Cooperativa Migros Ticino
G.A.A. 6592 Sant’Antonino
Settimanale di informazione e cultura Anno LXXX 27 dicembre 2017
Azione 52 ping -49 M shop ne 27-31 / 48 i alle pag
Società e Territorio Il segreto per star bene? Vivere una vita su misura, unica per la propria individualità: intervista a Remo H. Largo
Ambiente e Benessere L’obesità è un problema individuale ma anche sociale e va affrontato con un approccio capace di considerare le sue varie componenti: ne parliamo con la dottoressa Elisa Biacchi
Politica e Economia L’Europa denuncia la svolta autoritaria e liberticida della Polonia
Cultura e Spettacoli Da Yoko Ono a Lucio Fontana: all’Hangar Bicocca di Milano un’imperdibile esperienza
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Lucia Pigliapochi
Auguri di un radioso 2018
Chi di vincoli ferisce... di Peter Schiesser Ed ecco che improvvisamente, dopo esserci scambiati sorrisi ed abbracci, i toni fra svizzeri ed europei si alterano di nuovo, politici e governanti (elvetici) parlano furiosamente di ricatti e contromisure. Ce n’era davvero bisogno, ora che si era elegantemente riusciti ad aggirare l’ostacolo del voto del 9 febbraio 2014 contro l’immigrazione di massa, quindi a disinnescare una mina per gli accordi bilaterali? Qualunque sia il giudizio, la diatriba sorta attorno al fatto che la Commissione europea ha limitato ad un anno il riconoscimento dell’equivalenza della Borsa svizzera, in attesa di sostanziali progressi nei negoziati su un accordo quadro istituzionale, imprime al 2018 il timbro di anno decisivo nelle relazioni con l’Europa. Forse, dal nostro ombelico alpino non cogliamo lo spirito di quel che sta succedendo all’interno dell’Unione europea, da poco scampata ad una crisi quasi letale dell’euro, all’indomani della Brexit e con i grattacapi provocati dai recalcitranti membri orientali (con Polonia e Ungheria in testa a violarne i fondamenti legali e morali): a Bruxelles e nelle capitali che contano c’è una forte volontà di riaffermare
i fondamenti dell’Unione, di mostrare i muscoli. Quindi, non c’è da stupirsi se l’UE fa sentire il suo peso, tanto più davanti a politici elvetici molto sicuri di poter pretendere fantastiche concessioni sulla base di non si sa bene quale forza negoziale. La posizione della Commissione europea è nota: da quando il Consiglio federale ha ritirato la domanda di adesione all’Ue, Bruxelles vuole una cornice giuridica chiara nelle relazioni con la Svizzera. Ma il presidente Jean-Claude Juncker e i suoi colleghi devono avere percepito che l’accettazione politica di un accordo istituzionale che preveda un’interferenza giuridica esterna (i «giudici stranieri») è attualmente molto bassa, in Svizzera, nonostante il Consiglio federale si sia posto l’obiettivo di trovare un accordo entro il 2018 (scadenza non vincolante). Stanca di attendere, la Commissione ha deciso di fare pressione: vincolando il riconoscimento definitivo dell’equivalenza della Borsa svizzera a progressi verso un accordo quadro. Un passo sproporzionato? Un ricatto? Un vincolo improprio? Ma, scusate, non erano stati importanti esponenti borghesi, a partire dalla presidente del PLR Petra Gössi, a voler vincolare il «miliardo di coesione» alla cancellazione della «clausola ghigliottina» che grava
sugli accordi bilaterali 1 (ne decade uno, per esempio quello sulla libera circolazione, decadono tutti), ma anche ad un libero accesso ai mercati finanziari europei? Non era stata l’UDC a parlare di ulteriore regalo all’Ue che andava combattuto in parlamento? Non c’è molto da stupirsi se poi chi di vincoli ferisce di vincoli perisce. Anche il Consiglio federale si è fatto contagiare da questa atmosfera pugnace, Doris Leuthard ha spontaneamente vincolato il «miliardo di coesione» al riconoscimento dell’equivalenza della Borsa svizzera, forse convinta di poter mostrare i muscoli verso il pubblico nazionale ma chiedendo in fondo una cosa scontata al suo amico Juncker. Si è sbagliata. Primo, perché nelle relazioni internazionali non esistono amici. Secondo, perché quando si è un paese piccolo ci si può fare male a mostrarsi più forti di quel che si è di fronte ad un partner molto più grande. Tuttavia, il Governo resta in modalità pugnace, minacciando di rimangiarsi la parola sul «miliardo di coesione». Ma, come ha ricordato l’ex diplomatico svizzero Max Schweizer, il granito su cui gli avversari si sarebbero dovuti spaccare i denti, nella lotta sul segreto bancario, si è poi rivelato essere un formaggio appenzellese (TA, 20.12.17). La Storia a volte insegna i giusti limiti.
Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 27 dicembre 2017 • N. 52
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Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 27 dicembre 2017 • N. 52
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Società e Territorio Ai genitori dico che... Pubblicato il primo libro del pediatra Andreas Wechsler, frutto di decenni di incontri con i suoi pazienti
Una mappa per il pensiero Si chiama Mind mapping ed è una tecnica per organizzare le informazioni e affrontare in modo ordinato i problemi
Una vita su misura
Nuclei ticinesi in immagini Il sito lanostrastoria.ch propone una serie di brevi documentari degli anni 70 che testimoniano la trasformazione del territorio nel nostro cantone
pagina 6
Intervista Il medico Remo H. Largo, specialista in pediatria
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dello sviluppo, nel suo ultimo saggio riflette sull’individualità umana
Natascha Fioretti pagina 5
Nel corso della storia la scienza ha spesso mal interpretato le donne rinforzando così gli stereotipi di genere. (Marka)
Gli errori della scienza con le donne Pubblicazioni Angela Saini, giornalista scientifica inglese, ha scritto un libro nel quale smonta i pregiudizi
che la comunità scientifica ha avuto nei confronti delle donne, primo fra tutti la presunta debolezza fisica Stefania Prandi Tutto è cominciato quando Angela Saini, giornalista scientifica inglese, si è trovata di fronte all’articolo di tre ricercatori della McMaster University, pubblicato sulla rivista «Plos Computational Biology», che sosteneva che le donne entrano in menopausa perché gli uomini, anche quelli più anziani, non le trovano attraenti quando invecchiano e quindi non c’è ragione che continuino a restare fertili. Saini si occupa di divulgazione scientifica da anni per la BBC, ha scritto su riviste prestigiose come «Science», ha vinto premi internazionali e ha due master, uno in Ingegneria all’Università di Oxford e l’altro in Scienze al King’s College di Londra. Quando ha letto la teoria di Richard Morton, Jonathan Stone, Rama Singh, dal titolo Mate Choice and the Origin of Menopause (Accoppiamento e origine della menopausa), è andata su tutte le furie: era di fronte all’ennesima ricerca che denigrava le donne. Che lei sapesse, una delle teorie più accreditate sul tema, condivisa da diversi studiosi, ritiene che la longevità femminile, dopo la perdita della fertilità, sia dovuta al loro ruolo che le nonne hanno avuto a livello evolutivo, al fatto
