Cooperativa Migros Ticino
Società e Territorio Un saggio di Mitch Prinstein indaga su quanto il potere di piacere agli altri ci influenzi
Ambiente e Benessere Come evolve il genere umano: in passato sfruttando nicchie eco-culturali, oggi addirittura modificandole
G.A.A. 6592 Sant’Antonino
Settimanale di informazione e cultura Anno LXXX 25 settembre 2017
Azione 39 Politica e Economia Donald Trump debutta alle Nazioni Unite e auspica un risveglio del nazionalismo
Cultura e Spettacoli Apre a Bellinzona l’antenna ticinese dell’ente nazionale Musikschaffende Schweiz
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di Giorgio Thoeni pagina 37
Viviana Cangialosi/Compagnia Finzi Pasca
La musica, anima del teatro
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Una Svizzera più ticinese di Peter Schiesser È stata una bella elezione, mercoledì 20 settembre 2017, con quei 125 voti decisivi al secondo turno. Oseremmo dire che Ignazio Cassis, fin dall’inizio il candidato più accreditato, ce l’ha fatta in scioltezza. Ha retto alla pressione di una campagna durata tutta l’estate senza compiere passi falsi fatali, è stato trasparente (anche politicamente), serio, gioviale, così come lui è. E con lui hanno avuto ragione il presidente del PLR ticinese Bixio Caprara e chi, con esperienza nella politica federale come Fulvio Pelli, aveva consigliato una strategia del candidato unico: alla fine Isabelle Moret e Pierre Maudet si sono dovuti dividere i voti romandi e di una parte della sinistra. Ma, soprattutto, questa volta nella Svizzera tedesca c’era il riconoscimento diffuso che toccasse ad un ticinese. E con Ignazio Cassis il PLR ha trovato un candidato che si inserisce bene nella linea di centrodestra del partito che dopo le elezioni federali del 2015 rispecchia anche la maggioranza del Consiglio nazionale. Strategia vincente non ammette repliche, richiama solo complimenti. È stato bello vedere come in questo frangente storico, di confusioni
geopolitiche, di pressioni globaliste (economiche, migratorie, sociali), la politica federale abbia dimostrato che le sue istituzioni sono solide (Didier Burkhalter ha sottolineato come nella politica svizzera siano più importanti le istituzioni degli uomini) e abbia riconosciuto che fosse il momento di avere di nuovo in governo un esponente della Svizzera italiana. Potrà venirne un vantaggio per la Svizzera intera, in particolar modo nei rapporti con l’Italia: come hanno detto anche Cassis e Pelli, non possiamo negoziare con Roma in inglese, senza conoscere l’animo (e le tattiche) degli italiani. Ma soprattutto Cassis avrà modo di far filtrare all’interno del Consiglio federale una sensibilità latina, sia per i problemi che riguardano in particolar modo il Ticino, sia per soluzioni possibili per problemi nazionali. Interessante sarà vedere se e come le sue posizioni influenzeranno la politica europea del governo, indipendentemente dal dipartimento che dirigerà (la decisione è arrivata a giornale in stampa). Ed è stato bello vedere, nella diretta televisiva da Berna e dal comune di Collina d’oro, l’entusiasmo che serpeggiava fra le autorità, i politici e i sostenitori ticinesi. Una simpatia verso il candidato Cassis che si è colta anche nelle calorose felicitazioni dei colleghi del Parlamen-
to. Una festosa giornata storica che senza dubbio riporta il Ticino un po’ più vicino a Berna, dopo anni di silenziose derive. Ma presto la festa cederà il passo alla quotidianità, Ignazio Cassis dovrà imparare il mestiere di consigliere federale. Nel suo discorso di accettazione dell’elezione, rivolto a sua moglie ha promesso: non cambierò. Manterrà dunque il suo modo di essere aperto e gioviale, di persona che vuole piacere agli altri. Tuttavia, le pressioni saranno forti, le aspettative molto alte. In una serata di agosto, ritrovandoci seduti accanto all’altro in Piazza Grande al festival di Locarno, chiedendogli se non lo faceva tremare l’idea di prendere in mano un dipartimento, mi rispose che, no, quell’idea gli dava gioia e forza; quel che mi dà una pressione enorme, aggiunse, sono le aspettative nei miei confronti: come consigliere federale lo sarò per tutta la Svizzera, non solo per il Ticino, e da solo non avrò comunque il potere di soddisfarle, quindi se a certi problemi non si troverà soluzione chi è contro di me potrà facilmente dire, ecco, Cassis non è stato capace. La responsabilità di questa carica, concludiamo noi, è davvero enorme, l’augurio è che l’umiltà dimostrata fin qui da Ignazio Cassis possa valergli il rispetto di tutti.
Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 25 settembre 2017 • N. 39
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Attualità Migros
M La nuova Migros Caslano
Filiali Apre giovedì prossimo la filiale di via Stazione 80. Per l’occasione, fino a sabato 30 settembre,
colazione e aperitivo offerti e 10 per cento di sconto sull’intero assortimento
Il mattino la filiale aprirà alle 6.45, con bibite calde e cornetti per chi aspetta il trenino nella vicina stazione L’esercizio dispone di 25 pratici parcheggi gratuiti e si prefigge l’obiettivo di diventare un nuovo punto di riferimento in zona per gli acquisti quotidiani, servendo comodamente tutta la popolazione del Basso, Medio e Alto Malcantone. La filiale si presenta con una superficie di vendita di 500 metri quadrati e assortimenti ben calibrati e orientati a soddisfare i più attuali bisogni degli avventori. Oltre a due casse a nastro classiche, il pubblico avrà a disposizione anche due pratiche e veloci casse self-checkout Subito. La clientela avrà dunque la possibilità di fare una spesa pratica, rapida e completa. L’offerta di prodotti alimentari è focalizzata sul fresco, con il fiore all’occhiello rappresentato dal reparto frutta e verdura. Sarà poi garantito un assortimento di beni di prima necessità del non
food. Un altro punto di forza del negozio è certamente il moderno forno per la cottura del pane, che permetterà alla clientela di acquistare prodotti freschissimi fino alla chiusura del negozio. I clienti potranno inoltre muoversi in ambienti spaziosi, accoglienti e luminosi. Buona notizia poi per tutti pendolari che si serviranno della fermata del trenino di Caslano, d’ora in avanti, infatti, dalle 06.45 in poi si potranno acquistare bibite calde e ottimi cornetti a prezzo moderato. Le strutture all’avanguardia, caratterizzate dai più alti e innovativi standard di costruzione e di sostenibilità ambientale, garantiranno piena efficienza e un moderato consumo energetico. Anche gli impianti d’illuminazione LED a basso impatto e i frigoriferi a gas naturale CO2 faranno la loro parte. Per sottolineare questo nuovo significativo intervento nella propria rete di vendita, Migros Ticino ha previsto varie iniziative, regali e buoni per tutta la popolazione e uno sconto generale del 10 per cento concesso sull’intero assortimento durante le giornate di giovedì 28, venerdì 29 e sabato 30 settembre, con orario continuato dalle 06.45 in avanti (informazioni dettagliate a pag. 42 di questo numero). La responsabile Jasmine Bracelli e i suoi undici collaboratori, cordiali e ben preparati, sono pronti a soddisfare i bisogni della clientela con cura e attenzione, in un clima accogliente e famigliare. Orari di apertura
Lu-ve: 06.45-18.30, sa 06.45-17.00, Tel. 091 82170 80.
Il team di vendita della nuova filiale Migros di Caslano: al centro la gerente Jasmine Bracelli. (Ti-Press)
Avventure nel mondo magico di Storymania Promozioni L ’ultima raccolta Migros propone, fino al 30 ottobre,
piccoli supereroi le cui avventure sono narrate in fantastiche audiostorie
Nella nuova «Mania» proposta da Migros ogni personaggio custodisce un’audiostoria che può essere ascoltata tramite lo smartphone, il tablet o il «box audio» StoryMania. Per ricevere un audiopersonaggio gratuito è necessario completare una cartolina di raccolta con 10 bollini, ognuno dei quali vale 20 franchi di spesa. L’avventura inizia con Mick, un bambino di 8 anni, che un giorno scopre in soffitta una scatola magica con tanti personaggi colorati. Non appena appoggia uno dei personaggi sulla scatola, si schiude un mondo da favola con tante storie avvincenti. Queste sono frutto della collaborazione con gli esperti della casa editrice per bambini Spick Books: la StoryMania si rivolge infatti ai bambini dai 3 ai 12 anni. Undici dei dodici personaggi della raccolta custodiscono un’audiostoria. Con la piccola civetta Lulu è invece possibile registrare una storia personale. Per ascoltare le audiostorie occorre aprire l’app Migros Play sul cellulare o sul tablet e passare allo scanner gli au-
Azione
Settimanale edito da Migros Ticino Fondato nel 1938 Redazione Peter Schiesser (redattore responsabile), Barbara Manzoni, Manuela Mazzi, Monica Puffi Poma, Simona Sala, Alessandro Zanoli, Ivan Leoni
Il «box audio» Storymania.
diopersonaggi: la storia inizierà subito sul proprio dispositivo! Un’esperienza davvero speciale è riservata a chi ascolta le storie con il «box audio» StoryMania. A tal fine è sufficiente utilizzare un cavo di collegamento per scaricare le storie dal proprio computer al box. Da quel momento in poi esso si trasforma nella scatola magica di Mick. Non appena vi si appoggia sopra un personaggio, inizia Sede Via Pretorio 11 CH-6900 Lugano (TI) Tel 091 922 77 40 fax 091 923 18 89 info@azione.ch www.azione.ch La corrispondenza va indirizzata impersonalmente a «Azione» CP 6315, CH-6901 Lugano oppure alle singole redazioni
il racconto della sua storia avvincente. I bollini per gli audiopersonaggi sono disponibili in tutte le filiali Migros Ticino. Per ricevere un personaggio occorre completare una cartolina da 10 bollini. Ogni 20 franchi spesi il cliente riceve un bollino e al massimo possono essere consegnati 15 bollini per acquisto. Per la prima volta, i personaggi possono anche essere acquistati. Ogni audiopersonaggio costa fr. 9.50. Il box audio StoryMania è in vendita a fr. 39.–. Anche per questa promozione «Mania», così come per quelle del passato, Migros propone un ricco programma collaterale comprensivo di roadshow. Durante questi eventi i bambini possono immergersi direttamente nel mondo dei loro piccoli supereroi ascoltando diverse storie con le cuffie, colorando fogli o guardando i supereroi in azione con gli occhiali per la realtà virtuale. Per informazioni dettagliate sulla promozione consultare www.storymania.ch. Editore e amministrazione Cooperativa Migros Ticino CP, 6592 S. Antonino Telefono 091 850 81 11 Stampa Centro Stampa Ticino SA Via Industria 6933 Muzzano Telefono 091 960 31 31
Concorso
Questo strategico supermercato, fortemente voluto dall’azienda, completa la rete di vendita di Migros Ticino nella regione, con un’ottica di prossimità alla clientela. L’investimento ha sfiorato il milione e mezzo di franchi. Il moderno negozio, situato a fianco della fermata del trenino FLP di Caslano e nei pressi di un’importante arteria viaria, può essere facilmente raggiunto a piedi, con i principali mezzi pubblici o in automobile.
Settimane musicali I Barocchisti e il Coro della RSI Chiesa del Collegio Papio, Ascona Lunedì 9 ottobre, ore 20.30 Biglietti in palio Diretti dal maestro Diego Fasolis, brillante interprete della sua generazione che unisce rigore stilistico a incredibile virtuosismo, il Coro della RSI e I Barocchisti (orchestra fondata da Fasolis nel 1998), si esibiranno in un concerto dal sapore antico. Il concerto omaggerà Claudio Monteverdi, nato 450 anni fa, con la Messa a sei voci e il Combattimento di Tancredi e Clorinda estratto dai Canti Guerrieri dell’VIII libro di Madrigali.
giochi@azione.ch Regolamento Migros Ticino offre ai lettori di «Azione» i biglietti gratuiti per il concerto sopra menzionato nell’ambito della rassegna Settimane Musicali Ascona (max. 2 biglietti per economia domestica). La partecipazione è riservata a chi non ha beneficiato di vincite in occasione di analoghe promozioni nel corso degli scorsi mesi.
Per partecipare basta inviare, entro mercoledì 27 settembre alle 24.00, una email a giochi@azione.ch indicando il proprio nome, cognome, indirizzo postale e la parola chiave «Coro» nell’oggetto. I vincitori saranno estratti a sorte tra tutti i partecipanti. Buona fortuna!
Biglietti in palio per gli eventi sostenuti dal Percento culturale di Migros Ticino
Tiratura 101’766 copie Inserzioni: Migros Ticino Reparto pubblicità CH-6592 S. Antonino Tel 091 850 82 91 fax 091 850 84 00 pubblicita@migrosticino.ch
Abbonamenti e cambio indirizzi Telefono 091 850 82 31 dalle 9.00 alle 11.00 e dalle 14.00 alle 16.00 dal lunedì al venerdì fax 091 850 83 75 registro.soci@migrosticino.ch Costi di abbonamento annuo Svizzera: Fr. 48.– Estero: a partire da Fr. 70.–
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Società e Territorio Archivi Un volume e una mostra raccontano la storia della scuola delle Cappuccine del monastero San Giuseppe a Lugano
Il paesaggio della Valle di Muggio Una mostra a Casa Cantoni indaga l’evoluzione della valle attraverso fotografie, dipinti e immagini 3D pagina 6
Il Parco dei Mulini Nelle Centovalli è stata valorizzata un’antica area artigianale tra Borgnone e Lionza lungo la Via del Mercato pagina 8
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Ma quanto sei popolare? (Keystone)
Adolescenti per sempre
Psicologia A 16 anni impariamo come conquistare o invidiare la popolarità e la fama. Un’attitudine
che manteniamo da adulti e che ci influenza, complici anche i social media, basati sui like e sulla voglia di piacere Stefania Prandi Restiamo per sempre un po’ adolescenti. Nelle relazioni con gli altri, reali o virtuali che siano, seguiamo gli schemi di comportamento di quando avevamo 16 anni. A seconda dei modelli familiari, del nostro aspetto, del carattere, abbiamo imparato a provare ammirazione o invidia per chi era più popolare di noi, a sentirci isolati e incompresi, a nasconderci dietro la timidezza, oppure, al contrario, a provare euforia e onnipotenza per essere tra i più «fighi» della scuola, ad adottare strategie per mantenere alta l’ammirazione degli altri nei nostri confronti. A sostenere che viviamo, per certi aspetti, sull’onda di un’adolescenza senza fine, è Mitch Prinstein, professore e direttore di Psicologia clinica all’Università del North Carolina a Chapel Hill, Stati Uniti. Il suo saggio, appena pubblicato, dal titolo Popular: The Power of Likability In A Status-Obsessed World (Fama: il potere di piacere agli altri in un mondo ossessionato dal prestigio), è il risultato di vent’anni di studi e ricerche sui concetti di «popolarità». Con quest’ultimo termine si può intendere sia l’opinione positiva che amici e
colleghi hanno di noi, sia il «prestigio», cioè il potere e l’influenza che abbiamo sugli altri. Come scrive Prinstein, il bisogno di popolarità è biologicamente determinato. Vogliamo sentirci inclusi nel gruppo, non essere emarginati. Ci sono però due tipi di fama, una «buona» e l’altra «cattiva». La prima, connaturata al genere umano, per come si è evoluto nel corso dei millenni, è quella che porta gli altri a volere stare in nostra compagnia, a divertirsi con noi, e sentirsi a proprio agio, a darci fiducia. La seconda, invece, arriva dal nostro periodo da teenager e c’entra con la reputazione, la visibilità, l’influenza sugli altri, il potere. Pensando al mondo dei social media, alle star di Instagram, a chi fa record di like su Facebook, oppure ha uno stuolo di follower su Twitter, si può dire che questa seconda forma di fama ha a che fare con la celebrità. E non porta a molto di buono – tranne per chi riesce a farne un mestiere – perché diventa la causa di problemi di relazione, dipendenza da sostanze o alcol, depressione, rapporti di amicizia e di coppia non duraturi. In generale, secondo uno studio realizzato da un team di ricercatori dell’Università della Virginia, che
ha seguito 184 bambini per dieci anni, quelli che al liceo erano i più ammirati se la passano male, in età adulta. Sembra molto meglio avere fatto parte della schiera di chi era un po’ nerd, e cioè della maggioranza, visto che il 95 per cento delle persone non faceva parte del gruppo degli eletti, alle superiori. Ci sono però delle eccezioni: c’è chi riesce, attraverso la popolarità «buona», ad ottenere anche la fama, come conseguenza per così dire naturale. Si tratta di un’abilità che, in genere, si eredita: i genitori che erano popolari a scuola hanno figli altrettanto brillanti. Resta sempre il rischio di una forzatura di fondo: per piacere agli altri, infatti, è importante non mostrare di essere troppo assorbiti da se stessi, ma si deve dare l’idea che lo charme sia un prodotto del caso, un dono del destino. Raramente, però, le cose stanno così: spesso chi gode di un’alta reputazione è semplicemente abbastanza abile da nascondere la fatica e l’ambizione che si cela sotto la maschera di spontaneità e leggerezza. E c’è un prezzo da pagare: se non si è sinceri con gli altri, si rischia di instaurare rapporti falsi e di sprofondare, nel lungo periodo, nella solitudine. I meccanismi descritti da Prinstein
sono evidenti quando si osservano i comportamenti sui social media. Come ha spiegato il professore di Psicologia clinica al sito americano di informazione Refinery29, «ci sono persone che usano i social media cercando i feedback degli altri, in un modo che enfatizza il confronto sociale. Questo è il bacio della morte che può portare un rischio di depressione. Se si va sui social guardando gli altri e mettendosi in competizione, chiedendosi ogni volta se si è popolari come loro, si rischia davvero di stare male. Di recente col mio team di ricerca abbiamo fatto degli studi su quelli che vengono definiti gli “arrivisti digitali”, cioè persone che vanno esplicitamente sui social in cerca di quanta più attenzione possibile. Gli utenti più giovani che hanno questo approccio rischiano un crollo, con conseguente abuso di sostanze e forme di autolesionismo. Certamente i social media possono essere usati in ottimi modi, per rafforzare le relazioni con amici e conoscenti, ma è davvero facile “andare in fissa” con l’aspetto della fama e del prestigio perché sono piattaforme create proprio per essere indicatori numerici di quanto piacciamo, secondo criteri che la società non dovrebbe enfatizzare. Sono davvero preoccupato
per il messaggio che stiamo dando alle nuove generazioni, potrebbe essere la ricetta per il disastro». Difficile dargli torto, se si considerano le classifiche dei cosiddetti influencer, chi spopola su Instagram e diventa milionario postando foto di sé in ogni momento della giornata, da quando si lava i denti a quando mangia, collezionando commenti e like, oppure si «specializza» su un aspetto specifico, rendendolo unico. Così ha fatto Jen Selter, ventenne da 11,4 milioni di follower e 13mila euro a post promozionale, famosa per il suo fondoschiena da urlo – onnipresente nelle sue foto – frutto di esercizi estenuanti, come racconta lei stessa, anche nel bel mezzo della notte. Un altro modello di popolarità per le nuove generazioni è l’influencer Huda Kattan, quasi 21 milioni di follower su Instagram, 18mila dollari per ogni post sponsorizzato, che realizza tutorial su come truccarsi: nelle interviste dice di «alzarsi alla mattina con una voglia matta di provare nuovi prodotti e nuove marche». Modelli che rendono sicuramente difficile la decostruzione dei meccanismi adolescenziali e che, nonostante le raccomandazioni di Prinstein, sembrano essere sempre più popolari.
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Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 25 settembre 2017 • N. 39
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Società e Territorio
Dal ricamo alla lettura
Storia Valorizzato attraverso un volume e una mostra il piccolo ma singolare archivio delle Suore Cappuccine
del monastero San Giuseppe di Lugano la cui scuola rimase attiva per oltre due secoli
Stefania Hubmann Un insegnamento incentrato sulla preparazione di buone mogli e madri che nel tempo assume però anche carattere formativo grazie alla volontà di alcune allieve di diventare maestre. Siamo nella seconda metà del Settecento e la scuola è quella del monastero San Giuseppe a Lugano, città che conta circa 4400 abitanti. L’educandato per le ragazze delle famiglie benestanti e la scuola di carità gratuita gestiti dalle monache Clarisse Cappuccine costituiscono un punto di riferimento per lo sviluppo dell’educazione femminile in Ticino. Grazie a documenti recentemente riscoperti, in particolare al Libro degli atti, minuziosa cronaca della vita nel monastero, le storiche Manuela Maffongelli e Miriam Nicoli hanno potuto ricostruire tappe significative di questa evoluzione in un’epoca antecedente a quelle finora indagate.
Le monache Clarisse Cappuccine arrivarono a Lugano nel 1748, il loro educandato fu un punto di riferimento per l’educazione femminile in Ticino Un volume e una mostra – aperta fino al 24 novembre nell’ex-monastero, oggi Centro pastorale diocesano – racchiudono le principali scoperte delle due storiche. Da ammirare in particolare i lavori di cucito e ricamo come l’alfabeto del 1863 che dà il titolo al libro: Ricamare l’alfabeto. Le Cappuccine di Lugano e l’educazione femminile (XVIII e XIX secolo). Nell’Ottocento la pratica di studiare l’alfabeto
Alfabeto ricamato. (Arch. Diocesano Lugano, Fondo ex monastero S. Giuseppe)
ricamandolo era molto diffusa. Lo affiancano nell’esposizione un notevole erbario, grandi tavole didattiche, pregevoli disegni, fotografie d’epoca, libri di preghiera. «La documentazione era ancora sul posto, in cantina. Lì è rimasta dalla chiusura del monastero nel 2000, fino a due anni fa. È stata cercata e trovata da Miriam Nicoli, ricercatrice e docente all’Università di Losanna, con la collaborazione di Gabrio Figini dell’Archivio Diocesano di Lugano e di don Nicola Zanini, Vicario generale». A fornire dettagli e curiosità della ricerca è Manuela Maffongelli, collaboratrice scientifica dell’Associazione Archivi Riuniti Donne Ticino (AARDT) che ha curato il volume in collaborazione con Miriam Nicoli. Responsabile della biblioteca di AARDT, dotata di oltre 5mila volumi, e del progetto Tracce di donne, dedicato alle biografie femminili ticinesi del XIX e XX secolo, la nostra interlocutrice spiega che per la prima volta l’Associazione ha deciso di pubblicare una ricerca basata su un archivio esterno a quelli depositati presso la sua sede. Sede che proprio quest’anno è stata trasferita dalla storica dimora di Melano a Massagno, in locali moderni e funzionali, adatti ad accogliere un centinaio di fondi privati e la citata biblioteca. Aperta anche al pubblico, la sede di AARDT corona sedici anni di attività affermandosi come un vero e proprio centro culturale per la storia delle donne. Ed è proprio l’importanza dell’impegno delle Cappuccine per l’educazione femminile, un impegno costante protrattosi per ben 237 anni (dal 1749 al 1986), che ha spinto l’Associazione, presieduta da Renata Raggi-Scala, a promuovere e pubblicare questa indagine. Prosegue Manuela Maffongelli: «Abbiamo realizzato per la prima volta un lavoro a quattro mani, suddividendo in due il periodo storico da analizzare. Quest’ultimo è stato limitato alla seconda metà del Settecento, quando lo Stato del Cantone Ticino non esisteva ancora, e all’Ottocento, secolo di grandi cambiamenti con la nascita e la diffusione della scuola pubblica. L’obiettivo era infatti di risalire alle origini dell’educazione femminile che all’epoca era concepita come preparazione al matrimonio, sia dal punto di vista educativo (leggere, scrivere, far di conto) sia da quello comportamentale. Le altre ricerche promosse da AARDT si erano invece finora concentrate su vicende significative più recenti, risalenti al Novecento».
Erbario di Marta Solari, probabilmente fine XIX secolo. (Archivio Diocesano di Lugano, Fondo ex monastero San Giuseppe)
Prezioso e indispensabile punto di partenza delle indagini, il Libro degli Atti, redatto ininterrottamente dalle Cappuccine dal 1748, anno del loro arrivo a Lugano, fino al 2000. «I due grandi volumi – spiega l’intervistata – offrono uno spaccato della realtà del monastero. Sono una sorta di diario della comunità. Le monache annotavano tutto con grande precisione in forma di prosa, ciò che facilita l’approfondimento delle indagini in altri archivi come nel caso di una visita municipale della Città. Nomi, cognomi, date di entrata e uscita dalla scuola, anno del conseguimento del diploma, sono
informazioni molto importanti per andare sulle tracce di figure di spicco, come ad esempio Francesca Cometta, educanda diventata maestra nel 1880 e poi, prendendo i voti, suor Delfina nel 1884. Questi riscontri hanno grande valore anche per le ricerche sulle famiglie borghesi e aristocratiche di Lugano dalle quali provenivano le allieve dell’educandato». Non tutte le giovani che ancora bambine entravano nella scuola delle Cappuccine seguivano poi la vocazione religiosa. Certo, l’insegnamento aveva comunque una forte connotazione in questo senso, con severe regole
bene la saggia Ella, una vecchia signora di Åhus. Intorno ai tre bambini ci sono vari adulti che contengono e rassicurano (conoscenti, genitori, insegnanti), sebbene siano spesso troppo presi dai propri problemi da «grandi» per soffermarsi a notare quei sottili spiragli sull’Altrove che i bambini disvelano. I tre bambini protagonisti, pur essendo a loro modo tre «spaesati» (Billie non ha più il papà e si è trasferita lì da poco, con la mamma e il suo nuovo compagno; Aladdin è arrivato in Svezia dalla Turchia e abita con i genitori che gestiscono un ristorante; Simona abita in una cittadina vicina e viene ad Åhus in visita, a trovare i suoi amici), sanno affrontare le situazioni con coraggio e energia. Se in Bambini di cristallo la prospettiva narrativa era incentrata su Billie, qui, ne Il bambino argento, è dal punto di vista di Aladdin che seguiamo le vicende: oltre ai misteri da risolvere, c’è anche una vicenda umana – quel ristorante che
non rende abbastanza, i genitori che si chiedono se non sia meglio ritornare in Turchia – e sociale, con quel barcone di profughi ormeggiato nel porto. Una storia colorata di giallo, con un pizzico di nero, che sicuramente appassionerà ogni lettore.
morali e di comportamento. Il silenzio, il rispetto, la preghiera, ma anche l’uso della lingua italiana al posto del dialetto o ancora il divieto di avere contatto con l’esterno per le allieve in internato ne sono alcuni esempi. Esse riflettono la vita di clausura delle monache e il tipo di istruzione riservata alle ragazze del Settecento. Ragazze che decenni dopo avrebbero però manifestato il desiderio e l’ambizione di proseguire gli studi, di diventare a loro volta insegnanti e quindi di conseguire la patente di maestra. Il monastero, fondato nel 1747 grazie al lascito del negoziante e patrizio luganese Giovanni Pietro Conti, dimostrò disponibilità trovando un accordo con il Cantone per il riconoscimento del diploma. Le prime tre allieve ottennero la patente magistrale nel 1880. Il Libro degli Atti – di cui alcuni estratti sono pubblicati nel volume che accompagna la mostra – è prezioso testimone di altri eventi che hanno marcato non solo la vita del monastero, ma quella dell’intera comunità cittadina. Citiamo, ad esempio, la morte nel 1760 del vescovo Neuroni (fautore della nascita del monastero), l’attività di pittori e artisti sempre nel corso del Settecento, le malattie infettive, come la diffusione del colera che nel 1836 portò alla soppressione della scuola, o ancora rivoluzioni, guerre ed eventi climatici eccezionali. Dell’ex-monastero delle Cappuccine di Lugano, ordine fondato da Chiara d’Assisi nel XIII secolo, restano non solo preziosi documenti oggi conservati presso l’Archivio Diocesano di Lugano e al momento solo in parte inventariati, ma anche testimonianze dirette. Le curatrici Manuela Maffongelli e Miriam Nicoli hanno infatti potuto intervistare suor Assunta Schurter, abbadessa negli anni 19691975 ed alcune ex-alunne dell’Istituto San Giuseppe. Il ruolo di quest’ultimo nell’educazione femminile nel nostro cantone, così come l’evoluzione dell’insegnamento in parallelo con lo sviluppo della scuola pubblica rivivono per il periodo citato attraverso l’iniziativa dell’Associazione Archivi Riuniti delle Donne Ticino. Settanta scatole, trenta registri, album fotografici, altri grandi album e pacchi di disegni provenienti dall’ex-monastero racchiudono però sicuramente altre storie interessanti ancora da scoprire. Informazioni
www.archividonneticino.ch
Viale dei ciliegi di Letizia Bolzani Kristina Ohlsson, Il bambino argento, Salani. Da 10 anni Bello anche questo secondo romanzo di Kristina Ohlsson, che dopo Bambini di cristallo si candida a diventare un altro best seller, con gli stessi protagonisti, i tre ragazzini Billie, Aladdin e Simona, e la stessa ambientazione, la cittadina di Åhus, in Svezia. Bello perché dosa abilmente gli elementi del romanzo di paura tenendo sempre alta la suspense ma senza mai eccedere con l’orrorifico. Non si capisce perché, in effetti, lo slogan pubblicitario riportato in copertina reciti (citando un tabloid svedese) «una storia che vi colpirà allo stomaco». Peccato, perché – oltre al fatto che magari uno non ha voglia di farsi colpire allo stomaco ma solo di leggere un buon libro – si tratta di una frase ormai abusata ovunque, la quale soprattutto non rende l’idea di questo romanzo. Che regge con classe l’equilibrio tra una storia classica di indagine, un ottimo
giallo per ragazzi, insomma, con una conclusione realistica e plausibile, da una parte; e un sottile velo di inquietudine dall’altra, uno spiraglio lasciato socchiuso alla possibilità che si tratti anche di una ghost-story, perché quel misterioso bambino in pantaloncini corti nell’inverno svedese può essere un giovane profugo, ma forse può anche essere qualcuno che arriva da «un altro» mondo, visto che sembra non lasciare impronte sulla neve... Proprio come quel lampadario del romanzo precedente che, ad indagine felicemente conclusa, continua a dondolare. Con i fantasmi si può convivere, come sa
Michael Foreman, Amici, Il Castoro. Da 4 anni Un libro notevole nella sua semplicità, basato su un’idea toccante ed efficace e sulla forza delle illustrazioni. Una forza che le doppie pagine e il grande formato di questo albo rendono pienamente manifesta, valorizzando la maestria di Michael Foreman, illustratore/autore inglese che sa donare alle sue immagini dolcezza, espressività e profondità inaspettate. Avevamo apprezzato, di Foreman, Il gatto sulla collina, uscito qualche anno fa sempre da Il Castoro, e ci incanta anche questo, basato, come l’altro, su spunti
osservati nella vita vera, ma resi poetici e simbolici grazie alla narrazione illustrata. È un gatto che racconta la storia, un gatto consapevole della fortuna di poter vagabondare in tutta libertà, contrariamente al povero pesciolino rosso, costretto in un acquario. E allora il gatto riuscirà a far saltare l’amico pesciolino dentro un secchiello pieno d’acqua, con cui lo porterà ad esplorare il mondo. È quello che dovrebbe fare ogni amicizia vera: provare empatia, aiutare e aprire nuovi orizzonti, mettendo in conto la possibilità di lasciare andare l’altro... anche se forse l’altro sceglierà di restare con te.
Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 25 settembre 2017 • N. 39
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Società e Territorio
L’incanto del paesaggio
Valle di Muggio U na mostra a Casa Cantoni indaga il paesaggio e la sua evoluzione attraverso fotografie,
dipinti e immagini 3D
Elena Robert A Cabbio, in Casa Cantoni sede del Museo etnografico della Valle di Muggio (MEVM), c’è un angolo speciale: uno spazio dedicato con una finestra sul paesaggio ci invita a guardare oltre, alla scoperta del museo più ampio, quello vero della quotidianità, che è il territorio stesso. A questo patrimonio condiviso, il MEVM, osservatorio privilegiato anche sugli inevitabili cambiamenti nel territorio, rivolge tutte le sue attenzioni da quando è stato fondato nel 1980. Tra le peculiarità culturali unificanti nella Valle vi è la pietra lavorata con grande competenza e l’impiego della tecnica a secco per la muratura. Il Museo negli anni si è occupato di tante tipologie di questo patrimonio di pietra, inventariando e restaurando, distinguendosi con un operato di salvaguardia, cura e valorizzazione del paesaggio, rivolto a migliorare la qualità di vita e a coinvolgere gli abitanti della valle. L’obiettivo è sempre lo stesso: proporre il patrimonio culturale e naturale come risorsa per lo sviluppo locale. Proprio sul tema del paesaggio e delle sue componenti l’archivio del MEVM può oggi contare su decine di migliaia di immagini che documentano le trasformazioni del territorio e i singoli paesi.
