Azione 48 del 28 novembre 2016

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Chic ?

CHEAP or


Chic

il Centro

CHEAP

L’alternativa di qualità ma più vantaggiosa.

Dal 1 dicembre Migros Lugano si rifà il look. °

in Via Pretorio 15

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GIOVEDÌ 1 dicembre

! s c i n o r t c da mele

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SABATO 3 dicembre

e r u t a z l a c e o t n e m a i abbigl donna e uomo!

VENERDÌ + SABATO2 dicembre 3


Cooperativa Migros Ticino

Società e Territorio Intervista a Barbara Bonetti coordinatrice del gruppo redazionale del nuovo manuale di educazione sessuale per le scuole cantonali

Ambiente e Benessere L’isola di Creta, ricca di bellezze naturali e archeologiche, è la vera culla della dieta mediterranea

G.A.A. 6592 Sant’Antonino

Settimanale di informazione e cultura Anno LXXIX 28 novembre 2016

Azione 48 M sho alle pa pping gine 5 7-66 / 79-87

Politica e Economia Cinque scenari geopolitici e geoeconomici degli Stati Uniti sotto Trump

Cultura e Spettacoli I novant’anni d’arte e ricordi della leggendaria Betye Saar alla Fondazione Prada di Milano

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Ti-Press

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Nuova Migros Lugano Centro

Inaugurazione 1. dicembre 7 piani d’offerte impareggiabili e promozioni speciali per un mese intero

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Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 28 novembre 2016 • N. 48

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Attualità Migros

M Migros Lugano Centro si è rifatta il look

Al «meno uno» la clientela troverà un nuovissimo reparto alimentari, elegante e al passo con i tempi, con illuminazione a LED e arredamenti di alta gamma. Su di una superficie di oltre 1500 metri quadrati il settore dei prodotti freschi la farà da padrone, con assortimenti ed esposizioni completamente riprogettati: ampio spazio è stato dato ai banchi a servizio di ultima generazione per carni pregiate, salumi e formaggi di qualità superiore, controllati, certificati e garantiti Migros Ticino. Non mancheranno poi il grande, sano e colorato reparto frutta e verdura, una freschissima pescheria con esposto sul ghiaccio un completo assortimento pienamente sostenibile e rispettoso della specie e la panetteria della casa con il forno di cottura per il pane in funzione fino alla chiusura. Da non dimenticare quindi il comodo reparto «pronto cuoci» – con specialità già pre-

zona libri, l’angolo valigeria con le ultime novità per i giramondo e le superfici per tessili e casalinghi, con tutto l’occorrente per la propria casa e la propria tavola. Per i più dinamici, intraprendenti e tecnologici è stato riservato lo «zero tre», con i diversi negozi specializzati. Da meletronics non mancheranno televisori e apparecchi audio di ultima generazione, computer e tablet, telefonia e navigazione, apparecchi foto e video ed elettrodomestici per soddisfare ogni necessità. Da Micasa ecco invece qualche spunto per arredare casa con gusto e qualità a prezzi del tutto concorrenziali. L’assortimento Sportxx saprà dunque accontentare anche gli sportivi un po’ più esigenti. Nell’area Do it + Garden non mancherà nulla di ciò che serve per realizzare in modo simpatico,

semplice, familiare e affidabile tutti i progetti in casa e in giardino. Salendo allo «zero quattro», per chi ha fame di sapere, sotto il motto di «Formazione per tutti», ecco la Scuola Club di Migros Ticino (http://www. scuola-club.ch/Sedi/Ticino/Lugano, tel. 091 821 71 50) che, grazie all’impegno sociale e culturale di Migros, da più di 70 anni vuole rendere possibile alla più ampia fascia possibile di popolazione l’accesso alla formazione continua e di perfezionamento. La Scuola Club offre attualmente più di 600 corsi di alta qualità e con un eccellente rapporto qualità/prezzo. E per finire in bellezza, on top, allo «zero cinque», il vero paradiso terrestre! Con l’Activ Fitness (www.activfitness.ch/lugano, tel. 091 821 70 90) ecco 1300 metri quadrati di energia e

salute per 365 giorni all’anno. Il centro benessere di Migros Ticino offre ai propri clienti completi programmi per la forza e la resistenza, un’ampia sala per corsi di gruppo e per il relax, sauna, bagno turco, solarium e massaggi. Il tutto con macchinari ultramoderni e sotto la guida di istruttori qualificati e altamente selezionati. Da segnalare il comodissimo servizio di baby sitting. Per sottolineare questo nuovo significativo intervento di miglioria nella propria rete di vendita, Migros Ticino ha previsto nel suo supermercato di Lugano un mese di promozioni, attività straordinarie e sorprese tutte da scoprire (vedi box). L’esperto gerente Giorgio Micaroni e i suoi 80 collaboratori, cordiali e ben preparati, sono pronti ad accogliere con cura e attenzione la clientela dell’intero Luganese.

Ti-Press

Un’offerta impareggiabile in 7 piani di un solo stabile

parate e solo da cuocere – e la raffinata gastronomia. E per dare un tocco di colore alla propria casa o fare un pensiero a qualcuno di caro, dopo la zona casse – sei tradizionali e sei con sistema di self checkout Subito – non manca neppure un ben rifornito reparto piante e fiori. Allo «zero zero», in zona a forte passaggio pedonale, facilmente accessibile, trova spazio l’enorme De Gustibus, che garantisce a tutte le ore una pausa caffè, uno spuntino o un pasto veloce. Molte le specialità calde – tra le quali non bisogna dimenticare la completa carta dei panini e delle pizze –, le insalate e i piatti freddi, pronti da consumare in loco o d’asporto. Ampia pure la scelta di bibite sia calde sia fredde. Completa l’offerta di Migros Ticino la raffinata e sfiziosa pasticceria. Sempre su questo piano, la clientela avrà a disposizione anche i servizi del rinnovato K-Kiosk. E nel corso dei prossimi mesi, altri tre attrattivi esercizi andranno a completare questo accogliente pianoterra: verranno infatti inaugurate una farmacia e due interessanti boutique. Ma anche l’occhio vuole la sua parte. Allo «zero uno» ecco dunque la cosmetica, un reparto completo, curato, molto moderno e luminoso, dove ogni donna potrà trovare ciò che cerca per sentirsi a proprio agio con se stessa. Ben equipaggiata anche l’area di prodotti di igiene e cura del corpo per lui e per lei. Su questo piano, la clientela troverà pure le calzature, la moda donna, la moda uomo e un punto vendita della Bimbus, noto marchio giovane e dinamico per i più piccoli, che propone capi comodi, versatili e facilmente abbinabili per il vestire quotidiano insieme a proposte più ricercate, fashion e da cerimonia, che soddisfano tutte le esigenze di stile. Allo «zero due», come sino ad ora, la disposizione dei reparti prevede l’abbigliamento e gli accessori per bambini e neonati, la magnetica area giocattoli, la completa cartoleria, l’illuminante

Ti-Press

Giovedì 1. dicembre, si riscopre in nuova veste il centro commerciale Migros di via Pretorio 15 a Lugano. In un momento così difficile per il commercio in città, Migros Ticino ha voluto dare un segnale forte, investendo nel cuore di Lugano ben 22 milioni di franchi, che vanno ad aggiungersi ai 20 spesi dai proprietari dello stabile. Tra i fattori trainanti di questa formula di successo vi sono i vasti e completi reparti food e non food, il nuovo De Gustibus con bar, specialità ready to eat e ready to drink, il benessere del centro Activ Fitness, il sapere della Scuola Migros e l’avanzata tecnologia dell’Apple Corner e di melectronics, per oltre 10 mila mq di superficie. Per l’occasione, giovedì 1. dicembre, 15% di sconto su tutto l’assortimento meletronics, e venerdì 2 e sabato 3 dicembre ribasso generale del 10%. Migros Lugano è per storia e tradizione il centro commerciale di Lugano. Dopo decenni di onorato servizio era giunto il momento di ringiovanire questo strategico polo, rendendolo moderno e all’avanguardia. Con l’intervento iniziato a fine giugno del 2014, si è quindi deciso di fare un grande passo in avanti nell’ammodernamento della rete di vendita di Migros Ticino. L’offerta è stata adeguata alle attuali necessità della clientela ed è stato compiuto un rinnovamento totale dell’edificio, con cambiamenti radicali sia interni sia esterni. Le strutture e l’impiantistica, caratterizzate dai più alti e innovativi standard di costruzione e di sostenibilità ambientale, permettono ora ai clienti di muoversi in ambienti accoglienti, funzionali, spaziosi e luminosi. Anche l’autosilo è ora più comodo, con parcheggi più larghi e miglior visibilità.

Ti-Press

Inaugurazione Il nuovo centro Cheap ’n Chic è l’alternativa di qualità in città, ma più vantaggiosa

Da giovedì 1° a sabato 3 dicembre, le signore saranno accolte con un omaggio floreale per sottolineare l’inaugurazione del nuovo supermercato al «meno uno» e del luminosissimo nuovo De Gustibus al pianterreno. Sempre per le gradite visitatrici, venerdì e sabato, all’insegna della bellezza, al 1° piano in collaborazione con «Deborah Milano» sono previste ispiranti dimostrazioni di make up del viso e degli occhi. Per gli amanti della forma fisica, al 5° piano il Centro Activ Fitness organizza sabato 3 dicembre «l’open day» (per informazioni e iscrizioni tel. 091 821 70 90) e da giovedì 1° a dome-

nica 4 dicembre, offre il 10% di riduzione sulle già superconvenienti tariffe per nuovi abbonamenti annuali. Al supermercato, ogni giorno fino alla vigilia di Natale, sono proposte sfiziose degustazioni. Queste le principali promozioni: Giovedì 1.12: 15% di riduzione da melectronics al 3° piano. Venerdì 2.12: 5X Punti Cumulus per tutti i possessori della fidelity card MCumulus. Venerdì 2 e sabato 3.12: 10% di riduzione su tutto l’assortimento, ad eccezione di un numero ridotto di prodotti e delle prestazioni di servizio.

Sabato 3.12: 40% di riduzione su tutto l’abbigliamento e le calzature donna e uomo al 1° piano. Fino a sabato 3 dicembre è valida anche a Migros Lugano Centro, nella fornitissima libreria, l’offerta 30% di riduzione su tutti i libri. Da lunedì 5 dicembre, sono pronte altre allettanti offerte che vi sveleremo prossimamente. Visitate i 7 piani di Migros Lugano Centro e vi renderete conto che n’è valsa la pena. Tanta roba! Orari di apertura del supermercato (tel. 091 821 71 00): da lunedì a sabato: 08.00-19.00, giovedì: 08.00-21.00.

Ti-Press

Un mese di promozioni


Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 28 novembre 2016 • N. 48

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Società e Territorio Una società inclusiva L’impegno di Inclusione andicap Ticino per la piena partecipazione alla vita comunitaria delle persone con disabilità

Il Malcantone e il traffico Progetti e polemiche: la lunga storia della strada che collega Ponte Tresa a Bioggio pagine 8-9

Archeologia industriale La ditta Tenconi di Airolo, un’azienda di famiglia nata nella seconda metà dell’Ottocento

A due passi Nella sua rubrica Oliver Scharpf ci accompagna alla scoperta di casa Croci a Mendrsio

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Incontrare la sessualità

Ragazzi Le scuole cantonali hanno adottato

un nuovo manuale di educazione sessuale. Intervista a Barbara Bonetti coordinatrice del gruppo redazionale

Roberta Nicolò La sessualità fa parte della vita e occorre conoscerla per poterla vivere al meglio. Ma il tema tocca la sfera più intima delle persone e questo lo rende un argomento particolarmente delicato, soprattutto quando se ne parla ai più giovani. Oggi l’educazione sessuale si trova a dover rincorrere le nuove esigenze dettate dalla contingenza. Cambiano gli usi, ma cambiano anche le conoscenze e le competenze di chi si occupa di questo tema a scuola. Proprio per questo il Cantone ha deciso di redigere un nuovo testo più adatto ai giovani del nostro tempo. L’incontro è entrato nelle scuole a settembre dopo un lungo lavoro di redazione, ci spiega Barbara Bonetti coordinatrice del gruppo redazionale. Barbara Bonetti, come avete lavorato alla redazione de L’incontro?

Arrivare ad una forma che mettesse d’accordo tutti gli attori chiamati a lavorare sulla sua stesura è stato un compito difficile. Le sensibilità di cui tenere conto, per poter sviluppare un progetto valido e completo, sono molteplici. Ci siamo interrogati sulle modalità migliori con cui affrontare i vari aspetti della sessualità e ne abbiamo lungamente dibattuto. Alla fine siamo arrivati a un libro di testo che riteniamo uno strumento valido per iniziare a intavolare delle discussioni costruttive con ragazze e ragazzi delle scuole medie del Cantone. Come è cambiata l’educazione sessuale in Ticino?

Le cose sono cambiate molto. La società è cambiata e la sessualità permea la quotidianità. Negli anni Settanta si parlava soprattutto di contraccezione, mentre negli anni Ottanta, con l’arrivo dell’AIDS, è stata messa in primo piano la prevenzione delle infezioni sessualmente trasmissibili. Tutto era visto come un pericolo e si dovevano quindi prevenire possibili rischi. La sessualità è invece parte della vita. È l’inizio della vita stessa e quindi, come parte integrante della crescita e della maturazione dei ragazzi, occorre

offrire un’educazione che dia informazioni corrette e adatte all’età degli allievi. Il compito è quello di dare degli strumenti adeguati a far sì che il giovane diventi un adulto in grado di gestire serenamente la propria sessualità. Oggi la sessualità è sempre più presente, visibile e accessibile nella società, e lo è in modo mercificato. L’educazione sessuale ha quindi bisogno di essere attualizzata, proprio per far fronte alle nuove esigenze. Un lavoro da fare insieme, scuola e famiglia, per poter essere davvero efficaci. Il Ticino ha deciso di non delegare l’educazione sessuale in aula a esperti esterni alla scuola, come avviene per esempio nella Svizzera francese, questo perché si è ritenuto importante dare ai docenti la possibilità di tematizzare, aprire delle discussioni o offrire degli spunti per parlare di sessualità. Un modo più naturale nel quale i ragazzi possono confrontarsi con un adulto di riferimento al quale chiedere e con il quale dialogare diventa consuetudine. Questo stimola anche i docenti a formarsi e ad essere più sensibili verso queste tematiche. Il nuovo testo lascia molto spazio alla componente affettiva e alle relazioni. Come mai questa scelta?

La sola ottica preventiva tendeva a intimorire e un individuo spaventato non è ricettivo. Non riesci ad evitare i pericoli se non hai abbastanza fiducia in te stesso o se la tua autostima è troppo bassa. Quindi, andando oltre la sola prevenzione, siamo entrati in un concetto più completo, per offrire ai giovani la possibilità di conoscere sé stessi e affrontare anche la sessualità con maggiore consapevolezza. Ci siamo interrogati molto sugli aspetti morali. Abbiamo pensato a quale messaggio volevamo dare agli adolescenti. Non è nostro compito dettare dogmi di ordine morale, ma fare l’amore ti pone, per forza di cose, in una relazione e, anche senza voler fare del moralismo, occorre ricordare loro che ci vuole sempre rispetto. L’atto sessuale è un incontro nel quale dobbiamo avere chiaro chi siamo e cosa vogliamo e dobbiamo essere chiari anche con la persona con la quale ci

Il manuale pubblicato dal DECS vuole essere anche uno stimolo per riflettere e discutere con ragazze e ragazzi. (Keystone)

rapportiamo. Per ragazzi e ragazze è spesso complicato orientarsi tra le emozioni e i sentimenti, per questo manifestare le proprie intenzioni e ascoltare le esigenze dell’altro è segno di rispetto reciproco e va insegnato. Inoltre, per esempio, abbiamo inserito anche il tema del rapporto con i propri genitori, la casa è un altro luogo dove i giovani possono parlare e all’interno della quale trovare risposte e sostegno. Ci sono capitoli in cui si chiariscono termini quali identità sessuale, orientamento sessuale, ruolo di genere. Un lessico sul quale, anche gli adulti, tendono a far confusione. Quale è l’importanza del corretto uso delle parole in questo contesto?

Lavorare sul lessico è stato utile anche a noi. Spesso non si sa cosa significhi un termine e inoltre circolano tantissime leggende metropolitane che creano

solo maggior confusione. Abbiamo deciso quindi di fare ordine e offrire agli allievi la possibilità di avere delle definizioni chiare e puntuali. Omosessuale, per esempio, non è sinonimo di effemminato. Anche sul ruolo di genere spesso c’è confusione. Oggi è importante ricordare che una donna non deve per forza stare a casa o fare la mamma a tempo pieno, ma che ci sono molte donne che lavorano. È una realtà nella nostra società, così come ci sono uomini che aiutano nelle faccende domestiche. Parlare di questo con i giovani significa parlare della realtà che li circonda, vuol dire analizzare un contesto. Ma è anche importante ricordare che questi ruoli possono essere maggiormente distinti a seconda delle culture e dei periodi storici. In questo non si dà mai un giudizio di valore, va bene la donna che lavora, così come va bene quella che sta a casa. La cosa che

si sottolinea è la possibilità di scegliere. La libertà di decidere. Il libro vuole essere uno strumento non solo per i giovani ma anche per l’adulto. Perché?

Il testo è corredato da alcune proposte di lavoro che si trovano su un portale web destinato ai docenti, che danno degli spunti per stimolare le discussioni con ragazze e ragazzi. Il testo offre una linea base che permette di interrogarci, di riflettere. Ci propone di prendere il tempo necessario per farlo e per parlare con i nostri allievi o con i nostri figli. Questo consente finalmente all’adulto, che sia il docente o il genitore, di essere coinvolto e non escluso dalla loro crescita. È una buona lettura anche per le mamme e i papà. Informazioni

www.ti.ch/incontro


Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 28 novembre 2016 • N. 48

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Società e Territorio

Per una società inclusiva

Andicap La Federazione ticinese integrazione andicap cambia nome e immagine, l’obiettivo rimane la piena

partecipazione delle persone con disabilità alla vita comunitaria

Stefania Hubmann La persona prima dell’andicap, la diversità quale fonte di ricchezza per la società. È questo, in sintesi, il significato del concetto di inclusione promosso da chi opera a favore delle persone con disabilità. Sancito dalla Convenzione ONU sui diritti delle persone con disabilità, conclusa nel 2006 e ratificata dalla Svizzera due anni fa, il principio va a sostituire il termine di integrazione. La differenza può sembrare sottile, ma è sostanziale. Ne abbiamo discusso con la Federazione ticinese integrazione andicap (Ftia), che ha deciso di marcare questa evoluzione culturale modificando a partire dal 2017 il proprio nome in Inclusione andicap Ticino. Esclusione, separazione, integrazione, inclusione sono le tappe di un percorso che ha visto le persone con disabilità, le rispettive famiglie e gli enti pubblici e privati che difendono i loro diritti impegnarsi per decenni al fine di migliorare la loro partecipazione a tutti gli ambiti della vita: sociale, professionale, sportivo e culturale. Molti progressi sono stati compiuti affinché ogni individuo sia in grado di condurre una vita autonoma senza barriere sociali, ma il passo ulteriore, che sposta l’attenzione dalla disabilità al potenziale e alle attitudini, resta per l’insieme della società un obiettivo da raggiungere. Se l’integrazione propone soluzioni mirate a breve termine nell’intento di risolvere problemi, l’inclusione affronta la diversità come una componente naturale della società, proponendo alternative a beneficio di tutta la popolazione. Un esempio semplice ma significativo è rappresentato dalle pedane di accesso ai mezzi pubblici, che facilitano anche altre fasce di utenti, dalle famiglie agli anziani. In quasi 45 anni di attività sul territorio Inclusione andicap Ticino ha vissuto direttamente tutte queste tappe, impegnandosi in particolare nel campo delle barriere architettoniche, della consulenza giuridica, dello sport e del lavoro abbinato alla formazione. Il tutto a favore di circa 50mila persone. Questo è infatti il numero di individui con andicap stimato nel nostro cantone per un totale di 1,6 milioni in Svizzera. «Una stima al ribasso – precisa Marzio Proietti, direttore di Inclusione andicap Ticino – poiché si calcola il 15% della popolazione sulla base di un riconoscimento soggettivo, ciò lascia presumere l’esistenza di ulteriori casi».

Inclusione andicap Ticino promuove un cambiamento culturale che vede la diversità come fonte di ricchezza per la società. (Keystone)

Per Marzio Proietti è pure importante chiarire che la visione di una società inclusiva non comporta un completo abbandono del concetto di integrazione. «Le risposte più adeguate ai bisogni delle persone con disabilità possono essere molto differenziate. Esse dipendono essenzialmente da due fattori: il “grado” di disabilità e la personalità del singolo. Un inserimento in un laboratorio protetto o in un foyer possono pertanto essere soluzioni ideali per persone troppo fragili per essere inserite nel mercato del lavoro o vivere a domicilio». Quale la reazione delle aziende alle richieste di inclusione? Il caso della biglietteria di Giubiasco, progetto promosso nel 2001 dalla Ftia e da allora ottimo esempio di questa visione sancita dalla Convenzione ONU, come va interpretato? Risponde Sara Martinetti, responsabile della comunicazione dell’associazione: «La biglietteria nella sua forma attuale purtroppo non potrà essere mantenuta. Al momento sono però in corso trattative per trovare una soluzione che permetta di salvaguardare i cinque posti di formazione che a Giubiasco gestiamo in collaborazione

con più partner. La biglietteria costituisce una palestra di formazione ideale, perché assicura un contatto diretto ed equilibrato con il pubblico attraverso il quale sviluppare le competenze sociali. Al di là di questo esempio, notiamo un crescente interesse da parte delle aziende, anche se è necessario intensificare l’informazione e la formazione». Non sempre, infatti, i datori di lavoro sono in grado di gestire e seguire dipendenti con disabilità. I nostri interlocutori sottolineano al riguardo anche l’evoluzione delle tipologie di andicap e in particolare l’aumento dei casi di disagio psichico, meno visibile a prima vista ma più complesso da affrontare. Grazie all’impulso della Convenzione ONU, nuove iniziative stanno prendendo forma sia a livello di sensibilizzazione che di formazione. Il direttore Proietti cita a livello ticinese il progetto pilota in fase di elaborazione con il Cantone. «Il programma di formazione interesserà alcuni uffici dell’amministrazione cantonale a diretto contatto con il pubblico. Abbiamo incontrato i responsabili per verificare le diverse esigenze. L’obiettivo è di offrire agli uffici

prescelti un programma ad hoc ricco di consigli pratici». Nel cammino verso una società inclusiva, nella quale si riconosce la dignità di ogni individuo con disabilità e la sua piena partecipazione alla vita comunitaria, il Ticino è in linea con quanto avviene nel resto della Svizzera. Le associazioni impegnate al fronte già da anni lavorano secondo questo principio. Anche l’associazione nazionale mantello Inclusion Handicap ricorda nel suo nome qual è oggi il concetto guida del sostegno a chi si trova in difficoltà al momento di interagire con l’ambiente circostante. Da rilevare, inoltre, la posizione del nostro cantone in ambito scolastico con il tasso di scolarizzazione nella scuola speciale più basso della Svizzera. In occasione della pubblicazione del Taccuino (calendario) attraverso il quale ogni anno Inclusione andicap Ticino promuove la raccolta fondi, strumento indispensabile per assicurare i molteplici servizi, l’associazione presenta al pubblico, il cambiamento di nome e di logo. Quest’ultimo è formato da una serie di tasselli tutti irregolari e diversi fra loro proprio

Donald Trump, addirittura averla decisa, la conferenza tenutasi a Zurigo mi sembra una preziosa oasi nel deserto da alimentare. Come dicevo in apertura, qualche settimana fa, all’università di Zurigo, 60 studenti e giovani provenienti da 35 paesi diversi, tra i quali anche la Turchia, l’Ucraina e la Russia, si sono riuniti per disegnare l’Europa di domani e, più precisamente, l’Europa del 2030. Il loro ha voluto proprio essere un segnale contro il pessimismo politico imperante e il luogo scelto non è stato casuale. Tra quelle stesse mura universitarie, il 29 settembre del 1946 Winston Churchill presentò ai giovani zurighesi la sua visione dell’Europa post bellica con un discorso che si concluse con un accorato invito «Let Europe arise!». Mossi dallo stesso spirito, i giovani partecipanti

hanno presentato la loro idea di Europa politica, economica e sociale che vogliono realizzare per il 2030. Nell’intento di tracciarla, disegnarla, pensarla, si sono confrontati discutendo di valori e diritti europei quali identità, federalismo, diritti umani, giustizia sociale ma anche tematiche cruciali come crisi dei profughi, terrorismo, politica di difesa, cambiamento climatico e trasparenza delle istituzioni. Questi giovani con le loro presentazioni hanno trasmesso una forte volontà di cambiamento in un clima di grande serenità e positività. «We need your help» ha gridato uno degli speaker del gruppo per il terrorismo, invocando Churchill, dopo aver presentato il suo progetto ambizioso contro la radicalizzazione grazie ad una politica per i diritti umani. Una chiara visione della democrazia

per simboleggiare la diversità umana. «Esso forma un insieme di spirali che evolvono, crescono e che rappresentano la società», spiega Sara Martinetti. «L’associazione, come in precedenza, è raffigurata dal colore giallo. Il tassello colorato sta un po’ dentro e un po’ fuori, perché la piena inclusione delle persone con andicap non è ancora stata raggiunta». Il problema, concludono i due rappresentanti dell’associazione, è l’effettivo rispetto di questi principi e la mancanza di sanzioni in caso contrario. Per realizzare una società inclusiva, per avere una visione basata su questo concetto, è indispensabile passare attraverso un cambiamento culturale, sicuramente avviato ma non ancora interiorizzato. L’attività di Inclusione andicap Ticino contribuisce a questo cambiamento rispondendo nel contempo alle esigenze pratiche delle persone con disabilità. Per informazioni

www.ftia.ch www.inclusione-andicap-ticino.ch (da gennaio 2017).

La società connessa di Natascha Fioretti Siate catalizzatori del cambiamento Dovremmo esserlo tutti, naturalmente, catalizzatori del cambiamento. Ma questo invito è stato rivolto in particolare ai giovani dal rettore dell’università di Zurigo Michael Hengartner in occasione di una conferenza dal titolo European leaders. Avrete notato anche voi che all’indomani delle elezioni americane ovunque dilaga il pessimismo. Nel continuare a chiederci come sia possibile che abbia vinto Trump, chi lo ha votato e cosa accadrà ora, siamo stati costretti a riconoscere che, in fondo, anche alle nostre latitudini europee la situazione non è delle più rosee. Politicamente, in passato, abbiamo sicuramente avuto leader ben più carismatici e visionari. E anche i giovani, un tempo, erano molto più

dediti, interessati alla politica mentre oggi si registra tra loro, ma non solo, un crescente disamore e disinteresse. Lo confermerebbe anche l’assenteismo dei giovani elettori alle ultime elezioni americane, un tema di cui sui media si è molto parlato dato che queste erano le prime elezioni della storia in cui i Millennial, nati tra il 1982 e il 1999, hanno eguagliato i loro genitori nel diritto di voto. Ma a votare è andata solo la metà dei giovani americani. Naturalmente si tratta di un discorso complesso e articolato in cui non voglio addentrarmi qui. Tuttavia, proprio sulla base di queste riflessioni e umori, e considerato il pessimismo dilagante di questi giorni sfociato anche sul web, in particolare su Fb, con il discorso delle fake news e la teoria che i social avrebbero fortemente pesato sull’elezione di

futura è stata invece lanciata dal portavoce del gruppo Democrazia mettendo al centro la necessità di unire sforzi e strategie a livello europeo per avvicinare i cittadini al concetto di unità e unione europea. Le parole «Let democracy arise!», hanno chiuso il suo discorso. Diversi degli studenti presenti hanno espresso soddisfazione per una conferenza orientata alla risoluzione dei problemi e nata in un momento in cui per affrontare questioni come la Brexit, Trump e l’immigrazione di massa emerge preponderante la necessità di trovare una nuova narrazione, un nuovo modo di raccontare che rompa questo pessimismo dilagante e distruttivo nel quale molti giovani non si riconoscono. E noi adulti dovremmo fare la nostra parte.


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Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 28 novembre 2016 • N. 48

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Società e Territorio

Società e Territorio

Malcantone paralizzato

Circonvallazione La storia della strada che collega Ponte Tresa a Bioggio è una telenovela che dura da cinquant’anni.

Ma il lieto fine è ancora lontano

Fabio Dozio Pazienza, pazienza, pazienza. Ce ne vuole molta, di pazienza, per percorrere la strada che congiunge Ponte Tresa a Caslano, Magliaso, Agno e Bioggio. È nata duecento anni fa, quando il Ticino si dotò della rete di strade cantonali. Prima di allora c’era la Strada Regina, una mulattiera, ora l’arteria è diventata la Regina delle Colonne. Ci si muove a passo d’uomo o, se va bene, a una media di 10, 15 km orari. È intasata da mattina a sera ma, soprattutto, negli orari di punta, quando giungono i frontalieri dalla vicina Italia e quando tornano a casa. Ma non è un problema recente: nel 1990 al Vallone di Magliaso la percorrevano 24’311 veicoli al giorno, due anni fa 26’030. Il traffico locale è intenso anche perché, negli ultimi trent’anni, gli abitanti del Malcantone sono aumentati in modo significativo. Ormai si superano i 30mila passaggi al giorno, perché molte macchine passano da Cassina d’Agno. C’è perfino chi utilizza le serpeggianti strade dell’Alto Malcantone, transitando da Breno ad Arosio. La mobilità di questa regione è oggetto di studio fin dagli anni Sessanta del secolo scorso, ma nelle scorse settimane è tornata bruscamente d’attualità. Il direttore del Dipartimento del territorio Claudio Zali ha infatti dichiarato che intende rivedere il progetto della circonvallazione di Bioggio

e di Agno, accettato dal Gran Consiglio nel 2011 con lo stanziamento di 133 milioni di franchi. Zali afferma di essere scettico nei confronti di questo progetto perché è un «tracciato tortuoso» che attraversa due volte il Vedeggio e risulta 700 metri più lungo della variante più diretta, che potrebbe snodarsi sul lato destro del fiume. Non sono mancate le reazioni, soprattutto da parte di alcuni sindaci della regione che temono che ridiscutere il percorso significhi rimandare ancora di anni la realizzazione della circonvallazione. «Il Malcantone è sotto assedio: – ha dichiarato il sindaco di Vernate Giovanni Cossi, presidente della Conferenza dei sindaci – il traffico paralizza l’intera regione ed è ormai giunto il momento di dire basta, sederci tutti attorno a un tavolo, collaborare, assumerci le nostre responsabilità e decidere concrete e immediate soluzioni». «Sarebbe interessante sapere – ha aggiunto Cossi – quante decine di milioni di franchi sono state spese in quarant’anni di studi e progetti. Probabilmente ci si pagava mezza galleria». Cinquant’anni fa, nel piano delle strade nazionali che illustrava il tracciato dell’autostrada che aggirava Lugano e che fu inaugurata nel dicembre del 1968, figurava un allacciamento da Lugano nord verso Manno e quindi verso Ponte Tresa. Poi vi furono altre ipotesi che rimasero nei cassetti e si attese fino alla fine degli anni 80, quando venne costituita la Commissione dei

Una strada che conta ormai più di 30mila passaggi al giorno. (CdT - Maffi)

Trasporti che, riconoscendo la criticità della mobilità nel Basso Malcantone, promosse uno studio adottato nel 1991: Il piano speciale per il Malcantone. Si prevedeva di dare priorità al trasporto pubblico, quindi alla ferrovia Lugano Ponte Tresa, ma intanto la strada rimase ferma.

Impossibile ricostruire tutte le vicissitudini che bloccarono i vari progetti. Marco Sailer, ingegnere esperto di pianificazione dei trasporti e presidente dei «Cittadini per il territorio» di Massagno è lapidario: «Per riuscire a realizzare con successo un’infrastruttura devono avverarsi tre condizioni:

bisogna avere un buon progetto, si deve raggiungere un accordo fra le parti e deve essere assicurato il finanziamento. In tutti questi anni non si sono mai adempiute le tre condizioni contemporaneamente. D’altra parte, promettere non costa niente, anche se poi non si realizza».

Certo, i Comuni interessati alla strada non sono sempre stati coesi. Non sono mancati i ricorsi e, sicuramente, non c’è sempre stata la necessaria determinazione politica a livello cantonale. Si è pensato per anni di poter ottenere un finanziamento da parte della Confederazione, ma ciò non è avvenuto, perché Berna ritiene che apportare miglioramenti alla strada significa indebolire il trasporto pubblico, la ferrovia Lugano-Ponte Tresa, che dovrebbe invece essere promosso. Nel 2011 si è deciso il progetto di circonvallazione, ma poi, nel 2013, si è votata l’iniziativa della Lega che proponeva una lunga galleria da Bioggio a Ponte Tresa. In votazione la proposta è stata bocciata di misura. Molti hanno combattuto il progetto perché ritenevano che costasse troppo e che avrebbe ritardato la soluzione dei problemi di viabilità. Intanto oggi siamo di nuovo fermi: quale potrebbe essere la nuova soluzione? Una è stata presentata nel 2012 dai «Cittadini per il territorio» nell’ambito della consultazione sul PAL2 (Programma per l’agglomerato del Luganese) che contempla un investimento di 800 milioni di franchi per realizzare la «strada espresso» tra Manno e Ponte Tresa, che prevede, oltre alla circonvallazione oggi in discussione, due gallerie a Magliaso e a Caslano, da costruire in un secondo tempo. «Prima di tutto – ci dice Marco Sailer – bisogna potenziare la ferrovia FLP che dovrà essere migliorata per attirare molti più utenti e soprattutto essere inserita correttamente nello sviluppo urbanistico del comprensorio. Inoltre, invece del progetto stradale votato nel 2011, contorto e illogico, bisogna proporre una soluzione ridotta e maggiormente rispettosa del paesaggio. La circonvallazione di Agno può avvenire con una galleria a monte del paese, evitando di passare vicino

al lago. Inoltre la circonvallazione di Bioggio dovrebbe passare sulla riva destra del Vedeggio». Claudio Zali sembra voler seguire il suggerimento dei «Cittadini». Bisognerà vedere cosa proporrà. Il direttore del Territorio ha affermato che entro un anno al massimo sarà in grado di indicare il tracciato della nuova arteria. Ha anche detto che si può pensare a «tratti sottoterra».

Nel 2011 si è scelto il progetto di circonvallazione, poi nel 2013 si è votata l’iniziativa della Lega che proponeva una galleria tra Bioggio e Ponte Tresa Da parte loro, i sindaci del Malcantone si sono costituiti in Associazione chiedendo di essere riconosciuti dal Consiglio di Stato come organo consultivo. La Commissione regionale dei trasporti del luganese, presieduta dal sindaco di Massagno Giovanni Bruschetti, sta a guardare, aspettando di vedere «se i tecnici del Dipartimento del territorio lavorano meglio se condotti da Claudio Zali» piuttosto che da Marco Borradori. I «Cittadini per il territorio» ribadiscono che non si tratta solo di una questione di strade. «L’obiettivo principale – affermano – non è costruire una strada, ma costruire una nuova città, funzionante ed efficiente (la città Vedeggio). Per prima cosa devono essere sviluppati i trasporti pubblici, la mobilità aziendale e la condivisione dei viaggi privati. Poi si potrà realizzare la circonvallazione stradale su un tracciato rispettoso dei valori urbani, paesaggistici e ambientali».