che si dovessero prendere cura dei nipotini. Ha quindi deciso di sfruttare le sue competenze e capire da dove avesse origine un’idea come quella dei ricercatori della McMaster University. Ha intervistato gli autori e ha allargato lo sguardo, sentendo le principali autorità in materia. Successivamente ha deciso di fare lo stesso per altre teorie che le sembrava dessero troppo poco credito alle donne. È nato così Inferior, How Science Got Women Wrong – and the New Research That’s Rewriting the Story (Inferiore, come la scienza ha mal interpretato le donne e la nuova ricerca che sta riscrivendo la storia), un saggio in inglese che dal 2018 sarà in vendita, tradotto, nelle librerie di Corea del Sud, Brasile, Svezia, Olanda e Spagna. La tesi centrale del libro è che la scienza, nel corso della storia, abbia rinforzato gli stereotipi di genere, dando un’immagine fuorviante delle donne, con teorie ammantate di oggettività e imparzialità. Tra le pagine, fitte di citazioni, vengono messi in discussione personaggi fondamentali per i loro contributi all’umanità, come Charles Darwin che aveva una scarsa considerazione del genere femminile. Nel 1881 scrisse a Caroline Kennard, un’attivista per la parità di diritti: «Penso che le
donne, anche se superiori agli uomini per qualità morali, intellettualmente siano inferiori». Ci sono altri esempi. Nel 1887, l’ex chirurgo William Hammond scriveva sulla rivista «Popular Science Monthly» di avere osservato molti casi di donne che avevano il sistema nervoso disturbato nel tentativo, inutile, di imparare algebra, geometria, trigonometria e altre branche della matematica. Di recente, nel 2015, il giornale scientifico «Plos One» ha licenziato uno dei suoi critici dopo che, nella fase di revisione di un articolo, aveva suggerito alle autrici di farsi supportare da qualche uomo per prevenire «assunzioni ideologicamente faziose». Saini ha spiegato, in diverse interviste, di non avere la pretesa di offrire una verità assoluta. Il suo obiettivo è mettere in discussione gli schemi usati dalla scienza – che è un processo, e non una sequela di fatti – mostrando come funzionano, evidenziando le teorie che non sono dimostrabili, come ad esempio l’idea, ancora ampiamente condivisa, che uomini e donne abbiano forme di intelligenza diverse. Nonostante non ci siano prove dell’esistenza di differenze basate sull’anatomia e sulla fisiologia del cervello, ciclicamente vengono pubblicati articoli che insisto-
no su una presunta disparità di ragionamento dei due sessi dovuta a cause biologiche. Un altro dei falsi miti analizzati nel dettaglio dalla giornalista riguarda la questione della debolezza. Per le donne si usano ancora espressioni come «il sesso debole», e si dà per assunto che il corpo femminile sia poco resistente e potente. Eppure, secondo un’autorità in materia di vecchiaia e longevità, come Steven Austad, che ha una cattedra all’Università dell’Alabama, nel corpo femminile è contenuto il segreto per il prolungamento della vita dato che «a tutte le età le donne sembrano sopravvivere meglio degli uomini». Il Gerontology Research Group ha stilato una lista che conferma l’idea: su quarantatré ultracentenari nel mondo (con più di centodieci anni), quarantadue sono donne. Questo potrebbe dipendere da una costituzione più robusta, sostiene Kathryn Sandberg, direttrice del Centro per gli studi sulle differenze sessuali della Georgetown University. «Analizzando le diverse società, nelle varie epoche storiche, risulta che in media vivono cinque o sei anni più degli uomini». Le donne sembrano essere particolarmente forti nella corsa di re-
sistenza, nota Marlene Zuk, che dirige un laboratorio di biologia evoluzionistica all’Università del Minnesota. La caratteristica declina molto lentamente nel tempo. Inoltre, sono capaci di coprire grandi distanze quando sono incinta. Ad esempio, nel 2011, Amber Miller, ha corso la maratona di Chicago sette ore prima di partorire e Paula Radcliffe, campionessa pluripremiata, si è allenata durante tutte e due le gravidanze. Ovviamente si tratta di due casi particolari: atlete con anni di esercizi, predisposte per lo sport, sottoposte a un monitoraggio continuo. Già la sola capacità di portare avanti una gravidanza, comunque, sarebbe una dimostrazione della forza fisica femminile. L’antropologa Adrienne Zihlman, ricercatrice all’Università di Santa Cruz, ha studiato le migrazioni dal continente africano, all’inizio della storia dell’umanità: durante questi spostamenti le donne camminavano migliaia di chilometri, con condizioni atmosferiche estreme, anche mentre erano incinta. Quindi, secondo Saini, la categoria «debolezza», così come altri luoghi comuni, non sono altro che modi per rinforzare preconcetti che c’entrano poco con quello che le donne sono nella realtà.
Vivere pienamente e in profondità la nostra individualità è una sfida costante che ci tiene sempre in movimento ma, soprattutto, è una sfida che dobbiamo raccogliere e non possiamo perdere se vogliamo stare bene. Parola di Remo H. Largo, classe ’43, nato a Winterthur, una vita passata ad osservare i bambini, il loro comportamento e il loro sviluppo. Studi di medicina all’Università di Zurigo e pediatria dello sviluppo all’Università della California, per molti anni ha diretto il reparto Crescita e sviluppo della Clinica universitaria per l’infanzia a Zurigo. Uno studio longitudinale sugli sviluppi di oltre 900 bambini su un ampio arco di tempo gli ha permesso di raccogliere le conoscenze fondamentali per la comprensione dello sviluppo umano tanto da indurlo a mettere nero su bianco la sua esperienza restituendo il suo modello di individualità umana. Da qui dunque nasce il suo saggio da poco uscito in Germania e in Svizzera per l’editore Fischer dal titolo Das Passende Leben (La vita su misura), nel quale Remo H. Largo traccia la storia evolutiva dell’individualità umana: «L’uomo non può vivere una vita qualsiasi ma solo la sua. Ogni essere umano aspira a vivere i suoi bisogni individuali e i suoi talenti in armonia con l’ambiente. Meglio gli riesce più crescono il suo benessere e la sua autostima». L’uomo dunque e i suoi bisogni sono al centro di un testo che non manca di esercitare una forte critica sulla società di oggi, sul nostro modo di vivere e sul nostro rapporto con la natura. «Viviamo in un tempo pericoloso nel quale l’uomo ha imparato a dominare la natura ma non a dominare se stesso». Dobbiamo imparare a gestire le nostre paure esistenziali e a ridurre le nostre pretese materiali, dobbiamo assumerci la responsabilità del nostro agire ed essere umili. In passato l’interazione tra i talenti e un comportamento solidale rappresentavano il nocciolo di una ottimale strategia di sopravvivenza. Ma la coesione sociale che includeva famiglia e collettività si è fortemente indebolita mentre si è fatta largo la società anonima pervasa da un diffuso disagio dato dalla mancanza di relazioni stabili e una cultura capace di trasmettere identità e senso collettivo. Professor Largo, la sua è un’opera molto estesa nella quale da un lato critica la società, dall’altro propone una ricetta per vivere meglio. Crede che ne abbiamo bisogno?