In mostra anche le vedute aeree dei paesi della valle che Swisstopo fece nel 1933 e quelle del 2015 La mostra in corso La Valle di Muggio allo specchio. Paesaggio mutevole, paesaggio incantevole è un ulteriore passo del cammino intrapreso dal MEVM per la valorizzazione del territorio, fatto anche, in passato, di un convegno, di un progetto Interreg, di pubblicazioni, in sostanza di un approccio globale sul
tema che è valso alla Valle di Muggio nel 2014 il Premio Paesaggio svizzero dell’anno, attribuito dalla Fondazione svizzera per la tutela del paesaggio. La nuova iniziativa, curata da Paolo Crivelli, Silvia Crivelli Ghirlanda e Ivano Proserpi, con la collaborazione di Stefano Crivelli, contempla entro fine novembre la pubblicazione di un volume, al quale contribuiscono venti autori: protagonista, ancora una volta, è il territorio valligiano, quello del bacino idrografico del torrente Breggia, la sua evoluzione nel tempo in particolare dagli anni Cinquanta del Novecento ad oggi, dal punto di vista storico, economico, sociale, geografico. I curatori ci tengono a mettere in guardia il pubblico sull’«importanza del paesaggio come elemento percepito e vissuto nella vita quotidiana»: «Il territorio è di tutti, richiede sensibilità e riguardo, specialmente quando si pensa alla Valle di Muggio, molto vicina a un comparto, di cui comincia a subire le aggressioni, caratterizzate da speculazione edilizia e crescita caotica. Non dimentichiamo che dalla qualità del paesaggio dipende la nostra qualità di vita». Nella mostra il visitatore accede all’immagine del paesaggio sollecitato da approcci diversi. Il bel plastico della valle all’entrata del Museo consente uno sguardo d’insieme appagante. Ci si avvicina poi con curiosità e interesse a fotografie e cartoline provenienti dalle collezioni Danilo Marzoli, Giuseppe Haug, Giovanni Luisoni, Giovanni Bianconi, Dante Demarchi, risalenti al 1910-1950, e lo sguardo si ferma per un istante in un giorno degli anni Dieci sul cantiere dell’antico ponte in ferro di Castel S. Pietro e poi nel 1915 sull’opera ormai conclusa da due anni, o sull’atmosfera magica del Mulino di Canaa sul Breggia a Morbio Superiore nel 1915, o ancora sull’imponenza di Villa Pierluisa Chiesa a Chiasso. Poi ci pensa il confronto illuminante tra le riprese aeree di Swisstopo dei paesi della Valle nel 1933 e le corrispettive realizzate nel 2015 a scuotere il visitatore. Le vedute della prima metà del se-
Il ritorno del bosco in Valle di Muggio con Bruzella e Monte sul versante opposto. (Museo etnografico della Valle di Muggio)
colo scorso evidenziano il paesaggio della civiltà rurale organizzato dall’uomo, quelle recenti attestano invece in molti casi uno sconvolgimento del territorio dovuto all’urbanizzazione iniziata nella Bassa Valle estesasi poi seppure parzialmente alla media e alta Valle, o legato all’insediamento del cementificio Saceba nel cuore del comparto geologico-naturalistico delle Gole della Breggia, o a causa dall’apparizione dei centri commerciali negli anni Ottanta e Novanta lungo il tratto di pianura del Breggia e sui prati di San Martino a Mendrisio. «Con i decenni – osserva Paolo Crivelli – il paesaggio si è chiuso sia per la forte urbanizzazione salita almeno fino a Morbio Superiore, sia per il fenomeno importante del ritorno del bosco».
Muta il paesaggio ma anche lo sguardo degli artisti sul territorio: la mostra ci offre uno spaccato sorprendente del paesaggio percepito e ritratto, in 58 tra dipinti e disegni realizzati tra la fine del XIX secolo e oggi, da 16 artisti più o meno noti, legati alla Valle anche se provenienti da regioni e culture diverse: da Pietro Chiesa a Carlo Basilico, da Bertrand Viglino ad Aldo Pagani, da Lifang a Samuele Gabai, da Guido Gonzato ad Anita Nespoli. Il paesaggio in tasca che invece possiamo permetterci tutti è quello consentito a chiusura del percorso espositivo dalla visione in 3D di luoghi significativi della Valle. È l’esito di un progetto fotografico degli apprendisti poligrafi del Centro professionale tecnico (CPT) di Bellinzona realizza-
to per la mostra nel 2015 con la guida di Stefano Crivelli: 90 immagini stereoscopiche da vedere sul posto o da portare con sé a casa insieme al visore speciale. Prima di lasciare Casa Cantoni i visitatori sono invitati a lasciare un parere sul paesaggio attuale della Valle e soprattutto su quello immaginato per il futuro. Dove e quando
La Valle di Muggio allo specchio. Paesaggio incantevole, paesaggio mutevole, Museo etnografico Valle di Muggio, Casa Cantoni, Cabbio, fino al 26 novembre 2017. Orari: tutti i giorni, tranne il lunedì, dalle 14.00 alle 17.00. www.mevm.ch Annuncio pubblicitario
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Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 25 settembre 2017 • N. 39
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Società e Territorio
Lo Spazio Officina
Il Parco dei Mulini
ha fatto rivivere un’area industriale in stato di abbandono
artigianale tra Borgnone e Lionza, sulla Via del Mercato
Laura Patocchi Zweifel
Elia Stampanoni
Chiasso, cittadina di confine nota per il suo scalo merci sulla linea del San Gottardo, arricchitasi grazie ai traffici internazionali che ne hanno determinato un notevole sviluppo economico-finanziario, si è vista saturare nel tempo tutte le aree edificabili del suo esiguo territorio. Il suo sviluppo edilizio si manifestò con il sorgere di cantieri per opere pubbliche e private: palazzi ad uso terziario, villini, edifici ad uso commerciale, alberghi e un Cinema Teatro vennero costruiti con le caratteristiche dettate dal gusto dell’epoca. Molti di questi edifici sono stati ormai demoliti o ristrutturati plasmando il volto della città con nuovi stilemi e funzionalità. Ma il fiorente benessere economico del passato non scuoteva la città dal suo torpore culturale. Solo all’inizio degli anni 2000 avviene una svolta decisiva dovuta alla scelta della Fondazione Max Huber Kono di realizzare un museo che favorisse l’arte visiva incaricando gli architetti Durisch + Nolli di identificare un luogo idoneo alla sua costruzione. La città di Chiasso, dotata da tempo di un ufficio di cultura, favorisce la sfida di un progetto culturale lungimirante mettendo a disposizione l’area dismessa dell’Ex-Garage Martinelli, di fronte al Cinema Teatro. Quest’area industriale in stato di abbandono, una «terra di nessuno» in mezzo al tessuto urbano del centro cittadino, tra teatro e campus scolastico, è stata l’oggetto di un progetto globale da parte degli architetti: nasce così l’«isola della cultura» composta dal Cinema Teatro, dal Max Museo, luogo per esposizioni d’arte moderna e dallo Spazio Officina, utilizzato come sala multiuso polivalente per concerti, teatri ed esposizioni. Il Cinema Teatro, costruito nel 1935 dall’architetto Americo Marazzi, da sempre era stato il cuore pulsante della città, palcoscenico di rappresentazioni cinematografiche, musicali, balletti e conferenze. Nel 1993, dopo un periodo di decadenza fu rilevato dal Comune di Chiasso. Dal 2002 l’edificio, ristrutturato ed aggiornato all’impiantistica contemporanea, ha ripreso le proprie attività con una stagione culturale ed è considerato, come in passa-
Già nel 2002 il Museo regionale delle Centovalli e del Pedemonte con il Comune di Borgnone inaugurarono i lavori di recupero del Parco dei Mulini, area artigianale di grande valore. Con questi primi interventi fu possibile tutelare le pregiate testimonianze del passato rurale. A distanza di 15 anni, altri provvedimenti sono stati necessari per mettere in sicurezza e valorizzare le strutture esistenti, di nuovo invase dall’impetuoso avanzare della natura. Lo scorso maggio sono quindi state celebrate le operazioni di salvaguardia promosse dal Museo regionale, dal Comune di Centovalli e dal candidato Parco nazionale del Locarnese. «L’obiettivo centrale degli interventi è la conservazione del patrimonio culturale allo scopo di tramandare alle future generazioni alcune testimonianze significative del passato di questa regione», precisa Mattia Dellagana, curatore del Museo. Il Parco dei mulini si può oggi comodamente raggiungere percorrendo la strada cantonale, ma più suggestivo è arrivarvi camminando lungo la Via del Mercato, l’antica mulattiera che da secoli collega i villaggi della sponda sinistra della Melezza. Il Parco dei Mulini si trova poco dopo il villaggio di Borgnone, in prossimità dell’omonimo riale dei mulini (Rii di Mulitt). Di particolare interesse è il maglio parzialmente ricostruito durante i recenti interventi di riqualifica. Si tratta di un attrezzo indispensabile al fabbro che così modellava il ferro secon-
Centovalli V alorizzata l’antica area
Laura Patocchi Zweifel
Archeologia industriale I l Centro Culturale di Chiasso
to, un luogo che svolge una fondamentale funzione di incontro per l’intera regione. Nel 2010 il Cinema Teatro è entrato a far parte del Centro Culturale Chiasso. Il m.a.x. museo, costruito ex novo sull’area di un parcheggio pubblico e inaugurato nel 2005, vuole ricordare Max Huber (Baar 1919-Mendrisio 1992) uno dei graphic designer più significativi del XX secolo, la cui ricerca artistica, soprattutto nel settore della grafica, sviluppata attorno all’interesse per la composizione astratta, è ispirata alle esperienze delle avanguardie europee. Il m.a.x. museo, luogo di installazioni ed esposizioni per divulgare la conoscenza della grafica, del design, della fotografia e della comunicazione visiva contemporanea, si distingue per spazi ampi, luminosi, bianchi, neutri, che consentono la massima visibilità ai contenuti. Le sale espositive sono concepite come White Box. La facciata è un’immensa vetrina translucida. Di notte l’intercapedine della facciata è luminosa, rendendo visibili i contenuti e illuminando la città come una sorta di «lanterna». Accanto al museo, si è deciso di trasformare un capannone adibito per diversi anni a officina di riparazioni per autoveicoli dell’ex-garage Martinelli in sala
multiuso: nasce così lo Spazio Officina, uno spazio semplice che è stato mantenuto nelle sue caratteristiche industriali con intervento minimo, un involucro, una sala di 800 mq, che può essere utilizzato per molteplici funzioni. Non ha dotazioni tecniche fuorché rivestimenti acustici utilizzabili per rappresentazioni teatrali e manifestazioni musicali ma nient’altro. Spazio Officina si presta perciò ad accogliere mostre ed eventi che non di rado coinvolgono giovani leve nelle varie discipline artistiche. Si adatta a convegni, congressi, serate di gala, assemblee societarie ed eventi esclusivi, nonché performance di teatro, musica e danza, festival. Dalla sinergia delle diverse istituzioni, pubbliche e private, con il nuovo m.a.x.Museo come catalizzatore, si concretizza così l’idea di un polo culturale dal carattere fortemente urbano, interamente dedicato alla cultura, ormai diventato un riferimento internazionale. Bibliografia
Nicoletta Ossanna Cavadini, Chiasso fra Ottocento e Novecento, Muzzano 1997. www.centroculturalechiasso.ch
Lavatoio nel Parco dei Mulini. (E. Stampanoni)
do le esigenze d’allora, cioè fabbricando falci, vanghe, badili o altri utensili tipici della civiltà contadina. Il maglio era alimentato dalla forza dell’acqua che azionava le ruote (oggi scomparse). Per dare forma al ferro occorreva anche il fuoco ed ecco che a pochi passi s’intravvedono le tracce di una forgia e lo spiazzo di una carbonaia. Acqua e fuoco erano elementi essenziali di questo periodo rurale. Numerose sono le tracce ancora reperibili: segni di canali d’adduzione, incavi nelle rocce per deviare l’acqua. Ben conservato e in parte ricostruito è il lavatoio dell’Acquacalda di Borgnone che, come leggiamo nel libro Inattesa memoria di Veronica Carmine (edito dal Museo regionale), era apprezzato anche dalle donne di Lionza perché alimentato da una sorgente temperata. Più discosti i resti di un forno del pane risalente al 1884 e i ruderi di una cappella con portico. Camminando sulla Via del Mercato ci si può imbattere nei segni di un periodo ormai lontano, a testimonianza del forte legame tra le comunità locali e le risorse del territorio. Tra questi un masso con l’incisione «Locarno – K19» che rimanda alla citata Via del Mercato, denominazione che deriva dall’abitudine della popolazione di utilizzare questi sentieri per recarsi periodicamente al Mercato di Locarno al fine di scambiare i propri prodotti. L’arteria di comunicazione è anche inserita nell’inventario delle vie storiche d’importanza nazionale ed era in passato l’unico collegamento con la città per i villaggi dell’alta Centovalli. Con la costruzione della strada cantonale, avvenuta nella seconda metà dell’Ottocento, la mulattiera ha perso il suo ruolo secolare e, in alcune sue parti, il tracciato originale è stato abbandonato e quindi scomparso. «La mulattiera è però oggi di nuovo percorribile, nella sua quasi totalità», rassicura Mattia Dellagana. Si parte da Camedo percorrendo inizialmente la strada che sale per Borgnone e quindi proseguire, passando dal Parco dei Mulini, per Lionza e, attraversato il bosco del Gaggio, verso Verdasio. La passeggiata può poi continuare in quota verso Calezzo per terminare ad Intragna, dove ad accogliere i visitatori c’è il campanile più alto del Ticino con i suoi 65 metri, oltre al Museo regionale delle Centovalli e del Pedemonte.
Alla ricerca del tesoro degli Hoysala Videogiochi Uncharted: L’Eredità Perduta è un’emozionante avventura di fine estate Davide Canavesi Chloe Frazer è una donna intraprendente, testarda e molto capace. Una donna che non si tira indietro quando bisogna sporcarsi le mani, specialmente quando c’è in ballo un prezioso tesoro archeologico perduto. Dopo aver accompagnato il collega Nathan Drake in Uncharted 2: Il covo dei Ladri e Uncharted 3: L’inganno di Drake, è ora che abbia un’avventura tutta sua, intitolata L’eredità perduta. In questo nuovo capitolo della famosissima saga creata dallo studio californiano Naughty Dog, Chloe è sulle tracce della zanna di Ganesh, un mitico oggetto sacro perduto da secoli. Al suo fianco troviamo Nadine Ross, un’altra vecchia conoscenza dei fan di questa serie. Nadine è stata tra i principali antagonisti di Drake in Uncharted 4: Fine di un ladro. Tuttavia, questa volta, lavoreremo fianco a fianco all’ex mercenaria per superare in velocità e furbizia
un sinistro sedicente rivoluzionario di nome Asav. L’uomo cerca la zanna per poter dimostrare la sua discendenza dalla stirpe dei re della civiltà Hoysala, un potente impero dimenticato dalla storia, nascosto nelle foreste indiane. Il suo scopo è quello di fomentare una rivolta contro il governo indiano al fine di diventare il capo supremo di un nuovo Stato. Dopo un primo incontro burrascoso tra il trio, sullo sfondo di una città sull’orlo di una guerra civile, Chloe e Nadine dovranno dar prova di corag-
Una maestosa realizzazione tecnica. (Sony Computer Ent. Europe 2017)
gio, acume e furbizia per tentare di arrivare per prime alla zanna di Ganesh. In compagnia delle due donne affronteremo templi maledetti, pianure lussureggianti e cavernose grotte, tentando di seguire le tracce dei guerrieri che ci hanno preceduti molti secoli fa. Uncharted: L’eredità perduta è un gioco d’avventura e azione uscito in esclusiva sulla piattaforma PlayStation 4. Come per i precedenti capitoli, il titolo è una miscela di sequenze adrenaliniche, inseguimenti, esplosioni ed esplorazione. Si tratta di uno «spin off», ovvero di una storia che prende spunto dalla serie principale, cambiando però personaggi e situazioni. Dal momento che le avventure di Nathan Drake si sono definitivamente concluse con Uncharted 4, gli sviluppatori hanno deciso di far evolvere la serie cambiando i protagonisti e, in parte, la formula di base. Nei panni di Chloe il giocatore dovrà arrampicarsi, sparare e risolvere enigmi e puzzle, proprio come nella serie
originale. La differenza sta nei dettagli: da un lato avevamo Nathan Drake, impulsivo e sempre pronto alla rissa, dall’altro abbiamo Chloe Frazer, che predilige l’astuzia allo scontro diretto. Tra le novità troviamo anche un’ampia zona libera, in cui il giocatore può scegliere l’ordine in cui perseguire tre obiettivi. Al posto di seguire una rigida storia senza possibilità di variazioni, questa volta possiamo uscire un po’ dal seminato ed esplorare una vasta zona costellata di ruscelli, foreste e templi in rovina. Troveremo, come sempre, sezioni ad enigmi e puzzle dalla difficoltà calibrata a puntino. Ritornano le sequenze sui veicoli a motore, in un tripudio di piombo fuso e improbabili acrobazie tra automezzi in movimento. Come sempre, dovremo dare la caccia a una miriade di segreti e cimeli nascosti, anche se questa volta potremo contare su un talismano porta fortuna. Senza stravolgere la ricetta fortunata di Uncharted, questo nuovo
capitolo prende comunque una sua dimensione. Invece di creare un semplice clone, Chloe dà un sapore tutto suo a questa avventura grazie alle sue abilità di scassinatrice e agli attacchi furtivi. Spesso e volentieri infatti potremo aggirare i nemici oppure eliminarli uno per uno senza dover per forza scatenare uno scontro a fuoco. Ciò che non è cambiato è la maestosa realizzazione tecnica: foreste, fiumi e ruscelli, templi e città. L’eredità perduta è riuscito a migliorare ulteriormente rispetto ad Uncharted 4, un titolo che visivamente ancora oggi ha pochi rivali, ed è capace di incollarci allo schermo. Va detto che la trama non è particolarmente innovativa, anzi. Asav poi è la summa di tutti gli stereotipi dei cattivoni da film e videogame. Per fortuna tutto questo passa in buona parte in secondo piano grazie ad un gioco divertente, emozionante e sempre in grado di sorprendere. Se amate l’avventura, amerete anche Chloe e Nadine.
Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 25 settembre 2017 • N. 39
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Società e Territorio Rubriche
L’altropologo di Cesare Poppi Il primo antipapa Quando nel febbraio del 2013 Papa Ratzinger annunciò la decisione di rassegnare le dimissioni dal papato furono in molti ad agitare lo spettro di un dualismo di poteri che avrebbe minato l’autorevolezza dell’unica mono-archia elettiva del pianeta. Chi dei due «Uomini Bianchi» sarebbe stato «il vero Papa»? A quale pastore sarebbe andata la fedeltà e l’ubbidienza del gregge? Chi avrebbe avuto l’autorità di esprimersi a nome di chi? Che piaccia o meno, i pronunciamientos della Santa Sede Vaticana hanno rilevanza globale non foss’altro per la loro influenza sull’opinione pubblica, dunque… Eppure la storia dei cosiddetti «antipapi» è lunga, e dura praticamente da sempre: quelli «storici» – ci fermiamo al XVI secolo – sono addirittura quarantuno, tutti chiaramente depennati dalla lista dei papi «legittimi» e riconosciuti – tutti, ovvero, eccetto in qualche modo il primo della lista. Sant’Ippolito di Roma (per non confonderlo con gli omonimi di Porto e di Antiochia) nacque probabilmente a Roma nel 170 d.C. Pare sia stato discepolo del grande Ireneo di Smirne,
allievo a sua volta di Policarpo che era stato fra i discepoli più influenti di San Giovanni Evangelista. Forte di questo pedigree, e degno pupillo dell’autore del trattato Contra Hereses (Contro gli Eretici) che valse ad Ireneo il titolo di Padre della Chiesa, Ippolito entrò senza esitare nell’arena, ai tempi già affollatissima, nella quale si misuravano a suon di trattati teologici e scomuniche reciproche – ma spesso e volentieri anche a calci e pugni – i sostenitori di questa o quella dottrina. Erano i tempi nei quali un cristianesimo allo stato nascente cercava di configurare una linea dottrinale ortodossa quanto più cattolica – ovvero universale – in grado di accomodare le diverse anime etniche, culturali, religiose e quant’altro ribolliva nella melting pot che era la Roma di età imperiale. Presto assurto al rango di leader per le sue opere teologiche, si trovò in contrasto coi pontefici «ufficiali» per le sue posizioni intransigenti. In qualità di Presbitero della Chiesa di Roma rimproverava a Papa Zefirino (199-217 d.C.) le posizioni dette «modaliste» in quanto a suo avviso eretiche: per il Pon-
tefice, forse non ben versato in filosofia, il «Padre» e «Figlio» del Credo allora vigente, altro non erano che termini per indicare lo stesso Soggetto Divino. In linea con la filosofia greca, Ippolito era invece per la dottrina, intellettualmente molto (troppo?) sofisticata del Logos. Il Padre sarebbe da tenersi distinto dal Logos, il principio di manifestazione del Figlio e fondamento della fede. Questioni di lana caprina, diranno i lettori dell’Altropologo. Nient’affatto: erano, come si è detto, i tempi nei quali i cristiani – setta religiosa ancora largamente minoritaria nel mare magnum di culti di tutti i colori e fedi in aperta competizione nell’Urbe – si distinguevano per la determinazione, presto percepita dalle autorità come pervicacia e testardaggine – nel perseguire (e perseguitare) chi, al loro interno, avesse torto o avesse ragione. Lana caprina o lana fina in gioco c’era la salvezza eterna dell’anima: secoli più tardi il grande Flavio Cassiodoro (485-580), ambasciatore di Teodorico scriveva a casa di come al mercato centrale di Costantinopoli ci si riempiva di legnate per imporre questa o quella
versione del Credo. Ma andiamo con ordine: l’intransigenza di Ippolito si scontrò prima con Papa Callisto I, accusato di essere moralmente molliccio in quanto aveva accordato la possibilità di perdono ai cristiani colpevoli di peccati gravi, primo fra tutti l’adulterio. Lo zelo rigorista di Ippolito trovò modo di esprimersi nei pontificati successivi di Papa Urbano I (220-230 d.C.) e di Papa Ponziano (230-235 d.C.). Questi ultimi si erano distinti per aver allargato ulteriormente le maglie della rete con la quale si aspirava a divenire cristiani: le condizioni alle quali i «pagani» potevano essere ammessi alla nuova fede venivano progressivamente allentate. Fu così che Ippolito venne eletto Vescovo di Roma dai cristiani greci ivi residenti, di fatto facendo di lui un Antipapa, il primo titolo del Sommo Pontefice essendo quello di Vescovo di Roma. Di fatto Ippolito si trovò nell’arena, in ultima ratio, contro Ponziano, legittimo (pur se non degno?) successore di Pietro dopo uno scisma durato 18 anni. Con l’avvento dell’Imperatore Massimino il Trace (in carica 235-238),
primo Imperatore barbaro, mai stato cittadino romano né tantomeno senatore, eletto dalle Legioni per la sua forza fisica (era alto 2,40 metri e si dice bevesse «un’anfora capitolina di vino al giorno e mangiasse fino a quaranta libbre di carne») la tolleranza verso i cristiani prese una piega per il peggio. Poco avverso – capirete – a dirimere questioni di lana caprina – il trace decise di dare un taglio alle querelle fra fazioni che cominciava a dare problemi di ordine pubblico. Confermato Imperatore fece arrestare tanto Papa Ponziano quanto l’Antipapa Ippolito. Entrambi vennero condannati ai lavori forzati nelle miniere della Sardegna: una sentenza di morte. E veniamo a noi: il 28 settembre 235 – 1782 anni fa meno tre giorni – Papa Ponziano dette le dimissioni da Vescovo di Roma al fine di spiazzare Ippolito e garantire una successione «legittima» alla Cattedra di Pietro. La cronaca dice che i due, visto il destino comune che li attendeva, finirono per riconciliarsi. Entrambi sono venerati come Santi nel libro dei Martiri della Chiesa di Roma.
re, i motivi per cui i legami familiari che intercorrono tra genitori e figli possono improvvisamente interrompersi, senza che le persone abbandonate si spieghino perché, sono così tanti e così particolari che è impossibile elencarli. Quello che possiamo osservare è che essi appaiono più frequenti in questi anni, forse perché tutte le istituzioni, compresa la famiglia, si sono indebolite e, nella società degli individui, ognuno vuole procedere da solo. Le personalità narcisistiche non tollerano di confrontarsi con l’immagine che gli altri, in primo luogo i congiunti, si sono fatti di loro. Preferiscono presentarsi al mondo in modo nuovo, secondo un ideale che il passato potrebbe mettere in dubbio. Molte separazioni coniugali si giustificano col desiderio di ricominciare, di rinascere, di scrivere una nuova, inedita autobiografia. È vero che nella vita una «seconda volta» è sempre possibile, ma la pretesa di cancellare il passato
con un colpo di spugna è assurda perché noi siamo la nostra storia. Possiamo sì cambiare ma fino a un certo punto perché le esperienze che abbiamo affrontato ci modellano, ci contraddistinguono, fanno di noi un soggetto unico, inconfrontabile, insostituibile. I capitoli precedenti non possono essere tagliati fuori dal romanzo con cui ci raccontiamo perché le ragioni di oggi rinviano a quelle di ieri. Ne sono così convinta che ho voluto darne testimonianza nel libro Una bambina senza stella. In quelle pagine autobiografiche ho cercato di recuperare le esperienze, i sentimenti e le emozioni dell’infanzia per comprendere e giustificare la donna che sono. Quel viaggio nella memoria mi ha permesso, non solo di conoscermi meglio, ma anche di rappacificarmi con mia madre, che avevo definita una «non mamma», inserendola nel contesto della sua epoca, scorgendola alle prese con difficoltà che non sono le mie, con problemi che
non conosciamo, con un avvenire che non è il nostro. Mi auguro che anche le nuove generazioni, abbandonando l’onnipotenza insita nell’illusione dell’autosufficienza, nella fantasia di «essersi fatte da sé», siano capaci di guardare a noi con indulgenza, con misericordia direbbe Papa Francesco, perché ogni cancellazione del passato proietta un’ombra scura sul futuro, rendendolo opaco e minaccioso. Ricordiamo infine che in Ticino è attivo un gruppo di auto mutuo aiuto «Genitori respinti», chi fosse interessato può contattare il Centro Auto-aiuto Ticino allo 091 970 20 11.
In altri casi, poi, un sedicente obiettivo morale-educativo diventa uno strumento pubblicitario: a Londra, i grandi magazzini John Lewis hanno abolito la definizione «maschio/femmina» nell’abbigliamento per bambini. Una trovata chissà se efficace, comunque se n’è parlato. Certo, negli ultimi anni, soprattutto nei paesi più evoluti, dove ci si può concedere questo lusso, il tema del gender ha trovato le più svariate applicazioni. Negli USA, campioni in questo tipo di crociate moralistiche, parecchi locali pubblici hanno abolito nei WC la separazione «signore/signori», in nome di un’uguaglianza che dal profilo fisiologico rimane comunque impossibile. In Francia, si è provveduto a depurare le favole dalle scorie maschiliste, incoraggiando le bambine ad assumere, nelle recite, il ruolo del lupo, cioè del più forte, persino del cattivo; cioè pari
ai maschi anche nei comportamenti negativi, delinquenza compresa. E che dire, infine, della proposta di sostituire le parole mamma e papà con quella, asessuale, di genitore. Si sta, infatti, assistendo agli abusi e ai malintesi che, spesso, preannunciano la fine di una tendenza, o moda, di successo. Negli ultimi tempi, gli stessi ambienti universitari, che avevano tenuto a battesimo il gender, ne denunciano, invece, gli abusi e le assurdità. Si parla di «overdose di gender», di nuova «oppressione libertaria», ossimoro evidente. E, secondo una ricerca compiuta, figurarsi, in Norvegia, sarebbe priva di basi scientifica la teoria che «le attitudini non sono innate ma apprese da imposizioni culturali». In altre parole, è naturale che la bambina giochi con la bambola e il maschietto con il fucile, come vuole una mentalità conservatrice, tornata
alla ribalta, in nome di un buon senso riabilitato. In definitiva, però, a farne le spese saranno rivendicazioni femminili tutt’altro che campate in aria. Nella nostra Svizzera benestante, al vertice nelle statistiche mondiali in quanto a spirito innovativo nelle tecnologie, si marcia sul posto per quel che concerne la parità salariale, le prospettive professionali nei livelli più alti, gli orari e i congedi in grado di favorire l’abbinamento lavoro retribuito-lavoro domestico. Stando ai dati dell’Ufficio federale di statistica, le donne, per conciliare i ruoli, sono costrette ad attività a orario parziale, dove si guadagna meno. Ma, in complesso, lavorando di più: 70 ore settimanali, di cui 53 dedicate alla casa e alla famiglia. Una nota positiva c’è. Cresce la partecipazione maschile ai lavori domestici: 29 ore settimanali, cioè quasi 2 ore in più rispetto al 2010.
La stanza del dialogo di Silvia Vegetti Finzi Altri legami interrotti La lettera pubblicata il 3 luglio scorso con il titolo Legami interrotti ha suscitato molto interesse perché il problema di figli ormai adulti che, senza un motivo, almeno così sembra, interrompono i rapporti con la famiglia di origine, è sempre più diffuso e sentito. Scrive in proposito la signora Elena: «Tempo fa, rientrando da un incontro organizzato dalla Croce Rossa sul tema “Genitori rifiutati dai figli”, pensavo a tutto quello che avevo udito e mi chiedevo: Ma tutti questi ragazzi/e sono delle persone o sono diventati dei mostri? Come fanno a non pensare alle sofferenze che creano ai loro cari? Che cosa significa ormai “onorare il padre e la madre?”, Cos’è il buon senso? Cos’è il rispetto? Questi figli l’hanno sicuramente perso. Vorrei suggerire al signore che le ha scritto di mandare a sua figlia una lettera, anche più di una, spiegandole il suo disagio, la sua sofferenza». Cara Elena, sono d’accordo sul fatto che in questi casi la comunicazione
epistolare, più intima e circostanziata di quella verbale, possa essere particolarmente efficace. Ma stiamo attenti a non esagerare perché l’insistenza può provocare ulteriore insofferenza. Il tempo è un grande terapeuta e può accadere che le pietre che ostacolano la nostra navigazione vengano spazzate via dalla corrente. La saggezza insegna che, quando non si sa più che fare, non resta che attendere. Nel dibattito interviene anche la signora Giovanna che racconta: «…sto vivendo da un paio d’anni una situazione molto simile a quella del papà e nonno abbandonato dalla figlia. Quanto si soffre! Ci si consuma». E conclude proponendo un incontro col primo scrivente. Cara Giovanna, capisco il bisogno di condividere il suo dolore, ma non sarà possibile perché, volendo mantenere l’anonimato, quel corrispondente si è firmato semplicemente con il termine «Un lettore». Come potete immagina-
Informazioni
Inviate le vostre domande o riflessioni a Silvia Vegetti Finzi, scrivendo a: La Stanza del dialogo, Azione, Via Pretorio 11, 6900 Lugano; oppure a lastanzadeldialogo@azione.ch
Mode e modi di Luciana Caglio Quando il gender sbanda Come dire, anche una buona causa, qual è la parità dei sessi, se va fuori controllo, produce gli effetti opposti, precipitando addirittura nel ridicolo: involontario ma irrimediabile. L’ultimo di questi incidenti di percorso, ormai frequenti, è avvenuto nel Regno Unito, patria del sense of humour, virtù questa volta smentita. Come ha dimostrato, suo malgrado, il direttore delle scuole secondarie di Lewes, nel Sussex, con la decisione di adottare l’uniforme cosiddetta gender neutral, uguale per lui e per lei. In teoria, l’obiettivo era cancellare una disuguaglianza, di cui sin qui sarebbero state vittime le ragazze. In pratica, per risolvere il problema, se problema era, è stata introdotta la norma del pantalone generalizzato. Al bando, invece, la gonna, legata a una figura femminile fragile e frivola, ormai fuori epoca. Di conseguenza, il pantalone
obbligatorio si presentava alla stregua di una nuova conquista femminista, sulla strada, sempre in salita, della parità. A ben guardare le cose sono andate diversamente: a un’intera collettività di giovani d’ambo i sessi, uomini e donne, si è imposto un capo d’abbigliamento maschile. Ovviamente impensabile l’opposto, tutti in sottana. Ma allora chi ha vinto? Mettiamola sul ridere, sfruttando gli aspetti grotteschi di questo e tanti altri episodi, spacciati per scelte progressiste e, in realtà, ambigue. E sempre più in perdita di credibilità, da parte di un’opinione pubblica che si sente presa in giro. Non hanno certo convinto, anzi, gli argomenti con cui il direttore delle scuole di Lewes ha cercato di giustificarsi: «Si tratta di venire incontro ad allievi, alle prese con un’identità sessuale confusa». Non sono mancate le repliche: «Ma qui chi è il vero confuso?»
