambizioso piano di assicurare libero mercato a una serie di altri stati del subcontinente indiano come il Nepal (che si sottrae sempre più alla tradizonale influenza indiana per gettarsi in braccia cinesi), lo Sri Lanka e il Bangladesh: nazione da sottrarre, secondo gli indiani, alla nefasta influenza dei servizi segreti pakistani e a tentazioni integraliste e che è stata identificata anni fa da Goldman Sachs come una delle economie cosiddette «N-11» destinate a entrare a far parte del BRIC di futura generazione. In sostanza l’India a questo punto, per usare le parole del molto citato Modi, ambisce a «rivestire, a livello globale, un ruolo di leadership e non più a bilanciare semplicemente i poteri». Dopo gli Stati Uniti, Modi è volato a Israele per incontrare Netanyahu che lo ha accolto quasi trionfalmente: a Israele l’elezione di Modi è stata considerata «un punto di svolta nelle relazioni» tra i due Paesi, e sono pronti alla firma una serie di trattati che spaziano dalla collaborazione in materia di agricoltura a Bollywood, alla collaborazione militare e strategica. Anche
Bimbi indiani nel villaggio di Marora, comunità rurale nello Stato settentrionale di Haryana: ora si chiama Trump Village. (AFP)
questa mossa ha provocato tracolli di bile tra Pakistan e Cina, e anche questa mossa, secondo Modi, è destinata ad accrescere l’importanza dell’India a livello internazionale. Perché se è vero che le relazioni tra India e Stati Uniti sono sempre più strette, e che hanno giocato un ruolo fondamentale fino a questo momento nei complessi equilibri dell’area geopolitica, è vero anche
che gli Stati Uniti sono percepiti, sia in India che in Cina, come «superpotenza in declino» non più in grado di contrastare efficacemente le mire espansionistiche cinesi. Così, Modi gioca su diversi tavoli ribaltando forse per sempre decenni di politica indiana. La vecchia strategia dell’ago della bilancia, del non prendere posizioni definite su questioni genera-
li ma soltanto su singoli problemi, del giocare da libero battitore ma sempre in difesa, sembra essere stata mandata per sempre in soffitta. Ciò che interessa il governo di Narendra Modi è la «global governance» e il prendere definitivamente posto tra quelli che fanno la Storia e la politica e non tra coloro che la subiscono. Non rimane che stare a vedere. Annuncio pubblicitario
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Francesca Marino
Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 10 luglio 2017 • N. 28
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Politica e Economia
Nulla di nuovo sul fronte UE
Politica europea Nonostante in aprile Doris Leuthard e Jean-Claude Juncker abbiano annunciato lo sblocco
dei negoziati bilaterali, per ora non si è mosso nulla – In autunno il Consiglio federale farà un nuovo bilancio
Marzio Rigonalli Le relazioni tra la Svizzera e l’Unione europea procedono a rilento. È il principale risultato emerso dalla conferenza stampa che il Consiglio federale, attraverso il suo ministro degli esteri Didier Burkhalter, ha tenuto sul tema, alla fine di giugno. C’era molta attesa sui possibili progressi che la trattativa in corso avrebbe potuto registrare e sul bilancio che il governo ne avrebbe tratto. Un’attesa giustificata da tre episodi vissuti negli ultimi anni. Ricordiamoli. Il 9 febbraio 2014, l’approvazione dell’iniziativa popolare contro l’immigrazione di massa bloccò il negoziato che era allora in corso tra il nostro paese e l’Unione europea. Il 16 dicembre 2016, l’approvazione della legge d’applicazione del nuovo articolo costituzionale 121a, da parte delle Camere federali, riaprì i canali diplomatici, perché la soluzione trovata non avrebbe violato il principio della libera circolazione delle persone. Il 6 aprile di quest’anno, alla fine di un incontro avvenuto a Bruxelles, la presidente della Confederazione, Doris Leuthard, ed il presidente della Commissione europea, Jean-Claude Juncker, dichiararono pubblicamente che tutti i dossier bilaterali erano stati sbloccati e che, quindi, il negoziato bilaterale poteva riprendere, con la chiara speranza che presto si sarebbero visti dei risultati concreti. L’attesa si rivelò vana. Nella sua
Didier Burkhalter con il suo omologo tedesco Sigmar Gabriel in occasione della visita del nostro ministro degli esteri a Berlino il 30 marzo 2017: i toni con i partner europei sono sempre buoni, ma i risultati si fanno attendere. (Keystone)
conferenza stampa, il Consiglio federale ha ammesso di non poter presentare niente di nuovo e di concreto. Ha sostenuto che la trattativa è in corso e che si orienta in due direzioni parallele. La prima riguarda l’accordo istituzionale, che è sul tavolo da tanti anni. Si tratta di
un accordo, voluto soprattutto dall’Unione europea, che dovrebbe conferire un contesto giuridico a tutti gli accordi bilaterali, quelli presenti e quelli futuri. Un contesto che consenta di tener conto dell’evoluzione del diritto europeo e che definisca il modo in cui debbano
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essere risolti eventuali conflitti d’interpretazione, o di applicazione, dei trattati bilaterali. È una materia delicata, che mette in causa la sovranità nazionale, attraverso le competenze che devono essere attribuite all’autorità giudiziaria, chiamata a giudicare i conflitti. Bruxelles vorrebbe che fosse la Corte di giustizia dell’Unione europea, ma Berna non è d’accordo, perché non vuole che la soluzione di conflitti in cui viene coinvolta, venga assegnata a giudici stranieri. Bisogna trovare un equilibrio tra le competenze attribuite alla Corte europea e la possibilità che la Svizzera abbia voce in capitolo nella ricerca delle soluzioni ai conflitti. Per esempio, attraverso un comitato misto. L’Unione europea punta all’accordo istituzionale e, fin ora, l’ha posto come condizione per poter dare il via libera alla firma di nuovi accordi bilaterali. In Svizzera, la situazione è ben diversa. Già all’interno del Consiglio federale c’è una spaccatura tra chi è favorevole e chi è contrario alla firma di un accordo istituzionale. Tra i partiti politici, è ben nota l’opposizione dell’UDC, pronta a provocare una consultazione popolare, se l’accordo venisse firmato dalla Svizzera e, negli ultimi tempi, l’opposizione si è estesa anche ad una parte degli altri partiti borghesi. La seconda direzione che caratterizza la trattativa in corso dovrebbe portare alla firma di nuovi accordi bilaterali. Numerosi dossier sono aperti. Per esempio quello sull’energia elettrica, voluto per disciplinare il commercio transfrontaliero di energia elettrica, per armonizzare gli standard di sicurezza e per garantire il libero accesso al mercato, nonché la presenza della Svizzera nei diversi organi operanti in questo settore. Sulla trattativa in corso si staglia anche la richiesta dell’Unione europea nei confronti della Svizzera di versare un miliardo di franchi per finanziare nuovi progetti concreti nei paesi dell’Europa centrale ed orientale, al fine di ridurre le disparità economiche e sociali all’interno dell’Unione. Berna non è contraria, ma prima di accettare la richiesta chiede che l’UE faccia qualche gesto concreto nei confronti della Svizzera. Nei prossimi mesi, dunque, non ci saranno nuovi sviluppi. In autunno, il Consiglio federale proporrà un nuovo bilancio sulla trattativa in corso. Sarebbe allora auspicabile che il governo assuma un atteggiamento più attivo e dinamico di quello dimostrato fin ora.
La via bilaterale rimane la via maestra della nostra politica estera in Europa, ma va consolidata e difesa contro chi aspetta soltanto il momento opportuno per aggredirla ed annientarla. A questo punto conviene anche chiederci se fatti interni, od esterni, potranno influire sulla trattativa tra la Svizzera e l’Unione europea. Scegliamo tre eventi: le dimissioni di Didier Burkhalter, l’inizio della trattativa sulla Brexit e l’arrivo all’Eliseo del nuovo presidente francese Emmanuel Macron. Burkhalter lascerà il governo il 31 ottobre prossimo. Il suo successore verrà eletto dall’Assemblea federale il 20 settembre. Al consigliere federale neocastellano è stato rimproverato di non aver avuto successo nella politica europea, in particolare di non aver avuto quel carisma e quella forza di persuasione che sarebbero stati necessari per convincere e guidare i colleghi del Consiglio federale. La critica è fondata, ma Burkhalter ha almeno un’attenuante, quella di essersi trovato di fronte ad una compagine debole e divisa, incapace di seguire una rotta ben definita. Riuscirà il suo successore a ridare slancio alla politica europea in seno al governo e ad impedire che , su questa tematica, sia ancora l’UDC a dettare i tempi ed a scegliere le tematiche? È difficile rispondere, ma dalla rosa dei papabili non sembra emergere qualcuno capace di scuotere la compagine governativa e di darle gli impulsi necessari.
Attuale nodo della discordia, i negoziati su un accordo quadro che dia un contesto giuridico a tutti i Bilaterali L’apertura della trattativa sulla Brexit ha riproposto il tema delle sue possibili ripercussioni sul negoziato tra la Svizzera e l’Unione europea. Una tema sul quale le opinioni sono molto divergenti. Che cosa sarà più favorevole per la Svizzera? Una Brexit forte o un compromesso rispettoso dei diversi interessi in gioco? L’Unione europea riterrà meno urgente il negoziato con la Svizzera? Il primo argomento affrontato nella trattativa tra Londra e Bruxelles, quello del futuro statuto dei 3,3 milioni di cittadini europei, residenti nel Regno Unito, e dell’1,2 milione di cittadini britannici che vivono nell’Unione europea, ha dimostrato che la Svizzera può essere molto interessata alla soluzione che verrà adottata. Sia in vista di un’eventuale modifica dello statuto dei cittadini europei in Svizzera, sia perché dopo la Brexit bisognerà definire la situazione dei 34’000 cittadini svizzeri che vivono nel Regno Unito e dei 39’000 cittadini britannici che vivono in Svizzera. Oggi, questa situazione vien definita dagli accordi bilaterali con l’UE e dalla libera circolazione delle persone che ne deriva. L’arrivo all’Eliseo del presidente Macron, infine, ha ridato slancio all’Europa ed alla coppia franco-tedesca, senza la quale niente d’importante avviene nell’Unione europea. Dopo la sconfitta dei movimenti populisti in Austria ed in Olanda, l’avvento in Francia di un leader europeista, può condurre a sostanziali cambiamenti in Europa, in particolare ad una maggiore integrazione sul piano militare, economico ed anche politico. Questa possibile svolta potrebbe tradursi in una minore disponibilità al compromesso con paesi come la Svizzera, che vogliono far parte del mercato unico e goderne tutti i vantaggi, ma che preferiscono stare lontani da ogni forma d’integrazione.
Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 10 luglio 2017 • N. 28
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Politica e Economia
Capitalismo industriale, finanziario ed Internetcrazia Analisi U na panoramica dell’evoluzione dei sistemi economici:
quale il «valore aggiunto» del futuro?
Lo scorso 1. giugno l’indice dei titoli tecnologici Nasdaq ha segnato un nuovo record. (Keystone)
win-win (cioè di mutuo beneficio), lo stesso settore produttivo dovrà essere Non c’è dubbio che, fra corsi e ricorsi preservato da troppa vacuità di trend (e della storia economica, le Nazioni si dall’instabilità fisiologica connessavi), siano significativamente trasformate, creando le premesse per una «bolla» dai vivendo dapprima il passaggio da sistecaratteri totalmente nuovi. mi economici più strettamente legati Già nel 2000 si assistette allo scopall’agricoltura fino ad altri a carattere pio della cosiddetta dot-com bubble, spiccatamente industriale. Attualmenche si contraddistinse fino a poche sette, è sufficiente soffermarsi sui dati relatimane prima per un incremento del tivi al valore aggiunto (rispetto al PIL), valore delle aziende legate ad Internet cioè sull’incremento valoriale proed ai settori collegati per poi vanificarduttivo rispetto al periodo precedensi (creando gravi disequilibri fra attori te, attribuibili al settore agricolo per economici). Naturalmente, di fronte comprendere quanto grande sia stato al fenomeno odierno ribattezzabile il suo decremento di rilievo (perlome«Internetcrazia», sarebbe difficile stino, numerico) all’interno della produmare un qualche impatto, che anche zione nazionale. Che ciò sia «giusto» un mero ridimensionamento di certi (o meno) non può qui essere indagato, trend tecnologici (oltre che sociali) posebbene aspetti quali salvaguardia del trebbe avere in termini occupazionali territorio grazie all’attività agricola o e, soprattutto, consumistici. Aprendo mantenimento in vita di quel sostrail «baule» delle metafore, l’impressione to culturale connessovi costituiscano è che la società moderna stia «iperactuttora un apporto alla società non cessoriando» una struttura già in gran indifferente (ma spesso non appieno parte funzionante, sebbene abbisogni contemperato nelle principali misure di cure manutentive: l’importante è economiche). non divenire succubi di tali «ritocchiCiò detto, è fuori discussione che ni» e dare loro da subito il giusto valore. Sarebbe anacronistico immaginare Valore aggiunto (rispetto al PIL), in % un mondo, che vada nella direzione opposta di quella ormai «fisiologica», Agricoltura1 Industria2 Manufattura3 Servizi 4 cioè fatta di interconnessione econo 1990 2000 2014 1990 2000 2014 1990 2000 2014 1990 2000 2014 mico-politica e sociale oltre che dagli elevati standard tecnologici: ci si deve, Francia 3,50 2,34 1,73 26,9 23,3 19,6 17,7 15,7 11,1 69,6 74,3 78,7 però, anche rendere conto che molGermania – 1,06 0,78 – 30,9 30,5 – 23,0 23,0 – 68,0 68,7 te delle innovazioni più recenti poco Italia 3,47 2,85 2,16 30,6 27,1 23,4 21,8 19,5 15,5 65,9 70,0 74,5 hanno a che fare con lo scopo ultimo Regno Unito 1,38 0,87 0,68 29,2 25,3 20,1 17,5 14,7 10,2 69,4 73,8 79,2 di un generale miglioramento delle Svizzera 2,3 1,2 0,8 31,3 26,4 25,7 20,7 18,5 18,6 66,5 72,4 73,6 condizioni di vita. Se 1) si fosse effettiUSA – 1,19 1,33 – 23,2 20,7 – 15,5 12,3 – 75,7 78,0 vamente dinnanzi ad una «bolla» e 2) quindi dovesse scoppiare, l’economia 1. http://data.worldbank.org/indicator/NV.AGR.TOTL.ZS 3. http://data.worldbank.org/indicator/NV.IND.MANF.ZS globale dovrebbe affrontare una crisi 2. http://data.worldbank.org/indicator/NV.IND.TOTL.ZS 4. http://data.worldbank.org/indicator/NV.SRV.TETC.ZS dai tratti nuovi. Edoardo Beretta
il grande sviluppo delle economie moderne (che trova il suo approssimativo inizio intorno al 1760 fino al 1820/1840) sia perlopiù attribuibile a meccanizzazione industriale, divisione strutturata del lavoro ed avanzamento tecnico, cioè quei fattori ormai imprescindibili per ogni società moderna. Da tempo, però, è il settore terziario ad avere avuto «la meglio» rispetto ai suoi competitor, presentando non soltanto un’incidenza maggiore in termini di valore aggiunto rispetto al PIL ma anche vigorosi tassi di crescita. Ne è risultata una transizione dal prodotto fisico quale principale forma di output economico ad una prestazione sempre più immateriale. Con essa, quindi, sono cadute quelle certezze ormai «scontate» – ancor più, se a ciò si aggiunge la galoppante provenienza digitalizzata di una parte stessa del valore aggiunto. Basti pensare alle cosiddette IT-companies, cioè aziende a carattere prettamente tecnologico e spesso anche start-up, con il loro focus difficilmente assimilabile alle aziende «tradizionali» (a cui la prevalenza delle generazioni è
stata abituata). Difficilmente si sarebbe potuto immaginare fino a qualche anno fa che si sarebbe potuto contribuire al PIL nazionale mediante «semplici» strumenti quali motori di ricerca, social media o app più svariate. La risposta ancora da individuarsi, però, concerne la direzione nel prossimo futuro, che potrebbe porre la società post-moderna davanti al quesito se la nuovissima tecnologia (ed il relativo immaterialismo del suo risultato economico) non siano in fin dei conti sovrabbondanti ‒ quindi, anche il settore reale poggiante su basi «concrete» (e, perciò, da sempre reputato più solido rispetto alle volatilità di quello finanziario) si stia progressivamente indebolendo, finalizzandosi a valori sempre meno tangibili. Se è arduo reperire risposte certe a questi interrogativi, è altresì probabile che con l’avanzamento tecnologico (magari anche discontinuo) essi si manifestino ancor prima di quanto ipotizzato. All’occorrenza, si dovrà prendere coscienza del fatto che se «progredire» da un punto di vista tecnologico rappresenta perlopiù una situazione
Fra i libri di Paolo A. Dossena MARK THOMPSON, La fine del dibattito pubblico, Feltrinelli, 2017 Chevy Chase è un anziano sostenitore afro-americano di Bernie Sanders, che rappresenta l’ala sinistra del partito democratico. Chase, questo elettore del Maryland, disse all’inglese Mark Thompson che era improbabile che Sanders potesse ottenere la nomination democratica. Al che, il giornalista gli chiese: lei per chi voterebbe nel caso la scelta fosse tra la democratica Hillary Clinton e Donald Trump, rappresentante dell’ala destra e populista del partito repubblicano? Ecco la sua risposta: «Donald Trump sarà anche un pazzo, e forse anche un razzista, ma questo posso accettarlo. Almeno Trump dice quel che pensa. Invece se uno mente di continuo non sai più come porti». Mark Thompson (oggi amministratore delegato del «New York Times» e già direttore generale della BBC) scopre che, per quanto non voglia esagerare il fenomeno, gli inviati dei giornali americani «hanno incontrato ovunque elettori con un’opinione del genere». Il primo messaggio del libro di Mark Thompson è quindi il seguente: attraverso il mondo occidentale c’è una crisi di fiducia nei confronti della politica. Brexit e Trump rappresentano il trionfo di populismo e antipolitica sulla politica tradizionale. «Quando la fiducia nei politici è bassa», continua Thompson, «la presunta autenticità può essere più importante per alcuni cittadini di quasi tutto il resto, posizione politica, affiliazione ideologica, persino dei difetti caratteriali che in altre circostanze li azzopperebbero». Il secondo messaggio di La fine del dibattito pubblico è che la crisi della politica tradizionale è alimentata «dall’erosione del linguaggio della sfera pubblica». Cosa significa tutto questo? Il riferimento è anche all’irruzione dei social media (Facebook, Twitter, eccetera) sulla scena dell’informazione. Che ha effetti dirompenti, propagando fake news (le bufale) con una rapidità impressionante. Ed ecco come il primo problema (il trionfo del populismo) e il secondo (il velocissimo propagarsi delle bufale) sono connessi attraverso «la rabbia di internet»: «il linguaggio dell’odio sfrenato (spesso anonimo) scatenato dalle piattaforme digitali ha danneggiato il discorso pubblico. E impone un nuovo cupo standard all’espressione delle opinioni forti, che alcuni politici e commentatori sono ben lieti di adottare». L’emergere di questa barbarie è tutta colpa dei social media e dei populisti? No. Come già detto, parte dei politici tradizionali si adatta a questo linguaggio barbaro. Altri sono passati alla storia come mentitori. Per esempio, le «armi di distruzione di massa» di Saddam Hussein sono un’invenzione della politica tradizionale (Tony Blair e George W. Bush) che ha permesso l’invasione e la devastazione dell’Iraq. E, alla lunga, della Siria. Chi ha tentato di opporsi alla menzogna dei dossier governativi sull’Iraq, come il dottor Kelly, è morto suicida, «tritato fra le macine del sistema britannico». I politici tradizionali sono quindi sia responsabili sia vittime di un sistema il cui linguaggio si sta imbarbarendo. Siamo alla fine della civiltà? Non è detto. La storia insegna che il linguaggio pubblico, in determinati momenti cruciali, come la guerra civile inglese, è già caduto e risorto dall’abisso della barbarie. Prima o poi, anche se non sappiamo come e quando, risorgerà un nuovo linguaggio della persuasione e della ragionevolezza.
Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 10 luglio 2017 • N. 28
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Politica e Economia
Per salvare le aziende idroelettriche meno soldi ai cantoni
Politica energetica Un decreto del Consiglio federale propone una riduzione temporanea dei canoni d’acqua,
in attesa dell’assetto definitivo della politica sull’elettricità nel 2023 e della strategia energetica nel 2050 Ignazio Bonoli I produttori svizzeri di elettricità stanno vivendo momenti difficili. L’apertura del mercato europeo e la forte concorrenza che vi regna rende la loro produzione più cara di quelle estere. Perfino le preziose produzioni da fonte rinnovabile, come quelle delle aziende idroelettriche, non sono più concorrenziali sul mercato. Per questo i produttori sono giunti a chiedere sovvenzioni allo Stato, sollevando stupore tra il pubblico che non ha seguito l’evoluzione recente di questo mercato.
Oggi i canoni d’acqua fruttano 550 milioni di franchi all’anno, due terzi vanno a Grigioni, Vallese, Ticino e Uri Non meno stupore ha quindi destato la revisione della legge che regola l’utilizzazione delle acque, proposta dalla consigliera federale Doris Leuthard e posta in consultazione dal Consiglio federale. Dopo i 120 milioni di franchi all’anno, per cinque anni, previsti dalla nuova strategia energetica, votata dal popolo lo scorso 21 maggio, molti hanno pensato che questo sarebbe stato l’inizio di tutta una serie di aiuti al settore. La nuova proposta si inserisce in questa linea di condotta e si pensa che non sarà l’ultima. Ora, in attesa di un assetto definitivo – per quanto possibile – della politica energetica, il dipartimento di Doris Leuthard sta proponendo soluzioni temporanee che possano risolvere per qualche anno i problemi creati da fattori internazionali, come la liberalizzazione del mercato, ma anche da situazioni interne, come l’abbandono
La diga del Muttsee, Glarona, la più lunga in Svizzera, il giorno della sua inaugurazione, il 9 settembre 2016. (Keystone)
programmato del nucleare, con le misure di contenimento dei consumi di energia e la ricerca di fonti alternative rinnovabili. In questo senso il Consiglio federale ha emanato un progetto di legge che modifica le somme che le aziende che utilizzano le risorse idriche per la produzione di energia elettrica devono versare ai cantoni e ai comuni in cui risiedono gli impianti di produzione. Sono i cosiddetti «canoni d’acqua» che attualmente fruttano 550 milioni di franchi all’anno, di cui i due terzi vanno a finire nelle casse dei cantoni alpini di Grigioni, Vallese, Ticino e Uri. In singoli comuni il getti-
to di questi canoni può giungere fino al 40% del totale delle entrate. Si tratta quindi di un tema delicato anche sul piano politico, per cui le reazioni si sono subito fatte sentire. Ma anche in questo caso si tratta di una soluzione temporanea, da attuare tra il 2020 e il 2022, in attesa di un nuovo modello per i canoni d’acqua, che dovrebbe entrare in vigore nel 2023. Il momento scelto è opportuno, in quanto l’attuale regime scade nel 2019. Verrebbero così compensati parte dei costi di produzione e in parte si ridurrebbe il prezzo al consumatore. Introdotto per la prima volta nel
1918, questo tributo importantissimo per certi comuni di montagna è sempre aumentato, fino a toccare il livello massimo di 110 franchi per chilowattora di produzione lorda. Alcuni cantoni, come il Ticino, chiedono già il massimo previsto, ma altri no. Il progetto prevede ora di abbassare questo livello massimo a 80 franchi, riducendo il livello complessivo di gettito per i cantoni dagli attuali 550 milioni a 400 milioni di franchi, con conseguente sgravio per le aziende produttrici. Nel 2023, questo sistema verrebbe sostituito da un modello flessibile composto da un contributo fisso di 50 fran-
chi al KW e da una parte variabile, che si applicherebbe non appena il prezzo di riferimento di mercato per l’elettricità di origine idrica superasse una certa soglia. In sostanza si garantirebbero certe entrate finanziarie a comuni e cantoni, ma si garantirebbe anche la sopravvivenza a lungo termine delle centrali idroelettriche, soprattutto di quelle oggi in difficoltà. Di fronte alle sicure reazioni dei cantoni (soprattutto Grigioni e Vallese, che sono i maggiori beneficiari), il Consiglio federale prevede un correttivo, nel senso che beneficerebbero della riduzione soltanto le aziende con gestione chiaramente deficitaria. Soluzione complicata, poiché vi sono centrali che appartengono a vari produttori. Questi riforniscono anche un mercato non liberalizzato (privati e PMI) che possono vendere il loro prodotto al prezzo di costo, senza perdite. La compensazione finanziaria intercantonale non compensa le perdite dei cantoni, ma questi possono attivare la compensazione intercomunale per i comuni. Il Consiglio federale pensa che con questi interventi (120 milioni dalla nuova strategia energetica e 400 milioni dai canoni d’acqua) le aziende produttrici siano sgravate a sufficienza. L’Ufficio federale dell’energia valuta infatti in 300 milioni le perdite sul mercato liberalizzato. Con le nuove direttive si coprono 200 milioni del deficit. Per i rimanenti 100 milioni le aziende stesse devono trovare la soluzione. I cantoni di montagna non sono per nulla contenti della soluzione proposta e precisano che le perdite dei produttori di elettricità non dipendono dai canoni d’acqua, ma dalla cattiva gestione della politica dell’energia elettrica. Ma la soluzione finale del problema tenderà probabilmente a fissare i canoni d’acqua in funzione del risultato economico delle aziende produttrici.
Borsa USA, i retroscena del rialzo La consulenza della Banca Migros
Margini operativi EBITDA a confronto 22 %
USA (Indice S&P 500) Eurozona (Indice Euro Stoxx 50)
20 % 18 % 16 % 14 %
* Reddito esclusi interessi, imposte, svalutazioni e ammortamenti concluso accordi di cooperazione ed effettuato acquisizioni per guadagnarsi una posizione dominante sul mercato e creare barriere di accesso per la concorrenza. Questo assicura loro maggiori profitti e una situazione finanziaria
2018
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12 % 2010
Christoph Sax è capo economista della Banca Migros
Le azioni americane sono richieste come quasi mai prima d’ora e gli indici azionari USA hanno toccato nuovi massimi storici. Tuttavia, sarebbe fin troppo riduttivo attribuire il rialzo della borsa esclusivamente alla banca centrale e alla crisi degli investimenti. Negli USA il livello dei tassi d’interesse è nettamente più alto che in Svizzera e nell’Eurozona e di conseguenza gli investitori americani hanno meno motivi per preferire sistematicamente le azioni alle obbligazioni. Ciononostante, è vero che anche gli investitori statunitensi sono disposti a pagare prezzi sempre più alti per le azioni. Da una parte, questa forte propensione all’acquisto rispecchia un giudizio ottimistico sulle prospettive economiche a lungo termine, soprattutto in relazione alle imprese tecnologiche in rapida crescita, le cui valutazioni raggiungono talvolta livelli molto elevati. Dall’altra, le aziende statunitensi mostrano anche una profittabilità particolarmente alta rispetto alla media internazionale. Il miglioramento della redditività è stato favorito dalla diminuzione dei tassi e dei costi di finanziamento, ma questi fattori da soli non bastano a spiegare interamente il fenomeno. Molte imprese USA hanno
2009
Christoph Sax
Fonte: Bloomberg
migliore, rendendo le azioni americane particolarmente allettanti anche per gli investitori stranieri. Con l’aumento della valutazione delle azioni statunitensi sono anche cresciuti i rischi di correzione. In questa
situazione è dunque preferibile agire in maniera selettiva procedendo soltanto ad acquisti mirati. Nonostante l’attuale rialzo, chi diversifica gli investimenti per aree geografiche non dovrebbe rinunciare ai titoli USA.
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Politica e Economia Rubriche
Il Mercato e la Piazza di Angelo Rossi Il ruolo delle élites L’invito a partecipare a una giornata di studio organizzata per celebrare il cinquantesimo della prima legge cantonale sulla pianificazione del territorio – respinta in votazione popolare – mi costringe ad occuparmi degli anni Sessanta dello scorso secolo e del ruolo che le élites politiche, in quel decennio, svolsero per modernizzare il Ticino. Non sempre con successo, come insegna il caso della legge appena ricordata. Quello della legge cantonale sulla pianificazione del territorio è, da noi, forse l’esempio più conosciuto del conflitto che, in materia di innovazioni nella legislazione o di riforme, spesso oppone le élites politiche alla volontà popolare. Lo dimostrano i risultati di molte altre votazioni popolari succedutesi nel tempo fino
ad oggi. Apparentemente le occasioni più frequenti di conflitto concernono misure di politica economica e sociale, dove il sovrano manifesta spesso una volontà diversa da quella espressa dai suoi rappresentanti in parlamento e in governo. Non sorprende quindi che, tra gli economisti svizzeri, la democrazia diretta sia diventata un tema di discussione. Né sorprende, dato che si tratta di economisti, che all’interno di questa compagine siano nati due gruppi che difendono due tesi opposte. Il primo gruppo, capeggiato dai professori Bruno S. Frey e Reiner Eichenberger parteggia per l’estensione massima possibile dei diritti popolari basandosi su una concezione ortodossa del liberalismo economico stando alla quale le decisioni per essere ottime, nel senso della massimizza-
zione del benessere collettivo, devono riflettere le preferenze individuali e quindi essere prese dai singoli individui residenti in una determinata regione, o in una determinata nazione (stranieri compresi, ovviamente). Per capire di come si potrebbe procedere pensate al caso di certi comuni del canton Berna nei quali il moltiplicatore d’imposta non è fissato a livello comunale, ma a livello delle singole fattorie dagli abitanti delle stesse. Il secondo gruppo, capeggiato dal professor Silvio Borner sosteneva invece la tesi secondo la quale anche per la democrazia diretta dovrebbe esistere un «ottimo» economico che, nel caso della Svizzera, era oramai superato. Vale la pena di sottolineare che anche questo gruppo di economisti argomentava nel solco del liberali-
smo economico. Ma il loro argomento centrale era che la democrazia diretta, ossia la possibilità che ha l’elettorato svizzero di far valere la propria opinione con iniziative e referendum, doveva essere arginata perché non permetteva al paese di introdurre la necessaria liberalizzazione dei mercati che, sola, avrebbe potuto riportare la sua economia sul cammino della crescita. Potendosi esprimere attraverso le votazioni popolari, interessi di parte, di gruppi economici e classi sociali come pure di regioni e cantoni, avrebbero sempre impedito, stando agli esponenti di questo gruppo, le riforme auspicate. Ora il dibattito riceve nuova linfa da un libro, pubblicato dalla «Neue Zürcher Zeitung», che Hans Rentsch ha scritto per rispondere alla domanda «Wie viel Markt
verträgt die Schweiz?» ossia «Quanto mercato può sopportare la Svizzera?» Contrariamente a quanto i lettori potrebbero pensare questo titolo non anticipa un’analisi critica del mercato e di come agiscono le sue forze. Il libro di Rentsch è infatti un’arringa perché si faccia posto a più mercato in tutta una serie di domini della politica nazionale come, (e ci limitiamo a pochi esempi) il mercato del lavoro, le scuole, l’energia, la salute, il clima, l’agricoltura, i media, le pensioni e così via dicendo. Rentsch non è per niente contento di come il mercato venga trascurato dai nostri politici. Le sue ricette per migliorare la situazione sono due: educare l’elettorato a capire meglio i problemi economici e far maggior posto agli economisti nella politica. Basteranno?