Al di là delle scelte che verranno fatte dal Dipartimento del territorio, al di là del tracciato che verrà proposto, bisogna fare i conti con la realtà. In ogni caso ci vorranno molti anni prima di vedere la prima parte dell’opera realizzata. Ma anche a circonvallazioni ultimate, con o senza eventuali gallerie, la strada rimarrà intasata se non si riduce il numero delle automobili in transito. Quindi l’unica vera via d’uscita è puntare sullo sviluppo dell’offerta ferroviaria. La galleria che dovrebbe portare in centro città la ferrovia LPT, prevista dal PAL2 e che costa milioni, non basterà a rivoluzionare la mobilità del Basso Malcantone, perché non è sufficientemente attrattiva. Anche se lo scorso ottobre il Consiglio di Stato ha deciso, su raccomandazione dell’Ufficio federale dei trasporti, di realizzare la galleria di Breganzona interamente a doppio binario. Bisognerà incentivare l’uso del trasporto pubblico con misure drastiche: park and ride efficienti e spaziosi, prezzi abbordabili, frequenza dei passaggi, prolungamento a Ponte Tresa Italia, rete diffusa di trasporti pubblici collegati alla ferrovia. Forse il progetto tram/treno contemplato dal PAL2 non basta. I «Cittadini per il territorio» guardano più avanti e pensano a un collegamento con il treno TILO da Lugano fino ad Agno. L’esperienza di TILO, in Ticino, è decisamente positiva: perché non immaginare una deviazione sul piano del Vedeggio, dove esiste ancora un vecchio binario industriale, inserendo tutta la regione nel sistema ferroviario cantonale e transfrontaliero? Insomma: si fa un iperbolico rumore da tanti anni per migliorare una strada, ma per risolvere il problema della mobilità del Basso Malcantone il punto chiave è rivoluzionare il trasporto pubblico sull’asse Lugano Ponte Tresa. Berna lo ripete da anni.

Intervista a Claudio Zali Il progetto aggiornato della AgnoBioggio è arrivato al DT nel corso del 2015 per la consultazione interna. «In questa fase – precisa Claudio Zali – sono emerse diverse criticità, in particolare per quanto riguarda l’inserimento dell’opera nel paesaggio, perciò ho ritenuto opportuna una fase di ulteriori approfondimenti».

un’eventuale maggior spesa, purché ragionevole, potrebbe entrare in considerazione. Da notare che alcuni aspetti, come l’inserimento nel paesaggio e l’ambiente, sono difficilmente quantificabili a livello di investimenti.

Intende rivedere l’intero tracciato?

Con i Comuni toccati direttamente dal progetto della nuova circonvallazione, vale a dire Agno, Muzzano e Bioggio, abbiamo già avuto degli incontri. Abbiamo recepito le loro perplessità sul progetto ufficiale così come pure le loro esigenze. Anche con il Comune di Lugano (proprietario dell’aeroporto) è previsto a breve termine un incontro per discutere delle possibili soluzioni alternative.

No, la parte iniziale del tracciato, da zona Vallone a Bollette nel comune di Agno, e quella finale, zona Cavezzolo a Bioggio, saranno ottimizzate tenendo conto delle osservazioni scaturite dalla consultazione interna al DT, ma in linea di massima il tracciato, in queste zone, viene mantenuto uguale. Gli agganci con la rete stradale odierna sono praticamente definiti e non più messi in discussione. Nella parte centrale si stanno invece studiando delle nuove varianti di tracciato. Per il momento si è ancora a livello di studio di possibili corridoi stradali con l’analisi delle criticità da risolvere per i vari tracciati. Viste tutte le strutture presenti in questo comparto (aeroporto, fiume Vedeggio, FLP, zone edificabili,…) tutte le varianti presentano dei pro e dei contro. Ha dichiarato che la qualità dell’opera è prioritaria rispetto ai costi. Potrà giustificare un aumento di spesa?

In linea di principio si cercherà una soluzione più vantaggiosa o equivalente a livello di costi di realizzazione e manutenzione. Laddove però ci dovessero essere grandi vantaggi a livello ambientale e un miglior inserimento nel paesaggio, anche

I Comuni interessati saranno coinvolti nell’elaborazione del nuovo progetto?

Berna dice che una nuova strada potrebbe far concorrenza al trasporto pubblico (FLP). Una nuova strada non risolve il problema del traffico. Non pensa che si debba fare di più per rilanciare la ferrovia e renderla attrattiva?

La circonvallazione Agno/Bioggio e il progetto rete Tram-Treno del Luganese non sono progetti in concorrenza, ma complementari. Il Tram-Treno permetterà di rilanciare l’attrattività dell’esistente ferrovia regionale e di collegare in modo diretto l’area strategica del Basso Vedeggio con il centro della città di Lugano. I tempi di percorrenza per il centro città saranno notevolmente ridotti e la cadenza aumentata (ogni 10 minuti da Manno e Agno, ogni 5 minuti da Bioggio) rispetto alla situazione attuale, ottenendo così un salto di qualità del sistema dei trasporti pubblici.

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Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 28 novembre 2016 • N. 48

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Società e Territorio

La Tenconi di Airolo

Archeologia industriale U n’azienda di famiglia nata nella seconda metà dell’Ottocento la cui produzione

oggi si rivolge a ferrovie e grande industria Laura Patocchi Zweifel Fino all’avvento del tunnel ferroviario del San Gottardo gli Airolesi erano principalmente dediti alle attività agricole, ai traffici di transito di merci e passeggeri sulla strada carrozzabile del passo, che costituiva un’importante fonte di lavoro in costante aumento. Nel 1872, una volta appaltata l’opera per il traforo ferroviario, migliaia di operai nella stragrande maggioranza italiani affluirono sui cantieri di Airolo e Göschenen. Oltre ai minatori giunsero fabbri, negozianti, bettolieri, calzolai, falegnami con le loro famiglie. Fra questi c’era anche il fabbro ferraio Ambrogio Tenconi di Menzago (Varese), che giunto dalla Liguria già nel 1871 si stabilì con la famiglia ad Airolo dove, secondo fonti orali, avrebbe immediatamente avviato una piccola fucina fuori dal paese, a destra dell’imbocco della galleria. Ai primordi della sua attività Ambrogio Tenconi si dedicò ai lavori artigianali per soddisfare il fabbisogno locale: forgia di attrezzi per i contadini, ferri di cavallo, chiodi e componenti per la manutenzione delle diligenze e i carri che transitavano a pieno regime trasportando enormi quantità di materiali necessari alla realizzazione del traforo e all’approvvigionamento di un borgo sovrappopolato. Accanto alla sua attività, che svolgeva con i figli, Ambrogio era noto come cavadenti con utensili da lui forgiati. Inoltre gli si deve la creazione di speciali campanacci per mucche in ferro ottonato, particolari per la loro leggerezza e i

suoni differenziati a seconda della grandezza, più tardi conosciuti come i «Campani del Gottardo» (brevettati nel 1948) e molto ambiti dai collezionisti. Con l’arrivo della ferrovia la piccola officina Tenconi concentrò la sua attività sulle necessità richieste per il funzionamento del nuovo mezzo di trasporto: se rotaie, traversine, scambi, bulloni erano necessari per la manutenzione della linea, la costruzione dei vagoni e locomotive richiedeva componenti forgiate. Allo scorcio del secolo l’azienda passò ai figli di Ambrogio, Faustino e Guglielmo che, dotati di un notevole spirito d’iniziativa e intraprendenza, adottarono una strategia di diversificazione proponendo anche costruzioni in ferro d’ogni genere, installazioni complete di bagni, toilettes, forni, cucine economiche. All’esposizione Agricola Industriale Leventinese di Faido del 1893 la ditta ricevette un «diploma di prima classe». All’inizio del Novecento il laboratorio artigianale, venne trasfe-

Le passeggiate più belle Solo nell’edizione online, www. azione.ch, le escursioni proposte dal giornalista RSI Romano Venziani. Questa settimana un itinerario dedicato alle «Pietre del Tamburini», un eclettico personaggio malcantonese vissuto a cavallo degli ultimi due secoli.

Panoramica del complesso, a sinistra le officine del primo Novecento. (Tenconi SA)

rito al pianterreno di un nuovo stabile con le abitazioni ai piani superiori e una maniscalcheria adiacente che nel primo dopoguerra verrà trasformata in autorimessa con un servizio taxi per escursioni nella regione. Ma ben presto, siccome le strutture risultavano insufficienti per soddisfare l’aumento delle richieste, venne edificato un nuovo stabile officina sopra la ferrovia. Nel 1943 i coraggiosi e innovativi figli di Guglielmo, Edoardo e Fausto rilevarono l’azienda e costituirono ad Airolo, sotto la ragione sociale Fratelli Tenconi, una nuova società con officina meccanica per la lavorazione del ferro che, negli anni successivi, favorita anche dall’evoluzione dei trasporti ferroviari, assunse sempre più un carattere

industriale. Vicino al cimitero del borgo sorsero i capannoni del nuovo complesso che occuparono tutto il territorio tra la strada cantonale e la ferrovia disponendo di un binario di raccordo. Attualmente su di una superficie di circa 23’000 mq di terreno si trovano i magazzini annessi al luogo di produzione, gli edifici con la mensa aziendale, alloggi per gli operai e uffici e nella zona Valle due case d’appartamenti per la manodopera. Nel 1974 avvenne la trasformazione societaria in Fratelli Tenconi SA e nel 1992 la modifica della ragione sociale in Tenconi SA. La produzione si rivolge in particolare alle ferrovie pubbliche e private e a grandi industrie. Il successo raggiunto dai giunti isolati,

che trovano applicazione negli impianti di segnalazione e sicurezza di linee ferroviarie e metropolitane, permette l’esportazione su scala mondiale. I settori produttivi comprendono costruzioni in acciaio come i pali tubolari e a traliccio per linee elettriche, lavorazioni meccaniche e l’attrezzeria, la forgiatura e lo stampaggio a caldo per varie componenti, la saldatura e le materie plastiche per i giunti isolati. Nel 2012 è sorta a Cadenazzo una nuova sede specializzata nella lavorazione dell’alluminio per strutture frontali, pareti e tetti dei vagoni. Le prospettive per il futuro sono buone: oltre al cliente storico più importante di sempre le FFS, l’azienda ha firmato importanti contratti all’estero. Quest’anno ricorre il trentesimo anniversario della morte di Fausto Tenconi a cui si deve soprattutto il notevole sviluppo della ditta citata dai sindacalisti per la particolare attenzione all’operaio, secondo i principi di Gottlieb Duttweiler. La ditta che attualmente conta oltre 100 dipendenti offre anche opportunità di formazione per apprendisti. Fonti

Pasquale Genasci, L’industrializzazione in Ticino – La ditta Tenconi di Airolo, «Il Nostro Paese» no. 236 – Gennaio – Febbraio 1997 e in Airolo, pp. 205-206, Comune di Airolo, 1992. Diversi documenti forniti dal nipote di Fausto Tenconi, Fabrizio Lucchini – Sales Director. Annuncio pubblicitario

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Società e Territorio Rubriche

Lo specchio dei tempi di Franco Zambelloni Nuove speranze piene di timori La notizia è rimbalzata rapidamente nei media: una ragazza inglese quattordicenne ha ottenuto di farsi congelare post mortem, in attesa di un progresso medico che permetta di riportarla alla vita e guarirla dalla rara forma di tumore che ne ha causato la morte. È una comprensibile e commovente ricerca d’immortalità, ma ben diversa da quella sognata per millenni: questa nuova immortalità è trasferita dal cielo in terra. Nella più remota antichità, secondo gli studi antropologici, dallo stupore e timore della morte ebbero inizio i rituali magici, la superstizione, le religioni; di qui, appunto, le pratiche di inumazione e imbalsamazione. Ma se torniamo alle origini di questi rituali, appare evidente che la sopravvivenza dopo la morte era allora concepita come un prolungamento della vita corporea in un «al di là» non meglio identificato: i cadaveri

venivano sepolti con un corredo di cibo, bevande, armi – un bagaglio che doveva evidentemente servire a soddisfare i bisogni di un corpo in viaggio verso un «altrove». Anche nella tradizione ebraica, cristiana e islamica l’immortalità è concepita come una «resurrezione dei corpi». E anche il paradiso era immaginato in modo molto concreto: la parola stessa, nella sua etimologia iranica, significa «giardino»; e come un giardino di delizie (in fondo, l’Eden delle origini) – con un clima ideale, frutta e cibo in abbondanza, nessuna malattia – veniva infatti concepito per la maggior parte della storia. Quanto all’inferno, basta pensare alla Commedia dantesca per rendersi conto che le pene infernali sono tutte afflizioni corporee, sofferenze fisiche. Agli albori della civiltà, l’immortalità era appannaggio di pochi: di quelli, cioè, che disponevano di ricchezza e

potere. I faraoni egizi, ad esempio: le spese per la mummificazione, gli oli, gli unguenti, il sarcofago e la tomba monumentale facevano sì che l’immortalità non fosse per tutte le borse. Le pratiche per l’immortalità erano dunque appannaggio della corte imperiale e della sua casta sacerdotale, avviate verso un gioioso aldilà. Ora la nuova strategia d’immortalità inverte la rotta: non si tratta di mettersi in viaggio verso un cielo lontano, ma di entrare in una sala d’attesa criogenica con la speranza di un risveglio – o una resurrezione – qui sulla terra, fra cento o duecento anni. L’antico sogno di una sopravvivenza alla morte non è affatto svanito, ma nel caso dell’ibernazione ci si affida a ipotetici progressi della scienza e non al supporto religioso. Quello che non cambia, è il costo: l’ibernazione della ragazza inglese ha richiesto circa 200’000 dollari. Restano, ovviamente, enormi incogni-

te. Supposto che l’ibernato si risvegli da un sonno secolare, quale potrebbe essere il suo stato di salute mentale? E supposto che il risveglio abbia luogo senza un deperimento delle facoltà cerebrali, come si ritroverebbe il risorto in un mondo profondamente diverso da quello in cui era nato? Ma, soprattutto: qualora la scienza riuscisse davvero a sconfiggere la morte, che ne sarebbe della vita? Un filosofo contemporaneo, Hans Jonas, alla luce delle nuove possibilità suggerite dall’avanzamento del sapere medico e tecnologico, osservava già qualche decennio fa che la morte non appare più come una necessità del vivente, ma come una disfunzione organica a cui si può forse porre rimedio; e riteneva che per la prima volta diventi dunque necessario interrogarsi seriamente: «Fino a che punto tutto questo è auspicabile? Quanto è auspicabile per l’individuo e quanto lo è per la specie?». E Jonas

elencava poi una serie di interrogativi che per ora sembrano ancora procrastinabili, ma ai quali forse occorrerà dare risposta in un futuro più o meno lontano: chi dovrà beneficiare di questo prolungamento della vita? Chi ha i soldi per permetterselo? Oppure tutti quanti? Ma non è pensabile un sovraffollamento demografico senza limiti; dunque, prolungare indefinitamente la vecchiaia comporterà necessariamente una ferrea limitazione delle nascite? Le domande si affollano in modo vertiginoso, e non hanno risposte: certo è che bisognerà trovare anche un altro senso alla vita. Quel perenne finire e l’incessante ricominciare che costituiscono il ritmo biologico della vita, se imprigionati in un presente senza fine rischiano di affondare nella noia ripetitiva. Ciò che ha avuto un inizio si volge a una fine; esserne consapevoli è la ragione per far contare ogni attimo dell’esistenza, per viverla compiutamente.

agli annunci pubblicitari di un giornale di Lucerna, entro. Metà pomeriggio grigio e malinconico di fine novembre. Sul vetro della porta di legno c’è un motivo a meandro. Un bel cotto a nido d’ape accoglie i primi passi e le volte a vela coccolano l’occhio. «Le interessa la mostra o la casa ?» mi chiede non subito la guardiana. La mostra attuale su Mezzana passa in secondo piano e mi sembra una scelta condivisa. Mi conduce su di sopra. Le scale in pietra a chiocciola sono punteggiate, a ogni scalino, da un’illuminazione a fibre ottiche. C’è qualcosa qui della solitudine cercata in un faro. Spalancate le persiane, un’occhiata dal terrazzino all’ultimo piano: oddìo, modine. Meglio concentrarsi sulle sorprese interne, come il modo imprevisto con cui si ripiega una porta, creando così un ripostiglio triangolare. Uno spazio che non t’accorgi se non lo guardi bene, segno dunque di eleganza. A quanto pare, degli architetti spagnoli, mi dice la guardiana, andavano matti per questo angolo nascosto. L’appas-

sionato di dettagli si troverà a casa in questa torre non d’avorio progettata da Croci su misura per se stesso. Quasi avesse voluto riassumere, in piena libertà, tutto il suo mondo in un ultimo piccolo «misconosciuto capolavoro». Definizione sempre di Reinhart che quando la vede per la prima volta nel febbraio 1970 – un’ora dopo aver incontrato per caso, alla fermata del filo-bus in piazza Manzoni a Lugano, Giuseppe Martinola, presidente della commissione monumenti storici che gli chiede di buttarci un occhio per un parere – ne rimane folgorato. Mi viene in mente lo scultore trevigiano Arturo Martini: «l’animo di un artista deve esaurirsi in un’opera sola». Non si può salire sull’altana, ma per vedere il Fox town tanto vale. Portentosa la porta a molla per il bagno. Rientranze inattese, vari armadi a muro, alcune finestruole labirintiche, sono tracce della maestrìa di questo architetto scapolo nato qui a Mendrisio di cui poco si sa per certo visto che il suo archivio è stato

gettato nel 1969. Di sicuro è l’autore della neopalladiana Villa Argentina in Largo Bernasconi, nome tra l’altro dei committenti conosciuti a Buenos Aires. Nonché di una chiesa a Lax e un paio di moschee a Smirne, dove ha vissuto parecchi anni dopo il diploma a Brera. S’ipotizza poi che per il favoleggiato castello di Trevano – vergognosamente fatto saltare in aria nel 1961 dal Gran Consiglio ticinese – come pure per l’altro castello, a Nizza, voluto sempre dal barone russo Paul von Derwies, ci sia il suo zampino. Mi meraviglia una nevera, tipica dei declivi del Generoso, in casa. Getto uno sguardo nella nevera casalinga che arriva fino in cantina e via, scendiamo nel seminterrato a volte. Spazi curati anche qui, e giù ancora, in cantina. Cantina con i fiocchi, peccato non tenerci vino o cos’altro. Fuori torno a rifugiare lo sguardo su verso l’altana, sempre lì come la cesta di una mongolfiera. Immaginaria purtroppo, sennò via in volo, lontano, su un’isola tropicale.

mediare alle conseguenze degli eccessi dell’era digitale: di cui sono vittime i giovanissimi. Gli esempi sono ormai sotto gli occhi di tutti. Sta crescendo una generazione che, certo, le dita le sa usare: pigiando, compulsivamente, su tastiere d’ogni tipo, e rivelando un’abilità, a prima vista invidiabile. In realtà, questo gesto veloce, simile a un automatismo, ha sostituito quello calligrafico, frutto della relazione fra mente e scrittura a mano, e quindi più lento e meditato. Ciò che mette in pericolo una pratica fondamentale nello sviluppo infantile: nelle precedenti generazioni il bambino cresceva di pari passi con il suo vocabolario, espresso in lettere dell’alfabeto, nel rispetto di regole dell’ortografia e della logica necessaria per costruire un testo. Ora, un percorso, considerato naturale e insostituibile, è stato buttato all’aria dall’avvento di congegni, cosiddetti smart, cioè intelligenti, che, in realtà, l’intelligenza degli utenti la mortifi-

cano. E, a questa minaccia, si reagisce cedendo. In Finlandia, come riferiva il Domenicale del «Sole 24 ore», nelle classi elementari «l’insegnamento del corsivo non è più d’obbligo, si userà soltanto lo stampatello». Il fenomeno è generale. Anche nelle nostre scuole medie, ci si arrende, disarmati, all’evidenza. Vi arrivano allievi del tutto sprovveduti, davanti a una pagina bianca: una mano incerata vi lascia i segni di una grafia pasticciata, che si muove su uno spazio disorganizzato, con titoli, spaziature, margini allo sbando. Indizi da prendere sul serio: al convegno di Milano, si è giunti alla conclusione che l’educazione al bello dovrebbe cominciare proprio qui: sui banchi di scuola, ripristinando la lezione di calligrafia. Di cui, va detto, le vecchie generazioni non serbano il migliore dei ricordi: pennini spuntati, schizzi d’inchiostro, pagine imbrattate sotto lo sguardo inesorabile dei maestri di un tempo. Spauracchi spazzati via dai cambiamenti didattici e sociali.

Con ciò, la scuola è sempre chiamata in causa, come responsabile di ogni sorta di disagi e inconvenienti a cui, però, dovrà rimediare. Da qui gli svariatissimi interventi che le vengono assegnati: educazione in materia di traffico stradale, di alimentazione corretta, di affettività, di relazioni multietniche e via dicendo. Ultima, ma non nuova, la richiesta, da parte di un deputato leghista, d’introdurre lezioni di dialetto. Infatti, ogni tanto, ricompare, riproponendo un tema dai risvolti patetici quanto irrealistici. Certo si giustifica il rimpianto per un linguaggio, che nasce proprio dalla spontaneità, e che, quindi, non si apprende sui libri, ma attraverso i contatti quotidiani. Dove, però, è percettibilmente, in via d’estinzione. Almeno a Lugano. Un tempo poteva svolgere un ruolo salvifico: ci si rivolgeva in dialetto al poliziotto, cercando di ottenerne il condono della multa, in nome della comune ticinesità. Oggi, non funziona più. Gli agenti, spesso, non ti capiscono.

A due passi di Oliver Scharpf La casa Croci di Mendrisio L’altana si avvista già, leggiadra come nient’altro a Mendrisio, all’inizio di via Vincenzo Vela. È il pezzo forte della casa ideata tutta per sé da Antonio Croci (1823-1884). Casa Croci è stata costruita nel 1873 e sul punto di essere demolita negli anni Settanta. Cronistoria stringata: iscritta nel 1973 come monumento storico, il Cantone l’acquista nel 1978, meticoloso restauro filologico tra il 1979 e il 1999 per mano di Fabio Reinhart e Bruno Reichlin, spazio espositivo a partire dal 2008. All’altezza del cinema Mignon, dall’altra parte della strada, accanto al Municipio, eccola Casa Croci (357 m) conosciuta anche come Carlasc. Il colore ricorda un po’ il crème-caramel, le persiane sono carta da zucchero. Le sue «doti metamorfiche» come scrive l’architetto gaddiano Fabio Reinhart nel suo appassionato testo intitolato Un mondo – pubblicato nel catalogo della mostra Fabio Reinhart, architettura della coerenza (2007) e apparso con il titolo Il restauro di casa Croci sulla «Rivista

Tecnica» nr. 7 del 1996 – stupiscono subito. Muta infatti secondo l’angolatura, ma soprattutto si muove e cambia assottigliandosi verso l’alto in un impareggiabile gioco di prestigio. La pianta triangolare smussata si trasforma, al terzo piano, in esagono. Non male ora la prospettiva di sbieco per ammirare questo fiabesco rompicapo architettonico. Due terrazzini per angolo, in due balzi, sottraggono progressivamente peso. Il tocco finale è la leggerezza in cima dell’altana circolare in ferro battuto, quasi come un gazebo volante, con tanto di parafulmine. La ciliegina sulla torta. Odore di sigaretta; appena metto il piede sulla ghiaia del giardinetto con siepi geometriche di bosso e due palme giapponesi quantomeno centenarie che svettano su fino al tetto, un’ombra batte in ritirata. Dopo aver perso varie occasioni per visitare quest’insolita casa, come per esempio l’ultima mostra sui microgrammi di Robert Walser o quella prima, sugli aforismi nonsense di Dieter Roth mimetizzati in mezzo

Mode e modi di Luciana Caglio Calligrafia: un ruolo ritrovato «Carta, penna e calamaio»: tre parole, che sembravano definire relitti d’epoca, sono state, invece, riproposte in veste nuova, in un recente convegno, a Milano, dove, appunto, ci si chiedeva: «La scrittura a mano ha un futuro?» Ma, va subito precisato, non si affrontava soltanto il tema del recupero di una forma espressiva, qual è diventata oggi la calligrafia, destinata ai cultori di un’arte, giustamente riscoperta. Com’è avvenuto, anche in Ticino, dove Orio Galli ha saputo risvegliare l’attenzione e la sensibilità per un linguaggio misconosciuto: quello di segni che non sono semplici abcd, ma, nella loro diversità, recano le impronte delle tante civiltà confluite nella storia. Ed è così che la calligrafia si è conquistata uno spazio fra gli hobby, praticati a volte con risultati inattesi sul piano creativo. È il caso, sempre rimanendo in Ticino, di Enzo Pelli. Ma c’è dell’altro. La calligrafia non esaurisce il suo ruolo, nell’ambito estetico, perché è bella, originale,

misteriosa, collegata a un passato da rimpiangere. Dal dibattito, che a Milano aveva mobilitato anche insegnanti, educatori, psicologi, è emersa una ben diversa funzione della scrittura a mano: come strumento in grado di ri-


Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 28 novembre 2016 • N. 48

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Attualità Migros

M I 35 anni di Minusio

Per un Natale solidale

Anniversari L a filiale Migros locarnese festeggia i sette lustri d’esercizio.

Da giovedì primo dicembre a sabato 3 dicembre sconti, omaggi, concorsi e animazioni per i bambini

Migros Ticino ha aperto lo storico supermercato di Minusio nel 1981. Un punto vendita che negli anni è diventato un luogo di riferimento per la popolazione residente, ma non solo. Edificato in posizione strategica, nei pressi di un’importante arteria stradale, risulta infatti facilmente raggiungibile sia a piedi sia in auto o con i mezzi pubblici. Quella di Minusio è un’apprezzata filiale, che in trentacinque anni di attività ha saputo rinnovarsi e restare al passo con i tempi. I clienti vi gradiscono la possibilità di effettuare una spesa completa con la massima comodità e velocità. «La nostra forza deriva dai numerosi servizi offerti: la presenza dei banchi a servizio per la vendita di carni e formaggi di qualità superiore, controllati, certificati e garantiti Migros Ticino, il forno di cottura per il pane in funzione fino alla chiusura e il freschissimo reparto frutta e verdura sono solo alcuni dei fattori che determinano il buon andamento di questo punto vendita» afferma Sergio Zimmermann, gerente di questa filiale. Inoltre, il personale cordiale e ben preparato ha negli anni imparato a co-

Il team del gerente Sergio Zimmermann (secondo da destra) è pronto per questo importante anniversario da festeggiare insieme a tutti i clienti del Locarnese. (Ti-Press)

noscere la clientela, riuscendo sempre a soddisfarne i bisogni con cura e attenzione. In negozio si vive un clima accogliente e famigliare, da negozio di paese, pur garantendo un servizio da supermercato. I collaboratori di Minusio attendono un numeroso pubblico per festeggiare questi trentacinque anni di successo durante le giornate di giovedì primo, vener-

dì 2 e sabato 3 dicembre, nelle quali avrà luogo un fantastico concorso con in palio 5 x 200 franchi in carte regalo Migros e sarà in vigore il 5X Punti Cumulus. Inoltre, giovedì primo, omaggio floreale alle prime 500 clienti mentre sabato 3 è prevista la distribuzione a tutti i clienti presenti di un buono d’acquisto di 5 franchi (valido la settimana successiva

con un minimo di spesa di 50 franchi) e speciale animazione per i bimbi, con clown, e piccole sorprese! Orari di apertura:

Lu-ve 08.00-18.30. Gio 08.00-20.00. Sa 08.00-17.00. Tel. 091 821 77 30.

Torna l’annuale appuntamento con Telethon in tutta la Svizzera la raccolta fondi organizzata da Telethon

Michele Bertini, cosa sono le malattie genetiche rare?

In generale si tratta di malattie gravi o molto gravi, croniche, spesso degenerative e con pesanti ripercussioni sulla qualità di vita dei malati e delle loro famiglie. Le malattie rare sono rare come numero di malati per patologia, ma il numero di queste patologie, e quindi quello delle persone che ne sono affette, è elevato: esistono infatti migliaia di malattie rare; quelle note sono oggi circa 6-7 mila, la maggior parte delle quali è di origine

La testimonial Christa Rigozzi e Michele Bertini, presidente del Comitato Telethon della Svizzera italiana. (Telethon)

A cosa vengono destinati i fondi raccolti durante le giornate dell’azione?

La totalità dei fondi netti raccolti viene utilizzata, senza eccezioni, in Svizzera, per sostenere progetti di ricerca (50%) e progetti di aiuto sociale (50%); questa chiave di ripartizione può variare, a seconda degli anni, del 5%. Grazie all’impegno dei volontari e al sostegno

dei propri partner, i costi di funzionamento della FTAS (Fondazione Telethon Azione Svizzera) sono ridotti allo stretto necessario. L’attività e i conti della FTAS sono controllati dall’Autorità federale di vigilanza sulle fondazioni, che dipende dal Dipartimento federale dell’Interno a Berna. Anche in Ticino ci sono persone che ricevono un aiuto diretto dalla vostra iniziativa?

Nella nostra Regione la FTAS ha in particolare sostenuto la realizzazione di due importanti iniziative, cioè la creazione del Centro Myosuisse Ticino (con sede presso l’Ospedale Regionale di Lugano e presso l’Ospedale Regionale di Bellinzona) e la costituzione dell’Associazione Malattie Genetiche

La raccolta fondi natalizia di quest’anno organizzata da Migros è devoluta alle persone bisognose che vivono in Svizzera. Acquistando i cuori di cioccolato offerti nelle filiali i clienti di Migros Ticino potranno aiutare ancora una volta a sostenere speciali progetti di Caritas, HEKS Aiuto protestante svizzero, Pro Juventute, Soccorso d’inverno e, da quest’anno, anche di Pro Senectute. Alla fine dell’anno, Migros aggiungerà un milione di franchi all’importo complessivo. Ogni ente caritatevole riceverà, al termine della campagna di beneficenza, il 20 per cento delle donazioni raccolte. Inoltre, per sensibilizzare il pubblico al tema della povertà, Migros ha prodotto un nuovo spot televisivo natalizio, con un orsacchiotto come protagonista. Alla fine della storia il video, con il sottofondo della nota canzone natalizia Ensemble, invita gli spettatori a fare la loro donazione. Lo spot è stato trasmesso per la prima volta venerdì 18 novembre 2016. Con la sua raccolta fondi di Natale Migros viene in aiuto a persone che nel nostro ricco paese sono minacciate dalla povertà. La somma raccolta va esclusivamente a beneficio delle organizzazioni di aiuto Caritas, HEKS Aiuto protestante svizzero, Pro Juventute, Pro Senectute e Soccorso d’inverno. Migros aumenterà l’importo raccolto di un milione di franchi.

Rare Svizzera Italiana (MGR). Il Centro Myosuisse Ticino, che fa parte di una rete di centri svizzeri di competenza, offre ai pazienti affetti da malattie neuromuscolari genetiche rare o da altre malattie genetiche rare l’accesso a una consultazione medica specializzata e una presa a carico pluridisciplinare. La MGR fornisce invece in loco a questi malati e ai loro famigliari consulenza e sostegno, anche finanziario.

Potete partecipare così

È possibile effettuare donazioni a favore della Fondazione Telethon durante tutto l’anno: online sul sito www.telethon.ch – sul ccp 10-16-2 – al numero verde 0800 850 860 con un sms al numero 339, digitando TELETHON SI + importo di vostra scelta oppure ci si può annunciare al segretariato della Svizzera Italiana e dedicare qualche ora del proprio tempo a questa causa (telethon-si@telethon.ch ).

Mediante versamento

Oltre al sostegno dato dalle giornate del 2 e 3 dicembre, in che modo si può aiutare Telethon?

genetica. Anche se le malattie rare sono molto eterogenee, i malati e le loro famiglie sono confrontati con problematiche simili: difficoltà di ottenere una diagnosi corretta, difficoltà di accedere a informazioni sulla patologia e a cure adeguate, alti costi delle cure, opzioni terapeutiche limitate, riduzione o perdita dell’autonomia e della capacità lavorativa con conseguenti difficoltà economiche, ecc.

I cuori di cioccolato: un dono per chi è nel bisogno

Come donare

Solidarietà Come ogni anno nel primo finesettimana di dicembre si terrà

Telethon è una fondazione internazionale che si occupa di raccogliere fondi a favore di coloro che sono colpiti da malattie genetiche degenerative. Molto popolare grazie alla maratona televisiva che accompagna l’iniziativa benefica, quest’anno Telethon organizzerà un ricco programma di attività diffuse su tutto il territorio ticinese (l’elenco è pubblicato sul sito www.telethon.ch). Da quest’anno, inoltre, anche Migros Ticino sosterrà l’iniziativa, organizzando nelle sedi di Agno, Pregassona, Taverne, Faido e Biasca bancarelle con prodotti solidali e gadget Telethon. Per l’occasione, abbiamo posto a Michele Bertini, che è Presidente del Comitato Telethon della Svizzera italiana, alcune domande sulla manifestazione di quest’anno.

Campagna 2016

Donate nella vostra filiale Migros Ticino: con l’acquisto di un cuore di cioccolato (Fr. 5.–/10.–/15.–) alla cassa nella filiale Migros o nei nostri mercati specializzati (Do It, Micasa, melectronics, SportXX) – fino al 24.12.2016. Mediante SMS

Con la parola chiave «MIGROS» al numero 455. Esempio: per una donazione di Fr. 50.– inviate «MIGROS 50» al numero 455 – entro il 31.12.2016. Versate la vostra donazione indicando l’oggetto «Raccolta fondi Migros di Natale» entro il 31.12.2016 su questo conto corrente: 30-620742-6. Via Internet

Telethon

Donate con la carta di credito su www. migros.ch/donare. In alternativa potete anche scaricare la canzone di Natale Ensemble su Ex Libris, iTunes o GooglePlay facendo così una donazione.

In collaborazione con

«Azione» riferirà sui progetti di aiuto scelti in Svizzera che verranno incentivati con le donazioni.

Raccolta fondi contro le malattie rare Sabato 2 e domenica 3 dicembre 2016.