Non abbiamo più un’immagine umana alla quale fare riferimento, questo è il problema di oggi. Non sappiamo più che cosa intendiamo per essere umano, che cosa un essere umano rappresenti o debba rappresentare, significare per noi. Partendo da questo presupposto ho sviluppato un modello che può aiutarci a recuperare la dimensione perduta. Ogni essere umano è unico per cui non esiste un percorso ideale,
Azione
Settimanale edito da Migros Ticino Fondato nel 1938 Redazione Peter Schiesser (redattore responsabile), Barbara Manzoni, Manuela Mazzi, Monica Puffi Poma, Simona Sala, Alessandro Zanoli, Ivan Leoni
una strada maestra da percorrere che sia uguale per tutti. Ogni persona deve trovare la ricetta che gli permetta di vivere al meglio la sua vita. E non è facile oggi, anzi è sempre più difficile perché l’ambiente, il contesto nel quale viviamo negli ultimi anni si è modificato notevolmente e continua a farlo con tempi sempre più rapidi. È arrivato il momento di riflettere e di chiederci se questo tipo di ambiente sia ancora quello giusto per noi, se ci permette di soddisfare i nostri bisogni primari.
Non solo un modello, quello che lei ha elaborato è un principio per raggiungere il benessere, di cosa si tratta?
Si tratta di una legge fondamentale che ci dice di vivere seguendo e assecondando la nostra individualità. Osservandola l’essere umano è in grado di vivere un’esistenza cucita su misura per lui, una vita in sintonia con la sua eccezionalità. Alla base di questo principio risiede la supposizione dalla quale ricaviamo lo sviluppo evolutivo-biologico dell’essere umano che determina la continuità di tutti gli individui: ogni uomo con i suoi bisogni individuali e i suoi talenti aspira a vivere in armonia, in accordo con l’ambiente circostante. E più gli riesce maggiori sono il suo benessere, la sua autostima e la sua autoefficacia. Ognuno di noi ha dei bisogni specifici da soddisfare, il bisogno di sentirsi protetto o il riconoscimento sociale. Lo stesso vale per le prestazioni, vogliamo portare a termine delle prestazioni che ci soddisfino, che corrispondano alle nostre capacità, prestazioni che per noi abbiano un senso e non siano dei banali compiti da svolgere come fossimo degli automi. A proposito di ambito professionale, in un passaggio sottolinea non soltanto l’importanza dell’unicità di ognuno di noi ma anche il fatto, da un lato, che non siamo tutti destinati ad essere sempre i primi della classe, dall’altro, che anche fallire e riconoscere i propri limiti è importante. Siamo in grado di farlo?
Naturalmente la concorrenza c’è sempre stata ma in passato era più moderata e, soprattutto, avveniva tra persone che si conoscevano. Oggi invece la competizione avviene tra persone che nemmeno si conoscono. E non importa se sia in campo sportivo, musicale o lavorativo, tutto ruota intorno al fatto di essere i più bravi e questo causa un enorme stress perché, in fondo, ciò di cui ogni individuo ha bisogno è la sicurezza. I posti di lavoro non sono più duraturi come una volta, le persone nell’arco del loro iter professionale spesso si ritrovano a dover cambiare posto di lavoro e a dover ricominciare tutto da capo. Una situazione fonte di enorme insicurezza, stress e malattie, molti giovani soffrono di mal di testa, problemi legati al sonno, la depressione è sempre più diffusa tra i giovani. Siamo costantemente in affanno per abituarci a nuove condizioni, nuovi Sede Via Pretorio 11 CH-6900 Lugano (TI) Tel 091 922 77 40 fax 091 923 18 89 info@azione.ch www.azione.ch La corrispondenza va indirizzata impersonalmente a «Azione» CP 6315, CH-6901 Lugano oppure alle singole redazioni
colleghi e compagni e corriamo il costante pericolo di trovarci esclusi da tutte le reti di relazione. Una sicurezza emotiva per la maggior parte delle persone esiste solo per un limitato tempo.
A proposito di insicurezza e di relazioni umane poco solide, lei dice che sono il risultato della società di massa anonima nella quale viviamo. Come siamo arrivati fin qui?
Non abbiamo vissuto ancora abbastanza per potere davvero comprendere quanto sia negativa per noi questa società di massa anonima. In passato eravamo abituati a vivere in gruppi di persone fidate, ogni essere umano conosceva l’altro e ognuno in qualche modo dipendeva dagli altri, magari da chi aveva più esperienza nei lavori manuali o da chi era bravo a fare musica. In principio vivevamo in una comunità molto stabile. Oggi tutto questo è stato sostituito da una società di massa anonima della quale non sappiamo come si svilupperà nei prossimi anni, così come l’economia. C’è una cosa elementare che abbiamo perso rispetto al passato ed è la tradizione. Intanto viviamo nella rincorsa di continui cambiamenti, novità e montature mediatiche che ormai influenzano ogni nostra relazione. Instabilità, insicurezza, paura, perdita di tradizione, come se la passa la cultura in tutto questo?
Solo in una comunità di persone possiamo soddisfare alcune nostre esigenze come la sicurezza, il riconoscimento sociale, uno stato sociale stabile. Nella società di massa anonima tutto questo è labile, dobbiamo costantemente riconquistarlo e spesso per molte persone non è nemmeno possibile. La cultura è sempre stata un importante collante, solo che oggi quando parliamo di cultura pensiamo alle sue grandi prestazioni e manifestazioni che valgono ormai soltanto per l’intrattenimento e il consumo. Ci muoviamo da una montatura mediatica all’altra, la disperazione dell’industria cinematografica o del teatro è totale perché non si sa più cosa proporre di nuovo per attirare l’attenzione e allora ci si rifà al passato e si ripropongono cose vecchie sotto mentite spoglie cercando di renderle attrattive. Operazione che il più delle volte fallisce e per me è sintomatica nell’individuare le differenze tra oggi e il passato. La cultura un tempo era tradizione, una tradizione che si tramandava di generazione in generazione, una tradizione che era espressione di identità mentre la cultura era appartenenza ad una collettività. Un tempo si usava ballare e cantare insieme, ci si raccontava delle storie, si stava insieme in modo attivo e partecipato mentre oggi ci nutriamo di grandi momenti di coesione che durano il tempo di un concerto rock, ma il sentimento collettivo subito scompare. Altra importante questione di cui secondo lei dobbiamo preoccuparci è il nostro rapporto con la natura. In che cosa sbagliamo? Editore e amministrazione Cooperativa Migros Ticino CP, 6592 S. Antonino Telefono 091 850 81 11 Stampa Centro Stampa Ticino SA Via Industria 6933 Muzzano Telefono 091 960 31 31
Viviamo in un tempo pericoloso nel quale l’uomo ha imparato a dominare la natura ma non a dominare se stesso e questo con delle conseguenze disastrose per l’ambiente. In passato vivevamo completamente immersi nella natura. Vivevamo in grotte o capanne per dormire e trovare riparo e stavamo tutto il tempo fuori all’aria aperta. Siamo sempre dipesi dalla natura e non da un appartamento o da una città. Lo vediamo molto bene nei bambini, con loro possiamo andare nel bosco, sulla riva di un ruscello a giocare e non si annoiano mai, non dicono mai «voglio andare a casa». Se invece devono stare chiusi a giocare nella loro camera allora si annoiano. Ma a molti bambini oggi succede proprio questo, non il contrario...