Con le donne non aveva mai avuto fortuna. «Signorina, posso averla a pranzo da Gigi il troione? Ho prenotato da due mesi…». Ma la signorina Silvani non lo voleva e non lo valeva. «Fantozzi, lei è anche poeta!» lo irrideva prima di sputare nel trucco. Gli preferiva il geometra Calboni, belloccio e volgare («capocordata fu messo imprudentemente Calboni…»). E lui a inventarsi ogni volta una magia: «Sono stato azzurro di sci…». Per poi tornare sconsolato dalla moglie, «chiedendosi come sempre senza risposta cosa mai l’avesse spinto un giorno a sposare quella sorta di curioso animale domestico». «Pina, tu mi ami?». «Io ti stimo moltissimo». Così lui si gettava per la disperazione in camera mentre lei lo avvertiva troppo tardi: «Ugo attento ho già separato i letti…». Ma quando la moglie si innamorò di Cecco, il nipote del fornaio, «un orrendo butterato di ventisei anni dal culo molto basso e dall’alito pestilenziale tipo fogna di Calcutta» (uno strepitoso Diego Abatantuono giovane), Fantozzi trovava l’orgoglio di affrontare il rivale: «Lei insidia la mia famiglia!». «Famiglia? Ma che bella collezione di mostri!». L’altro mostro era la figlia Mariangela, che amava teneramente pur veden-
do in lei la conferma della propria mediocrità. Perché questo va detto: Paolo Villaggio non era buono. Lui stesso si descriveva nella copertina dei suoi libri come «cattivo, invidioso e di animo volgare. Ha le braccia corte con due artigli da topo che usa come mani. Tutto questo gli provoca gravi ansie, che placa mangiando di notte cibo adulterato nudo in piedi di fronte al frigorifero aperto». Più semplicemente, era spietato nel mostrare agli italiani come sono davvero: opportunisti, familisti, conservatori. In politica Paolo Villaggio, che votava comunista, faceva recitare a Ugo Fantozzi la parte del piccolo borghese reazionario. Memorabile la sua lettera all’Europeo del 1974, dopo la caduta del regime salazarista: «Il Portogallo era l’ultimo paradiso. I contadini legati all’aratro lavoravano ventisei ore al giorno lungo le dolci rive del Tago… Ora solo la Spagna resiste, con il suo magnifico e indomito Caudillo». Anche il ragioniere ebbe la sua fiammata rivoluzionaria, grazie a Folagra, il collega extraparlamentare, culminata con il memorabile incontro con il megadirettore naturale: la poltrona in pelle umana, la serra di piante di ficus, il naif jugoslavo alle pareti, e ovviamente l’ac-
quario dei dipendenti; verrà riassunto come parafulmine, dopo essere stato spugnetta umana per francobolli. Villaggio nella vita ha fatto molto altro, dai versi geniali del Ritorno di Carlo Martello dalla battaglia di Poitiers per il suo amico Fabrizio De André a filmetti dimenticabili. Con il suo sarcasmo ha allietato la vecchiaia di Gassman, Tognazzi e altri grandi della commedia all’italiana. Ma la sua biografia finisce per confondersi con il suo personaggio, lui sì immortale. Proprio l’epica della sconfitta aveva reso Fantozzi-Villaggio un vincente. «Ho sempre perso tutto: due guerre mondiali, un impero coloniale, otto, dico otto, campionati di calcio consecutivi, la faccia e la testa per una donna forse mostruosa». La stessa confusione tra la maschera e il suo inventore, come Charlie ChaplinCharlot, denota quanto fosse profonda la sua intuizione, quanto ci abbia smascherati, denudati, rivelati a noi stessi. E quando dico noi intendo noi esseri umani, di qualsiasi nazionalità. Con Paolo Villaggio se ne va la nostra parte migliore: quella che le cose eroiche non le ha mai fatte, ma le ha sempre sognate. Per questo Villaggio già ci manca.
società milanese, la presenza nei palchi d’onore alle manifestazioni culturali e teatrali. Dal matrimonio di Carlo con Maria Teresa Zacconi nacquero dodici figli, quattro maschi e otto femmine; quest’ultime andarono in sposa ad avvocati, notai, negozianti, banchieri, coniugando – è il caso di dirlo – strategie nuziali e strategie imprenditoriali. Il terzogenito Gaetano, insignito del titolo di barone, rimase nel capoluogo lombardo, mentre il minore dei quattro maschi, Alessandro, perse la vita in duello. Quando Giacomo e Filippo decisero di lasciare il regno del Lombardo-Veneto perché considerati antiaustriaci e sovversivi («liberali fanatici»), la piccola repubblica ticinese muoveva ancora i primi passi dentro un gran numero di cantieri: amministrazione, ordinamento giuridico, asili e scuole, rete
viaria, bonifiche, sistema carcerario. A questa multiforme opera di progresso e d’incivilimento dei costumi, i due Ciani rimpatriati contribuirono fattivamente, sia con mezzi finanziari, sia con progetti sociali ed educativi mutuati dalle loro peregrinazioni europee. Furono inoltre al centro di una fitta rete di relazioni, che comprendeva personalità come il Franscini (aiutato nella pubblicazione degli scritti), Cattaneo, Battaglini e altri esponenti del movimento liberale e democratico. Come nessun altro seppero mobilitare e incanalare le loro ricchezze verso sbocchi utili a tutta la collettività: una borghesia illuminata che si vorrebbe vedere all’opera ancora oggi. Questi percorsi biografici, calati nel loro tempo, sono ora ripercorribili in una mostra e in un pregevole volume edito dall’Archivio storico della città, cono saggi di Stefano Levati, Stefania
Bianchi, Massimiliano Ferri, Pietro Montorfani, Antonio Gili e Riccardo Bergossi per la parte relativa alla struttura architettonica della villa. Una lezione di storia ma anche un invito allo stesso municipio, che troppo spesso ha sottovalutato – e sottoutilizzato – questo diadema di pietre e piante, la dimora e il suo parco, un complesso mutilato delle sue scuderie, purtroppo assediato e quasi soffocato dal Palacongressi, uno dei grandi abbagli della Lugano burbanzosa degli anni Settanta. Proprio le certosine ricerche condotte in quest’occasione dovrebbero riaccendere nelle autorità e nella cittadinanza la fiamma della curiosità, unita all’esigenza di una maggior cura per un patrimonio unico ma fragile, che mal sopporta le sguaiataggini di frequentatori ignari del suo passato: un patrimonio che è all’origine della stessa Repubblica e Stato del canton Ticino.
In&outlet di Aldo Cazzullo Sognando Paolo Villaggio Il giorno in cui compivo dieci anni, mia nonna mi portò nella cartolibreria di Loano affinché scegliessi un libro. Era Fantozzi, e cambiò il mio modo di scrivere. «Prenderò l’autobus al volo» annunciava il ragioniere alla moglie. E la signora Pina, preoccupatissima: «Ugo, non l’hai mai fatto, non hai il fisico adatto». E lui, con espressione eroica: «Non l’ho mai fatto, ma l’ho sempre sognato». È stato un parastatale di Genova, Paolo Villaggio, a inventare l’ultima maschera italiana, raccontarla in libri venduti a milioni di copie, recitarla in tv e al
cinema. All’apparenza perdente, in realtà indistruttibile, il ragionier Ugo Fantozzi è il mediocre che di fronte all’ennesimo insulto – «coglionazzo!» – del direttore naturale trova il coraggio di ribellarsi e pure di rapirgli la madre («prendo la vecchia!»), che finiva per innamorarsi di lui: «È il mio uomo, io lo amo!». Oppure costringe il direttore cinefilo a guardare in ginocchio sui ceci Giovannona coscialunga, L’Esorciccio e La polizia s’incazza («al terzo giorno la polizia si incazzò davvero: Fantozzi arrendetevi!». «Mai! Non ci avrete mai! Forse…»).
Cantoni e spigoli di Orazio Martinetti I due fratelli Ciani erano quattro Sulle prime, Lugano appare una città senza storia, lucida ma inanimata; una città rifatta. Non è così, naturalmente. Ma per scovare le tracce del suo substrato storico e architettonico bisogna rallentare il passo e scostare le tendine della sua modernità bancaria. Il sedimento più rilevante è senz’altro quello risorgimentale. Dopo la partenza dei balivi e la formazione del cantone (1798-1803), il borgo del Ceresio visse come fosse causa propria il moto d’indipendenza degli Stati italiani. Sul filo dei decenni nelle case luganesi trovò rifugio e conforto una folla di patrioti in contrasto con il regno del Lombardo-Veneto retto dalla casa d’Austria. A questo slancio corale e febbrile parteciparono anche i fratelli Ciani, Giacomo e Filippo, che a Lugano giunsero alla fine del 1832, non più giovani, dopo aver soggiornato, con occhi attenti alle novità d’impresa
e del credito, a Ginevra, Parigi, Londra e in altri centri industriali del vecchio continente. E qui s’innesta un’altra vicenda, che affonda le sue radici nel Seicento, secolo in cui i Ciani lasciarono il loro villaggio natale di Lottigna, in valle di Blenio, per cercare lavoro sulla piazza di Milano. Già con il bisnonno Giacomo, attivo come mercante ed imprenditore, la famiglia aveva dato addio alle attività esercitate per tradizione dai migranti bleniesi: non più venditori di caldarroste, o semplici mansioni di facchinaggio, ma commercio di maioliche e di sete, compravendita di immobili e di masserie, per allargarsi infine, con il padre dei nostri, Carlo, all’attività creditizia. Insomma, una famiglia che fece fortuna e che già nell’ultimo quarto del Settecento poteva dirsi fiera dei risultati raggiunti: l’agio economico, l’ascesa sociale, l’integrazione nell’alta
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Cultura e Spettacoli Quando si veniva golkati Al centro di Golk, libro di Richard Stern ora ripubblicato, c’è la Candid Camera
Ancora Beatles, ancora Sgt. Pepper La ristampa del mitico album Sgt Pepper’s Lonely Hearts Club dei Fab Four non è solo frutto di un’operazione commerciale, ma presenta anche un eccellente remissaggio pagina 29
A caccia di Hugo Pratt Il libro Il gioco delle perle di Venezia dei due grandi fotografi Gianni Berengo Gardin e Marco D’Anna e dello scrittore Marco Steiner rappresenta un nuovo omaggio a Corto Maltese e a Hugo Pratt pagina 30
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L’altare di Issenheim Arte A Colmar il dipinto più terrifico
di tutti i tempi
Gianluigi Bellei L’Altare di Issenheim a Colmar è uno dei più importanti capolavori dell’arte. Forse poco conosciuto, come il suo autore: Mathis Gothart Nithart detto Grünewald. In Alsazia verso la fine del 1400 e proprio a Colmar lavoravano Albrecht Dürer assieme ai fratelli Kaspar, Paulus e Ludwig Schongauer, i figli di Martin, morto nel 1491. Sempre a Colmar studia Hans Burgkmair, il maestro di Holbein il giovane. Ma Grünewald era poco conosciuto anche in vita, anche perché il suo capolavoro, l’Altare di Issenheim, appunto, è un’opera terrifica, spaventosa e, sicuramente, i ricchi committenti preferivano avere in casa o in chiesa una Danae o una Venere, magari ignuda. La crocifissione dell’Altare al contrario è l’emblema del dolore e della morte. Sordida, putrida, marcescente, come tutte le morti. Difficile scriverne perché, come scrive Adriano Mariuz, qui «la parola esaurisce la possibilità di comunicare». Ma andiamo per ordine. Da secoli soprattutto in Francia e poi in Germania impera un’epidemia detta Ignis sacer, che molti chiamano fuoco di Sant’Antonio. Un falso amico perché con questo termine si designa l’herpes zoster, che è altra cosa. L’Ignis sacer deriva dall’ingestione di un parassita della segale. Durante l’epidemia del 1089 Sigeberto di Gembloux scrive: «A molti le carni cadevano a brani, come li bruciasse un fuoco sacro che divorava loro le viscere; le membra, a poco a poco rose dal male, diventavano nere come carbone. Morivano rapidamente tra atroci sofferenze, oppure continuavano, privi dei piedi e delle mani, un’esistenza peggiore della morte; molti si contorcevano in convulsioni». Si racconta che alcuni malati invocando Sant’Antonio guarissero. Fra questi il figlio del signore di Vienne che fonda un ospedale per la cura dei malati. Bonifacio VIII trasforma la congregazione in ordine religioso e gli ospedali proliferano in tutta Europa. A Issenheim, paesino a pochi chilometri da Colmar, Guy Guers, superiore del priorato della chiesa di Sant’Antonio, incarica nel 1512 lo scultore Nicolas de Haguenau e Grünewald di realizzare un polittico per l’altare maggiore. Nel 1516 l’opera è
finita. A Issenheim si curano i malati di peste, sifilide e fuoco di Sant’Antonio. L’artista vive, durante i lavori dell’altare nella chiesa, accanto ai malati. L’altare aperto misura sei metri e mezzo di lunghezza per tre e mezzo di altezza. In quegli anni questi altari sono molto comuni nelle chiese nordiche. Sono un po’ come le pale del Sud con la differenza che queste sono inquadrate in una cornice architettonica mentre al Nord sono a sportelli come dei grandi libri. Quello di Issenheim è addirittura composto da «quattro sportelli mobili dipinti su entrambe le facce, con due sportelli fissi ai lati e una predella anch’essa mobile», come scrive Benedetta Baseva. Aveva una funzione taumaturgica. Infatti i malati appena arrivati vengono condotti in chiesa e dopo aver bevuto il santo elisir a base di vino e una dozzina di piante calmanti macerate nelle reliquie di Sant’Antonio, vedono l’altare. Cristo crocifisso focalizza il loro sguardo. Un uomo tragico, sofferente, coperto di orribili pustole, con le mani e i piedi contorti dal dolore, trasfigurato. Si riconoscono in lui, perché come loro Cristo ha sofferto senza «bellezza da attirare i nostri sguardi, né apparenza, da farcelo desiderare. Disprezzato e abbandonato dagli uomini, uomo di dolore, familiare col patire...» (Isaia 53, 2 e seguenti). Negli sportelli laterali troviamo San Giovanni Battista, Maria Maddalena e San Giovanni Evangelista. Ai lati San Sebastiano e Sant’Antonio. Nella predella il compianto del Cristo morto assieme a Maria e Maddalena. Aperti i primi sportelli leggiamo la storia di Cristo. L’Annunciazione, il concerto degli angeli, la Madonna col bambino e nel pannello di destra la Resurrezione. Qui il volto di Cristo appare come in una palla di fuoco, pura luce dalla quale emerge un ritratto immaginifico e soprannaturale. C’è salvezza, dunque, o almeno una possibilità. I portelli si aprono nuovamente e gli ultimi dipinti raffigurano la vita di Sant’Antonio, dapprima in dialogo con San Paolo di Tebe e poi aggredito dai demoni: esseri ibridi, ripugnanti e mostruosi che cercano di trascinarlo per i capelli. In basso un uomo deforme e pustoloso, forse il demonio stesso. In centro le sculture di Nicolas de Haguenau con
Un’opera spaventosamente impressionante, l’Altare di Issenheim di Grünewald (1470-1528).