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Ambiente e Benessere La musica e il viaggio Melodie e ritmi esotici sono spesso un accompagnamento all’esplorazione del mondo
Con «Azione» alle Svalbard La proposta originale di Hotelplan per il Capodanno: una spedizione artica nelle isole norvegesi a due passi dal Polo Nord pagina 15
I vini piemontesi nel 600 Un antico trattato di Giovanni Battista Croce ci ricorda come i vitigni pregiati fossero già conosciuti dal Re Sole
Conoscere il Re Cervo Al Centro Lucomagno di Pro Natura una mostra presenta questo stupendo animale
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Il futuro, nelle potenzialità delle nostre azioni Evoluzione Ci siamo sviluppati in nicchie
eco-culturali, ora siamo anche in grado di modificarle profondamente Lorenzo De Carli C’erano una volta gli organismi geneticamente modificati, oggi ci sono gli organismi geneticamente editati. «Grazie all’enzima Cas9 gli OGM classicamente intesi stanno per diventare preistoria perché non servirà più trasferire un gene da una specie all’altra, bensì modificare direttamente i geni che ci interessano con un taglia-incolla». Così scrivono Luca De Biase e Telmo Pievani in Come saremo. Storie di umanità tecnologicamente modificata, un saggio che, prendendo in rassegna un ampio ventaglio di tecnologie che stanno modificando la nostra vita quotidiana (da quelle per comunicare, a quelle per procreare, passando dalle tecnologie per curare), ha l’ambizione non tanto di prevedere il futuro, quanto piuttosto di affinare una metodologia in grado di indicare ciò che appare più probabile possa accadere, dai due autori definito il «possibile adiacente». I due autori hanno una formazione molto diversa e a unirli è un comune interesse per la prospettiva storica e l’uso sociale delle tecnologie. Formatosi come economista, De Biase si è distinto per la perspicacia con cui ha rinnovato le sue analisi in ordine ai rapidi avvicendamenti tecnologici degli ultimi due decenni nell’ambito della comunicazione. Filosofo di formazione, Pievani ha poi spostato i suoi interessi nel campo della biologia, diventando uno dei più autorevoli divulgatori in lingua italiana dell’evoluzionismo, che egli – seguendo l’insegnamento di Niles Eldredge e Ian Tattersall – ha contribuito ha rendere più ricco di strumenti interpretativi. Il concetto che De Biase e Pievani hanno di «tecnologia» è molto ampio, ed è a tal segno una caratteristica specifica della nostra specie, da indurre i due autori a sostenere che «il genere Homo si è insomma evoluto in simbiosi con le sue tecnologie». Un concetto importante che De Biase e Pievani usano è quello di «nicchia eco-culturale», utile per tener costantemente presenti due aspetti recentemente emersi dalla ricerca paleoantropologica: «il carattere ramificato, regionale e irregolare dei processi d’innovazione tecnologica» dovuto alla nostra evoluzione non lineare; e i mutamenti che abbiamo noi stessi introdotto nelle nicchie ecologiche in cui si siamo evoluti.
Sullo sfondo di questo concetto, che sottolinea la coevoluzione tra genere e ambiente mediata dalla tecnologia, il lavoro che hanno svolto De Biase e Pievani è stato quello di esaminare l’evoluzione della tecnologia alla luce delle più recenti acquisizioni teoriche nell’ambito degli studi dell’evoluzionismo. Per i due autori, la prima spinta evolutiva sono i fenomeni di innovazione e di creazione, caratterizzati da dinamiche di cambiamento che in biologia evolutiva sono denominate pattern. Talvolta, le mutazioni tecnologiche «sono indotte da agenti progettuali che le pensano appositamente e le gettano nell’arena» – basterebbe pensare a figure come Steve Jobs, per esempio; altre volte, invece, «la nascita di intere famiglie di nuove tecnologie può essere sprigionata in modo non intenzionale dall’apertura di inediti campi di ricerca»: il passaggio dall’analogico al digitale ha aperto possibilità innovative date dalla natura stessa della nuova tecnologia. In questa prospettiva, è fondamentale il concetto di exaptation. Si tratta di quei casi, nei quali una struttura, evolutasi per una certa funzione, è stata successivamente reclutata o cooptata per fare altro. È il caso, per esempio, delle piume degli uccelli: molto probabilmente evolutesi per fungere da termoregolatori, sono poi state cooptate per rendere più efficiente il volo. Qualcosa di simile è accaduto, per esempio, alla tecnologia degli SMS: nata per soddisfare necessità tecniche, è poi diventata uno strumento di comunicazione perché cooptata in pratiche sociali che l’hanno adattata ad altri scopi. Molta attenzione i due autori dedicano ai processi selettivi delle tecnologie. «L’espressione processi selettivi al plurale è da preferirsi a selezione naturale, perché gli schemi di selezione sono molteplici pur condividendo la stessa logica di fondo». Anche le tecnologie conoscono una forma di «potatura». Si pensi, per esempio, al gran numero di sistemi operativi esistenti negli anni Settanta e Ottanta del secolo scorso: la successiva «potatura» ha poi selezionato Windows, MacOS e Linux. Non sempre, però, la selezione premia la tecnologia migliore o più funzionale. La tastiera QWERTY, per esempio, nacque per evitare che i martelletti delle prime macchine per scrivere meccaniche si sovrapponessero, distanziando le lettere più usate dai
Oggi si sta passando dagli organismi geneticamente modificati a quelli geneticamente editati. (Marka)
dattilografi. Ebbene, la configurazione QWERTY è ancora usato oggi, sebbene non abbia più nessuna ragion d’essere e malgrado altre configurazioni abbiano dimostrato di essere più veloci. Fatta chiarezza sul modo in cui le tecnologie mutano, si diffondono e vengono selezionate, De Biase e Pievani, osservato che «non è possibile predefinire in modo finito lo spazio delle configurazioni delle tecnologie future», che, cioè, abbiamo delle difficoltà predittive dovute alla complessità delle interazioni all’interno delle nicchie eco-culturali e tra le nicchie stesse, introducono il concetto di possibile adiacente: «l’adiacente possibile è, in altri
termine, l’insieme degli stati potenziali del sistema tecnologico attuale che distano di un solo passo reale da ciò che di volta in volta è il presente». De Biase e Pievani non sono, quindi, dei futurologi. Il loro possibile adiacente non ci fa vedere che cosa c’è nel futuro, bensì che cosa c’è dietro l’angolo. Sennonché la peculiarità del loro approccio consiste nell’attribuirci una responsabilità apparentemente imprevista. Mentre l’evoluzione per seleziona naturale, ben lungi dall’essere deterministica, è casuale e solo a posteriori riconducibile ad una catena di cause ed effetti, l’evoluzione tecnologica, essendo culturale, è in una misura
notevole guidata dalle nostre scelte, le quali – secondo De Biase e Pievani – dipendono dalle nostre narrazioni. Se noi ci «raccontiamo il futuro» come dimensione di mero profitto economico, per esempio, orienteremo in un certo modo l’evoluzione tecnologica; se, invece, ci «raccontiamo il futuro» immaginandolo come luogo di benessere condiviso, orienteremo l’evoluzione tecnologica in un altro modo. Come saremo, dunque, ci dice che il futuro è imprevedibile ma che il possibile adiacente dipende da due fattori: le possibilità intrinseche delle tecnologie usate oggi e dai valori che vogliamo perseguire nel futuro.
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Ambiente e Benessere
Il canto della strada
Viaggiatori d’Occidente Attraverso la musica, che emana dalla terra ma anche dall’aria,
capiamo lo spirito dei luoghi
Stefano Faravelli, testo e disegni «Ascoltare musica è come mettersi in viaggio: si comincia a piedi e poi si passa all’automobile. Ma solo i grandi ti fanno prendere l’aeroplano». Così disse Mohammed accarezzando il guembrì, con il quale per due ore ci aveva fatto volare nel patio di un riad della Medina di Marrakech. Mohammed, sposato e padre di sei figli, abita nei pressi di Bab Taghzout dove lavora come fuochista in un hammam popolare; di notte suona. È un maalem gnawa: gli gnawa sono una confraternita mistica che pratica riti esorcistico-incantatori nei quali la musica gioca un ruolo essenziale. Una confraternita di quel sufismo popolare che non ha neppure un santo eponimo; gli gnawa si pongono infatti sotto il patronato di Bilal, lo schiavo etiope che, emancipato dal califfo Abu Bakr, divenne il primo muezzin dell’Islam nascente. Patronato non casuale: infatti gli gnawa sono discendenti degli schiavi neri giunti in Marocco a partire dalla fine del Cinquecento e nelle loro melodie molto della tellurica eredità africana ritorna sincretizzata con elementi berberi, arabi, ebraici… In piazza Jamaa el Fna a tutte le ore si possono incontrare musicisti gnawa, più o meno fasulli, che intrattengono i turisti roteando il capo con il celebre cappellino ornato di conchiglie cauri, per estorcere qualche banconota. Gli autentici maalem invece concedono raramente concerti al di fuori dei riti (la Lila) che li vedono impegnati per notti intere. Considero un privilegio aver assistito a una di queste esecuzioni perché, quantunque fosse avulsa dalla sua primaria funzione liturgica, quella notte ho «preso l’aeroplano». Mentre Muhammed suonava il guembrì e cantava, due musicisti lo accompagnavano con i krakeb, sorta di nacchere, e un terzo percuoteva un tamburo. Una sessione musicale gnawa ha una forza ipnotica, capace di sciogliere anche il pubblico più legato e di sospingerlo sin quasi alla trance. Ben presto l’approccio distaccato di chi assiste a un concerto cede a una partecipazione sempre più coinvolgente: batto il ritmo con i piedi e con le mani, mi abbandono interamente alla danza. Quello con Mohammed a Marra-
Ritratto di Mohammed, musicista gnawa di Marrakech. (Stefano Faravelli)
kech è stato uno dei numerosi incontri nei quali un luogo, un paesaggio, una città mi si sono svelati attraverso la musica. Perché un ascolto musicale può richiamare alla memoria con tanta forza un Paese? Il termine greco nomos ha allo stesso tempo il significato di «canto d’uccello», di «territorio» e di «legge» (norma o regola). La territorialità fissa una dimora e stabilisce una regola; per molte specie animali è sancita dal canto, quel canto che per molti popoli tradizionali è al principio della musica. Anche l’uomo partecipa al nomos, dando voce (e strumento) allo spirito del luogo. Il duduk armeno, un piccolo flauto in legno di albicocco, fa risuonare quel genius loci, come il sitar o l’arpa celtica, come il guembrì di Mohammed. La voce umana è poi lo strumento per antonomasia di questo misterioso legame tra luogo e suono, quando modula nella lingua natia l’aria; un termine che allude contemporaneamente all’atmosfera e alla melodia, perché la musica non emana solo dalla terra ma anche dall’aria del Paese che respiriamo. Pensiamo al Cante hondo andaluso o al Fado portoghese, con la loro evocazione identitaria delle rispettive arie e aree melodiche. Un vero viaggio è pertanto anche un viaggio nella musica del paese che attraversiamo, che ci attraversa. Nei miei carnet de voyage alcune pagine testimoniano questi incontri con musiche in viaggio. Per esempio il taccuino indiano conserva il ricordo di una sosta presso la Dargah di Nizam-udDin a Delhi. Dargah è la porta che dà accesso al santo, il quale a sua volta non è che porta per Allah, l’Uno. Quando vi giunsi, dopo la preghiera del venerdì, si preparava una sessione di Qawali, canti e melodie devozionali tipiche del sufismo indo-pachistano. Ai lati dell’ingresso che immette nel recinto delle tombe vidi una corte dei miracoli che faceva ala ai pellegrini: deformità, storture di corpi, gobbe, mani senza dita di lebbrosi. Ma la memoria richiama soprattutto l’incontro con Ali Farka Touré – straordinario esponente dell’African Blues e ispiratore di artisti internazionali come Ry Cooder e Taj Mahal – a Roma nel luglio del 2005, l’anno prima che morisse a Bamako. Nel 2004 avevo già visitato il grande musicista
Una sessione di Qawali presso la Dargah di Nizam-ud-Din a Delhi. (Stefano Faravelli)
Ritratto di Ali Farka Touré a Roma nel 2005. (Stefano Faravelli)
maliano, Ali Ibrahim detto Farka, ovvero asino, il soprannome datogli dai genitori per ricordare la sua tenacia, dopo che era sopravvissuto ai fratelli morti in fasce. L’avevo incontrato a Niafunké, il paesello sulla via verso Timbuctù del quale era divenuto sindaco. Quell’estate del 2005 invece era in tournée a Roma con Toumani Diabaté, virtuoso di kora, un arpa-liuto tipica dell’Africa occidentale. Dopo aver ascoltato il suo concerto al Parco della musica la sera prima, il giorno seguente volli vederlo nuovamente in albergo per chiedergli di scrivere l’introduzione al mio carnet sul Mali. Era in giardino, circondato dalla sua corte: mogli, figli e famigli. Vestiva un sontuoso bubu color glicine e sembrava un re nero delle Mille e una notte. Parlammo. Sfogliò con attenzione il mio carnet e commentò alcune delle pagine con finezza e perspicacia. Aveva delle mani bellissime. Concluse che bisognava dare ai miei disegni una colonna sonora e si fece portare il «violin» da una ragazza con la bocca tatuata. Era la variante Songhai di quello strumento monocorde che i Touareg chiamano imzad, il più arcaico di tutti gli strumenti a corda. Mi raccontò – ma forse mentiva – che l’unica corda era fatta con i capelli intrecciati di una sposa. O forse era la corda dell’archetto? Poi suonò un brano folle, polveroso come un mulinello di sabbia del deserto, vorticoso come il vento secco d’harmattan, lamentoso come la voce dei fantasmi di fanciulle infelici. Non suonò a lungo. Non suonò, in verità. Fu un’evocazione. Una chiamata a raccolta di tutti i Jinn della Regina delle sabbie. Il mio libro ebbe il suo testo introduttivo, ma credo che il vero commento alle mie pagine resterà per sempre la voce cigolante e indimenticabile di quel violino...
Incombe l’autunno? Allunga l’estate in cucina!
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Ambiente e Benessere
Capodanno «Super Arctic» alle Svalbard
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Viaggi Dal 28 dicembre al 4 gennaio
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Almeno una volta nella vita partiamo per una spedizione artica invernale alle isole Svalbard. Un viaggio molto particolare, un’esperienza riservata a coloro che desiderano vivere il mondo nordico in inverno ed essere testimoni delle Aurore polari durante il Super Arctic Tour. Un’esclusiva per i viaggiatori innamorati del Nord, che partiranno come veri esploratori, avvicinandosi al Polo. Giovedì 28 dicembre: Ticino – Milano Malpensa – Oslo
Trasferimento individuale per Milano Malpensa. Imbarco sul volo di linea SAS per Oslo. Arrivo in serata a Gardemoen Airport e sistemazione presso l’Hotel Park Inn Radisson 4**** per la notte di transito. Cena e pernottamento in hotel (accesso diretto al terminal). Venerdì 29 dicembre: Oslo – Longyearbean
Prima colazione in hotel. Check out e operazioni di imbarco per il volo di linea SAS per Longyearbyean, alle Isole Svalbard. Arrivo alle Svalbard e trasferimento in bus all’Hotel Svalbard 4****. Tempo libero a disposizione per la visita della città:
il museo etnografico Svalbard Museum e l’Airship Museum, lo Svalbard Global Seed Vault, il «Deposito sotterraneo globale dei semi di tutte le specie viventi». Cena libera e pernottamento in hotel.
Sabato 30 dicembre: Husky Race
Prima colazione in hotel. Oggi potrete vivere una magnifica e divertente escursione con i cani da slitta Huskies dell’artico. L’escursione durerà 4h e dopo aver indossato l’abbigliamento termico necessario, sarete istruiti su come si guida una slitta trainata da huskies. Con un po’ di fortuna, potrete osservare le luci del nord che quassù sono le Aurore polari. Cena libera e pernottamento in hotel. Domenica 31 dicembre: Polar Night in motoslitta
Prima colazione in hotel. Giornata a disposizione per shopping e visite facoltative fino all’orario della escursione Polar Night, il safari in motoslitta. Dopo aver indossato le speciali tute termiche necessarie a questa esperienza, partirete per una guida avventurosa ed emozionante. Panorami mozzafiato e distese immense di nevai che, per via della notte polare, sembreranno illuminati da un colore
indaco-azzurro molto particolare. Nonostante la notte artica conceda solo pochissime ore di luce diurna, il buio artico non è mai buio del tutto e offre una sensazione molto avvolgente. A Capodanno è prevista ed inclusa una cena speciale di fine anno, con 4 portate, presso il Ristorante dell’hotel, da cui si potrà ammirare lo spettacolo pirotecnico dei fuochi d’artificio artici. Buon Anno Nuovo!
Lunedì 1 gennaio: giornata libera
Prima colazione. Tempo libero per visite in città o per escursioni facoltative alle Svalbard. Potrete ancora avere l’opportunità, se la natura lo consente, di osservare le magnifiche Aurore Polari. Pernottamento in hotel. Martedì 2 gennaio: Longyearbyean – Oslo
Prima colazione in hotel. Trasferimento all’orario previsto in aeroporto per il volo di linea SAS per Oslo. Arrivo e trasferimento presso l’hotel Thon Terminus 4**** centrale. Cena light in hotel. Pernottamento. Mercoledì 3 gennaio: Oslo
Prima colazione in hotel. Partenza per una visita guidata della città a cura di una
Bellinzona
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guida locale, in italiano. Conoscerete l’anima della città della Pace poiché ogni anno qui il 10 dicembre viene consegnato il famoso Premio Nobel per la Pace. Si visiterà il Parco Frogner con le sue sculture che raccontano il ciclo della vita, il centro urbano, il porto e il quartiere Aker Brygge, fino alla collina di Holmenkollen dove si trova il grande trampolino del Salto con lo sci, e da cui si gode di un panorama stupendo sul fiordo di Oslo innevato. Pomeriggio libero. Cena light in Hotel e pernottamento.
Giovedì 4 gennaio: Oslo – Milano Malpensa – Ticino
Prima colazione. Trasferimento in aeroporto e partenza con volo di linea SAS per Milano Malpensa. Rientro in Ticino individuale. AVVERTENZA
Le aurore boreali/polari sono fenomeni naturali e dipendono dalle condizioni meteo: pertanto, nonostante la destinazione e il periodo sia molto indicato, non se ne può garantire l’osservazione. Questo viaggio è una vera e proprio spedizione artica e prevede quindi un certo spirito di adattamento, poiché lassù è la natura che comanda, ed è possibile che il programma delle escursioni per motivi atmosferici possa subire cambiamenti d’orario o di effettuazione. Tali cambiamenti verranno comunicati dal fornitore locale. Questo viaggio non è adatto a ragazzi di età inferiore ai 14 anni.
Località Telefono e-mail Sarò accompagnato da … adulti .
Prezzi Prezzo per persona in camera doppia: CHF 3998.–. Supplemento camera singola: CHF 995.–. Spese agenzia: CHF 60.–. La quota comprende Volo di linea SAS; tasse aeroportuali; trasferimenti dall’aeroporto all’hotel e ritorno; sistemazione in hotel 4**** in camera doppia con servizi privati; trattamento come da programma; 3h di visita in bus della città di Oslo con guida in italiano; 4h di escursione con i cani Husky; safari in motoslitta; guida esperta dell’Artico in italiano per tutto il viaggio; Cenone di Capodanno. La quota non comprende Bevande; escursioni extra; assicurazione annullamento (da CHF 57.–).
A Sant’Antonino una festa Ferrari Motori L’ex pilota svizzero di Formula 1 Jo Vonlanthen presenta al Centro Migros l’esposizione di bolidi rossi Mario Alberto Cucchi Difficile assistere a una festa così. La Ferrari compie settant’anni e in tutto il mondo gli appassionati del cavallino rampante brindano ai suoi successi. Decine le esposizioni e le manifestazioni a lei dedicate in tutta Europa. In Ticino si festeggia al Centro Migros S. Antonino dove sino al 30 settembre saranno esposte alcune tra le automobili più belle costruite a Maranello. Non è facile poter ammirare in un solo luogo modelli così belli ma diversi tra loro. La Ferrari F310B con la quale nel 1997 il pilota Michael Schumacher riportò la scuderia di Maranello ai vertici della Formula 1; la Ferrari 360 Modena Spi-
der del 2003; la Ferrari 550 Maranello del 1999; la Ferrari 612 Scaglietti del 2005 e la Ferrari California del 2010 capace di un’accelerazione da 0 a 100 km/h in 4 secondi. Insomma, Gran Turismo di serie e monoposto di Formula Uno, tutte con un unico denominatore: appartengono alla collezione di Jo Vonlanthen, ex pilota svizzero che ha curato l’esposizione. Vonlanthen non si è fatto mancare nulla: Formula 3 di cui è stato campione Svizzero nel 1972, Formula 2 e anche Formula 1. Indubbiamente le auto le conosce bene ed ha anche vissuto un periodo di grossi cambiamenti tecnologici nel mondo delle quattroruote. Jo Vonlanthen ha preferenze chia-
Una delle Ferrari esposte al Centro Migros di Sant’Antonino. (Jo Vonlanthen)
re: «La mia Ferrari preferita è la 500. Il famoso pilota Alberto Ascari con quella monoposto ha vinto il titolo mondiale nel 1952 e 1953. Ho avuto la fortuna di guidarla a lungo sia durante eventi Ferrari e anche in pista». «Assieme a lei» continua Vonlanthen «tra le mie favorite c’è anche la F40», che è stata costruita tra il 1987 e il 1992. Milletrecentotrentasette gli esemplari assemblati a Maranello e 324 chilometri orari la velocità massima dichiarata. E parlando di auto più recenti? «Oggi guido con piacere una Ferrari California che si potrà ammirare anche durante la mostra di S. Antonino». La tecnologia ha fatto passi da gigante, le dotazioni e le prestazioni
di quest’ultima fuori serie non erano neppure ipotizzabili all’epoca della Ferrari 500. La California, costruita a partire dalla seconda metà del 2008, è la prima vettura Ferrari ad adottare una carrozzeria coupé-cabrio ovvero con capotte in metallo scomponibile e ripiegabile. È dotata di motore otto cilindri a V derivato dalla Ferrari F430. La cilindrata è di 4296 cc ed è dotata di un sistema ad iniezione diretta. La potenza massima è di 460 cavalli mentre la velocità massima dichiarata è di 310 chilometri orari. La California è equipaggiata con un sistema di trazione derivato direttamente dal reparto corse della Ferrari e dall’esperienza in Formula Uno. Si
tratta del Launch Control che ottimizza le partenze da fermo come in un GP: la California passa da 0 a 100 orari in soli 3,9 secondi. Nel 2012 la California ha subito un aggiornamento che ha aumentato la potenza massima sino a 490 cavalli. Nel 2014 è poi arrivata alla potenza massima di 560 cavalli con il modello California T, dove la T sottolinea il ritorno del motore Turbo. La California T è stata sostituita dalla Ferrari Portofino appena presentata al Salone dell’Auto di Francoforte. Questi e altri gioielli si potranno ammirare all’eccezionale mostra che, come detto, si svolgerà al Centro Migros S. Antonino sino al prossimo 30 settembre.
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Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 25 settembre 2017 • N. 39
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Ambiente e Benessere
Il Seicento, secolo di transizione Il vino nella Storia L’invenzione della stampa nel secolo precedente rende più facile divulgare
le nuove conoscenze enologiche e Giovanni Battista Croce farà conoscere al mondo le ricchezze del Piemonte
Davide Comoli Il Seicento è stato il secolo di transizione che ha portato nuovi contributi nel campo dell’enologia, favorendo tra l’altro l’istituzione delle Accademie. Il vino è da sempre stato un ottimo strumento primario della diplomazia in ogni epoca, ed è interessante a questo proposito notare come, sulla scia del cardinale Mercurino Arborio di Gattinara, gran cancelliere di Carlo V, il marchese di San Maurizio, ambasciatore del duca di Savoia a Parigi, fosse gran fautore della diplomazia del vino e usasse i vini piemontesi come regalie. Proprio curiosando tra le sue note spese, siamo in grado di sapere per esempio che l’11 febbraio 1669 egli inviò in dono al Signore di Colbert, il famoso ministro del Re Sole, ben sei barili di vino del Piemonte (o meglio la parte piemontese del ducato dei Savoia). L’elenco dei vini specifica pure il numero di bottiglie inviate al Nunzio apostolico e all’ambasciatore veneziano e nella lista non manca lo stesso Luigi XIV. Forse qualche lettore si chiederà come mai i vini di un piccolo ducato, nel novero delle grandi potenze dell’epoca fossero così famosi? Grazie alla diffusione della stampa nel secolo precedente, le opere dei sapienti dell’epoca furono divulgate con facilità e questo non mancò di esercitare la sua influenza, anche
nel campo vitivinicolo della vecchia Europa. Come abbiamo visto negli articoli precedenti, molti autori avevano «fotografato» la viticoltura italiana del 500. A rendere giustizia alla viticoltura del Piemonte fu nel 1606 Giovanni Battista Croce, orafo al servizio del duca di Savoia alla corte di Torino. Nel suo Della eccellenza e delle diversità dei vini che nella montagna di Torino si fanno, egli porta chiarezza e soprattutto ordine ampelografico nella viticoltura piemontese dell’epoca. Giovanni Battista Croce coltivava la vigna di sua proprietà situata sulla collina torinese, nella sua opera, oltre alla sommaria descrizione delle varietà delle uve, è interessante notare il dettaglio delle tecniche di cantina. Per quanto concerne le varietà, il Croce elenca le seguenti uve nere: il Nebiol (Nebbiolo), il Neretto usato ancora oggi per aumentare la colorazione del vino, il Mostoso, il Rossetto, il Cairo, la Grisa Maggior che produceva vini rosati e delicati, il Mauzanetto che faceva vini verdi e asprigni, l’Avanale produceva un vino dolce e profumato, la Mauzana, il Rossetto di bassa gradazione e poco conservabile, la Grisa Minor e il Castagnazza. Per quanto concerne le varietà bianche, il Croce elenca: Erbalus (Erbaluce), il Cascarolo «così chiamato perché quando è maturo cascano da sé i grani», il Nebbiol bianco (Arneis), Lu-
glienga migliore da mangiare che per far vini secondo Croce, Brazolata produceva un vino di bassa gradazione, il Callorio, il Guernazza, il Moscatello, la Malvasia, la Passula bianca usata per far vini dolci, l’Uccellino «perché volentieri gli uccelli lo beccano». Il Croce, come prima regola di un bravo vignaiolo, oltre che buon cantiniere, suggerisce di scegliere con criterio il terreno onde piantare il vigneto, che deve avere una buona esposizione, quindi dà dei consigli in merito. Non citato dal Croce, ma di sicuro riportato in un estimo catastale del 1514 a Chieri è il vitigno Barbera (il sangue del Piemonte). Dai catasti si potrebbe ritenere che questo vitigno non fosse ancora molto diffuso nel sec. XVI, in quanto sembra occupasse solo lo 0,05 per cento dell’avitato. Del resto una coltura generalizzata dell’uva Barbera, almeno con questa denominazione, sembra essersi imposta soltanto nel secolo XVIII: ad esempio nel Giornale di me del conte P. Francesco Cotti, si rileva che soltanto nel 1675 a Neive, vennero impiantate una vigna di Barbera, i cui magliuoli erano stati fatti arrivare da Asti e altre di Bonarda e di Freisa. Non è però lontana dal vero l’ipotesi che il vino Barbera fosse già diffuso in Piemonte, forse con denominazioni diverse da luogo a luogo, con nomi come: Fraschetta nell’astigiano, Ughetta nel vercellese e nel canavese, Vespolina dai novaresi. Il vino
era molto importante per casa Savoia. Dopo la battaglia di San Quintino, dove aveva sconfitto i francesi nel 1557 il duca Emanuele Filiberto (1528-1580), trasferì la capitale da Chambery a Torino (1563), portando un potenziamento economico allo Stato Sabaudo e una nuova organizzazione della casa ducale, dando molto spazio anche al vino. La sua corte era ripartita così: casa, camera e scuderia: tre grandi corpi nell’ambito dei quali erano inquadrati i gentiluomini e gli ufficiali, maggiori e minori, che provvedevano ad espletare i vari servizi. Naturalmente quello che a noi interessa è la costituzione della camera, a capo della quale vi era il «sommeiller de corps» (la parola sommelier è scritta in questo modo). Alla «someglieria» o «bottiglieria» erano appunto demandati gli acquisti e la distribuzione del vino, sia quello «di bocca», riservato al duca ed ai suoi commensali, sia quello «del comune», destinato al restante personale della corte. La «someglieria ducale» annoverava fra i suoi addetti un sommelier di bocca, un sommelier del comune e due aiutanti sommelier, alcuni garzoni e portabarale. Oltre alle occasioni di ascesa sociale che poteva dare questa collocazione, coloro che lavoravano ai livelli più alti della «someglieria» percepivano uno stipendio che li collocava in una fascia di retribuzione di impiego «medio-
Il frontespizio di una copia dell’opera dedicata ai vini piemontesi. (Wikipedia)
alto». Oltre allo stipendio e al rilievo sociale, al sommelier veniva garantito l’alloggio e la cosiddetta «livra del vivere» ossia una razione quotidiana di cibo e due pinte di vino per persona. Apprendiamo inoltre dalle «forniture della casa ducale» del 1585, che le «spese vino» rappresentavano la seconda voce sul bilancio, subito dopo le «vettovaglie». Tutto sommato sapendo come si viveva a quel tempo possiamo tranquillamente affermare: «Quanto si stava bene a fare il “sommegliere”». Annuncio pubblicitario
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Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 25 settembre 2017 • N. 39
19 Giochi per “Azione” - Settembre 2017 Ambiente e Benessere Stefania Sargentini
Cervo in bella mostra (N. 37 - La paura del parto si chiama tocofobia)
Mondoanimale Al Centro Lucomagno di Pro Natura un’esposizione interattiva onora il Re del bosco 1 2 3 4 5 6
Maria Grazia Buletti «La mostra fotografica e interattiva che ospitiamo al Centro Pro Natura Lucomagno è interamente dedicata al cervo, re del bosco e animale dell’anno», così esordisce la responsabile della comunicazione Martina Spinelli nel ricordarci che l’esposizione in onore di questo maestoso ungulato che popola il nostro territorio è aperta già da qualche mese e si protrarrà fino al 22 ottobre, giorno di chiusura del Centro secondo i seguenti orari di visita: «Fino a fine settembre, la mostra è aperta tutti i giorni dalle 7.00 alle 22.00; mentre dal primo ottobre il Centro apre dal mercoledì mattina alla domenica alle 17.00, e su richiesta possiamo comunque organizzare escursioni di gruppo sul territorio per andare a sentire il bramito del cervo, tipico dei mesi di settembre e ottobre». La nostra interlocutrice ci chiarisce subito il perché della scelta del cervo come animale su cui attirare l’attenzione della popolazione: «Al Lucomagno questo ungulato trova un ambiente favorevole e, inoltre, non dimentichiamo che si tratta di uno degli animali più facili da osservare in natura, a condizione di essere accompagnati da un esperto della regione che conosce le sue abitudini». L’obiettivo che il sodalizio persegue è proprio quello di promuovere il contatto con la natura: «Volendo far penetrare i nostri ospiti nel cuore della natura, era ovvio che l’animale che andava presentato in tutte le sue sfaccettature dovesse essere il re del bosco. Ciò ha pure permesso di promuovere ancora l’animale da noi prescelto a rappresentare il 2017». Secondo Martina Spinelli, il cervo fa parte della fauna
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I cervi sono stanziali, si muovono di più solo se devono fuggire dal lupo, loro nemico 1 naturale. 2 (ProNatura)
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(N. 38 - ... diecimila chilometri, dalla Russia al Messico) 3
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8 delle persone»: 9 che «fa7breccia nel cuore «Parecchi vanno ad osservarlo nei boschi, con tutto l’arco 10 il binocolo, lungo11 dell’anno, e si appassionano davvero a questo animale che è il più maestoso 13 14 che popola le nostre selve». E proprio qui stanno i motivi che permettono al 15avvolto in una sorta 16 di cervo di essere alone di fascino che la mostra esplicita in più 21 modi e con differenti postazioni: 22 23 «Pensiamo solo al bramito (ndr: tipico verso che sta a significare un richiamo 26 che27 28il ruggito 29 d’amore) ricorda un po’ del leone, re della savana così come il cervo 32 lo è dei nostri33 boschi; pensiamo pure ai palchi delle corna che ricordano proprio una corona, senza dimenti37 care che ogni anno il maschio li perde e
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ogni anno se li fa ricrescere in una vera e propria manifestazione di forza della natura». 12 La competenza e la passione della nostra interlocutrice ci spingono ad approfondire ulteriori aspetti dell’argomento, ad esempio la stanzialità o 17 18del cervo sul 19 territorio: 20 il movimento «I cervi si muovono di più dove arriva il lupo e non è un male che25 si spostino: 24 diversamente, si impigriscono e tendono a restare stanziali apportando mag30 31 e all’agricoltura. giori danni alle foreste Dunque, se fosse il predatore naturale a farli spostare35un pochino,36aumentan34 do il loro movimento, ciò non può che dare beneficio alla foresta e all’ecosi38 stema». Spinelli rende altresì attenti al
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N. 33 FACILE Schema M A3 T5 2 I 6 1Z8 7Z 4 O 9 3 3
C L1 I 12 13 A E R 5 A7 T5 5O numeri corretti2 16 da inserire nelle 6 43 Rcolorate. E A A F caselle 9 4 7 19 2N1 F Giochi per S“Azione” R - Settembre I8 2017 Stefania Sargentini 1 21 2 6 6 3 9 7A O G U I (N. 37 - La paura del parto si chiama tocofobia) 2 7 1 23 L A P TR A C U N. 31 DIFFICILE 25 3 7 1 9 O 8R M 1A 2 7 D E I E P 4R O F 2 8 1L E 5 26 A 7 P 3R O N A C T O S I C 8L I 6 V2 I R E D 1 L 2E 6A L O I H C
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8 6 51 I 5A M 7A R 3T E O 3E 2 5 92 4 7 91 3 6 6 4 7 3 5 1 2 8 9 T C A N O E F O R 26. Così in latino 19. Veloce, rapido 27 26 6 7P I E 1 3 2 8 6 9 4 7 5 O 1L B 2della I Asettimana A 4M 27. Un bulbo umano 21. Le figlie di Zeus Soluzione precedente 23. Vive nei mari del nord Balena Varvara, record tra i mammiferi per migrazione, 8 1 3 8 9 695giorni 2 solo 4 7andata: 6 1 3 VERTICALI 25. Quel di ferro non cuce …DIECIMILA CHILOMETRI, DALLA RUSSIA AL MESSICO. (N. 38 - ... diecimila chilometri, dalla Russia al Messico) 7 2 N. 32 GENI 1. Altopiano a Nord Est Si ripete rincuorando 1 2 dell’Italia 3 4 526. 6 5 6 7 8 1 2 3 4 2. Un’occhiata maliziosa in Inghilterra 5C E 1C I 9 6 5 8 1 4 2 7 3 D I 1 9 8 7 8 9 3. Spesso fa sragionare 1 3 8 9 7 2 6 5 4 A M3 I L A S 9 10 4. Lo dice il titubante 10 11 12 I vincitori 5M 3 R 8 1 7 2 4 6 5 3 8 1 9 C 7A S H 5. Noto condottiero visigota 9 13 14 2 6 8 9 7 3 4 5 1 2 6 7. Parte I G 9L O O 4 A 11dell’occhio 12 13 14 15Vincitori del 16 concorso 17 18 19 20 Cruciverba 8. Tratto circoscritto di territorio 7M I E T 7E 5 R E 6 41 3 57 28 8 9 4 65 O A su «Azione 37»,24del 11.9.2017 25 9. Sono di famiglia 21 22 23 4M D 5 4 2 1 9 6 7 3 8 I A 6L A 3 8L A 15 in latino 16P. Grossi, M. Cavallini, T. Vicari 10. Bocca 26 27 28 29 30 31 4 1 4 6 3 7 9 4 6 1 5 8 2 R U R S E R S G Vincitori del concorso Sudoku 12. Microsoft sul desktop 32 33 34del 11.9.2017 35 36 16. Sottile, minuta su «Azione 37», 17 18 19 2 8 1 5 3 9 4 6 7 I N N 1A T A L 6E A R 18. Tra i primi è l’ultima e tra gli ultimi 37 G. Togni, F. Zanetti 6 8 3 4 38 4 5 6 2 8 7 3 9 1 S 4O M M 2 E S 7 S 3 I C O la prima 21
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Regolamento per i concorsi a premi pubblicati su «Azione» e sul sito web www.azione.ch
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ORIZZONTALI 1. L’insieme delle condizioni atmosferiche 6. Pezzo di legno ardente 11. Ventilato 13. Sovrani francesi 14. La colpevole 15. Simili, analoghi 17. Le iniziali dell’attrice Rocca 18. Malfidata, subdola 20. Custodie sagomate 21. Due vocali 22. Ricca senza pari 23. Otorinolaringoiatra in breve 24. In dieci e in mille 25. Libero in Inghilterra