Ulteriori informazioni su

migros.ch/natale

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Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 28 novembre 2016 • N. 48

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Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 28 novembre 2016 • N. 48

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Ambiente e Benessere Cercando Don Chisciotte Visentin e Faravelli ripercorrono la Mancia sulle tracce del «cavaliere dalla triste figura» pagina 19

L’oasi del delta sul Ceresio Grazie alla particolarità della sua fauna e della sua flora la foce della Magliasina è stata dichiarata zona protetta dal Cantone

Trenta dromedari nel West La storia di come questi animali arrivarono dal Mediterraneo all’America dei pionieri

L’intuito di Michelle Nella villa di Via Collinetta, la padrona di casa scopre le debolezze di «Vecchio sportivo»

La dieta di Arianna

Reportage Un viaggio a Creta, l’isola che ha tramandato storie mitologiche millenarie

pagina 23

ma possiede anche il segreto della cucina mediterranea

Amanda Ronzoni

Bambini in auto

Prevenzione incidenti TCS e UPI

Maria Grazia Buletti Ogni anno circa 400 bambini sono vittime di un incidente d’auto. Un bambino su due non risulta essere assicurato correttamente quando viaggia in automobile, mentre uno su 14 non è neppure allacciato. Senza seggiolino il bambino corre un rischio tre volte superiore di ferirsi gravemente o di morire in un incidente automobilistico. Touring Club Svizzero (TCS) e Ufficio Prevenzione Infortuni (UPI) descrivono in modo molto chiaro la realtà quotidiana del trasporto dei bambini in automobile e mettono in guardia sulle possibili conseguenze di un incidente. Scelgono la via dell’informazione e della prevenzione, perché nella salute e soprattutto nel preservarla, prevenire quando è possibile è sempre meglio che soccorrere o curare. Quindi, il TCS, con il sostegno dell’UPI, propone Bambini in auto, un piccolo prontuario disponibile e scaricabile su seggiolini-

Regole da rispettare

Proteggere i bambini a bordo è imperativo, come affermano TCS e UPI: «I seggiolini sono dei salvavita, purché usati correttamente». E su come utilizzarli rimandiamo al prontuario che abbiamo citato, che suddivide in gruppi di età le differenti esigenze di protezione. Mentre per quanto riguarda l’uso corretto degli appositi seggiolini per bambini, TCS ricorda ad esempio che sui sedili dotati di cintura di sicurezza a tre punti i bambini fino a 12 anni più piccoli di 150 centimetri devono essere trasportati con sistema di ritenuta adeguato (ad esempio rialzo con o senza schienale); il seggiolino deve essere omologato a norma (ECE-R44/03, risp. 04 oppure R129); bisogna osservare scrupolosamente le istruzioni d’uso del seggiolino come pure il manuale dell’auto; la cintura deve aderire perfettamente al corpo del bambino (sarebbe dunque opportuno togliere giubbini invernali o aprirli), altrimenti la protezione non sarà adeguata.

auto.tcs.ch: «Un’infoguida gratuita disponibile in 10 lingue che fornisce risposte circa il seggiolino adeguato alla rispettiva classe d’età e il modo ottimale per assicurarvi i bambini». Ne abbiamo parlato con l’aiutante della Polizia cantonale stradale ticinese Alvaro Franchini, il quale ci ha confermato che questi dati valgono anche per il nostro cantone, e parla di una sorta di «negligenza in buona fede» da parte di chi trasporta i bambini, riscontrabile soprattutto nei cosiddetti tragitti brevi: «Pensiamo ad esempio a una mamma che, accompagnando a scuola i suoi figli, dà un passaggio ad altri bambini per i quali logicamente non ci sono seggiolini nell’automobile e, dunque, rimangono slacciati». Il nostro interlocutore pone ancora l’esempio di qualche nonno che si presta a portare a destinazione i nipotini e i loro amichetti, e anche in questo caso i seggiolini a disposizione nell’automobile non sono, per ovvie ragioni, in numero sufficiente per assicurare correttamente tutti quanti. Ma non si tratta solo di questo, perché la «variabile bambino» gioca un suo ruolo: «Tutti i genitori sanno di cosa stiamo parlando: quando capisce come sganciarsi, il bambino ci mette del suo e questo è un fattore indipendente dalla cura con cui certamente i genitori lo avranno assicurato al seggiolino per il tragitto in automobile, breve o lungo che sia». D’altronde, anche Franchini ammette come non si possa «blindare un bimbo e legarlo con lucchetto a combinazione». Infatti, l’imponderabile, dovuto al bimbo che magari combina una marachella, è sempre in agguato, anche se ci viene detto che qualche mamma molto accorta si munisce di un ulteriore specchietto che le permetta di controllare la situazione. Anche qui, però, l’insidia è dietro l’angolo: «Uno specchietto supplementare potrebbe essere un’ulteriore fonte di distrazione per il guidatore, così come avere bambini in auto, dei quali dobbiamo tutti quanti riconoscere la vivacità innata». Ma tant’è: quando bisogna effettuare un viaggio in automobile insieme ai bambini, essi vanno assicurati in modo che qualsiasi cosa accada siano protetti il meglio possibile. E non possiamo essere distratti o fatalisti: «Talvolta vediamo ancora qualche bambino seduto in braccio

Marka

si fanno portavoce della campagna di corretta protezione dei bambini che viaggiano in automobile

a un adulto, nel sedile anteriore, oppure anche su due ruote si vedono bambini non adeguatamente assicurati, vuoi perché tanto piccoli che non arrivano a sedersi correttamente, poiché i piedini non riescono a poggiare sui pedalini appositi, o per altri motivi». Anche se vige una sorta di buona fede da parte del genitore, non è giustificabile il rischio che il bimbo si faccia male seriamente o, nella peggiore delle ipotesi, muoia in un incidente perché male assicurato. «Nel 99 per cento dei casi di non conformità nel trasporto di bambini, per fortuna non succede nulla, ma questo crea pericolose false sicurezze», afferma Franchini, spiegando che a livello educativo è molto importante essere coerenti, «anche se tutti i genitori

sanno che la coerenza talvolta costa tanto», e non bisogna tollerare eccezioni, anche se sporadiche, come ad esempio di permettere al bambino di slacciarsi qualche volta perché tanto il percorso è breve, o siamo quasi arrivati, o tanto non succede nulla… Questo proprio per non creare la falsa sicurezza che «tanto non capita

La Nutrizionista Rubrica online Solo nell’edizione online, www. azione.ch, la rubrica mensile dedicata all’alimentazione. La cura Laura Botticelli, dietista ASDD, che risponderà alle domande dei lettori.»

niente», perché: «In effetti, basta una sola volta…». Il nostro interlocutore ci fa presente come pure a livello scolastico sia in crescita la sensibilità su questo tema: «Viene fatta molta sensibilizzazione sul praticare a piedi il tragitto casa – scuola; ci si prende il tempo per agevolare i processi d’apprendimento del piccolo e del giovane utente della strada, sia pedone che passeggero». Alcuni concetti vengono più volte ribaditi : «Tempo, risorse e coerenza nell’applicazione delle giuste norme di sicurezza sono ben investiti e permettono di evitare al massimo situazioni pericolose, senza dimenticare che i bambini ci imitano, ci copiano, ci guardano e su di loro sono i fatti, più delle parole e delle norme, che lasciano il segno».

Fu costruito a Creta, il primo, famoso, labirinto, in origine «dedalo», dal nome dell’architetto che lo progettò per contenere il terribile Minotauro. Qualcuno dice si trattasse di un tortuoso percorso a spirale, da percorrere fino al centro per poi tornare in senso inverso all’uscita, una volta superata una prova tremenda. Siamo di fronte all’emblema atavico dell’intrico da cui non si riesce ad evadere, del problema su cui ci si arrovella senza trovare una soluzione, del mostro che ci inghiotte al termine di un lungo corridoio buio. Il mito, che nasce coi tratti della tragedia, si trasforma però in favola e trova un finale salvifico nel filo di Arianna, che aiuterà un ingrato Teseo a tornare indietro e uscire dal dedalo, trionfante sulla bestia. Memento: nessuno si salva da solo. A Creta questa storia sembrano averla ben presente. Se la spirale negativa dell’economia ellenica somiglia tragicamente al labirinto mitologico, va detto infatti che questa sembra un’isola felice, in tutti i sensi. La geografia ci parla di un territorio ampio e montuoso, fatto di profonde vallate e fonti di acqua dolce che sgorgano dalla roccia. Le coste cadono a tratti direttamente nel mare, ma non mancano spiagge bianche con acque dai colori caraibici. I fondali sono pescosi e i piccoli porti ben protetti. Si narra che l’apicoltura sia nata qui, sempre tra le pieghe del mito. Alcuni raccontano che furono Melissa (che significa ape) e Amaltea, figlie del re cretese Melisseo, a nutrire il piccolo, ma già famelico Zeus. Secondo altri il futuro re dell’Olimpo fu partorito dalla madre Rea proprio in una grotta sacra di api, sempre a Creta. Non sembra dunque un caso che le origini della Dieta Mediterranea, Patrimonio Impalpabile dell’UNESCO dal 2010, siano state rintracciate qui. A partire dalla metà degli anni 90, infatti, il dottor Walter Willett della Scuola di Salute Pubblica, presso l’Università di Harvard, individuò le basi di questo regime alimentare nelle tradizioni enogastronomiche tipiche, negli anni 60, di Creta in particolare, della Grecia in generale, e del Sud Italia. Oggi le cose sono un po’ cambiate, ma basta fare un salto a casa di Ioannis per rendersi conto di come si viveva 50, 100 anni fa. Ioannis: una testa di ricci bianchi, occhi azzurri, una parlata quasi incomprensibile per i primi 20 minuti che

Il monastero di Agia Triada nella parte occidentale di Creta. (Amanda Ronzoni)

passi con lui. Sembra un personaggio mitologico, a metà tra Dioniso e i fauni. Vive in fondo a una valle, in una capanna senza corrente, con l’acqua che arriva da una cisterna strategicamente nera e posta in posizione elevata: ergo docce calde di giorno e irrigazione costante per le piante che coltiva. Filari perfetti di fagioli e fagiolini, pannocchie, carciofi e ocra. L’acqua fresca da bere, va a prenderla direttamente alla fonte. Unica compagnia: 4 cani e una dozzina di pecore che lo ascoltano e gli rispondono quando lui le chiama. Come prima dell’avvento di frigoriferi ed elettrodomestici vari, Ioannis consuma solo prodotti stagionali, pochissima carne, miele, molto olio di oliva che usa per cucinare qualsiasi cosa, il pesce solo quando va alle feste in paese. Vive vendendo ai ristoranti della costa i vegetali che coltiva rigorosamente senza uso di pesticidi e fertilizzanti, che lui chiama «katastròfa». Ha anche un paio di piccoli peschi che crescono tra

piante di rose che ama moltissimo, una vite, frutta di stagione come angurie e meloni. Di fronte alla sua capanna una macchia spontanea di erbe officinali e piante aromatiche. Secca e vende un origano dai fiori giganti. Dice che in paese, dall’avvocato al dottore, tutti comprano il suo tè portentoso: una miscela di 12 erbe, messa a punto da lui, su cui spiccano salvia selvatica, rosa canina e menta. Ioannis è l’esempio vivente della cucina cretese di un secolo fa: prodotti freschi raccolti e consumati in

giornata, sottoposti a cottura minima e senza troppi processi di conservazione. Nonostante, o forse proprio a causa dell’assedio della crisi, a Creta anche il turismo si fa più sostenibile, seguendo di pari passo i ritmi delle attività agricole stagione per stagione: la vendemmia, la raccolta delle olive, la produzione del miele. Sono tutti momenti che, trasformati in appuntamenti enogastronomici, formano un calendario interessante e di richiamo per i visitatori che arrivano senza sosta da aprile a novembre. Il flus-

Amanda Ronzoni

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La spiaggia di Balos; il faro di La Canea; un orto sotto le rocce a Creta. (A. Ronzoni)

Amanda Ronzoni

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so cala nei mesi restanti, complice l’interruzione dei voli diretti. Anche se gli aficionados arrivano lo stesso anche in traghetto o con scali ad Atene. Ci sono diverse realtà a Creta impegnate a promuovere e mantenere queste tradizioni. Una è il CCS, Crete’s Culinary Sanctuaries (www.cookingincrete. com), un programma di buone pratiche per il turismo sostenibile. Fondato nel 1997 da Nikki Rose, chef professionista americana di origine greca, divulgatrice entusiasta, si propone di organizzare seminari e viaggi per stimolare i turisti alla conoscenza e al consumo responsabile, oltre a sostenere in modo concreto i produttori locali che si dedicano a programmi di protezione del patrimonio culturale e naturale. In molti contesti, dal privato al pubblico, sull’isola si parla di Soil Health, ovvero tutela della qualità del suolo. E per suolo di qualità si intende un ecosistema in grado di garantire la produttività e biodiversità di piante e animali, mantenere se non addirittura migliorare la qualità dell’acqua e dell’aria, sostenere la presenza e la prosperità di insediamenti umani. Principi di sussistenza e autonomia alimentare che andrebbero rivalutati e sostenuti in una società cosiddetta civile che ha nello spreco una delle sue peggiori contraddizioni. Una filosofia, quella di Creta, molto vicina ai principi di attenzione al benessere degli animali, domestici ma anche selvatici, e all’utilizzo di metodi di coltivazione rispettosi dell’ambiente che ispirano anche aziende di contadini svizzeri, fatta di connessioni tra le persone e le generazioni. Un filo di saggezza ritrovata, che si sta ispessendo e che si spera ci aiuterà ad uscire dal labirinto pernicioso degli interessi miopi e delle strategie a breve termine di un mondo che guarda solo al profitto immediato, senza vedere il rischio di una strada senza uscita.


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Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 28 novembre 2016 • N. 48

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Ambiente e Benessere

Un viaggio di carta, parole, immagini e riflessioni

Il grande Jackpot dei formaggi

Pubblicazione Come riscoprire lo spirito

del viaggiatore in Alla ricerca di don Chisciotte. Un viaggio nella Mancia, di Claudio Visentin e Stefano Faravelli

Non me l’aspettavo. O forse un po’ sì, quantomeno potevo immaginarmelo. Alla ricerca di don Chisciotte. Un viaggio nella Mancia dei nostri collaboratori Claudio Visentin e Stefano Faravelli è un piccolo (nel senso che non è di grande formato) gioiellino della letteratura «anche» di viaggio. Devo fare una premessa: Don Chisciotte della Mancia di Miguel de Cervantes è uno dei libri che più ho amato. Quindi il rischio che il progetto a me potesse risultare indigesto era alto. Mi aspettavo una banale descrizione di un viaggio nella Mancia, e un po’ è così. Dico un po’ perché lo è solo se si resta in superficie, mentre tutto, in questo libro, suggerisce di fare molto altro, di guardare altrove. E lo fa con una tale spontaneità da rendere l’operazione molto facile. È questa la sua forza: permette al lettore di seguire due moderni avventurieri in una continua riflessione più idealista e affascinante che non filosofica, nel senso stretto del termine, se si considera che solo la vita può serbare quel fascino sincero che sta all’interno di ogni sguardo e non fuori, che sta in certi valori e molto meno in altri. Il tutto con un linguaggio semplice, con un narratore complice del lettore, con un piglio divertente, con immagini che raccontano tanto quanto le parole. Accattivante è soprattutto il «paradosso» che permea questo bel libretto (sì, bello anche nella sua forma e grazie alle belle illustrazioni del maestro dei carnet). Un gioco di contrapposizioni, si diceva, neanche tanto mascherato. Presi due viaggiatori del tutto simili ai protagonisti, il racconto li vede partire, sì, per la Mancia, ma non per esplorare i luoghi di questo celebre romanzo, non davvero. Il loro obiettivo è seguire le impronte di Ronzinante alla ricerca dello spirito di Don Chisciotte. Senza mai trovarlo (o forse sì, ma non voglio fare spoiler).

I luoghi son quelli ma del nostro pare sempre non esserci traccia. Non del suo spirito. E il lettore prosegue in questa ricerca perennemente disillusa senza tuttavia sentirne la frustrazione, quella mancanza è solo strutturale, non sentita. Ed è chiaramente questo il paradosso. I due viaggiatori moderni cercano fuori quel che è palesemente dentro; lo spirito di Don Chisciotte, non è nient’altro che lo spirito del viaggiatore e, quando lo si intuisce, quel mondo spolverato di magia si trasforma in altre realtà possibili. E chi ha letto l’originale storia del Seicento sa di che si parla.

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L’obiettivo dei due viaggiatori è di seguire le impronte di Ronzinante alla ricerca dello spirito di Don Chisciotte

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La storia viene arricchita e gli autori sembrano suggerire a tutti di partire per dare anche il loro contributo: servono sempre nuove avventure per tenere in vita lo spirito di Don Chisciotte. Per farlo basta un pizzico di sana interpretazione della realtà senza far caso ai Sancio Pancia che si incontrano per la via, senza badare, insomma a chi, ingenuamente, dovesse prendervi per folli. Un applauso va certamente, dunque, ai due viaggiatori per come hanno saputo ben impersonare, con un’interpretazione totalmente svecchiata, due eroi magnifici, reinventando peraltro un classico che non ha tempo. Perché come viene detto a pagina 58: «Se l’utile mantiene in vita, solo il bello guarisce».

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Claudio Visentin e Stefano Faravelli, Alla ricerca di don Chisciotte. Un viaggio nella Mancia, Ediciclo, 2016, pp 106.

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Ambiente e Benessere

Mosaico ecuadoriano

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L’Ecuador è un Paese piccolo ma molto vario (è il quarto Paese al mondo per biodiversità): questo itinerario consente di unire sia gli aspetti paesaggistici che culturali di due regioni molto diverse, il tutto percorrendo brevi distanze e senza bisogno di alcun volo interno. Un viaggio straordinario alla scoperta della più bella capitale andina del

Sud America e del mercato indigeno di Otavalo, con tre giorni nella natura rigogliosa della foresta Amazzonica. Poi visita al maestoso Parco Nazionale del Cotopaxi, e un tragitto a bordo del caratteristico trenino delle Ande, fino a raggiungere via terra la bella città di Cuenca, da dove si viaggia in direzione di Guayaquil attraversando il magnifico Parco Nazionale Cajas.

David Torres Costales

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C’è poi la possibilità di estendere il soggiorno per visitare il Parco Marino delle Isole Galapagos. Un arcipelago che sorge a 1000 km dalla costa

Il programma di viaggio Sabato 13 maggio Partenza: Ticino – Milano – Quito Domenica 14 maggio Da Quito a Otavalo Lunedì 15 maggio Visita di Otavalo Martedì 16 maggio Viaggio Cotacachi – Otavalo – Quitsato – Amazzonia Mercoledì 17 maggio Giornata in Amazzonia

Giovedì 18 maggio Viaggio Amazzonia – Puyo – Banos – Chimborazo – Riobamba Venerdì 19 maggio Visita di Riobamba Sabato 20 maggio Riobamba – Alausi – Ingapirca – Cuenca Domenica 21 maggio Visita di Cuenca Lunedì 22 maggio Cuenca – Parco El Cajas – Guayaquil

Martedì 23 maggio Guayaquil (estensione per le Galapagos*) Mercoledì 24 maggio Ritorno: Guayaquil – Milano – Ticino * Estensione Galapagos: le isole incantate. 23-26 maggio, itinerario: Guayaquil – Baltra – Cratere Gemelos – Santa Cruz – Puerto Ayora – Bartolome – Santa Fe – Seymour – Tortuga Bay – Stazione Charles Darwin – Guayaquil.

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dell’Ecuador: è un paradiso naturale unico nel mondo e fu d’ispirazione a Charles Darwin per l’elaborazione della Teoria dell’evoluzione della specie. Protetto dall’UNESCO quale Patrimonio naturale dell’umanità, offre l’opportunità di andare alla scoperta della fauna che popola il isole dell’arcipelago.

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per Quito e ritorno da Guayaquil, in classe economica; tutti i trasferimenti in loco con bus, in barca e in treno; guida locale che parla italiano; sistemazione in hotel 3***/4****, in camera doppia con servizi privati; trattamento di pensione completa dal secondo giorno al pranzo dell’ultimo; tasse e percentuali di servizio; carta regalo Migros del valore di CHF 50.– a camera. La quota non comprende Pasti e bevande ove non menzionati; facchinaggio; mance ed extra in genere; spese agenzia. Annuncio pubblicitario

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Ambiente e Benessere

La foce della Magliasina, un’oasi da salvaguardare

Ambiente Dodici ettari di terreno, con una fauna e una flora di pregio, che il Cantone ha dichiarato zona protetta

Elia Stampanoni La foce del fiume Magliasina è l’ultimo e quindi unico delta naturale del Ceresio. Ma non è questo il motivo che ha spinto il Cantone a istituire qui, sul golfo di Agno, una zona protetta. Gli elementi che hanno permesso lo scorso primo marzo l’accettazione del decreto sono molteplici e vanno a toccare la flora, la fauna e tutto l’ecosistema naturale con le sue ricchezze. L’area considerata, a pochi passi dal trafficato fondovalle, si estende su 12 ettari di terreno e contempla un ampio ventaglio d’ambienti particolari, da proteggere e da valorizzare. Grazie alla presenza di prati aperti, di boschi umidi, di sponde fluviali e di altri habitat, la foce offre infatti i presupposti ideali per diverse specie animali e vegetali, tra cui anche alcune rare e a rischio di estinzione. Mammiferi, pesci, rettili, insetti, uccelli o anfibi, la foce della Magliasina è un luogo ricco e variegato. A conferma del valore della zona è per esempio stata trovata la Rana agile, specie molto rara a livello svizzero. Gli ambienti acquatici, in particolare le rive e i canneti, offrono condizioni ideali per l’insediamento di un’avifauna specifica, tra cui anche il Piro piro piccolo, il Moriglione, il Gabbiano comune o il Fistione turco, quattro specie minacciate, presenti sulla

lista rossa degli uccelli nidificanti in Svizzera. Nel bosco umido di ontano e nel querceto abbondano anche i funghi: uno studio, eseguito tra il 1974 e il 1982, ne rilevò 96 specie, di cui quattro rare. Tutti elementi della fauna e della flora che sono oggi minacciati, o già sotto pressione, sia da alcune strutture esistenti, sia dalle attività antropiche. Nel periodo estivo, per esempio, l’alta frequenza di visitatori va a scapito della stabilità delle zone umide e sensibili. La presenza e il comportamento a volte inadeguato dei bagnanti crea inoltre disturbo alla fauna, soprattutto presso i canneti lungo la riva lacustre. Oltre al littering, altro intralcio è di certo il muro in calcestruzzo presente lungo la sponda destra del fiume, che impedisce una libera dinamica, annullando le possibilità di sviluppo di ambienti alluvionali, ora sopraffatti da formazioni più stabili ma ecologicamente meno interessanti. Tra gli interventi previsti dal decreto di protezione della foce della Magliasina rientra quindi l’eliminazione del muro e della rete metallica lungo l’argine del fiume, che ora limita i collegamenti ecologici all’interno della zona protetta. Anche a livello gestionale sono previste delle modifiche: uno sfruttamento più estensivo del bosco della sponda destra favorirà la formazione di rifugi naturali e habitat

Con l’istituzione della zona protetta, l’accesso al pubblico sarà limitato. (TiPress)

essenziali per la piccola e media fauna. Rinunciando alla sistematica eliminazione della vegetazione arbustiva del sottobosco si eviterà lo sviluppo di una struttura a parco che, pur favorendo la presenza di alcune specie di uccelli, ne impoverisce la biodiversità. Negli obiettivi rientra anche la lotta ad alcune piante neofite invasive, come per esempio l’Ambrosia o il Poligono del Giappone. Tutti gli interventi dovrebbero

servire a proteggere e valorizzare gli ambienti pregiati, migliorare la funzione ecologica e garantire la sopravvivenza delle specie rare e protette. Tra gli intenti rientra inoltre la sensibilizzazione del pubblico riguardo quest’area protetta, affinché si possa promuovere un rapporto equilibrato tra protezione e utilizzo consapevole. A questo proposito, il decreto elenca otto obiettivi specifici, tutti volti a conservare, ma anche a sviluppare la giusta

interazione tra attività antropiche e ambiente. Con alcuni provvedimenti strutturali, alcune modifiche nella gestione, nelle abitudini dei visitatori, sia la flora sia la fauna potranno trarne grandi benefici. Benefici che si ripercuoteranno anche sulla popolazione che vorrà conoscere e visitare questa rinnovata foce della Magliasina. L’area protetta prevede l’istituzione di una zona nucleo comprendente gli stagni, le rive del Ceresio, il fiume Magliasina e l’area forestale, dove verranno istituite due zone ad accesso regolato, ossia il bosco umido della sponda sinistra e le rive lacustri naturali con presenza di canneto. Nel primo comparto l’ingresso sarà garantito da un sentiero segnalato che condurrà a una piattaforma di osservazione, dove i visitatori potranno avvicinarsi in modo poco invasivo alle zone protette. Nel secondo comparto (i canneti lungo le rive naturali) vigerà invece un divieto assoluto d’accesso che favorirà un ambiente naturale di grande pregio. Nella zona cuscinetto, che non subirà limitazioni d’accesso, rientrano invece le superfici prative circostanti, contraddistinte da un rinnovato paesaggio, arricchito con elementi di pregio naturalistico e paesaggistico. Per valorizzare l’intero comparto sono previsti anche dei pannelli informativi che aiuteranno ad apprezzare quest’oasi naturalistica. Annuncio pubblicitario

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Ambiente e Benessere

Le gobbe del Far West

Viaggiatori d’Occidente La famosa Route 66 ricalca il percorso di una storica spedizione

Santoˉ ka per le vie di Roma Bussole Inviti a

di dromedari

letture per viaggiare

Claudio Visentin

«Brillo, appoggiato al bastone, i sandali infangati, il cappello di bambù legato dietro la schiena, la sacca delle elemosine e la fiaschetta di sakè, vuote, ai suoi piedi. Santōka sembra un disegno fatto di pochi tratti, un omino solitario sotto la luna tonda pronta a inglobarlo insieme al Monte Fuji. Ha scritto questo haiku, il primo con cui l’ho conosciuto: “Cuscino di pietra / accompagno / nuvole”. (…)».

I viaggi legano con fili nascosti quel che è diverso e lontano, e ci sorprendono creando intrecci di eventi che neppure il più fantasioso dei romanzieri saprebbe immaginare. È il caso di questa storia di dromedari nel Far West. Dopo la guerra con il Messico del 1846-48 i giovani Stati Uniti si trovarono padroni di vaste distese desertiche (New Mexico, Colorado, Arizona, Utah, Nevada) alle quali attribuivano ben poco valore. Ma al di là di questi nuovi Stati c’era la Terra promessa, i fertili campi e le ricche miniere d’oro della California. Bisognava però trovare il modo di attraversare il deserto, facendosi largo oltretutto tra pellerossa ostili. Un ufficiale dell’esercito, Edward Beale, propose di servirsi di cammelli o dromedari, sostenendo con convinzione i loro meriti oggettivi: la conformazione fisica di questi animali è particolarmente adatta ai climi aridi, sono resistenti alla fatica e possono sopportare a lungo fame e sete, cibandosi di erbe e arbusti che i cavalli neppure prenderebbero in considerazione. Nel marzo 1855 il Congresso degli Stati Uniti stanziò trentamila dollari per creare l’United States Army’s Camel Corps e in giugno la nave da carico «USS Supply» partì da New York alla volta del Mediterraneo per acquistare i desiderati animali. Quindici anni dopo Mark Twain pubblicò un fortunato libro di viaggio, Gli innocenti all’estero, che narrava le vicende di un gruppo di americani alle prese con gli scaltriti abitanti del Mediterraneo. Ma il titolo meglio sarebbe stato impiegato per David Porter e Henry Wayne, i due comandanti della «USS Supply». Quando approdarono a Tunisi e tentarono di acquistare i primi dromedari furono spietatamente truffati da astuti venditori levantini, del tutto privi di scrupoli, e pagarono un’esagerazione per degli animali malati. E tuttavia nel proseguo del viaggio, attraverso Malta sino alla Grecia e alla Turchia, impararono a

Furono 25 dromedari provenienti dall’Egitto a tracciare a metà dell’Ottocento la via verso il West. (Vitezslav Valka)

riconoscere le bestie sane e a pagarle il giusto prezzo. Finalmente, nella sosta in Egitto, riuscirono ad acquistare una trentina di dromedari e ad assoldare cinque conducenti. Era trascorso quasi un anno quando raggiunsero nuovamente gli Stati Uniti. La traversata dell’Atlantico d’inverno fu lunga e difficile, ma già in quell’occasione i dromedari, legati sul ponte, non si fecero impressionare più di tanto dal deserto liquido intorno a loro. Solo uno morì durante la navigazione, in compenso un paio di femmine partorirono e il saldo fu dunque attivo. Nel giugno 1857, allineati in carovana insieme a muli e cavalli, venticinque dromedari presero la via del deserto verso l’ovest, sotto la guida di Edward Beale. Durante le prime tappe più agevoli i dromedari non fecero una grande impressione ma, non appena le condizioni si inasprirono, i conducenti con le loro brave bestie presero la guida della spedizione, facendosi largo tra la natura ostile: canyon, crateri e vulcani, steppe e deserti. I dromedari si rivelarono insostituibili nel trasportare

carichi pesanti e soprattutto nell’individuare le scarse sorgenti d’acqua. Nell’ottobre seguente, dopo un viaggio di quattro mesi e milleduecento miglia, la spedizione giunse in California. La via più corta e sicura era stata tracciata dall’infallibile istinto dei dromedari e fu poi percorsa dai convogli di carri dei coloni. Conclusa la loro missione i conducenti tornarono a casa; uno di loro, Hadji Ali – detto «Hi Jolly», come il suo nome suonava agli orecchi dei locali – preferì restare nell’esercito e terminò poi la sua esistenza come minatore. In seguito altri esperimenti confermarono come i dromedari fossero particolarmente adatti alle regioni sud occidentali degli Stati Uniti. I soldati tuttavia erano infastiditi dall’odore acre e dal carattere di queste bestie, che si ribellavano quando venivano maltrattate. Un cambio al vertice e le nuove preoccupazioni della Guerra civile americana segnarono il destino del Camel Corps. I dromedari furono messi all’asta e acquistati da zoo e circhi. Alcuni trascorsero una tranquilla vecchiaia nel ranch del loro grande sosteni-

tore, Edward Beale. Altri animali furono rimessi in libertà e da allora, di tanto in tanto, qualcuno riferì di aver visto un dromedario nel deserto americano. Nel 1869 la ferrovia Santa Fe-Los Angeles si affiancò alla pista tracciata dai dromedari e percorsa dai coloni. E quando nel 1926 fu inaugurata la celebre Route 66 da Chicago a Santa Monica, questa seguì a sua volta la ferrovia. La Route 66 fu la prima strada interamente asfaltata degli Stati Uniti e lungo il suo percorso si svolse tanta parte della vita americana. Per esempio negli anni Trenta la percorsero i contadini impoveriti dalle tempeste di polvere, gli umili protagonisti di Furore di John Steinbeck. A Springfield fu aperto il primo drive-in, a San Bernardino il primo McDonald’s. Oggi la Route 66 non è più in uso, ma migliaia di turisti la percorrono ogni anno nella traversata degli Stati Uniti coast to coast. Chissà cosa direbbero se sapessero di ripercorrere le orme di quei dromedari venuti dal Mediterraneo per aprire la via verso il futuro dell’America…

Santōka (1882-1940) era un monaco giapponese. Viveva di elemosine e dormiva dove capitava. Si trascinava dietro il peso di tutti i suoi fallimenti, familiari e professionali, leniti soltanto dal troppo frequente ricorso al liquore. Come i suoi maestri, Issa e Bashō, raccontava piccoli e grandi incidenti di viaggio nella forma sincopata dell’haiku, un breve componimento in tre versi di 17 sillabe complessive (5-7-5). Nel libro di Susanna Tartaro, Santōka è condotto per le vie di Roma: in un passo divertente il monaco immaginario siede nel posto del passeggero sul motorino che si districa nel traffico, schivando le buche. Santōka si confronta con i problemi e le inquietudini del nostro tempo e – va detto – non sembra per nulla a disagio: anche in un contesto tanto diverso, le sue fulminanti osservazioni aprono squarci di significato. È possibile raccontare un viaggio in tre righe, una manciata di parole soltanto? Parrebbe di sì. L’estrema brevità del verso fa giustizia di un mondo pleonastico, rumoroso e confuso; aiuta a mettere a fuoco l’essenziale, senza distinguere troppo tra massimi sistemi e minime impressioni quotidiane; insegna l’attenzione, l’umiltà, l’accettazione del limite e del fallimento, che certo possono colmare d’amarezza l’anima, ma non sminuiscono la dignità di chi sa conviverci. Bibliografia

Susanna Tartaro, Haiku e Sakè. In viaggio con Santōka, Add, 2016, pp. 160, € 13,00. Annuncio pubblicitario

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Ambiente e Benessere

Polpettone in salsa al pepe

Cucina di Stagione La ricetta della settimana

Piatto principale Ingredienti per 4 persone: 10 g di porcini secchi · 1 cipolla · 2 cucchiai d’olio di

girasole · 600 g di carne macinata di manzo · 100 g d’impasto di vitello · 1 uovo · 1 cucchiaino di senape dolce · 1 cucchiaino di sale · 1 cucchiaino di pepe di Caienna · 1 mazzetto di prezzemolo · 2 rametti di rosmarino · 1,5 dl di sidro di mele o sherry · 1 dl di fondo bruno · 2 cucchiai di pepe verde in grani in vasetto · 1 cucchiaio di burro · 1 cucchiaio d’amido di mais · 2 dl di panna · sale · succo di limone per insaporire.

1. Ammollate i funghi in acqua fredda per 10 minuti. Scolateli, sciacquateli e strizzateli bene. Tritate i funghi e la cipolla e rosolateli nell’olio. 2. Scaldate il forno a 170 °C. Mescolate i funghi con la carne macinata, l’impasto di vitello, l’uovo e la senape. Salate e pepate. Incorporate le erbe tritate. Formate un polpettone e accomodatelo in una teglia da forno. Cuocete al centro del forno per circa 50 minuti. Dopo 30 minuti unite il fondo e il sidro. Alla fine filtrate il fondo e raccoglietelo. Tenete il polpettone in caldo. 3. Per la salsa, sciacquate il pepe. Soffriggetelo nel burro. Unite il fondo di cottura. Mescolate l’amido con poca panna. Incorporate la panna restante al fondo e fate sobbollire per 10 minuti. Legate la salsa aggiungendo l’amido. Fatela sobbollire per alcuni minuti. Condite con sale e succo di limone. Affettate il polpettone e servitelo con la salsa. Accompagnate con un risotto.