Sant’Antonio abate, Sant’Agostino, San Gerolamo, in ginocchio Guy Guers, il committente dell’opera, e nella predella inferiore l’Ultima cena. In un articolo del 1973 John Berger, morto quest’anno, dopo aver rivisto l’altare a distanza di dieci anni scrive: «In un periodo di fede rivoluzionaria ho visto un’opera d’arte sopravvissuta per testimoniare un’antica disperazione; in un periodo di difficoltà e sofferenza vedo la stessa opera aprire miracolosamente un esile varco in mezzo alla disperazione». Di Grünewald si sa pochissimo e i documenti sulla sua vita sono particolarmente scarsi. Dalla lettura del testamento, avvenuta dopo la sua morte nel 1528, scopriamo che tra le altre cose aveva un’edizione del Nuovo testamento, le ventisette prediche di Lutero e i «dodici articoli della fede cristiana» contenenti le richieste dei contadini in rivolta nelle lotte religiose del 15231525. Per secoli è dimenticato anche
dalla critica più attenta e alcune delle sue pochissime opere vengono attribuite, come appunto l’altare di Issenheim, ad Albrecht Dürer. Eppure è uno dei più grandi artisti di tutti i tempi che unisce la «bellezza del sublime al baratro del brutale». Artista fuori dagli schemi, dalla rigidità delle classificazioni, dalla metodologia dei localismi, Grünewald ci regala un mondo di tormento ed estasi, di grandezza e perdizione, fra simbolismo, esoterismo e alchimismo. Peccato che sia stato distrutto l’imponente coronamento della cornice gotica con guglie, girali e intrecci dorati e che attualmente nella cappella del Musée Unterlinden dove è collocato le singole parti siano state squadernate – sicuramente per ragioni espositive – perdendo così il suo originale effetto cronologico e narrativo. In una parete laterale comunque si trova a disposizione un modellino esemplificativo con gli sportelli da aprire e chiudere.
Un capolavoro da vedere almeno una volta nella vita, anche perché il Musée Unterlinden è un vero gioiellino con opere che vanno dal periodo Neolitico a oggi. Quest’ultime situate nella nuova struttura realizzata da Herzog & de Meuron e inaugurata nel 2015. Poi perché Colmar è un paesino da fiaba con le sue case di pescatori nella Petite Venise e quelle dei tintori in muratura e legno. Durante il viaggio potete leggere il volumetto L’altare di Issenheim di Adriano Mariuz ascoltando contemporaneamente Mathis der Maler di Paul Hindemith suonata dalla Berliner Philharmoniker. Dove e quando
Mathis Gothart Nithart detto Grünewald, Altare di Issenheim, Musée Unterlinden, Colmar. Orario: 10.00-18.00, gio. 10.00-20.00. Martedì chiuso. Musee-unterlinden.com
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Cultura e Spettacoli
Quella telecamera nascosta
Pubblicazioni Il libro Golk di Richard Stern, ora riproposto dalla collana Calabuig di Jaca Books,
offre un imperdibile viaggio nell’esilarante mondo della Candid Camera Mariarosa Mancuso Tanti anni fa – per capirci, la televisione era in bianco e nero – un signore con occhiali, cappello, spigato siberiano tipo ragionier Fantozzi entrava in un bar, si comprava un cornetto, stando al banco lo inzuppava nel cappuccino del vicino (la precisazione va fatta, e confessiamo: dopo anni di vita milanese, la colazione in piedi ancora stupisce). Qualche avventore tentava di reagire, pensando all’indigenza: «Le offro un cappuccino, buon uomo». «No, mi piace intingere il cornetto nel cappuccino suo», era la risposta. Pronunciata con l’accento sardo di Nanni Loy, che nella trasmissione intitolata Specchio segreto (anno 1964) adattava il modello americano della «Candid Camera». Il formato era stato inventato nel 1948 da un signore che si chiamava Allen Funt. Dalla radio, «Candid Microphone» fece subito il grande passo verso la televisione, costruendo attorno alle ignare vittime situazioni imbarazzanti. Del tipo «Cosa diresti di fronte a una donna nuda?», quando le donne nude non si vedevano al cinema, meno che mai in televisione (certo, ci sono state generazioni che come massima trasgressione avevano i giornaletti, mica il ricco catalogo YouPorn). Per la cronaca, esisteva anche una Candid Candid Camera, dove le situazioni erano più scabrose e non tutti firmavano volentieri la liberatoria. Da lì a Scherzi a parte il passo è breve. Un episodio – ormai storico – aveva per vittima Francesco Alberoni, con un suo libro che parlava di Martin Lutero. Il conduttore invitava un attore a leggere qualche brano. L’attore leggeva, piazzando l’accento sulla «u». L’autore, dopo un po’ di agitazione sul divano, diceva che no, si dice Lutéro con l’accento sulla «e». Il lettore mostrava una copia con scritto «L’utero». Disperazione di Alberoni, che pensò «Ho una casa editrice dove non hanno fatto neanche la terza elementare». Fino all’arrivo del fatidico annuncio: «Sei su Scherzi a parte». Tendiamo a pensare che le spiacevolezze della televisione di oggi
Negli Anni 80 nei Paesi germanofoni spopolava Verstehen Sie Spass con lo svizzero Kurt Felix. (Keystone)
siano figlie della televisione di oggi. Anche se – detto per inciso – presto bisognerà trovarsi un altro nemico: i trentenni non possiedono neppure l’elettrodomestico, e non con la spocchia degli intellettuali che dicevano «io la sera leggo Kant»; con la serenità con cui noi abbiamo messo in soffitta la segreteria telefonica con la lucina rossa. Lo pensiamo e sbagliamo di grosso: le spiacevolezze esistevano già negli anni 50. Quando appunto le Candid Camera erano agli inizi, e uno scrittore bravo come Richard Stern le raccontava come se avesse la sfera di cristallo. Anche l’editoria italiana era tem-
pestiva. La prima traduzione di Golk – uscito nel 1960 – risale al 1961. Firmata da Vincenzo Mantovani, che l’ha rivista e aggiornata per la nuova edizione Calabuig, collana di narrativa della Jaca Book. Poi però non dite che la gente sta lontana dalle librerie: mica può sapere che Calabuig è il titolo di un film scritto da Ennio Flaiano e diretto da Luis Berlanga nel 1956. Magari ricorda meglio l’album di Roberto Vecchioni, anno 1978: Calabuig, Stranamore e altri accidenti. Non proprio una garanzia in fatto di narrativa (invece la collana propone romanzi bizzarri, senza distinzione tra italiani e stranieri, e pubblica anche l’altro libro
Anz I Ice-Tea Lucky Bottle I Azione I italienisch I Zeitung I 289x147 mm I DU: 03.07.2017 I Erscheinung: 10.07.2017
di Richard Stern, Le figlie degli altri: professore che fugge con la studentessa, piacque molto a Philip Roth). Golk è il nome del programma, appunto una Candid Camera. Maestro di cerimonie un signore calvo che si chiama Sidney Pomeroy, e subito fa salire gli indici di ascolto. All’inizio i dirigenti temono che le vittime potrebbero non firmare la liberatoria, per timore della brutta figura davanti all’America intera, oltre che al vicinato e ai congiunti. Altro errore clamoroso: tutti firmano, felici di godere il proprio quarto d’ora di notorietà prima che Andy Warhol teorizzasse la faccenda. E prima che Niccolò Ammaniti, in un
bellissimo romanzo intitolato Che la festa cominci, stabilisse che le brutte figure – lui usa un’espressione assai più forte – non esistono più. Un’occhiata ai video sul social network vale come inconfutabile prova. Salto di qualità. Golk rivolge la propria attenzione ai politici (bei tempi, ora si golkano da soli, avete visto il filmino dove Donald Trump prende a pugni un cronista della CNN?). Qui la liberatoria non serve: «Quando riprendi un sottomarino che affonda, mica gli devi chiedere il permesso». Di nuovo, sembra che Richard Stern avesse davvero la sfera di cristallo, riuscendo ad anticipare grillini e populismi. Annuncio pubblicitario
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Cultura e Spettacoli
Beatles Reloaded
Musica L’anniversario della pubblicazione di Sgt. Pepper’s Lonely
Hearts Club Band vede un eccellente lavoro di remissaggio riportare in vita il capolavoro del 1967
Teatro d’estate
In scena L’assurdo di Ionesco a Verscio,
i «Territori» svelati a Bellinzona
Benedicta Froelich
Giorgio Thoeni
Già da parecchi anni, l’avvento del digitale e delle moderne tecniche di registrazione ha rivoluzionato il mercato discografico, non soltanto spalancando nuovi, allettanti orizzonti, ma anche facendo sì che la questione della cosiddetta «purezza del suono» cessasse di costituire esclusiva preoccupazione degli addetti ai lavori per propagarsi a un pubblico via via sempre più esigente e ormai in grado di dotarsi di un nuovo impianto «ad alta fedeltà»; un fattore che, con la progressiva e continua evoluzione tecnologica, ha però anche portato a una vera (e assai lucrativa) invasione di edizioni rimasterizzate e «perfezionate» di qualsiasi disco abbia mai visto la luce in tempi tecnicamente meno esigenti dei nostri. Ci sarebbero quindi buoni motivi per accogliere con una punta di esasperazione un’operazione apparentemente commerciale quale la nuova edizione appena pubblicata dalla EMI in occasione del cinquantenario di Sgt. Pepper’s Lonely Hearts Club Band, lo storico album del 1967 che, grazie alla sua esplorazione avanguardistica di differenti generi musicali e delle tensioni culturali di un’intera epoca, è da sempre considerato il più importante e storicamente rilevante tra i capolavori del quartetto di Liverpool; eppure, stavolta, benché si tratti dei Beatles (che, negli ultimi tre decenni, non hanno perso una sola occasione per ristampare più o meno superflue versioni celebrative), la realizzazione di questa particolare 50th Anniversary Edition appare più che giustificata e, soprattutto, di grande interesse non solo per gli appassionati della band, ma per qualsiasi storico della musica popolare. La ristampa non costituisce infatti la sola, consueta rimasterizzazione digitale (o «pulizia» fonica) dei nastri originali: stavolta il lavoro svolto su Sgt. Pepper consiste in un vero e proprio «restauro integrale» sotto forma di completo remissaggio, in contrapposizione alle ristampe su CD finora pubblicate – tutte semplici riedizioni «ottimizzate», perlopiù ottenute dai masters della prima versione stereo dell’LP (all’epoca riservata al mercato americano, in quanto, nel 1967, la stragrande maggioranza dei dischi pop-rock era anco-
Ogni anno, sotto la direzione di un regista professionista, l’Accademia Teatro Dimitri crea un nuovo spettacolo di fine formazione del Bachelor of Arts in Theatre. I protagonisti sulla scena sono i ragazzi del terzo e ultimo ciclo che questa volta si sono confrontati con Il vecchio inquilino da un’idea di Eugène Ionesco, il celebre autore franco-rumeno. Il testo del 1953 è stato riscritto e diretto dal regista, scrittore, poeta e drammaturgo Cesare Lievi. Con questo lavoro Lievi si è già confrontato nel corso della sua carriera, nel 1988 e nel 2000, considerandolo particolarmente stimolante, una sorta di «clownerie filosofica» dalla forza metaforica limpida e potente che mette in campo il crollo di valori della cultura occidentale in una veste mista a comicità e tragedia. La pièce si svolge all’interno di un appartamento vuoto e si apre sulla petulanza della portinaia che accoglie il nuovo inquilino uscito come da una tela di Magritte con tutti i suoi feticci. Impassibile, questi inizia una metodica occupazione dell’appartamento, uno spazio ristretto, disponendovi una quantità esagerata di mobilio che finirà per intrappolare lo stesso protagonista fra apparizioni, memorie e fantasmi di un passato da difendere. Una trama semplice al servizio di una comicità del nonsense che cede il passo a un’inquietante dimensione in cui le
Come è giusto che sia, da allora nulla è cambiato.
ra incisa in mono). E se, in tali nastri, il sound era, naturalmente, ancora lontano dal cosiddetto surround per come lo concepiamo oggi, per contro la versione mono dell’album era quella approvata e sanzionata dagli stessi Beatles – tanto che, data la ricchissima e sperimentale strumentazione che caratterizza Sgt. Pepper, presentava dettagli destinati a «perdersi» completamente nel missaggio stereo. Per questo motivo, Giles Martin (nientemeno che il figlio del leggendario produttore dei «Fab Four» e mago del suono George Martin), a cui è stata affidata la realizzazione di questo nuovo remix stereo, ha voluto privilegiare, come base per il missaggio, proprio i vecchi nastri mono, lavorando con cura certosina sulle singole piste audio; e la differenza salta subito all’orecchio, soprattutto in tracce come Lucy in the Sky with Diamonds e la storica A Day in the Life, nelle quali, finalmente, non si avverte più alcuna separazione tra i diversi elementi, dai singoli strumenti agli inserti esterni. Inoltre, considerando il fatto che, come tutti i dischi dei Beatles, all’epoca Sgt. Pepper è stato registrato con un numero assai limitato di piste, ecco che questo nuovo remix permette di valorizzare e «svecchiare» elementi quali la batteria di Ringo Starr e le sezioni di fiati, dandoci la possibilità di sperimentare come l’album sarebbe suonato se fosse stato inciso oggi, con la tecnologia attualmen-
te disponibile in sala di registrazione. Naturalmente, la EMI non si è però accontentata di una simile opera di ricostruzione storiografica, e ha voluto, come si suol dire, «cavalcare l’onda», mettendo a disposizione del pubblico anche una versione a due dischi di questa già notevole ristampa, e addirittura una «super deluxe edition» sotto forma di un lussuoso cofanetto di ben sei CD – entrambe ricche di quelle immancabili rarità che, come sempre, costituiscono l’esca stuzzicante davanti alla quale nessun completista può resistere; soprattutto quando, come in questo caso, venga assecondata la tendenza inaugurata già nel 1995 dallo splendido progetto denominato Anthology, interamente costituito da outtakes e versioni in progress e inedite di brani storici. E se ci fosse stato bisogno di una nuova conferma di come, a distanza di mezzo secolo, il mondo non sia ancora stanco dei Beatles, basterebbe il fatto che, alla sua uscita, questa Anniversary Edition è subito schizzata al primo posto delle classifiche britanniche – proprio come, nella lontana estate del 1967, era avvenuto con l’LP originale. Forse, oltre alle immortali lezioni musicali di allora, ciò che il pubblico ricerca ancor oggi nella musica dei «Fab Four» è l’innocenza di un’epoca irripetibile e meno spietata di quella odierna: un ricordo struggente in grado di suscitare non solo ammirazione ma anche, perché no, una certa, malcelata nostalgia.