È vero ed è una catastrofe in grado di causare anche rallentamenti nello sviluppo. I bambini da sempre per stare bene hanno bisogno di due elementi: la natura e altri bambini. Un tempo si avevano più fratelli e sorelle e nel vicinato c’erano altri bambini con i quali giocare. Momenti e occasioni che oggi sono molto più rari. Il problema principale connesso a questa situazione è quello della fatica e del dispendio di energie. Se il bambino gioca nella sua stanza per i genitori è molto più semplice da gestire mentre richiede più attenzione e messa in campo di energia e tempo se viene portato a giocare nel bosco magari con altri bambini.
Verso la fine del libro, quando si parla del nostro rapporto con lo Stato e con l’economia, anche questo motivo di insoddisfazione e di disagio, cita Friedrich Dürrenmatt e il suo discorso fatto nel 1990: «Sediamo in una cella arredata in Tiratura 101’766 copie Inserzioni: Migros Ticino Reparto pubblicità CH-6592 S. Antonino Tel 091 850 82 91 fax 091 850 84 00 pubblicita@migrosticino.ch
modo confortevole». Ci riguarda in qualche modo?
Oggi disponiamo di una grande sicurezza in fatto di cibo, nutrizione, abbiamo un surplus materiale, una grande sicurezza in fatto di salute, diritto, disponiamo di un buon sistema di formazione. E disponiamo anche di importanti libertà, possiamo decidere quale professione intraprendere, dove vivere, i nostri vestiti possiamo decidere di comprarli online, possiamo scegliere il nostro medico, il parrucchiere... Ma per tutto questo paghiamo un prezzo molto alto, dipendiamo dalle strutture anonime dello Stato e dell’economia. Sediamo appunto in una cella ben ammobiliata e i guardiani che si prendono cura di noi sono le istituzioni anonime. E la felicità non risiede qui ma nella nostra capacità di vivere, di fare esperienza della nostra individualità secondo il principio del benessere. Lei è stato pediatra per tutta la sua vita, quanto ha influito sulla stesura di questo libro?
Se non fossi stato un pediatra, se non avessi trascorso la mia vita ad osservare i bambini, il loro comportamento e il loro sviluppo, questo libro non avrei mai potuto scriverlo. E credo che molto degli adulti possa essere compreso soltanto se si conosco i processi di sviluppo dei bambini. I bambini sono un’importante risorsa per imparare a comprendere ciò di cui abbiamo bisogno. E proprio come insegnanti e genitori devono imparare a gestire i diversi talenti dei bambini, la società deve trovare strumenti e modi per agire correttamente nei confronti della varietà dei talenti e delle necessità della società. Abbonamenti e cambio indirizzi Telefono 091 850 82 31 dalle 9.00 alle 11.00 e dalle 14.00 alle 16.00 dal lunedì al venerdì fax 091 850 83 75 registro.soci@migrosticino.ch Costi di abbonamento annuo Svizzera: Fr. 48.– Estero: a partire da Fr. 70.–
Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 27 dicembre 2017 • N. 52
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Una mappa per il pensiero Si chiama Mind mapping ed è una tecnica per organizzare le informazioni e affrontare in modo ordinato i problemi
Una vita su misura
Nuclei ticinesi in immagini Il sito lanostrastoria.ch propone una serie di brevi documentari degli anni 70 che testimoniano la trasformazione del territorio nel nostro cantone
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Intervista Il medico Remo H. Largo, specialista in pediatria
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dello sviluppo, nel suo ultimo saggio riflette sull’individualità umana
Natascha Fioretti pagina 5
Nel corso della storia la scienza ha spesso mal interpretato le donne rinforzando così gli stereotipi di genere. (Marka)
Gli errori della scienza con le donne Pubblicazioni Angela Saini, giornalista scientifica inglese, ha scritto un libro nel quale smonta i pregiudizi
che la comunità scientifica ha avuto nei confronti delle donne, primo fra tutti la presunta debolezza fisica Stefania Prandi Tutto è cominciato quando Angela Saini, giornalista scientifica inglese, si è trovata di fronte all’articolo di tre ricercatori della McMaster University, pubblicato sulla rivista «Plos Computational Biology», che sosteneva che le donne entrano in menopausa perché gli uomini, anche quelli più anziani, non le trovano attraenti quando invecchiano e quindi non c’è ragione che continuino a restare fertili. Saini si occupa di divulgazione scientifica da anni per la BBC, ha scritto su riviste prestigiose come «Science», ha vinto premi internazionali e ha due master, uno in Ingegneria all’Università di Oxford e l’altro in Scienze al King’s College di Londra. Quando ha letto la teoria di Richard Morton, Jonathan Stone, Rama Singh, dal titolo Mate Choice and the Origin of Menopause (Accoppiamento e origine della menopausa), è andata su tutte le furie: era di fronte all’ennesima ricerca che denigrava le donne. Che lei sapesse, una delle teorie più accreditate sul tema, condivisa da diversi studiosi, ritiene che la longevità femminile, dopo la perdita della fertilità, sia dovuta al loro ruolo che le nonne hanno avuto a livello evolutivo, al fatto
che si dovessero prendere cura dei nipotini. Ha quindi deciso di sfruttare le sue competenze e capire da dove avesse origine un’idea come quella dei ricercatori della McMaster University. Ha intervistato gli autori e ha allargato lo sguardo, sentendo le principali autorità in materia. Successivamente ha deciso di fare lo stesso per altre teorie che le sembrava dessero troppo poco credito alle donne. È nato così Inferior, How Science Got Women Wrong – and the New Research That’s Rewriting the Story (Inferiore, come la scienza ha mal interpretato le donne e la nuova ricerca che sta riscrivendo la storia), un saggio in inglese che dal 2018 sarà in vendita, tradotto, nelle librerie di Corea del Sud, Brasile, Svezia, Olanda e Spagna. La tesi centrale del libro è che la scienza, nel corso della storia, abbia rinforzato gli stereotipi di genere, dando un’immagine fuorviante delle donne, con teorie ammantate di oggettività e imparzialità. Tra le pagine, fitte di citazioni, vengono messi in discussione personaggi fondamentali per i loro contributi all’umanità, come Charles Darwin che aveva una scarsa considerazione del genere femminile. Nel 1881 scrisse a Caroline Kennard, un’attivista per la parità di diritti: «Penso che le