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Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 28 novembre 2016 • N. 48

27 3 7 9 Ambiente e Benessere 9 4

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Con un po’ di giustificata nostalgia 8

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Sportivamente Stavolta Federer non c’entra, anche se il colloquio è con la sua sostenitrice Michelle. 9

Tutto nasce da un po’ di tristezza che mi si legge facilmente negli occhi

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Giochi

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non dire degli stranieri dell’Ambrì che,

Alcide Bernasconi Nella via dove abito – via Collinetta, per chi ancora non lo sapesse – è rimasta una sola persona che si interessa di sport; a parte me. Per sport questa persona intende essenzialmente il tennis. Hockey e calcio le danno un fastidio confessato più volte. Il suo Cristiano Ronaldo è Roger Federer. Anche ciò è noto a chi talvolta può aver messo il naso nella nostra rubrica sportiva. Non è però di Federer che intendiamo parlare oggi, visto che di lui ci siamo occupati troppo spesso se si considera la sua breve apparizione nella stagione che si è appena conclusa. No, stavolta è il tema è l’intuito, quello che Donna Michelle, l’unica appassionata di sport (pardon, di tennis…) dell’angusta via che porta in cima a una collinetta, ha dimostrato incontrandoci. «Ti vedo un po’ malinconico», mi disse Michelle guardandomi bene in volto. «Scommetto che a causare questo stato sono le due discipline sportive che preferisci…». Michelle aveva fatto centro, un po’ per il suo indiscusso intuito sportivo ma, soprattutto, per la facilità tipicamente femminile con cui sapeva leggere le cose, da quelle private a quelle che non si possono facilmente nascondere, anche nel ristretto cerchio delle amicizie di più lunga data. «Michelle, tu pensi forse al calcio e all’hockey? No, non è assolutamente così. Ti sarà giunta – o no? – notizia della nostra nazionale di calcio, al comando nel gruppo che comprende il Portogallo, campione d’Europa. Forse ti sarà sfuggito che i rossocrociati hanno vinto tutte le partite della prima parte di qualifica-

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N. 46 per GENI secondo alcuni tifosi, andrebbero fru1

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stati affinché mettano a segno almeno un gol. Invece i biancoblù se ne stanno 3 9 quatti quatti sotto la fatidica riga. E sono scesi in fondo a tutta la fila, che più in giù 8 Quanto al Lugano non possono andare. calcio, stiamo a vedere. Dopo un buon avvio, ecco difficoltà che non si attendevano, senza dimenticare l’arbitraggio scandaloso (noi1possiamo 9 4 dirlo 2 senza temere squalifiche!) offerto nella partita che i bianconeri avrebbero dovuto vincere a Cornaredo. Ma non sono queste le cose che mi rendono malinconico 7 come afferma la mia vicina di casa. «È il tempo2che passa», le4dico. «In effetti parli come un vecchio. Se devo dirlo, un po’ mi spiace», replica Mi5 «Tu non puoi sapere che 8 ho visto chelle. nascere lo stadio di Cornaredo. Poi ho 7 grande portiere. visto il Bubi Corrodi, E l’altra mattina sono stato al funerale del più buono e più simpatico dei nostri portieri, Donato Tettamanti, classe 1927. Un vero luganese che talvolta guardavo da dietro la porta per seguirne le mosse e 7 quando parava 4 5i rigori. Non tanvedere to grande, in quei casi era però un vero 8 e acchiappava i palloni 6 in buoscoiattolo na quantità», dissi ancora a Michelle. La quale per tutta risposta, stavolta 1 è secca: «Sei proprio vecchio. Scusa se te lo dico, ma è così». 7 9 «Vedrai quando smetterà Federer, come ti cambierà la vita, mentre io 6 in 4gonnella, ossia5la avrò il mio Federer sciatrice Lara Gut, che spero mi regalerà3grandi soddisfazioni», concludo 8 lasciando a bocca aperta l’interlocutrice. Nello sport 3 ogni9tanto bisogna vincere. 2

Giochi per “Azione”4- Dicembre 2016 9 1 Stefania Sargentini L’allenatore della Nazionale Svizzera, Vladimir Petkovic. (Keystone)

(N. 45 - Un muscolo triangolare della lingua) 1

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zione ai campionati del mondo, comin- in Coppa Italia e la conquista del trofeo ciando la serie proprio con un successo nella finale contro la Roma. 10 11 sui portoghesi di Cristiano Ronaldo». Nonostante questi risultati, il tecniLa mano del coach Vladimir Petko- co bosniaco non fa l’unanimità in Italia. vic, che svizzera, 12ha iniziato la sua attività in Tici- 13 Lo ingaggia allora la nazionale 14 no, ingaggiato a partire dal 2014, si nota quale successore del tedesco Ottmar assai 15 presto, dopo un apprendistato Hitzfeld. Dopo le17sconfitte in amiche16 quale tecnico iniziato col Bellinzona e vole contro Irlanda e Bosnia, gli altri riproseguito con il Malcantone Agno, il sultati sono onorevoli e promettenti. Il 18 di nuovo il Bellinzona, 19 Lugano, la sua segreto è un cambiamento di rotta. Così carriera prosegue nella massima catego- lo spiega semplicemente Vlado: «Abbiaria con lo Young Boys, mo ritrovato il piacere di giocare a cal20 il «difficile» Sion, seguita da un’esperienza in Turchia con cio, oltre alla volontà e la consapevolezza il Samsunspor, quindi il ritorno in Val- di poterci rifare un nome». Petkovic ha 21 lese e infine con il grande salto di quali- il merito di aver forgiato una squadra tà alla guida della Lazio, dove esordisce unita, messasi già in luce la scorsa estacon una vittoria nel22 derby di campiona- 23 te agli Europei in Francia, anche perché to contro la Roma a cui farà seguito la ben accetto, quale ex giocatore. Nato prestigiosa eliminazione della Juventus nell’agosto 1963 a Sarajevo, possiede tre 24

M E T E O R I T I

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U T I L E

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E N A M N. 47 per GENI C O T A O T R I N E O F I L T R O D E T L O O L A L E N U A

nazionalità: croata, bosniaca e svizzera. Trasferitosi nel 1987 in Svizzera, Petkovic ha giocato quale centrocampista con il Coira, il Sion, il Martigny, l’AC Bellinzona, il Locarno, il Buochs e il Malcantone Agno. «Non dovrei avere allora l’aria ma7 Tu, linconica che tu dici, cara9Michelle. piuttosto, senza il tuo Roger, dovresti essere veramente afflitta». «E invece non lo sono: lo sai oppure no che lo rivedremo presto in campo, riposato e, forse senza 6 acciacchi. Io invece penso che tu sia preoccupato per le tue squadre di hockey e di calcio», taglia corto Michelle. In effet-8 ti è proprio così. L’HC Lugano, Klasen a parte, non convince coi suoi stranieri, insomma i giocatori più cari del gruppo, e fa su e giù dalla riga dei playout. 8 Per5

G D O N N G

U S I L O S L O G E L A R E

1 con il cruciverba 4 Vinci una delle 3 carte regalo da 50 6 franchi SUDOKU PERilGENI - NOVEMBRE/DICEMBRE 201 una dellestudia 2 carte regalo da 50 franchi sudoku 9con 7 (N. 46 - Stare sedutoe mentre diritto) N. 45 per GENI Schema

Cruciverba Qual è il colmo per un avvocato? Troverai la risposta a soluzione ultimata leggendo nelle caselle evidenziate. (Frase: 5, 6, 6, 6, 7)

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Scoprire i 3 numeri 2 corretti da inserire nelle caselle 8 colorate.

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3 4 5 9 7 2 6 1 8 N. 48 SperT2GENI A7 R 6 1 N 8 4 E3 5 9 2 1 5 3 4 8 2 6 1 5 3 7 4 8L 9 O 7 T E S E 3 7 9 1 2 4 3 5 7 9 8 6 1 7 9 4 7 2 95 59 4 I M A 8 3 66D I N 9

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Regolamento per i concorsi a premi pubblicati su «Azione» e sul sito web www.azione.ch

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2 Giochi per “Azione” - Dicembre 2016 9 5 Stefania1 Sargentini

27. Si intreccia con la trama 28. Prefisso che vuol dire orecchio

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M A 9 4 8 6 7 2 4 O R T A G2 4 N. 46 per GENI M E N T A 1 2 3 9 6 8 T E S U T9 4 3 8 R A R T 8 3 9 1 4 2 8 4 7 4 4 O9 R D I7 T O5 1 6

ORIZZONTALI 1. Uccelli simili alle pernici 6. C’è quello da spiaggia 7. Mi seguono in miseria 9. Posta in basso 10. Rintocco di campana 11. Spesso precede il 7 orizzontale 12. Luoghi di apprendimento 13. Un dolce 17. Un sentimento 18. Termine liturgico 19. Lento, indolente 20. Articolo francese 21. Nessuna esclusa 23. Le iniziali dell’attrice Rossellini 24. Vocabolari senza vocaboli 25. Sferici

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L1 2E4 9 7 9 5 2 8 1 6 3 1I 3 O 4 6 I9 8A5 7 3 1 6 R D O 1 21 4 3 5 9 7 58 7 5 E 6 2 8 3D1 4 T 8 4 7 1 9 6 5 2 O 3 6 N 9 7D 1 4 I2 5 2 7 3 5 6 2 8 9 1 O T O 9 1 2 8 4 7 3 6 6

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19. Pronome personale 8 1 4 9 5 6 3 21. Prefisso che vuol dire tre Soluzione della settimana precedente 5 3 7 2 è: 5UN3MUSCOLO 8 4 7 22. Parlò con Mosè sul monte Sinai IL SIGNIFICATO DELLE PAROLE – Il genioglosso (N. 45 Un muscolo triangolare della lingua) VERTICALI 24. Preposizione latina TRIANGOLARE DELLA LINGUA. N. 47 per GENI 1 2 3 4 5 6 7 8 1. Gli amici ne godono reciprocamente 1 26. È detta senza età... 2 3 4 5 6 7 8 9 2. Argomento da sviluppare 2 6 1 7 9 4 M U R E N A 7 M 4U 5S I 10 11 10 3. La9si fa ad un corteo 9 7 8 6 9 7 3 8 5 1 T A L O S E T I C O 12 13 14 4. Astro al tramonto 1 8 5 4 2 6 3 T I N O T R I L O 5. Si11 scontava lontano 15 16 17 12 5 2 6 4 7 8 E L A N 6 E O 7 G E 9L 8. Protagonista di un’opera di Virgilio Vincitori del concorso Cruciverba 18 19 su «Azione 46», del 14.11.2016 10. Primo tratto dell’intestino tenue 7 3 8 9 1 6 O E F I 8 L T R 6A 4R E 5 13 15 S.Valsangiacomo, 16 20 M.Cattaneo, 12. Moreira percussionista14 jazz brasiliano 3 8 1 4 9 3 2 5 G O D E T R 13. Siffatti D.Ruspini 21 8 5 3 9 2 4 8 5 6 3 9 L O O I D O Vincitori del concorso Sudoku 14. Osso 17 del braccio 18 22 23 15. Cosa in latino su «Azione 46», del 14.11.2016 4 6 1 7 5 8 2 T N6 L1 A L 24 16. Torna se ora non c’è... R.Jardini, L.Sonognini 7 19 20 21 3 9 2 1 4 7 I N G E9 N U A 17. Si lava con la lingua

( N. 47 - ... occhi al mondo, circa ventottomila) R A D A R

C C E H I F I 5 3 8 I vincitori A N M O R E N 29 O67 41 N C I L E N E 41 92 53 R E A N E S 6 T8 7 7 1 2 3 I4 9 C E R A E R 8 5 6 V E L O N T N. 48 per GENI (N. 46 Stare seduto mentre studia diritto) 22 I premi, cinque carte regalo Migros Partecipazione 23 online: inserire la luzione, corredata da nome, cognome, è possibile un pagamento in contanti del valore di 50 franchi, saranno sor- soluzione del cruciverba o del sudoku indirizzo, email del 8partecipante avvertiti 4 2I vincitori 6 T 8 9saranno 5 1 7 Odeve U deiTpremi. E7 3 O T A 6R Azione, N E 9 per iscritto. teggiati tra i partecipanti che avranno nell’apposito essere spedita aS«Redazione 24 formulario pubblicato 5 1 Il3 nome 4 2dei 6vincitori 7 8 sarà 9 5 7 fatto pervenire la soluzione corretta sulla pagina del sito. Concorsi, C.P. T 6315, Lugano». pubblicato su «Azione». Partecipazione E 6901 L O S E 8 M 9esclusivamente 7 A 3 1 I5 a lettori 4 L 6 che 2 1 entro il venerdì seguente la pubblica- Partecipazione postale: la lettera o Non si intratterrà corrispondenza suiR riservata I M A D I N 25 1 8in Svizzera. 5 6 4 9 2 3 7 8 legali sono escluse. Non zione del gioco. la cartolina postale che riporti la so- concorsi. Le vie risiedono M A AL U LOE C A R N O 1

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Torn a non la stag dim io i cod entich ne dei b is id ici a barr i racco cotti: g e de l bur liere ro!

Con il burro svizzero un incantevole premio per l’Avvento. <wm>10CAsNsjY0MDQx0TUxMLO0sAAArMhSTw8AAAA=</wm>

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Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 28 novembre 2016 • N. 48

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Politica e Economia Il mondo che verrà Cina, Pacifico e India si ritrovano di fronte all’incognita Trump

Italiani al voto Il 4 dicembre si svolgerà il referendum sulla riforma costituzionale promossa del governo Renzi. Sarà anche un test sul suo operato

Si conclude il Giubileo Il Papa chiude la Porta Santa a San Pietro ma il tempo della misericordia non finisce pagina 33

Cpi sempre più debole Uno dopo l’altro i paesi membri abbandonano la Corte internazionale di giustizia

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L’incontro con Trump al «New York Times» è stato trasmesso in diretta su Twitter. (AFP)

America First

I suoi primi 100 giorni Il Donald Trump presidente si sta già delinenando diverso dal Trump candidato,

anche se il tono delle politiche commerciali si conferma all’insegna del protezionismo, come dimostra la fine dei trattati Ttip e Tpp

Lucio Caracciolo L’avvento di Donald Trump alla Casa Bianca è anzitutto il più grande fallimento dei media mainstream nella storia contemporanea. In particolare del «New York Times» e del «Washington Post», trasformatisi in «Pravda» clintoniana, avulsi dalla realtà del loro stesso Paese. A conferma che l’establishment del Nord-Est, quello che nel Novecento ha guidato l’impero a stelle e strisce, è completamente fuori sesto. Non solo capisce poco il resto del mondo – questa non è novità – ma non ha nemmeno il polso dell’America. L’effetto Trump è figlio anzitutto della crisi della globalizzazione, intesa come crescente interdipendenza economica e commerciale su scala mondiale. L’effetto di retroazione di questa rivoluzione socioeconomica è e sarà ancora la perdita di posti di lavoro nell’Occidente sviluppato, più specificamente negli Stati Uniti d’America. L’abbassamento dei salari, dunque del livello di vita dei ceti medio-bassi, ha provocato la rivolta dei lavoratori bianchi, storica base elettorale del Partito

democratico. Questo, insieme a un senso di saturazione per l’impegno americano nel mondo, ha contribuito a produrre la sconfitta di Hillary Clinton e la vittoria del magnate newyorkese. Ma ora, che presidente sarà Trump? Di sicuro non assomiglierà troppo al candidato Trump. Sia per l’inevitabile senso di responsabilità che la carica impone a chiunque, compresa una personalità così istrionica e imprevedibile come quella del futuro presidente. Sia per l’impatto con la realtà interna e internazionale, che ha poco a che vedere con il mondo dipinto dal candidato repubblicano in campagna elettorale. E soprattutto, infine, per i condizionamenti imposti al presidente americano dagli altri poteri e contropoteri americani: Congresso, Corte Suprema, agenzie e dipartimenti federali, singoli Stati dell’Unione. Sotto il profilo geopolitico e geoeconomico, quali potranno dunque essere le linee guida degli Stati Uniti sotto Trump? Proviamo a delineare un catalogo in cinque punti. Primo: il tono delle politiche commerciali sarà alquanto protezionistico.

La fine annunciata dei progetti obamiani di aree di libero scambio transatlantica e transpacifica – Ttip e Tpp – e le velleità di revisione del Nafta (che saranno probabilmente annacquate dalla reazione di Messico e Canada) indicano la strada. «America First» significa meno esposizione sui mercati mondiali e più controllo – con eventuali barriere daziarie – sul proprio. Le conseguenze geopolitiche di questa doppia ritirata riguardano anzitutto l’Europa e l’AsiaPacifico. Secondo: per quanto concerne il nostro continente, Trump accentuerà la tendenza già da tempo visibile al disimpegno americano, originata dalla vittoria nella Guerra fredda ma anche dalla crescita di quelle componenti della società statunitense – asiatici e ispanici anzitutto – che non hanno particolari vincoli biografici e culturali con l’Europa. La Nato tenderà a diventare sempre più un insieme di accordi strategici bilaterali tra Washington e le singole capitali veterocontinentali. Questo significa lasciare più spazio all’influenza russa in Europa. D’altronde Trump non ha mai trascurato di sottolineare la

sua simpatia per Putin e la sua volontà di trovare un compromesso con Mosca (ma dovrà affrontare l’opposizione del Congresso e del Pentagono). Terzo: sul versante asiatico-pacifico, la fine prematura del Tpp significa maggiore influenza geopolitica ed economica della Cina. Giapponesi e sudcoreani, alleati storici degli Stati Uniti, si sentono più soli. Probabilmente alcuni paesi della regione tenderanno a costruire una propria rete di rapporti indipendente sia da Pechino che da Washington. Ma il peso di Washington nell’area che Obama aveva battezzato decisiva per il futuro del suo Paese – vedi il «pivot to Asia» peraltro mai decollato – sarà minore. Quarto: in termini di sicurezza, la priorità di Trump è il terrorismo jihadista. La nuova amministrazione concentrerà le sue risorse di intelligence e militari per contrastare questo fenomeno ed evitare la ripetizione dell’11 Settembre, stavolta forse con armi di distruzione di massa. Tale indirizzo spiega anche la volontà del prossimo presidente di accedere a un’intesa con la Russia e con tutte le altre potenze di-

sponibili, compresi i regimi autoritari in Medio Oriente e la stessa Cina, per combattere insieme il nemico comune. Tra le intenzioni e la realtà ci sarà probabilmente uno scalino piuttosto alto. Quinto: lo strumento militare americano dovrà essere ammodernato e riprofilato per affrontare questa sfida e continuare a garantire il primato nel mondo, che si fonda sul controllo dei mari e dei cieli. Ma un’attenzione speciale verrà riservata alla guerra cibernetica, nuova e decisiva frontiera strategica. Nelle prossime settimane Trump dovrà dedicarsi al completamento della squadra di governo. Non sarà affatto facile tenere insieme le diverse componenti che vi avranno spazio: destra tradizionale, neoconservatori impenitenti, ultranazionalisti, battitori liberi e imprevedibili. Il rischio è che l’avvitamento della già grave crisi di sfiducia nella politica, che attualmente investe la grande maggioranza dell’opinione pubblica (solo il 18% degli americani pensa che a Washington si faccia qualcosa di utile per il paese) sia la vera eredità che Trump lascerà al suo successore.


Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 28 novembre 2016 • N. 48

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Politica e Economia

Tramonta il «pivot to Asia»

Usa-Pacifico Non è chiaro quale sarà il futuro della politica estera americana nell’Asia orientale, ma la fine del Tpp

significa maggiore influenza geopolitica e economica della Cina e il ridimensionamento dell’alleanza con il Giappone Beniamino Natale John Pomfret, ex-corrispondente da Pechino e autore di due libri sulla Cina – l’ultimo si chiama The Beautiful Country and the Middle Kingdom: America and China, 1776 to the Present – ha raccontato in un articolo sul «Washington Post» di aver partecipato ad una tavola rotonda con esperti cinesi sulla vittoria elettorale di Donald Trump. Pomfret riferisce di aver notato nei suoi interlocutori cinesi, che erano analisti ed ex-diplomatici, una sostanziale «gioia» per l’affermazione a sorpresa del candidato repubblicano. «Alla base di questa gioia – prosegue Pomfret – c’era la convinzione che l’Amministrazione Trump lascerà il Pacifico Occidentale alla Cina, ridimensionerà la sua alleanza col Giappone e con la Corea del Sud e non terrà fede alle promesse fatte in campagna elettorale sull’istituzione di barriere tariffarie alle esportazioni cinesi negli Usa. Forse, ho pensato, i miei interlocutori dovrebbero essere più prudenti nel formulare i loro desideri». L’eccessivo ottimismo degli esperti cinesi di cui parla Pomfret ricorda quello mostrato da alcuni loro colleghi in occasione della crisi finanziaria del 2008, che fu interpretata come un segnale della fine dell’egemonia americana sul Pacifico – e dell’inizio di quella cinese. Nel corso della aspra campagna elettorale che ha visto il presidente eletto opposto alla candidata democratica Hillary Clinton, i media cinesi non hanno perso occasione di sottolineare i toni più polemici e «sopra le righe», gli insulti e le minacce, sottintendendo che la democrazia basata sulle elezioni è inferiore all’autoritarismo cinese, un sistema centrato su un partito unico che difende ferocemente il suo monopolio sulla vita politica e nel quale i dirigenti vengono

scelti per cooptazione dagli «anziani» del partito stesso. Quanto ai due candidati, Trump e Hillary Clinton, il pubblico cinese si è diviso più o meno a metà – proprio come quello statunitense – mentre i dirigenti politici hanno mantenuto il silenzio. Che Hillary non sia mai piaciuta ai dirigenti cinesi non è un mistero. Lei, che quando fu lanciata la nuova formula era segretario di Stato, è considerata responsabile – più del presidente Obama – del «pivot» (letteralmente, il «perno») nel Pacifico, cioè lo spostamento dell’asse principale della politica estera degli Usa dal Medio Oriente all’Asia Orientale, una politica che Pechino osteggia per evidenti ragioni. Inoltre, nessuno ha dimenticato il modo nel quale Hillary gestì nella primavera del 2012 la vicenda del dissidente Chen Guangcheng, che era fuggito dagli arresti domiciliari e si era rifugiato nell’Ambasciata americana, alla vigilia del suo arrivo in visita a Pechino. In quell’occasione, la decisione e l’aggressività della Clinton – che alla fine riuscì a portare Chen negli Usa evitando allo stesso tempo una crisi nelle relazioni tra le due potenze – certamente non piacquero ai massimi dirigenti cinesi. Per le stesse ragioni, la Clinton è ben conosciuta dai dirigenti politici e dagli studiosi cinesi, mentre Trump è un’entità sconosciuta e una prova vivente – secondo la logica del Partito Comunista Cinese – della pericolosità della democrazia politica. Una dettagliata analisi di quello che la presidenza di Trump potrà significare per la Cina è stata elaborata da Robert A. Kapp, uno dei maggiori esperti americani del Regno di Mezzo. «Nel medio e lungo periodo – scrive Kapp – potrebbero emergere alcune “contraddizioni” nella definizione delle politiche americane. Per esempio, Trump ha chiesto

Shinzo Abe è stato il primo leader asiatico a incontrare Trump. (AFP)

a gran voce un incremento delle spese militari, incluso un aumento delle spese per la Marina militare, e non c’è dubbio che l’Asia-Pacifico sia una regione che interessa più la Marina che non l’Esercito o l’Aviazione». D’altra parte, «i suoi (di Trump) collaboratori hanno regolarmente descritto il “perno sull’Asia” di Obama come una politica elaborata malamente e come un fallimento. In qualche modo la nuova Amministrazione dovrà decidere fino a dove vuole spingersi nell’acquisire e impegnare i muscoli che sembra ritenere necessari per affrontare una Cina che, sotto il presidente e segretario del Partito Comunista Xi Jinping ha dimostrato di non essere un’amica degli Usa nella regione dell’Asia Pacifico». Secondo Kapp, «considerando che Trump non sembra avere un senso della storia, coloro che lo consigliano sulla Cina dovranno parlare in modo sem-

plice, e le loro aspirazioni ideologiche e professionali avranno un ruolo inusualmente importante nel determinare il senso delle priorità e delle alternative a disposizione del leader». Non c’è esattamente da stare allegri, almeno stando alle prime nomine decise da Donald Trump. Come Consigliere per Sicurezza Nazionale, The Donald ha scelto l’ex-generale Michael Flynn, un ammiratore di Vladimir Putin che sostiene la necessità di una guerra senza quartiere contro l’estremismo islamico – ma che è amico del presidente turco Erdogan, un sostenitore in funzione anti-curda dello Stato Islamico. Che si sappia, non ha finora espresso opinioni sulla Cina e sull’Asia. Non si conosce ancora il nome del prossimo segretario di Stato ma è noto che un esperto di Cina ascoltato da Trump è il professor Peter Navarro, un economista molto critico verso Pechino

che sostiene il rafforzamento dei legami militari tra gli Usa e Taiwan e, più in generale, della presenza americana nel Pacifico (le sue opinioni sono espresse con chiarezza nel libro Crouching Tiger, pubblicato nel 2015). Ma con The Donald non si sa mai: il presidente eletto ha annunciato che una delle sue prime decisioni sarà quella di seppellire definitivamente la Trans Pacific Partnership (Tpp), il mercato comune del Pacifico promosso da Obama e al quale avevano espresso la loro adesione 14 Paesi americani e asiatici. C’è da scommettere che l’annuncio della fine del Tpp – che, come ha detto il premier giapponese Shinzo Abe «non ha senso» senza gli Usa – sia stato accolto con un brindisi dagli «ottimisti» cinesi incontrati da John Pomfret. Come ha scritto il «New York Times», «non ci sono dubbi» sul fatto che la rinuncia al Trattato apra un grande spazio per l’egemonia della Cina sulla regione. Pechino non potrà infatti non approffitare dell’opportunità offertale dal presidente eletto per rilanciare la sua versione di mercato comune regionale, chiamata Regional Comprehensive Economic Partnership (Rcep). È stato proprio Shinzo Abe il primo leader asiatico e incontrare Trump, nel quale – ha affermato in seguito – ha «piena fiducia». Tra gli altri leader regionali alcuni, come il filippino Rodrigo Duterte e il malese Najib Razak, hanno accolto con favore la vittoria di Trump, sperando che sia meno intransigente del suo predecessore sui diritti umani. I più «pragmatici», come il singaporeano Lee Hsien Loong, la sudcoreana Park Geun-hyen e il thailandese Prayuth Chan-ocha, si sono limitati a rilasciare fumose dichiarazioni sulla volontà e la necessità di collaborare con la nuova Amministrazione.

Un presidente «amichevole» con New Delhi India-Usa Narendra Modi e The Donald potrebbero diventare alleati in funzione anti-cinese e anti-pakistana Francesca Marino «Noi siamo nazionalisti indiani, lui è un nazionalista americano: soltanto lui ci può capire». Così aveva dichiarato all’indomani dell’elezione di Donald Trump a quarantacinquesimo presidente degli Stati Uniti un gruppo di appartenenti all’RSS indiano, discussa organizzazione di estrema destra. I gruppi di militanti tra rulli di tamburi festanti e distribuzioni di dolci ai passanti erano scesi per festeggiare la vittoria del neo-presidente convinti, come molti in India, che la vittoria di Trump inaugurerà una stagione di più stretta vicinanza tra New Delhi e gli Stati Uniti e una ulteriore frattura tra Washington e Islamabad. Guarda caso, a finire da subito nell’occhio del ciclone, per essersi recati alla Trump Tower a rendere omaggio al controverso presidente eletto, sono stati difatti tre uomini d’affari di Mumbai soci in affari dell’ineffabile Donald. Secondo indiscrezioni varie, i tre avrebbero discusso prima col neopresidente e poi con i suoi figli la possibilità di espandere ulteriormente la partnership indiana della Trump Organization. Che Donald Trump avesse de-

Azione

Settimanale edito da Migros Ticino Fondato nel 1938 Redazione Peter Schiesser (redattore responsabile), Barbara Manzoni, Manuela Mazzi, Monica Puffi Poma, Simona Sala, Alessandro Zanoli, Ivan Leoni

gli affari in India non era un segreto per nessuno, visto che in campagna elettorale aveva lui stesso più volte raccontato in pubblico dei suoi trascorsi immobiliari a Mumbai e dintorni e si era più volte affannato a dichiarare che grazie a lui «India e Usa avranno insieme un formidabile futuro». Così, con uno dei giri di valzer a cui il miliardario presidente ci aveva abituato durante la campagna elettorale, The Donald metteva da parte una volta per sempre mesi di polemiche e di dichiarazioni infuocate nei confronti dell’India e degli indiani tutti. Colpevoli a suo dire di fornire, ovviamente a imprenditori del suo stesso genere, riserve potenzialmente illimitate di lavoratori a basso costo e, di conseguenza, di portar via il lavoro a tanti buoni americani bianchi e disperati. Fino a quel momento, la comunità indiana negli Stati Uniti, che aveva per due volte contribuito a eleggere Obama, aveva dichiarato quasi compatta l’intenzione di votare per Hillary Clinton. Qualcuno, però, deve aver fatto notare a Trump che i voti della comunità, che non è per niente sparuta, non erano per

nulla da disprezzare e che i suddetti voti sarebbero quasi certamente andati alla Clinton: visto che tradizionalmente gli indiani immigrati hanno sempre sostenuto il partito democratico. Detto fatto, The Donald ha cambiato rotta, e l’ha cambiata da par suo arrivando anche a sfiorare le vette del più sublime ridicolo: come quando nell’impeto di dichiararsi «un grande amico dell’India» ha detto di essere anche «un grande fan degli Hindu» suscitando in India e non solo un’ondata di indignazione e di ilarità per aver confuso una delle religioni praticate in India con la nazionalità indiana. Con il senno di poi, però, probabilmente Trump sapeva bene ciò che diceva: tanto da mandare la nuora Laura a celebrare la festa di Diwali nel maggior tempio induista degli Stati Uniti, dove la ragazza ha dichiarato di apprezzare «veramente tanto la religione e la cultura hindu». Così, cavalcando l’onda del nazionalismo indiano che dall’elezione di Modi non accenna a scemare, The Donald ha centrato l’obiettivo. E la percezione di Trump come leader più «amichevole» verso l’India e i suoi va-

lori di quanto non sarebbe stata Hillary Clinton non ha fatto che crescere. In India difatti, fatta eccezione per la classe di intellettuali progressisti, l’elezione di Trump è stata in generale salutata con favore da una maggioranza più o meno trasversale. Shalabh Kumar, consigliere di Trump per quanto riguarda gli americani di origine indiana all’indomani del voto ha dichiarato che: «India e Usa saranno i migliori degli amici, non soltanto le nazioni ma anche i due rappresentanti, Trump e Modi». E Modi non ha aspettato un minuto a congratularsi con Trump, dichiarando su Twitter: «Non vedo l’ora di lavorare con te a stretto contatto per portare a nuove vette i rapporti bilaterali tra India e Usa». Kumar, nelle sue dichiarazioni, ha aggiunto che spera di veder raddoppiare l’ammontare degli scambi commerciali tra i due Paesi, e che si aspetta da Trump un inasprimento della lotta al terrorismo e pieno sostegno per i «bombardamenti chirurgici» indiani in Pakistan. A pesare sul voto degli indiani di nazionalità americani è stata, difatti, certamente l’intenzione di Trump di

tagliare le tasse a imprenditori e commercianti. Ma anche, fanno notare alcuni osservatori, la vicinanza della Clinton a Huma Abedin: che è musulmana e che viene percepita come «molto vicina ai pakistani» nonostante il padre della signora sia indiano di nascita. Le dichiarazioni di Trump a proposito di terrorismo islamico e del Pakistan che lo sostiene, hanno avuto una grande importanza nell’orientare il voto degli indiani e sulla percezione di Trump in India, e riflettono anche il cambio di atteggiamento, più aggressivo e interventista in politica estera dell’India negli ultimi sei mesi. New Delhi potrebbe trarre un enorme vantaggio dal rimescolamento dei pezzi sulla scacchiera geopolitica e dai nuovi orientamenti di Washington. Le strategie economiche di Pechino e gli accordi cinesi con Islamabad preoccupano sia l’India che gli Stati Uniti. Il ri-bilanciamento dei poteri farebbe il gioco dell’India, che da anni aspetta una posizione più decisa da parte americana per contrastare l’espansione cinese e le aggressioni pakistane. E a Islamabad a quel punto non rimarrebbe che stare a guardare.

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Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 28 novembre 2016 • N. 48

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Politica e Economia

Un voto su Renzi?

Referendum La riforma costituzionale promossa dal governo

italiano prevede fra l’altro la modifica del Senato e la fine del bicameralismo

Il mandato più difficile

Angela Merkel La cancelliera tedesca

si ripresenta alle elezioni del 2017

Alfredo Venturi Marzio Rigonalli

A Caserta una delle ultime campagne di Renzi per il sì. (AFP)

i mercati finanziari sono in fibrillazione, un successo del no farebbe schizzare verso l’alto il famigerato spread, il differenziale fra i rendimenti dei titoli pubblici italiani e tedeschi. Cioè il termometro della febbre finanziaria che affligge l’Italia, prostrata da una congiuntura che sta uscendo troppo lentamente dalla crisi e da un debito mostruoso. Anche oltre frontiera si prospettano scenari inquietanti, il «Financial Times» arriva a prevedere, in caso di vittoria del no, l’avvio di un processo che porterebbe all’uscita dell’Italia dall’euro. Chi avversa la riforma contesta tutto questo e fa notare che i mercati, come è accaduto per due eventi ai quali erano state collegate prospettive altrettanto apocalittiche, la Brexit e l’elezione di Donald Trump alla presidenza degli Stati Uniti, finiscono sempre con l’adattarsi al fatto compiuto. A pochi giorni dal voto i sondaggi rivelano che prevale il no, ma vanno presi con le molle, anche perché c’è una massa di incerti che alla fine potrebbero rivelarsi decisivi. Per conquistarli, le due parti non lesinano gli sforzi. Renzi spedisce ai cittadini residenti fuori dai confini una lettera con cui li invita a votare sì. La mossa è controversa, si parla d’indebita ingerenza, per di più è dubbia la regolarità del voto all’estero, al punto che si minaccia un ricorso nel caso risultasse decisivo. Sono più di tre milioni di elettori potenziali, se riuscisse a mobilitarli potrebbero effettivamente garantirgli il successo. Li invita anche a collegarsi a un sito di informazioni sulla riforma, ma qui incappa in un bizzarro infortunio, notato quando le lettere ormai sono partite. C’è un refuso nell’URL del sito, un bastaunsi ridotto a bastausi, un comitato di fautori del no se ne impadronisce reindirizzando il collegamento alle proprie pagine. L’esortazione del presidente è così accompagnata da tutte le ragioni possibili e immaginabili per non dargli retta. Il risultato del referendum dipenderà in larga misura dall’affluenza al voto: vincerò, dice Renzi, se voterà almeno il sessanta per cento degli elettori. Intanto cerca di assecondarne le tendenze. Per esempio attacca l’Unione Europea, la cui popolarità è in declino nonostante la recente attenzione alle necessità del Paese colpito da un devastante terremoto e da una inarrestabile marea di profu-

ghi. Fa rimuovere la bandiera europea dietro la sua scrivania, salvo poi pentirsene e dichiarare che la bandiera resta, ma «l’Europa deve cambiare». Intanto emerge quello che qualcuno chiama «patriottismo costituzionale», una sorta di senso d’identità che induce a rifiutare ogni ritocco alla «Costituzione più bella del mondo», come la definì a suo tempo, illustrandone il testo, l’attore e regista Roberto Benigni. Ma oggi Benigni è schierato con il sì, a chi gli fa notare la contraddizione risponde che la Carta più bella del mondo è tale anche perché è emendabile. La campagna elettorale si avvia alla conclusione in un crescendo di toni fortemente emotivi. Secondo Grillo il fronte del sì è un serial killer, perché «uccide il futuro dei nostri figli». Renzi lo invita a occuparsi piuttosto di un caso di firme false esploso in Sicilia a carico dei 5 Stelle. Di fatto, il referendum è pieno di contenuti estranei al suo oggetto. All’interno del Pd l’ex primo ministro Massimo D’Alema e l’ex segretario Pier Luigi Bersani si dichiarano per il no, portando al calor bianco le tensioni nel partito. Silvio Berlusconi sembra incerto fra una futura intesa con un Renzi indebolito dalla possibile sconfitta e una stretta alleanza con il leghista Matteo Salvini. Quest’ultimo, galvanizzato dall’esito del voto americano, contende a Grillo l’etichetta di «Trump italiano» e si dice pronto a candidarsi per il centro-destra alla presidenza del consiglio. Come no, se Trump va alla Casa Bianca, perché non Salvini a Palazzo Chigi? La scorsa primavera il capo della Lega ebbe un singolare incontro con il magnate newyorchese. I due furono fotografati a Wikes-Barre, Pennsylvania, mentre sorridendo si stringevano la mano. Più tardi Trump negò di avere avuto un colloquio con il politico italiano: una foto come tante, spiegò. Situazione simile un anno fa, quando Salvini andò a Mosca preannunciando un incontro con Vladimir Putin, altro suo modello di riferimento, ma dovette accontentarsi di interlocutori di rango più modesto. Ora punta a superare le frustrazioni internazionali traendo il massimo profitto dall’auspicata vittoria referendaria, incurante di tutti coloro che pur votando esattamente come lui lo faranno, per dirla con Montanelli, «turandosi il naso».