Lyonesse e il bassetto
La musica va in vacanza Mireille Ben nel suo bagaglio
porta strumenti antichi, molti ricordi e una locandina Zeno Gabaglio Mireille Ben – biografia
Originaria di Parigi, dopo aver maturato significative esperienze artistiche e organizzative attraverso l’Europa dal 1980 risiede in Ticino. La sua carriera di cantante è cominciata a Parigi e si è sviluppata in particolare con il gruppo Lyonesse, con cui ha dato vita a una rilevante produzione discografica e concertistica, collaborando con istituzioni quali il Teatro Verdi di Milano e partecipando alla mitica ultima edizione del Festival di Parco Lambro nel 1976. Con il regista Pierre Beccu ha creato lo spettacolo MusicAlpina da cui è nata La Grande Orchestra delle Alpi – ensemble di settanta musicisti dell’ambito popolare da tutto l’arco alpino, dalla Savoia alla Slovenia – che nel 2004 fu invitato per l’apertura del Festival delle montagne di Trento. È stata direttore artistico del Festival internazionale di
musica popolare «Canté J’euv» di Bra in Piemonte, ha collaborato con Radio Suisse Internationale per la pubblicazione di un CD sul Ticino e ha lavorato presso la Fonoteca nazionale svizzera come responsabile del settore della musica popolare. Nel 2012 ha fondato a Bellinzona il festival Slow Music (www.slowmusic.ch). Valigia musicale – testo
1. Bordone, vespa-animale – Le Bourdon in francese significa sia «bombo», cioè l’insetto impollinatore, sia «bordone», cioè la nota fissa d’accompagnamento di tanta musica popolare, ma non solo. Stanchi dall’invasione della musica americana, nel 1969 alcuni amici decisero di aprire a Parigi il primo folk club: Le Bourdon, un locale dove si cantava solo in francese e dove anch’io ho mosso i primi passi musicali. Dopo tre anni di vita Le Bourdon organizzò il primo festival di musica
popolare a Vesdun e dopo due decenni il folk club chiuse definitivamente le porte per scopo raggiunto: oggi la musica popolare è insegnata addirittura
visioni del passato si impossessano dello spazio scenico come tasselli di vita a cui l’inquilino tenta disperatamente di imporre una logica geometrica. Spettacolo riuscito con una regia autorevole e un plauso ai dieci giovani attori impegnati in un crescendo teatrale di tutto rispetto. Dopo la prima avvenuta a Parigi il 29 giugno nella prestigiosa sede della Cartoucherie per il Festival des Écoles du Théâtre public, lo spettacolo è andato in scena nei giorni scorsi al Teatro Dimitri di Verscio e viene replicato proprio questa sera alle 20 al Teatro Sociale di Bellinzona, nel contesto di «Territori». Teatro e performance sulla condizione femminile
La rassegna offre una selezione di produzioni ticinesi. (www.territori.ch)
Il tema che percorre l’edizione di «Territori», il Festival di teatro in spazi urbani che torna a Bellinzona fino al 15 luglio, è quello degli «Svelamenti»: un filo rosso ma anche un gioco rituale che dapprima nasconde e poi rivela la propria identità, sia sulla scena come nella vita quotidiana. Sei giorni di originali proposte internazionali e «territoriali», un’offerta coerente con il criterio organizzativo applicato dal Teatro Sociale diretto da Gianfranco Helbling. Sul palco del teatro si va incontro, come riferito, agli assurdi svelamenti cari a Ionesco (10.7) ma anche a una «mise en espace» di Ifigenia liberata di Carmelo Rifici e Angela Demattè (11.7). Per rimanere sulle proposte svizzere e di casa nostra segnaliamo che a Villa dei Cedri ci si può documentare su Io sono un’altra un’insolita performance di Camilla Parini (10-15.7) oppure assistere a Dìade con la danza di Elena Boillat (11,12.7). Nell’Aula Magna delle Scuole Nord torna «h.g.», l’installazione della premiata ditta Trickster-P (12-14.7), mentre al Teatro di San Biagio si può rivedere Still leben della Parini (14.7). Nella Torre Nera del Castelgrande (13-15.7) merita di essere scoperto il Dahü-Studio di Ledwina Costantini con Mathieu Bessero-Belti. Per concludere la carrellata, nella corte del Castellgrande va in scena Fabula di Flavio Stroppini e Monica De Benedictis (15.7). Ma vale davvero la pena di conoscere tutta l’offerta visitando www. territori.ch, il sito del festival.
nei conservatori. In ricordo di quella stagione metto in valigia il bomboghironda, che con un artificio grafico era diventato il simbolo del locale. 2. Una foto dei Lyonesse al Bataclan – Un biniou (cornamusa bretone) e una bombarde (l’oboe tradizionale) assieme a una chitarra elettrica era quel tipo di abbinamento ben poco apprezzato negli ambienti della musica popolare d’inizio anni ’70. L’idea di mescolare suoni antichi con suoni moderni invece a me piaceva molto, e per questo non rifiutai l’invito del trio bretone Glazar Skeduz per fare una tournée assieme nel 1972. Da lì la formazione si allargò definitivamente a sette musicisti e prese il nome di Lyonesse. Dopo il nostro primo concerto ufficiale nel 1973 fummo invitati dal noto club parigino Le Bataclan: il primo gruppo folk a entrare nel tempio del rock francese. 3. Un bassetto ticinese – Verso l’inizio degli anni Ottanta ero entrata in contatto con la realtà culturale del Ticino, dove allora sembrava non esistesse un’autentica tradizione di musica popolare: mi era stato detto che il violino e la cornamusa – per fare un esempio di strumentazione tipica – non erano mai esistiti nella musica popolare ticinese. Non esistono popoli senza una propria musica, e con questa convin-
zione volli verificare di persona: dopo qualche settimana di ricerca conobbi Oreste Zanetti di Olivone che, in quanto costruttore di violini e bassetti (strumenti ad arco tipici delle Alpi), confermava in pieno la mia tesi. 4. Disco Suonatori delle Quattro province – Nel 1994 l’etichetta discografica Silex – specializzata nella musica popolare francese – aveva deciso di aprire le sue porte ad altre musiche europee, chiedendomi di produrre un disco di musica popolare sudalpina. La scelta cadde sul duo formato da Stefano Valla e Franco Guglielmetti e alla valorizzazione del repertorio delle Quattro province (Alessandria, Genova, Pavia, Piacenza). Una tradizione musicale ancora vivente che – una volta portata su disco – ottenne l’importante riconoscimento dell’Accademia Charles Cros. 5. Locandina Slow Music 2017 – Per quarant’anni ho girato il mondo per concerti, ho incontrato tanti artisti. Da cinque anni organizzo a Bellinzona il festival Slow Music, dedicato al linguaggio musicale di ogni genere. La corte del Municipio è molto suggestiva e il fatto di suonare senza (o con pochissima) amplificazione porta i musicisti a un rispetto del luogo tutto particolare, e la loro musica assume un carattere caldo quasi cameristico.
Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 10 luglio 2017 • N. 28
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Cultura e Spettacoli
Alla ricerca della Venezia perduta
Pubblicazioni Nell’affascinante libro Il gioco delle perle di Venezia Gianni Berengo Gardin, Marco D’Anna
e Marco Steiner si mettono sulle tracce di Corto Maltese nella città lagunare Blanche Greco Un sapiente gioco a rimpiattino fatto per immagini da due fotografi e uno scrittore, sulle tracce di un marinaio famoso e imprendibile, e del suo fantasioso e inimitabile biografo, questo e molto di più, è Il gioco delle perle di Venezia, il libro, edito da Rizzoli Lizard, firmato da Gianni Berengo Gardin, Marco D’Anna e Marco Steiner che si perdono nelle calle e nei campielli veneziani alla ricerca di Corto Maltese e dei luoghi amati, sognati e disegnati da Hugo Pratt. Nel libro le tavole del grande «fumettaro» si alternano con le fotografie, sfaccettature diverse di uno stesso discorso fatto di suggestioni, di ricordi e di atmosfere così come emergono anche dal testo dello scrittore Marco Steiner, amico di Pratt e cultore di Corto Maltese, che in Favola di Venezia (pubblicato per la prima volta quarant’anni fa), arriva in città, a caccia di un tesoro. Sin dalla copertina prende vita una Venezia incantata, una città liquida, dove la pietra sembra plasmata dall’acqua dei canali; cangiante sotto l’influsso delle maree, piena di colori e di riflessi come negli acquerelli di Hugo Pratt che in questo libro sono l’evocazione poetica di scenari reali, di quella Venezia magica, avventurosa, piena di segreti dove si aggira ancora Corto Maltese e dove Gianni Berengo Gardin, uno dei più famosi fotografi italiani, torna spesso, per aggiungere altri scatti al suo discorso veneziano, iniziato tanto tempo fa e mai finito. Una gondola in lontananza scivola rapida sulla laguna tra cielo e mare, parallela al filo dell’orizzonte, mentre l’acqua si tinge dei colori del tramonto ed è come se gli evanescenti paesaggi acquerellati di Pratt si specchiassero, prendessero vita nelle fotografie in bianco e nero di Berengo Gardin. Fili
Marco D’Anna e Marco Steiner fotografati da Gianni Berengo Gardin a Venezia.
invisibili legano questi due talentuosi giramondo: una casa al Lido di Venezia; la sete di avventura; un modo speciale di guardare la vita e un filo di perle Veneziane. «Il negozio delle perle di Venezia lo creò mio nonno Giovanni – ci ha raccontato Gianni Berengo Gardin – ed era un luogo delle meraviglie dove lavorarono mio padre, le mie zie, ed anche io, che non avevo voglia di studiare, ma solo di diventare fotografo. Così dopo due anni che svogliatamente languivo in negozio, mio padre capì che non avrei mai saputo apprezzare la bellezza delle perle come lui, che ne amava la forma, l’originalità, la sapienza della fattura. E mi lasciò andare a Parigi a studiare fotografia». Ma quel negozio a Venezia in Calle Larga San Marco, agli inizi del ’900, era tanto conosciuto da comparire in
un libro molto amato da Pratt: Il desiderio e la ricerca del tutto, dove viene citato come il luogo, di proprietà di un certo Berengo Gardin, «in cui si vendono le migliori perle di Venezia». Lo scrisse Frederick Rolfe, detto Baron Corvo, stravagante scrittore e poeta inglese che morì nel 1913 a Venezia, sua città di elezione, teatro per anni dei suoi eccessi. Le perle sono di vetro, non vengono dai fondali marini, ma dalla notte dei tempi, infatti sono preziosamente antiche, e sin dal ’300 si producevano a Venezia, non a Burano, e si esportavano in tutto il mondo. Per la Serenissima erano un vanto e un’importante merce di scambio verso l’Africa, l’America e l’India e in molti Paesi erano tanto ambite, da valere quasi quanto l’oro. Tonde, ovali, a bastoncino, traslucide,
o semitrasparenti con un’anima d’oro, o d’argento; rosso brillanti con piccolissimi fiori colorati; o gialle, decorate con minuscole forme geometriche; imparentate con le murrine e con l’arte africana, sono un misterioso gioiello di fantasia, degno di Corto Maltese che in Favola di Venezia, gira la città alla ricerca della Clavicola di Salomone, «uno smeraldo favoloso» che, tra scritte arabo-runiche e sigilli infranti, alla fine gli sfugge, o, come scrive in una lettera Baron Corvo-Pratt: «forse è una beffa, o forse è ancora nascosto, a Venezia», ma è parte di quella continua ricerca, di quella sfida, che è in tutte le sue storie, che costituiscono un gioco meraviglioso per tutti. «Se c’è una cosa che ho imparato da Hugo Pratt» – ci ha raccontato Marco Steiner – «è proprio la curiosi-
tà e il gusto di seguire una pista». Ed è così che sono nate le tante spedizioni di Marco Steiner e Marco D’Anna, uno scrittore e un fotografo ticinese che, per dieci anni, hanno cercato lì, dove tutto era cominciato: nel passato di Hugo Pratt, nei Paesi dove è vissuto, nei luoghi che ha visitato, tra le storie e le amicizie che gli appartenevano e che si celano dietro alle avventure disegnate dei suoi protagonisti. Dai loro reportage dall’altro capo del mondo, in Africa e in Argentina, in Europa, in Asia, ai Caraibi, sempre inseguendo Pratt e Corto, sono nati racconti, fumetti e mostre fotografiche come Etiopia – La traccia dello scorpione, e in questi ultimi anni, Il Corvo di Pietra e Oltremare, due libri che raccontan o la giovinezza di Corto Maltese, scritti da Marco Steiner, partendo a ritroso dal Corto di Pratt. Era quindi solo questione di tempo, che Steiner e D’Anna approdassero a Venezia e coinvolgessero nella loro ricerca un altro noto avventuroso: l’ottantasettenne fotografo Gianni Berengo Gardin, e la sua visione onirica, sorniona e consapevole di Venezia. Così oltre alle sue immagini della città, scatti a volte storici e senza tempo, altre volte attuali, ma che sembrano «finti» come quelli delle Grandi Navi che «rubano» il paesaggio veneziano, c’è anche lui, ripreso dall’obiettivo di Marco D’Anna. Il Gioco delle perle di Venezia è un libro sapiente e curioso, che ci ricorda la Venezia che tutti noi conosciamo, ma anche quella che possiamo solo intuire e immaginare dietro alle gelosie, alle graziose bifore chiuse, e che non vedremo mai. Una moltitudine di storie che le tavole tratte dalla Favola di Venezia di Pratt e le tante fotografie, ci suggeriscono, e dove emerge prepotentemente quella qualità «cinematografica» di Venezia che ce la rende al tempo stesso familiare, eppure lontana e misteriosa.