donne, anche se superiori agli uomini per qualità morali, intellettualmente siano inferiori». Ci sono altri esempi. Nel 1887, l’ex chirurgo William Hammond scriveva sulla rivista «Popular Science Monthly» di avere osservato molti casi di donne che avevano il sistema nervoso disturbato nel tentativo, inutile, di imparare algebra, geometria, trigonometria e altre branche della matematica. Di recente, nel 2015, il giornale scientifico «Plos One» ha licenziato uno dei suoi critici dopo che, nella fase di revisione di un articolo, aveva suggerito alle autrici di farsi supportare da qualche uomo per prevenire «assunzioni ideologicamente faziose». Saini ha spiegato, in diverse interviste, di non avere la pretesa di offrire una verità assoluta. Il suo obiettivo è mettere in discussione gli schemi usati dalla scienza – che è un processo, e non una sequela di fatti – mostrando come funzionano, evidenziando le teorie che non sono dimostrabili, come ad esempio l’idea, ancora ampiamente condivisa, che uomini e donne abbiano forme di intelligenza diverse. Nonostante non ci siano prove dell’esistenza di differenze basate sull’anatomia e sulla fisiologia del cervello, ciclicamente vengono pubblicati articoli che insisto-
no su una presunta disparità di ragionamento dei due sessi dovuta a cause biologiche. Un altro dei falsi miti analizzati nel dettaglio dalla giornalista riguarda la questione della debolezza. Per le donne si usano ancora espressioni come «il sesso debole», e si dà per assunto che il corpo femminile sia poco resistente e potente. Eppure, secondo un’autorità in materia di vecchiaia e longevità, come Steven Austad, che ha una cattedra all’Università dell’Alabama, nel corpo femminile è contenuto il segreto per il prolungamento della vita dato che «a tutte le età le donne sembrano sopravvivere meglio degli uomini». Il Gerontology Research Group ha stilato una lista che conferma l’idea: su quarantatré ultracentenari nel mondo (con più di centodieci anni), quarantadue sono donne. Questo potrebbe dipendere da una costituzione più robusta, sostiene Kathryn Sandberg, direttrice del Centro per gli studi sulle differenze sessuali della Georgetown University. «Analizzando le diverse società, nelle varie epoche storiche, risulta che in media vivono cinque o sei anni più degli uomini». Le donne sembrano essere particolarmente forti nella corsa di re-
sistenza, nota Marlene Zuk, che dirige un laboratorio di biologia evoluzionistica all’Università del Minnesota. La caratteristica declina molto lentamente nel tempo. Inoltre, sono capaci di coprire grandi distanze quando sono incinta. Ad esempio, nel 2011, Amber Miller, ha corso la maratona di Chicago sette ore prima di partorire e Paula Radcliffe, campionessa pluripremiata, si è allenata durante tutte e due le gravidanze. Ovviamente si tratta di due casi particolari: atlete con anni di esercizi, predisposte per lo sport, sottoposte a un monitoraggio continuo. Già la sola capacità di portare avanti una gravidanza, comunque, sarebbe una dimostrazione della forza fisica femminile. L’antropologa Adrienne Zihlman, ricercatrice all’Università di Santa Cruz, ha studiato le migrazioni dal continente africano, all’inizio della storia dell’umanità: durante questi spostamenti le donne camminavano migliaia di chilometri, con condizioni atmosferiche estreme, anche mentre erano incinta. Quindi, secondo Saini, la categoria «debolezza», così come altri luoghi comuni, non sono altro che modi per rinforzare preconcetti che c’entrano poco con quello che le donne sono nella realtà.
Vivere pienamente e in profondità la nostra individualità è una sfida costante che ci tiene sempre in movimento ma, soprattutto, è una sfida che dobbiamo raccogliere e non possiamo perdere se vogliamo stare bene. Parola di Remo H. Largo, classe ’43, nato a Winterthur, una vita passata ad osservare i bambini, il loro comportamento e il loro sviluppo. Studi di medicina all’Università di Zurigo e pediatria dello sviluppo all’Università della California, per molti anni ha diretto il reparto Crescita e sviluppo della Clinica universitaria per l’infanzia a Zurigo. Uno studio longitudinale sugli sviluppi di oltre 900 bambini su un ampio arco di tempo gli ha permesso di raccogliere le conoscenze fondamentali per la comprensione dello sviluppo umano tanto da indurlo a mettere nero su bianco la sua esperienza restituendo il suo modello di individualità umana. Da qui dunque nasce il suo saggio da poco uscito in Germania e in Svizzera per l’editore Fischer dal titolo Das Passende Leben (La vita su misura), nel quale Remo H. Largo traccia la storia evolutiva dell’individualità umana: «L’uomo non può vivere una vita qualsiasi ma solo la sua. Ogni essere umano aspira a vivere i suoi bisogni individuali e i suoi talenti in armonia con l’ambiente. Meglio gli riesce più crescono il suo benessere e la sua autostima». L’uomo dunque e i suoi bisogni sono al centro di un testo che non manca di esercitare una forte critica sulla società di oggi, sul nostro modo di vivere e sul nostro rapporto con la natura. «Viviamo in un tempo pericoloso nel quale l’uomo ha imparato a dominare la natura ma non a dominare se stesso». Dobbiamo imparare a gestire le nostre paure esistenziali e a ridurre le nostre pretese materiali, dobbiamo assumerci la responsabilità del nostro agire ed essere umili. In passato l’interazione tra i talenti e un comportamento solidale rappresentavano il nocciolo di una ottimale strategia di sopravvivenza. Ma la coesione sociale che includeva famiglia e collettività si è fortemente indebolita mentre si è fatta largo la società anonima pervasa da un diffuso disagio dato dalla mancanza di relazioni stabili e una cultura capace di trasmettere identità e senso collettivo. Professor Largo, la sua è un’opera molto estesa nella quale da un lato critica la società, dall’altro propone una ricetta per vivere meglio. Crede che ne abbiamo bisogno?