A dieci mesi dalla fine del suo terzo mandato, Angela Merkel è scesa in campo per dichiarare la sua disponibilità ad assumere un quarto mandato. La sua candidatura verrà confermata fra pochi giorni dal congresso del suo partito, la CDU, e trova il consenso anche dell’alleato conservatore bavarese, la CSU. Dopo quasi dodici anni passati alla guida del governo tedesco, la cancelliera si proietta dunque verso i record di permanenza al potere detenuti da due suoi predecessori, pure membri della CDU: 14 anni per Konrad Adenauer (1949-1963), il primo cancelliere eletto dopo la Seconda guerra mondiale, e 16 anni per Helmut Kohl (19821998), il suo padre politico. La decisione di voler affrontare un quarto quadriennio ha un forte impatto sul piano interno, ovviamente, ma anche a livello internazionale. Sul piano interno, Angela Merkel può appoggiarsi su situazioni e dati che le sono chiaramente favorevoli. Innanzitutto, l’assenza di forti competitori, sia all’interno del suo partito che tra le altre formazioni politiche. I principali rivali della CDU, i socialdemocratici, non hanno ancora designato il loro candidato, ma non hanno un leader capace di mettere in difficoltà la cancelliera. Tra gli altri partiti, i Verdi, i Liberali, la Sinistra e l’Alternativa per la Germania (AfD), non emerge una personalità che possa puntare alla guida del governo. In secondo luogo, un bilancio economico positivo. La disoccupazione è bassa, i salari aumentano, le finanze pubbliche sono in ordine e le prospettive risultano incoraggianti. Infine, Angela Merkel può ancora contare su un buon tasso di popolarità. Secondo l’ultimo sondaggio più della metà dei tedeschi auspica che rimanga alla guida della Germania. Il percorso verso le nuove elezioni, però, non sarà una passeggiata. La stessa cancelliera ha dichiarato che sarà difficile, più difficile delle tre precedenti elezioni. Per più motivi. Un po’ perché la sua gestione dell’immigrazione – un misto di idealismo e di pragmatismo – ha creato molto scon-

AFP

«Contro di me un’accozzaglia», dice Matteo Renzi, e la frase rivela una condizione inedita per il presidente del consiglio: l’uomo abituato ad affrontare gli ostacoli con un plateale trionfalismo stavolta è costretto sulla difensiva. Proprio mentre celebra i primi mille giorni del suo governo vede avvicinarsi con qualche affanno la scadenza del 4 dicembre. Quel giorno gli italiani saranno chiamati a votare sulla riforma costituzionale che un’insufficiente maggioranza non ha potuto varare in parlamento: un insieme di modifiche alla Carta che vanno dalla sostituzione del Senato con un’assemblea più ridotta nominata dai consigli regionali all’accentramento di alcune competenze oggi affidate alle regioni, fino all’abolizione del Consiglio nazionale dell’economia e del lavoro, organo consultivo del governo. Gli obiettivi: assicurare governabilità accelerando le procedure decisionali, ridurre i costi della politica. La controparte ribatte che queste modifiche sottrarrebbero sovranità al popolo dando troppo potere a chi governa, soprattutto se non si cambia la legge elettorale. Renzi promette: ma certo, faremo la nuova legge, intanto date via libera alla riforma. Ma l’«accozzaglia» di cui parla il presidente (che dopo il vespaio suscitato da questa definizione si è affrettato a scusarsene) non ci sta e insiste sulle sue ragioni, mentre nei talkshow si azzuffano politici e giuristi e i giornali si divertono a individuare i sì e i no fra la gente della cultura e dello spettacolo. Contrasta il disegno di Renzi una moltitudine dalle assortite provenienze politiche. Si va dal Movimento 5 Stelle di Beppe Grillo, pronto a intestarsi l’eventuale vittoria del no, alla Lega di Matteo Salvini, da ciò che resta di Forza Italia alla minoranza antirenziana del Partito democratico, dalla destra neofascista fino a vari gruppi di sinistra. Le formazioni politiche sono tutt’altro che compatte. Non è diviso soltanto il Pd, ci sono berlusconiani sordi all’invito del loro capo, che li esorta a votare contro, e persino leghisti, come il sindaco di Venezia Luigi Brugnaro, che scelgono il sì. In realtà le motivazioni non si concentrano esclusivamente sul merito della riforma. Qualche mese fa Renzi legò le sue sorti politiche all’esito del referendum: se vince il no me ne vado. Forse sopravvalutava la portata della minaccia: fatto sta che cominciò a farsi strada, puntualmente fotografata dai sondaggi, la propensione a votare no proprio per sbarazzarsi di Renzi. Sensibile agli umori popolari, si accorge dell’errore e corregge il tiro: ho sbagliato a personalizzare il referendum. Ma poi si getta a capofitto nella campagna elettorale, ignorando il possibile effetto saturazione che potrebbe rendere controproducente la sua massiccia presenza sulle reti televisive, e colloca di nuovo la sua persona, il suo destino politico, al centro della contesa. Inoltre attribuisce alla scelta referendaria un valore palingenetico. Si vota, proclama, per il domani dell’Italia, senza riforme il nostro Paese è privo di futuro,

tento che poi si è tradotto in alcune sconfitte elettorali regionali. La più simbolica è stata quella avvenuta il 4 settembre nel Meclemburgo-Pomerania-Anteriore, il feudo elettorale della Merkel, dove la CDU è arrivata terza, preceduta dall’SPD, prima, e dall’AfD, seconda. Un po’ perché i rapporti con la CSU, l’alleato bavarese, rimangono tesi proprio a causa dell’immigrazione. La CSU continua a chiedere maggiore intransigenza e un tetto massimo di 200mila immigrati all’anno. Infine, un po’ perché la cancelliera dovrà far fronte all’onda populista che è arrivata anche in Germania con l’AfD. Questo partito di estrema destra è sulla scena politica soltanto da tre anni, ma è già presente in dieci dei sedici parlamenti regionali ed i sondaggi prevedono che possa diventare la terza forza politica del paese. Resta quindi da vedere se Angela Merkel, forte della sua esperienza e dei buoni risultati che ha ottenuto fin ora, riuscirà a superare questi ostacoli, ai quali bisogna aggiungere anche il bisogno di un rinnovamento dei dirigenti politici presente nella popolazione. A livello internazionale, la scelta fatta dalla cancelliera tedesca rappresenta un fattore di stabilità in una scena piena di conflitti, di contrasti e di incognite. Angela Merkel appare come l’unico leader che possa rendersi garante dell’unità europea. Intorno a lei vi sono capi di Stato, di governo o di partito, deboli, populisti o su una rotta autocratica. La Russia ha Putin, la Turchia Erdogan, l’Ungheria Orban, la Francia Hollande, immerso in una situazione di grande debolezza, la Gran Bretagna Theresa May, ormai concentrata sulla Brexit, l’Italia Renzi, alle prese con una lunga serie di problemi interni, e poi ci sono diversi leader populisti che bussano alla porta del potere, come Marine Le Pen in Francia, Geert Wilders in Olanda, o Norbert Hofer in Austria. A questo quadro poco stimolante si è aggiunta l’incognita Trump, ossia la più totale incertezza su quelle che saranno le scelte internazionali, politiche, militari ed economiche del nuovo presidente americano. Visti dall’Europa i problemi che vanno risolti nell’immediato futuro sono giganteschi. Bisogna gestire il flusso dei migranti, trovare una soluzione alla Brexit, difendere l’euro, contenere l’espansionismo militare russo, tutelare la posizione politica ed economica del Vecchio Continente sul piano internazionale, e preservare le relazioni tra l’Europa e gli Stati Uniti. Queste relazioni, soprattutto, sono fondamentali per il futuro del nostro continente. Sono in gioco non soltanto una solida alleanza militare e intensi scambi economici, bensì anche una forte comunità di valori legati alla democrazia e alle libertà individuali. E la cancelliera tedesca sembra l’unica in grado di risolvere o perlomeno di cercare soluzioni adeguate a tutti questi problemi. Annuncio pubblicitario

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Politica e Economia

Quella porta resta aperta

Si conclude il Giubileo N ella cerimonia di chiusura dell’Anno Santo il Papa ha voluto «aprire» sul tema dell’aborto:

non declassando la pratica dell’interruzione di gravidanza ma sostenendo che non esiste peccato che la misericordia di Dio non possa raggiungere Giorgio Bernardelli Che papa Francesco non sia un uomo dai copioni scontati l’avevamo capito già da tempo. Ma che la notizia più importante del Giubileo della misericordia sarebbe arrivata il giorno dopo la sua conclusione, neanche il più ferrato dei suoi tanti biografi avrebbe potuto prevederlo. Mentre infatti – compilando il bilancio dell’Anno Santo – eravamo tutti impegnati a discutere sulla cifra dei 21 milioni di pellegrini (con annessa delusione degli albergatori romani) o sulla vittoria di Donald Trump alle elezioni americane (il candidato oggettivamente più lontano dalla visione del mondo di papa Francesco), lui dal cilindro ha tirato fuori una lettera apostolica che anziché chiudere una porta la riapre. E non una porta qualsiasi, ma quella sul tema più lacerante nel rapporto tra la Chiesa cattolica e le società post-cristiane: la questione dell’aborto. È bene innanzi tutto chiarire i termini della questione: non è vero che nella lettera apostolica Misericordia et Misera, il documento reso noto lunedì 21 novembre, vi sia un’apertura da parte della Chiesa nei confronti della pratica dell’interruzione volontaria di gravidanza. «Vorrei ribadire con tutte le mie forze che l’aborto è un grave peccato, perché pone fine a una vita innocente», premette in maniera inequivocabile Bergoglio, nel passaggio della lettera che più ha destato scalpore. «Con altrettanta forza – prosegue però – posso e devo affermare che non esiste alcun peccato che la misericordia di Dio non possa raggiungere e distruggere quando trova un cuore pentito che chiede di riconciliarsi con il Padre». Ed è partendo da questa motivazione che il Papa, dunque, ha deciso di rendere stabile una facoltà già concessa durante l’Anno Santo a tutti i sacerdoti: quella di dare il perdono sacramentale a chi nella confessione si pente per aver scelto o procurato un aborto. Un cambiamento al diritto canonico, che tuttora inseriva l’interruzione di gravidanza tra quelle colpe di particolare gravità che solo il vescovo (o un suo delegato) avevano la facoltà di rimettere, una volta accertato l’effettivo pentimento.

Bergoglio non cambia la dottrina della Chiesa riguardo all’aborto: l’elenco degli interventi in cui papa Francesco ha definito l’interruzione di gravidanza «un omicidio», espressione della stessa «cultura dello scarto» contro cui si scaglia quando denuncia i muri e le chiusure nei confronti dei poveri, sarebbe noiosamente lungo da riportare. Procurare un’interruzione di gravidanza resta un peccato gravissimo per la Chiesa e sbaglia chi ritiene che con la novità introdotta da Misericordia et Misera venga declassato. Come pure sbaglia chi si illude che questa nuova impostazione porterà a un ammorbidimento da parte del Vaticano rispetto alla questione dei medici obiettori di coscienza, che si rifiutano di praticare l’aborto. Ma ciò che cambia e in maniera profonda è l’atteggiamento con cui Francesco invita la Chiesa a guardare alla morale cristiana. L’aborto diventa in qualche modo il caso paradigmatico del primato della misericordia sulla norma: Dio è sempre pronto a riaccogliere tutti, non c’è peccato dal quale un cuore pentito non possa tornare indietro. A dire il vero di per sé neppure questa sarebbe una grande novità: c’è scritto nel Vangelo. Ma nel corso della sua storia la Chiesa ha teso a mettere in primo piano la sua autorità nel dettare le condizioni per concedere questo perdono. E le regole del magistero e del diritto canonico si sono moltiplicate. Ora invece Francesco – nel suo indicare una nuova radicalità e un ritorno alle origini del messaggio di Gesù come risposta alle ferite del mondo di oggi – segna un ulteriore ridimensionamento del ruolo della Chiesa gerarchica. Appare sempre più chiaro che quando lui invoca «una Chiesa povera per i poveri» non parla solo della questione delle ricchezze; parla anche di una Chiesa che non sta su un piedistallo a comminare giudizi dall’alto, ma si riconosce essa stessa povera, peccatrice e dunque bisognosa di vivere ogni relazione con l’uomo di oggi all’insegna della misericordia. C’è tutto questo dietro la scelta compiuta da papa Francesco sull’aborto. Scelta paradigmatica: basti pensare ai milioni di cattolici che negli Stati

Settantamila persone hanno assistito al rito della chiusura della Porta Santa in piazza San Pietro. (AFP)

Uniti poche settimane fa hanno votato Donald Trump prendendo fondamentalmente la posizione del politico rispetto a questa materia come principale criterio di giudizio. Bergoglio dice: la misericordia di Dio vale anche per la colpa che vi abbiamo insegnato essere la più grave. Ed è interessante notare che innovando le norme del diritto canonico su questa materia il Papa compia una scommessa molto grande sui singoli sacerdoti a cui è restituito pienamente il compito di essere volto della misericordia di Dio. Questo nonostante tutti gli scandali, gli abbandoni, a volte anche le crisi di identità che il clero oggi vive. Francesco non è ingenuo: questi fenomeni li conosce bene. Non a caso nell’ultimo venerdì dell’Anno della misericordia, con uno dei suoi soliti gesti che dicono più di mille parole, è

andato a visitare alcune famiglie di ex sacerdoti che hanno lasciato il ministero. Allo stesso tempo, però, sa anche che senza un clero che torni ad essere più vicino alla gente, deciso ad accompagnare più che a puntare il dito, la sua riforma della Chiesa resterà comunque lettera morta. E allora spinge sull’acceleratore nel chiedere ai suoi preti di non essere una casta, ma – come ama dire lui – «pastori con l’odore delle pecore». Si tratta, però, di un passaggio che non è indolore per il cattolicesimo di oggi. E proprio il Giubileo della misericordia lo ha mostrato con chiarezza. Perché papa Francesco insiste su questo messaggio; ma il mondo intero – dalla Siria a Wall Street – continua ad andare nella direzione opposta. Bergoglio predica l’accoglienza, ma ovunque aumentano la paura e i muri, non solo

metaforici. Vanno per la maggiore le leadership che praticano il pugno di ferro, le risposte muscolari non solo alla violenza dilagante, ma anche alle domande che vengono dall’uomo di oggi. C’è una gran voglia di ordine oggi in circolazione, che è l’esatto opposto della misericordia. Viene dunque da chiedersi se non sia solo una bella utopia quella che papa Francesco si ostina a predicare. Ed è un malumore che serpeggia in maniera sempre più scoperta anche dentro alcuni settori della Chiesa. L’Anno Santo è stato segnato dalla lunga battaglia intorno alla questione della riammissione all’Eucaristia per i divorziati risposati, questione sulla quale – dopo due Sinodi dei vescovi – Bergoglio ha risposto nell’esortazione apostolica Amoris Laetitia con lo stesso criterio che ora propone per l’aborto: la misericordia prima della dottrina, ma anche preti che seguano le singole situazioni una per una. Si tratta però di una soluzione fortemente contestata da chi è terrorizzato dall’idea di una Chiesa disposta a mettersi in discussione davanti a ogni singola storia. C’è chi dice che così si genera solo «confusione» tra i fedeli, in un mondo in cui la tentazione di costruirsi una fede a propria immagine e somiglianza è già molto forte. È un’ala che non comprende solo il cerchio più ristretto dei cattolici tradizionalisti e che nelle ultime settimane ha trovato un’eco clamorosa nella lettera aperta in cui quattro cardinali, guidati dalla statunitense Raymond Leo Burke, hanno posto ufficialmente al Papa quattro «dubbi» su Amoris Laetitia e sul suo modo di intendere il rapporto con le norme morali proposte dalla Chiesa. Misericordia et Misera è una risposta anche a questo: papa Francesco dice con molta chiarezza che lui non torna indietro. Il Giubileo che si è concluso non è stato l’apoteosi di Bergoglio, ma la formulazione più chiara della sua sfida. Il percorso di un papato che per ritrovare l’incontro con il mondo di oggi ha scelto la strada più difficile: una radicalità controcorrente, destabilizzante a 360 gradi. Troppo fedele al Vangelo di Gesù? Annuncio pubblicitario

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Politica e Economia

Si combatte in Africa il futuro della giustizia

Cpi Uno dopo l’altro i paesi membri che avevano aderito alla Corte penale internazionale hanno detto basta.

E sono tutti africani

dell’Aia. Subito dopo si è infatti accodato il Gambia. Si teme che il Kenya, l’Uganda, la Namibia possano seguire. L’emorragia africana potrebbe lasciare la Corte pericolosamente indebolita e in rapida perdita di credibilità. Innescare quella che la sudafricana Thuli Madonsela, rispettatissima ex capo dell’autorità anticorruzione, ha definito «una dinamica malsana».

Pietro Veronese Nei tempi incerti e poco rassicuranti che stiamo vivendo, c’è un altro pilastro dell’ordine internazionale che scricchiola. Non ne è forse una delle colonne portanti, ma è l’espressione della speranza che esista una giustizia universale, superiore ai singoli Stati, capace di riconoscere ai popoli i diritti che tiranni, usurpatori e signori della guerra fanno di tutto per negare. La Corte Penale Internazionale, con sede all’Aia, in Olanda, esiste da meno di quindici anni e ha pronunciato la sua prima, storica sentenza soltanto nel 2012. Eppure oggi diversi Stati, che dapprima vi avevano aderito, la stanno abbandonando e rischiano di dare il via a un fuggifuggi che lascerebbe la Corte screditata e svuotata. La personalità più in vista del tribunale, il suo pubblico ministero, che è la zambiana Fatou Bensouda, ammette che c’è un «arretramento» ma continua a dichiararsi ottimista e convinta che la Corte sopravviverà. Lo ha ribadito di recente in un’intervista alla BBC, eppure proprio il suo Paese è tra quelli che hanno deciso di ritirare la propria adesione a questa suprema istanza della giustizia internazionale.

Il 16 novembre è stata la Russia ad abbandonare la corte. Mosca rimprovera a questa istituzione mancanza di indipendenza L’ultimo Stato a fare un passo indietro, in ordine di tempo, è la Russia di Putin. La Russia aveva sottoscritto nel 2000 lo Statuto di Roma, la Carta fondatrice della Corte Penale Internazionale, ma non l’aveva mai ratificata e dunque non era membro a pieno titolo della Corte. Adesso, dopo essere stata chiamata in causa per quella che il tribunale ha definito «occupazione in atto» della Crimea, la penisola ucraina del Mar Nero che la Russia si è di fatto annessa, ha interrotto il processo di adesione. La Corte è «unilaterale e inefficiente», ha proclamato il ministero degli Esteri di Mosca, e Vladimir Putin ha ordinato di restarne fuori. Poiché la Russia non era un mem-

L’annuncio del Sud Africa ha avuto l’effetto di un terremoto ed è la minaccia più reale per il futuro della Corte

La sede della Corte penale internazionale all’Aia, Paesi Bassi. (Keystone)

bro a pieno titolo, e nemmeno tra i finanziatori tribunale internazionale, il suo gesto ha un valore più che altro simbolico. È un segnale politico. In fondo anche gli Stati Uniti, dopo aver aderito sotto la presidenza Clinton, hanno fatto marcia indietro all’epoca della presidenza di George W. Bush. Anche Israele, come pure il Sudan, hanno ritirato la loro firma iniziale. E la Cina, l’India non ne hanno mai voluto sapere. La giurisdizione della Corte Penale Internazionale, pur riconosciuta da 124 Stati, è dunque ancora lungi dall’essere universale (ricordiamo che i Paesi membri dell’Onu sono 193). Ma quello che è accaduto nelle ultime settimane è qualcosa di nuovo: Paesi che avevano entusiasticamente aderito alla Corte hanno detto basta. E c’è un altro fatto sorprendente: sono tutti africani. Il primo ad andarsene è stato il Burundi. Un Paese piccolo e di scarso peso internazionale. L’anno scorso il presidente burundese Pierre Nkurunziza aveva imposto ai suoi concittadini un referendum per modificare la Costituzione e ottenere così la propria rielezione. Questa mossa politica, condannata da tutte le istanze internazionali, ha gettato la nazione centroafricana nel disordine, ferocemente represso dalle

forze di sicurezza. Oppositori, giornalisti, dissidenti sono stati incarcerati o uccisi. La Corte dell’Aia ha avviato una procedura a carico, il cosiddetto «esame preliminare». Questo basta a spiegare la contromossa di Nkurunziza, sempre più intollerante di qualsiasi sanzione internazionale al proprio operato. Anche in questo caso, come sarebbe poi accaduto con la Russia, c’era una logica in qualche modo prevedibile: la giustizia internazionale va benissimo, finché si occupa di qualcun altro. La vera sorpresa, invece, doveva ancora venire. In ottobre è stata infatti la volta del Sud Africa. E l’annuncio che il Paese di Nelson Mandela e della lotta pluridecennale contro l’apartheid aveva deciso di lasciare la Corte Penale Internazionale ha avuto l’effetto di un terremoto. È arrivato a freddo: nessuno se l’aspettava. Il Sud Africa ha una delle legislazioni più avanzate al mondo in materia di diritti dell’individuo e delle minoranze, la sua Costituzione è spesso citata come un modello. Il fatto che decidesse di non riconoscere più la giurisdizione dell’Aia in materia di crimini di guerra e contro l’umanità ha lasciato tutti a bocca spalancata. «Il segretario generale è rimasto completa-

mente scioccato», ha riferito una fonte delle Nazioni Unite riferendosi alla reazione di Ban Ki Moon. In passato, il Sud Africa aveva avuto da ridire con la Corte dell’Aia. Il predecessore di Fatou Bensouda, l’argentino Luis Moreno Ocampo, aveva incriminato il presidente sudanese Omar al Bashir per crimini di guerra commessi in Darfur e aveva spiccato contro di lui un mandato di arresto. Tempo dopo, al Bashir era stato ricevuto in Sudafrica, dove le autorità si erano ben guardate dall’eseguire il mandato. Bashir se ne era potuto tranquillamente ripartire, ma un tribunale locale aveva aperto un procedimento contro il governo per mancato rispetto degli impegni internazionali. Il presidente sudafricano Jacob Zuma non aveva affatto gradito. E infatti il motivo addotto per l’abbandono della Corte Internazionale è che le sue disposizioni impedirebbero al Sudafrica di svolgere il ruolo di mediatore e negoziatore di pace al quale è chiamato dal suo peso nel contesto continentale africano. La mossa sudafricana è una minaccia reale per la Corte Penale Internazionale. Il Sud Africa non è il Burundi: rischia di fare da battistrada a molti Stati che non gradiscono l’ingerenza

L’Unione Africana è divisa sul ruolo della Corte Penale Internazionale. Il motivo è semplice. Sebbene la Corte abbia avviato indagini preliminari su molti Paesi del mondo, dall’Afghanistan alla Colombia, tutti quelli andati effettivamente a processo sono solo e soltanto africani. Repubblica Democratica del Congo, Repubblica Centrafricana, Sudan, Uganda, Mali e altri. Di qui un’accusa di parzialità. Per citare il ministro dell’Informazione del Gambia (il cui presidente è indagato), la Corte «perseguita e umilia la gente di colore, e in special modo gli africani». Il fronte dei contrari è guidato dal presidente del Kenya Uhuru Kenyatta (indagato in passato insieme al vicepresidente William Ruto). All’ultimo vertice dell’Unione Africana si è discusso, senza esito, di una possibile fuoriuscita in massa dalla Corte Internazionale. La decisione sudafricana è apparsa come un effetto ritardato di quella discussione e una possibile mossa concordata con altri capi di Stato a cui Zuma si sarebbe offerto di fare da battistrada Ma l’annuncio sudafricano ha fatto anche uscire allo scoperto molti sostenitori del tribunale internazionale, che hanno chiesto al Sud Africa di ricredersi e hanno ribadito la loro convinta adesione alla Corte dell’Aia. Costa d’Avorio, Nigeria, Senegal, Sierra Leone, Malawi, Tanzania, Zambia, Botswana… Così come molti comitati di «saggi» composti da ex capi di Stato o alte personalità. Il futuro della giustizia internazionale è oggi al centro di una battaglia, e questa battaglia si combatte in Africa. Annuncio pubblicitario

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Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 28 novembre 2016 • N. 48

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Politica e Economia

«Interessi negativi», leitmotiv della finanza nel 2016 La consulenza della Banca Migros Albert Steck I tassi negativi stravolgono i principi basilari dell’economia. Inoltre colpiscono la Svizzera più di gran parte degli altri paesi. Per questo motivo una giuria di esperti finanziari l’ha eletto leitmotiv della finanza svizzera nel 2016.

Albert Steck è responsabile delle analisi di mercato e dei prodotti presso la Banca Migros

Ciò che si è verificato sui mercati finanziari contraddice il buon senso: il debitore ottiene capitale dal creditore e per questo viene addirittura pagato. A trarne vantaggio sono soprattutto gli Stati, che per la prima volta guadagnano denaro con i propri titoli di debito. I tassi d’interesse negativi favoriscono dunque i debitori e penalizzano i risparmiatori, con la conseguenza di una massiccia ridistribuzione del reddito. I mancati interessi guadagnati mettono in difficoltà soprattutto le casse pensioni, che non sono più in grado di garantire le prestazioni promesse. Con l’introduzione dei tassi negativi le banche centrali hanno adottato uno strumento ancora sconosciuto di politica monetaria, nell’intento di stimolare l’economia in affanno per le conseguenze della crisi finanziaria. Percorrendo queste nuove strade, danno tuttavia adito a interrogativi sostanziali: che cosa comporta lo strapotere delle banche centrali per l’economia? Come cambia un’economia se il tasso

La giuria è composta di cinque persone: lo scrittore Michael Theurillat, il fondatore di finews.ch Claude Baumann, l’ex banchiere Oswald Grübel, la professoressa Sita Mazumder e l’economista Albert Steck della Banca Migros.

d’interesse non riesce più a svolgere la sua funzione di coordinamento? I tassi negativi dove raggiungono la «soglia del dolore», che innesca una fuga generalizzata nella liquidità? Questi interrogativi sono particolarmente importanti per il nostro paese, poiché la Banca nazionale svizzera (BNS) è andata oltre tutti gli altri paesi portando il suo attuale tasso di riferimento al meno 0,75 percento. Così vuole impedire un’eccessiva rivalutazione del franco. La Svizzera è dunque diventata

un «laboratorio» sotto gli occhi del mondo, che attende di conoscere gli effetti degli interessi negativi. Per il momento non sappiamo se questo esperimento di politica monetaria sia già arrivato al limite. Il Fondo monetario internazionale (Fmi) consiglia alla BNS di ridurre ulteriormente i tassi. Con la scelta di «interessi negativi» come leitmotiv della finanza svizzera nel 2016 la giuria vuole contribuire a un ampio dibattito sulle conseguenze dell’attuale politica monetaria. Tra

queste si annovera anche il rischio che le valute e il sistema monetario perdano di credibilità nel lungo termine. Dall’introduzione delle cosiddette valute cartacee, che non sono più vincolate a una riserva come l’oro, la fiducia della società nell’ordine monetario è l’unica garanzia della sua stabilità. E questa fiducia deve essere difesa. Che cosa pensate dei tassi negativi? Partecipate al dibattito all’indirizzo www.blog. bancamigros.ch! Annuncio pubblicitario

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Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 28 novembre 2016 • N. 48

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Politica e Economia

La protesta dei dipendenti pubblici

Piani di risparmio Manifestazioni in molti cantoni contro le riduzioni di personale e stipendi. Globalmente però

il personale aumenta, mentre i gettiti delle imposte rallentano Ignazio Bonoli I piani di risparmio, allestiti con il preventivo 2017 tanto dalla Confederazione, quanto dai Cantoni e da alcuni grossi Comuni, comportano in qualche caso anche un aumento dei tempi di lavoro e una riduzione degli stipendi. Questa evoluzione ha generato un movimento di protesta presso i dipendenti e i loro sindacati, che in parte si riferiscono anche al temuto ridimensionamento di alcuni compiti dello Stato. A Zugo ha suscitato clamore la protesta contro il «meno Stato» avanzata con un manifesto che ritraeva due poliziotti in uniforme che riferivano della chiusura di posti di polizia. L’episodio è un’evidente testimonianza della situazione di tensione che regna in alcuni cantoni. A Ginevra, la protesta dei poliziotti si è limitata a non portare la cravatta durante il servizio in manifestazioni ufficiali, a entrare in servizio con la barba lunga, a non infliggere contravvenzioni. Anche in altri cantoni si denuncia il peggioramento delle condizioni di lavoro presso l’ente pubblico. Nel canton Argovia, persino i docenti sono scesi in strada per protestare contro lo smantellamento nella scuola e per salari migliori. Particolarmente tesa è la situazione nel canton Lucerna, dove i pacchetti di risparmio si susseguono a ritmo serrato e dove i sindacati denunciano il governo di

violazione dell’accordo di collaborazione firmato nel 2009. Il sindacato chiede ora un contratto generale di lavoro per tutti i dipendenti statali. Contratto che per il momento è in vigore dal 2005 solo nel canton Soletta, con buoni risultati. Anche altri cantoni pensano comunque di muoversi in questa direzione, distanziandosi dal pensiero politico degli anni Settanta che aveva portato alla soppressione dei contratti generali di lavoro. Questo perché le condizioni di lavoro sono molto diverse da un settore all’altro e i dipendenti dello Stato godono già di condizioni particolari, adeguate spesso alle singole funzioni. In Ticino però i sindacati si muovono ancora in questa direzione, dopo le restrizioni salariali imposte nel 2013. Tra le lamentele più frequentemente avanzate fra i dipendenti pubblici vi è anche quella della riduzione del personale. Un esame statistico globale indica però che, negli ultimi 20 anni, il personale pubblico non è diminuito, ma è aumentato. Vi sono ragioni evidenti per questa evoluzione, come un aumento di personale con elevata formazione, le necessità maggiori nelle cure della salute, e in genere un aumento dei servizi, ragioni che però provocano un aumento molto più pronunciato che nel privato. L’aumento di personale è particolarmente evidente a partire dagli anni Duemila, mentre prima del 1990 era

molto più contenuto nel settore pubblico. Gli aumenti maggiori, oltre che nel settore della salute e anche a causa dell’invecchiamento della popolazione, sono constatabili proprio nel settore della formazione. Dal 1999 al 2015, il numero di docenti, secondo l’Ufficio federale di statistica, è passato da 155’000 a 210’000, compresi gli istituti privati. Nel settore della salute, in 25 anni, il personale occupato è salito da 160’000 a 470’000 dipendenti a tempo pieno. Se vogliamo considerare l’aumento nel settore pubblico e para-pubblico, constatiamo che in vent’anni l’occupazione è passata dal 19 al 25% del totale. L’aumento di questo settore è stato del 30%, mentre nel secondo e terzo settore dell’economia svizzera ha raggiunto appena il 20%. Le statistiche si riferiscono a cifre globali per tutta la Svizzera e non tengono in considerazione situazioni particolari, tanto meno in cantoni e comuni. Il trend è comunque generale e per cantoni e comuni può anche significare l’assunzione di nuovi compiti delegati dall’ente superiore. Le statistiche, ma non solo quelle globali, dicono però che il personale dello Stato (a tutti i livelli) è in continuo aumento. Anche i salari, che sono in molti casi superiori a quelli dell’economia privata, tendono ad aumentare o, in casi eccezionali, a diminuire leggermente. Un effetto importante è

Proteste ad Aarau l’8 novembre 2016 contro i risparmi e i tagli previsti nel settore scolastico, nell’amministrazione pubblica e fra i dipendenti statali. (Keystone)

dato dall’adeguamento al rincaro. In questi anni in cui è mancato si è avuta l’impressione di una diminuzione del potere d’acquisto, che invece statisticamente è aumentato. Lo stesso dicasi del carico di lavoro, che nel pubblico viene facilmente compensato, anche in tempi in cui nel privato si chiedono ore gratuite. È questa situazione che preoccupa i governanti, soprattutto cantonali, i quali si vedono costretti ad aumen-

tare le imposte in un contesto in cui si dovrebbero diminuire, mentre la voce salari cresce regolarmente. In Ticino, per esempio, le imposte delle persone fisiche, da anni, non coprono più le spese correnti dello Stato. Quasi ovunque si verificano situazioni che obbligano alla ricerca di contenimenti di spesa, che si cerca di ripartire dove possibile, ma senza escludere, laddove possibile, anche qualche sacrificio per il personale. Annuncio pubblicitario

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Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 28 novembre 2016 • N. 48

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Politica e Economia Rubriche