Toscani e cattivi
Pubblicazioni Adelphi propone il Malaparte di Maledetti toscani mentre ETS
propone uno studio sul «primo» Benigni Daniele Bernardi I Toscani, da sempre, hanno il coltello dalla parte del manico. Chi ha provato (a proprie spese) a disquisire con un toscano, sa di che parlo: se c’è qualcosa che questo popolo sa fare è usare la parola come fosse un’arma. Nella terra di Dante e Cecco Angiolieri, umiliare l’interlocutore è un’arte – così come un’arte è sbeffeggiare dio, i santi e la Madonna. Ma questo è ancora niente. Pochissimi, credo, sanno argomentare con la stessa raffinata, tagliente eloquenza: c’è qualcosa di diabolico nell’anima dei toscani: una radice luciferina, fiammeggiante, sembra dar-
Molte luci e molte ombre su Curzio Malaparte, qui negli Anni 50. (Keystone)
deggiare fra le spine della loro lingua. Due recenti iniziative editoriali vengono oggi ad avvalorare questa tesi – e a dimostrare un vivace interesse nei confronti della «spietata toscanità». La prima appartiene al prestigioso catalogo dei tascabili della Adelphi, dove ha fatto capolino un pamphlet irreperibile da anni: Maledetti toscani (1956) del grande – e controverso – Curzio Malaparte (Prato, 1898 – Roma, 1957). La seconda, invece, proviene dalla casa editrice ETS, che pubblica ora un interessante studio del critico teatrale Igor Vazzaz sugli esordi di Roberto Benigni: Cioni Mario... di Bertolucci-Benigni per Roberto Benigni. Si tratta, evidentemente, di pubblicazioni profondamente diverse, ma che vanno a scavare fra le faglie della stessa terra. Ma procediamo con ordine. Come già accennato, quella di Kurt Erich Suckert, in arte Malaparte (lo scrittore era di padre tedesco), è una figura singolare, spesso guardata con sospetto a causa dei suoi acrobatismi ideologici: dapprima fascista e poi comunista, l’autore di Kaputt (1944) e de La pelle (1949) pare incarnare alla perfezione quella caratteristica che, a suo dire, contraddistingue il popolo toscano: l’essere «spregioso». Sprezzante, volgare, cinico e insolente – così, per Malaparte, è l’animo della sua gente: «Ma quello di cui più godiamo, è veder come tutti, italiani e stranieri, si meravigliano del di-
sprezzo col quale noi li ripaghiamo del sospetto e dell’inimicizia loro. Che non è un disprezzo nato a caso, né da ripicco o vanità, né da orgoglio: ma un disprezzo sentito, e risentito, allegro, ragionatissimo, e antico. E basta guardare un toscano come cammina, per capire di che stoffa sia fatto il suo disprezzo». Con la sua prosa insolente, sanguigna, sin dalle prime pagine Malaparte regala al lettore momenti altissimi, dove, in pochi violenti tratti, riesce a forgiare formule capaci di descrivere perfettamente lo spirito del toscano: «Nessuno ci vuol bene, (e a dirla fra noi non ce ne importa nulla). E se è vero che nessuno ci disprezza, (...) è pur vero che tutti ci hanno in sospetto. Forse perché non si sentono compagni a noi (...). O forse perché, dove e quando gli altri piangono, noi ridiamo, e dove gli altri ridono, noi stiamo a guardarli ridere, senza battere ciglio, in silenzio: finché il riso gela sulle loro labbra». Nulla, quindi, né morte né Dio, pare intimorire il toscano, che, secondo Malaparte, è temuto soprattutto in virtù della propria intelligenza – un’intelligenza che «non è furberia», ma «un modo di abbracciar con la mente le cose, di comprenderle, cioè, e di penetrarle». La lettura di Maledetti toscani è, pure, esilarante, per quella capacità che ha l’autore di esagerare, di sfociare nel grottesco, di rasentare i limiti della sboccatezza e della violenza verbale
(aspetti che, uniti a un’innegabile «irregolarità», lo avvicinano non poco alla persona di Louis-Ferdinand Céline). E proprio delle stesse peculiarità tratta il saggio che Vazzaz dedica, invece, al primo assolo di Roberto Benigni: Cioni Mario di Gaspare fu Giulia. Per chi non fosse al corrente, si ricorda che il pluridecorato comico italiano, dopo una fase di gavetta nel girone della neoavanguardia romana, debuttò con questo sulfureo monologo nel 1975, per la regia di Giuseppe Bertolucci (figlio del poeta Attilio e fratello del regista Bernardo). Probabilmente, oggi, i più ignorano quanto il giovane fosse allora ben lontano dalla figura addomesticata che oggi incarna: il Cioni è uno spettacolo spietato, di una comicità animalesca, che racconta l’isolamento e la desolazione del mondo di provincia. Scritto a quattro mani nell’arco di cinque giorni, il testo insegue un giovinastro senza madre, preda di incubi e incontrollate pulsioni erotiche, che vaga tra bar, cinematografi e strade di campagna in cerca di un improbabile contatto umano. Il mondo che ne emerge è cupo, lacerato dalla fine della cultura contadina e sospeso sul baratro di un futuro alienante: alle spalle del Cioni riecheggia, ancora, il vortice del fascismo mentre davanti, come un mostruoso miraggio, trilla lo scintillare dei televisori. Vazzaz ricompone il percorso
dell’attore, dalle origini alla creazione della sua prima maschera; al contempo, con precisione scientifica, smembra la struttura dello spettacolo articolando un discorso di matrice analitica, che prende in considerazione disparate chiavi di lettura della performance. Particolarmente intriganti sono i passaggi in cui è a fuoco la profonda radice poetica dell’anima benignesca: si vedano gli accostamenti fra le memorabili invettive del personaggio – contro il padre, le donne, Giorgio Almirante – e le rime di Angiolieri; o i resoconti dell’apprendistato creativo di chi imparò a fare versi improvvisando fra contadini semianalfabeti che duellavano pubblicamente in ottava rima. Certo, Cioni Mario... di BertolucciBenigni per Roberto Benigni è un libro destinato, soprattutto, a studiosi e ad appassionati; ma questo non lo rende una lettura ostica o esclusiva, anzi: la piacevolissima prosa dell’autore riesce, con disinvoltura, a trasportare il lettore dentro un percorso arricchito da apparati di note, bellissime fotografie d’archivio e interviste. Chi volesse conoscere maggiormente il Benigni «debuttante» è pure invitato a prendere visione, ovviamente, dell’ormai leggendario e geniale Berlinguer ti voglio bene (sempre della coppia Bertolucci-Benigni) – naturale elaborazione cinematografica di quello che fu un dirompente punto di partenza.
Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 10 luglio 2017 • N. 28
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Cultura e Spettacoli Rubriche
In fin della fiera di Bruno Gambarotta Di bestseller e autori originali È ora di preparare i bagagli per le vacanze. Cominciamo dalla sacca dei libri da leggere in spiaggia o su un prato di montagna. Andiamo in libreria e proviamo un leggero stordimento per l’abbondanza dell’offerta. Siamo in tanti a scrivere e stampare un libro costa sempre meno. Lasciamoci guidare dall’istinto, a iniziare dal titolo. Pare che la presenza di un animale attiri il lettore. Possiamo scegliere fra: La beata incoscienza dei criceti; Il crocevia degli opossum; La Costituzione spiegata a una colonia di termiti. Una tendenza evergreen nei titoli fa riferimento agli odori o meglio ai profumi. I romanzi al profumo di limone finora sono sette e sei quelli alla cannella. Uno, in testa alla classifica, è sia al limone che alla cannella. È già comparso un plagio dove al posto della cannella c’è la noce moscata. Il lettore in questo caso deve stare accorto, sovente è l’editore a imporre il profumo nel titolo senza che ci sia poi un riferimento nella trama.
L’indimenticabile profumo della santoreggia è un romanzo che narra il duello senza quartiere fra due sommergibili durante la Seconda guerra mondiale. I potenziali lettori che hanno servito la patria nel ruolo di sommergibilisti non hanno un buon ricordo degli odori che si respiravano stando in immersione. Le piante aromatiche vanno sempre bene, un titolo del genere Curcuma mon amour è buono per attirare l’attenzione; ancora meglio sono i vini purché derivino da vitigni rari. Titoli come Il fantasma del Timorasso o Il codice segreto del Pelaverga sono calamite irresistibili. Funzionano sempre i nomi dei grandi pittori del passato purché siano accoppiati a qualcosa d’altro; sarei incuriosito da un titolo come La farfalla di Giulio Romano. Da evitare perché troppo inflazionato il nome di Leonardo. Una rinomata casa editrice ha dovuto mandare al macero le copertine di un romanzo che aveva come titolo Il nipote di Tiziano perché nelle more
della pubblicazione sui quotidiani era venuto fuori il nome di Tiziano Renzi. Ultimi ma non meno importanti i titoli prestati dall’algebra e dalla geometria. La scandalosa equidistanza dei cateti ha una forza di attrazione irresistibile. Soli nell’iperspazio non è male. Come anche Gli spazi vettoriali dell’amore; L’isocronia degli insiemi sentimentali. Nella scelta dei libri da portare in vacanza possiamo anche farci suggestionare dalla biografia dell’autore, di solito la trovate sulla bandella della quarta di copertina. Fateci caso, tutti gli autori risiedono in almeno due luoghi, non leggerete mai: «È nato nel quartiere di Santa Rita dove vive e lavora». Ma non succede mai che le due residenze siano vicine, tipo: «Si divide fra Como e Chiasso». No, piuttosto «Vive fra Santa Maria Maggiore e la Nuova Caledonia». Se l’autore è donna troveremo sempre un riferimento ai suoi animali domestici: «Per scrivere si ritira nel Nottinghamshire con i suoi quattro
gatti e il chihuahua» Mai una volta che si ritiri a Pozzolo Formigaro. Gatti e cani sono inflazionati, una scrittrice americana accetta di prendere parte ai festival solo se può portare con sé la sua piccola elefantessa. È bene che un autore primeggi in un’attività che non abbia niente a che vedere con la scrittura: «È campionessa italiana di biliardo alla goriziana»; «ogni giorno suona l’arpa nella stazione della metropolitana di Brescia e non smette finché un passeggero non compra una copia del suo libro». Se lo scrittore svolge un’attività lavorativa anche vagamente intellettuale, come potrebbe essere il docente universitario o il consulente editoriale è meglio che lo tenga nascosto. Se proprio deve esplicitare un lavoro, l’autore deve essere titolare di un’azienda che produce qualcosa di positivo dal punto di vista ambientale; il miele è perfetto ma è inflazionato, sono già tre le autrici che lo producono. Andrebbe bene un: «nel forno di Gavoi produce i suoi rino-
mati malloreddus che esporta in tutto il mondo». È consigliabile non dire che fabbrica granate ad uranio impoverito. Sul versante negativo vanno bene le biografie scandalose: quanti sono gli scrittori della prima metà del secolo scorso che sono stati nella Legione Straniera a partire da Curzio Malaparte? Potessi scrivere nella mia biografia «è stato per trenta anni un agente segreto del Mossad israeliano» toccherei il cielo con un dito. I social dominano: «Tiene un blog con il quale aggiorna i seguaci sui suoi progressi nel preparare l’insalata, con i commenti del marito» (che però il mese scorso l’ha mollata). C’è di peggio: «Con la sua pagina Facebook è in costante corrispondenza con più di ventimila lettrici». Tenuto conto dei cani, dei gatti, dell’orto, dei quattro figli, dei tre mariti, della conduzione di un programma televisivo, dell’impegno nella raccolta fondi per salvare l’orca marina, la domanda legittima è: ma quando trova il tempo per scrivere?
gia La Regina di Pomerania e altre storie di Vigata. L’inizio è straniante, ma è colpa della lingua: «Quanno che nel munno ’ntero s’arrivò a mità dell’anno milli e ottocento e novantanovi…» non è «In questa bella Verona, due casate, di pari nobiltà…». Una volta abituato l’orecchio, la storia è come quella degli amanti veronesi, ambientata nella Vigata del 1899. Le famiglie d’Asaro e Petralonga sono nemiche, il paese è diviso in due parti, se per errore si incontrano esplodono le risse e i morti. Capita però che al ballo pubblico della notte di San Silvestro, che avrebbe aperto il nuovo secolo, Mariarosa Petralonga e Manueli d’Asaro, sedicenni, si incontrano. Fanno parte entrambi della giuria per la maschera migliore e non si sono mai visti, dato che Mariarosa studia da sempre in Svizzera. Per caso si sfiorano le gambe e accade l’incredibile. I ragazzi si innamorano pazzamente anche se non si scambiano una parola, solo alla fine della festa lei scrive «Non
posso partire senza rivederti» e lui «Ma io non ti lascerò partire». È una promessa di matrimonio. Da qui l’intrigo shakespeariano: i consigli degli amici, gli accordi per un finto rapimento, l’appuntamento all’alba con la scusa della confessione e della Messa di lei. Non posso e non voglio raccontare tutto, basti dire che il finale è divertentissimo, trasforma la poesia degli amanti nati sotto cattiva stella nel realismo dei vigatesi, e tutto perché uno dei complici si innamora della «biddrizza» della tozza, animalesca e baffuta fantesca. Con un colpo di coda: un gesto che restituisce dignità a Mariarosa, lasciando Manueli umiliato, e con lui tutti i maschi della terra. Trovo delizioso questo uso del mito. Passiamo a quello di Cleopatra. Dunque, nello stesso giorno la televisione mi manda in onda Liz Taylor e i suoi 65 (sessantacinque) abiti di scena, alcuni in oro vero, e un documentario sulle monete con l’effigie di Cleopatra. Dal naso adunco, le labbra carnose, ma
su bocca grande e all’ingiù, gli occhi sbarrati e un collo che nulla fa ben sperare per la linea della regina. Non che la Taylor fosse una silfide, il vitino strizzato è accompagnato da forme abbondanti, come usava nel 1961, quando è stato girato il film. Allora, perché vogliamo a tutti i costi credere bella colei che ammaliò il padrone del mondo e il più caro amico, Cesare e Antonio? Anche l’Antonio e Cleopatra di Shakespeare parla di passione più che di forme leggiadre. Forse riteniamo che per una donna solo la bellezza possa garantire la seduzione. Che sciocchi, e dire che Plutarco, duemila anni fa, lo aveva capito benissimo: la bellezza di Cleopatra non era «tale che potesse sbalordire chi la guardava; ma aveva maniere così leggiadre, tanta grazia ed eloquenza nel parlare, che la bellezza di lei aiutata da queste cose faceva invaghire tutti. Dilettava anche il suo tono di voce, e la sua lingua sembrava uno strumento dalle tante corde».
del secondo Novecento: «Io sono nato a pochi isolati di distanza dal Manzoni e nutro un forte rispetto per lui, nonostante il suo cattolicesimo fervido e morboso… ha aggiornato l’italiano, lo ha svecchiato mentre scriveva un romanzo». C come Vincenzo Consolo, lo scrittore siciliano, autore di un capolavoro come Il sorriso dell’ignoto marinaio, quindi anni fa diceva cose oggi impensabili: «Il Mediterraneo per me era la culla della civiltà occidentale, era il mondo omerico, era il mondo della cultura araba… Ho pensato sempre che la Sicilia, il Mediterraneo fossero i luoghi civili per eccellenza, dove s’erano realizzati un grande scambio di culture, una grande commistione, una reciproca conoscenza». C come Maria Corti, la semiologa, la filologa, l’amica di Vittorini, la storica della lingua, la studiosa di Dante, l’agitatrice culturale, la maestra di generazioni di filologi, la scrittrice: «Direi che l’umiltà è la prima virtù del recensore.
Bisogna mettere in primo piano il libro di cui si parla, non se stessi». L come Raffaele La Capria, lo scrittore napoletano (oggi 94 anni), autore del romanzo Ferito a morte, che nel 1961 piovve come un oggetto alieno nella letteratura italiana: «Io penso che le cose si distruggono per una specie di consunzione interna, per abuso di sé, per logoramento di sé. L’amore si distrugge con l’amore, la giustizia si distrugge con la giustizia, la religione si distrugge con la religione e il romanzo si distrugge con il romanzo… stiamo morendo di romanzo per troppa romanzeria». M come Alda Merini, la poetessa pazza che visse e morì sul Naviglio milanese: «C’è chi pensa che sia impazzita di felicità. Se un poeta ama, ama tre volte di più. Io continuo a innamorarmi, sa. Adesso amo un prete di quarant’anni, ma non vado a letto con lui. Ho più di settant’anni, io. Il desiderio e l’amore sono il nutrimento della mia poesia». O come Ottiero Ottieri, lo scrittore di
romanzi industriali (anche lui dimenticato), che fu assunto da Adriano Olivetti come direttore del personale ma anche come scrittore: «Fu un uomo assolutamente eccezionale… mise in quel ruolo uno scrittore, facendogli poi fare lo scrittore… mi diede il tempo materiale per farlo e mi diede una sede a Milano dove potevo lavorare part time solo nel pomeriggio». R come Ermanno Rea, il narratore di Mistero napoletano, un’indagine dentro la città assediata dalla Guerra Fredda: «Direi che qualunque libro che io scrivo parte da una sorta di certezza e poi questa certezza si trasforma via via in dubbio. Io penso che scrivere un libro sia rintracciare e mettere a fuoco una serie di dubbi». S come Elvira Sellerio, l’editrice palermitana amica di Sciascia: «Cominciai a torturarlo, chiedendogli aiuto e consigli. Lui era uno che si spaventava moltissimo: “Rischiate la fame”, diceva». Anche lì la scena era vuota, poi si è riempita.