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stazione «Fatti un selfie» nella quale ci si può ritrarre con i palchi in testa. Infine, Martina ci parla della postazione di osservazione: «Serve a testare chi possiede i cosiddetti occhi da naturalista: a una certa distanza e con l’ausilio di un binocolo, bisogna contare quanti cervi stanno nella fotografia del Parco naziofatto che la popolazione di cervi va con- nale svizzero e vi posso assicurare che trollata e andrebbero ridotti i cervi de- non è per nulla semplice! Io ho perso finiti più «viziosi»: «Si tratta di capi che tre volte il conto». Sulla stessa fotograsi abituano ad andare a mangiare nelle fia ci si può poi cimentare sul numero vigne, nei campi agricoli o nelle coltu- di femmine presenti, e sull’individuare re, con evidenti danni per l’agricoltura, anche il solo cervo che possiede il collaad esempio». Ma tornando alla mostra re trasmettitore rosso. del Centro Lucomagno, scopriamo che Postazioni interessantissime e è proposta in due momenti specifici: coinvolgenti, pannelli fotografici esau«Una vera e propria esposizione nella stivi e prova di deer–watching sono cosala conferenza al piano terreno offre adiuvate dall’obiettivo del sodalizio di SUDOKU AZIONE - AGOSTO 2017 pannelli N. informativi e postazioni inte- PERcreare un: «vero contatto diretto con 29 FACILE rattive, coadiuvata da altre piccole po- le persone da accompagnare fuori, sul Schema Soluzione stazioni definite “Toccar con mano”, campo, nel bosco, e questo è un valore 1 4 6 1 7 5 3 4 9 2 8 dove all’interno di alcune scatole ab- aggiunto che noi offriamo con entusia5 2 8 6 5 se 2 l’esposizione 8 7 1 3può4 essere 6 biamo messo alcuni oggetti che ripor- smo, 9anche 4 6 2 tano al cervo, e infilando una mano il tranquillamente 8 3 4 6visitata 2 9in modo 7 1 auto5 visitatore nomo». 2 8 deve indovinare di cosa 9 si 2 8 5 3 4 7 1 6 9
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Cruciverba Ridere fa bene! Un articolo di giornale riporta: «Rubano…» Trova tu il resto della frase leggendo, a cruciverba risolto, le lettere evidenziate. (Frase: 14, 9, 2, 6)
L A P T A U O R M A D E tratta». Interessantissima, inoltre, la che serve a immedesimarsi L E postazione O F nel cervo, P e portaRil visitatore stesso a diventare un cervo: «Serve per sentiA R cosa O si prova N aA re, P ad esempio, portare dei palchi sulla testa: abbiamo creato C un Lcasco con I deiVpalchi Ifinti che però hanno un peso simile a quelli veri e, inpermette di muoversi nell’amL E dossato, A capire L quanto I sia pesante H (e biente, perché il cervo maschio ha dunque un A R colloTmoltoEpiù forte e sviluppato O E della femmina), quanto equilibrio ci vuoper muoversi fra rami e piante, per N O lepassare E attraversoFstrettoie O e così R via». Nell’esposizione non viene trascurato A A ilMlato goliardico, P I conEla poneppure
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(N. 40 - Buon falegname fa pochi trucioli)
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Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 25 settembre 2017 • N. 39
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Politica e Economia Pyongyang vista da Tokyo In questa crisi con la Corea del Nord Shinzo Abe sempre meno disposto al dialogo
Referendum catalano Dopo gli arresti e le minacce, la temperatura politica è alle stelle fra fautori del referendum per l’indipendenza catalana del 1. ottobre e contrari capeggiati dal premier spagnolo Mariano Rajoy che fa di tutto impedirne la celebrazione
Uruguay: la volta di Lucia L’ex guerrigliera dei Tupamaros e moglie dell’ex presidente Pepe Mujica diventa vicepresidente
Un freno benefico Secondo gli esperti interpellati dal Consiglio federale, il freno all’indebitamento va bene com’è pagina 29
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«Patriottismo non burocrazia» La dottrina Trump all’Onu Il rilancio del
nazionalismo è a 360 gradi con l’attacco alla globalizzazione, ai trattati di libero scambio e le loro promesse fallite. Un discorso, quello del presidente, nel quale ha sempre tenuto alta la bandiera degli Stati Uniti
Federico Rampini Il newyorchese medio considera l’Onu come una «disgrazia necessaria». Una volta l’anno – in occasione dell’assemblea generale che raduna i potenti della terra – l’Onu rende il traffico di Manhattan ancora più impossibile del solito. Però fa anche della Grande Mela la vera capitale globale, con uno sberleffo a Washington. E poi, come ha detto Donald Trump, tutto questo viavai di leader e diplomatici fa bene agli affari (lui ha costruito e venduto una Trump World Tower a pochi isolati dal Palazzo di Vetro). Ma quest’anno si respirava nell’aria qualcosa di diverso. Era la prima volta di Trump alle Nazioni Unite. Un colpo di grazia, per un’istituzione già ampiamente screditata e sfiduciata da tanta parte dell’opinione pubblica mondiale? Alla fine il bilancio concreto del summit – come tutti gli anni – è modesto. Le decisioni reali le ha prese l’America da sola, come l’ennesimo ed ulteriore inasprimento delle sanzioni economiche alla Corea del Nord; e continuerà a prenderle l’America da sola, come l’eventuale disdetta dell’accordo nucleare iraniano su cui Trump deve comunicare una decisione al suo Congresso entro il 15 ottobre. L’attenzione immediata durante l’assemblea generale si è concentrata sulla minaccia di «distruzione totale» della Corea del Nord, e gli altri attacchi duri contro Iran e Venezuela. Ma il primo discorso di Trump all’Onu è stato molto più di questo. È un vero manifesto ideologico, quello che il presidente americano ha proposto a tutti i nazionalpopulismi del nostro tempo. Nel Palazzo di Vetro è risuonata per la prima volta una Dottrina Trump organica, in larga parte confezionata dall’unico ideologo di estrema destra (Stephen Miller) che i generali hanno voluto lasciargli a fianco alla Casa Bianca. (L’altro, Stephen Bannon, era stato cacciato dal generale Kelly appena nominato chief of staff). L’appello di Trump ai leader mondiali invoca un «risveglio delle nazioni», usando quel termine («reawakening») che in America fu storicamente associato a fenomeni di riscoperta di
massa di un intenso fervore religioso. La salvezza del mondo nella sua visione dipende da un revival del patriottismo, «non da burocrazie distanti». È un mondo di «nazioni orgogliose», fiere di difendere i propri cittadini, quello che può restituirci sicurezza. Come presidente degli Stati Uniti lui rivendica il diritto di «mettere l’America al primo posto (America First), proprio come gli altri leader fanno e dovranno sempre fare per i propri paesi». Il rilancio del nazionalismo è a 360 gradi. C’è l’attacco alla globalizzazione, ai «trattati di libero scambio con le loro promesse fallite, milioni di posti di lavoro distrutti, mentre altri violavano le regole». Alla middle class e ai lavoratori americani lui ribadisce la promessa fondamentale della sua campagna elettorale: «Non sarete mai più i dimenticati». C’è anche una linea Trump sui profughi, che risuonerà in molti paesi europei alle prese con questo nodo: «Per il costo di accoglienza di un rifugiato qui negli Stati Uniti, possiamo salvarne dieci a casa loro. Questo sì, è umanitario». La riscoperta di un culto della nazione, viene estesa fino ad abbracciare l’atto fondatore dell’Onu. Nel suo discorso Trump si appropria dell’invenzione di Franklin Roosevelt e ne dà la sua versione: alle origini delle Nazioni Unite c’è la vittoria contro i nazifascismi nel 1945, ma gli eroi che offrirono il sacrificio della vita nella Seconda guerra mondiale, «combattevano per difendere le nazioni che amavano». In questa visione c’è posto per l’Onu solo se «realizza finalmente il suo enorme potenziale». Cioè se sarà efficace nel contrastare e neutralizzare gli Stati-canaglia come la Corea del Nord e l’Iran. Trump è disposto a concedere un ruolo alle istituzioni multilaterali se il risultato vale l’investimento, se il tornaconto per i singoli paesi membri in termini di sicurezza è proporzionale alla spesa. Le contraddizioni abbondano, fra questa Dottrina Trump nei suoi principi generali, e la sua applicazione ai casi concreti. La sua condanna dell’accordo nucleare con l’Iran firmato da Barack Obama è inspiegabile, alla luce della crisi nordcoreana: quanto darebbero oggi gli americani per firmare un’inte-
Donald Trump nel suo intervento alle Nazioni Unite ha auspicato la riscoperta di un culto delle nazioni. (AFP)
sa simile con Kim Jong-un, che ne arresti almeno per dieci anni il programma nucleare? Inchiodare alle loro responsabilità quei paesi che sostengono il terrorismo islamista, senza un accenno di critica all’Arabia saudita, riproduce le eterne contraddizioni della realpolitik americana, sempre indulgente quando è un alleato strategico a calpestare i diritti umani o a foraggiare madrasse fondamentaliste. Al netto delle troppe incoerenze, resta però quel messaggio di fondo. Che non è banale, nella sua trasparenza estrema. La Dottrina Trump esplicita quel che pensano tanti cittadini delle liberaldemocrazie delusi dalla globalizzazione, spaventati dai flussi migratori: non saranno le tecnocrazie sovranazionali a proteggerci, visto che «questo mondo» lo hanno disegnato proprio loro. La Dottrina Trump è anche sorprendentemente vicina alla teoria e alla
pratica seguita da sempre da tanti leader delle potenze emergenti. La Cina, la Russia, la Turchia e ora perfino l’India dell’ultranazionalista Narendra Modi, non hanno mai veramente creduto di aderire all’Onu per realizzare la difesa della Dichiarazione universale dei diritti umani. L’idea che esistano valori sacri sotto ogni latitudine, diritti degni di tutela a prescindere dai regimi politici o dalle fedi religiose, è stata spesso denunciata dalle classi dirigenti di quei paesi come una nuova forma d’imperialismo occidentale. In questo senso Trump è molto «contemporaneo» ed è più simile ai leader delle potenze emergenti di quanto lo fossero Obama, i suoi ispiratori Franklin Roosevelt e Woodrow Wilson. Tra i padri fondatori dell’Onu, alcuni sognarono un mondo dove fosse possibile il superamento dei nazionalismi, additati come le cause di due con-
flitti mondiali. Trump, in questo identico a Xi Jinping e Putin, considera la legalità internazionale e le sue istituzioni come uno strumento da usare o da aggirare, a seconda delle convenienze, dei benefici che se ne possono ricavare. L’indignazione per il tono nazionalista del discorso di Trump è in parte ipocrita. L’aula grande del Palazzo di Vetro risuona di discorsi nazionalisti da quando venne inaugurata. Molti l’hanno usata solo come una tribuna e un amplificatore. L’impotenza dell’Onu di fronte alle tragedie – guerre, guerre civili, carestie ed epidemie – è diventata un luogo comune. Trump in questo caso non è originale, ha solo la sfacciataggine di dire ciò che molti pensano. Naturalmente non è sulla faccia tosta che si costruisce una leadership; né tantomeno è su queste basi che può essere rilanciata una leadership americana già parecchio malconcia.
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Politica e Economia
Shinzo Abe: è tempo di pressioni
Giappone-Corea del Nord I tentativi di dialogo con Pyongyang da
parte del sudcoreano Moon Jae-in stanno facendo infuriare Tokyo
Michele Emiliano, l’anti-Renzi
Figurine d’Italia Il governatore della Puglia
e la sua politica che procede a zig zag
Giulia Pompili
Alfio Caruso
Il Gran torneo autunnale di sumo, la lotta tradizionale giapponese, e poi le vicende sentimentali della famiglia imperiale, hanno distolto soltanto per qualche giorno l’attenzione dei media giapponesi dalla minaccia nordcoreana. Del resto, negli ultimi mesi, la retorica del leader Kim Jong-un si è concentrata spesso sul «nemico» giapponese, colpevole di ospitare le basi militari americane e di appoggiare le politiche considerate «aggressive» della Casa Bianca. Ma anche nei fatti, l’arcipelago del Sol Levante è quello che attualmente sta subendo da parte di Pyongyang azioni sempre più provocatorie. Due missili balistici a medio raggio lanciati nel giro di un mese hanno sorvolato il territorio giapponese, nello specifico l’isola di Hokkaido, quella più a nord. Tokyo non ha potuto far altro che non reagire: cercare di rispondere intercettando e magari abbattendo un missile nordcoreano sarebbe troppo rischioso. Il primo motivo riguarda la geografia: i missili nordcoreani, finora, sono stati testati usando una traiettoria diretta verso l’alto, come si fa usualmente anche negli altri paesi per i test missilistici. Ma le ultime due volte non è andata così: Pyongyang aveva già da tempo minacciato dei «test operativi» da condurre contro l’isola americana di Guam, e così ha fatto, lanciando i missili in traiettoria standard. Geograficamente però la Corea del nord è circondata dai vicini, e nel punto in cui i due missili sono stati «costretti» a sorvolare il territorio nipponico erano comunque troppo alti per essere intercettati dai sistemi antimissile americani e giapponesi. Non solo: i missili hanno sorvolato il Giappone a un’altezza tale – oltre i cinquecento chilometri – che nel diritto internazionale viene considerata uno spazio libero dalla territorialità.
Nonostante la supponenza, direttamente proporzionale alla stazza, nelle ultime settimane Michele Emiliano ha accettato il ruolo di megafono della dissidenza Pd. Ha cioè dato voce ai pensieri reconditi di Francheschini, di Orlando e di tutta la minoranza che valuterebbe la caduta di Renzi come la prova più evidente dell’esistenza di Dio. Dunque, dalla sua cattedra di presidente della regione Puglia, un incarico per lui più onorifico che concreto, Emiliano si è espresso a favore di Gentiloni presidente del Consiglio anche dopo le elezioni della prossima primavera. Ipotesi assai plausibile perché la quasi certa mancanza di un vincitore assoluto farà sì che il governo rimanga in carica per l’ordinaria amministrazione fino alla nuova tornata elettorale o fino a un accordo interpartitico, dal quale scaturisca un’impensabile maggioranza. Ma Emiliano nel suo vaticinio non pensava ad alcuna delle due possibilità: è per Gentiloni premier a prescindere, come avrebbe detto Totò, alla faccia dei numeri e dei rapporti di forza. Per lui ciò che conta è differenziarsi da Renzi, inseguire quell’investitura a leader finora cocciutamente negatagli dai tanti critici e dai pochi estimatori. E dire che pur di riuscirci non ha badato a giravolte e musate. Si era proposto come leader del neo Movimento progressisti democratici, ma dimenticò di presentarsi la mattina della scissione; si era dipinto quale alternativa morale a Renzi, oltre che l’unico in grado di evitare ulteriori scissioni nel Pd, tranne poi abbracciarlo e ricordare di esser stato un renziano della prima ora. Ha contraddetto la linea del suo partito aprendo tutte le porte al Movimento 5 Stelle, che con poco garbo gliele ha sbattute in faccia; ha coccolato la piccola area contestatrice del gasdotto Tap incaricato di portare in Puglia il metano proveniente dalla Turchia e invocato dalla gran parte dei pugliesi per gli enormi benefici economici.
Questa è la peggiore crisi nordcoreana dai tempi del bombardamento dell’isola sudcoreana di Yeonpyeong, nel 2010 È questo il ginepraio di azioni, risposte e conseguenze in cui si muove attualmente il governo giapponese di Shinzo Abe, accusato di fare troppo poco da un lato, e dall’altro di essere troppo vicino a Donald Trump per essere credibile e riuscire a prendere in mano la leadership asiatica. Questa è la peggiore crisi nordcoreana dai tempi del bombardamento dell’isola sudcoreana di Yeonpyeong, nel 2010. Eppure, mentre il presidente americano minacciava la Corea del nord di rispondere alle provocazioni con «il fuoco e la furia», il leader nordcoreano Kim Jong-un rispondeva con un test atomico di una potenza nemmeno lontanamente pronosticabile, e con missili balistici capaci di arrivare alle basi militari statunitensi nel Pacifico. La paura non fa parte del Dna dei giapponesi. Un Paese che è riuscito a trovare un modo per convivere con le peggiori catastrofi naturali non ha paura della geopolitica. Ma questa volta c’è qualcosa di diverso. Al nord, nell’isola di Hokkaido, dove il Giappone dista poche miglia di traghetto dalla Russia, sono già due volte che i giapponesi si svegliano con l’allarme antimissile. Negli anni – e soprattutto dopo la tragedia del terremoto e dello tsunami dell’11 marzo del 2011 – Tokyo ha sviluppato un sistema di allarme per i suoi cittadi-
Il premier giapponese Shinzo Abe spiega ai media l’attuale crisi nordcorena. (AFP)
ni che ogni anno salva centinaia di vite. Si tratta di altoparlanti diffusi nelle aree più a rischio, e poi di un sistema satellitare che funziona con un’applicazione sul telefono, che avverte qualche secondo prima dell’arrivo di un terremoto considerato «pericoloso» (gli standard non sono quelli occidentali), ma anche in caso di eventi metereologici, vulcani attivi, eccetera. In caso di allarme, a seconda della calamità, ogni abitante giapponese sa che cosa fare: niente panico, raggiungere le uscite d’emergenza, aspettare nei centri di raccolta. Nonostante qualche esercitazione in caso di attacco missilistico fatta nei mesi scorsi, in Hokkaido i residenti restano scettici. «La verità è che non sappiamo dove andare, abbiamo troppo poco tempo tra l’allarme e l’eventuale impatto», diceva qualche giorno fa all’«Asahi Shimbun» un pescatore di Otaru. Non esistono rifugi antimissile, non siamo più nel Dopoguerra, e soprattutto non esistono rifugi antiatomici. «Le autorità chiedono di rifugiarci negli edifici, ma quali edifici sono davvero sicuri?». Il ministro della Difesa del governo Abe, Itsunori Onodera, in passato aveva più volte ventilato l’ipotesi di fermare i missili nordcoreani prima che sorvolino il territorio giapponese. Da qualche giorno ormai anche i falchi sono tornati su posizioni meno belligeranti: i lanci missilistici nordcoreani non «rappresentano» una minaccia effettiva per il territorio giapponese, e quindi siamo costretti a guardarli passare, senza poter fare nulla. A porre una minaccia più concreta sono piuttosto i test missilistici che da qualche mese Pyongyang dirige verso le acque territoriali giapponesi. Dal maggio al luglio di quest’anno almeno sette missili norcoreani sono caduti nella cosiddetta zona economica esclusiva giapponese, quella porzione di oceano dove possono pescare soltanto le imbarcazioni autorizzate da Tokyo. Secondo lo «Yominuri Shinbun», tra le compagnie che operano sulla costa occidentale giapponese, quella che si affaccia sul Mar del Giappone e quindi più vicina alla Corea del nord, sono più che raddoppiate le assicurazioni speciali per «guerra e altre emergenze». Si tratta di contratti che coprono i danni causati dalla guerra e da attacchi generici, così come l’eventuale cattura, il rapimento o la morte di qualcuno dell’equipaggio. Secondo l’inchiesta del quotidiano nipponico, se alla fine del
2016 erano 250 i pescherecci coperti da questo tipo di assicurazione, alla fine di luglio erano diventati 742. Gran parte di loro opera anche nella zona di Okinawa, l’area delle isole Senkaku, quelle militarizzate dal Giappone perché contese con la Cina. L’area di Yamatotai, al centro del Mar del Giappone, è poi sottoposta a frequenti incursioni di piccoli pescherecci nordcoreani: la guardia costiera giapponese avrebbe respinto più di ottocento imbarcazioni nordcoreane in acque internazionali e quindi fuori dalla propria zona economica esclusiva. Dal punto di vista politico, questa crisi ha contribuito a far risalire l’indice di grandimento e popolarità del primo ministro Shinzo Abe, che sta preparando la campagna elettorale dopo aver deciso di sciogliere la Camera bassa per calcolo politico e pura strategia. Sin dal suo primo mandato nel 2007, il suo obiettivo politico a lungo termine è la famigerata riforma costituzionale, ovvero la modifica dell’articolo 9 della Costituzione nipponica che dalla fine della Seconda guerra mondiale in poi impedisce a Tokyo di avere un esercito regolare. Se in un primo momento la revisione della natura pacifista della Carta aveva trovato forti opposizioni, le continue minacce nordcoreane stanno facendo risvegliare nei giapponesi la voglia di sicurezza e difesa. Ma c’è anche la crisi della leadership mondiale americana: Washington è obbligata dal Trattato a difendere Tokyo, ma qui dove la politica è una fine arte retorica le sparate del presidente Donald Trump – il cui linguaggio è sempre più vicino a quello del leader Kim Jong-un – vengono comprese con difficoltà. Il Giappone vuole tornare a guidare da solo l’Allenaza del Pacifico. È anche per questo che i tentativi di dialogo con Pyongyang del presidente sudcoreano Moon Jae-in sono criticati dal governo nipponico, che invece invoca pressioni su Pyongyang. Ed è anche per questo che durante l’Assemblea generale delle Nazioni Unite sia Trump sia Abe hanno parlato dei rapiti giapponesi. La questione è una ferita ancora aperta per i giapponesi: tra gli anni Settanta e Ottanta decine di persone furono portate via da agenti nordcoreani, strappate alle loro famiglie, senza che nessuno abbia più saputo nulla di loro. Shinzo Abe indossa sempre una spilla blu sul bavero della giacca, che rappresenta proprio le vittime dei rapimenti da parte di Pyongyang.
Emiliano ama atteggiarsi a grande fustigatore della scena pubblica, però non accetta di essere sottoposto ad alcun giudizio. Con l’antica tracotanza della sinistra trinariciuta si considera legittimato a rilasciare patenti, tuttavia non riconosce eguale diritto agli altri nei suoi confronti. Neppure all’organo di autogoverno dei magistrati, il Csm, che gli ha contestato una doppia infrazione: prima essersi iscritto a un partito senza dimettersi dalla magistratura, in seguito aver addirittura partecipato alla competizione interna. Sostiene che sia più che normale fare politica conservando nell’armadio la toga da riutilizzare in caso di bocciatura elettorale. D’altronde, l’intreccio tra le due
carriere è stato fondamentale per Emiliano. La notorietà pubblica, infatti, gli arrivò nel 1999 con l’inchiesta sulla missione Arcobaleno predisposta dal governo D’Alema per soccorrere i profughi albanesi in fuga dal Kosovo. Vennero accertati ruberie, corruzioni, violenze. Volarono un po’ di stracci con il rinvio a giudizio di 19 imputati, tra i quali alcuni dalemiani di rango, ma con tempi e modalità tali da far scattare nel 2012 la prescrizione. Andò, quindi, bene a tutti; a Emiliano ancora meglio: le regole dell’epoca, oggi cancellate, gli consentirono di rivestire cariche di amministratore pubblico nelle terre, dove aveva indagato e dentro il partito, su cui aveva indagato. In un decennio è stato sindaco di Bari, segretario cittadino, presidente della regione.
In un decennio è stato sindaco di Bari, segretario regionale del Pd in Puglia e presidente della regione In questi ruoli Emiliano si è sempre schierato a sostegno del segretario di turno, da Fassino a Veltroni, da Bersani a Renzi, con lo scopo evidente d’ingrandire il proprio spazio. La bonaccia con Renzi è stata frantumata dal referendum sulla durata delle trivellazioni in mare. Emiliano l’ha promosso e sostenuto accusando reiteratamente il governo di aver introdotto la norma in questione per favorire le aziende petrolifere. Renzi ha controbattuto accusando il governatore di aver promosso il referendum solo a fini personali. Malgrado Emiliano l’avesse trasformato nella crociata del Bene contro il Male, con lui massimo sacerdote del primo, soltanto il 32% andò a votare (85,85% dei votanti favorevole all’abrogazione). Di conseguenza referendum nullo per mancato raggiungimento del quorum. Eppure, perfino su questi temi ambientali Emiliano ha effettuato bruschi cambi di rotta: il Salento è divenuto teatro di accese polemiche per le lungaggini contro l’abolizione degli scarichi a mari, che avevano rappresentato uno dei suoi cavalli di battaglia nella campagna elettorale delle elezioni regionali. Per Emiliano non esistono linee rette, bensì linee a zig zag da adattare al bisogno del momento. Nel rinnovare il contratto di consulenza alla propria compagna ha spiegato che sarebbe stato assurdo privare la Puglia di una così rilevante risorsa professionale sol perché ha una relazione con lui. Si dichiara pronto a mettere la propria considerevole stazza a difesa dei 250 ulivi, che l’arrivo del Tap costringerà a un momentaneo trasferimento, tuttavia in passato non ha mosso un dito né pronunciato una parola in difesa delle migliaia di ulivi sacrificati dall’allora presidente della regione Vendola alle smanie per le pale eoliche. Si è vantato di essere il sindaco più amato d’Italia. Nella biografia è scritto che durante il servizio da magistrato ad Agrigento ha incontrato Falcone e Livatino, circostanza che s’immagina essere capitata a migliaia e migliaia d’italiani. Ritiene che soltanto i brutti, sporchi e cattivi possano votare per Renzi, mentre gli eletti, le persone perbene non possano che affidarsi a lui. A commento delle sue esternazioni più recenti, su twitter è apparso l’augurio che il Csm scelga per Emiliano il posto dove arrechi meno danni.
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Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 25 settembre 2017 • N. 39
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Politica e Economia
Il pugno di ferro di Rajoy
Referendum indipendentista in Catalogna Le misure repressive adottate dal primo ministro spagnolo
per impedire la celebrazione della consultazione mostrano una deriva autoritaria allarmante Gabriele Lurati La tregua tra Barcellona e Madrid è durata tre giorni, giusto il tempo del cordoglio istituzionale per gli attentati dello scorso 17 agosto avvenuti nel capoluogo catalano. Da allora lo scontro tra il governo catalano e l’esecutivo spagnolo si è intensificato, con un’escalation inarrestabile. Dopo la decisione della convocazione del referendum da parte della Generalitat (il governo catalano), si è assistito infatti a una serie di attacchi politici e iniziative giudiziarie contro la regione «ribelle», che non vuole rispettare il veto imposto dal governo di Madrid alla celebrazione del referendum indipendentista. Gli ultimi atti repressivi del governo Rajoy, culminati con l’arresto di una quindicina di persone (principalmente funzionari della Generalitat ma anche esponenti politici del governo regionale catalano) sono sembrati però eccessivi anche agli occhi neutrali della stampa internazionale. A Barcellona già nei giorni precedenti a queste detenzioni si criticava la svolta autoritaria del governo Rajoy, tanto che alcuni analisti catalani avevano parlato di una «deriva turca», paragonando il primo ministro spagnolo al premier turco Erdogan, in seguito alle misure intraprese da Madrid per sabotare lo svolgimento del referendum. In effetti dall’8 settembre, giorno dell’approvazione della cosiddetta legge di «transitorietà giuridica» da parte del Parlamento catalano e che prevederebbe la celebrazione del referendum indipendentista di domenica prossima e il successivo passaggio a una «Repubblica catalana» in caso di affermazione del «sì», le contromisure adottate dal governo centrale di Rajoy non si sono fatte attendere. Dapprima l’esecutivo guidato dal leader del Partito popolare (Pp) ha presentato un ricorso al Tribunale Costituzionale, il quale ha immediatamente dichiarato illegale e sospeso la consultazione. In seguito il governo di Rajoy ha iniziato una politica repressiva finalizzata all’impedimento a tutti i costi della celebrazione del referendum. Così si è assistito a spettacoli tragicomici come quello dell’invio in massa di forze di polizia nelle tipografie catalane, dove si stavano presumibilmente stampando le schede o i manifesti elettorali in favore dello svolgimento della consultazione. Il pugno di ferro di Rajoy contro l’indipendentismo catalano è continuato attraverso il braccio della magistratura, che in Spagna è altamente politicizzata e, di fatto, dipende dal ministro della Giustizia. La procura ha infatti citato a giudizio tutti i sindaci catalani che appoggiano il referendum (sono ben 712 e rappresentano il 75% dei municipi della Catalogna), alcuni dei quali si sono negati a dichiarare e rischiano ora fino a 8 anni di carcere. Inoltre le stesse autorità giudiziarie spagnole hanno fatto chiudere il sito web ufficiale del referendum promosso dalla Generalitat. L’esecutivo catalano però non si è demoralizzato e ha aggirato l’ostacolo con un facile trucco, ricorrendo cioè a un server estero, che ha consentito il ripristino immediato della pagina web. Infine il governo spagnolo ha fatto leva anche sulla questione economica, decidendo di limitare i poteri dell’esecutivo di Barcellona, prendendo il controllo della sua spesa pubblica. Il ministro delle Finanze spagnolo Montoro ha sostanzialmente congelato l’autonomia finanziaria catalana con la scusa di «fare in modo che nemmeno un euro possa servire all’organizzazione del referendum illegale». Ma la goccia che ha fatto traboccare il vaso è stato l’arresto mercoledì scorso di quattordici persone (tra cui anche alcuni politici come il braccio
Il primo ministro spagnolo Rajoy ha usato molte armi in suo potere per ostacolare il referendum. (AFP)
destro del vicepresidente del Governo catalano e vari dirigenti della Generalitat) in quanto ritenuti i principali organizzatori del referendum secessionista. Parallelamente a queste detenzioni la Guardia Civil spagnola effettuava delle perquisizioni in numerosi uffici dell’esecutivo catalano con l’obiettivo di sequestrare le urne e altri documenti necessari per lo svolgimento del referendum. Il presidente della Generalitat Carles Puigdemont ha immediatamente denunciato una volta di più l’«atteggiamento totalitario» del governo centrale e ha dichiarato che «Madrid ha sospeso di fatto l’autonomia catalana». Migliaia di manifestanti indipendentisti sono subito scesi per le strade di Barcellona in appoggio dell’esecutivo catalano, cercando anche di ostacolare le azioni delle forze di polizia spagnole. L’indignazione è stata tale che è fuoriuscita dall’alveo del secessionismo, raggiungendo anche altri collettivi sociali come i sindacati, le scuole, le università e persino il Football club Barcellona. Anche a Madrid si sono visti preoccupanti esempi di deficit democratico. Il municipio della capitale spagnola (amministrato da Podemos, unico partito politico nazionale favorevole allo svolgimento del referendum) aveva concesso l’autorizzazione allo svolgimento nelle proprie sale di un dibattito pubblico sul «diritto di decidere in Catalogna». Tuttavia, su istanza di un ricorso presentato dal Pp, un giudice vicino alle posizioni del partito di Rajoy ha immediatamente impedito l’organizzazione di questa conferenza in quanto ritenuta in appoggio di un evento illegale quale la celebrazione della consultazione. Tra i media spagnoli si sono lette varie critiche poiché questa misura era lesiva di uno dei principi fondamentali delle Costituzioni di tutto il mondo, quale la libertà di espressione ed è stata considerata come un ulteriore esempio della concezione liberticida dello Stato che sta applicando negli ultimi tempi il governo di Rajoy. E proprio questo modo autoritario e inflessibile di affrontare la «questione catalana» voluto da Rajoy e dal suo partito causò l’inizio della rottura istituzionale con la Catalogna nel 2010, quando un ricorso alla Corte Costituzionale promosso dal Pp cancellò di fatto lo Statuto catalano che riconosceva la Catalogna come una «nazione». Da allora, con l’arrivo al potere nel 2011 di un governo come quello di Rajoy che ha fomentato l’anti-catalanismo in tutto il territorio spagnolo (famose sono state le campagne del Partito popolare per boicottare i prodotti tipici catalani come il cava, un tipo di spumante pregiato) e si dimostra refrattario a qualsiasi dialogo con la Catalogna, le tensio-
ni tra Barcellona e Madrid non hanno fatto che aumentare, sfociando nelle manifestazioni moltitudinarie che ogni anno si celebrano in occasione della festa catalana della Diada dell’11 settembre o durante il precedente referendum del 9 novembre 2014 (dichiarato a posteriori illegale dalla Corte Costituzionale e per il quale l’ex presidente del governo catalano Artur Mas è stato condannato all’inabilitazione dalle cariche pubbliche per due anni). Anche giornali internazionali in-
fluenti come il «Financial Times» non hanno lesinato le critiche alla gestione della «questione catalana» fatta da Rajoy. Secondo il giornale britannico, il primo ministro spagnolo sarebbe colpevole di essersi sempre rifiutato anche solamente di discutere con i catalani e prendere in considerazione una via di mezzo tra lo status quo dettato dalla Costituzione spagnola e l’indipendenza voluta da una parte dei catalani (circa il 50%). Una maggiore autonomia fiscale
(magari sul modello basco) e maggiori competenze territoriali avrebbero potuto risolvere la questione molto prima di arrivare allo scontro politico permanente e allo svolgimento di un nuovo e probabilmente inutile referendum. Lo stesso quotidiano economico peraltro è giustamente critico anche con gli indipendentisti catalani. In effetti il referendum di domenica prossima, oltre che essere privo di legittimità giuridica, è stato organizzato senza definire nemmeno una percentuale minima di partecipazione per definirne la sua validità. Teoricamente quindi una esigua fetta di votanti catalani favorevoli all’indipendenza potrebbe decidere sul futuro dell’intera regione e in 48 ore dichiarare la nascita della «Repubblica catalana». Questo nuovo referendum, se mai si svolgerà, servirà più che altro quindi per misurare la forza di cui dispongono gli indipendentisti in vista di una nuova fase delle relazioni con il governo di Madrid e possibili elezioni regionali anticipate. Uno degli scenari possibili a partire dal 2 ottobre è infatti quello di sfruttare il traino dell’effetto referendum per celebrare delle nuove elezioni in Catalogna. Secondo gli analisti, il successo del «sì» è dato per scontato. Se la partecipazione fosse superiore a quella del 2014 (quando votarono 2,3 milioni di catalani) e il risultato fosse plebiscitario, l’indipendentismo sarebbe pronto per un nuovo «round» dello scontro tra la Catalogna e la Spagna. Annuncio pubblicitario
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Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 25 settembre 2017 • N. 39
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Politica e Economia
Dalla lotta armata al potere Uruguay L’ex guerrigliera dei Tupamaros, Lucia Topolansky, moglie di José Mujica,
è la nuova vicepresidente del governo. Succede a Raul Sendic dimessosi per uno scandalo
Angela Nocioni Si apre una nuova fase politica in Uruguay. L’ex guerrigliera dei Tupamaros Lucia Topolansky, moglie di José Mujica, è la nuova vicepresidente del governo, e farà da ponte tra esecutivo e Congresso. L’ex vicepresidente Raúl Sendic – figlio dell’omonimo ex guerrigliero anche lui militante nel Movimiento de Participación Popular (MPP), il gruppo degli ex Tupamaros diventati i referenti politici della sinistra radicale uruguagia dopo aver abbandonato la lotta armata ormai da decenni – si è dovuto dimettere perché accusato di aver usato per spese personali la carta di credito aziendale dell’impresa petrolifera statale di cui era stato fatto presidente. Sendic era stato collocato dalla coalizione di governo alla presidenza della azienda petrolifera statale Ancap. La sua credibilità era già precipitata tempo fa quando divenne pubblica la notizia del suo falso titolo universitario. Lui, cresciuto all’ombra di un padre molto ingombrante e poi adottato politicamente da Mujica (se possibile, ancora più ingombrante di suo padre), finì pateticamente descritto da tutta la stampa nazionale come un assai poco talentuoso rampollo destinato a una vita in affanno nel tentativo di seguire le orme paterne. La protezione di Mujica gli è venuta meno quando, insieme alla pubblicazione delle cifre del grave deficit dell’impresa del petrolio di cui Sendic è stato indicato come responsabile perché i debiti sarebbero stati accumulati durante il suo mandato, è scoppiato lo scandalo delle sue spese personali (viaggi aerei, hotel, gioielli) pagate secondo l’accusa con la carta di credito aziendale. A quel punto il Frente amplio l’ha mollato e il partito l’ha convinto a presentare «dimissioni spontanee».