Il Mercato e la Piazza di Angelo Rossi Il lungo declino della piazza finanziaria ticinese La banca amministra il credito e il risparmio. Nelle condizioni moderne della produzione capitalistica della banca non si può fare a meno. In futuro può darsi che si affermi il denaro digitale e che la banca diventi semplicemente un’azienda online. Non siamo ancora arrivati a tanto. Certo però che al modesto cliente che sono io si stringe il cuore quando oggi, in quel di Zurigo, entro nella sede principale o in una delle filiali maggiori della mia banca, e, al posto degli sportelli, trovo dei «concierges» che gentilmente mi domandano che cosa desidero per poi pilotarmi, nei piani alti, verso uno o l’altro consulente. Se desideri solamente prelevare dei soldi devi ovviamente servirti del Bancomat. Questa lunga introduzione per dire che la banca di oggi non è più quella di 30 anni fa e quella del 2050 sarà appena, appena, confrontabile con quella di oggi. Fino a qualche anno fa, gli economisti pensavano che, in un’eco-

nomia avanzata il numero delle banche e degli sportelli bancari fosse funzione della dimensione della popolazione e dell’effettivo delle aziende attive nella regione nel quale gli istituti sono localizzati. Poi la banca, specie quella di grande dimensione, è diventata sempre più un’azienda esportatrice di denaro e di servizi, il che ha permesso a nuove piazze finanziarie di svilupparsi in relazione ai servizi che potevano offrire a clienti stranieri. In Svizzera è stato questo il caso specialmente di Lugano che, tra il 1960 e il 1990, è diventata una piazza finanziaria di importanza nazionale se non addirittura internazionale. A partire dagli anni Novanta, però, il settore finanziario svizzero è in via di ridimensionamento. Si tratta di un fenomeno che ha per lo meno dimensioni europee ed è attribuibile al forte aumento della concorrenza che comprime i margini di guadagno delle banche e le obbliga a ridurre costantemente i costi. Sorvolia-

mo poi sulla miseria che rendono i tassi di interesse. Le cifre pubblicate nell’annuario dell’Associazione bancaria ticinese per il 2015 ci permettono di stabilire l’ampiezza di questo ridimensionamento. Dal 2001 al 2015, a livello nazionale, il numero degli istituti bancari si è ridotto del 28 per cento, mentre gli effettivi del personale si sono mantenuti più o meno al medesimo livello. Per effetto di queste tendenze, l’effettivo di personale per istituto è passato da 14 a 20 impiegati, con un aumento del 42 per cento. A queste constatazioni si può aggiungere che a far le spese del ridimensionamento a livello nazionale sono state spesso le piccole filiali disperse nei borghi degli agglomerati o nei piccoli centri della campagna e delle valli. Accanto a una tendenza al ridimensionamento del settore e dei singoli istituti abbiamo quindi anche una tendenza alla concentrazione geografica degli stessi. Non sorprende quindi consta-

tare che, in una zona relativamente periferica come il Ticino, le tendenze al ridimensionamento siano state più marcate. Dal 2001 al 2015, il numero degli istituti si è ridotto del 35 per cento, mentre gli effettivi del personale hanno segnato una diminuzione del 28 per cento. L’aumento della dimensione media degli istituti è stato in Ticino solamente dell’8 per cento. Stiamo assistendo a una vera e propria ritirata del settore bancario dal nostro cantone. Ce lo dimostra anche l’evoluzione del tasso di localizzazione. Questo tasso è un rapporto tra due rapporti. Al numeratore ha il rapporto tra la percentuale di occupati nel settore bancario e assicurativo in Ticino e il totale degli occupati dell’economia ticinese, e al denominatore il rapporto tra gli addetti nel settore bancario e amministrativo in Svizzera e il totale degli occupati dell’economia nazionale. Un valore superiore a 1 di questo rapporto significa che il settore considera-

to è particolarmente concentrato nella regione di studio. Più alto è il valore di questo rapporto e maggiore è la quota di servizi esportata dal settore considerato. Se il valore è inferiore a 1, invece, il settore si limita a offrire servizi alla regione nella quale sono localizzati i suoi istituti. Nel 1950, il tasso di localizzazione per il settore bancario e assicurativo ticinese era pari a 1.29. Già allora, quindi, questo settore operava per clienti non residenti in Ticino. Nel 1980, il valore del tasso in questione era salito a 1.59, il che voleva dire che il suo orientamento verso l’esterno era ancora aumentato. I dati del 2013 ci dicono per contro che il tasso di localizzazione per banche e assicurazioni ticinesi è ora disceso a 1.15. La dimensione sovraregionale della piazza finanziaria ticinese continua ad esistere, ma sta purtroppo riducendosi, anno per anno, come una «peau de chagrin».

quelle più aperte al mondo e quelle, ahinoi, meno rappresentative dell’umore degli americani) e sui social come un urlo di guerra mentre ancora il conteggio dei voti continua a dare spazio a chi non ci vuole stare. Hillary Clinton ha vinto due milioni di voti in più circa rispetto a Trump, il voto popolare la consacra presidente, e a nulla serve ricordare – nella Bolla, s’intende – che il presidente degli Stati Uniti non è eletto dal popolo, ma da quei grandi elettori che ora vedono i proprio nomi circolare nei forum e nei siti dell’indignazione con appelli più o meno minacciosi: voi potete ancora fare qualcosa, voi potete ribaltare tutto, boicottare Trump, mandare alla Casa Bianca chi ha vinto il voto popolare. Si tratterebbe di un semigolpe, ma tant’è: tutto è meglio rispetto a quattro anni di imprevedibilità al potere. I leader democratici si muovono lungo questa linea scivolosa, tra la tentazione di rifiutare la vittoria di Trump e

il necessario – ancorché infruttuoso – dialogo con il presidente repubblicano. Mentre Trump si mostra «magnanimo» nei confronti dei dolori hillaryani e rinuncia alla via forcaiola contro di lei – quella del «Lock her up», mettetela in galera, che ha animato tutti i comizi e la stragrande parte del merchandising trumpiano: se si guardano i social, molti fan del prossimo presidente non sono affatto d’accordo nel deporre le armi giudiziarie contro l’ex first lady – il Partito democratico cerca di ritrovare la sua identità, lasciando per l’intanto a Barack Obama l’onere di fare da garante anche nel futuro del rispetto per le istituzioni e per la leadership americana. L’indignazione aleggia anche tra i leader democratici: c’è chi minaccia battaglie epocali al Congresso, chi spera in qualche occasione di impeachment, ma i numeri come si sa stanno dalla parte dei repubblicani, in modo consistente. Così Elizabeth Warren

e Bernie Sanders, custodi dell’ala più radicale dei democratici, quella in cui oltre all’indignazione si è convinti che con Sanders candidato non ci sarebbe stata storia contro Trump (non si sa bene sulla base di quali dati questa tesi sembri tanto plausibile), si incaricano di trasformare la rabbia della sconfitta in richieste di responsabilità da parte del presidente: rivedremo i termini della proposta del Partito, dicono, ma non ne lasceremo passare una a Trump. Come questo possa accadere è ancora da vedere, dal momento che gli sconfitti devono dotarsi di una nuova leadership – Keith Ellison del Minnesota pare il favorito per la guida del Democratic National Committee – e al contempo di una nuova offerta politica. Nel frattempo si regolano i conti e si prova a non alienarsi la piazza che, a dispetto della confusione assoluta, è molto chiara: peggio della vittoria di Trump c’è soltanto la volontà di accettarla come definitiva.

comunque sempre marginale, con pochi voti e pochi eletti. In Ticino dopo il 1945 iniziò la sua seconda vita come Partito Operaio e Contadino. Uno degli esponenti di spicco fu Virgilio Gilardoni, che dopo gli studi alla Cattolica di Milano (seconda metà degli anni 30, nell’atmosfera del fascismo trionfante) e dopo una parentesi patriottica, divenne redattore del settimanale «Il Lavoratore» e corrispondente dalla Svizzera per il quotidiano del Pci «L’Unità». A causa di questa militanza, il giovane intellettuale locarnese incontrò non pochi ostacoli; la sua passione di sceneggiatore e regista fu osteggiata, le sue numerose proposte di collaborazione con case editrici respinte. Fu insomma vittima di un tacito «Berufsverbot», un’esclusione da incarichi professionali che certamente non contribuì ad addolcire il suo già spigoloso carattere. Tuttavia la sua operosità non conobbe soste. Ammirevole la sua produzione scientifica, come scopritore di fondi archivistici e come storico dell’arte.

La fondazione, nel 1960, del periodico «Archivio Storico Ticinese» aprì alla storiografia ticinese una nuova stagione, in stretto rapporto con l’editore Libero Casagrande. Gilardoni riportava alla luce momenti dimenticati e personaggi «incomodi», ma soprattutto trasmetteva una tensione civile introvabile nelle ricerche dei colleghi. Inconfondibile la sua prosa, precisa e insieme vibrante, venata di passione. Una voce, la sua, dissonante, spesso contro corrente, intransigente, che l’odierno comitato redazionale della rivista ha voluto ripercorrere, almeno in parte, durante una giornata di studio in occasione del centenario della nascita («Ripartire da Gil», Mendrisio, lo scorso 12 novembre). Gilardoni ha lasciato un patrimonio di scritti e di carte imponente, non ancora del tutto esplorato. Materiali preziosi che un domani permetteranno di tornare su quei decenni agitati del dopoguerra con animo sereno, «sine ire et studio». Non per condannare, ma per capire.

Affari Esteri di Paola Peduzzi Accettare la vittoria Prendere le misure del presidente Donald Trump: questa è l’attività più impegnativa per leader internazionali, diplomatici, politici americani, commentatori. Il prossimo inquilino della Casa Bianca non ha abbandonato i suoi toni diretti e umorali – e Twitter resta il suo strumento di comunicazione privilegiato – mentre tenta di dare una forma alla sua prossima Amministrazione. Alcune nomine ci sono già state, altre sono in discussione: Trump deve mettere d’accordo il Partito repubblicano e soprattutto sé stesso, e mentre il mondo si divide tra chi crede in un’imminente normalizzazione del neopresidente e chi la esclude con certezza, diventa più facile immaginare che nemmeno lui stesso sappia ancora da che parte pendere. Tra mani tese agli amici più fedeli – in Europa spicca Nigel Farage, leader ad interim dell’Ukip, al quale Trump avrebbe offerto il posto di ambasciatore britannico negli Stati Uniti, come se fosse una scelta

sua e non del governo di Londra, che infatti ha risposto piccato che non se ne parla proprio – e assestamenti politici sulle questioni sollevate durante la campagna elettorale (il muro col Messico, l’accordo sul clima, per esempio), Trump insiste sul suo dare voce alle contrarietà americane nei confronti del mondo e nei confronti dei poteri forti. Non ci si capisce granché, ma è la novità di avere uno showman alla Casa Bianca, dicono i più rassicuranti, «enjoy the suspense». C’è però chi non riesce proprio a divertirsi e anzi continua a sperare che la presidenza Trump poi non accada davvero. I comici hanno già identificato nella «Bolla» questo mondo di indignazione permanente, in cui non si accetta nulla: non la normalizzazione di un candidato al di fuori degli schemi, ma nemmeno la sua stessa elezione. Le proteste continuano, lo slogan «not my president» compare nelle piazze (delle città più grandi degli Stati Uniti,

Cantoni e spigoli di Orazio Martinetti Essere comunisti ai tempi di Stalin e Chrušcëv Sessant’anni fa, nell’autunno del 1956, migliaia di profughi magiari – si dice 20mila persone – trovarono ospitalità e soccorso nella Confederazione. L’insurrezione anti-sovietica di quei giorni non ebbe scampo di fronte ai blindati con la stella rossa inviati dal Cremlino per soffocare le proteste di piazza. L’accoglienza, nelle città elvetiche, fu calorosa: confermava la malvagità di un sistema che a Budapest aveva rivelato il suo vero volto, quello di un regime dispotico, ottuso, repressivo, ostile a qualsiasi riforma. Gli affiliati al partito comunista svizzero – rinato nel dopoguerra sotto il nome di Partito del Lavoro – divennero bersaglio di una martellante campagna denigratoria. Gli intellettuali più in vista vennero messi alla berlina come agenti al servizio di Mosca. La «Neue Zürcher Zeitung» pubblicò sulle sue pagine l’indirizzo di uno di loro, il libraio e storico dell’arte Konrad Farner: «abita a Thalwil alla Mühlebachstrasse n. 11». La sera stessa una turba di esagitati si

radunò sotto casa al grido di «impiccatelo! impiccatelo!». Alcuni tentarono di sfondare la porta. Solo la presenza di spirito della moglie, che riuscì a sbarrare l’ingresso procurandosi un travicello, permise di evitare il peggio. L’indomani i giornali parlarono di banali «tafferugli». Di fatto, per evitare ulteriori aggressioni, Farner decise di nascondersi in Ticino. Per la stampa comunista elvetica, il tumulto di Thalwil fu un atto paragonabile ai «pogrom», le spedizioni antisemitiche nell’Europa dell’Est. Oggi, per le giovani generazioni, risulta difficile farsi un’idea di quegli anni: un’epoca di contrapposizioni radicali e inconciliabili, che non lasciava spazio a posizioni intermedie, dubbi ed incertezze. Bisognava scegliere e schierarsi: o si stava con il capitalismo o con il comunismo: Occidente contro Oriente, libertà contro servitù, democrazia contro partito unico. Una terza via non era data. Non bisogna naturalmente osservare,

e giudicare, quel periodo con il senno di poi, con gli occhi dell’era post ’89. Per capire quell’onda emotiva occorre calarsi nel clima creato dalla guerra fredda. L’Unione Sovietica era considerata una valida alternativa al sistema capitalistico: una concorrente seria, sia in campo economico, con la pianificazione pluriennale, sia in campo industriale e tecnologico (esplorazione dello spazio). La «grande guerra patriottica» e l’occupazione di Berlino avevano conferito a Stalin un enorme prestigio come «padre dei popoli» e tutore della pace mondiale. Scrittori anche celebri e apparentemente privi di paraocchi avevano magnificato le conquiste sovietiche, i progressi compiuti dopo la rivoluzione, l’impalcatura sociale del paese. Oggi ci chiediamo come fu possibile un simile abbaglio collettivo. La risposta è probabilmente da ricercare nel potere dell’ideologia oltre che nelle seduzioni della propaganda. Sul piano nazionale e nei diversi cantoni, il movimento comunista rimase


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Cultura e Spettacoli Il mondo di Nag L’omaggio fotografico (ma non solo) di Davide Stallone all’artista ticinese Nag Arnoldi

Carmelo Rifici al Purgatorio Un pubblico entusiasta ha accolto la nuova prova scenica di Carmelo Rifici al LAC: un Purgatorio di valore

Diaframma, fascino d’antan Federico Fiumani dei Diaframma incontrerà i suoi fan allo Studio Foce di Lugano

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Il Booker va negli USA Per la prima volta il prestigioso premio letterario è andato a un americano, se lo è aggiudicato Paul Beatty pagina 53

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Betye Saar, Uneasy Dancer, immagine della mostra. (Foto Roberto Marossi, Courtesy Fondazione Prada)

Una danzatrice incerta Mostre Betye Saar alla Fondazione Prada di Milano Gianluigi Bellei … dadi, coltellini, orologi, pipe, chiavi, penne, foto, ventagli, collane, lucchetti, farfalle, ricami, capelli, guanti, bottoni, cammei, crocefissi in bronzo, clessidre, pesci in ceramica, perline… Betye Saar ha compiuto da poco novant’anni. Espone alla Fondazione Prada di Milano. Forse pochi la conoscono, ma negli Stati Uniti è una celebrità. Ha ricevuto parecchi diplomi ad honorem da diverse università; le sue opere figurano nelle collezioni permanenti di più di sessanta musei fra i quali il Museum of Modern Art e il Metropolitan Museum of Art di New York; al suo lavoro sono state dedicate personali al Whitney Museum of American Art di New York e al San Francisco Museum of Modern Art. L’esposizione milanese, curata da Elvira Dyangani Ose e intitolata Uneasy Dancer, ovvero la danzatrice incerta, riunisce più di 80 opere realizzate fra il 1960 e il 2016. Quattro pareti circolari racchiudono le sue scatole, le sue valigie, le sue gabbie al cui interno si trovano oggetti di tutti i giorni che raccontano la sua storia e quella della comunità afroamericana. Un lungo viaggio nella memoria a volte graffiante, a volte

ridicolo, a volte aggressivo ma sempre sul filo di lana della storia e dei ricordi degli antenati africani e degli odierni immigrati in America. Il progetto della mostra, scrive la curatrice in catalogo, riflette le tre componenti della pratica artistica di Saar e cioè la sua militanza nel Black Arts Movement, «l’uso celebrativo di icone che rinviano al rituale e alla spiritualità» e il suo «approccio pionieristico al pensiero del cosiddetto Femminismo Nero». Certo Los Angeles, la sua città, era percepita come il luogo delle opportunità, fino al 1965 quando è diventata il teatro della più grande rivolta afroamericana dell’epoca; scatenata da una semplice contravvenzione. Prima di questa ribellione il pensiero di Saar è stato influenzato dall’immigrato italiano Simon Rodia che ha costruito le Watts Towers. Trentatré anni durarono i lavori, dal 1921 al 1954, durante i quali Rodia assembla materiali di scarto come conchiglie, vetro, piastrelle per creare quelle diciassette torri eclettiche, una alta fino a trenta metri, in un quartiere disagiato di Los Angeles. Noah Purifoy un anno prima delle sommosse organizza una mostra sulla falsariga delle Watts Towers, ovvero con le opere degli artisti invitati eseguite con materiale

di scarto, per dimostrare che «l’istruzione fondata sulla creatività è l’unico modo rimasto per ritrovare l’individuo in un mondo materialista». Saar non partecipa all’esposizione ma ne rimane colpita. Le torri scatenano la sua immaginazione e la sua voglia di indagare il mistero. La spiritualità e i culti religiosi sono infatti alla base del suo operato; insieme ai rituali e all’attenzione verso il mondo femminile. Black Girl’s Window del 1969 è un grande pannello rettangolare diviso in dieci riquadri. In ognuno vengono rappresentati le stelle, i soli, le lune, e uno scheletro danzante, ma soprattutto nella parte più grande in basso troviamo il contorno di una testa femminile tutta nera dalla quale risaltano due occhi blu. Gli occhi blu nei volti dei neri, come scrive in catalogo Richard J. Powell, indicano «una visione spirituale e soprannaturale» che assieme allo scheletro, simbolo della morte, sono i temi sui quali lavora Saar. … biglietti di invito, collane, mappamondi, semi di albicocca, corde, candele, stelle, piccioni, orologi, piccoli fucili, bussole, coltellini, piccoli violini, cotone, tombole, bilance, ceri… L’artista oltre a oggetti di uso quotidiano utilizza anche fotografie. Vec-

chie immagini sbiadite che in genere ritraggono afroamericani nella loro iconografia spicciola oltreché nelle visioni degradanti tipiche dei cimeli razzisti. Molte fotografie sono un’eredità della prozia Hattie Parson Keys. In Record for Hattie del 1975 Saar le fa un omaggio inserendo in una scatola una foto e gli oggetti raffiguranti l’amore dell’artista verso la famiglia: un cuore, una clessidra, un puntaspilli, un giro di perle, una foto… Nel 1979 Houston Conwill intervista Saar per la rivista «Black Art» e la definisce una «somma sacerdotessa». Oramai viene da più parti considerata tra gli artisti maggiormente importanti del momento e diversi musei le dedicano significative personali. I suoi assemblaggi diventano sempre più grandi sino al 1977, anno nel quale inizia il progetto Mti Receives che prevede la partecipazione del pubblico alle sue installazioni. I visitatori lasciano i loro oggetti accanto a quelli dell’artista e, di conseguenza, interagiscono con la sua vita e quella degli altri. Il passato come cerimonia e il presente come valore, così Saar fa della creazione artistica un rituale nel quale la traccia, la ricerca, il prelievo, il riciclo e infine

il rilascio dell’opera sono la procedura del suo lavoro. Nell’invito alla mostra del 1980 Rituals. The art of Betye Saar allo Studio Museum di Harlem l’artista scrive: «Dal passato/Residui di cerimonie/Perdute/Il mistero che si scioglie/ E si svela/Emergere/Dall’ombra/Per affrontare/L’ignoto./Purificazione». …piroghe, piume, uova, corvi, gabbie, uccelli, uomini neri, totem, serpenti, spade, scheletri di piedi, coccinelle, ex voto, mani di Fatima, quadrifogli, denti di squalo, pellicce, occhi, lune… Mostra intrigante, come il luogo e i personaggi eccentrici che lo frequentano; soprattutto i giovani. Allestimento simpatico. Catalogo particolare, curato da Irma Boom. Accanto si possono visitare una selezione di opere di Edward Kienholz e Nancy Reddin Kienholz, con la sua «arte della repulsione» e la retrospettiva dedicata William N. Copley che include più di 150 opere. Dove e quando

Betye Saar. Uneasy Dancer, Fondazione Prada, Milano. A cura di Elvira Dyangani Ose. Fino all’8 gennaio 2017. Catalogo Fondazione Prada. www.fondazioneprada.org


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Cultura e Spettacoli

La docile irrequietezza dell’essere Personaggi Il ritratto di Nag Arnoldi attraverso gli scatti di Davide Stallone

Alessia Brughera Per un fotografo è sempre suggestivo entrare nell’atelier di un artista, varcare la soglia di uno spazio così intimo, luogo di meditazione e di creazione, per poter immortalare i dettagli che raccontano di un mestiere affascinante. Così è stato anche per il ticinese Davide Stallone, penetrato nella fucina di Nag Arnoldi per restituire attraverso i propri scatti il ritratto di un maestro che, fin dal loro primo incontro alla Fonderia Perseo di Mendrisio, lo ha conquistato grazie al suo animo schietto e alla sua autenticità. Nelle istantanee nate dalla frequentazione dello studio di Comano, esposte in questi giorni nelle sale del Ristorante Atenaeo del Vino a Mendrisio, Stallone ha saputo cogliere con naturalezza le pose e le espressioni dell’artista, movenze strappate allo scorrere del tempo per delineare la sua fisionomia interiore.

Le suggestive immagini in bianco e nero sembrano raccogliere intere narrazioni Ciascuna immagine in bianco e nero sembra racchiudere un’intera narrazione: vediamo Arnoldi toccare con gesto paterno una delle opere, quasi accarezzandola, o apprestarsi con mano esperta a plasmare un bozzetto o, ancora, rivolgere verso l’obiettivo del fotografo uno sguardo in cui la consapevolezza della propria arte si unisce a un inaspettato quanto spontaneo stupore. Dimora in questo sguardo l’uomo ricettivo e profondo che ha fatto del lavoro di artista uno strumento per irrompere nell’esperienza del mondo, incalzando ricordi, passioni ed emozioni. Riflessivo ma inquieto, silenzioso ma animato da una forte tensione che lo ha spinto a insinuarsi nell’intricata trama dell’esistenza lungo tutto il proprio cammino, Arnoldi ha esplorato le ragioni dell’essere a partire da sé stesso e dal suo vissuto quotidiano, in una tenace ricerca individuale volta a dare un senso alla tortuosa vicenda umana. Fin dagli esordi negli anni Cin-

quanta, il suo processo creativo ha sempre preso avvio dal pensiero, per poi acquistare concretezza attraverso una perizia esecutiva che col tempo ha trovato nella tecnica scultorea il mezzo privilegiato con cui manifestarsi. Allo stesso modo Arnoldi ha sempre nutrito le considerazioni che hanno accompagnato la sua evoluzione artistica con richiami alle personalità a lui più affini, a cominciare da Picasso, maestro di libertà e sperimentazione, fino ad arrivare ad Alberto Giacometti, a cui è vicino nell’ineluttabile anelito a indagare le sorti dell’umanità. Intrise non meno della sensibilità espressionista, che sfocia nella turbolenta incisività dei volumi, e arricchite dal dialogo con la cultura figurativa sudamericana, a conferire loro immediatezza comunicativa, le sculture di Arnoldi portano con sé una vitalità interiore che nasce dal

Alcune intense immagini realizzate nell’atelier di Nag Arnoldi. (Davide Stallone)

potente contrasto tra le superfici levigate che contengono le forme e la materia accidentata che le infrange. Il dissidio tra armonia e irrequietezza, tra dominio e irruenza abita ogni lavoro dell’artista: i suoi bronzi vivono di lucentezze e di ritmi eleganti sconvolti da torsioni sfrenate, da profili taglienti e da accentuate contrapposizioni chiaroscurali. L’universo figurale di Arnoldi è costituito da pochi soggetti che si ripresentano di continuo, testimonianza del bisogno dell’artista di un costante approfondimento delle tematiche che meglio riescono a tradurre la sua visione del mondo. Gli imperturbabili guerrieri dai corpi tormentati e dai volti celati dalle armature si accostano al ricco campionario di animali dal grande dinamismo e dalle pose ardite, i possenti minotauri dalla primigenia forza selvaggia si affiancano alle opere sacre dall’intensa drammaticità, in uno spazio in cui storia e memoria, etica e passione si fondono per dare forma alla complessità esistenziale. Se ancora oggi, a quasi novant’anni, Nag Arnoldi prosegue l’intimo colloquio con sé stesso per sondare con la sua scultura la sostanza del visibile è per il suo saper immergersi come uomo, prima ancora che come artista, nelle discrepanze della vita, nelle fenditure dell’esperienza umana dove l’equilibrio è corroso dall’impulso, e dove la tensione emozionale sa farsi carico del sussultare incessante dell’anima. Dove e quando

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Cultura e Spettacoli

Due modi di tradurre la letteratura sul grande schermo

Una ricetta a base di principi vegetali contro il naso chiuso. Sinupret extract libera.

Cinema Dall’Italia le letture

®

di Marco Bellocchio e Michele Placido

Una scena di Fai bei sogni, in basso 7 minuti.

*** Fai bei sogni di Marco Bellocchio, con Valerio Mastandrea, Bérénice Bejo, Fabrizio Gifuni, Guido Caprino, Emmanuelle Devos, Pier Giorgio Bellocchio, Piera Degli Esposti, Roberto Herlitzka (Italia 2016)

Non a caso la poetica di Marco Bellocchio continua a illuminare il panorama del cinema italiano dal 1965 di I pugni in tasca. E una volta ancora, già dall’incipit di Fai bei sogni, risalta la prima delle sue qualità, la semplicità. Il rigore di uno sguardo che ci guida subito all’essenziale; la scelta del dettaglio che permette allo spettatore di entrare immediatamente in sintonia con la situazione, i personaggi, i sentimenti, anche quelli più intimi. Appropriandosi dell’autobiografia di qualcun altro (il bestseller del giornalista della «Stampa» Massimo Gramellini), facendola sua seppur forse in parte diffidandone, Bellocchio l’ha tradotta in immagini che sembrano in bilico. Il registra si muove fra le tentazioni del cuore di una vicenda dall’evidenza emotiva quasi ovvia e l’esigenza razionale di distaccarsene ogni qualvolta l’emozione arrischia di straripare. È a quel punto che si dà spazio a un processo in cui l’ironia viene dissacrata, o addirittura si ricorre al fantastico, in un universo di ombre profonde dal quale il regista (che può contare sulla fedele presenza della fotografia di Daniele Ciprì, sul montaggio di Francesca Calvelli e sulle musiche di Carlo Crivelli) sa sempre estirpare il faticoso ritorno alla realtà dei personaggi. Fai bei sogni, nella sua modalità di esprimerli, non può che aderire a questa duplicità dei sentimenti. Da un lato vi è l’elaborazione crudele di un lutto, con la conseguente fatica di accettare le convenzioni sociali, con la ferita mai rimarginata del protagonista (interpretato da Valerio Mastandrea) dopo la perdita della madre a soli nove anni. Quindi il suo tardivo, quasi improbabile successo professionale, che comporterà un’evoluzione nei toni del film, dall’intimismo anche angoscioso degli spazi privati alle immagini pubbliche e storiche di Sarajevo, Tangentopoli, Superga e dei Giochi olimpici.

Un rovesciamento paradossale, che soltanto la spregiudicata giovinezza espressiva del cineasta rende possibile: fondendo le atmosfere crepuscolari che rimandano a Ingmar Bergman e gli inserimenti inquietanti dello sceneggiato degli anni 60 Belfagor agli stralci euforici di Canzonissima. Una decostruzione alla quale il pudore espressivo del cineasta toglie ogni macchinosità, perfino in una progressione temporale che da magistralmente intuita si fa sul finire un po’ tanto spiegata. ** 7 minuti di Michele Placido, con Ottavia Piccolo, Cristiana Capotondi, Violante Placido, Ambra Angiolini, Anne Consigny, Fiorella Mannoia, Sabine Timoteo (Italia 2016)

I partner francesi di un’industria tessile italiana in difficoltà hanno posto una condizione per salvarla dalla chiusura: gli operai accettino di sacrificare 7 minuti al giorno della loro pausa. Un dettaglio, a prima vista ragionevole, sul quale le undici dipendenti che compongono il consiglio di fabbrica devono pronunciarsi. È un tema encomiabile, di evidente attualità. Una progressione drammatica tratta da un testo teatrale di Stefano Massini che, per la fatica di convincimento che toccherà alla delegata principale, riporta alla mente quella celebre assegnata all’Henry Fonda di La parola ai giurati, capolavoro di Sidney Lumet del 1957. Qui la brava Ottavia Piccolo è egualmente sola: fidarsi affinché nessuno perda il posto? Oppure diffidare di un dettaglio all’apparenza insignificante, ma forse destinato ad essere il primo di una serie inarrestabile? Il film sottolinea bene la paura che induce a cedere al ricatto, la scelta intelligente delle undici protagoniste, il ruolo delle diversità sociali e culturali, dell’itinerario particolare delle tre immigrate, degli scompensi dovuti alle logiche generazionali. Se 7 minuti non decolla più di tanto è per i limiti di una regia che fatica ad adeguarsi alla forza dei quesiti. Malgrado il brio (talvolta eccessivo) delle protagoniste, filmare un’intera pellicola attorno a un tavolo richiede l’acume di uno sguardo registico portato per l’intimismo. In parte estraneo all’enfasi generosa di Michele Placido.

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Cultura e Spettacoli

Indagine sul mito, «purga» a due voci In scena Al LAC di Lugano una nuova, convincente prova di Carmelo Rifici, mentre al Teatro San Materno

di Ascona Tiziana Arnaboldi porta avanti il suo importante progetto di danza

L’erba buona del San Materno

Giorgio Thoeni Poter disporre di un testo teatrale ricco di letture trasversali, frammentate e quasi cinematografiche con frequenti cambi di registro e altro ancora, avere a disposizione dei bravi interpreti è una vera e propria manna per un regista. Soprattutto quando il tutto rientra nella logica di un progetto visionario sul mito in una dimensione drammaturgica ampia e moderna. È il caso di Purgatorio dell’autore cileno Ariel Dorfman nella bella traduzione di Alessandra Serra, un’opera che si allinea alla visione editoriale di Carmelo Rifici accanto alle prossime produzioni stagionali di LuganoInScena, da Elektra con la regia di Andrea Novicov a Ifigenia diretta dallo stesso Rifici. Dopo il recente debutto all’Arena del Sole di Bologna (è una coproduzione LAC e ERT), Purgatorio è approdato a Lugano per due applauditissime serate sul palco principale del suo nuovo polo culturale. È un testo che racconta di indelebili ferite che riemergono nella memoria subliminale in un dialogo incalzante, alla ricerca dell’identità perduta di Medea e Giasone: una sorta di indagine sugli spaventosi assassinii della donna-madre-moglie. Una riscrittura complessa del mito che viene ripercorso con passo deciso, inquisitorio, sospeso nel tempo, dove i ruoli dei sopravvissuti sono confrontati a un incubo da cui «purgarsi»: in un tragico inconscio che muove i pro-

Un momento di Purgatorio, andato in scena al LAC. (Attilio Marasco)

tagonisti a riconoscersi ora in vittima ora in carnefice. Mentre le responsabilità di un orrendo delitto si celano nella paura della diversità, nell’emarginazione, nella violenza, nell’impossibilità di una riconciliazione. Carmelo Rifici dirige con efficacia e mano ferma la prova di una superlativa Laura Marinoni in scena con l’ottimo Danilo Negrelli. I due attori catturano la platea nel dinamico mec-

canismo di ribaltamento, sottilmente psicoanalitico, in cui le soluzioni del regista trovano ideale complicità negli strumenti da lui scelti per l’allestimento. Dal video di Roberto Mucchiut con i piccoli Edoardo Chiodi e Michelangelo Colella (le vittime innocenti) ai «clin d’oeil» operistici con le musiche di Zeno Gabaglio, dalle scene e i costumi di Annelisa Zaccheria al disegno luci di Matteo Crespi.

Il pregio del progetto messo in atto da Tiziana Arnaboldi per riposizionare il Teatro San Materno nella geografia della danza contemporanea consiste in due percorsi. Il primo caratterizza il cartellone con spettacoli che raccontano il dialogo fra le arti: confronti dall’esito costruttivo e visionario in cui la coreografia trova ascolto negli ambiti più disparati. Il secondo, intrigante, è quello della scoperta e della messa in valore di giovani talenti. In questo l’Arnaboldi ha trovato un vivace bacino di novità sia nella sua compagnia di giovani sia attingendo ai neo diplomati di Verscio. Un ulteriore dialogo proficuo, questa volta tra formazione e aspettative. Prova ne è lo spettacolo La mauvaise herbe che Faustino Blanchut ha recentemente messo in scena sul palcoscenico Bauhaus dopo un periodo residenziale nello storico teatro asconese. Una carriera appena agli inizi quella di Faustino, che si è però già fatto notare in diverse occasioni, dalle produzioni della Arnaboldi a Sogni di un’altra vita, l’open air estivo al Monte Verità. A dare il «la» è stata la tesi-spettacolo con cui lo scorso anno l’artista ha conseguito, col massimo dei voti, il Bachelor in Physical Theatre all’Accademia Dimitri, realizzando la trasposizione di Alamut. La fortezza, romanzo dello scrittore sloveno Vladimir Bartol che racconta la storia siriana di Hasan Ibn al-Sabbah (1034-1124), capo della setta ismaeli-

ta degli «Hashashins» (gli assassini). La brillante prova di fine corso ha ricevuto premi dal Percento culturale per il «Concorso per giovani talenti di teatro di movimento» e dal «TalenThesis» della SUPSI. Un robusto trampolino per lanciare un promettente artista che abbiamo visto in scena accompagnato dal padre, Pierre Blanchut, rinomato musicista specializzato in musica orientale, in uno spettacolo in cui all’universo creativo di Faustino si sono affacciati temi complessi come la fede, il fanatismo, la manipolazione, il destino. Temi intrisi di attualità e immaginati in una dimensione narrativa insolita, un giardino dove si incontrano piante, insetti come metafora di umanità e riflessioni profonde, dove umorismo e grottesco diventano parola e movimento per l’intelligente presenza scenica di Faustino Blanchut. Affaire à suivre: è proprio il caso di dirlo.