Non abbiamo più un’immagine umana alla quale fare riferimento, questo è il problema di oggi. Non sappiamo più che cosa intendiamo per essere umano, che cosa un essere umano rappresenti o debba rappresentare, significare per noi. Partendo da questo presupposto ho sviluppato un modello che può aiutarci a recuperare la dimensione perduta. Ogni essere umano è unico per cui non esiste un percorso ideale,
Azione
Settimanale edito da Migros Ticino Fondato nel 1938 Redazione Peter Schiesser (redattore responsabile), Barbara Manzoni, Manuela Mazzi, Monica Puffi Poma, Simona Sala, Alessandro Zanoli, Ivan Leoni
una strada maestra da percorrere che sia uguale per tutti. Ogni persona deve trovare la ricetta che gli permetta di vivere al meglio la sua vita. E non è facile oggi, anzi è sempre più difficile perché l’ambiente, il contesto nel quale viviamo negli ultimi anni si è modificato notevolmente e continua a farlo con tempi sempre più rapidi. È arrivato il momento di riflettere e di chiederci se questo tipo di ambiente sia ancora quello giusto per noi, se ci permette di soddisfare i nostri bisogni primari.
Non solo un modello, quello che lei ha elaborato è un principio per raggiungere il benessere, di cosa si tratta?
Si tratta di una legge fondamentale che ci dice di vivere seguendo e assecondando la nostra individualità. Osservandola l’essere umano è in grado di vivere un’esistenza cucita su misura per lui, una vita in sintonia con la sua eccezionalità. Alla base di questo principio risiede la supposizione dalla quale ricaviamo lo sviluppo evolutivo-biologico dell’essere umano che determina la continuità di tutti gli individui: ogni uomo con i suoi bisogni individuali e i suoi talenti aspira a vivere in armonia, in accordo con l’ambiente circostante. E più gli riesce maggiori sono il suo benessere, la sua autostima e la sua autoefficacia. Ognuno di noi ha dei bisogni specifici da soddisfare, il bisogno di sentirsi protetto o il riconoscimento sociale. Lo stesso vale per le prestazioni, vogliamo portare a termine delle prestazioni che ci soddisfino, che corrispondano alle nostre capacità, prestazioni che per noi abbiano un senso e non siano dei banali compiti da svolgere come fossimo degli automi. A proposito di ambito professionale, in un passaggio sottolinea non soltanto l’importanza dell’unicità di ognuno di noi ma anche il fatto, da un lato, che non siamo tutti destinati ad essere sempre i primi della classe, dall’altro, che anche fallire e riconoscere i propri limiti è importante. Siamo in grado di farlo?
Naturalmente la concorrenza c’è sempre stata ma in passato era più moderata e, soprattutto, avveniva tra persone che si conoscevano. Oggi invece la competizione avviene tra persone che nemmeno si conoscono. E non importa se sia in campo sportivo, musicale o lavorativo, tutto ruota intorno al fatto di essere i più bravi e questo causa un enorme stress perché, in fondo, ciò di cui ogni individuo ha bisogno è la sicurezza. I posti di lavoro non sono più duraturi come una volta, le persone nell’arco del loro iter professionale spesso si ritrovano a dover cambiare posto di lavoro e a dover ricominciare tutto da capo. Una situazione fonte di enorme insicurezza, stress e malattie, molti giovani soffrono di mal di testa, problemi legati al sonno, la depressione è sempre più diffusa tra i giovani. Siamo costantemente in affanno per abituarci a nuove condizioni, nuovi Sede Via Pretorio 11 CH-6900 Lugano (TI) Tel 091 922 77 40 fax 091 923 18 89 info@azione.ch www.azione.ch La corrispondenza va indirizzata impersonalmente a «Azione» CP 6315, CH-6901 Lugano oppure alle singole redazioni
colleghi e compagni e corriamo il costante pericolo di trovarci esclusi da tutte le reti di relazione. Una sicurezza emotiva per la maggior parte delle persone esiste solo per un limitato tempo.
A proposito di insicurezza e di relazioni umane poco solide, lei dice che sono il risultato della società di massa anonima nella quale viviamo. Come siamo arrivati fin qui?
Non abbiamo vissuto ancora abbastanza per potere davvero comprendere quanto sia negativa per noi questa società di massa anonima. In passato eravamo abituati a vivere in gruppi di persone fidate, ogni essere umano conosceva l’altro e ognuno in qualche modo dipendeva dagli altri, magari da chi aveva più esperienza nei lavori manuali o da chi era bravo a fare musica. In principio vivevamo in una comunità molto stabile. Oggi tutto questo è stato sostituito da una società di massa anonima della quale non sappiamo come si svilupperà nei prossimi anni, così come l’economia. C’è una cosa elementare che abbiamo perso rispetto al passato ed è la tradizione. Intanto viviamo nella rincorsa di continui cambiamenti, novità e montature mediatiche che ormai influenzano ogni nostra relazione. Instabilità, insicurezza, paura, perdita di tradizione, come se la passa la cultura in tutto questo?
Solo in una comunità di persone possiamo soddisfare alcune nostre esigenze come la sicurezza, il riconoscimento sociale, uno stato sociale stabile. Nella società di massa anonima tutto questo è labile, dobbiamo costantemente riconquistarlo e spesso per molte persone non è nemmeno possibile. La cultura è sempre stata un importante collante, solo che oggi quando parliamo di cultura pensiamo alle sue grandi prestazioni e manifestazioni che valgono ormai soltanto per l’intrattenimento e il consumo. Ci muoviamo da una montatura mediatica all’altra, la disperazione dell’industria cinematografica o del teatro è totale perché non si sa più cosa proporre di nuovo per attirare l’attenzione e allora ci si rifà al passato e si ripropongono cose vecchie sotto mentite spoglie cercando di renderle attrattive. Operazione che il più delle volte fallisce e per me è sintomatica nell’individuare le differenze tra oggi e il passato. La cultura un tempo era tradizione, una tradizione che si tramandava di generazione in generazione, una tradizione che era espressione di identità mentre la cultura era appartenenza ad una collettività. Un tempo si usava ballare e cantare insieme, ci si raccontava delle storie, si stava insieme in modo attivo e partecipato mentre oggi ci nutriamo di grandi momenti di coesione che durano il tempo di un concerto rock, ma il sentimento collettivo subito scompare. Altra importante questione di cui secondo lei dobbiamo preoccuparci è il nostro rapporto con la natura. In che cosa sbagliamo? Editore e amministrazione Cooperativa Migros Ticino CP, 6592 S. Antonino Telefono 091 850 81 11 Stampa Centro Stampa Ticino SA Via Industria 6933 Muzzano Telefono 091 960 31 31
Viviamo in un tempo pericoloso nel quale l’uomo ha imparato a dominare la natura ma non a dominare se stesso e questo con delle conseguenze disastrose per l’ambiente. In passato vivevamo completamente immersi nella natura. Vivevamo in grotte o capanne per dormire e trovare riparo e stavamo tutto il tempo fuori all’aria aperta. Siamo sempre dipesi dalla natura e non da un appartamento o da una città. Lo vediamo molto bene nei bambini, con loro possiamo andare nel bosco, sulla riva di un ruscello a giocare e non si annoiano mai, non dicono mai «voglio andare a casa». Se invece devono stare chiusi a giocare nella loro camera allora si annoiano. Ma a molti bambini oggi succede proprio questo, non il contrario...