Soprannominata «la Tronca», ostinata, Lucia ha alle spalle anni di lotta armata, carcere, torture, sfide democratiche Il caso Sendic ha innescato un cortocircuito politico che ha finito per rafforzare, anziché indebolire, il potere del partito degli ex Tupamaros nel centrosinistra uruguagio, portati al governo dall’ex presidente José «Pepe» Mujica, vecchio guerrigliero solo apparentemente fuori dall’agone politico, in realtà ancora capo carismatico della sinistra uruguagia e regista del Frente amplio, l’ampia coalizione che rimane saldamente alla guida del piccolo Paese latinoamericano in controtendenza rispetto alla fase politica continentale che ha ricacciato all’opposizione tutti i governi con matrice di sinistra arrivati al governo nello scorso decennio. Invece gli ha regalato una grande nuova possibilità di visibilità e influenza. Lucia Topolansky non è stata portata alla vicepresidenza da una decisione politica, ma dalla legge uruguagia che prevede, nel caso sia vacante il ruolo di vicepresidente, di sostituirlo con il senatore più votato alle ultime elezioni. Il più votato in questo caso era José Mujica, che essendo l’ex presidente della repubblica non poteva però assumere l’incarico. La scelta è ricaduta quindi sul secondo più votato, la senatrice Lucia Topolansky, che è anche la compagna da una vita di Mujica e sua moglie da dodici anni. La Topolansky ha un profilo politico radicale tanto quanto quello del marito, più vetero di lui, meno aperta
al compromesso politico, meno duttile, tanto da essere soprannominata «la Tronca» (che in Uruguay non è esattamente un complimento, indica qualcuno tanto ostinato da poter risultare ottuso), ma ha una lunga storia politica personale indipendente da quella di Mujica. Ha avuto un ruolo di primo piano nella guerriglia, nel partito e nel Congresso (Mujica, alla sua prima elezione, dovette giurare fedeltà alla Repubblica nelle mani della Topolansky perché era lei, ai tempi, a presiedere il Senato). Di fatto, però, l’essere un simbolo della ex guerriglia dei Tupamaros e l’ex primera dama della presidenza Mujica nonché una dirigente di primo piano del Movimiento de Participación Popular, la colloca necessariamente nella posizione migliore per dare una nuova La neo chance di influenza alla sinistra radica- vicepresidente Lucia Topolanski le all’interno del governo. Si creò una situazione politica con il marito, il simile all’attuale tra il 2010 e il 2015, senatore José quando l’essere una popolarissima Mujica. (Keystone) senatrice e contemporaneamente la moglie di Mujica, la fece diventare un torture e a lunghi periodi di isolamen- mai vedere la luce del sole. Ha racconta- vo continuare a ragionare e senza parlapunto d’appoggio fondamentale in to. «Siamo sopravvissute in condizioni to di quel periodo: «Per non impazzire re non è impresa facile». Parlamento per le manovre del gover- assolutamente avverse» si è limitata a parlavo con le formiche, è incredibile i Si reincontrarono nel 1985, quanno. Le principali leggi volute dal Frente dire, tempo fa, la sua compagna di cel- rumori che si arrivano a percepire quan- do uscirono entrambi per effetto della amplio furono approvate in quel perio- la di quei tempi, la militante tupamara do si vive sepolti sotto terra. Passavo la legge di amnistia. Di lei dice adesso: «A do e la Topolansky dette un impulso Anahit Aharonian. giornata a cercare di camminare lungo metterci insieme fu la paura». In un’infondamentali a ciascuna di esse: dalla Anche Mujica fu arrestato e riuscì il pozzo: un passo e mezzo in avanti un tervista anni fa, ad una domanda sulla legalizzazione del mercato della mari- a scappare. Catturato di nuovo, lo rin- passo e mezzo all’indietro. Tentavo di loro relazione, rispose: «Mi dispiace, juana, all’aborto, al matrimonio omo- chiusero in fondo a un pozzo dove passò scrivere con un piccolo bastoncino delle non posso: non si racconta un amore sessuale. due anni in completo isolamento senza parole incidendole per terra perché vole- così lungo». Una battuta d’arresto la sua carCH10688_ANNONCE CASTING CREME E4 HD.pdf 2 20.09.17 15:56 Annuncio pubblicitario riera politica l’ha avuta alle elezioni per il sindaco di Montevideo, quando si candidò contro il socialista Daniel Martínez, anche lui del Frente amplio ma appartenente al partito socialista, e perse malamente. La sua è una storia personale da romanzo. Quasi un Memorie di una ragazza perbene in versione uruguagia. Viene da una famiglia alto borghese. Suo padre era un ingegnere, famoso costruttore locale. L’esser nata in una famiglia bianca e ricca negli anni Quaranta la destinò a quasi scontati studi dalle suore. La sua formazione fu affidata a un collegio di suore domenicane. La militanza cominciò timidamente alle superiori e poi alla facoltà di architettura negli anni Sessanta, quando Montevideo era attraversata dalle leggende castriste e gli studenti universitari di estrema sinistra coltivavano il mito del «Che» Guevara e della sua te- C oria dei fuochi guerriglieri. L’idea, abbracciata da Mujica e dai suoi, era quel- M la di fare del piccolo Uruguay la Cuba del Cono Sur. La rivoluzione fu solo J teorizzata, i militari arrivati al potere nel 1972 e restatici fino all’85 dettero CM una caccia spietata ai Tupamaros che, nel frattempo, erano diventati il primo MJ grande gruppo di guerriglia armata CJ metropolitana del Continente. Lucia Topolanski si affacciò al CMJ mondo della lotta armata seguendo i passi della gemella Maria. Saputo che N sua sorella stava militando con la guerriglia, Lucia si decise a strappare a sua volta il legame con la famiglia. Se ne andò dall’università, non prima d’averci gettato dentro due bottiglie incendiarie, si unì ai Tupamaros e passò in clandestinità con il nome di «Ana». La sua grande storia d’amore dentro la guerriglia non fu con Pepe Mujica, ma con un altro guerrigliero, poi ucciso dai militari. La relazione con Mujica iniziò durante la clandestinità, fu interrotta dall’arresto di lei nel 1971. Riuscì a scappare sei mesi più tardi. Fece parte del gruppo di detenute che rocambolescamente fuggirono dalla prigione attraverso le reti fognarie. Fu poi ricatturata e lì cominciò il periodo peggiore della sua detenzione. In tredici anni di prigione fu sottoposta a
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Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 25 settembre 2017 • N. 39
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Politica e Economia
Come usare le eccedenze del bilancio federale?
Politica economica Il rapporto di quattro esperti incaricati dal governo invita a mantenere il freno
all’indebitamento per ridurre il debito pubblico o, eventualmente, ridurre le imposte
Ignazio Bonoli Da qualche tempo (vedi «Azione» del 13.3.2017) circolava all’interno del Consiglio federale l’idea di attenuare uno degli aspetti rigidi del freno all’indebitamento. Più concretamente di poter utilizzare le eccedenze dei bilanci annuali della Confederazione per altri scopi che non siano la costante riduzione del debito pubblico, come finora. L’idea viene avvalorata dal fatto che di regola il risultato del bilancio annuale è molto migliore di quello preventivato, soprattutto dal lato delle spese. Fra il 2003 e il 2016, le spese ordinarie sono risultate – a conti fatti – di 1,2 miliardi inferiori a quelle preventivate, il che corrisponde a circa il 2% delle spese totali. L’Amministrazione federale delle finanze stimava finora che le eccedenze non preventivate, in futuro, in media, avrebbero raggiunto più o meno i 750 milioni di franchi all’anno. Anche per l’anno in corso l’Amministrazione federale stima l’ammontare dei crediti non utilizzati in circa 400 milioni di franchi netti, dedotti cioè i crediti supplementari concessi durante la gestione 2017 e i superamenti di credito. Secondo le regole del freno all’indebitamento, queste eccedenze devono essere dedicate alla riduzione del debito pubblico, poiché si tratta di eccedenze
strutturali. Per contro, un eventuale deficit strutturale deve invece essere compensato negli anni seguenti. Dall’introduzione del freno all’indebitamento nel 2003, la Confederazione ha ridotto il proprio debito lordo da 124 miliardi a 99 miliardi di franchi. Senza cambiare le regole, la tendenza dovrebbe continuare, mantenendo quindi la Svizzera fra i paesi con il minor debito pro-capite al mondo e garantendo in pratica copiose riserve per interventi importanti in caso di necessità. Il Consiglio federale vorrebbe però usare queste riserve in modo più attivo, impiegandole per esempio, almeno in parte, per spese supplementari. Prima di prendere una decisione ha però voluto consultare un gruppo di esperti, composto da quattro professori universitari e da un ex-amministratore delle finanze federali. Le conclusioni di questo gruppo di lavoro non vanno però nella direzione che il Consiglio federale avrebbe voluto. La raccomandazione principale del rapporto, pubblicato a fine agosto, suggerisce infatti di non modificare le regole del freno all’indebitamento. Questo perché, in futuro, le eccedenze non preventivate non dovrebbero più raggiungere i livelli degli anni scorsi. Ma poi anche perché la situazione molto favorevole verificatasi dopo la crisi finanziaria, con interessi molto bassi e un’inflazione molto ridotta, difficil-
mente potrebbe ripresentarsi in futuro. Potrebbe invece verificarsi il contrario, se già oggi i cambiamenti attuati e il ridotto spazio di manovra dell’Amministrazione lasciano prevedere eccedenze inferiori. Il gruppo di lavoro lascia però una porta aperta alle intenzioni del Consiglio federale, quando dice che in futuro le regole del freno all’indebitamento potrebbero essere rivedute, se le eccedenze dovessero essere importanti, contro le attuali previsioni. Il Consiglio federale, per il momento, ha preso atto del rapporto, ma seguirà attentamente l’evoluzione dei bilanci e, nel 2019, sulla base di un rapporto del Dipartimento federale delle finanze, esaminerà alcune varianti sul come procedere. Nel frattempo vorrebbe anche esaminare, entro fine anno, la possibilità di compensare eventuali perdite di entrate, dovute a riforme fiscali, mediante le eccedenze di bilancio. Possibilità che il rapporto degli esperti non contempla, confermando invece che eventuali allentamenti delle regole non devono servire ad aumentare le spese, ma piuttosto – come detto – a ridurre le imposte. Collegare il freno all’indebitamento con la politica di bilancio o fiscale ne potrebbe indebolire la credibilità. Secondo gli esperti, la Confederazione, accanto al debito «ufficiale»,
Introdotto per la prima volta a preventivo nel 2003, il freno all’indebitamento si è rivelato un successo, grazie alla coerenza mostrata dal Governo e dalle Camere federali. (Keystone)
ha anche qualche debito «occulto». Per esempio per l’AVS con rendite promesse, ma non ancora finanziate. Questo potrebbe essere l’unico caso in cui si possono usare le eccedenze, ma – precisano gli esperti – solo se anche l’AVS si dota di un freno all’indebitamento, per calmare le continue richieste di maggiori spese. Un eventuale trasferimento
delle eccedenze al Fondo AVS aumenterebbe il deficit della Confederazione, ma ridurrebbe quello occulto, lasciando la situazione invariata. In fondo, se la Confederazione realizza eccedenze di bilancio, vuol dire che ha prelevato troppe tasse e imposte, per cui il suggerimento di ridurre le imposte conserva tutta la sua attualità. Annuncio pubblicitario
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Politica e Economia Rubriche
Il Mercato e la Piazza di Angelo Rossi Disoccupazione e salari, quale relazione? La scienza economica non dispone di molte leggi che descrivano con un certo grado di certezza la relazione tra due o più variabili in modo da consentire di prevedere l’andamento di una delle stesse al variare delle altre. Tra quelle che, fin qui, avevano maggior corso, si trova la curva di Phillips, che prende il nome dall’economista neozelandese Alban William Phillips che la scoprì nel 1958. La stessa definisce la relazione tra il tasso di disoccupazione e l’inflazione (misurata, negli studi empirici, dal tasso di aumento dei salari nominali). Questa curva prevede che se il tasso di disoccupazione diminuisce, il tasso di inflazione aumenta e viceversa. Phillips ha provato l’esistenza di questa relazione con un’analisi dell’evoluzione secolare dei salari nominali e del tasso di disoccupazione. Nella seconda metà del Ventesimo secolo, la curva di Phillips
è stata stimata per quasi tutte le economie sviluppate, dando risultati quasi sempre significativi. Nessuno mette quindi in dubbio, oggi, che esista una relazione tra l’inflazione salariale e la disoccupazione. A far discutere è però la pendenza di questa curva, ossia in che misura l’inflazione risponda a un dato aumento o a una data diminuzione del tasso di disoccupazione. Gli esperti sostengono, in particolare, che, nel corso degli ultimi anni, la reazione dell’inflazione a una diminuzione del tasso di disoccupazione sia diminuita. Sembra così che, oggi, una rarefazione dell’offerta di manodopera, che provoca una diminuzione del tasso di disoccupazione, determini un aumento dei salari nominali minore di quanto poteva succedere, diciamo, ancora trent’anni fa. La pendenza della curva di Phillips si è ridotta. Lo si può dimostrare, in modo abbastanza
amatoriale, anche a livello dell’economia ticinese. Nel periodo 1995-2007, per tassi di disoccupazione bassi, diciamo inferiori al 3,5%, si riscontravano tassi di aumento dei salari nominali varianti tra il 3 e il 4% annui. Dal 2008 in poi, con qualunque tasso di disoccupazione, inferiore o superiore al 3,5% annuo, il tasso di aumento annuale dei salari nominali non è mai stato superiore all’1,4%. Questa diminuzione del responso salariale alla diminuzione della disoccupazione (o, se vogliamo, all’aumento della domanda di lavoro) si riscontra in molte economie sviluppate, come dimostrato dai dati recentemente pubblicati riguardanti la curva di Phillips per le 7 economie più importanti del mondo, quelle che fanno parte del gruppo di paesi detto del G7. Il caso ticinese non è quindi un’eccezione. Per spiegare questo mutamento dell’elasticità dei
salari nominali rispetto alle variazioni della disoccupazione gli esperti hanno avanzato tre argomenti. In primo luogo si afferma che il mutamento nella pendenza della curva di Phillips sia dovuto al progresso tecnico. In molti processi produttivi il computer ha sostituito, nel corso degli ultimi anni, la manodopera contribuendo così a ridurre la pressione sui salari. Un’altra ragione potrebbe essere costituita dallo spostamento di attività produttive che fanno particolarmente ricorso alla manodopera in paesi nei quali il salario nominale è ancora molto basso. Vi è poi un terzo argomento che, secondo noi, è particolarmente valido nel caso del Ticino: si tratta della flessibilizzazione del mercato del lavoro. Uno studio, pubblicato di recente, concernente le economie dei paesi del G7, ha dimostrato che l’aumento della quota di lavoratori a tempo parziale ha
contribuito a indebolire i sindacati e quindi anche le loro posizioni ai tavoli della contrattazione salariale. Non esistono studi dettagliati sul rapporto tra evoluzione della disoccupazione e variazione dei salari nominali in Ticino anche perché la stima delle remunerazioni mensili, che potrebbe essere utilizzata per studi di questo genere, non fa certamente parte del gruppo delle statistiche maggiormente affidabili. I dati a disposizione non sono dunque che delle tracce. Le stesse permettono comunque di poter affermare che, dopo il 2008, da noi, la quota dei lavoratori a tempo parziale è aumentata, che la disoccupazione è diminuita e che i salari nominali non si sono praticamente mossi da dove erano. È quindi molto probabile che anche per la nostra economia cantonale la pendenza della curva di Phillips sia diminuita.
L’obiettivo politico era chiaro, certo Bloomberg non ha mai fatto mistero della sua resistenza contro Trump, e gli argomenti del forum sono stati scelti in modo che non ci fossero dubbi: se inviti Trudeau a parlare di libero commercio e di mercati aperti, lo fai principalmente per contestare la volontà trumpiana di uscire da trattati storici e di mettere in discussione quelli appena siglati o in via di negoziazione. E anche Macron, duellante all’Onu contro Trump con la rivendicazione della superiorità strategica del multilateralismo, rappresenta per se stesso un argine al trumpismo, per quanto il presidente francese sia stato molto docile e molto accogliente con il collega americano in occasione della sua visita a Parigi. Oltre ai leader internazionali, il forum di Bloomberg è servito anche per raggruppare quella New York che lotta contro il presidente-cittadino Trump: miliardari un contro l’altro, nel settore
dell’editoria e in quello immobiliare, si contendono zone di influenza e, soprattutto, egemonia culturale e politica. Basta leggere i tabloid della città – e una citazione per Rupert Murdoch sostenitore del presidente è d’obbligo – per accorgersi di quanto brutale sia lo scontro. Ci sono tante piccole storie che raccontano come si declina l’ostilità nei confronti del presidente, e non è un caso che, nella saga infinita della Casa Bianca, tra licenziamenti e ritorni fulminei, la lotta sia tra gli intransigenti del trumpismo e i cosiddetti «newyorchesi», i più moderati, i più malleabili, o almeno così vogliono vendercela, capitanati da Ivanka Trump e il marito Jared. Il Forum di Bloomberg ha ottenuto la sua visibilità, e certo l’ex sindaco saprà sfruttarla in modo efficiente, anche se le sue velleità politiche, a livello nazionale, sono ben più chiacchierate che concrete. La candidatura «indipendente» del supersindaco è una
costante dei pettegolezzi politici, ma intanto alla Casa Bianca è arrivato Trump, nemmeno quell’altro potentato clintoniano è riuscito a fermarlo. Adesso Bloomberg e Clinton cercano e ostentano la loro alleanza, sostenendosi, aiutandosi, rilanciandosi: dove porterà tutto questo sentimento antitrumpiano è difficile dirlo, e non c’è democratico che sappia dare una risposta pragmatica. Ci si organizza intanto, con i mezzi a disposizione. Il Forum di Bloomberg ha avuto un effetto minore rispetto ai fasti dell’iniziativa dei Clinton, soprattutto in termini di «indotto»: come hanno scritto molti giornali americani, la kermesse clintoniana non era soltanto prestigio e glamour, era una grande fonte di denari, che più di una volta sono diventati oggetto di accuse rivolte all’ormai navigata «power couple». Per finanziare il proprio spettacolo anti Trump, per quest’anno Bloomberg ha dovuto fare tutto da solo.
nelle varie nazioni anglosassoni figurano le statue degli eroi sudisti, quelle dei missionari cattolici (un solo nome: l’irlandese san Patrizio negli Stati Uniti) e in genere i monumenti ai grandi esploratori che in Asia, in Africa o nelle Americhe portarono la civiltà, ma anche (ed è quello che oggi li condanna) una colonizzazione che ha disperso culture e minoranze. Nemmeno i meriti patriottici offrono incolumità: a Londra l’ondata di iconoclastìa, sdoganata con intenti di moralizzazione, punta a distruggere la statua di Lord Nelson, disonorato per aver difeso la schiavitù. Non ho gli strumenti per giudicare questa nuova offensiva del multiculturalismo, cioè di quello che le enciclopedie definiscono come «orientamento politico e sociologico volto a promuovere il riconoscimento e il rispetto dell’identità linguistica, religiosa e culturale delle diverse componenti etniche presenti nelle complesse società odierne» (Treccani). Mi trovo però d’accordo con l’intellettuale franco-canadese Bock Côté che sul
«Figaro» ha definito «furiose purificazioni che eccitano la folla» le recenti manifestazioni americane e le analoghe ondate che si riscontrano in altri paesi anglosassoni, aggiungendo che «ci troviamo di fronte ad uno scoppio particolarmente violento di febbre, che testimonia il potere del riflesso penitenziale nella cultura politica occidentale contemporanea. (…) Si invitano i giovani (…) a credere di essere eredi di una storia odiosa che devono ripudiare con ostentazione (…) La storia dei popoli non può essere riscritta facendo un uso arrabbiato dell’ascia». Queste parole hanno un duplice pregio: riescono ad andare oltre i clamori della moderna gigliottina mediatica e invitano a riflettere su questo fenomeno. Innanzitutto invitano a chiedersi se tra le sempre più variegate pieghe del multiculturalismo non si nasconda anche qualche strategia per imporre una moderna forma di egualitarismo culturale. Inoltre, esse ricordano i rischi che il multiculturalismo comporta per una società sempre più minacciata dal vuoto culturale e storico con
cui le nuove generazioni iniziano a fare i conti. Il sociologo americano Richard Sennett, insignito dell’ultimo Premio Veillon per il libro Insieme. Rituali, piaceri, politiche della collaborazione (Feltrinelli), in cui anticipava gli effetti negativi del «nuovo modo di fare politica» dell’Occidente, quarant’anni fa ha scritto questa sentenza: «Nessuno può costruirsi un futuro solido odiando il proprio passato». L’attualità del giudizio di Sennett mi ha suggerito di accostare la fotografia del «Colombo decapitato» di New York non più al busto di George Washington a Lugano, ma a un’altra famosa fotografia, scattata nel 2001, che ritrae quel che resta dei monumentali Buddha di Bamyan, statue scolpite nella pietra a 230 km da Kabul. Distruggendo quelle rappresentazioni di «simboli pagani» i talebani dicevano di voler costruire un futuro migliore in Afghanistan; oggi i seguaci del multiculturalismo li imitano cancellando «simboli di schiavitù e colonialismi» per una futura «unione sociale di unioni sociali» in Occidente.
Affari Esteri di Paola Peduzzi Bloomberg e lo show anti-Trump Quest’anno a New York, nella settimana di settembre in cui si riunisce l’assemblea generale dell’Onu, s’è sentita una grande assenza: quella dei Clinton. Dal 2005, con la loro Clinton Global Initiative, Bill, Hillary e Chelsea organizzavano una kermesse globale e globalista con leader internazionali e un glamour percepito alle stelle che aveva finito per oscurare i (noiosi) lavori onusiani. Con la sconfitta di Hillary alle elezioni presidenziali del 2016, la fondazione di casa Clinton ha chiuso, e così quest’anno la città si è riempita di altre iniziative, per quanto nessuna paragonabile a quella clintoniana – e comunque un po’ dei Clinton si è continuato a parlare, visto che è appena uscito il libro controverso (e pieno di dettagli sinceri quanto maliziosi) di Hillary, What happened. A fare gli onori di casa in quella New York che è anche patria di Donald Trump – la sua presenza si è sentita molto forte anche all’Onu, con
il discorso contro la Corea del nord e contro l’accordo sul nucleare di Teheran – c’è stato soprattutto Michael Bloomberg, ex sindaco della città con ambizioni da sindaco globale e chissà che altro, che ha cercato di prendere il posto lasciato vuoto dai Clinton. Nessuno ha voluto nascondere l’effetto sostituzione, e anzi Bill Clinton è stato accolto come ospite iniziale, quasi a sancire il passaggio di testimone tra i due settantenni che si sono aiutati e scontrati più volte nella loro lunga convivenza newyorchese. Il Global Forum di Bloomberg si è svolto in un’unica giornata, con ospiti importanti come il capo di Apple Tim Cook, il presidente canadese Justin Trudeau, il rais turco Recep Tayyip Erdogan e, soprattutto, il presidente francese Emmanuel Macron: alcune indiscrezioni raccontano che il forum sia stato organizzato principalmente per far risplendere lui, l’enfant prodige del liberalismo occidentale.
Zig-Zag di Ovidio Biffi I rischi del multiculturalismo Una fotografia che arriva dagli Stati Uniti mi riporta indietro di decenni. Riproduce un angolo di un parco del Queens, a Nuova York, un monumento dedicato a Cristoforo Colombo, ma la testa è stata spaccata via lasciando in piedi solo piedistallo e nome. Mi ricorda un fatto avvenuto tanti anni fa a Lugano: il busto di George Washington in riva al Ceresio gettato nel lago. Non era nemmeno la prima volta che capitava, probabilmente si trattava sempre di bravate, quindi nulla o poco a che vedere con quanto capitato dall’altra parte dell’Oceano allo scopritore dell’America. Infatti la «decapitazione» di Colombo è un nuovo episodio di intolleranza simile ad altri accaduti a Detroit, a Baltimora, a Columbus in Ohio e in California, compiuti da gruppi che affermano di battersi per ristabilire verità e colpe sull’eccidio di nativi che ha aperto del porte alla colonizzazione dell’America e ora esigono la rimozione di tutti i monumenti dei principali protagonisti e l’abolizione di storiche feste o parate. Sottile distinzione
nelle rivendicazioni: gli atti non sono contro i personaggi presi di mira, ma in favore di un rispetto del multiculturalismo e di tutte le minoranze, non importa quali e non importa se ancora esistono e chiedono questi «diritti». Fondamentale è che ogni episodio alimenti la spinta radicale che da sempre caratterizza l’azione di questi movimenti. Nella maggior parte dei casi, in omaggio al pilatesco «politicamente corretto», i politici non osano ostacolare queste pretese, lasciando così impuniti gli oltraggi e le «decapitazioni». L’attacco contro Cristoforo Colombo ha addirittura spinto il sindaco italoamericano Bill De Blasio a mostrare disponibilità a tirar giù anche altre statue della sua città. Per consolidare la sua tendenza progressista il primo cittadino della Grande Mela ha inoltre affidato ad una commissione speciale il compito di esaminare i monumenti controversi in città, riservandosi di poi prendere una decisione. Fra i «diversi obiettivi» che i seguaci del multiculturalismo prendono di mira
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Cultura e Spettacoli Dorici alla Lindenberg L’artista ticinese propone a Lugano alcune installazioni che trasformano lo spazio pagina 35
Perfezione e provocazione Nelle opere dell’americano Robert Wilson c’è il tentativo di conciliare la pittura del passato con la cultura dell’immagine moderna
La Svizzera nella musica Mathieu Schneider ricerca le tracce di Helvetia nell’ispirazione dei compositori
Una nuova antenna creativa A Bellinzona aperta la sede dell’associazione nazionale Musicisti Svizzeri
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Omaggio al «principe della risata»
Editoria Franca Faldini e Goffredo Fofi
firmano un libro imprescindibile su Totò, a 50 anni dalla morte
Giovanni Fattorini Tra i libri usciti in occasione del cinquantenario della morte di Totò (Roma,15 aprile 1967) ce n’è uno – Totò, l’uomo e la maschera – che può ben dirsi «imprescindibile» perché ha brillantemente inaugurato la serie dei «riconoscimenti» e delle «rivalutazioni» di un attore con cui la critica cinematografica – sin quasi al termine dei suoi giorni – è stata avara di elogi e prodiga di rimproveri per via della modesta o scadente qualità delle sceneggiature e delle regie di gran parte dei numerosi film di cui è stato protagonista o coprotagonista. La rilevanza del libro – firmato da Franca Faldini (attrice, scrittrice e giornalista, compagna di Totò dal 1952 fino alla morte) e da Goffredo Fofi (critico teatrale e cinematografico, saggista, attivista e direttore di importanti riviste culturali) – è dovuta anche alla ricchezza e alla varietà, oltre che alla significatività dei materiali che lo compongono. Per ragioni di spazio dirò soltanto dell’ampia testimonianza di Franca Faldini e del fondamentale saggio di Goffredo Fofi. La prima delle cinque sezioni in cui è diviso Totò, l’uomo e la maschera (ristampa del volume pubblicato nel 1977 da Feltrinelli, poi riedito da Pironti, da L’ancora del Mediterraneo, da Mondadori, e ora da minimum fax, con molte aggiunte e una nuova prefazione di Goffredo Fofi) s’intitola Quindici anni con Antonio de Curtis: tale era il nome di Totò, figlio naturale di Anna Clemente e Giuseppe de Curtis, che solo nel 1928 lo riconobbe come figlio legittimo, trasmettendogli il cognome e il titolo di marchese.