Postille filosofiche di Maria Bettetini Tutto il fascino di antichi amori Esistono miti generici e probabilmente senza tempo: lui, lei, il cattivo, per esempio, o padre, figlio, donna. Ma c’è poi chi è capace di dare nomi e caratteri a queste figure che se non sono nominate rischiano di perdersi tra storia e memoria. Mi sono imbattuta recentemente in due casi, noti a tutti, eppure mai banali. Ho letto un romanzo breve intitolato Romeo e Giulietta, ho visto per la prima volta per intero (quattro ore!) il film Cleopatra. I due amanti «nati sotto cattiva stella» sono tutti i giovani innamorati, ricchi di speranza e di incoscienza, sicuri del loro amore, travolti dalla malvagità degli adulti. La vicenda, nell’imperfetta perfezione della tragedia di Shakespeare, non manca di nulla, così com’è da cinque secoli la leggiamo e vediamo a teatro. Possiamo però goderla anche nel balletto di Sergej Prokofiev, dove alle parole si sostituiscono i gesti: buffi, quelli della balia, delicati e pieni di passione quelli dei due giovani. Non so come sia
il musical, che ha da poco debuttato, ma il musical mi pare un genere dalla fruizione relativamente facile, che porta a considerare la bellezza delle scene piuttosto che i contenuti della vicenda portata in scena. Riusciti sono certamente alcuni film tratti dalla tragedia: per ricordare i più importanti West Side Story, dove il dissidio è spostato negli anni 50 a New York e le due famiglie diventano due bande rivali (più che un musical sembra un’opera corale, l’autore infatti, Leonard Bernstein, ne ha tratto anche un’opera lirica). Poi il più che dolce Romeo e Giulietta di Zeffirelli e Romeo + Juliet di Baz Luhrmann, ambientato a Verona Beach, Los Angeles. Quest’ultimo riprende le parole di Shakespeare alla lettera, solo l’ambientazione è attuale, nonché il colpo di pistola che uccide Mercuzio al posto del pugnale. Avendo in mente queste belle rivisitazioni, ho aperto con trepidazione il Romeo e Giulietta di Andrea Camilleri. È nascosto nell’antolo-
Voti d’aria di Paolo Di Stefano Le voci all’appello «Se all’inizio la scena era vuota, adesso pullula di presenze. Le vediamo venire avanti in ordine alfabetico, come fossero chiamate all’appello». È il critico Silvio Perrella che introduce così il suo libro di interviste (Insperati incontri, Gaffi editore) immaginando una scena vuota che si riempie di voci. Sono per lo più voci di persone (per lo più defunte), scrittori critici studiosi che – anche se gli incontri risalgono a non più di trent’anni fa – sembrano provenire da un tempo archeologico. Perché gli anni del tempo passato non sono tutti uguali e gli ultimi tre decenni potrebbero essere secoli, tanto è cambiato il mondo, non solo quello letterario. E quelle voci, ancora prima di aprire il libro di Perrella, si meritano un 6 collettivo a occhi chiusi, sulla fiducia. Sentiamole. A come D’Arco Silvio Avalle, il filologo amico di Maria Corti, di Dante Isella e di Cesare Segre, l’autore di un famoso saggio, strutturalista, su Gli orecchini di Montale. Sapete che cosa diceva nel 1987? Diceva quel che diciamo noi
oggi, più o meno. Parlava del degrado del panorama culturale, diceva che era un’epoca in cui mancavano gli eroi, a parte il suo maestro Gianfranco Contini, «sicuramente il successore di Croce». E aggiungeva: «Sono personaggi, gli attuali, che mancano dal mio punto di vista di una profondità morale. D’altronde la letteratura non è solo belle lettere, è anche impatto con la vita reale, sofferenza, impegno». B come Romano Bilenchi, il grande scrittore (dimenticato) del Conservatorio di Santa Teresa. Il quale ricorda che Pound un giorno gli chiese se anche lui era uno scrittore: «Gli risposi che avevo pubblicato qualche libro di racconti e un romanzo, ma che non sarei mai diventato uno scrittore professionista». Parla del paesaggio che si fa personaggio: «sono l’albero, il fiume, i campi a dire quel che non ti dicono le persone». C come Cesare Cases, il germanista curatore e traduttore di Thomas Mann, Musil, Brecht, Kraus, Dürrenmatt, critico militante tra i più acuti e puntuti
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Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 10 luglio 2017 • N. 28
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Idee e acquisti per la settimana
shopping Il re degli ortaggi nostrani Attualità Il pomodoro in tutte le sue molteplici
varietà è ora grande protagonista nei reparti verdura di Migros Ticino
Carnoso Pomodoro di grosse dimensioni che può raggiungere i 300 grammi di peso. Ricco di polpa, è a forma di cuore e ha un sapore particolarmente dolce. È un ortaggio versatile, ed è apprezzato soprattutto in insalate, zuppe, ripieno oppure adagiato a crudo sulla pasta.
Tondo Questo pomodoro si caratterizza per la sua versatilità culinaria. Possiede un colore rosso intenso e una polpa soda e succosa. In cucina si presta bene per moltissimi piatti, dalle insalate alle salse fino alle zuppe.
Buono a sapersi Cherry Grazie al loro alto contenuto di zucchero, i pomodorini cherry o ciliegino sono perfetti da consumare crudi o come aperitivo, infatti il calore disperde il loro aroma. Sono molto amati dai bambini per il loro intenso gusto dolce e la consistenza croccante. Giovanni Barberis
Cuore di bue Il pomodoro dal sapore di una volta dalla caratteristica forma a cuore. È una varietà che può raggiungere un peso di ben 500 grammi. È poco succoso, ma molto aromatico ed è ottimo in sfiziose insalate. Ha una polpa dolce, poco acida e leggermente farinosa. Ha una colorazione rosso-rosato e a volte sfumature verdi.
Datterini Questi delicati bocconcini di color rosso brillante a forma di dattero sono molto dolci e rinfrescanti. Ricchi di vitamine, sono perfetti da soli come snack salutare tra i pasti oppure come deliziosi elementi decorativi nei piatti della cucina estiva.
San Marzano Conosciuto anche come peretto è il pomodoro da salsa per eccellenza data la sua scarsità di semi e la polpa compatta e poco acquosa. Ha una forma caratteristica a cilindro, uniforme, e raggiunta la maturazione ha un colore rosso brillante.
Ramato È venduto a grappoli su un unico ramo, da cui prende il suo nome. Ha un sapore intenso dolce-acidulo e una buccia dal coloro rosso vivo. Grazie ad una polpa particolarmente carnosa sono ottimi sia crudi nelle insalate sia appena scottati.
Illustrazioni Sergio Simona
La coltivazione del pomodoro in Ticino ha una lunga tradizione. La coltura di questa pianta in modo diffuso ebbe inizio nella metà degli anni Trenta. Da molti anni il pomodoro è l’ortaggio più importante del nostro territorio, sia per quanto attiene a superficie coltivata sia per quantitativi prodotti. Circa il 50 per cento dell’intera produzione orticola è costituita dal pomodoro. L’anno scorso la TIOR (il marchio commerciale della Federazione Ortofrutticola Ticinese FOFT) ha commercializzato qualcosa come oltre 4000 tonnellate di pomodori. Le tre varietà più apprezzate dai consumatori sono, nell’ordine, il pomodoro ramato, il pomodoro tondo e il Cherry ramato. Circa il 70 per cento della produzione viene smerciato oltre Gottardo. Mediamente ogni svizzero consuma 12 kg di pomodori all’anno.
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Idee e acquisti per la settimana
Una pausa all’insegna della dolcezza
Attualità Con i mirtilli, il gelato e i biscotti di produzione locale lo spuntino dolce
*Azione 20% sul Gelato Artigianál Ala farina bóna
Flavia Leuenberger
è pronto in un batter d’occhio
Biscotti Nostrani diversi gusti (p. es. frolle, farina bona, ciambéll) 100 g da Fr. 2.80 a 3.90
dall’11 al 17 luglio
I golosoni non si accontentano della solita merenda o dessert. Sanno che possono contare sulle prelibatezze di Migros Ticino preparate con ingredienti nostrani di prima qualità. Lo spuntino vitaminico è assicurato grazie ai mirtilli coltivati da alcuni piccoli frutticoltori ticinesi che si attengono ai criteri della produzione integrata o biologica. È interessante notare che queste bacche posseggono delle proprietà salutari non indifferenti. Contengono infatti tannini, antociani, pectina, acido citrico, zuccheri, vitamina C, provitamina A e vitamina B. Secondo la medicina popolare i mirtilli sono inoltre ottimi regolatori gastrointestinali. Oltre al consumo fresco, queste bacche blu sono utilizzate anche per succhi, bevande, sciroppi, composte, confetture e per preparare fantastiche torte e deliziosi dessert. Per chi cerca un dolce refrigerio in queste calde giornate di luglio, il gelato è sicuramente la soluzione ideale: meglio se prodotto in modo artigianale e con ingredienti naturali e genuini, come quello proposto dalla gelateria Mastro Lucibello di Contone. Avete voglia di assaggiare un gusto diverso dal solito? Provate quello arricchito con pregiata Farina Bona della Valle Onsernone. Fantastico! Infine, la pausa caffè diventa un momento indimenticabile se accompagnata da qualche golosità della nostra tradizione dolciaria. Tutti gli ingredienti di queste croccanti prelibatezze colpiscono per la loro genuinità, mentre la produzione è affidata alle mani sapienti di artigiani che da molti anni praticano questo mestiere con grande passione. Tra le molte scelte si trovano i biscotti di Paul Forni in diverse varietà e le ciambelle all’anice di Jowa.
Gelato Artigianál Ala farina bóna 330 g Fr. 6.15* invece di 7.70
Nostrani del Ticino in degustazione
Fino al 16 settembre 2017 tutti i giovedì, venerdì e sabato vi aspettano golose degustazioni di numerosi prodotti dei Nostrani del Ticino, nei supermercati Migros di Agno, Locarno, Serfontana, Grancia, S. Antonino e Lugano. Non perdetevi questo appuntamento con la bontà!
Un rinfrescante concentrato di vitamine
Un’idea per preparare in casa una rinfrescante bevanda a base di mirtilli in pochissimo tempo? Per farlo servono 500 g di mirtilli freschi, 30 g di zucchero, 2 dl d’acqua, 4 dl d’acqua frizzante e qualche cubetto di ghiaccio. Portate a ebollizione i mirtilli, lo zucchero e l’acqua. Fate sobbollire per 2 minuti. Riducete in purea con il frullatore a immersione. Passate attraverso un colino a maglie fini e lasciate raffreddare. Versate 1 dl di succo di mirtilli in ogni bicchiere, aggiungete alcuni cubetti di ghiaccio e completate con l’acqua minerale gassata.
Mirtilli Nostrani al prezzo del giorno
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Idee e acquisti per la settimana
Attualità La specialità del mese della Fondazione La Fonte è il Pane alle olive
Ingredienti di prima qualità, sapore caratteristico, ottima conservabilità e sapiente lavoro artigianale sono i segni distintivi del pane alle olive della Fondazione La Fonte. Come tutte le altre delizie mensili proposte dal supermercato Migros di Agno, anche questa specialità viene panificata all’interno del laboratorio di panetteria della Fondazione con il prezioso supporto di alcuni utenti a beneficio di una rendita d’invalidità. Il pane alle olive ha evidenti radici mediterranee e fa parte dell’antica tradizione culinaria di tutto il centro-sud della vicina penisola italiana. L’impasto viene arricchito con ben il 16% di olive e lavorato a lungo affinché possa sviluppare al meglio tutti i suoi aromi. Il sapore pronunciato si accompagna ad una crosta croccante e a una mollica morbida e vaporosa al punto giusto. Queste particolarità influiscono anche sulla conservabilità del prodotto, che risulta fresco anche dopo alcuni giorni dall’acquisto. Il pane alle olive si sposa a meraviglia con croccanti e freschissime insalate mediterranee, carni dal gusto deciso come quelle preparate sulla griglia, ma è molto apprezzato anche con affettati misti e i formaggi freschi. Tagliato a fette sottili e abbrustolito leggermente diventa la base perfetta per bruschette e crostini al pomodoro, alle verdure, al formaggio e salsiccia o al paté di fegato.
A Migros Agno ogni mese un pane diverso della Fondazione La Fonte
Pane alle olive 300 g Fr. 3.90 In vendita dal lunedì al venerdì alla Migros di Agno. Il ricavato è interamente destinato alla Fondazione La Fonte
Specialità calabresi
In ogni aperitivo che si rispetti non mancano mai le olive. Grazie alle specialità del marchio Morabito portate in tavola tutto il gusto e la tradizione della terra calabra. Queste olive da tavola italiane dal sapore unico sono prodotte da oltre 40 anni con amore e dedizione. Il Cocktail di olive snocciolate è una miscela di olive miste. È un cocktail colorato, che stuzzica l’appetito, condito con olio di girasole, peperoncino, aglio, sedano e origano; è perfet-
to per dare un inconfondibile tocco di originalità ad antipasti e a molte altre pietanze. Olive giganti scelte accuratamente fin dall’albero sono protagoniste della selezione di Olive Super Bariolé. Aromatizzate secondo antiche ricette calabresi, promettono un piacere briosamente piccante, ma delicato. Infine, per chi preferisce i gusti meno elaborati, ecco le Olive verdi caserecce, semplicemente arricchite con sfiziosi anellini di peperoncino.
Cocktail di olive snocciolate 160 g Fr. 3.50
Olive super Bariolé 200 g Fr. 3.50 In vendita nelle maggiori filiali Migros
Olive verdi caserecce 200 g Fr. 3.50
Flavia Leuenberger
Sapore mediterraneo
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Idee e acquisti per la settimana
M-Classic
Il fresco piacere di masticare
Entrambe le nuove qualità di gomme sono imballate in un flacone richiudibile.
La gomma da masticare aiuta a rafforzare la concentrazione e agisce da antistress. Quando ad esempio ci si trova alle prese con un complicato compito di geometria, è sicuramente molto meglio masticarne una, piuttosto che mordicchiare una matita. Le nuove qualità M-Classic Sweet Mint e Exotic Fruits offrono sapori tutti da scoprire. E ora è nuova anche la confezione: invece che nel sacchetto, le gomme da masticare sono contenute in un flacone rigido. Inoltre, sono addolcite dal 26 per cento di Xilite, un prodotto non nocivo per i denti.
M-Classic Sweet Mint 70 g* Fr. 3.20
M-Classic Exotic Fruits 70 g* Fr. 3.20
*disponibili in filiali selezionate nella zona delle casse
M-Industria crea molti prodotti Migros. Tra questi anche le gomme da masticare di M-Classic.
Molti altri bellissimi premi su www.swissmilk.ch
I punti fedeltà si tramutano in ricchi premi. Con la panna svizzera. Premi esclusivi attendono chi raccoglie i punti fedeltà «Swiss milk inside». I punti si troveranno su numerose confezioni di panna svizzera. Grazie di cuore a chi resta fedele ai latticini svizzeri. Lista dei premi, tessera punti e informazioni chiamando lo 031 359 57 28 oppure su www.swissmilk.ch Durata dell’azione promozionale: da metà giugno a circa fine settembre 2017
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Idee e acquisti per la settimana
Vincete!
Nel grande concorso Famigros per il rientro a scuola, il 10 luglio saranno sorteggiate 3000 box di ricette Famigros. Partecipate su: www.famigros.ch
Vanessa Glässel è responsabile di progetto Club Management di Famigros, nonché madre di tre bambini.