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Cultura e Spettacoli

Cinquantasette anni più tardi

Azione

Teatro Luca Zingaretti regista e interprete

Giovanni Fattorini Primo quadro. Su un pannello sospeso a mezz’aria in un living room con suppellettili vintage (le scene sono di André Benaim) compare la scritta «Londra 1958». Rimosso il pannello, Philip (Luca Zingaretti), di professione agente immobiliare, dà il benvenuto a Oliver (Maurizio Lombardi), giornalista e autore di un libro per bambini. Con modi diretti, cordiali, Philip cerca di mettere a proprio agio l’ospite, che appare piuttosto umbratile, introverso. Dopo alcuni minuti fa il suo ingresso Sylvia (moglie di Philip, ex attrice e madre mancata, da poco tempo uscita da una crisi depressiva grazie anche alla scoperta di possedere un notevole talento figurativo), la quale si dice emozionata di essere stata scelta per illustrare il libro di Oliver. Secondo quadro. Ricompare il pannello. C’è scritto «Londra 2015». (Gli attori del primo quadro ora danno corpo e voce a tre personaggi che hanno gli stessi nomi di quelli precedenti). Vestito soltanto di uno slip, Oliver – giornalista e aspirante romanziere che di recente è stato lasciato da Philip – si sottopone masochisticamente alle vessazioni e agli oltraggi di un marchettaro in divisa nazista (Alex Cendron). Sopraggiunge Philip per ritirare gli ultimi indumenti rimasti in casa dell’ex fidanzato. Congedato il finto nazista, tra i due si apre un’accesa discussione. Oliver supplica Philip di non lasciarlo (il loro rapporto dura da un anno e mezzo circa), ma l’altro, deciso a rompere, gli rinfaccia la pratica compulsiva di un sesso promiscuo. Dopo che Philip se ne è andato, arriva Sylvia. Amica di entrambi, la ragazza cerca di consolare l’affranto Oliver. Terzo quadro. Siamo di nuovo nel 1958. (Da questo punto in poi le due storie procedono a scene alterne). Sylvia rimprovera il marito si essersi comportato freddamente con Oliver: le è sembrato che cercasse di mascherare un sentimento di disprezzo nei confronti dello scrittore. Philip nega di essere stato scortese ma ammette di averlo trovato sgradevolmente affettato. In un quadro successivo (quanto tempo è trascorso, esattamente?) veniamo a sapere che in assenza di Sylvia i due uomini hanno avuto un rapporto sessuale. Oliver vorrebbe rinnovare l’esperienza e intrecciare un legame duraturo, ma Philip replica con durezza che da parte sua si è trattato di un cedimento occasionale. Oliver lo invita a riconoscere e ad accettare la parte omosessuale che è in lui. Philip nega con forza e lo aggredisce fisicamente, ma a un certo punto scoppia a piangere e lascia che Oliver lo abbracci. Avranno una storia clandestina che durerà alcuni mesi. Sarà Philip a dirlo, il giorno in cui si rivolge a uno psichiatra (Alex Cendron)

© 2016 The Coca-Cola Company. Coca-Cola, Coca-Cola zero, Coca-Cola light, the Contour Bottle and the slogan TASTE THE FEELING are trademarks of The Coca-Cola Company.

di The Pride

perché lo «guarisca» dalla sua omosessualità e lo liberi dal ricordo di Oliver attraverso una cura drasticamente efficace: l’assunzione di apomorfina, un farmaco che alla vista di immagini pornografiche di carattere omosessuale avrà l’effetto di provocargli violenti conati di vomito. La storia del 2015 ha un andamento più lineare e sembra concludersi felicemente. Grazie all’amichevole mediazione di Sylvia, Oliver e Philip si riconciliano. Sarà una pace duratura? Non è la sola domanda che molti spettatori – dichiarandosi perplessi o confusi – si ponevano al termine della prima rappresentazione milanese di The Pride, commedia in due atti di Alexi Kaye Campbell, pluripremiato drammaturgo inglese di origine greca. Uscendo dal teatro si chiedevano: perché i personaggi principali del 2015 si chiamano come quelli del 1958? Perché sono interpretati dagli stessi attori? Perché le due storie si sviluppano parallelamente, a quadri alterni? Eppure dovrebbe risultare chiaro che i personaggi principali della seconda storia sono delle varianti (si potrebbe addirittura dire delle reincarnazioni) di quelli della prima. Il mutato contesto socioculturale e le diversità del loro status (che è comunque medio-borghese) ne hanno modificato in varia misura il linguaggio e il comportamento, mantenendo però fondamentalmente inalterati alcuni dei loro tratti caratteriali (ad esempio la generosità di Sylvia e la propensione di Philip a coltivare rapporti monogamici). Inoltre, a dispetto di una maggiore consapevolezza e libertà per quanto riguarda la loro identità e condotta sessuale, anche per i personaggi del 2015 rimane razionalmente inattingibile la natura profonda dei loro desideri. E al pari di quelli del 1958 sperimentano le difficoltà e la precarietà dei rapporti interpersonali, la separatezza e la solitudine del singolo, la forza e l’illusività del sentimento amoroso. Nel raccontare a quadri alterni storie tematicamente affini ma distanti fra loro nel tempo, The Pride ha il merito di non voler essere né un documento sociologico né un manifesto dell’orgoglio gay. Tuttavia non mi sembra che i suoi personaggi possiedano un grande spessore psicologico. E se non mancano scene di coinvolgente tensione drammatica, non mancano neppure situazioni e parole già viste e già ascoltate. Comunque, le analogie e le differenze che suscitano la perplessità o lo sconcerto di non pochi spettatori tengono costantemente desta l’attenzione di tutti, grazie anche alla regia accurata di Luca Zingaretti e alla versatilità degli interpreti.

LA MIA BEVANDA RINFRESCANTE DI CASA.

Dove e quando

Milano, Piccolo Teatro Strehler, fino al 4 dicembre.

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Luca Zingaretti in The Pride.

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Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 28 novembre 2016 • N. 48

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Cultura e Spettacoli

Il mio Beethoven, se vi piace

Incontri A colloquio con il grande pianista russo Evgenij Kissin, che il 1. dicembre si esibirà al LAC di Lugano

con l’Orchestra della Svizzera italiana, diretto da Vladimir Ashkenazy

Enrico Parola Da Maisky a Gringolts (la scorsa stagione), da Sol Gabetta (che chiuderà la nuova il 1. giugno) alla Buniatishvili, sono tante le stelle che illuminano i concerti dell’Orchestra della Svizzera Italiana. Ma a destare scalpore è stato Evgenij Kissin: saperlo solista, questo giovedì, nel terzo Concerto per pianoforte di Beethoven, ha lasciato la netta percezione di un salto di qualità, di un ampliamento degli orizzonti e delle ambizioni dell’orchestra ticinese. Perché Kissin non è solo uno dei più grandi pianisti viventi: è uno dei più folgoranti talenti ed è stato il più sbalorditivo enfant prodige sbocciato sulla ribalta del concertismo mondiale nell’ultimo mezzo secolo; centellina le sue apparizioni – 40 a stagione, selezionate secondo criteri solo artistici e non dello star business. «Non sono ambizioso, non ho mai voluto diventare famoso, non ho mai invidiato la carriera di un altro pianista – ecco, il talento di Emil Giles sì, penso sia stato più grande anche di Richter. Ho sempre e solo voluto assecondare la mia indole e il mio desiderio di godere della bellezza della musica. Chi come me ha ricevuto in dono un talento musicale non può non amare la musica». Non è la spocchia di chi è arrivato, Kissin l’ha sempre pensata così: «Non ho mai studiato per preparare una lezione, suonavo perché mi piaceva. C’è stato un periodo, breve, in cui mi ero impigrito; la mia insegnante mi minacciò: se avessi continuato a studiare così male mi avrebbe proibito di suonare il pianoforte e costretto a darmi alla batteria; le risposi che allora avrei suonato così male la batteria da costringerla a riportarmi alla tastiera: per me lo studiare per “arrivare” non aveva senso. Il primo anno suonavo venti minuti al giorno, il secondo un’ora, il terzo quattro». Poteva permetterselo: così dotato, la carriera era una logica conseguenza.

Il pianista Evgenij Kissin con il direttore Vladimir Spivakov in una foto scattata a Mosca nel 2009. (Keystone)

«Il mio primo brano è stata la fuga in la maggiore del secondo libro del Clavicembalo ben temperato di Bach: non la suonavo ma la canticchiavo a memoria, sentendola da mia sorella; avevo 11 mesi, me lo ha raccontato mamma». Sorride ricordando un altro aneddoto confidatogli dalla madre: «Nel nostro condominio il dirimpettaio era un capitano d’artiglieria che si lamentava perché “facevo troppo rumore”; a un certo punto voleva denunciare la mia famiglia perché suonavo di giorno, indizio che non andavo a scuola: era il 1985, avevo 14 anni, a quell’epoca non frequentare la scuola era un reato. Arrivò la polizia e mia mamma dovette esibire un permesso della scuola (la Gnessin, istituto musicale che accoglieva i migliori talenti russi) che mi esentava da alcune lezioni per suonare di più. Quando comprammo un pianoforte a coda il capitano tornò a lamentarsi per il rumore e chiamò di nuovo la polizia; quando arrivò non c’ero, mio padre spie-

gò che stavo tenendo il concerto di gala del 27esimo Congresso del partito comunista; il gendarme rispose che quella sarebbe stata l’ultima volta che venivano a disturbare». Le esibizioni pubbliche iniziarono quando Evgenij aveva 11 anni: «A Mosca, in una sala con 600 posti; dovettero aggiungere delle sedie sul palco, ma credo perché i biglietti erano gratis» sorride. «Mi chiesero se non mi disturbasse la vicinanza del pubblico, al contrario, mi dava la carica. Anche oggi, quando qualcuno mi chiede se quando inizio a suonare dimentico chi mi sta attorno rispondo: che domanda idiota, se vado in un teatro e salgo su un palco è perché so che c’è gente che mi vuole sentire, altrimenti resterei in casa». Il genio di Kissin esplose l’anno successivo, appena dodicenne: i due Concerti di Chopin eseguiti con la Filarmonica di Mosca in Conservatorio fecero scalpore, i genitori il giorno dopo fecero una gita in campagna, a

50 chilometri dalla capitale, per tenere Evgenij lontano dal troppo clamore suscitato: «Ricordo poco di quella sera: i fiori dopo il primo tempo e la fila di gente che veniva alla fine; uno spettatore mi regalò una macchinina, che mi fece molto piacere: ero pur sempre un bambino». Un bambino un po’ particolare: «Guardandomi ora sì: non giocavo, stavo poco coi coetanei, ero già assorbito dalla musica; ma era la cosa che più mi piaceva, allora mi sentivo normalissimo e mi sembrava la cosa più naturale del mondo». Non è più un bambino ma un adolescente di 16 anni quando riceve la consacrazione definitiva: Herbert von Karajan, il più grande direttore vivente, ascolta una sua registrazione e lo vuole conoscere. «Avevo avuto il permesso di uscire dalla Russia ed ero a Monaco per una tournée; quando mi dissero che Karajan voleva conoscermi pensavo a uno scherzo. Gli suonai la Fantasia di Chopin: sarà stata la suggestione, il suo ca-

risma, ma non ho mai suonato così bene come quella volta. Alla fine mi avvicinai imbarazzato, lui fece il gesto di mandarmi un bacio e si tolse gli occhiali da sole: aveva gli occhi lucidi. La moglie mi confidò di non averlo mai visto così commosso in trent’anni di matrimonio». Con Karajan e i Berliner Philharmoniker firmò una memorabile incisione live del primo Concerto di Ciajkovskij, prima di un’infinita serie di collaborazioni con le grandi stelle del firmamento concertistico mondiale. «In generale comunque preferisco il recital ai concerti con l’orchestra o al repertorio da camera, nonostante abbia suonato con dei giganti come Isaac Stern o la Argerich; è che quando sento una melodia o un passaggio meraviglioso che vorrei tanto suonare ma è scritto per un violino o per l’orchestra provo un senso quasi di frustrazione... Mi sono però divertito al Festival di Montpellier a recitare delle poesie prima di un recital, io in varie lingue e poi Gérard Depardieu nella traduzione francese: mi aveva sentito annunciare e spiegare dei bis, fu colpito dal mio modo e dalla mia voce, mi propose di fare qualcosa di più strutturato e così nacque quella serata di musica e poesia». Fra i direttori ha suonato anche con Vladimir Ashkenazy, che lo accompagnerà giovedì: «Ci siamo incontrati per eseguire i concerti di Prokof’ev n. 2 e 3: il fatto di essere stato un grande pianista lo rende un fantastico accompagnatore di pianisti». Qui sarà il Concerto in do minore di Beethoven, «un autore con cui ho sempre avuto un rapporto complicato: amo la sua musica, ma non mi è mai sembrato di essere riuscito a tradurre questo amore in un’interpretazione adeguata. Perché non basta sentire la musica – quello è sempre necessario, ma basta solo quando si è dei giovani prodigi: bisogna capirla per carpirne il segreto e comunicarlo al pubblico».

Fiumani, un uomo senza eredi

Incontri Il cantante italiano, leader della formazione dei Diaframma, giovedì si esibirà allo Studio Foce

di Lugano nell’ambito della rassegna Raclette

Zeno Gabaglio Il settimo tra i più importanti album italiani di sempre. Basterebbe questo riferimento alla celebre classifica stilata da «Rolling Stone» per soppesare l’importanza di quel Siberia che il gruppo fiorentino Diaframma licenziò nel lontano (ma musicalmente vicinissimo) 1984. Quell’album nel 2016 ha ripreso nuovamente vita, con una riedizione sia su disco sia dal vivo che lambirà anche la Svizzera italiana il prossimo giovedì 1. dicembre, nell’ambito del cartellone Raclette presso lo Studio Foce di Lugano, una programmazione sostenuta anche dal Percento Culturale Migros Ticino. Per avvicinare quest’occasione unica e imperdibile abbiamo qui incontrato Federico Fiumani, frontman e da sempre autentico demiurgo di ciò che Diaframma ha rappresentato. L’iniziativa di riportare dal vivo – ma soprattutto di risuonare su disco – il vostro celebre album Siberia ha suscitato reazioni molto contrastate, tra chi vi ha letto il giusto omaggio (nonché una nuova vita) per uno dei dischi più importanti della musica italiana e chi invece ha faticato a trovare il senso di questa nuova ri-produzione, con un approccio

e dei criteri oggi conosciuti forse solo nelle musiche classiche. Sono reazioni a suo avviso legittime?

In realtà a lamentarsi sono stati una decina di darkettoni in tutto. Ha presente quei gruppi di vecchi reduci auto referenziali che si fanno i commenti tra di loro? Lasciamoli perdere, sono delle zecche. Sulla stampa se ne è parlato benissimo. In un’intervista lei ha ricordato come un simile meccanismo di riproposizione di album «storici» è

stato recentemente adottato anche dai Television per il loro Marquee Moon. Una citazione certo non casuale, la sua: con la prospettiva che possiamo avere noi oggi crede pertinenti i riferimenti che negli anni si sono spesso spesi nell’avvicinare la musica dei Diaframma alla scena (e ai connotati di genere) del punk/new wave anglosassone?

Direi proprio di sì. Da ragazzi – oltre ai Television, che conoscevo e amavo soprattutto io – abbiamo passato gran parte delle nostre vite ad ascoltare quello che succedeva nel mondo postpunk soprattutto anglosassone: Joy Division su tutti. Gestivamo anche un locale rock a Firenze dove si ballava la new wave e dove esordimmo sia noi sia i Litfiba. Il nostro coinvolgimento era totale. In quelli che possono essere definiti gli anni della maturità – per alcuni semplicemente ritenuti anni dell’invecchiamento – non è fisicamente duro riproporre dal vivo dei contenuti musicali come quelli di Siberia, energici e a tratti anche rabbiosi?

Assolutamente no, anzi mi stanco molto di più nel fare i pezzi anni ’90, tipo Gennaio. Federico Fiumani dei Diaframma.

Anche il mondo nel frattempo è cambiato: crede oggi ci siano le

condizioni soggettive e oggettive per rivivere e comprendere quel mondo espressivo?

Con mia enorme sorpresa devo dire che sì, c’è predisposizione anche oggi per quel genere di suoni. E poi il nostro pubblico è composto anche da ragazzi giovanissimi! Nel corso degli anni i Diaframma hanno avuto un rapporto piuttosto dialettico con l’industria discografica, anche precorrendo i tempi con iniziative quali la fondazione di un’etichetta propria. Dal punto di vista attuale – dove per l’intera discografia la crisi sembra non toccare mai il fondo – come rivaluta quel vostro percorso decisamente indipendente?

In tempi non sospetti inventai addirittura l’odierno crowdfunding, nel lontano 1988: tutte le sere facevo i pacchi e poi la mattina andavo a spedirli alle poste, perché ho sempre privilegiato un rapporto stretto coi miei fan. Quindi da questo punto di vista mi sono ritrovato a essere all’avanguardia quasi senza accorgermene, nel tentativo di aggirare lo svilimento di certi rapporti che avevo con la discografia. Oggi è durissima, certo, ma mi dicono che i segnali sul ritorno del vinile sono molto incoraggianti: staremo a vedere. Proprio relativamente al fenomeno

della rinascita di alcuni supporti sonori del passato si è già discusso molto del vinile. Del ritorno della cassetta – formato piuttosto scomodo e qualitativamente non eccelso – cosa ci può invece dire, anche in relazione ad alcune vostre recenti ristampe pubblicate da Controtempo Records?

Dico che quelli della Controtempo sono più nostalgici di me, comunque la tiratura era bassissima (100 copie) ed è andata subito esaurita.

Il termine «indipendente» negli anni è assurto a rappresentare un approccio musicale generalizzato e anche un genere. Cosa trova – se c’è – d’indipendente nei giovani musicisti italiani che oggi si proclamano «indie»?

I tempi cambiano si evolvono e dagli anni 90 in poi le major hanno deciso di mettere sotto contratto molti gruppi indies, iniziativa lodevole, secondo me. Oggi i Verdena, Brunori, Baustelle, Le Luci della centrale elettrica, vanno nelle zone alte delle classifiche di vendita, ai miei tempi era semplicemente impensabile. Vede attorno a lei qualcuno che in qualche modo può sentire come suo erede, anche puramente spirituale?

Non credo di avere lasciato eredi.


Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 28 novembre 2016 • N. 48

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Cultura e Spettacoli

Dalla Casa Bianca agli schermi

Narrativa Per la prima volta il Man Booker Prize è stato assegnato a uno scrittore statunitense:

se lo è aggiudicato l’afroamericano Paul Beatty con Lo schiavista

Mariarosa Mancuso Barack Obama esce dalla Casa Bianca. E finisce sugli schermi. Piccoli, grandi e piccolissimi: tra le cose che son cambiate – non serve andare indietro di decenni, basta ripensare all’insediamento del primo presidente afroamericano – c’è il modo di guardare la televisione: spezzettato, solitario, on demand (se si guarda tutti insieme lo stesso programma è per commentarlo sui social, prima stavamo sul divano del salotto cercando di acchiappare il telecomando). Su Netflix – che giusto nel 2008 inaugurava il suo servizio di streaming, gran passo avanti tecnologico rispetto alla spedizione dei DVD a domicilio – il prossimo 16 dicembre sarà disponibile Barry. Presentato al Festival di Toronto e diretto da Vikram Gandhi, il film racconta la giovinezza non proprio tranquilla di Barack Obama, quando studiava alla Columbia University. «Vivevo in una nuvola di fumo», confessa a Michelle Robinson in un altro film recentissimo, Ti amo presiden-

La bella copertina de Lo schiavista del vincitore del Man Booker Prize.

te di Richard Tanne. Southside With You era il titolo originale, dal nome del quartiere di Chicago visitato durante il fatale pomeriggio. Michelle continua a ripetere «Questo non è un appuntamento» (è la tutor del giovane praticante appena entrato nello studio legale dove lavora, unica donna nera). Barack la va prendere con una macchina tanto vecchia che da un buco si vede l’asfalto (lei non fa una piega). Lui mente sull’orario – dovevano andare in parrocchia, ma c’è tempo. Visitano l’Art Institute, ammirando una mostra del pittore afroamericano Ernie Barnes (licenza poetica: nel 1989 c’era in mostra l’americano di origine polacca Andy Warhol). Vanno al cinema a vedere Fa’ la cosa giusta di Spike Lee. Finiscono la serata in gelateria. Non bastasse la doppietta biografico-celebrativa su Barack Obama, sono in arrivo altri film sulla schiavitù (puntano agli Oscar, dopo il lamento dell’anno scorso per l’assenza dei registi e degli attori afroamericani). Al Festival di Roma c’era Nascita di una nazione di Nate Parker. Stesso titolo del film di David W. Griffith datato 1915, innovativo nella forma e nella sostanza celebrante il Ku Klux Klan. Prospettiva rovesciata: qui si racconta la storia di Nat Turner, ragazzino schiavo che impara a leggere, studia la Bibbia e nel 1831 comanda una rivolta per la liberazione dei neri in Virginia. Al Festival di Torino c’è Free State of Jones di Gary Ross, con Matthew McConaughey: altra rivolta, capitanata da Newton Knight: un soldato dell’esercito confederato, disertore quando in trincea vide morire il nipote arruolato giovanissimo, al primo giorno di battaglia. C’erano bianchi, neri, e donne: a guardar bene, siamo tutti schiavi di qualcuno. Possiamo aggiungere, non classificabile in un genere preciso, Moonlight di Barry Jenkins, da una frase che dice «la pelle dei neri è blu alla luce della luna». Protagonista: un ragazzino nero cresciuto

In ottobre Paul Beatty ha ricevuto il Booker Prize nientemeno che da Camilla, duchessa di Cornovaglia. (Keystone)

nel ghetto di Miami, con lo spacciatore della mamma che gli fa da vice-padre (e ne ha bisogno, da giovanotto gay nel regno del machismo).

Schiavitù e segregazione sono i temi caldi di letteratura e cinema nell’era della political correctness Tra melassa biografica e rievocazioni storiche, fa da antidoto contro la retorica Lo schiavista di Paul Beatty, primo scrittore americano a vincere il Booker

Prize (esce da Fazi, con tempismo perfetto). Comincia con il narratore – non ne sappiamo il nome, l’amante Marpessa lo chiama Bonbon – convocato presso la corte suprema degli Stati Uniti. Deve difendersi dall’accusa di aver posseduto schiavi, e di aver reintrodotto la segregazione razziale a Dickens, il ghetto alla periferia di Los Angeles dove è cresciuto. Linea di difesa: «un po’ di schiavitù non ha mai fatto male a nessuno». Viene in mente Jonathan Swift e la sua «modesta proposta» elaborata nel 1729 per risolvere la miseria irlandese: vendere i neonati ai ricchi inglesi che li avrebbero cucinati arrosto o in fricassea. Lo scandalo è lo stesso (siamo noi

che nel frattempo siamo diventati più sensibili). «Nel mio quartiere i padri sono tali solo in contumacia» spiega Bonbon. O sono pazzi come il suo, che prima di finire ammazzato per strada decide di sottoporre il figlio a svariati esperimenti sociologici. Non tutti riescono. Riesce meglio la coltivazione della angurie quadrate, da vendere a Dickens con Watermelon Man di Herbie Hancock come colonna sonora sparata nello stereo. Paul Beatty scrive benissimo, ha un cinismo d’altri tempi, e ricicla ogni insulto – ci saranno anche i fagioli e il pollo fritto, per limitarsi al cibo – tradizionalmente rivolto ai suoi fratelli. Astenersi amanti e cultori della correttezza politica.

Bruti e catapecchie

Linguistica Una storia delle ricerche sull’origine della competenza linguistica del giornalista

e scrittore americano Tom Wolfe Stefano Vassere «Nessuno nel mondo accademico aveva mai visto – o anche solo sentito raccontare – un simile exploit. In appena cinque anni alla University of Pennsylvania (1953-1957), un dottorando di poco più di vent’anni si era impadronito di un’intera disciplina, la linguistica, ne aveva scosso le fondamenta e l’aveva trasformata da spugnosa scienza sociale in scienza vera, esatta, firmando il tutto con il suo nome: Noam Chomsky». La svolta strutturale nella linguistica americana e quindi nella linguistica tout court che mandava in soffitta centocinquanta anni di disciplina e promuoveva un settore umanistico nel fortino delle scienze da politecnico è, anche, una questione di localizzazione. Nel senso letterale di collocazione del ricercatore. Fin lì, fino alla fine degli anni Cinquanta, essa era condotta partendo per «spedizioni in mezzo al nulla», dove raccogliere «vagonate di aneddoti frammentari», «escursioni in capo al mondo per intervistare bruti in fetide capanne». Ora tutto si ritirava negli uffici degli scienziati, nella loro testa, e non c’era bisogno di quadernetti e grafie fonetiche, perché la verità sulla competenza linguistica, sull’organo del linguaggio

era tutta ragionamenti e speculazioni, tutta teoria. Tom Wolfe è noto soprattutto come narratore e supremamente per Il falò delle vanità, assoluto capolavoro e parabola dell’era reaganiana, da cui, anche lui chef-d’oeuvre, il film dallo stesso nome di Brian De Palma. Questo Il regno della parola è piuttosto un saggio, di un genere di giornalismo narrativo che gli americani conoscono meglio di noi: un canone che «racconta» fatti realmente accaduti come un romanzo, con un effetto accelerante sulla lettura che ce lo fa consumare tutto a cento all’ora. La vicenda è quella che riguarda il segreto del linguaggio, da dove viene insomma la facoltà che ci distingue dagli altri animali (anche da quelli da cui discendiamo), chi ha studiato questa cosa, chi è arrivato più vicino alla verità, chi ha fallito allargando le braccia e arrendendosi, come si sviluppa il costume scientifico di questa ricerca. Quindi un percorso lungo e tortuoso che da Darwin conduce a Chomsky e Pinker, passando per Mendel e Skinner, dall’evoluzionismo al comportamentismo, alla grammatica universale, ai fallimenti di tutti questi, all’ipotesi wolfiana della lingua come semplice e potentissimo artefatto culturale. Gran parte del libro, il suo cuore

migliore, è dedicato a Chomsky, che ha ottantotto anni e su alcune cose sembra stia un po’ tirando i remi in barca, tra scricchiolii inquietanti e l’apprensione dei suoi discepoli. Sem-

bra a Wolfe che la teoria linguistica che ha tenuto in piedi il settore per sessanta anni come uno schiacciasassi stia vacillando tra dubbi e controesempi, che si nascondono nelle

abitudini linguistiche di sconosciute popolazioni dell’Amazzonia brasiliana rivelate da chomskiani eretici dimentichi dell’esempio del Maestro. In sostanza, molte idee, tanto fermento e però sulla scommessa principale («Che cosa è il linguaggio?») pochi risultati. Non sarà – certo che no! – lo scoppiettante libro del bravissimo Tom a cancellare tutta questa tradizione di solidità scientifica; ma alla fine della narrazione, una cadenza sul linguaggio («Il linguaggio è ciò a cui l’uomo rende omaggio in ogni istante che possa immaginare») e su perché vale la pena studiarlo vale almeno il prezzo del biglietto. «Nel 1960 il regno di Noam Chomsky in linguistica era così assoluto che gli altri linguisti si ridussero a riempire i vuoti e a fornire note a piè di pagina al suo lavoro. Nel 1986 l’Arts & humanities citation index, che traccia la frequenza con cui gli autori vengono menzionati nell’opera altrui, Chomsky si classificò ottavo. I primi sette erano: Marx, Lenin, Shakespeare, Aristotele, la Bibbia, Platone e Freud». Bibliografia

Il libro di Tom Wolfe dedicato al linguaggio.

Tom Wolfe, Il regno della parola, Firenze, Giunti Editore, 2016.


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Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 28 novembre 2016 • N. 48

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Cultura e Spettacoli Rubriche

In fin della fiera di Bruno Gambarotta Paolo il pioniere Il 25 novembre era il 21esimo anniversario della morte di Paolo Gobetti. Nato a Torino il 28 dicembre 1925, festeggiava il suo compleanno con quello del cinematografo, nato a Parigi il 28 dicembre di trent’anni prima. Considerava la coincidenza un segno del destino. Non aveva fatto in tempo a conoscere suo padre Piero, morto esule a Parigi il 16 febbraio 1926, quando Paolo aveva 50 giorni di vita. Piero non aveva ancora 25 anni, aveva fondato tre riviste («Energie Nove», «La Rivoluzione liberale» e «Il Baretti») creato una casa editrice che arrivò a pubblicare quasi duecento titoli, dialogava alla pari con i grandi intellettuali del suo tempo. Antonio Gramsci l’aveva voluto a «Ordine Nuovo» come critico teatrale. Le bastonate inflitte dalle squadracce fasciste, inferte su ordine di Mussolini, l’avrebbero portato alla morte poche settimane dopo il suo arrivo in Francia. Paolo cresce avendo alle spalle l’ombra immensa di un padre che tutti ricordano al culmine di una giovinezza prodigiosa. Per fortuna è allevato dalla madre, Ada Prospero,

che si rivelerà una grande educatrice. Un padre e un figlio che non si sono mai incontrati si ritrovano sotto il segno dell’utopia. Per Piero era la generosa illusione che in Italia fosse realizzabile una «rivoluzione liberale». Paolo scriveva nell’aprile 1980: «Credere nell’utopia e nel suo realizzarsi è forse l’unica cosa seria che ci rimane in una società sempre più difficile». Paolo è stato un pioniere che non ha goduto della fama che avrebbe meritato perché quando le sue imprese stavano per consolidarsi e prendere un assetto istituzionale, lui cercava altri traguardi. Scherzando lo definivo «il re delle incompiute», paragonandolo a Sartre e a Carlo Emilio Gadda. Avendo assorbito la mentalità piccolo borghese della mia famiglia d’origine, trovavo scandaloso che, dopo aver superato tutti gli esami e avere completato la tesi, si fosse rifiutato di compiere l’ultimo passo e non si fosse laureato. Lui replicava che il diploma era soltanto un pezzo di carta. Paolo Gobetti ha sviluppato la sua intelligenza e i suoi sforzi verso due poli solo in apparenza antitetici: la memoria

da lui Le prime bande sarebbe rimasto un’opera aperta, suscettibile di continui ritocchi e aggiunte. Un progetto che non ha visto la fine prevedeva una serie di interviste filmate ai protagonisti della cultura italiana che avevano conosciuto e frequentato Piero Gobetti, collaborando con le sue riviste e con la casa editrice. Era una grande idea: Paolo, seduto accanto alla macchina da presa poneva sempre la stessa, semplice domanda: «Com’era mio padre?». Purtroppo i protagonisti della cultura italiana, ingessati dagli anni, dalla fama e dalla presenza inquietante per loro delle luci e degli apparati di ripresa, monumenti di sé stessi, davano risposte da manuale scolastico. Sull’impiego del materiale di repertorio nei documentari a carattere storico Paolo aveva una concezione perfettamente opposta a quella praticata nella realizzazione dei programmi televisivi. In questi i brani documentari sono inseriti in funzione del commento e come supporto di una tesi già definita in partenza. Per lui il film doveva essere uno strumento d’informazione

primaria, una fonte di documenti storici insostituibili, non un semplice mezzo di divulgazione. Un film, che gli autori se lo propongano o meno, che sia un capolavoro o un mediocre prodotto commerciale, è sempre una preziosa fonte storica e antropologica, sui costumi, sull’abbigliamento, sullo stile di vita dell’epoca. Venti anni or sono, quando Paolo Gobetti è mancato, non si aveva ancora idea di quale sviluppo avrebbe avuto l’arrivo sul mercato dei mezzi di ripresa e di diffusione planetaria alla portata di tutti. Queste considerazioni del 1993 sembrano scritte oggi: «Siamo nel meraviglioso e sconcertante periodo del caos creativo: quantità, qualità, tentativi, esperimenti, rifacimenti, imitazioni, banalità, sprazzi di genialità. È la fusione di tutto, è la confusione che può produrre un futuro». I suoi scritti teorici sono sparpagliati in un’infinità di riviste, cataloghi, presentazioni e solo ora i suoi collaboratori sono riusciti a raccoglierli in una pubblicazione unitaria, un numero speciale della rivista «Il nuovo spettatore» edito dall’Archivio.

prevedere, il Maligno, che il sacrificio avrebbe pagato il debito contratto dall’umanità con Dio al momento della caduta originale. Il gioco teologico è raffinatissimo, e gode certamente delle riflessioni dei pensatori sul tema della redenzione. Il primo fu Anselmo da Aosta, che nell’XI secolo scrisse il Cur Deus homo, precisando il senso della «soddisfazione» di un sospeso tra Dio e gli uomini, non della liberazione dalla schiavitù del diavolo. La salvezza dell’uomo è dunque nella remissione di un debito, un affare dal quale il diavolo, che è assenza e negazione, che è nulla, rimaneva del tutto escluso. La pretesa di vedersi restituito il possesso del genere umano è insensata, perché non è mai stato suo. Nei dibattiti universitari, qualunque problema veniva risolto ponendo pareri di auctoritates e citazioni dalle Scritture che sembrano sostenere una tesi e il suo contrario, perché il maestro

potesse sciogliere il dubbio confutando a una a una le tesi sbagliate. Un pacato o rissoso ragionare mettendo in gioco vaste letture, fino alla soluzione, mai nota fin dall’inizio tranne in caso di verità di fede. Niente da invidiare alle case histories con cui le più avanzate multinazionali oggi formano i futuri dirigenti, come anche all’arte dello storytelling con cui si sta capendo che è più facile insegnare e comunicare. Il giudice naturalmente è Cristo, l’avvocato del genere umano sarà una donna, la Vergine Maria. E che donna, da un lato rigorosa nell’applicazione del diritto (serrata la difesa del suo diritto a essere avvocata, se pur donna e umana, quindi «parente» del genere umano), dall’altro abile sfruttatrice del potere delle lacrime femminili e dell’affetto materno. La distinzione tra procuratore e avvocato fu consacrata dalla pratica processuale del Duecento, anche se arrivò a pun-

tuali definizioni solo più tardi. Il tema di fondo è quello della rappresentanza, quindi del problema di se e come fosse possibile che in un processo qualcuno fosse lì in nome di un altro o di altri. Dal diritto canonico, quello civile imparò la figura della persona ficta, radice e origine della persona giuridica (la nazione, la Juventus, il corpo diplomatico): come la Chiesa è corpo mistico di Cristo e agisce sempre per conto di un soggetto altro, come il Pontefice agisce in quanto Vicario di Cristo, così procuratori e avvocati agiscono per conto di una persona reale o ficta (insieme di cittadini, un ordine monastico, o – come in questo caso – l’intero genere umano). Finezze di diritto e teologia, che nei tempi oscuri e barbari dell’Età di Mezzo si riuscivano a portare in piazza e in aula, e la gente li capiva, perché li seguiva con la passione con cui noi si guarda un grande film, una riuscita parodia.