L’araldica fu tra le passioni più vive di Antonio de Curtis, per il quale Totò, nella vita, «era una specie di ingombrante marionetta». Franca Faldini (1931-2016) ne fa un ritratto non agiografico, che prendendo le mosse dalla fanciullezza e dall’adolescenza vissute in povertà (Totò nasce a Napoli, nel rione Sanità, il 15 febbraio 1898) intreccia i dati biografici ai tratti caratteriali e comportamentali (i ragguagli più numerosi e precisi riguardano ovviamente gli anni di vita in comune), e riferisce testualmente giudizi e pensieri espressi sempre con grande franchezza. Delle molte cose che Franca Faldini dice di lui, eccone alcune. «Timido, chiuso», esternava con difficoltà i suoi sentimenti. Era generoso: finanziava asili per vecchi e per l’infanzia e manteneva un canile di randagi. «I salotti mondani gli comunicavano una noia che non tentava neppure di nascondere». Non amava viaggiare. Era pigro e abitudinario. Prima di diventare quasi cieco, «le sue uscite a piedi erano soprattutto di notte, a zonzo con il cane al guinzaglio». «Il teatro era la sua vera vita, il suo ambiente naturale». «Guardava al cinema con sufficienza ironica». Era uno straordinario improvvisatore (sulla scena e a volta anche sul set). Nei suoi rapporti con le donne pesava non poco «l’influenza di un’educazione latina piccoloborghese». Ma, conclude Franca Faldini, «gli sono grata per quell’arco di anni assieme che fu a volte un paradiso, spesso un inferno, mai comunque un limbo». «Sociologicamente», scrive Goffredo Fofi nella seconda sezione del libro, «Totò è a cavallo tra l’esperienza sottoproletaria e quella piccolobor-
Una scena da Uccellacci e uccellini di Pierpaolo Pasolini. (Marka)
ghese. Ne derivano due diversi tipi di aggressività […] che s’intrecciano perennemente nella stessa coscienza dell’attore». Ma il punto di partenza della sua vicenda artistica è la maschera. Il modello più immediato è Gustavo De Marco, «uomo “svitabile”, fantasista, macchiettista», alle spalle del quale c’è una tradizione ricchissima, i cui momenti migliori, in Totò, si fondono «in modo meravigliosamente sincretico e con grande coerenza». All’interno di questa tradizione Fofi addita Pulcinella («la maschera sottoproletaria per eccellenza»); le macchiette di Nicola Maldacea e di altri artisti del café chantant, della rivista, del variété e dell’avanspettacolo; «la farsa (nella versione dalla commedia dell’arte)». Imboccata con decisione la strada del cinema, verso la fine degli anni
Trenta, Totò entra progressivamente in contatto con modi espressivi e contenuti diversi: le opere teatrali di Scarpetta, Eduardo e Viviani; l’umorismo surreale di Zavattini e Campanile; il teatro di Pirandello; il neorealismo di Rossellini e De Sica; la «commedia all’italiana» di Steno e Monicelli; e da ultimo il mondo intellettuale e poetico di Pasolini. La marionetta si arricchisce di nuove dimensioni. Totò «assorbe con immensa intelligenza plastica gli elementi “umani” che gli venivano proposti». E tuttavia, in lui «vince la maschera e resta in second’ordine il personaggio». «È e resta Totò, una maschera con tratti non deformabili oltre un minimo limite: i caratteri devono piegarsi a Totò, e Totò non può piegarsi ai caratteri». Grazie al cinema «[…] è sceso dai suoi limbi metafisici e mec-
canici attraversando la realtà e riconquistandola senza mai diventare troppo “umano”, e perciò stesso essendolo maggiormente». «I cinquant’anni dalla morte – scrive Fofi nella sua nuova prefazione – ci diranno se ha ancora qualcosa da dire all’Italia di oggi, lui che è stata un’espressione tra le più significative di un’Italia che non c’è più». E in tono speranzoso: «[…] forse, come le grandi maschere che interpretano ancora quel che di eterno vi è nell’umano, anche Totò resterà». Personalmente non ho dubbi: resterà. Bibliografia
Franca Faldini, Goffredo Fofi, Totò, l’uomo e la maschera, minimum fax, pp. 440, euro 16.
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Cultura e Spettacoli
La trasformazione dello spazio Mostre Alex Dorici presenta alla Fondazione Lindenberg la sua esposizione «#9 Rooms»
Ada Cattaneo Da Villa Pia la vista sul golfo di Lugano è incantevole. Quando si arriva a Porza, per visitare le mostre che dal 2012 la Fondazione Lindenberg organizza nella sua sede, si ha l’impressione di arrivare a casa di amici. Attraversando il giardino si entra nelle stanze di questa dimora, di fondazione ottocentesca, oggi sistemata in modo tale da ospitare mostre (due all’anno) ed altri eventi espositivi di dimensioni più ridotte, nello spazio «La Saletta».
Le installazioni in mostra modificano gli ambienti di Villa Pia, alterandone la consueta percezione La personale dedicata ad Alex Dorici, in corso ancora fino al 10 ottobre, si snoda attraverso nove ambienti, proponendo al visitatore un’esperienza diversa in ciascuno di essi. Si tratta prevalentemente di installazioni, realizzate appositamente per gli spazi che le ospitano, spesso di dimensioni ridotte, non omogenee fra loro e caratterizzate da vincoli architettonici tipici di un edificio storico. Limiti fisici che hanno costituito una sfida nuova per l’artista. Dorici, nel suo percorso di ricerca, ha realizzato la maggior parte delle opere in spazi non museali: anzi,
i suoi lavori più noti in Ticino sono proprio quelli di arte urbana – più o meno istituzionalizzata – negli spazi aperti sulle strade della città. Il nuovo stimolo che lo ha guidato in questa occasione è stato invece trasporre le sue modalità «pubbliche» in uno spazio chiuso, privato, ed espressamente destinato all’arte. Ma, che si tratti delle sale di una fondazione d’arte oppure dei muri di un autosilo, è sempre la possibilità di suscitare meraviglia nel visitatore a motivare l’artista: «Il pubblico riesce oggi a comunicarmi il senso della trasformazione dello spazio» spiega Dorici. «Cerco con la mia opera di modificare gli ambienti in modo tale da alterarne la consueta percezione. Questo dovrebbe provocare un senso di sorpresa, che però io non riesco più a provare. Mi piace invece osservare quest’effetto negli occhi del visitatore. Anche per questa ragione la mostra è sviluppata per permettere una chiave di lettura ben precisa: l’esperienza deve sostituire la spiegazione didascalica». Il consolidato interesse di Dorici per i materiali di riutilizzo comune – come corde, piastrelle, nastro adesivo – si ritrova anche nella mostra di Porza: così capita che gli ambienti siano realizzati utilizzando filo di lana, scatole della frutta, pacchi per spedizioni. È particolarmente riuscita l’opera «Light Box #399», dove la luce di Wood rimodula lo spazio creato dai volumi degli imballaggi in cartone, ricordando il lavoro di Gianni Colombo nell’ambito
Particolare di una delle installazioni create per Villa Pia. (www.alexdorici.ch)
dell’Arte cinetica e programmata degli anni Settanta. La scatola è il primo modulo con il quale Dorici ha cominciato a sperimentare, al momento di svincolarsi dalla grafica e dalla pittura. È stato quindi scelto quale elemento chiave di questa mostra, per creare ambienti concentrici, stanze all’interno di altre stanze. La luce è invece l’aspetto che caratterizza le più recenti ricerche dell’artista: dall’ultravioletto alla luce solare, un mezzo determinante per indirizzare lo sguardo e l’attenzione del visitatore. Gli spazi dedicati alle opere pittoriche, sia su tela che su ceramica, permet-
tono al visitatore di cogliere la capacità dell’artista di sintetizzare lo spazio tridimensionale. Spiega Tiziana Lotti Tramezzani, curatrice della mostra: «Ho creduto che fosse importante fare capire da dove nasce il lavoro di Dorici e perché egli arrivi alle tre dimensioni. Fra una tecnica e l’altra, c’è un continuo fluire di forme che ritornano. Egli, infatti, è partito dalla pittura – tecnica che non ha mai abbandonato – per arrivare all’installazione. Il suo leitmotiv parte dalle opere bidimensionali, ma le diverse produzioni continuano parallelamente: dalla grafica agli azulejos, dalle costruzioni di corde alla pittura su
tela. L’obiettivo è stato dimostrare che l’installazione non è un progetto isolato e di carattere ludico, ma che l’artista ha invece ragioni profonde e ben precise per cimentarsi con lo spazio». Emerge quindi con chiarezza l’attitudine a servirsi di forme geometriche per intervenire sugli spazi della vita reale, che diventano al contempo protagonisti e scenografia delle installazioni che dominano anche gli ambienti di Villa Pia. Ancora la curatrice: «Credo che nei contesti museali l’installazione sia spesso confinata in pochi ed isolati spazi. Gli artisti che la prediligono quale mezzo espressivo non hanno spesso modo di spiegare la genesi del loro pensiero. Alla Fondazione Lindenberg già con la coppia Gysin & Vanetti ce ne eravamo occupati (Gysin & Vanetti. Due più due diviso due per due meno due, novembre 2014-aprile 2015, ndr), ma si trattava di un altro tipo di rapporto con lo spazio, e con l’arte in generale. Con Alex Dorici è stato importante raccontare la genesi del suo uso dello spazio». Da ultimo, si segnala lo scotch drawing su vetro che nel giardino della fondazione ritrae ed incornicia il paesaggio circostante. Una moderna cartolina della città e del suo lago. Dove e quando
Alex Dorici, 9 Rooms, Museo Villa Pia, via Cantonale 24, Porza, fino al 10 ottobre. Orari: ma 10.00-18.00, do 14.00-18.00. Info: www.fondazionelindenberg.org Annuncio pubblicitario
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Cultura e Spettacoli
La lenta mutazione dell’arte Mostre Nella dimora varesina del conte Panza le opere di Robert Wilson
Alessia Brughera Lo statunitense Robert Wilson è uno dei più stimati maestri del teatro contemporaneo e uno degli artisti visuali più eclettici. Suo tratto distintivo è difatti la capacità di fondere con disinvoltura linguaggi differenti dando vita a opere che colpiscono per l’impeccabile quanto inconsueto impatto estetico nonché per la loro carica emotiva. Nato a Waco, in Texas, nel 1941, Wilson, fin dagli esordi della sua poliedrica carriera, mescola teatro, arte, danza, musica e letteratura con l’intento di valicare i confini tra le forme espressive per sperimentare la fecondità della contaminazione. Quanto questa caratteristica del suo operare sia stata sempre riconosciuta e apprezzata lo dimostrano le molteplici collaborazioni che dagli anni Settanta l’artista ha portato avanti con illustri compositori, musicisti e scrittori: Lou Reed, Tom Waits, David Byrne, Philip Glass (con cui nel 1976 ha firmato Einstein on the Beach, pietra miliare del teatro del Novecento) e i poeti della Beat Generation William S. Burroughs e Allen Ginsberg, solo per citarne alcuni. Una mostra dedicata a Wilson è ospitata fino alla metà di ottobre nelle sale di Villa Panza a Varese. Questa rassegna è un progetto a cui l’artista ha lavorato con grande entusiasmo confrontandosi con le peculiarità della dimora e soprattutto con quelle del conte Giuseppe Panza, che nelle stanze popolate da opere minimali e concettuali trascorreva piacevoli momenti di riposo e di studio.
Non è difficile scorgere alcune importanti affinità tra il collezionista milanese e Wilson, a cominciare dalla medesima attitudine a dar voce a una poetica visionaria e spirituale, nata dall’ascolto del proprio intimo pensiero. Animati entrambi da un’insofferenza nei confronti di tutto ciò che ostacola il libero fluire dell’interiorità, sono figure che hanno cercato nell’arte, ciascuno con modalità diverse, un strumento per penetrare in un universo dove tempo e spazio non sono soggiogati da rigide leggi e dove contemplazione e solitudine diventano componenti necessarie alla creazione. La mostra varesina è incentrata sui Video Portraits, emblematici lavori che testimoniano le innumerevoli possibilità offerte da un medium che Wilson indaga fin dalla fine degli anni Sessanta. Si tratta di video ad alta definizione in cui la fissità dell’immagine convive con la sua continua e lenta, quasi impercettibile, mutazione: la potenzialità narrativa dell’opera viene così esaltata, in bilico com’è tra immobilità apparente e trasformazione impalpabile, tra ritratto pittorico e racconto cinematografico. Wilson definisce questi lavori «paesaggi mentali», «finestre» in cui staticità e dinamismo coesistono per generare rappresentazioni drammatiche e ironiche insieme. È una ricerca sul tempo, la sua, una riflessione profonda sul concetto di cambiamento che si manifesta attraverso processi graduali e costanti. I soggetti che appaiono nei video respirano, aprono e chiudono le palpebre e compiono gesti che si distinguono
appena, in un torpore irreale che ne stravolge la natura. Sono celebri personaggi del mondo dell’arte e dello spettacolo o animali in via d’estinzione, catapultati da Wilson in una visione trasognata e in una dimensione dilatata che viene acuita dall’incessante replica della sequenza. L’attore Robert Downey Jr., in una delle opere che aprono il percorso di mostra, si trova ad assistere alla dissezione del proprio corpo in una scena ispirata al dipinto di Rembrandt Lezione di anatomia del dottor Tulp: il cadavere è posto in primo piano, il viso è rivolto verso lo spettatore, quasi a sfidarlo ad accorgersi del lieve movimento degli occhi, e come sottofondo riecheggiano le parole della canzone The Ocean Doesn’t Want Me Today di Tom Waits. Tra i lavori più coinvolgenti c’è anche la serie dei Lady Gaga Portraits, creati nel 2013, dove la cantautrice americana si trasforma nella giovane Mademoiselle Caroline Rivière così come era stata dipinta nel 1806 dal pittore JeanAuguste-Dominique Ingres, nel San Giovanni Battista decollato nel modo in cui il leonardesco Andrea Solari lo raffigura in una tavola del 1507 conservata al Museé du Louvre e, ancora, nel rivoluzionario francese Jean-Paul Marat, richiamando la celeberrima posa che lo immortala nel momento successivo al suo assassinio nella tela di Jacques-Louis David del 1793. Se in un altro video Brad Pitt ci appare immobile sotto una pioggia scrosciante, Isabella Rossellini diventa un inquietante personaggio della letteratura manga, mentre il performer cinese Zhang Huan viene poe-
Uno dei ritratti dedicati a Lady Gaga: Mademoiselle Caroline Rivière, 2013.
ticamente avvolto da nuvole e farfalle. Interessante è anche il lavoro che l’artista ha progettato appositamente per Villa Panza e che ha collocato nell’ampio giardino che circonda l’abitazione. Si intitola A House for Giuseppe Panza e consiste in un’architettura in legno di larice all’interno della quale Wilson ha ideato una sorta di tableau vivant che racconta attraverso pochi oggetti l’animo del collezionista. Immersi in una luce azzurrognola, si scorgono dalle finestre una sedia dall’alto schienale, un lungo tavolo su cui è posto un libro aperto e un calco in resina di un avambraccio la cui mano sembra fermare le pagine del volume. La voce dell’artista che recita alcuni versi
tratti dalle Lettere a un giovane poeta di Rainer Maria Rilke, autore che fu molto amato dal conte, contribuisce a creare una pacata atmosfera di straniamento e di sospensione. Quell’atmosfera tanto cara a Panza e a Wilson in cui meditare sugli interrogativi della vita e sul grande valore del silenzio. Dove e quando
Robert Wilson for Villa Panza. Tales. Villa e Collezione Panza, Varese. Fino al 15 ottobre 2017. Orari: tutti i giorni, tranne i lunedì non festivi, dalle 10.00 alle 18.00. www.villapanza.it Annuncio pubblicitario
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Cultura e Spettacoli
Il fascino della fragilità
Personaggi Incontro con la musicista ticinese Maria Bonzanigo che da anni cura le colonne sonore
degli spettacoli della compagnia di Daniele Finzi Pasca
Giorgio Thoeni Il LAC è la sede residenziale della Compagnia Finzi Pasca. La storia di questi ultimi anni ci ha raccontato un percorso ricco di sorprese e di incognite. Ma ora possiamo tirare un respiro di sollievo: la prestigiosa macchina teatrale ticinese ha una patria. Almeno sulla carta per i prossimi tre anni e, ovviamente, sul palcoscenico della grande sala luganese per le sue produzioni. Un po’ meno rassicurante è ciò che riguarda la disponibilità di uno spazio vero e proprio dove poter provare liberamente senza vincoli di sorta, senza dimenticare un ufficio di rappresentanza. A quest’ultimo aspetto suppliscono le stanze situate all’ultimo piano di uno stabile in Viale Cassarate dove troviamo soprattutto il motore organizzativo della rinomata compagnia. È là dove incontriamo Maria Bon-
zanigo, compositrice e coreografa, spina dorsale delle magiche atmosfere musicali che da sempre accompagnano le creazioni di Daniele Finizi Pasca e co-fondatrice della compagnia. Ci conosciamo dagli anni 80 quando, con Daniele e con l’allora giovane gruppo del Teatro Sunil, collaborava nel realizzare quelle poetiche teatrali così particolari, quelle che in embrione avrebbero contribuito a conquistare una nomea e una popolarità oggi riconosciuta in gran parte del mondo. Dopo il grande successo registrato a Montréal con Avudo, creato per celebrare i 375 anni della città di Montréal (249’000 spettatori in 4 mesi invece dei 180’000 previsti), in ottobre la Compagnia torna sul palco del LAC con Per te (11-14) e con un’unica replica di Icaro (15) che riprende dopo oltre due anni. Con Bianco su Bianco (marzo 2018) questi spettacoli fanno parte della «trilogia della fragilità» e sono
parte del cartellone di LuganoInScena. «Sono spettacoli che prendono spunto dalla malattia e la fragilità è quella che vivono le persone nei suoi confronti», ci spiega Maria. «Ma a ben vedere nelle nostre creazioni la nozione di “fragilità” c’è sempre stata, anche nei primissimi lavori, quando i protagonisti delle storie affrontavano cose più grandi di loro in una dimensione eroica e clownesca allo stesso tempo». A Lugano in occasione degli spettacoli della Compagnia ci saranno anche altre iniziative. Come la mostra delle «scatole d’arte» di Marco Meier, in parallelo con Per te. «Marco era con noi già agli inizi del Teatro Sunil, nel 1985-86. Aveva realizzato il primo manifesto di Icaro e partecipato alla prima versione di Rituale. Poi ha continuato per la sua strada come grafico. Recentemente ci siamo riavvicinati durante la malattia di Julie Hamelin. E mentre veniva allestito Per te, ha realizzato
una serie di scatole bellissime al cui interno c’è tutto un mondo con una frase legata allo stato della malattia di Julie. Una di queste è stata fatta apposta e la si vede in scena all’inizio dello spettacolo, un avvio del giardino interiore in cui è ambientato. Ci è sembrato giusto esporre quelle scatole accanto allo spettacolo».
«Scrivere musica per il teatro vuol dire comporre in maniera fruibile e immediata... senza rinunciare alla mia personalità» La mostra sarà visibile dal 3 al 14 ottobre. Ma ci saranno anche libri e CD. Verrà infatti fatta un’edizione del testo di Per te (a cura di Claudia Lafranchi)
La compositrice e coreografa Maria Bonzanigo. (Viviana Cangialosi/ Compagnia Finzi Pasca)
e un album con le musiche dello spettacolo. Il dialogo tra la composizione musicale e la creazione teatrale per Maria porta a una crescita continua: «Lavorare in équipe è sempre stimolante, è una sfida continua. Quando scrivo le musiche per uno spettacolo devo prima di tutto entusiasmare chi realizzerà il progetto. È una dimensione bella e concreta. Richiede tantissimo perché è il tuo pubblico più esigente. Ovviamente conoscendo bene la poetica di Daniele ma anche i meccanismi pensati da Hugo (Gargiulo, scenografo e marito, ndr), so come toccare certe corde sensibili. Ovviamente mi aiuta anche il mestiere. Il tutto è un gran motore che ti porta fuori da te stesso, fuori dalle tue ossessioni, non solo musicali. Uno dei miei più grandi stimoli è Paul Glass, il mio maestro. Attualmente sta ultimando un’opera su Leonardo da Vinci con testi di Alberto Nessi che ho potuto ascoltare e che è meravigliosa. Glass mi ha insegnato ad abbandonare l’identità musicale. Scrivere per il teatro vuol dire comporre in maniera fruibile e immediata. Ciò non significa fare tutto in modo semplice. Può esserci un linguaggio compositivo articolato. Io cerco sempre la giusta misura senza rinunciare alla mia personalità». Rispetto ai primi anni, il successo in qualche modo ha alterato lo spirito che ha contraddistinto la Compagnia? «Sento che siamo ancora più fragili di prima. Più si coinvolge gente e più aumentano le responsabilità. Certo, l’esperienza ci dà gli strumenti per affrontare situazioni più complesse, ma la fragilità aumenta perché con questa grande macchina, dovendo essere così oliata, se qualcosa non funziona ha delle ripercussioni maggiori. In definitiva, però, non abbiamo perso lo spirito, anzi, siamo un gruppo che lavora molto sui dettagli e ci consultiamo continuamente». Dopo Lugano Per te (PT) e La verità (LV) partiranno per una tournée europea che, in alternanza, li porterà in ottobre a Ginevra (LV 18-19), Piacenza (23.10) e Udine (PT 26-28). A novembre a Madrid (LV 1-11), Bergamo (PT 16-19) e in Puglia. E a dicembre a Pamplona (LV 9), Bilbao (LV 13-17) e in Provenza (20-22).
Il remake prezioso di Sofia Coppola
Filmselezione I l film è stato premiato a Cannes ma il confronto con l’originale firmato da Don Siegel
nel 71 è difficile
Fabio Fumagalli **(*) L’inganno (The Beguiled), di Sofia
Coppola, con Colin Farrell, Nicole Kidman, Kirsten Dunst, Elle Fanning, Oona Laurence (Stati Uniti 2017)
Come è capitato sovente nella carriera dell’autrice di Lost in Translation, dopo il suo splendido esordio nel 2000 con Il giardino delle vergini suicide, l’ultimo film della figlia del grande Francis vive d’indubbia intelligenza, cura e talento espressivo; quasi frenando quand’è il momento di esplodere. A sua scusante, una premessa va fatta. La regista doveva girare una versione ispirata alla fiaba di Andersen La sirenetta: quando, alla Universal, si opposero all’idea di Sofia Coppola di affidare il ruolo di protagonista a una sconosciuta. La scelta cadde allora su un compromesso, accettato da entrambe le parti e certo di lusso: un cast stellare, con Nicole Kidman, Colin Farrell, Kirsten Dunst e Elle Fanning. Ma
un progetto minato, però, dal vizietto sempre più caro a Hollywood, quello del remake che permette di andare più o meno sul sicuro, in epoca non certo facile com’è l’attuale. Solo che The Beguiled (un inganno, in inglese, ma successivo a un’opera di seduzione) era un indubbio capolavoro: girato nel 1971 da Don Siegel, effettivamente deludente al botteghino, fu interpretato da un Clint Eastwood clamoroso quarantenne (il titolo italiano era La notte brava del soldato Jonathan). Certo, l’idea di Sofia Coppola era di girare con occhio femminile la vicenda del soldato nordista, ferito durante la guerra di Secessione, che viene accolto in terra sudista, curato in un collegio preservato dalla violenza dilagante all’esterno e concupito dalle ospiti giovani (e meno giovani). Le intenzioni della regista erano quelle di porgere, nell’osservazione di altre epoche, il proprio sguardo raffinato, moderno, ironico su un microcosmo che muterà presto in scabroso
e soprattutto ambiguo, evadendo dal contesto puro e semplice dell’aneddoto, romanzato nel 1966 da Thomas Cullinan, per inserirlo nella preziosità delle illuminazioni interne e nello splendore del paesaggio ottocentesco esterno. Il tutto carpito da un direttore della fotografia come Philippe Le Sourd, collaboratore di Ridley Scott e Wong Kar-wai. Sono raffinatezze che devono aver valso a L’inganno il Premio alla Regia di Cannes. Ma rimane il fatto che la volontà di Sofia Coppola di sfociare in una femminilità maliziosa, nell’ironia di certe situazioni, finisce per dissolversi in una diffusa anche se impeccabile superficialità. L’impronta prepotente, equivoca, a tratti quasi malsana che permeava il film di Don Siegel è qui solo un ricordo. Si pensi ad esempio alla cattiveria furba e destabilizzatrice che sottolineava politicamente il ruolo della schiava di colore, incaricata delle faccende più penose, elemento totalmente scomparso dalla nuova versione. Il personaggio interpretato da Clint Eastwo-
Una scena del film. (myredcarpet.eu)
od, seduttore prima ancora di essere manipolatore, finisce ora per stemperarsi in quello di Colin Farrell. Sofia Coppola deve probabilmente
aver ritenuto misogino il film di Siegel. Non ha forse del tutto torto: ma dietro le sue splendide apparenze il suo film ha rischiato di perdersi.
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Cultura e Spettacoli
La Svizzera vista dai compositori
Editoria Uno studio di Mathieu Schneider percorre la storia della musica e vi cerca le tracce dell’Helvetia
Timoteo Morresi A partire dall’Ottocento la Svizzera, con la sua natura sublime e bizzarra, il modo di vita ancestrale delle popolazioni di montagna, ha affascinato numerosi compositori, scrittori, pittori e intellettuali. Mathieu Schneider, docente all’Università di Strasburgo, nel suo recente studio L’utopie suisse dans la musique romantique, offre un inedito spaccato sulle rappresentazioni della Svizzera ad opera dei compositori e narra l’influenza che gli elementi musicali svizzeri hanno avuto sull’evoluzione del linguaggio nel XIX secolo. La lista di opere, balletti, Lieder, sinfonie, musica per pianoforte, musica da camera, musiche di scena, ouverture composte tra il 1780 e il 1910 che abbiano un legame con la Confederazione elvetica comprende più di 220 lavori. Fino a Jean-Jacques Rousseau le rappresentazioni della Svizzera erano rimaste lontane, mitiche e legate quasi esclusivamente alle arie musicali dei pastori svizzeri (ranz des vaches). Con il filosofo ginevrino le Alpi continuano ad essere un punto focale, ma non sono più solo l’oggetto di spedizioni scientifiche, né luoghi di idillio campestre. Rousseau nella sua opera Julie ou la Nouvelle Héloïse inventa la nozione moderna di «paesaggio», che viene ora a trovarsi direttamente legato agli stati d’animo del narratore. Il ranz de vaches viene visto in senso psicologico ed elevato a mito, uno dei pilastri della sua teoria della nuova musica. La Svizzera a metà del Settecento
rappresentava la prima tappa del Grand Tour, il viaggio di educazione che i giovani di buona famiglia intraprendevano per scoprire ciò che rimaneva del mondo antico in Grecia e in Italia. Limitandoci ai compositori più noti, Mendelssohn fece quattro viaggi in Svizzera; Brahms fu regolarmente invitato da istituzioni svizzere per assistere a esecuzioni della sua musica e contribuì al dinamismo della vita musicale svizzera. Liszt vi si recò una decina di volte e fu in contatto con alcuni musicisti locali come i pianisti Pierre-Etienne Wolff e Hermann Cohen a Ginevra, l’editore Ernest Knop a Basilea, il compositore Ferdinand Huber. Di Wagner si contano due soggiorni principali: a Zurigo dal 1849 al 1859 e a Tribschen, sul Lago dei Quattro cantoni, dal 1866 al 1872. Wagner trovò a Zurigo una città in pieno sviluppo economico, la Svizzera gli fornì un contesto propizio e uno slancio decisivo per edificare quella che poi chiamò «arte dell’avvenire». Liszt e Wagner nelle loro opere «svizzere» cercarono con successo di dar forma a una nuova arte: l’Album d’un voyageur fu una tappa significativa nell’evoluzione di Liszt come lo fu per Wagner L’Anello del Nibelungo. Concretamente la Svizzera, secondo Schneider, è presente a due livelli nell’opera di Wagner: sotto forma di ranz de vaches nell’Alte Weise all’inizio di Tristano e in modo più diffuso nella sua teoria del dramma musicale, come archetipo di un modo di rappresentare la natura in musica. Per quanto concerne la musica vocale, sono due le opere liriche che occor-
Una scena de La Nouvelle Héloise. (da S. Mazzoleni, Rousseau in tableaux brodés svizzeri )
re citare: Eliza, ou le Voyage aux glaciers du Mont Saint-Bernard (1794) di Luigi Cherubini e Guillaume Tell (1829) di Gioacchino Rossini. Ma la Svizzera ha la sua parola da dire anche nel campo del Lied. Schubert ha al riguardo un atteggiamento ambivalente: il suo Schweizerlied (D 559), su poesia di Goethe, non contiene alcun riferimento alla Svizzera; tuttavia in Der Hirt auf dem Felsen, uno degli ultimi Lieder, fa un interessante uso del colore svizzero grazie alla presenza del clarinetto. Altri seguirono il suo esempio, come Gustav Mahler in Zu Strassburg auf der Schanz (1889), tratto dalla raccolta Des Knaben Wunderhorn. Uno dei primi esempi dell’utilizzo di uno jodel svizzero nella musica classica si trova in Die Schweizerfamilie (1809) di
Joseph Weigl; Gaetano Donizetti lo impiega in Betly, ossia La capanna svizzera (1836), e a differenza di Weigl lo espone in una linea vocale molto più ampia. Anche all’inizio del terzo atto della Walkyrie (1876) di Wagner, nel motivo vocale degli Hojotoho, si osserva uno jodel. Sul versante della musica strumentale, il repertorio di composizioni legate alla Svizzera è più limitato. La Symphonie phantastique (1829) di Berlioz, in particolare grazie al ranz de vaches del terzo movimento, è una delle rare opere sinfoniche dell’Ottocento che abbiano un riferimento chiaro ed esplicito al nostro Paese. In quest’ottica si può annoverare anche il canto del pastore della Sinfonia Pastorale di Beethoven, come esempio di locus amenus. Mendelssohn
intitola La Suisse il terzo movimento della sua giovanile Nona Sinfonia per orchestra d’archi. Il tema del corno delle Alpi nell’Adagio della Prima sinfonia di Brahms riprende il soggetto del locus amenus di Beethoven. Liszt compose 13 pezzi per pianoforte che prendono lo spunto da temi popolari svizzeri. Il viaggio di Liszt in Svizzera è tuttavia immaginario: secondo Schneider è paragonabile ai viaggi anch’essi in gran parte fittizi che avevano compiuto gli scrittori e i loro eroi del XVIII secolo come Rousseau, Senancourt, Schiller, Byron: «È la traduzione di questa utopia svizzera che avevano inventato i romantici, nient’altro che il romanticismo stesso». La Svizzera descritta dai viaggiatori nei loro racconti non era difatti la Svizzera che vivevano nel loro quotidiano i contadini dell’alta valle della Reuss e dell’Aar. I paesaggi svizzeri nel XIX secolo erano in pratica diventati un’utopia che Rousseau, Schiller e Senancourt avevano rappresentato nelle loro opere. Il lavoro di Schneider prende in considerazione le musiche scritte fino al 1910. Sarebbe interessante poter disporre dei dati circa il periodo dal 1910 ai nostri giorni. Magari per suggerire che oggi ai compositori interessa anche… la Borsa valori, come dimostra la composizione di Francesco Hoch The magic Ring (2002). Bibliografia
Mathieu Schneider, L’utopie suisse dans la musique romantique, Paris, Hermann, 2016, p. 386. Annuncio pubblicitario
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Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 25 settembre 2017 • N. 39
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Cultura e Spettacoli I Dabu Fantastic, la band zurighese trionfatrice agli ultimi Swiss Music Awards, figura come consigliere per l’associazione Musicisti svizzeri.
Raffinate malinconie Cd Il nuovo album degli statunitensi
The National li conferma come realtà musicale di assoluta maestria e finezza
Benedicta Froelich
Un’associazione aiuta chi crea musica
Musicisti svizzeri Presentata a Bellinzona l’antenna svizzero-italiana
dell’ente nazionale «Musikschaffende Schweiz»
Zeno Gabaglio Il verbo schaffen in tedesco ha sostanzialmente due significati, anche piuttosto divergenti: da un lato lo si può intendere come sinonimo di «portare a termine» e quindi di «dare una conclusione»; dall’altro lato può invece significare anche «dare un inizio», «creare».
L’obiettivo del sodalizio è migliorare le condizioni generali del contesto che accoglie questo tipo di creatività Lo scorso 20 settembre a Bellinzona si è presentata per la prima volta nella Svizzera italiana l’associazione nazionale Musikschaffende Schweiz, e se si vuole capire da che parte stia il senso di questo schaffen – rispetto alla più neutra denominazione ufficiale in italiano: Musicisti svizzeri – è forse cosa buona e giusta propendere per il secondo significato. Non che alla musica non si possa dare una conclusione – addirittura una perfezione – ma l’accento posto dall’associazione-mantello nazionale è invece su chi crea, su chi fa. Su chi quotidianamente si assume il rischio e l’impegno di modellare la materia sonora per dare sempre nuove rappresentazioni musicali di sé e di tutti noi. «Musicisti svizzeri è un’associazione creata per il miglioramento
delle condizioni generali del contesto di chi fa musica» ci precisa Cécile Drexel, responsabile a livello nazionale di Musikschaffende Schweiz. «Questo implica e si realizza in un impegno politico, nell’organizzazione di incontri-workshop per l’aggiornamento nei più disparati settori del business musicale, l’attiva consulenza sui temi più importanti e controversi del complessissimo mondo musicale contemporaneo». Ma più precisamente chi è – per i vostri parametri – un «Musikschaffend», un musicista? «Possono aderire alla nostra associazione compositori, autori di testo, interpreti e produttori musicali, quindi le persone fisiche che creano la musica; non – per esempio – società o enti come etichette, festival o club». Rispetto ai generi non c’è esclusione di sorta, «siamo aperti a tutti, anche se per le specifiche competenze ci rivolgiamo soprattutto a musicisti professionisti dell’ambito rock/pop/ electro e – grazie alla progressiva e incisiva collaborazione con lo SMS, Sindacato svizzero di musica – anche dell’ambito jazz». La condizione della professionalità potrebbe però creare qualche equivoco dal momento che – in un mercato relativamente piccolo come quello del music business svizzero e rispetto alle qualifiche lavorative particolarmente sfuggenti del pop/rock – non è facile definire chi sia o meno un musicista professionista. «Il nostro criterio si applica non solo a chi vive esclusivamente di musica, ma a tutti coloro per i quali
la musica costituisce una parte – anche considerevole – degli introiti». Una volta spiegato il cosa, sorge spontanea la domanda sul perché: quali ragioni dovrebbero spingere un musicista ad aderire a Musicisti svizzeri? «Le stesse ragioni che hanno spinto altre categorie professionali indipendenti e legate alla creatività – dal giornalismo al cinema, dall’architettura al teatro – a fare altrettanto, ovvero la possibilità di unire le rispettive necessità individuali in un’unica voce che possa renderle più efficacemente presenti alla politica e alle istituzioni». Quali sono dunque i principali e più attuali temi di rivendicazione politica dei Musicisti svizzeri? «Da un lato il diritto d’autore, che in Svizzera è più fiacco rispetto a molti paesi che ci stanno attorno. Basti pensare che da noi il download di musica per cui non si è acquisito nessun diritto non è illegale. Ed è sempre necessario ricordare come il diritto d’autore non è un capriccio dei musicisti finalizzato a massimizzare i guadagni, ma in tanti casi è la principale retribuzione per un lavoro di anni. Dall’altro lato un tema pure caldo è quello del movimento No-Billag: l’eliminazione dei contributi al servizio pubblico priverebbe i musicisti svizzeri del principale referente per la promozione e la diffusione della propria musica. Senza la SSR – e quindi la RSI – la musica svizzera sarebbe decisamente più debole e in grande pericolo, lasciando musicisti e ascoltatori in balìa di quanto verrebbe deciso altrove dalle multinazionali della musica».