Vanessa Glässel
«I bambini più grandi vanno coinvolti»
«Sono felice quando posso aiutare la mamma a cucinare. Imparo sempre tante cose nuove». Lara (8 anni) di Basilea Famigros
Tutti danno una mano I primi giorni di scuola stravolgono la vita di molte famiglie. Il club per le famiglie Famigros le sostiene con idee di ricette creative e molti consigli, che contribuiscono a rasserenare l’atmosfera Testo Angela Obrist
Bambini spossati che non riescono a dormire per l’emozione, materiale scolastico che improvvisamente diventa introvabile, porta-merenda da riempire… Eh sì, la scuola può sconvolgere l’inizio della giornata di una famiglia. Scoppia il caos mattutino, con genitori stressati e bambini piagnucolosi. In questi casi i genitori possono contribuire a rasserenare gli animi adottando qualche piccolo accorgimento. Ad esempio, facendo sì che le procedure dopo lo squillo sveglia si svolgano sempre nella stessa sequenza. I bambini
vi si abituano piuttosto velocemente e si adeguano al ritmo di buon grado. Conviene anche pianificare in anticipo e assegnare la sera prima i compiti ad ognuno(v. intervista a lato). Conviene a grandi e piccini
I bambini che vanno a scuola hanno anche bisogno di un’alimentazione variata, in modo da essere reattivi durante le lezioni e il tempo libero. E non c’è bisogno che mamma e papà investano troppo tempo in cucina, perché è possibile preparare un pasto saporito anche
durante una giornata piena d’impegni. Famigros, il club della Migros per le famiglie, viene in aiuto dei genitori con la seconda edizione della sua pratica raccolta di ricette. Essa contiene 60 idee per gli spuntini mattutini e pomeridiani e prima delle attività sportive. Le pietanze sono facili e veloci da preparare e soddisfano tutti i requisiti di una dieta adatta ai bambini. Troverete altri suggerimenti degli specialisti per un’alimentazione sana sul sito Internet di Famigros. www.famigros.ch
Come fanno le famiglie a iniziare una giornata senza stress? La parola magica è: organizzazione. Scegliendo i vestiti la sera prima, le discussioni con i bambini diventano più serene. La cartella già pronta alla vigilia elimina le frenetiche ricerche mattutine. Si può apparecchiare la sera prima anche il tavolo per la prima colazione. Stessa cosa per i contenitori della merenda, che l’indomani mattina bisognerà soltanto tirare fuori dal frigo. Così resta abbastanza tempo per fare colazione tutti assieme. Ha qualche suggerimento alimentare da dare ai genitori? Consiglio di scegliere in santa pace già durante il fine settimana il menù delle merende per l’interna settimana. I bambini più grandicelli dovrebbero venire coinvolti: «C’è qualcosa che vorresti provare? Ti va di aiutarmi a preparare la tua merenda?».
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Idee e acquisti per la settimana
Anna’s Best
Leggerezza estiva
Le nuove miscele di insalate e verdure biologiche di Anna’s Best sono pratiche e veloci da preparare, ad esempio in occasione di una grigliata improvvisata. Infatti, sono già lavate e pronte all’uso. L’insalata viene tagliata subito dopo la raccolta, lavata in acqua gelata, asciugata e inserita nell’imballaggio. A causa dello shock termico, i tratti in cui è stata tagliata si richiudono e l’insalata resta fresca e croccante
Azione Punti Cumulus X 20
Testo Dora Horvath; fotografie Claudia Linsi
n i s ’ a n l u ata e m d o
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su tutte le nuove insalate e verdure Bio di Anna’s dall’11 al 24 luglio
... pasto
Anna’s Best Freschezza estiva, Bio 150 g* Fr. 3.90
Anna’s Best Tenera & croccante, Bio 2 x 100 g* Fr. 4.50
Anna’s Best Lattuga romana, Bio 2 x 125 g* Fr. 4.50
Anna’s Best Verdure del mercato, Bio 350 g* Fr. 4.90
Anna’s Best Asian Mix, Bio 250 g* Fr. 4.90
Anna’s Best Verdure estive, Bio 250 g* Fr. 4.90
* nelle maggiori filiali
Anna’s Best Foglie di spinaci, Bio 100 g* Fr. 3.30
Gli agricoltori Bio lavorano in armonia con la natura. Trattano con riguardo gli animali e le piante, il suolo e l’acqua. Testo Dora Horvath, foto Claudia Linsi
Anna’s Best Lattuga foglia di quercia, Bio 120 g Fr. 3.40
Con pochi ingredienti una lattuga diventa un pasto completo. Per saziarsi ci vuole una porzione di proteine animali o vegetali, che possono essere fornite da gamberetti, pollo, pesce, tofu, uova o lenticchie. Assunti sotto forma di pezzo di pane, i carboidrati allungano la sensazione di sazietà. Le erbe aromatiche contribuiscono invece a variare il gusto.
Parte di
Nel suo impegno a favore della sostenibilità, la Migros è da generazioni in anticipo sui tempi.
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Idee e acquisti per la settimana
Anna’s Best
Leggerezza estiva
Le nuove miscele di insalate e verdure biologiche di Anna’s Best sono pratiche e veloci da preparare, ad esempio in occasione di una grigliata improvvisata. Infatti, sono già lavate e pronte all’uso. L’insalata viene tagliata subito dopo la raccolta, lavata in acqua gelata, asciugata e inserita nell’imballaggio. A causa dello shock termico, i tratti in cui è stata tagliata si richiudono e l’insalata resta fresca e croccante
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Testo Dora Horvath; fotografie Claudia Linsi
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su tutte le nuove insalate e verdure Bio di Anna’s dall’11 al 24 luglio
... pasto
Anna’s Best Freschezza estiva, Bio 150 g* Fr. 3.90
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Anna’s Best Foglie di spinaci, Bio 100 g* Fr. 3.30
Gli agricoltori Bio lavorano in armonia con la natura. Trattano con riguardo gli animali e le piante, il suolo e l’acqua. Testo Dora Horvath, foto Claudia Linsi
Anna’s Best Lattuga foglia di quercia, Bio 120 g Fr. 3.40
Con pochi ingredienti una lattuga diventa un pasto completo. Per saziarsi ci vuole una porzione di proteine animali o vegetali, che possono essere fornite da gamberetti, pollo, pesce, tofu, uova o lenticchie. Assunti sotto forma di pezzo di pane, i carboidrati allungano la sensazione di sazietà. Le erbe aromatiche contribuiscono invece a variare il gusto.
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Nel suo impegno a favore della sostenibilità, la Migros è da generazioni in anticipo sui tempi.
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Per raggiungere i suoi traguardi, il bambino ha bisogno del sostegno di tante persone. Da parte dei genitori, dei parenti, degli amici, degli insegnanti e di Pro Juventute. Noi ci siamo quando i bambini hanno bisogno di noi. Da 100 anni. projuventute.ch
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10.40 invece di 16.– Cosce inferiori di pollo Optigal speziate in conf. speciale in vaschetta d’alluminio, Svizzera, al kg
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9.10 invece di 13.10 Cordon bleu di pollo prodotti in Svizzera con carne di pollo dal Brasile/ Argentina, in conf. da 4 x 150 g / 600 g
40%
6.95 invece di 11.60 Prosciutto crudo dei Grigioni surchoix in conf. speciale Svizzera, 158 g
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25%
4.20 invece di 5.60 Filetto di tonno (pinne gialle) Oceano Pacifico / Maldive, per 100 g, fino al 15.7
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Hit
40%
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Mirtilli Italia/Portogallo, vaschetta da 500 g
20% Tutti i succhi freschi Andros per es. succo d’arancia, 1 l, 3.80 invece di 4.80
20%
6.30 invece di 7.90 Ciliegie bio Svizzera, conf. da 500 g
– .4 0
di riduzione
2.10 invece di 2.50 Pane alla ticinese TerraSuisse chiaro 400 g
Zucchine Svizzera, al kg
25%
5.60 invece di 7.50 Albicocche Vallese/Spagna/Francia, al kg
40%
–.70 invece di 1.20 Anguria XL Italia, al kg
30%
1.– invece di 1.50 Lattuga cappuccio verde Svizzera, il pezzo
4.50 invece di 5.40 Uova svizzere da allevamento all’aperto 9 x 53 g+
Migros Ticino OFFERTE VALIDE SOLO DALL’11.7 AL 17.7.2017, FINO A ESAURIMENTO DELLO STOCK
30% Tutto l’assortimento Galbani per es. Mozzarella, conf. da 150 g, 1.25 invece di 1.80
20%
2.– invece di 2.50 Furmagèla (formaggella della Leventina) prodotta in Ticino, a libero servizio, per 100 g
3.30 invece di 4.20 Cetrioli da campo Ticino, al kg
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conf. da 2
15%
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Tutti i prodotti di pasticceria alle fragole per es. vasetto alle fragole, 95 g, 2.30 invece di 2.90
40% Tortellini M-Classic in conf. da 2 per es. Tre colori al basilico, 2 x 500 g, 7.– invece di 11.80
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LEGGEREZZA CROCCANTE C’è più gusto a mangiare leggero con i burger vegetali di Cornatur, ben abbrustoliti e accompagnati da verdure e da una croccante insalata estiva con funghi skiitake. Trovate la ricetta su migusto.ch e tutti gli ingredienti freschi alla vostra Migros.
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25% Prodotti Cornatur in conf. da 2 per es. vegetable burger, 2 x 240 g, 6.70 invece di 9.–
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20% Tutte le torte non refrigerate per es. torta di Linz M-Classic, 400 g, 2.40 invece di 3.–
20%
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Jumpy’s alla paprica, Flips e Kelly Popcorn Chips Tutta la frutta e tutte le bacche surgelate in conf. da 2 per es. Jumpy’s alla paprica, 2 x 100 g, 3.65 invece di (Alnatura escluse), per es. lamponi M-Classic, 500 g, 6.20 invece di 7.80 4.60
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5.– invece di 6.30 Panna intera UHT Valflora in conf. da 2 2 x 500 ml
20% Tutti gli yogurt Excellence per es. alle fragoline di bosco, 150 g, –.75 invece di –.95
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20% Tutto l’assortimento Actilife per es. Breakfast, 1 l, 1.45 invece di 1.85
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Spaghetti, pennette o tortiglioni Agnesi 500 g + 500 g gratis, 1 kg, per es. spaghetti
30% Tutto il caffè in chicchi e macinato, 500 g per es. caffè in chicchi Classico Boncampo, UTZ, 500 g, 3.35 invece di 4.80
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15.– invece di 30.10 Cioccolatini Selection Frey in busta da 1 kg, UTZ assortiti
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33% Petit Beurre in conf. da 3 cioccolato al latte o cioccolato fondente, per es. cioccolato al latte, 3 x 150 g, 5.– invece di 7.50
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20% Tutti gli apparecchi e le bottiglie SodaStream per es. bottiglia per soda, bianca, 1 litro, il pezzo, 7.80 invece di 9.80, offerta valida fino al 24.7.2017
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conf. da 10
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14.90 invece di 21.30 Tavolette di cioccolato Frey da 100 g in conf. da 10, UTZ assortite
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di riduzione Tutti i biscotti in rotoli (Alnatura esclusi), per es. biscotti margherita, 210 g, 1.40 invece di 1.90
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1.50
5.75 invece di 7.20
di riduzione
Gelato in coppetta monoporzione in conf. da 4 Ice Coffee, Japonais o banana split, per es. Japonais, 4 x 165 ml
Tutti i detergenti Potz in conf. da 2 per es. Calc, 2 x 1 l, 8.30 invece di 9.80, offerta valida fino al 24.7.2017
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7.80 invece di 10.40 Tutti i tipi di Coca-Cola in conf. da 8, 8 x 500 ml per es. Classic
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20% Tutto l’assortimento Sun Look (confezioni multiple escluse), per es. Sun Milk protect, IP 30, 200 ml, 8.– invece di 10.–, offerta valida fino al 24.7.2017
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Altre offerte. Pesce, carne e pollame
Fiori e piante
Burro estivo per piedi lamponi e menta Pedic, 150 ml, 7.50 Novità **
Near Food/Non Food
Rasoio o lametta Philips OneBlade, per es. rasoio, il pezzo, 39.80 Novità **
Salsiccia al pepe della Valle Maggia, prodotta in Ticino, in conf. da 180 g, 3.30 invece di 4.80 30%
Pane e latticini
Tutti i prodotti Covergirl Katy Kat, per es. mascara Very Black, il pezzo, 11.90 Novità ** Girasoli, mazzo da 5, 9.65 invece di 12.90 25%
Altri alimenti
Crostata ai frutti di bosco Anna’s Best, Limited Edition, 215 g, 3.40 Novità **
Slip midi da donna Ellen Amber in conf. da 3, disponibili in nero o bianco, taglie S–XL, per es. neri, tg. M, 9.90 Hit **
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Alimenti per cani Cesar in vaschetta, per es. ricette di campagna, tacchino e manzo, 4 x 150 g, 4.15 Novità **
20x PUNTI
Noodle Soup AnSungTangMyun Nongshim da 125 g o Chapaghetti Noodles Nongshim da 140 g, per es. Noodle Soup AnSungTangMyun Nongshim, 1.90 Novità **
a partire da 2 pezzi
50%
Panino ticinese e panino ticinese di sils TerraSuisse, 90 g, per es. panino ticinese TerraSuisse, 90 g, –.80 invece di 1.– 20% Tutti pane Val Morobbia, per es. TerraSuisse, 320 g, 2.05 invece di 2.60 20%
Ammorbidenti Exelia a partire da 2 pezzi, 50% di riduzione
Miele di fiori in flacone squeezer in conf. da 2, 2 x 500 g, 9.65 invece di 13.80 30% Gatorade Red Orange, Mandarine e Cool Blue Rasperry, 75 cl, per es. Cool Blue Rasperry, 75 cl, 2.70 invece di 3.40 20%
Pasta di curry rosso piccante Thai Kitchen, 225 g, 4.50 Novità ** Insalate da taglio e verdura bio Anna’s Best, disponibili in diverse varietà, per es. lattuga foglia di quercia, 120 g, 3.40 Novità **
Fragole M-Classic, 145 g, 1.80 Novità ** Fagioli edamame bio, M-Classic, 140 g, 1.90 Novità **
**Offerta valida fino al 24.7 Migros Ticino OFFERTE VALIDE SOLO DALL’11.7 AL 17.7.2017, FINO A ESAURIMENTO DELLO STOCK
Da giovedì 13.7 fino a sabato 15.7.2017
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1.95 invece di 3.30 Petto di pollo Optigal, 4 pezzi Svizzera, per 100 g, offerta valida dal 13.7 al 15.7.2017
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Vanish Oxi Action bianco in confezioni speciali 1,5 kg Le offerte sono valide fino al 17.7.2017 e fino a esaurimento dello stock. Trovi questi e molti altri prodotti nei punti vendita melectronics e nelle maggiori filiali Migros. Con riserva di errori di stampa e di altro tipo.
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57
Idee e acquisti per la settimana
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Le patatine di quinoa Le nuove croccanti patatine fritte di Denny’s prodotte con la quinoa sono il contorno ideale per la carne e il pesce, ma anche un saporito spuntino tra i pasti. L’alternativa alle classiche pommes frites si prepara, infatti, in una decina di minuti, sia al forno che nella friggitrice. Da sapere: ricca di sostanze minerali, la quinoa è originaria dal Sud America proprio come la patata e non è un cereale benché venga chiamata anche «grano delle Ande». Fa invece parte della stessa famiglia botanica delle barbabietole e degli spinaci.
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63
Idee e acquisti per la settimana
Exelia
Per teli da spiaggia morbidi e assorbenti
I tre ammorbidenti trasparenti Exelia Blue Splash, Tropical Fresh e Green Spring rendono la biancheria profumata di fresco, un profumo che dura a lungo. I tessuti inoltre rimangono gradevolmente morbidi. Questo è un vantaggio di cui godere particolarmente in estate: gli asciugamani da spiaggia si mantengono ben assorbenti e soffici. Oltre a ciò gli ammorbidenti distendono le eventuali pieghe e sgualciture, rendono più facile la stiratura e impediscono la carica elettrostatica dei tessuti.
*Azione 50% su tutti gli ammorbidenti Exelia all’acquisto di 2 prodotti dall ’11 al 24 luglio
Exelia Blue Splash Ammorbidente 1 l Fr. 3.25* invece di 6.50
Exelia Tropical Fresh Ammorbidente 1 l Fr. 3.25* invece di 6.50
Exelia Green Spring Ammorbidente 1 l Fr. 3.25* invece di 6.50
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