È vero ed è una catastrofe in grado di causare anche rallentamenti nello sviluppo. I bambini da sempre per stare bene hanno bisogno di due elementi: la natura e altri bambini. Un tempo si avevano più fratelli e sorelle e nel vicinato c’erano altri bambini con i quali giocare. Momenti e occasioni che oggi sono molto più rari. Il problema principale connesso a questa situazione è quello della fatica e del dispendio di energie. Se il bambino gioca nella sua stanza per i genitori è molto più semplice da gestire mentre richiede più attenzione e messa in campo di energia e tempo se viene portato a giocare nel bosco magari con altri bambini.
Verso la fine del libro, quando si parla del nostro rapporto con lo Stato e con l’economia, anche questo motivo di insoddisfazione e di disagio, cita Friedrich Dürrenmatt e il suo discorso fatto nel 1990: «Sediamo in una cella arredata in Tiratura 101’766 copie Inserzioni: Migros Ticino Reparto pubblicità CH-6592 S. Antonino Tel 091 850 82 91 fax 091 850 84 00 pubblicita@migrosticino.ch
modo confortevole». Ci riguarda in qualche modo?
Oggi disponiamo di una grande sicurezza in fatto di cibo, nutrizione, abbiamo un surplus materiale, una grande sicurezza in fatto di salute, diritto, disponiamo di un buon sistema di formazione. E disponiamo anche di importanti libertà, possiamo decidere quale professione intraprendere, dove vivere, i nostri vestiti possiamo decidere di comprarli online, possiamo scegliere il nostro medico, il parrucchiere... Ma per tutto questo paghiamo un prezzo molto alto, dipendiamo dalle strutture anonime dello Stato e dell’economia. Sediamo appunto in una cella ben ammobiliata e i guardiani che si prendono cura di noi sono le istituzioni anonime. E la felicità non risiede qui ma nella nostra capacità di vivere, di fare esperienza della nostra individualità secondo il principio del benessere. Lei è stato pediatra per tutta la sua vita, quanto ha influito sulla stesura di questo libro?
Se non fossi stato un pediatra, se non avessi trascorso la mia vita ad osservare i bambini, il loro comportamento e il loro sviluppo, questo libro non avrei mai potuto scriverlo. E credo che molto degli adulti possa essere compreso soltanto se si conosco i processi di sviluppo dei bambini. I bambini sono un’importante risorsa per imparare a comprendere ciò di cui abbiamo bisogno. E proprio come insegnanti e genitori devono imparare a gestire i diversi talenti dei bambini, la società deve trovare strumenti e modi per agire correttamente nei confronti della varietà dei talenti e delle necessità della società. Abbonamenti e cambio indirizzi Telefono 091 850 82 31 dalle 9.00 alle 11.00 e dalle 14.00 alle 16.00 dal lunedì al venerdì fax 091 850 83 75 registro.soci@migrosticino.ch Costi di abbonamento annuo Svizzera: Fr. 48.– Estero: a partire da Fr. 70.–
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Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 27 dicembre 2017 • N. 52
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Società e Territorio
Uniti da divertimento e passione Pubblicazioni Il pediatra Andreas Wechsler scrive il suo primo libro, frutto di anni di incontri
con i suoi pazienti. Il messaggio è: genitori, fidatevi del vostro istinto e del vostro buonsenso
Roberto Porta Prendete un pediatra che non ama stare al sole e portatelo in vacanza su un’isoletta dell’Oceano indicano. Ogni tanto nuoterà ma trascorrerà il resto della giornata all’ombra. Ed è proprio lì, in quel lontano atollo che ha visto la luce il primo libro di Andreas Wechsler. Un volume che il pediatra aveva già impostato in grandi linee prima di quella trasferta ma che ha trovato la sua stesura nelle lunghe ore trascorse all’ombra, ad attendere in solitudine il rientro della famiglia dalla spiaggia. Nella stesura del suo libro Wechsler usa un linguaggio non specialistico, concentrandosi su quelli che lui chiama i «cuccioli», sui bambini dai zero ai tre anni, e sui loro genitori. Con nella bussola un obiettivo ben definito: la norma. «È un libro pensato per il 95% delle famiglie, quelle in cui fortunatamente il bambino cresce senza particolari problemi di salute – ci dice – famiglie in cui si verificano ogni giorno cose tendenzialmente normali. Cose che però una buona parte dei genitori vive e percepisce come non normali. La mia professione, e lo confermo con questo mio libro, consiste molto spesso nel dire semplicemente che tutto va bene, che questo o quel comportamento del bambino fanno parte della norma».
«La mia professione consiste spesso nel dire che questo o quel comportamento rientra nella norma» Diplomatosi in pediatria nel 1990, Andreas Wechsler ha avuto esperienze professionali a Boston, a Zurigo e in Ticino, dove dal 2005 gestisce un proprio studio pediatrico. Il libro che porta il titolo Genitori per divertimento, figli per passione è una sorta di riassunto delle visite e dei colloqui avuti in tutti questi anni con i pazienti, o meglio con
i genitori dei pazienti. «È proprio così, devo dire grazie ai genitori! Senza di loro non sarei andato da nessuna parte, perché sono stati loro a darmi sia le domande sia le risposte. Il mio compito è stato quello di fare una “supersintesi” di tutto quello che ho sentito nel corso delle mie visite e che ho cercato di inserire in modo empirico nel bagaglio delle mie conoscenze mediche. Ho preso quello che io ho imparato sui libri e ci ho messo sopra quello che mi hanno raccontato i genitori. Ho unito la mia alle loro esperienza. Il libro è nato così. Un volume che ha lo stesso scopo delle mie consultazioni, far capire ai genitori che loro non sono il problema, ma la soluzione. E di questo spesso mamma e papà non sono del tutto consapevoli». Il libro si articola lungo le varie fasi della vita di un «cucciolo», dalla nascita fino ai tre anni, toccando le tappe principali di questo percorso. A dire il vero, al di là del gran numero di informazioni pratiche dispensate dal pediatra, il lettore dovrà abituarsi anche al linguaggio di Wechsler, molto fantasioso e colorito. Con frasi che qua e là lasceranno i genitori sospesi a metà del guado, tra il divertimento e lo stupore, tra un sorriso e la consapevolezza di avere a che fare con un medico che declina a modo suo le ampie conoscenze scientifiche di cui dispone. Un paio di esempi che troverete nel libro. «Care mamme fidatevi delle vostre tette, che la natura e il buon senso provvedono», questo per dire che il neonato non va sovralimentato. «Non mi stancherò mai di ripeterlo: buttate via tutte le bilance e ignorate le persone che ad ogni pianto dicono “sarà la fame” (...) il ragionamento è semplice: funziona così da milioni di anni, non deve essere poi così difficile». In altri termini, dentro la «norma» conviene scegliere la via della semplicità anche se, si legge ancora nel libro, «è normale all’inizio non sentirsi totalmente saldi in sella». Per Wechsler vale dunque un principio fondamentale che serve un po’ da vademecum per tutti i genitori: «all’inizio – ci dice – i bisogni