Nell’ambito di quelli che, per un critico musicale, sono i (numerosi) ascolti di un’intera annata discografica, chi scrive non può negare di sperimentare un sentimento ricorrente: quel senso di sottile smarrimento, per non dire di rabbia, che si finisce inevitabilmente per provare ogniqualvolta artisti musicali di talento vengano relegati in secondo piano perché non abbastanza appariscenti, chiassosi e glamorous da soddisfare i gusti del pubblico più frivolo e superficiale. Si sa, la macchina del successo commerciale finisce spesso per ignorare, o comunque trascurare, coloro che non si uniformano; tanto che la musica dell’eccellente band americana dei The National – fondata a Cincinnati nel 1999 e con alle spalle la pubblicazione di sette album – è sempre stata definita dalla stampa come «rock alternativo», anche se tale definizione sembra avere più a che fare con la posizione relativamente defilata e marginale adottata dal frontman Matt Berninger e dai suoi, che non con una reale connotazione stilistica. Infatti, seppure ben più raffinato e rarefatto della media, in termini squisitamente musicali l’American rock dei The National non differisce poi troppo dalle proposte di certe formazioni use a conquistare le classifiche internazionali; tuttavia, è probabile che la finezza ed eleganza delle liriche – e, soprattutto, la sottile malinconia e marcata inquietudine tipiche di ogni brano firmato dal gruppo – abbiano un effetto destabilizzante sul pubblico medio, ormai assuefatto a canzoni perlopiù innocue e dallo spirito «usa e getta». Ciò ha sicuramente avuto ripercussioni sulla popolarità della formazione, la quale, pur riscuotendo ottimi successi in patria, non ha mai del tutto sfondato nella vecchia Europa, almeno non quanto si sarebbe potuto sperare; tuttavia, il cosiddetto zoccolo duro di devoti ammiratori ha avuto buoni motivi per accogliere con gioia questo nuovo Sleep Well Beast, primo album della band da quattro anni a questa parte. In effetti, il CD si presenta come una sorta di compendio di quanto i The National hanno prodotto durante tutto l’arco della loro carriera: la cosa si fa evidente sin dall’eccellente apertura del disco, affidata a un brano toccante come Nobody Else Will Be There, vibrante di sonorità livide e quasi spettrali. In effetti, il gruppo sembra intenzionato a valorizzare sempre di più la componente elettronica del proprio sound, orientandosi ormai quasi esclusivamente su tappeti sonori a base
di sintetizzatori e campionamenti a computer; lo dimostra anche un pezzo come Day I Die, che richiama le suggestioni di brani ormai storici quali Bloodbuzz Ohio e Terrible Love (entrambi tratti dall’ottimo High Violet, datato 2010). Un discorso simile si può fare per il lento Walk It Back e, soprattutto, per The System Only Dreams in Total Darkness – traccia che, fin dal titolo, costituisce un perfetto esempio del genere di atmosfere sottilmente destabilizzanti e disperate a cui Berninger e i suoi sono in grado di dar vita come nessun altro, pur senza dimenticare di intessere ritornelli seducenti e sonorità accattivanti (e, per certi versi, perfino orecchiabili). Ma gli «highlight» del disco rimangono senz’altro pezzi struggenti come Born to Beg, Guilty Party e Dark Side of the Gym: lenti angoscianti nella migliore tradizione dei brani più dolorosi e malinconici composti dalla band, e caratterizzati dall’ipnotica, irresistibile ossessività tipica dei The National – un elemento della loro cifra stilistica, in effetti, simbolico dell’eccellenza musicale della formazione, tuttora in grado di strutturare intere canzoni su ritmi ripetitivi e quasi alienanti, senza mai rischiare di tediare l’ascoltatore. Un altro «centro perfetto» è Carin at the Liquor Store, ballata amara che ricorda vagamente la splendida Pink Rabbits di qualche anno fa e in cui, come già avvenuto in precedenza, Matt si rivolge direttamente, e con tono a dir poco straziante, alla figura femminile di turno – per intenderci, quella che per anni è stata la fantomatica Jennifer, o Jenny, più volte citata sia in High Violet che nel successivo Trouble Will Find Me (2013). Certo, bisogna ammettere che, seppur si tratti di un album a dir poco esemplare, dal punto di vista stilistico e tematico Sleep Well Beast non offre, da parte della band, nessuna reale novità; eppure, considerando la continua, progressiva mercificazione a cui molti gruppi rock americani stanno oggi andando incontro, vi è comunque un palpabile senso di sollievo nel constatare come la formazione dell’Ohio sia rimasta fedele alla propria visione, resistendo alla facile tentazione di «svendersi» in cambio di un maggiore successo commerciale. E per una volta tanto, l’integrità artistica sembra aver fruttato, dal momento che oggi Sleep Well Beast risulta avere un posto nella lista degli attuali best-seller musicali stilata dal colosso amazon.com: un segnale che fa ben sperare per il futuro, non solo dei The National, ma anche dell’alternative rock in generale.
Il gruppo americano The National. (i2.wp.com)
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Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 25 settembre 2017 • N. 39
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Idee e acquisti per la settimana
shopping Dalla Valle di Blenio un formaggio DOP aromatico e delicato
Attualità Severino Rigozzi di Aquila carica da 26 anni l’alpe Camadra in Valle di Blenio
e produce l’omonimo formaggio disponibile ora nei supermercati di Migros Ticino
Giovanni Barberis
FORMAGGIO D’ALPE TICINESE DOP DIETRO OGNI FORMAGGIO C’È UN PASCOLO D’UN DIVERSO VERDE SOTTO UN DIVERSO CIELO
La Valle di Blenio è lunga e non finisce di stupire gli amanti della natura. Ne sa qualcosa anche Severino Rigozzi di Aquila, agricoltore allevatore che da 26 anni porta i suoi animali sull’alpe Camadra. Per circa ottanta giorni è qui che ogni anno vivono circa 80 mucche, beneficiando di pascoli alpini ricchi di erbe particolari. Una vegetazione e delle condizioni climatiche che contribuiscono a conferire un sapore aromatico e delicato al formaggio d’alpe DOP prodotto su quest’alpeggio, dove da 24 anni lavora il casaro Victor. Le mucche hanno a disposizione un ampio territorio tra i 1’400 e i 2’100 metri in Valle Camadra, una valle brulla ma generosa che, in territorio di Ghirone, si raggiunge da Campo Blenio percorrendo la via che conduce ai piedi della capanna Scaletta e del Piano della Greina. Una zona molto frequentata dai turisti di montagna, che qui possono apprezzare la natura e l’ambiente montano con i suoi paesaggi e i panorami incontaminati. La lavorazione del latte crudo vaccino avviene nello stabile principale situato a 1’746 metri di altitudine, in località Camadra di fuori: «L’accurata mungitura e la lavorazione del casaro, nonché la stagionatura nelle cantine all’alpe e poi nelle grotte-cantine della Cima Norma a Torre, conferiscono al formaggio aromi e sapori raffinati», racconta Severino Rigozzi che nel 1978 ha iniziato la sua professione di contadino fondando la sua azienda agricola ad Aquila, oggi gestita assieme al figlio Odis. La nuova stalla a stabulazione libera è poi stata costruita nel 2004 e oggi accoglie circa cinquanta manzette e vitelli, oltre alle 80 mucche, il cui latte viene interamente trasformato nell’adiacente «Caseificio del Sole». Mentre il caseificio di Aquila è sempre attivo inverno e estate, la produzione del pregiato formaggio d’Alpe è chiaramente limitata al periodo di estivazione ed ha ottenuto la certificazione DOP. Marchio per il quale ogni anno si è sottoposti alla punteggiatura del proprio prodotto: oltre a gusto e aro-
Formaggio Alpe Camadra DOP libero servizio, 100 g Fr. 3.05
ma, i criteri di valutazione riguardano la forma, la crosta e la pasta, valutando occhiatura, consistenza e colore. I formaggi d’alpe DOP hanno un periodo d’affinaggio minimo di 60 giorni, che deve avvenire a una temperatura tra i 10 e i 16 gradi e con un’umidità almeno dell’85 per cento. L’elenco degli obblighi stabilisce pure il metodo di fabbricazione e i requisiti minimi, mentre altri enti di certificazione si occupano di verificare come vengono allevati e foraggiati gli animali. La DOP pone anche qui delle restrizioni, come il divieto di utilizzare insilati. Regole che contribuiscono ad ottenere un prodotto genuino, disponibile attualmente, dopo la dovuta stagionatura, pure nelle filiali di Migros Ticino. / Elia Stampanoni
Il casaro Severino Rigozzi osserva le sue mucche al pascolo sull’alpe Camadra.
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Idee e acquisti per la settimana
Venite a festeggiare con noi! Inaugurazione Giovedì 28 settembre vi aspettiamo alla nuova Migros di Caslano
La seconda filiale di Migros Ticino nel Malcantone, dopo Agno, apre i battenti il prossimo giovedì in quel di Caslano, al numero 80 di via Stazione. A pochissimi metri dalla fermata del trenino FLP, il nuovo punto vendita di questo incantevole borgo affacciato sul lago Ceresio è pronto ad accogliere la clientela della regione con un’offerta variegata e completa di prodotti d’uso quotidiano, come pure con un assortimento di beni di prima necessità nel settore «non food». Il nuovo supermercato si sviluppa su una superficie di 500 metri quadrati, dispone di 25 parcheggi gratuiti per la clientela ed è anche dotato di due pratiche casse Subito self-checkout per la spesa veloce. Attraenti attività per l’apertura
Per celebrare in grande stile l’inaugurazione di questa nuova filiale di Mi-
gros Ticino, è previsto un allettante programma di attività rivolto a tutta la clientela della zona, così come agli avventori di passaggio. Si comincia con il 10% di riduzione su tutto l’assortimento del negozio previsto per il 28, 29 e 30 settembre. Durante questi tre giorni di festa si potrà partecipare ad un grande concorso che mette in palio 10 carte regalo Migros del valore di CHF 100.– ciascuna (vedi tagliando da ritagliare). Non sono stati certo dimenticati i bambini: per loro palloncini e clown giovedì dalle ore 15.30 alle 18.30 e sabato dalle 10.00 alle 17.00. Infine, da giovedì a sabato, sarà offerta a tutti una colazione con caffè e cornetto (dalle ore 6.45 alle 8.00) e un ricco aperitivo (dalle 17.00 alle 18.30). Passate a trovarci!
La nuova filiale Migros di Caslano è pronta ad accogliere la clientela a partire da giovedì 28 settembre. (Ti-Press)
GRANDE CONCORSO
CASLANO
In palio 10 fantastiche «carte regalo Migros» del valore di CHF 100.– l’una! Nome / Cognome
Via / n°
CAP / Località
Telefono
Imbuca questo tagliando nell’apposita urna presso il supermercato Migros di Caslano da giovedì 28.9 fino a sabato 30.9.2017. Condizioni di partecipazione: nessun obbligo d’acquisto, la partecipazione è riservata a maggiorenni, sono esclusi ricorsi a vie legali, non è prevista alcuna corrispondenza. I vincitori saranno avvisati per iscritto entro il 20.10.2017. I collaboratori di Migros Ticino sono esclusi dalla partecipazione. Il premio non può essere corrisposto in contanti.
Per chi ama il piccante Il peperoncino secco dell’Orto il Gelso di Melano dà ai vostri piatti quotidiani quel tocco di brio in più. Il peperoncino della varietà «cayenna» viene coltivato in questa struttura protetta della Fondazione San Gottardo grazie al prezioso contributo di una ventina di persone disabili accompagnate da alcuni collaboratori specializzati. Tutta la produzione è certificata secondo i severi
criteri di Bio Suisse. Le piante non subiscono nessun tipo di trattamento antiparassitario o anticrittogamico (fungicida). La concimazione viene effettuata con compost prodotto all’interno del laboratorio agricolo. Una volta maturi, i peperoncini vengono raccolti a mano e posti subito in un apposito essiccatore in cui restano per una settimana prima di essere pronti per condire tutti i piatti.
Peperoncino essiccato 15 g Fr. 4.90 In vendita nelle maggiori filiali Migros
Il peperoncino è coltivato presso l’Orto il Gelso di Melano.
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Idee e acquisti per la settimana
Cipolla, un vero portento
Azione 40% di sconto sulle cipolle gialle svizzere nel sacco da 5 kg Fr. 4.90 invece di Fr. 8.50
Attualità Un ortaggio di cui non si può fare a meno
Venuta da lontano
La cipolla era coltivata nell’Asia settentrionale e in Palestina già 5000 anni fa. Molto apprezzata da Greci ed Egiziani, era considerata il cibo militare per eccellenza. Furono i Romani a introdurla a nord delle Alpi.
Proprietà
L’effetto lacrimogeno delle cipolle è dovuto alle sostanze volatili sulfuree che contiene, fenomeno che però viene eliminato con la cottura. Siccome a queste sostanze è pure attribuito un effetto antibiotico, le cipolle sono benefiche sotto forma di impacco in caso di malattie da raffreddamento. La cipolla è ricca di fosforo, ferro, potassio, acido tartarico e vitamine B e C.
Varietà
Le varietà più diffuse sono la cipolla gialla, disponibile in diverse grandezze e utilizzata principalmente come condimento e per la preparazione di torte salate e zuppe; la cipolla rossa dal sapore aromatico e dolciastro, ott ima cruda nelle insalate; e la cipolla bianca, dolce e delicata, ideale anche consumata fresca perché non fa lacrimare.
Rimedio naturale
La cipolla aumenta la quantità di succo gastrico e stimola l’azione antisettica e digestiva dello stomaco. L’effetto antisettico era già noto nel Medioevo contro la peste e il colera. Inoltre la cipolla è diuretica e contiene un fermento ipoglicemico utile nell’abbassare il tasso di zuccheri nei diabetici.
Importanza
La cipolla è uno degli ingredienti base più utilizzati al mondo nella preparazione di piatti «non dolci». È consumata cruda o fritta, si può cuocere al forno intera ripiena, è una delizia trasformata in zuppe e minestre, accompagna meravigliosamente carne e pesce, ed è usata come aroma principe in un’infinità di ricette.
Porte aperte ai Mulini di Vergeletto e Loco 25 lettori del nostro settimanale il prossimo 14 ottobre avranno la possibilità di visitare i due Mulini Onsernonesi per scoprire come si ottengono le pregiate Farina Bóna e Farina Meschia. Dal gusto unico, questi due prodotti nostrani si trovano nei supermercati di Migros Ticino, sia allo stato puro per le vostre ricette, sia come ingrediente di base in diverse preparazioni già confezionate, tra cui biscotti, raviöö e gelato artigianale. Durante la giornata sono previste visite guidate ai mulini, dimostrazioni di produzione della Farina Bóna, preparazione di ricette e degustazioni di piatti realizzati con questo genuino e versatile ingrediente.
Iscrizione
Farina Bóna 250 g Fr. 5.–
Il mulino onsernonese di Loco.
Le porte aperte si terranno sabato 14 ottobre e sono riservate ai primi 25 lettori di Azione che telefoneranno al numero 091 850 82 76, mercoledì 27 settembre tra le 10.30 e 11.30. La visita si terrà dalle ore 14.00 alle 17.00 circa, con ritrovo direttamente a Vergeletto. In seguito si potrà visitare il mulino di Loco.
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Idee e acquisti per la settimana
M-Classic
I preferiti dai carnivori
La scelta di prodotti a base di carne fresca firmati M-Classic è vasta quanto il numero di ricette di carne per la cucina quotidiana. Adesso alcuni di questi prodotti si presentano in una nuova confezione Testo Dora Horvath
Pronta in un baleno: steak di maiale con formaggio fresco.
Lo steak di maiale con formaggio fresco riesce alla perfezione in forno. Dopo la cottura rimane bello succosa.
La lombatina d’agnello magra è ideale da arrostire o cuocere a bassa temperatura.
M-Classic steak di maiale con formaggio fresco per 100 g Fr. 3.55 Nelle maggiori filiali
M-Classic lombatina d’agnello per 100 g Azione Fr. 3.85 invece di 5.50 fino al 2 ottobre
Le cosce di coniglio sono ideali da stufare. La carne è magra e ricca di proteine.
Le polpette sono ideali per piatti a base di salsa oppure da arrostire per esempio sul grill da tavola.
M-Classic cosce di coniglio per 100 g Fr. 3.40
Il magatello è indicato per cotture brevi oppure grigliato. La carne è tenera e aromatica. M-Classic magatello di maiale per 100 g al prezzo del giorno Solo nelle maggiori filiali
Foto Christine Benz; Styling VeraGuala; Styling (Food) Andrea Mausli
L’offerta di carne fresca di M-Classic annovera anche delle creazioni già pronte. Di queste fanno per esempio parte diverse varianti di cordon bleu e le polpettine, pietanze particolarmente apprezzate dai più piccoli. A questi prodotti convenience si aggiunge poi come novità la bistecca di maiale con formaggio fresco, un pratico piatto pronto in pochissimo tempo in forno. Ciliegina sulla torta di questa preparazione è l’aromatica fetta di pancetta che avvolge la carne e il formaggio. Questo menu per due persone è confezionato in una vaschetta per il forno che fa la sua bella figura anche sulla tavola.
Le succose fettine di maiale sono farcite con formaggio Raclette e prosciutto. M-Classic cordon bleu di maiale mini Raclette per 100 g Fr. 2.90 Nelle maggiori filiali
M-Classic polpette di manzo per 200 g Fr. 4.90
I racks di agnello si gustano ancora rosati arrosto o grigliati. Consiglio: lasciar riposare dopo la cottura affinché i succhi si distribuiscano al meglio. M-Classic racks d’agnello per 100 g Fr. 5.20
La macinata di manzo è un must per spaghetti alla bolognese, lasagne, verdure farcite, polpettone e fagottini. M-Classic macinata di manzo al kg Fr. 19.–
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Idee e acquisti per la settimana
M-Classic
I preferiti dai carnivori
La scelta di prodotti a base di carne fresca firmati M-Classic è vasta quanto il numero di ricette di carne per la cucina quotidiana. Adesso alcuni di questi prodotti si presentano in una nuova confezione Testo Dora Horvath
Pronta in un baleno: steak di maiale con formaggio fresco.
Lo steak di maiale con formaggio fresco riesce alla perfezione in forno. Dopo la cottura rimane bello succosa.
La lombatina d’agnello magra è ideale da arrostire o cuocere a bassa temperatura.
M-Classic steak di maiale con formaggio fresco per 100 g Fr. 3.55 Nelle maggiori filiali
M-Classic lombatina d’agnello per 100 g Azione Fr. 3.85 invece di 5.50 fino al 2 ottobre
Le cosce di coniglio sono ideali da stufare. La carne è magra e ricca di proteine.
Le polpette sono ideali per piatti a base di salsa oppure da arrostire per esempio sul grill da tavola.
M-Classic cosce di coniglio per 100 g Fr. 3.40
Il magatello è indicato per cotture brevi oppure grigliato. La carne è tenera e aromatica. M-Classic magatello di maiale per 100 g al prezzo del giorno Solo nelle maggiori filiali
Foto Christine Benz; Styling VeraGuala; Styling (Food) Andrea Mausli
L’offerta di carne fresca di M-Classic annovera anche delle creazioni già pronte. Di queste fanno per esempio parte diverse varianti di cordon bleu e le polpettine, pietanze particolarmente apprezzate dai più piccoli. A questi prodotti convenience si aggiunge poi come novità la bistecca di maiale con formaggio fresco, un pratico piatto pronto in pochissimo tempo in forno. Ciliegina sulla torta di questa preparazione è l’aromatica fetta di pancetta che avvolge la carne e il formaggio. Questo menu per due persone è confezionato in una vaschetta per il forno che fa la sua bella figura anche sulla tavola.
Le succose fettine di maiale sono farcite con formaggio Raclette e prosciutto. M-Classic cordon bleu di maiale mini Raclette per 100 g Fr. 2.90 Nelle maggiori filiali
M-Classic polpette di manzo per 200 g Fr. 4.90
I racks di agnello si gustano ancora rosati arrosto o grigliati. Consiglio: lasciar riposare dopo la cottura affinché i succhi si distribuiscano al meglio. M-Classic racks d’agnello per 100 g Fr. 5.20
La macinata di manzo è un must per spaghetti alla bolognese, lasagne, verdure farcite, polpettone e fagottini. M-Classic macinata di manzo al kg Fr. 19.–
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Idee e acquisti per la settimana
La star della settimana
Dolce prelibatezza
Noi firmiamo. Noi garantiamo.
Lo sciroppo che ha fatto la Svizzera Lo sciroppo è stato inventato tanto tempo fa in Medio Oriente e nel frattempo ha conquistato anche la Svizzera. Jean-Maurice Beney di Aproz Sources Minérales SA ci mostra dove si produce il famoso sciroppo di lampone Testo Estelle Dorsaz; Foto Isabelle Favre
Jean-Maurice Beney, vice-responsabile produzione presso Aproz, verifica colore, consistenza ed etichetta dello sciroppo ai lamponi.
Nello stabilimento dell’Aproz c’è un caldo afoso. Nella sala di produzione c’è la stessa frenesia che regna in un alveare. Le macchine compiono indefessamente gli stessi movimenti, mentre i collaboratori svolgono i loro compiti. Oggi si produce lo sciroppo di lampone, il preferito dagli Svizzeri. «La squadra addetta alla sua produzione sarà davanti ai macchinari dalle 7 di stamane fino alle 17», spiega Jean-Maurice Beney, vice-responsabile della produzione. Conosce molto bene il processo produttivo, dato che lavora all’Aproz ormai da 16 anni. Inizialmente lavorava sulle macchine d’imbottigliamento, mentre oggi si occupa della composizione e della gestione delle squadre di produzione del reparto Acque minerali & bevande da tavola. Ricetta e produzione
Quasi una bottiglia di sciroppo su tre venduta alla Migros è al gusto di lampone. Il successo lo deve al suo sapore genuino e naturale. Dalla sua introduzione nell’assortimento Migros, verso la fine degli anni ’50, la ricetta di base, estremamente semplice, non è mai stata modificata. I quattro ingredienti
principali sono: concentrato di lamponi e succo di sambuco che gli danno il bel colore rosso, zucchero sciroppato e acqua. «In questi contenitori vengono conservati separatamente il concentrato di frutta e lo zucchero sciroppato», spiega Jean-Maurice Beney indicando i grossi serbatoi. II concentrato di lamponi è un prodotto pregiato: per produrne un chilo ci vogliono dieci chili di frutta. «I liquidi vengono miscelati, poi pastorizzati e infine imbottiglaiti ed etichettati», racconta Beney.
sciroppo, di cui 2,23 milioni al gusto di lampone. Quando nel 2010 il cosiddetto principio di Cassis-de-Dijon fu introdotto in Svizzera, l’intero settore dei produttori di sciroppo ebbe un fremito, ma l’invasione straniera non avvenne. Il successo della qualità svizzera non si arrestò. La quota di frutta del 30% prevista dalla legislazione elvetica (contro il 10% vigente in Francia) e il diritto di portare il nome «sciroppo di lampone» furono mantenuti.
Un prodotto affermato
Gli svizzeri restano spesso fedeli agli stessi prodotti, ma assaggiano volentieri anche qualcosa di nuovo. Ogni anno Aproz sviluppa nuovi aromi e li propone in edizione stagionale. A volte sono addirittura gli stessi clienti a crearli, ad esempio tramite la piattaforma Migipedia. In questo modo è nato, tra l’altro, lo sciroppo al Mojito. Se gli si chiede se anche lui beve lo sciroppo di lampone, Jean-Maurice Beney si mette a ridere: «No. Ne ho bevuto tanto da piccolo e oggi preferisco gusti più esotici, come mango o mela-kiwi. Compro però lo sciroppo di lampone per i miei nipotini».
All’inizio lo sciroppo veniva prodotto a Bischofszell. Nel 1990 la produzione fu affidata ad Aproz, che oggi produce il 99 percento delle varietà di sciroppo vendute alla Migros. Sette anni dopo ci fu la rivoluzione del PET con le sue bottiglie più leggere e soprattutto infrangibili. Sulla scia, le bottiglie da 1 litro furono sostituite con quelle da 75 cl, più facilmente maneggiabili dai bambini. In fondo, sono i bambini i primi grandi amanti di questa bevanda. Il successo fu travolgente. La domanda esplose e con essa la produzione. Nel 2016 sono stati prodotti circa 7,2 milioni di litri di
È lo sciroppo più venduto del Paese e un classico sugli scaffali della Migros. Aproz, una delle industrie Migros, produce ogni anno ben 2,3 milioni di litri di sciroppo di lampone. Aproz, comunque, produce per la Migros molti altri gusti di sciroppo. La gamma va dallo sciroppo di cassis a quello di limone fino alla granatina. L’indovinello
Troverete l’indovinello riguardante lo sciroppo di lampone su www.noifirmiamonoigarantiamo.ch/star-dellasettimana Partecipate subito e vincete una carta regalo Migros. Saranno sorteggiate carte regalo per un valore totale di Fr. 150.–
Qualcosa per ogni gusto
M-Industria crea numerosi prodotti Migros, tra cui anche gli sciroppi di Aproz.
Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 25 settembre 2017 • N. 39
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Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 25 settembre 2017 • N. 39
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Idee e acquisti per la settimana
La star della settimana
Dolce prelibatezza
Noi firmiamo. Noi garantiamo.
Lo sciroppo che ha fatto la Svizzera Lo sciroppo è stato inventato tanto tempo fa in Medio Oriente e nel frattempo ha conquistato anche la Svizzera. Jean-Maurice Beney di Aproz Sources Minérales SA ci mostra dove si produce il famoso sciroppo di lampone Testo Estelle Dorsaz; Foto Isabelle Favre
Jean-Maurice Beney, vice-responsabile produzione presso Aproz, verifica colore, consistenza ed etichetta dello sciroppo ai lamponi.
Nello stabilimento dell’Aproz c’è un caldo afoso. Nella sala di produzione c’è la stessa frenesia che regna in un alveare. Le macchine compiono indefessamente gli stessi movimenti, mentre i collaboratori svolgono i loro compiti. Oggi si produce lo sciroppo di lampone, il preferito dagli Svizzeri. «La squadra addetta alla sua produzione sarà davanti ai macchinari dalle 7 di stamane fino alle 17», spiega Jean-Maurice Beney, vice-responsabile della produzione. Conosce molto bene il processo produttivo, dato che lavora all’Aproz ormai da 16 anni. Inizialmente lavorava sulle macchine d’imbottigliamento, mentre oggi si occupa della composizione e della gestione delle squadre di produzione del reparto Acque minerali & bevande da tavola. Ricetta e produzione
Quasi una bottiglia di sciroppo su tre venduta alla Migros è al gusto di lampone. Il successo lo deve al suo sapore genuino e naturale. Dalla sua introduzione nell’assortimento Migros, verso la fine degli anni ’50, la ricetta di base, estremamente semplice, non è mai stata modificata. I quattro ingredienti
principali sono: concentrato di lamponi e succo di sambuco che gli danno il bel colore rosso, zucchero sciroppato e acqua. «In questi contenitori vengono conservati separatamente il concentrato di frutta e lo zucchero sciroppato», spiega Jean-Maurice Beney indicando i grossi serbatoi. II concentrato di lamponi è un prodotto pregiato: per produrne un chilo ci vogliono dieci chili di frutta. «I liquidi vengono miscelati, poi pastorizzati e infine imbottiglaiti ed etichettati», racconta Beney.
sciroppo, di cui 2,23 milioni al gusto di lampone. Quando nel 2010 il cosiddetto principio di Cassis-de-Dijon fu introdotto in Svizzera, l’intero settore dei produttori di sciroppo ebbe un fremito, ma l’invasione straniera non avvenne. Il successo della qualità svizzera non si arrestò. La quota di frutta del 30% prevista dalla legislazione elvetica (contro il 10% vigente in Francia) e il diritto di portare il nome «sciroppo di lampone» furono mantenuti.
Un prodotto affermato
Gli svizzeri restano spesso fedeli agli stessi prodotti, ma assaggiano volentieri anche qualcosa di nuovo. Ogni anno Aproz sviluppa nuovi aromi e li propone in edizione stagionale. A volte sono addirittura gli stessi clienti a crearli, ad esempio tramite la piattaforma Migipedia. In questo modo è nato, tra l’altro, lo sciroppo al Mojito. Se gli si chiede se anche lui beve lo sciroppo di lampone, Jean-Maurice Beney si mette a ridere: «No. Ne ho bevuto tanto da piccolo e oggi preferisco gusti più esotici, come mango o mela-kiwi. Compro però lo sciroppo di lampone per i miei nipotini».
All’inizio lo sciroppo veniva prodotto a Bischofszell. Nel 1990 la produzione fu affidata ad Aproz, che oggi produce il 99 percento delle varietà di sciroppo vendute alla Migros. Sette anni dopo ci fu la rivoluzione del PET con le sue bottiglie più leggere e soprattutto infrangibili. Sulla scia, le bottiglie da 1 litro furono sostituite con quelle da 75 cl, più facilmente maneggiabili dai bambini. In fondo, sono i bambini i primi grandi amanti di questa bevanda. Il successo fu travolgente. La domanda esplose e con essa la produzione. Nel 2016 sono stati prodotti circa 7,2 milioni di litri di
È lo sciroppo più venduto del Paese e un classico sugli scaffali della Migros. Aproz, una delle industrie Migros, produce ogni anno ben 2,3 milioni di litri di sciroppo di lampone. Aproz, comunque, produce per la Migros molti altri gusti di sciroppo. La gamma va dallo sciroppo di cassis a quello di limone fino alla granatina. L’indovinello
Troverete l’indovinello riguardante lo sciroppo di lampone su www.noifirmiamonoigarantiamo.ch/star-dellasettimana Partecipate subito e vincete una carta regalo Migros. Saranno sorteggiate carte regalo per un valore totale di Fr. 150.–
Qualcosa per ogni gusto
M-Industria crea numerosi prodotti Migros, tra cui anche gli sciroppi di Aproz.
Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 25 settembre 2017 • N. 39
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Idee e acquisti per la settimana
Noi firmiamo. Noi garantiamo.
Stelle che nascono in Svizzera Questa settimana sotto i riflettori c’è lo sciroppo di lampone di Aproz. Ma tutt’attorno brillano tante altre stelle dell’Industria Migros
Azione 20% di sconto sulle confezioni di Zampe d’orso da 760 g, Bastoncini alle nocciole da 1 kg e Sablés al burro da 560 g, per es. Zampe d’orso 760 g Fr. 4.70 invece di 5.90
Azione 30% di sconto su tutti i caffè in chicchi o macinati con il logo UTZ, per es. Boncampo in chicchi 500 g Fr. 3.35 invece di 4.80
Azione 20% di sconto sugli sciroppi in bottiglia PET da 75 cl e 1,5 l, per es. Sciroppo lampone 1,5 l Fr. 3.40 invece di 4.25 Azione 20% di sconto su tutti i Zwieback (tranne Alnatura), per es. Zwieback Fitness senza aggiunta di zucchero 270 g Fr. 3.25 invece di 4.10
Azione 20% di sconto su tutti i dolci a base di vermicelli, per es. Trancio torta di vermicelli 130 g Fr. 3.– invece di 3.80
Azione 30% di sconto su TerraSuisse Prosciutto posteriore in confezione doppia per 100 g Fr. 2.30 invece di 3.30
Azione 40% di sconto su tutti i thè freddi Kult Ice Tea in pacco da 10 UTZ, per es. Kult Ice Tea Limone 10 x 1l Fr. 4.50 invece di 7.50 Azione 20% di sconto sulle paste Tradition, per es. TerraSuisse Tradition Tagliatelle 500 g Fr. 3.15 invece di 3.95
Azione 30% di sconto sulle barrette di cioccolato Frey in confezione da 18 pezzi UTZ, per es. Frey Latte Extra 18 x 35 g Fr. 10.– invece di 14.40
Tutti i prezzi in azione sono validi dal 26 settembre al 2 ottobre, fino a esaurimento delle scorte.
Azione –.2 0
di riduzione l’uno
3.95 invece di 7.90
2.75 invece di 2.95
Il Burro panetto, 250 g, a partire da 2 pezzi, –.20 di riduzione l’uno
1.80 invece di 2.25 Le Gruyère semistagionato bio per 100 g
20%
1.25 invece di 1.60 Appenzeller dolce per 100 g
Maggiori informazio ni a partire dalla 4a pagina.