Trump le bugie hanno le gambe lunghe (e il naso corto). I democratici, escludendo Sanders, potrebbero dichiarare che chi non risica rosica (nel senso romanesco di rodersi). Per un operaio di Amazon costretto a lavorare di notte senza neanche poter fare pipì (vedi il libro di Arduino e Lipperini, Schiavi di un dio minore, Utet: 5+) il lavoro non nobilita ma debilita e degrada. C’è da sbizzarrirsi. Se fidarsi è bene e non fidarsi è meglio, a caval donato si guarda in bocca (e anche altrove). Forse però non fidarsi è bene, fidarsi è meglio. E se il luogo comune è un inganno, potrebbe anche accadere che chi dorme pigli pesci, chi la fa non l’aspetti, chi l’aspetta non la faccia, chi di spada perisce di spada ferisca, contrariamente a quel che pensavamo finora. Provate a pensare: dimmi con chi sei e ti dirò dove vai; cielo a catinelle, pioggia a pecorelle; errare è diabolico, perseverare umano; chi ben finisce è a metà dell’opera o chi mal comincia è alla fine dell’opera; il poco stroppia; il dente batte dove

la lingua duole; l’ingegno aguzza la necessità; il giorno porta consiglio; la sostanza inganna e l’apparenza no; la fretta è ottima consigliera. E poi, chi l’ha detto che l’appetito venga davvero mangiando? E se la fame venisse piuttosto digiunando? Sarebbe più logico. Non sarebbe inopportuno porsi altre domande per avere un quadro meno prevedibile del mondo. Quando la nave scappa i topi affondano? Se non è pan bagnato è zuppa? Si dice il peccatore, non il peccato? Imparando si sbaglia o si insegna sbagliando? Ride bene chi ride prima o ride male chi piange ultimo? Sposa asciutta sposa fortunata? Tra il dire e il fare non c’è niente o tra il disdire e il disfare c’è di mezzo un laghetto? Tutti i nodi restano nel pettine? Una mano sporca l’altra e tutt’e due sporcano il viso? E se una rondine non fa primavera, non fa nemmeno estate. Per un bambino un bel gioco dura tantissimo e se dura poco è frustrante. Uomo salvato mezzo avvisato? Vedere e non toccare è una cosa da disimpa-

rare perché si rischia il voyeurismo. Del resto, occhio non duole, cuore non vede o cuore duole se occhio vede? Patti lunghi amicizia chiara è altrettanto ragionevole che patti chiari amicizia lunga. Ogni rovescio ha una sua medaglia e ogni debito è una promessa? Perché no. Occhio per dente, dente per occhio è sicuramente segno di maggiore elasticità mentale. E stuzzicare il can che dorme sul piano metaforico è più produttivo che lasciarlo dormire. Senza negare che non c’è peggior muto di chi non vuol parlare. Non c’è tre senza due (e uno) sarà banale ma è vero. A volte è meglio essere mal accompagnati che del tutto soli. E vi siete mai chiesti se in alcuni casi non sia meglio mai che tardi? Negli amori autentici, lontano dagli occhi vicino al cuore e nei casi più frequenti, purtroppo, vicino agli occhi lontano dal cuore. E quante volte la disperazione è l’ultima a morire e la speranza la prima? E infine, diciamo la verità senza ipocrisie: tutti i mali vengono per nuocere.

e l’analisi dei momenti di passaggio fra una tecnologia e l’altra (dal cinema muto al sonoro, dalla pellicola al nastro magnetico). Per la «manutenzione della memoria storica» ha fondato nel 1966 l’Archivio nazionale cinematografico della Resistenza, allo scopo di salvare le immagini documentarie della e sulla Resistenza, filmando i ricordi dei testimoni di quella stagione. Maestro allergico alla cattedra, negato a ogni gerarchia, operando con l’esempio, ha calamitato collaboratori che nell’Archivio hanno trovato l’occasione ideale per dare corpo a una vocazione. Paolo, affascinato dallo stato nascente dei fenomeni, realizzò con l’Archivio il documentario Le prime bande nel quale ricostruì, portando i testimoni sui luoghi dell’azione, l’irripetibile momento e l’esaltante sensazione di libertà provata quando, appena 18enne, seguendo l’esortazione della madre, salì in montagna. A questo proposito scrisse che la Resistenza per lui «ha costituito l’esperienza più importante e formativa, ma anche un viaggio senza domani nell’utopia». Fosse dipeso

Postille filosofiche di Maria Bettetini Finezze teologiche «Io sono il dannato, procuratore della nequizia infernale», io chiedo «che il genere umano sia citato in giudizio». Il diavolo allega l’atto di procura, di cui il giudice verifica la correttezza formale. E il processo ha inizio. Non stiamo leggendo un capitolo inedito del Faust, nemmeno un’appendice alla Commedia. Abbiamo invece per le mani un testo di grande interesse, molto ben introdotto e in parte reso in traduzione dalla storica del diritto Beatrice Pasciuta. Il titolo è Processus Satane (con la e finale, perché il latino del XIV secolo non era precisamente ciceroniano, lo scrivo per risparmiare a tanti di buona volontà la fatica di avvisare per un falso refuso). Il processo di Satana, dunque, nel quale un diavolo, in rappresentanza della malvagità infernale tutta, cita a giudizio l’intero genere umano (Il diavolo in Paradiso. Diritto, teologia e letteratura nel Processus Satane, sec.

XIV, viella, Roma). Dobbiamo immaginare il frutto della tradizione delle sacre rappresentazioni, delle scuole di diritto, di quelle di teologia, basate sul gioco della quaestio. La vivacità culturale del XIII e XIV secolo, con il sorgere delle università e il fervere della vita cittadina, con la ripresa dei commerci e del vagare per l’Europa di studenti e maestri, tutto questo ha fatto il resto. Il testo, attribuito al grande giurista Bartolo di Sassoferrato, erroneamente ma non insensatamente, è raccolto in molti manoscritti, a testimoniarne la diffusione. Il processo di Satana, dunque, che però non interviene di persona, manda un diavolo qualunque, un demon, che a nome di tutti i diavoli reclama il possesso dell’umanità peccatrice, a lui sottratta dal «tranello» della morte di Cristo. Questa era sembrata cosa gradita a Satana, in quanto morte inflitta con crudeltà a un innocente. Ma non poteva

Voti d’aria di Paolo Di Stefano Luoghi non comuni Prendete un luogo comune e capovolgetelo. Per esempio: «Non c’è più religione». Sarà vero? No, oggi meno che mai: le religioni non cessano di esistere e Dio è ancora vivo. Ce lo assicura il grande sociologo Zygmunt Bauman. Nonostante il tentativo di diventare onnipotenti con la scienza e la tecnologia, non siamo riusciti a mettere il mondo sotto la nostra unica e totale amministrazione. «L’impressione è che, ove mai Dio “morisse” – e cioè, esiliato dal nostro pensiero, espatriato dalle nostre vite, cessasse di essere punto di riferimento e di appello e fosse sostanzialmente dimenticato – ciò accadrebbe solo insieme con la morte dell’umanità». Sarà vero, come sostiene il conte zio dei Promessi sposi, che l’abito non fa il monaco? Lo stilista Antonio Marras non è affatto d’accordo: l’abito «parla» anche quando non vuole. Il pregiudizio positivo secondo cui i bambini sono buoni è una vera e propria bufala. Lo disse già Freud: il lattante è profondamente egoista, perché

risponde al principio del piacere. Parola dello psicanalista Massimo Ammaniti. Insomma, non fidatevi delle frasi fatte: leggere i libri non ci rende migliori, la pazienza non ha limite, anche la salute ha un prezzo, signori non si nasce, la legge non è uguale per tutti, l’uomo non è cacciatore ma forse pescatore, le mezze stagioni ci sono ancora, la democrazia non è necessariamente il governo del popolo, la donna è immobile, chi si ferma non è perduto, eventualmente lo è chi si firma (su assegni o cambiali), di mamme non ce n’è una sola ma parecchie, la matematica è (anche) un’opinione… È un bel libro (5) e utile la raccolta di saggi su I pregiudizi universali appena pubblicata da Laterza. Ne mancano molti. Per esempio, un siriano potrebbe sostenere che restare è un po’ morire: per lui, anzi, partire è un po’ salvarsi. Dopo le ultime elezioni, si potrebbe ritenere che, nonostante il parere diffuso, gli Stati Uniti siano la peggior democrazia. E a giudicare dalla vittoriosa campagna elettorale di


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Idee e acquisti per la settimana

shopping Gusto e genuinità tutte ticinesi

Attualità Se ogni anno a Natale possiamo ingolosire noi e i nostri cari con i dolci più tipici della tradizione,

lo dobbiamo agli abili pasticceri della Jowa di S. Antonino. La novità di quest’anno è costituita dal Panettone Artigianale, che va ad affiancarsi alle altre classiche specialità festive prodotte dall’azienda del Gruppo Migros

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Il panettone e il pandoro sono da sempre dolci molto diffusi e apprezzati durante le festività di fine anno. Come tutte le altre specialità natalizie San Antonio, anche il nuovo Panettone Artigianale è preparato dalla Jowa di S. Antonino. La sede ticinese produce panettoni e pandori per tutti i supermercati Migros della Svizzera. Nuovo San Antonio Panettone Artigianale 500 g Fr. 14.30* invece di 17.90

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San Antonio Il Panettone 1 kg Fr. 8.80* invece di 11.–

Il Panettone Artigianale comincia a prendere forma con la preparazione del lievito madre; questo processo dura ca. 24 ore. Il passo successivo consiste nella miscelatura degli ingredienti di base principali, ossia, oltre al lievito madre, la farina di frumento, il burro, le albicocche semicandite e secche, la pasta di mandarino, le noci, i fichi secchi, lo zucchero e l’uovo.

Per produrre un panettone è ancora necessaria parecchia manualità. La pasta arrotolata manualmente viene messa in appositi stampi di carta, pronti per la lavorazione successiva. I panettoni vengono quindi sistemati in una cella di lievitazione per ca. 8 ore. Prima di essere infornati sulla superficie del panettone viene praticato un taglio a croce.

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San Antonio Il Pandoro 800 g Fr. 9.20* invece di 11.50

Il percorso del panettone continua con la cottura in forno, che dura all’incirca un’ora ad una temperatura tra i 170180 gradi. Una volta tolto dal forno, il panettone viene lasciato raffreddare per alcune ore su un nastro a griglia prima di essere imballato nelle inconfondibili confezioni con il logo «San Antonio». Le confezioni sono ora pronte per essere inviate in tutta la Svizzera.

La panetteria della casa di S. Antonino vi offre la possibilità di acquistare il panettone preparato freschissimo in loco, ogni giovedì fino al 22 dicembre. Il dolce viene lavorato in

mattinata, cotto durante il mezzogiorno e venduto a partire dalle ore 15.00 direttamente davanti alla panetteria del supermercato Migros. Più fresco di così…

Illustrazioni Sergio Simona

Il giovedì panettone appena sfornato!

Graziella Rizzi, responsabile sede Jowa S. Antonino «I nostri panettoni si contraddistinguono per la loro leggerezza e digeribilità, sinonimo di una lavorazione artigianale attenta e precisa che mette al primo posto la qualità delle materie prime utilizzate e la freschezza dei prodotti. La produzione del panettone e del pandoro sono per la Jowa di S.Antonino una tradizione importante, un amore indissolubile legato a profumi, atmosfere di festa, storie e persone; un amore che ci rende fieri dei prodotti che sforniamo ogni giorno».


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La Stella di Natale ticinese colora la tua casa per le feste Attualità Le Stelle di Natale

dell’azienda Rutishauser di Gordola regalano eleganza e allegria

L’Euphorbia Pulcherrima è stata battezzata dai missionari spagnoli «Stella di Natale» per la sua forma che ricorda una stella e perché la pianta dà il meglio di sé durante il periodo natalizio. Le sue foglie rosse, rosa o bianche colorano le case durante le feste, dando un tocco di eleganza e di allegria. La fioritura è invernale, ma la pianta è originaria del Messico e richiede dunque temperature calde. Per chi desidera mantenerla bella e florida tutto l’anno, si consiglia di ospitarla in casa fino a maggio, in un luogo dove non riceva luce artificiale. La stella è infatti una pianta fotoperiodica, regola cioè la sua fioritura ed altre funzioni vitali sulla lunghezza dell’esposizione alla luce e, per avere una buona fioritura, deve stare in un ambiente illuminato da non più di otto ore di luce naturale. Va quindi messa all’e-

sterno nel mese di maggio, fino a settembre. Con questi accorgimenti, potrete ritrovare i bellissimi colori pronti per il Natale successivo. Una cosa che forse non tutti sanno è che il fiore della Stella di Natale è il cuore giallo centrale, mentre sono le foglie, dette brattee, a colorarsi di rosso o delle altre tonalità tipiche della piante. Da diversi anni Migros Ticino propone le stelle di Natale dell’azienda Rutishauser, che da quattro generazioni produce piante da fiori e da frutta. Nella sede di Gordola produce circa 30 mila piante di Euphorbia Pulcherrima, prevalentemente di colore rosso. In tutte le filiali potrete trovarle nel vasetto di 6 cm monofiore, per piccoli omaggi o per colorare una tavola apparecchiata a festa, o in altri formati fino alle ciotole di 35 cm, con la sola stella o con composizioni assortite.

L’albero di Natale: il posto dei desideri di grandi e piccini Attualità Abeti per tutti i gusti nei principali reparti

fiori Migros e nei Do it +Garden

La mattina di Natale non ha bisogno di sveglie e non c’è bambino – di qualsiasi età – che non sappia dove cercare i propri desideri realizzati. La tradizione dell’albero di Natale ha radici antiche, anche se in Europa si è diffusa nel ‘900. Inizialmente decorato con frutti e figure di carta, oggi tra i suoi rami ospita luci e fiocchi, palline, addobbi di vetro o di legno, dolcetti e piccoli oggetti allegri ed evocativi. Le piante più usate sono abeti, pini o altre conifere sempreverdi e, in Svizzera, il re del Natale è l’abete Nordmann, per i suoi aghi lunghi e setosi. L’incertezza nella scelta tra albero vero o finto nasce da una doverosa sen-

sibilità ambientale, nella convinzione che l’albero sintetico abbia un costo ecologico minore. Questo non sempre è vero: l’importante è scegliere piante coltivate in realtà forestali certificate. Migros pone grande attenzione alla scelta dei fornitori di alberi di Natale. Sono aziende che gestiscono terreni agricoli e foreste, con un contributo importante alla protezione e la cura della natura. Fanno un uso limitato di prodotti per la coltura e lavorano conservando l’habitat naturale: il terreno non viene arato e erbacce e fiori spontanei non vengono estirpati, garantendo la biodiversità della foresta e, di conseguenza, un am-

biente adatto a uccelli, insetti, pernici e lepri. Un approccio ecologico che, oltre a migliorare la qualità del prodotto, riduce anche i costi di produzione. In casa, l’abete in vaso assorbe anidride carbonica, rilasciando al contempo ossigeno e oli essenziali che purificano e aromatizzano la stanza. Come per ogni pianta, è necessaria qualche accortezza: l’albero di Natale deve essere posto in un luogo luminoso, lontano da fonti di calore e riparato da correnti d’aria. Va mantenuto umido e, possibilmente, addobbato con decorazioni non troppo pesanti. Sarà quindi pronto per ospitare attorno a sé i vostri regali!


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Idee e acquisti per la settimana

Prelibatezze «stellari» Un grande classico

Flavia Leuenberger

Sperlari Torroncini teneri alle mandorle 130 g Fr. 3.50

Il Natale si avvicina e come sempre porta con sé piacevoli momenti all’insegna del buongusto. Cosa ne direste di deliziare e deliziarvi con alcune dolci creazioni di produzione ticinese? Allora vi consigliamo di assaggiare le finissime praline miste della Chocolat Stella. Queste specialità sono prodotte a Giubiasco con l’utilizzo di materie prime di elevata qualità e grande maestria cioccolatiera. Si può scegliere tra la sca-

Sperlari Classico alla mandorla 150 g Fr. 3.50

tola regalo da 18 o 54 pezzi, contenenti una selezione di delicate praline assortite, tra cui truffes, caramel, gianduja, amaretto, kirsch, calvados, nougatine, cocco, mocca e macchiato. La Chocolat Stella è stata fondata nel 1928 ed è apprezzata in tutto il mondo, oltre che per le sue specialità di cioccolato tradizionali, anche per quelle senza zucchero, biologiche, sostenibili, dietetiche e per intolleranti.

Chocolat Stella Praline assortite 18 pezzi, 205 g Fr. 31.90 Chocolat Stella Praline assortite 54 pezzi, 631 g Fr. 59.90 In vendita nelle maggiori filiali Migros Ticino

Dolce tipico delle feste natalizie, già Plinio accenna a un prodotto simile al torrone presso i popoli del Piemonte. La sua fama e il suo nome sono però legati alla città di Cremona dove, nel 1441, alle nozze di Francesco Sforza e Bianca Maria Visconti, fu confezionato un dolce a base di miele, zucchero, albume e mandorle avente le for-

me della torre che dominava la città. Uno dei marchi leader del settore è Sperlari, storica azienda fondata 180 anni fa proprio a Cremona. Del marchio, Migros Ticino propone non solo la versione più classica in blocco, ma anche diverse varianti reinventate per delle festività all’insegna del gusto e della golosità.

Formaggio svizzero: degustazioni, produzioni e un goloso concorso Eventi I migliori formaggi svizzeri e degli alpeggi ticinesi vengono presentati al Centro S. Antonino.

Fino a sabato 3 dicembre, esposizione, assaggi, produzioni dimostrative e molto altro

BUONO SCONTO

In collaborazione con la «Switzerland Cheese Marketing», la mall di S.Antonino ospita per una settimana i prodotti caseari, rigorosamente svizzeri, che rappresentano una delle più conosciute tradizioni del nostro paese. I protagonisti principali sono i rinomati formaggi nazionali quali Gruyère, Appenzeller e Sbrinz, a fianco delle prelibatezze regionali dei nostri alpeggi garantiti dalle DOP. Oltre alla presentazione e alle degustazioni, tutti i giorni, alle 9 e alle 13:30, i più curiosi potranno assistere a produzioni dimostrative effettuate da Valerio Faretti, presidente della

Società Ticinese di Economia Alpestre. E per chi «ha occhio» e vuole tentare la fortuna, viene proposto un simpatico concorso: chi indovina il peso del formaggio scelto verrà rimborsato del valore corrispondente (le informazioni verranno date dal personale dello stand). Ritagliando il buono a lato, si otterrà inoltre uno sconto di Fr. 6.– acquistando formaggi svizzeri per un importo minino di 30.–. E per immergersi ancor meglio nell’atmosfera delle nostre montagne, sabato 3 dicembre dalle 10 alle 12 è previsto un accompagnamento musicale a tema.

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di riduzione, per l’acquisto di formaggio svizzero. Validità: esclusivamente presso lo Stand nella mall del Centro Migros S. Antonino, dal 28 novembre al 3 dicembre 2016. Importo minimo d’acquisto: 30.–

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Anna’s Best

Dolci fatti in casa

Le paste per biscotti Anna’s Best garantiscono il piacere di preparare dolci senza fatica. Novità: le paste di panpepato contengono le istruzioni per realizzare una casetta delle streghe, da decorare a piacere È adatta come regalo e per addobbare la propria abitazione: la casetta di panpepato è un dolce ideale per il periodo natalizio. Piace sia ai piccoli che ai grandi golosi e nel contempo è semplice da realizzare. Sono necessari solamente la pasta panpepato Anna’s Best, un paio di forbici, un uovo, un limone, zucche-

Anna’s Best Pasta per panpepato in blocco, 500 g Fr. 3.20

ro a velo e decorazioni dolci assortite per guarnire. Basta seguire le istruzioni dettagliate presenti sulla confezione, che vi accompagno passo per passo verso la meta. Solo per la decorazione è richiesta creatività. Il risultato è una casetta delle streghe personalizzata, tanto bella che è quasi un peccato mangiarla.

Anna’s Best Pasta per biscotti al cioccolato in blocco, 500 g Fr. 3.20

Con l’aggiunta di altri elementi, per esempio degli abeti di panpepato innevati, si crea un dolce ricco di atmosfera.

Anna’s Best per milanesini in blocco, 500 g Fr. 3.–

La produzione si è sviluppata lungo le principali vie commerciali, laddove erano disponibili le spezie più rare, come l’anice stellato, la cannella, i chiodi di garofano, il coriandolo, il cardamomo e lo zenzero. Tra queste le città tedesche di Augusta, Colonia, Norimberga e Ulm, così come Basilea. A quei tempi il panpepato era preparato tutto l’anno. Grazie alla sua conservabilità il panpepato era apprezzato dai monaci come alimento per i tempi più difficili. Ricetta e denominazione differiscono a seconda della regione. Per esempio a Achen (D) veniva chiamato Printen.

Anna’s Best Pasta per stelline alla cannella in blocco, 500 g Fr. 3.85

M-Industria crea numerosi prodotti Migros, tra cui anche le paste per biscotti Anna’s Best.


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M-Classic

Da regalare e mangiucchiare

Una miscela di caramelle ben confezionata è un apprezzato regalo d’Avvento.

Queste caramelle sono particolarmente benefiche: M-Classic Caramelle per la gola senza zucchero, 135 g Fr. 3.50

Le caramelle fanno la gioia dei più piccoli, ma anche gli adulti le sgranocchiano molto volentieri. M-Classic offre una variopinta scelta di dolcetti. Le ranocchiette alla cola sono un vero classico, la cui ricetta è rimasta invariata dal 1938. Una dolce sferzata di energia è invece data dalla variante allo zucchero d’uva al gusto di lamponi e con molta vitamina C. Chi apprezza le caramelle ripiene alla frutta da regalare o per la propria golosità, sceglie sempre molto volentieri le Prima Frutta.

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M-Classic Prima frutta 200 g Fr. 2.80

M-Classic Ranocchiette alla cola 140 g Fr. 2.60


Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 28 novembre 2016 • N. 48

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Idee e acquisti per la settimana

Sélection

Single ricercati Gli esperti riconoscono al primo sorso il paese di provenienza di un caffè. Analogamente al vino, il gusto del caffè è infatti influenzato da clima, posizione geografica e specie. In un caffè Single Origin tutti i chicchi devono provenire da una zona di produzione definita. Sélection propone due nuovi aromi: il caffè lungo, che ricorda la limetta e la mela, arricchito da tonalità di ribes nero e noce, e l’espresso messicano, che sprigiona aromi tostati di arachide e cacao, miele, così come fini note di pompelmo. Costa Rica

Caffè pura arabica – da produzione ecologica

Sélection lungo Costa Rica in chicchi, 250 g Fr. 5.20 Nelle maggiori filiali

I chicchi per il caffè Single Origin «Lungo Costa Rica» provengono dall’Hacienda Juan Viñas, che si trova a tre ore scarse di auto dalla capitale San José. Terreni vulcanici e precipitazioni regolari offrono le migliori condizioni geografiche e climatiche per la coltivazione del caffè. Da molti anni in questa piantagione si produce in modo trasparente, ecologico e sostenibile. Tipico per un caffè Single Origin: si utilizzano solo chicchi puri e selezionati provenienti dall’Hazienda. Per mantenere l’alta qualità e le finissime sfumature di gusto, la tostatura dei chicchi avviene con una procedura particolarmente lenta e delicata.

Di tanto in tanto, per momenti speciali: un caffè Single Origin e una fetta di torta al cioccolato Sélection.

Sélection espresso Mexico in chicchi, 250 g Fr. 5.20 Nelle maggiori filiali


Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 28 novembre 2016 • N. 48

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Idee e acquisti per la settimana

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Flûtes e cracker alla pizzaiola Party in conf. da 2, per es. flûtes salati, 2 x 140 g, 2.55 invece di 3.70 30%

Medaglioni di lupini Cornatur, 200 g, 4.90 Novità ** American Favorites Red Velvet, in vasetto, 80 g, 2.50 Novità ** Cheesecake al cioccolato American Favorites, 260 g, 6.50 Novità ** Crostata di pere e formaggio Anna’s Best, 200 g, 3.40 Novità **

Near Food/Non Food

Pane del trebbiatore bio, 380 g, 3.40 Novità ** Funghi prataioli e funghi porcini M-Classic, 225 g, 2.90 Novità **

Gamberetti tail-on Pelican, ASC, 750 g, 14.55 invece di 24.30 40% Crispy di pollo impanati Don Pollo, surgelati, 1,4 kg, 10.30 invece di 17.20 40%

Yogurt pur ai lamponi, alle fragole e ai mirtilli, 150 g, per es. ai lamponi, –.90 Novità **

Tutto l’assortimento di alimenti per cani Asco, per es. stick con manzo, 180 g, 1.45 invece di 1.85 20%

*In vendita nelle maggiori filiali Migros. **Offerta valida fino al 12.12 Migros Ticino OFFERTE VALIDE SOLO DAL 29.11 AL 5.12.2016, FINO A ESAURIMENTO DELLO STOCK

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Carta per fotocopie Papeteria in conf. da 3, FSC Tutti i portafogli bianca, 80 g/m2, 3 x 500 pezzi, per es. portafoglio in pelle Mustang, nero, il pezzo, 23.85 invece di 39.80, offerta valida fino al 12.12.2016 offerta valida fino al 12.12.2016

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Le offerte sono valide dal 28.11 al 5.12.2016 e fino a esaurimento dello stock. Trovi questi e molti altri prodotti nei punti vendita melectronics e nelle maggiori filiali Migros. Con riserva di errori di stampa e di altro tipo.

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Fiori e piante

Acqua San Benedetto naturale e frizzante, per es. Acqua S. Benedetto naturale, 6 x 50 cl, 1.65 invece di 2.10 20%

Tutte le insalate mondate e lavate Anna’s Best, a partire da 2 pezzi 30%

Pesce, carne e pollame

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Altri alimenti

Vongole veraci, Mar Mediterraneo, per 100 g, 1.80 invece di 2.30 20%

Pane e latticini

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Tutti gli ammorbidenti Exelia per es. Florence, 1,5 l, 3.25 invece di 6.50

Red Bull in conf. da 6, 6 x 250 ml, standard e sugarfree, per es. standard, 7.40 invece di 9.30 20%

Cuoricini al limone e discoletti Tradition in conf. da 2, per es. cuoricini al limone, 2 x 200 g, 5.10 invece di 6.40 20% Tutti i succhi Gold da 1 l e 3 x 25 cl, per es. succo d’arancia, Fairtrade, 1 l, 1.55 invece di 1.95 20% Renna di cioccolato al latte Frey, UTZ, 170 g, a partire da 2 pezzi 20% Tutti i tipi di Ice Tea Cascara, a partire da 2 pezzi 50%

Michette soffiate M-Classic, TerraSuisse, 5/250 g, 2.– invece di 2.50 20%

Praliné Frey in conf. da 2, UTZ, Praliné du Confiseur, truffes assortiti, Rêves d’Or, per es. truffes assortiti, 2 x 256 g, 19.80 invece di 25.20 20%

Le petit Marseillais in confezioni multiple, per es. gel doccia alla vaniglia in conf. da 3, 3 x 250 ml, 7.– invece di 10.50 33% ** Prodotti Fructis in confezioni multiple, per es. shampoo Fresh in conf. da 3, 3 x 300 ml, 9.– invece di 12.90 30% ** Gourmet Gold e Perle in conf. da 8, per es. paté delicato, 8 x 85 g, 6.– invece di 8.– 25% Prodotti per lo styling Taft in conf. da 2, per es. spray per capelli Ultra, grado di tenuta 4, 2 x 250 ml, 7.20 invece di 9.– 20% **

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Per una cucina vegana di tendenza.

4.90 Seitan bio al naturale 2 pezzi, 2 x 110 g

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Pronti da gustare.

2.60 Fagioli neri con chili M-Classic 440 g

160 mg di vitamina C in ogni stick.

3.45 Limonata calda Actilife 20 pezzi

Borraccia in alluminio con chiusura rapida.

19.80 Borraccia in alluminio OneTwist Cucina & Tavola, 1 l* nera e rossa, per es. nera, il pezzo

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Piatti pronti senza glutine.

3.70 Risotto alla milanese e al pomodoro Knorr per es. alla milanese, 250 g

Stoviglie per bambini per ogni occasione. Piatto, borraccia e lunch box Minions per es. borraccia, il pezzo, 6.90

. Di plastica robusta Caraffe di plastica Cucina & Tavola per es. Drop, 2 l, il pezzo, 12.80


Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 28 novembre 2016 • N. 48

77

Idee e acquisti per la settimana

Frey

Una renna non arriva mai da sola Le renne sono indissolubilmente legate al Natale. Per questo anche Reni, Roni e Runi, composte di finissimo cioccolato al latte e disponibili in un’iridescente e colorata confezione regalo decorativa, non possono mancare in nessuna casa. Quest’anno il dolce trio è pure protagonista di un gioioso concorso: sulla pagina web www. chocolatfrey.ch i bambini troveranno un’immagine da colorare. Le opere più belle saranno premiate. Sulla medesima piattaforma si possono anche conoscere meglio le tre simpatiche renne e seguire le loro avventure. Ogni settimana d’Avvento vi aspetta un episodio diverso.

Azione 20% sulle renne Frey a partire da 2 pezzi* *dal 29.11 al 5.12 fino a esaurimento

Frey Renna Latte 170 g, in rosso, blu e verde Fr. 6.80 Un regalo decorativo molto apprezzato: Reni (rossa), la sognatrice; Roni (blu), la sorella maggiore e Runi (verde), la furbetta.

M-Industria crea numerosi prodotti Migros, tra cui anche le renne di cioccolato della Frey.


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Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 28 novembre 2016 • N. 48

79

Idee e acquisti per la settimana

Pain Création

Capolavori dal vostro panettiere

Il pane d’altri tempi è un pane dall’aspetto casereccio con crosta scrocchiante.

Nelle specialità di pane della Pain Création si nascondono ingredienti di elevata qualità, molta artigianalità, competenza e tempo. I pani sono prodotti con un preimpasto e riposano particolarmente a lungo prima di essere infornati. Così facendo sviluppano il loro inconfondibile sapore pronunciato. Gli amanti dei pani aromatici, nell’assortimento Pain Création troveranno di che soddisfare la propria golosità. Queste specialità arricchiscono ogni colazione o brunch e accompagnano deliziosamente la cucina dei giorni di festa.

Pain Création Pane d’altri tempi 500 g Fr. 3.60

Pain Création offre una ricca scelta di pani rustici. Arricchiscono ogni colazione o brunch e accompagnano al meglio la cucina dei giorni di festa. Di più sull’aroma del pane sulla wiki del gusto www.piacere-del-gusto.ch

Il Rustico possiede un intenso sapore di pane ed è cotto negli stampi.

Pain Création Pane rustico 400 g Fr. 3.80

Pain Création Baguette con olive 380 g Fr. 3.90

La ciabatta è fuori croccante e dentro morbidissima. Pain Création Ciabatta croccante 400 g Fr. 3.80


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Idee e acquisti per la settimana

Pain Création

Capolavori dal vostro panettiere

Il pane d’altri tempi è un pane dall’aspetto casereccio con crosta scrocchiante.

Nelle specialità di pane della Pain Création si nascondono ingredienti di elevata qualità, molta artigianalità, competenza e tempo. I pani sono prodotti con un preimpasto e riposano particolarmente a lungo prima di essere infornati. Così facendo sviluppano il loro inconfondibile sapore pronunciato. Gli amanti dei pani aromatici, nell’assortimento Pain Création troveranno di che soddisfare la propria golosità. Queste specialità arricchiscono ogni colazione o brunch e accompagnano deliziosamente la cucina dei giorni di festa.

Pain Création Pane d’altri tempi 500 g Fr. 3.60

Pain Création offre una ricca scelta di pani rustici. Arricchiscono ogni colazione o brunch e accompagnano al meglio la cucina dei giorni di festa. Di più sull’aroma del pane sulla wiki del gusto www.piacere-del-gusto.ch

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Idee e acquisti per la settimana

Consigli per la cura

Ellen Amber

Bellezza duratura

Biancheria seducente

Reggiseno: lavare a mano. Come alternativa lavare in lavatrice tra i 30 massimo 40 gradi utilizzando un sacchetto per biancheria per una pulizia delicata.

Merletti seducenti, forme sensuali, tagli raffinati: gli indumenti intimi di Ellen Amber sono sinonimo di biancheria alla moda, nella quale ogni donna si sente bella, attraente e desiderata. In rosso fiammante oppure elegantemente nera: la biancheria intima della Migros mette in risalto il corpo e non si indossa solo nei momenti intimi, ma anche nel quotidiano per sentirsi sempre a proprio agio.

Biancheria: lasciare asciugare su uno stenditoio. Evitare termosifone, asciugatrice o sole, per evitare che il caldo estremo usuri velocemente la stoffa.

Ellen Amber Reggiseno imbottito taglie 75-85B, 75-90C, 80-95D Fr. 24.80

Shapewear: materiali modellanti e di sostegno asciugano al meglio sullo stenditoio. Termosifoni e asciugatrici non sono indicate.

Ellen Amber Slip 2 pezzi, Gr. S-XL Fr. 19.80

Ellen Amber Body nero con pizzo taglie S-L Fr. 49.80

Ellen Amber Shapewear vestito taglie S-XL Fr. 44.80

Azione 40% su tutto l’abbigliamento da adulti compresa biancheria Solo il 3 dicembre

Ellen Amber Babydoll taglie 75-85 B, 75-90 C Fr. 34.80

Ellen Amber Shapewear Top con spalline fini taglie S-XL Fr. 39.80

Ellen Amber String 2 pezzi, taglie S-XL Fr. 14.80

Ellen Amber Shapewear Slip con pizzo taglie S-XL Fr. 19.80


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Consigli per la cura

Ellen Amber

Bellezza duratura

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Idee e acquisti per la settimana

Manella

Semplicemente pulito Con gli «aiutini» giusti, le piccole sfide della vita quotidiana diventano molto più facili da gestire. Ad esempio, per lavare i piatti a mano il dispenser della nuova schiuma per stoviglie di Manella rende un buon servizio: basta metterci sotto la spugna o lo spazzolino, schiacciare il beccuccio, e il lavaggio può iniziare. Le stoviglie molto sporche diventano rapidamente pulite con il nuovo Manella «Power», un detersivo che ha un’elevata proprietà sgrassante. E con il suo enzima, un decalcificante attivo contribuisce a sciogliere i residui secchi di cibo, ad esempio di pasta o di patate.

Il concentrato con latte di mandorle: Manella Balsam 500 ml Fr. 3.10

Nuovo Manella Grapefruit Mousse per stoviglie 250 ml* Fr. 3.50 Nelle maggiori filiali

Nuovo Manella Power 500 ml* Fr. 3.10 Nelle maggiori filiali

Il naturale con estratti di semi d’uva: Manella Grape 500 ml Fr. 3.10

M-Industria crea numerosi prodotti Migros, tra cui i detersivi per piatti di Manella.


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Idee e acquisti per la settimana

Sanactiv

«Salute!» Oltre a tosse e febbre, un raffreddore comporta spesso anche prurito e bruciore al naso. Gli articoli medicali di Sanactiv possono alleviare i sintomi del raffreddore e liberare il naso

La Dott.ssa. Brigitte Zirbs Savigny di Perly (GE) è medico di famiglia, nonché membro del Comitato direttivo dei Medici di famiglia e dell’infanzia svizzeri.

Brigitte Zirbs Savigny

«Un raffreddore può durare anche dieci giorni» Dottoressa Zirbs Savigny, come si prende un raffreddore? Ne sono responsabili numerosi fattori. Quando il sistema immunitario è indebolito, le mucose delle vie respiratorie sono secche e molti virus impregnano l’aria, allora cresce la probabilità di prendersi un raffreddore. Un buon metodo per prevenirlo è di dormire molto, mangiare sano e stressarsi poco, oltre a lavarsi regolarmente le mani e a camminare.

La crema per il naso Aiuta in caso ferite e secchezza della cute. Lanolina e olio di sesamo dissolvono delicatamente le croste e attenuano le screpolature, mentre la glicerina e il sale marino inumidiscono la mucosa nasale. Sanactiv Crema per il naso 10 ml Fr. 5.20

L’olio per inalazioni Nella vasca da bagno o nel bagno turco, in sauna o nell’umidificatore. Basta versarne qualche goccia nell’acqua calda o lasciarlo evaporare e respirarne gli effluvi. Sanactiv Olio per inalazioni 10 ml* Fr. 4.90

Quando dura un raffreddore? È molto individuale e dipende dal sistema immunitario. Generalmente, tra due e dieci giorni.

Il lavaggio nasale Pulisce il naso rimuovendo croste e secrezioni e inumidisce la mucosa. Due erogatori di diversa grandezza consentono di pulire anche il naso dei bambini, in modo facile e semplice.

In quali casi si dovrebbe consultare un medico? Se dopo tre giorni non intervengono miglioramenti e subentra anche la febbre o tossendo si espelle catarro di color giallo-verdognolo.

Sanactiv lavaggio nasale 125 ml* Fr. 12.90

Lo spray decongestionante Libera e cura il naso intasato, facilitando così la respirazione. Contribuisce a guarire il raffreddore, anche da fieno, e la mucosa nasale infiammata. Sanactiv Spray nasale decongestionante 20 ml Fr. 6.90

*Nelle maggiori filiali

Perché durante la stagione fredda ci si ammala più spesso? Appena arriva il freddo, i vasi sanguigni si contraggono per mantenere sotto controllo la perdita del calore corporeo. Nelle membrane si formano meno mucosa e anticorpi. Il sistema immunitario si indebolisce e il rischio di infezioni sale.



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