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50%
11.85 invece di 23.70 Grana Padano DOP conf. da 700 g/800 g, a libero servizio, al kg
Carne secca prodotta in Svizzera con carne dalla Germania, affettata in vaschetta, per 100 g
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30% 40% Tutti i mitici Ice Tea in brik in conf. da 10, 10 x 1 l, UTZ per es. al limone, 4.50 invece di 7.50
Migros Ticino Da tutte le offerte sono esclusi gli articoli M-Budget e quelli già ridotti. OFFERTE VALIDE SOLO DAL 26.9 AL 2.10.2017, FINO A ESAURIMENTO DELLO STOCK
Tutti gli alimenti per animali M-Classic, Asco e Selina per es. Selina Soft & Crispy con manzo e pollame, 1,5 kg, 2.70 invece di 3.90
. o z z re p o im tt o , a z z e h c s e Massima fr 50%
1.15 invece di 2.30 Branzino 300–600 g Grecia, per 100 g, fino al 30.9
40%
2.50 invece di 4.30 Filetto dorsale di merluzzo MSC pesca, Atlantico nordorientale, per 100 g
40%
7.80 invece di 13.– Cosce di pollo Optigal Svizzera, in conf. da 4 pezzi, al kg
40%
4.50 invece di 7.60 Entrecôte di cervo Nuova Zelanda, imballato, per 100 g
30%
3.85 invece di 5.55 Lombatina d’agnello M-Classic Nuova Zelanda / Irlanda / Gran Bretagna / Australia, per 100 g
conf. da 2
20%
13.10 invece di 16.40 Fondue moitié-moitié in conf. da 2 2 x 400 g
30%
2.50 invece di 3.60 Ossibuchi di vitello TerraSuisse Svizzera, imballati, per 100 g
20%
1.55 invece di 1.95 Formaggella ticinese 1/4 grassa prodotta in Ticino, a libero servizio, per 100 g
30%
1.95 invece di 2.80 Veneziane 4 pezzi/220 g
Migros Ticino OFFERTE VALIDE SOLO DAL 26.9 AL 2.10.2017, FINO A ESAURIMENTO DELLO STOCK
30%
1.15 invece di 1.70 Spezzatino e arrosto di maiale TerraSuisse Svizzera, imballato, per 100 g
30%
4.95 invece di 7.30 Roastbeef cotto Svizzera/Germania, affettato in vaschetta, per 100 g
Hit
4.40
Pomodoro Ticino, imballato, al kg
40%
4.90 invece di 8.50 Cipolle Svizzera, rete da 5 kg
25%
3.60 invece di 4.90 Mini cachi Spagna, imballati, 400 g
25%
2.70 invece di 3.80 Fagiolini verdi Svizzera, in busta da 500 g
20%
2.95 invece di 3.90 Ananas Costa Rica, il pezzo
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Migros Ticino OFFERTE VALIDE SOLO DAL 26.9 AL 2.10.2017, FINO A ESAURIMENTO DELLO STOCK
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Pomodoro Ticino, imballato, al kg
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4.90 invece di 8.50 Cipolle Svizzera, rete da 5 kg
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. te r e p e n o i z a in i, o Prodotto da n conf. da 2
15%
Consiglio
2.80 invece di 3.30 Fettine di pollo Optigal Svizzera, per 100 g
IL COCCO INCONTRA LE TRUFFES In cucina l’olio di cocco è un vero jolly. Lo si può scaldare anche se è ricavato da spremitura a freddo. In pasticceria aggiunge a ogni creazione un’inconfondibile nota aromatica, come nel caso di queste deliziose truffes al cocco e alla macadamia. Trovate la ricetta su migusto.ch e tutti gli ingredienti freschi alla vostra Migros.
20% Burro per arrostire aha! bio e olio di cocco spremuto a freddo Fairtrade bio per es. olio di cocco spremuto a freddo Fairtrade bio, 200 g, 5.20 invece di 6.90
50%
1.65 invece di 3.30 Lonza di maiale TerraSuisse in conf. speciale per 100 g
conf. da 4
33% Lenticchie, lenticchie con pancetta, fagioli bianchi e chili con carne M-Classic in conf. da 4 per es. fagioli bianchi, 4 x 440 g, 3.85 invece di 5.80
20%
6.40 invece di 8.– Carne secca di manzo bio in conf. speciale Svizzera, per 100 g
OFFERTE VALIDE SOLO DAL 26.9 AL 2.10.2017, FINO A ESAURIMENTO DELLO STOCK
30%
30%
2.30 invece di 3.30
Piselli dell’orto e verdure miste svizzere Farmer’s Best in conf. speciale prodotti surgelati, per es. piselli dell’orto Classics, 1 kg, 3.60 invece di 5.20
Prosciutto cotto TerraSuisse in conf. da 2 per 100 g
conf. da 2
20% Tutti i rösti e i prodotti Mifloc bio per es. rösti, 500 g, 1.95 invece di 2.45
20% Tutti i tipi di riso bio da 1 kg (Alnatura esclusi), per es. riso integrale Natura, 2.60 invece di 3.30
40%
6.85 invece di 11.45 Sminuzzato di pollo M-Classic in conf. da 2 surgelato, 2 x 350 g
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Consiglio
2.80 invece di 3.30 Fettine di pollo Optigal Svizzera, per 100 g
IL COCCO INCONTRA LE TRUFFES In cucina l’olio di cocco è un vero jolly. Lo si può scaldare anche se è ricavato da spremitura a freddo. In pasticceria aggiunge a ogni creazione un’inconfondibile nota aromatica, come nel caso di queste deliziose truffes al cocco e alla macadamia. Trovate la ricetta su migusto.ch e tutti gli ingredienti freschi alla vostra Migros.
20% Burro per arrostire aha! bio e olio di cocco spremuto a freddo Fairtrade bio per es. olio di cocco spremuto a freddo Fairtrade bio, 200 g, 5.20 invece di 6.90
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1.65 invece di 3.30 Lonza di maiale TerraSuisse in conf. speciale per 100 g
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33% Lenticchie, lenticchie con pancetta, fagioli bianchi e chili con carne M-Classic in conf. da 4 per es. fagioli bianchi, 4 x 440 g, 3.85 invece di 5.80
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Piselli dell’orto e verdure miste svizzere Farmer’s Best in conf. speciale prodotti surgelati, per es. piselli dell’orto Classics, 1 kg, 3.60 invece di 5.20
Prosciutto cotto TerraSuisse in conf. da 2 per 100 g
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6.85 invece di 11.45 Sminuzzato di pollo M-Classic in conf. da 2 surgelato, 2 x 350 g
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Nidi alle nocciole, discoletti e amaretti al cocco, in conf. da 2 per es. nidi alle nocciole, 2 x 216 g, 4.15 invece di 6.20
20% Tutti i biscotti bio per es. biscotti alla spelta con uvetta, 260 g, 3.15 invece di 3.95
20% Tutti gli zwieback (Alnatura esclusi), per es. original, 260 g, 2.55 invece di 3.20
20% Tutti i prodotti di pasticceria ai vermicelles per es. trancio ai vermicelles, 130 g, 3.– invece di 3.80
20% Tutta la frutta secca e tutte le noci bio per es. pinoli, 100 g, 5.20 invece di 6.50
OFFERTE VALIDE SOLO DAL 26.9 AL 2.10.2017, FINO A ESAURIMENTO DELLO STOCK
Zampe d’orso da 760 g, bastoncini alle nocciole da 1 kg e sablé al burro da 560 g per es. zampe d’orso, 760 g, 4.70 invece di 5.90
20% Tutti gli yogurt Excellence per es. alle fragoline di bosco, 150 g, –.75 invece di –.95
a partire da 2 confezioni
20%
Tutte le tavolette, le palline e tutti i Friletti Frey Suprême, UTZ a partire da 2 confezioni, 20% di riduzione
20% Tutti i succhi freschi bio per es. succo d’arancia, 750 ml, 2.70 invece di 3.40
30% Tutte le miscele per dolci e i dessert in polvere (Alnatura esclusi), per es. miscela per brownies, 490 g, 4.25 invece di 6.10
conf. da 18
30%
Barrette di cioccolato Frey in conf. da 18, UTZ per es. cioccolato al latte finissimo, 18 x 35 g, 10.– invece di 14.40
20% Tutto l’assortimento Sarasay per es. Florida Orange, 1 l, 2.35 invece di 2.95
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20% Chips Royal e Farm in conf. da 2 per es. chips Farm al naturale, 2 x 150 g, 4.30 invece di 5.40
33% Pizza Anna’s Best in confezioni multiple per es. ovale al prosciutto, 3 x 205 g, 9.80 invece di 14.70
30% Senape, maionese e salsa tartara M-Classic in conf. da 2 per es. maionese Classic, 2 x 265 g, 2.15 invece di 3.10
a partire da 2 confezioni
20% Tutta la pasta Tradition per es. tagliatelle TerraSuisse, 500 g, 3.15 invece di 3.95
– .3 0
di riduzione l’una Tutti i prodotti da forno per l’aperitivo Party o i cracker Pic a partire da 2 confezioni, –.30 di riduzione l’una, per es. cracker alla pizza Party, 150 g, 2.10 invece di 2.40
20%
20%
Tutti i prodotti I am Natural Cosmetics (confezioni da viaggio e confezioni multiple escluse), a partire da 2 pezzi, 20% di riduzione, offerta valida fino al 9.10.2017
Prodotti per la cura del viso e del corpo I am in conf. da 2 per es. salviettine detergenti per pelli secche, 2 x 25 pezzi, 5.40 invece di 6.80, offerta valida fino al 9.10.2017
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20%
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22.20 invece di 27.80
Detersivi Elan in conf. speciale Active o Color Powder, 7,5 kg, per es. Active Powder, offerta valida fino al 9.10.2017
Detersivi Elan in conf. da 2 per es. Spring Time, 2 x 2 l, offerta valida fino al 9.10.2017
L’INDUSTRIA MIGROS E I SUOI PRODOTTI. Latte, bevande a base di latte, yogurt, formaggio fresco, salse, maionese.
Caffè, caffè in capsule, frutta secca, spezie, noci.
Ice Tea, succhi di frutta, prodotti pronti, prodotti a base di patate e prodotti a base di frutta.
Carne fresca, pesce, salumi, pollame.
20% Tutta la pasta, i sughi per pasta e le conserve di pomodoro bio (Alnatura esclusi), per es. cornetti, 500 g, 1.55 invece di 1.95
Pane, prodotti da forno, pasticceria, paste.
Formaggio per raclette Raccard, Gruyère AOP, Appenzeller, fondue.
20% Tutte le bevande bio per es. mirtilli rossi Plus, 500 ml, 3.80 invece di 4.80
OFFERTE VALIDE SOLO DAL 26.9 AL 2.10.2017, FINO A ESAURIMENTO DELLO STOCK
Biscotti, Blévita, gelati, dessert in polvere, frittelle di Carnevale, prodotti da forno per l’aperitivo.
20% Salse per insalata a Tavola, bio 450 ml, per es. French, 2.80 invece di 3.50
Acqua minerale, sciroppo, succhi di frutta.
Prodotti trattanti, sostanze cosmetiche attive, detersivi e detergenti, margarine, grassi commestibili.
Diverse varietà di riso, riso al latte, varietà speciali di riso.
Cioccolato, gomma da masticare.
. ra e z iz v S in e tt o d ro p : s ro Le marche Mig conf. da 2
a partire da 2 pezzi
conf. da 2
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Caffè, caffè in capsule, frutta secca, spezie, noci.
Ice Tea, succhi di frutta, prodotti pronti, prodotti a base di patate e prodotti a base di frutta.
Carne fresca, pesce, salumi, pollame.
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Pane, prodotti da forno, pasticceria, paste.
Formaggio per raclette Raccard, Gruyère AOP, Appenzeller, fondue.
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Acqua minerale, sciroppo, succhi di frutta.
Prodotti trattanti, sostanze cosmetiche attive, detersivi e detergenti, margarine, grassi commestibili.
Diverse varietà di riso, riso al latte, varietà speciali di riso.
Cioccolato, gomma da masticare.
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Altre offerte. Frutta e verdura
Tutto l’assortimento Cornatur, a partire da 2 confezioni, 1.– di riduzione l’una, per es. scaloppina di quorn con mozzarella e pesto, 240 g, 5.50 invece di 6.50
Fiori e piante Zucca a fette bio, Ticino, imballata, al kg, 5.20 invece di 6.80 20%
20%
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Tutti i sofficini M-Classic Tutti i cereali per la colazione bio surgelati, per es. sofficini al formaggio, 10 x 60 g, 5.10 (Alnatura esclusi), per es. semi di zucca, 400 g, 4.95 invece di 6.40 invece di 6.20
Panino al salame, prodotto in Ticino, imballato, in conf. da 50 g, 1.90 invece di 2.90 33% Tutta la carne di maiale nostrana al banco, per es. costolette di maiale, Ticino, per 100 g, 1.75 invece di 2.50 30%
Pane e latticini
a partire da 3 confezioni
33%
Tutti i pannolini Milette (inserti per pannolini monouso esclusi), a partire da 3 confezioni, 33% di riduzione, offerta valida fino al 9.10.2017
50% Tutti i montalatte, le caffettiere, le teiere e i thermos per es. caffettiera Bialetti, argento, per 6 tazze, il pezzo, 14.90 invece di 29.80, offerta valida fino al 9.10.2017
Bouquet di rose Fairtrade, mazzo da 30, disponibile in diversi colori, lunghezza dello stelo 40 cm, per es. giallo, arancione e rosso, 13.90 invece di 19.90 30%
Fazzoletti di carta e salviettine cosmetiche Linsoft e Kleenex in confezioni multiple per es. fazzoletti di carta Linsoft Classic, FSC, 56 x 10 pezzi, 3.65 invece di 5.50, offerta valida fino al 9.10.2017
Near Food/Non Food
Boxer aderenti, slip o magliette da uomo John Adams in conf. da 3, disponibili in diversi colori e misure, per es. boxer aderenti, blu marino, tg. M, 14.90 Hit **
Cuscino per seduta Tina in conf. da 2 100% cotone, disponibile in turchese, grigio talpa e grigio scuro, 40 x 40 cm, per es. turchese, offerta valida fino al 9.10.2017
50%
Tutto l’assortimento Migros Topline e Sistema Microwave a partire da 2 pezzi, 50% di riduzione, offerta valida fino al 9.10.2017
Cerotto per bambini da tagliare su misura M-Plast, 1 pezzo, 1.50 Novità **
Docciaschiuma trattante Nivea creme oil pearls Ylang Ylang, 250 ml, 3.20 Novità ** Deodorante roll-on Nivea Men invisible for black&white Fresh, 50 ml, 2.60 Novità **
Body o pigiama per bebè e pigiama per bambina, disponibili in diverse misure, per es. pigiama per bebè, grigio, tg. 68, il pezzo, 11.90 Hit **
Crema da notte rigenerante antietà Nivea Cellular, 50 ml, 21.50 Novità **
Panini al burro M-Classic, TerraSuisse, 2.20 invece di 2.80 20%
Tutti i tipi di senape, maionese e ketchup bio (Alnatura esclusi), per es. maionese, 265 g, 1.75 invece di 2.20 20%
Top da donna Ellen Amber in conf. da 2, disponibile in nero o bianco, per es. bianco, tg. M, il pezzo, 19.90 Hit ** Tutti i panni Total Color Protect, a partire da 2 pezzi 30% ** Tutti i mascara Covergirl, a partire da 2 pezzi 40% Ombrello pieghevole, disponibile in diversi colori e motivi, per es. rosso, il pezzo, 7.40 invece di 14.80 50% **
1104.– invece di 1299.–
.2017 12.9–2.10
micasa.ch Valido dal 12.9 al 2.10.2017: 15 % di sconto Cumulus su tavoli da pranzo, sedie, stoviglie, posate, bicchieri, accessori per la cucina e tessili per la tavola escl. assortimento per bambini e Cucina & Tavola. Lo sconto Cumulus è valido in tutte le filiali Micasa presentando la carta Cumulus e nello shop online indicando il numero Cumulus. Lo sconto è valido solo per le nuove ordinazioni. Valgono le usuali direttive Cumulus.
OFFERTE VALIDE SOLO DAL 26.9 AL 2.10.2017, FINO A ESAURIMENTO DELLO STOCK
Fanjo Big Smile Shower, Limited Edition, 300 ml, 2.80 Novità **
Branches Classic Midi Frey in conf. speciale, UTZ, 650 g, 9.80 invece di 14.15 30%
Legno massiccio di quercia, oliato, diversi colori e misure, per es. naturale, 180 x 90 x 76 cm
14.80
PUNTI
Crema da notte antirughe Nivea Q10plusC Energy, 40 ml, 17.10 Novità **
Tavolo da pranzo LEONE
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Set di accessori da bagno in ceramica, 4 pezzi, il pezzo, 16.80 Hit **
**Offerta valida fino al 9.10 Migros Ticino OFFERTE VALIDE SOLO DAL 26.9 AL 2.10.2017, FINO A ESAURIMENTO DELLO STOCK
Hit
Novità
Tutti i sottaceti e gli antipasti Condy, per es. cetrioli alle erbe aromatiche, 270 g, 1.50 invece di 1.90 20%
Tutti i sottaceti bio (Alnatura esclusi), per es. cetrioli alle erbe aromatiche, 270 g, 1.80 invece di 2.30 20%
orrente c c ‘o l o t t su t u cina per la cu
Tutto l’assortimento di biancheria da uomo da giorno e da notte, per es. boxer aderenti Basic John Adams, neri, tg. M, il pezzo, 5.85 invece di 9.80 40%
Always Discreet Maxi Night, 6 pezzi, 5.20 Novità **
Altri alimenti
Tutte le crostate Anna’s Best, 200 g/215 g, per es. all’albicocca, 215 g, 2.45 invece di 3.10 20%
Agnolotti e fiori bio in conf. da 3, per es. agnolotti all’arrabbiata, 3 x 250 g, 9.80 invece di 14.70 33%
Tutte le spezie bio (Alnatura escluse), per es. Herbamare Original, 250 g, 3.40 invece di 4.25 20%
Calluna Quattro in vaso da 13 cm, 4.90 Hit
Filetti di salmone dell’Atlantico Pelican in conf. da 3, ASC, surgelati, 3 x 250 g, 16.55 invece di 23.70 30%
33%
Punte di asparagi in barattolo di vetro M-Classic in conf. da 4, asparagi bianchi e verdi, per es. bianchi, 4 x 115 g, 5.10 invece di 6.40 20% Tutti i cereali in chicchi, i legumi, la quinoa e il couscous bio (Alnatura esclusi), per es. quinoa bianca Fairtrade, aha!, 400 g, 3.95 invece di 4.95 20%
Pesce, carne e pollame
Salmone affumicato bio al limone in conf. speciale, d’allevamento, Norvegia, 200 g, 13.30 invece di 19.– 30%
Tutte le olive bio (Alnatura escluse), per es. olive greche Kalamata, 150 g, 2.15 invece di 2.70 20%
Prodotti Nivea Urban Skin, per es. crema da giorno, 50 ml, 7.90 Novità ** Torta Tropical, 220 g, 6.50 Novità ** Ice Tea melagrana-uva, Winter Edition, 70 g, 1.20 Novità ** Whey Protein Strawberry Sponser, 200 g, 13.50 Novità ** Coco drink al naturale Alnatura, 1 l, 5.10 Novità ** Red Bull Orange Edition, 250 ml, 1.70 Novità **
Altre offerte. Frutta e verdura
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Pane e latticini
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Tutti i pannolini Milette (inserti per pannolini monouso esclusi), a partire da 3 confezioni, 33% di riduzione, offerta valida fino al 9.10.2017
50% Tutti i montalatte, le caffettiere, le teiere e i thermos per es. caffettiera Bialetti, argento, per 6 tazze, il pezzo, 14.90 invece di 29.80, offerta valida fino al 9.10.2017
Bouquet di rose Fairtrade, mazzo da 30, disponibile in diversi colori, lunghezza dello stelo 40 cm, per es. giallo, arancione e rosso, 13.90 invece di 19.90 30%
Fazzoletti di carta e salviettine cosmetiche Linsoft e Kleenex in confezioni multiple per es. fazzoletti di carta Linsoft Classic, FSC, 56 x 10 pezzi, 3.65 invece di 5.50, offerta valida fino al 9.10.2017
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Pesce, carne e pollame
Salmone affumicato bio al limone in conf. speciale, d’allevamento, Norvegia, 200 g, 13.30 invece di 19.– 30%
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Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 25 settembre 2017 • N. 39
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Idee e acquisti per la settimana
Garnier
Ispirati dalla natura Dal noto marchio Garnier Skin Active arrivano due nuovi prodotti detergenti e idratanti contenenti sostanze di origine naturale: una con acqua di rose per pelli secche e sensibili e l’altro con miele di fiori per pelli molto secche. La linea curativa è composta da un latte detergente, un tonico per il viso e da una crema particolarmente ricca. La crema è indicata per il giorno e la notte, come pure come maschera per il viso. Tutte le composizioni sono prive di parabeni, siliconi e sostanze sintetiche.
Il balsamo con miele di fiori nutre e ripara come cura o maschera la pelle molto secca.
Il balsamo con acqua di rose calma e rilassa come cura o maschera la pelle secca e senbibile.
Garnier Skin Active balsamo idratante con miele di fiori 140 ml* Fr. 9.80
Garnier Skin Active balsamo idratante con acqua di rose 140 ml* Fr. 9.80
Garnier Skin Active tonico e latte detergente con miele di fiori da 200 ml* Fr. da 5.90
Garnier Skin Active tonico e latte detergente con acqua di rose da 200 ml* Fr. da 5.90 *Nelle maggiori filiali
Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 25 settembre 2017 • N. 39
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Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 25 settembre 2017 • N. 39
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Idee e acquisti per la settimana
Frey
Mangia qualcosina!
I deliziosi cioccolatini di Frey ci salvano dalla fiacca pomeridiana, ci accompagnano durante la serata con gli amici e sono perfetti per tutti quei momenti in cui ci assale uno sfrenato desiderio di qualcosa di dolce Testo Dora Horvath; Foto Martina Meier; Styling Katja Rey
Concorso Vincete un volo in elicottero Da condividere A Pasqua sono ovali, a Natale rotondi e il resto dell’anno rettangolari. I Freylini sono disponibili nelle varietà Classic e Special.
Informazioni: www.migros.ch/ cioccolato
Freylini Classic 180 g Fr. 5.50
Ben dosato Le tavolette di cioccolato più amate in barretta sono ideali quando si viaggia. Esistono anche nelle varianti fondente al 72%, Noxana, Tourist e Giandor.
Da sgranocchiare Gusto celestiale con croccanti ingredienti naturali. Disponibile in quattro varietà, per es: Crunchy Clouds Nocciola 150 g Fr. 5.90
Lo snack per la pausa Amato sin dal 1966 per il riso soffiato e il ripieno di caramello. Risoletto c’è anche in versione cioccolato bianco.
Da mordicchiare Le branches sono il cioccolato svizzero per eccellenza. Si distinguono soprattutto per il loro delicato ripieno di crema alle nocciole.
Dolce contorno Le tavolette di cioccolato più amate in mini formato. Perfette con il caffè, prima di andare a letto o come spuntino.
Da viaggio I nougat di miele e mandorle per qualcosa di diverso. La bustina contiene i gusti cioccolato al latte, fondente al 55% e bianco.
Risoletto Classic Minis 210 g Fr. 4.20
Morbidi bocconcini Mandorle croccanti avvolte di cioccolato al latte e polvere di cacao: le Les Dragées Princess sono nel cuore di tutte le principessine.
Mahony Mini assortiti 210 g Fr. 3.70 Nelle maggiori filiali
Branches Classic Midi 650 g Azione* Fr. 9.80 invece di 14.15 *dal 26.09 al 02.10
Napolitains Selection assortiti 300 g Fr. 9.40
Frey Latte Extra 18 x 35 g Azione* Fr. 10.– invece di 14.40 *dal 26.09 al 02.10
Les Dragées Princess 150 g Fr. 3.75
Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 25 settembre 2017 • N. 39
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Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 25 settembre 2017 • N. 39
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Idee e acquisti per la settimana
Frey
Mangia qualcosina!
I deliziosi cioccolatini di Frey ci salvano dalla fiacca pomeridiana, ci accompagnano durante la serata con gli amici e sono perfetti per tutti quei momenti in cui ci assale uno sfrenato desiderio di qualcosa di dolce Testo Dora Horvath; Foto Martina Meier; Styling Katja Rey
Concorso Vincete un volo in elicottero Da condividere A Pasqua sono ovali, a Natale rotondi e il resto dell’anno rettangolari. I Freylini sono disponibili nelle varietà Classic e Special.
Informazioni: www.migros.ch/ cioccolato
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Ben dosato Le tavolette di cioccolato più amate in barretta sono ideali quando si viaggia. Esistono anche nelle varianti fondente al 72%, Noxana, Tourist e Giandor.
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Lo snack per la pausa Amato sin dal 1966 per il riso soffiato e il ripieno di caramello. Risoletto c’è anche in versione cioccolato bianco.
Da mordicchiare Le branches sono il cioccolato svizzero per eccellenza. Si distinguono soprattutto per il loro delicato ripieno di crema alle nocciole.
Dolce contorno Le tavolette di cioccolato più amate in mini formato. Perfette con il caffè, prima di andare a letto o come spuntino.
Da viaggio I nougat di miele e mandorle per qualcosa di diverso. La bustina contiene i gusti cioccolato al latte, fondente al 55% e bianco.
Risoletto Classic Minis 210 g Fr. 4.20
Morbidi bocconcini Mandorle croccanti avvolte di cioccolato al latte e polvere di cacao: le Les Dragées Princess sono nel cuore di tutte le principessine.
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Branches Classic Midi 650 g Azione* Fr. 9.80 invece di 14.15 *dal 26.09 al 02.10
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Frey Latte Extra 18 x 35 g Azione* Fr. 10.– invece di 14.40 *dal 26.09 al 02.10
Les Dragées Princess 150 g Fr. 3.75
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Idee e acquisti per la settimana
Ellen Amber
Per saperne di più
Per gambe belle e forti
Cosa significa «den»? Su ogni confezione di collant è indicata una cifra «den». Si tratta dell’abbreviazione di «denaro», l’unità di misura per la densità lineare dei filati, espressa in grammi per ogni 9000 metri di quello specifico filato. Ad esempio, 9 chilometri di un collant contrassegnato da 20 «den» pesano 20 grammi.
I collant contenitivi di Ellen Amber abbinano look alla moda e funzionalità. Danno sollievo alle gambe affaticate, sostengono la circolazione sanguigna e prevengono la ritenzione idrica Testo Jacqueline Vinzelberg; Styling Mirjam Käser; Hair-makeup Julia Ritter; Foto Juventino Mateo Leon
Trasparenti oppure opachi? La cifra «den» fornisce informazioni sullo spessore del materiale. Fino a circa 20 «den» la calzamaglia è considerata trasparente, da 20 den in poi è semitrasparente. Con questi spessori i collant agiscono come un «trucco cosmetico» per le gambe, comprendo piccole imperfezioni. Dai 40 den in poi, invece, il tessuto diventa di regola opaco. In pratica, più alta è la cifra «den» più opachi sono i collant.
La taglia giusta è importante
Affinché i collant di contenimento sviluppino il loro effetto in modo ottimale, dovrebbero essere della taglia appropriata. Per nessun motivo più grandi! Infatti, solo aderendo si sviluppa l’effetto di compressione desiderato.
Assolutamente personale
I collant contenitivi di Ellen Amber hanno l’aspetto di normali collant. Ci sono modelli semitrasparenti e a maglia fitta, con una forza di compressione diversa, da leggera a elevata. Sono disponibili anche in diverse sfumature, lucide e opache.
Massima libertà di movimento
Che siate in viaggio, in ufficio o in libera uscita: i collant contenitivi seguono ogni movimento, sostengono e modellano le gambe.
Consiglio «iMpuls»
Cosa fare contro le vene varicose?
Le vene varicose sono antiestetiche e possono causare problemi di salute. Scoprite come evitarle su www.migros-impuls.ch. Sull’app della Migros ci sono sempre più tessere per raccogliere i timbri. Per ogni confezione di collant acquistata si ottiene un timbro. Una carta completamente timbrata viene premiata con un buono di vantaggi Cumulus moltiplicati per 50 sugli articoli di calzamaglia da donna e da uomo. Informazioni su: app.migros.ch/it
Light Competence 15 den, compressione leggera Fr. 7.90
Jeunesse Competence 20 den, compressione leggera Fr. 7.90
Compact light Competence 40 den, compressione leggera Fr. 14.–
Vital Competence 23 den, compressione media Fr. 12.–
Vision Competence 40 den, compressione media Fr. 9.80
Compact medium Competence 40 den, compressione media Fr. 14.–
Support Competence 70 den, compressione media Fr. 12.–
iMpuls è la nuova iniziativa della Migros in favore della salute.
Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 25 settembre 2017 • N. 39
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Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 25 settembre 2017 • N. 39
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Idee e acquisti per la settimana
Ellen Amber
Per saperne di più
Per gambe belle e forti
Cosa significa «den»? Su ogni confezione di collant è indicata una cifra «den». Si tratta dell’abbreviazione di «denaro», l’unità di misura per la densità lineare dei filati, espressa in grammi per ogni 9000 metri di quello specifico filato. Ad esempio, 9 chilometri di un collant contrassegnato da 20 «den» pesano 20 grammi.
I collant contenitivi di Ellen Amber abbinano look alla moda e funzionalità. Danno sollievo alle gambe affaticate, sostengono la circolazione sanguigna e prevengono la ritenzione idrica Testo Jacqueline Vinzelberg; Styling Mirjam Käser; Hair-makeup Julia Ritter; Foto Juventino Mateo Leon
Trasparenti oppure opachi? La cifra «den» fornisce informazioni sullo spessore del materiale. Fino a circa 20 «den» la calzamaglia è considerata trasparente, da 20 den in poi è semitrasparente. Con questi spessori i collant agiscono come un «trucco cosmetico» per le gambe, comprendo piccole imperfezioni. Dai 40 den in poi, invece, il tessuto diventa di regola opaco. In pratica, più alta è la cifra «den» più opachi sono i collant.
La taglia giusta è importante
Affinché i collant di contenimento sviluppino il loro effetto in modo ottimale, dovrebbero essere della taglia appropriata. Per nessun motivo più grandi! Infatti, solo aderendo si sviluppa l’effetto di compressione desiderato.
Assolutamente personale
I collant contenitivi di Ellen Amber hanno l’aspetto di normali collant. Ci sono modelli semitrasparenti e a maglia fitta, con una forza di compressione diversa, da leggera a elevata. Sono disponibili anche in diverse sfumature, lucide e opache.
Massima libertà di movimento
Che siate in viaggio, in ufficio o in libera uscita: i collant contenitivi seguono ogni movimento, sostengono e modellano le gambe.
Consiglio «iMpuls»
Cosa fare contro le vene varicose?
Le vene varicose sono antiestetiche e possono causare problemi di salute. Scoprite come evitarle su www.migros-impuls.ch. Sull’app della Migros ci sono sempre più tessere per raccogliere i timbri. Per ogni confezione di collant acquistata si ottiene un timbro. Una carta completamente timbrata viene premiata con un buono di vantaggi Cumulus moltiplicati per 50 sugli articoli di calzamaglia da donna e da uomo. Informazioni su: app.migros.ch/it
Light Competence 15 den, compressione leggera Fr. 7.90
Jeunesse Competence 20 den, compressione leggera Fr. 7.90
Compact light Competence 40 den, compressione leggera Fr. 14.–
Vital Competence 23 den, compressione media Fr. 12.–
Vision Competence 40 den, compressione media Fr. 9.80
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Idee e acquisti per la settimana
Bircal
Per capelli sani Perché cadono i capelli?
La caduta dei capelli è dovuta principalmente a fattori ormonali ed è ereditaria: a tale riguardo la radice dei capelli reagisce in modo sensibile a diversi ormoni, si riduce e non riceve più sufficienti sostanze nutritive. La conseguenza è la caduta dei capelli.
Cos’è la forfora?
Un accumulo di squame che si staccano dal cuoio capelluto. La forfora può essere secca o grassa: quella secca deriva da un cuoio capelluto molto disidratato, mentre quella grassa da un disturbo funzionale delle ghiandole sebacee.
Suggerimento L’acqua troppo calda fa seccare il cuoio capelluto e i capelli rendendoli più fragili. Per questo i capelli andrebbero lavati con acqua tiepida. Sciacquandoli alla fine con acqua fredda diventano brillanti.
Cosa può aiutare in caso di forfora e caduta dei capelli? Le malattie dei capelli e del cuoio capelluto possono avere diverse cause e si curano in modo mirato. Gli shampoo e i tonici di Bircal, se usati regolarmente, agiscono contro la forfora e possono prevenire la caduta dei capelli. I prodotti rinforzano le radici dei capelli, regolarizzano la produzione delle ghiandole e calmano il cuoio capelluto. L’efficacia delle composizioni con sostanze quali caffeina, «AnaGain», Octopirox e pantenolo sono scientificamente comprovate.
Bircal Coffein Shampoo Anti-Caduta 200 ml Fr. 5.60
Bircal Coffein Tonic Anti-Caduta 200 ml Fr. 6.80
Bircal Shampoo Anti-Forfora 200 ml Fr. 5.40
Bircal Tonic Anti-Forfora 200 ml Fr. 5.60
NUOVA APERTURA
CASLANO 28+29+30 settembre 2017
10% di riduzione
Supermercato Migros Caslano Via Stazione 80, 6987 Caslano / tel. +41 91 821 70 80 Orari d’apertura: lu–ve: 6.45–18.30 / sa: 6.45–17.00
su tutto l’assortimento di Migros Caslano *
* Ad eccezione di un numero ridotto di prodotti e delle prestazioni di servizio.
Parcheggio gratuito