del bambino sono relativamente semplici. Uno che riconosce quei segnali lì se la cava benissimo. Le cose più complicate arrivano molto dopo, quando i figli andranno alle scuole medie...». Il libro è scritto in modo originale anche perché a turno prendono la parola, o meglio la penna, i protagonisti di questa prima esplorazione della vita. In alcuni passaggi c’è un «io narrante» medico, in altri invece il testimone passa al genitore e in altri ancora al bambino. Ma è sempre Wechsler che scrive, cambiando di volta in volta la visione delle cose, come quando si mette nei panni di un bimbo dai 18 ai 36 mesi di vita. «Passo molto tempo con creature alte come me. Non ho capito bene chi siano o cosa siano, ma sono lì. Divertente anche se non utile. Una volta ho tirato un calcio negli stinchi a mio nonno e lui era tutto divertito. Benissimo,
provo anche con questi. Non so perché, ma non sembrano divertirsi». Un libro che va ad aggiungersi a un’infinita serie di altri saggi sul tema dell’infanzia. Ma che dire, chiediamo, a chi non ne vuol sapere di affidarsi ad una guida pratica? «Giusto, anche io farei così. Penso che il genitore si sbaglierà raramente se decide di assumere con le viscere, di pancia, questa sfida. Il libro può comunque servire perché trasmette parecchie informazioni e rafforza il concetto della naturalezza dell’evento. Meglio non perdere troppo tempo a guardare a destra e a sinistra. Troppi consulenti parlano delle loro esperienze ma non della esperienza con la E maiuscola e della natura del bambino. Io in fondo ho voluto mettere in un catino le mie esperienze di pediatra, facendomi portatore di informazioni molto ampie perché derivano dalle mie
visite mediche quotidiane. E quindi è molto più probabile che tu come genitore ci caschi dentro in quel catino, che ti ci ritrovi. È uno spazio in cui puoi capire che quello che ti succede corrisponde alla norma». In un rapporto tra genitori e figli che è in continua evoluzione, fin dall’inizio, con una serie di passaggi inevitabili ma non semplici da affrontare. «Molti scatti evolutivi, infatti, avvengono solo nel momento in cui il genitore è disponibile a farsi un po’ da parte. Il tema è di quelli grossi e non è l’ultima volta che ne parleremo» scrive ancora Wechsler, pronto prossimamente a lanciarsi nella stesura di un secondo volume, per i bambini oltre i tre anni di età. Un pediatra ora anche scrittore che, senza camice ma con le sue immancabili e variopinte bretelle, potrebbe anche fare il cabarettista. Annuncio pubblicitario
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Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 27 dicembre 2017 • N. 52
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Società e Territorio Una mappa di Patrizia Pfenninger dedicata al peperone: priorità e gerarchie sono immediatamente visibili.
I problemi dei nuclei ticinesi lanostraStoria.ch Pubblicati dodici video
che descrivono tutte le tipologie di nuclei urbani ticinesi negli anni Sessanta Lorenzo De Carli
Le idee in una mappa
Mind mapping Un modo efficace per fissare ed elaborare i pensieri
e le informazioni, ce lo spiega Patrizia Pfenninger
Alessandra Ostini Sutto Il nostro pensiero non procede un passo dopo l’altro lungo un’unica linea retta. Esso si sviluppa piuttosto in modo «radiante». Proviamo a pensare ad una cosa qualsiasi e vedremo come idee, concetti ma pure immagini e simboli si affollano nella nostra mente, si ramificano in varie direzioni, seguendo il flusso dell’immaginazione e delle associazioni. Di conseguenza, più il modo di registrare le informazioni si avvicina a questo tipo di funzionamento, più saremo in grado di «richiamarle» ed elaborarle per originarne di nuove. Su questo principio si basano le Mappe mentali. Inventate dal cognitivista inglese Tony Buzan come strumento di memorizzazione e apprendimento, esse sono una rappresentazione di questo «pensiero radiante». Era l’inizio degli anni Sessanta quando Buzan formulò la teoria della «mental literacy» – o «alfabetizzazione mentale» – la quale sollecitando entrambi gli emisferi cerebrali, si traduce in una piattaforma creativa e logica allo stesso tempo. Oggi, di fronte ad una crescente complessità e ad un sovraccarico di informazioni, le Mappe mentali costituiscono uno strumento cognitivo per mappare, decodificare e semplificare la realtà. «Il Mind mapping – che si può pure definire “Idea mapping” dal momento che sono le idee ad essere posizionate su una vera e propria mappa – è un modo efficace per fissare ed elaborare i pensieri e le informazioni che il nostro cervello riceve ogni giorno», commenta Patrizia Pfenninger, che, dopo aver studiato arte applicata al CSIA e comunicazione visiva alla Supsi, dal 2006, con la sua agenzia indica, si occupa di design, marketing ed espressione artistica. Parallelamente all’attività professionale, si è specializzata in marketing e interaction design. A tutt’oggi è aperta a nuovi approcci: «Qualche anno fa sentivo forte l’esigenza di un metodo che mi permettesse di non perdere nulla di quello che letteralmente “mi saltava in mente”, in ambito professionale ma pure personale. Quando lavoro ad un progetto, per esempio, capita spesso che tra un incontro e l’altro con un committente passi parecchio tempo; mi serviva quindi uno strumento di lavoro che da un lato evitasse alle idee di finire, per così dire, nel dimenticatoio e, dall’altro mi permettesse di rielaborare quanto sviluppato anche solo a livello di schizzi o concetti». Ed è informandosi su quello che poteva fare per rispondere a queste esigenze – e anche alla manualità che la caratterizza – che si è imbattuta nell’Idea mapping. «Siccome, secondo me, se si vuole imparare una disciplina, la cosa migliore è farlo dove essa è nata, nel dicembre del 2014 mi sono recata in Florida per seguire un corso intensivo di una settimana con Jamie Nast, vera guru nel settore. Una bellissima esperienza, che
mi ha permesso di diventare istruttore di Idea mapping», continua Patrizia. Questo approccio supera le tante imposizioni connesse alla scrittura, come il fatto di dover procedere da sinistra verso destra e dall’alto verso il basso, le quali implicano di dover a priori stabilire un ordine di quello che si sta esponendo. «Le mappe consentono di essere meno rigidi. Man mano che le informazioni e gli input arrivano alla mente vengono messi sulla carta nella posizione migliore, creando una gerarchia anche per mezzo di dimensione e formato», spiega Patrizia, mostrandoci alcune delle mappe mentali da lei elaborate. Tutte piacevoli da vedere, possono essere schematiche oppure più pittoriche, fino ad arrivare ad essere delle piccole opere d’arte, grazie anche al ricorso a parole chiave, icone, immagini e colori. Al di là delle peculiarità di ogni creazione, il Mind mapping prevede una struttura comune a tutte le mappe. Si parte con l’idea che si vuole rappresentare posta al centro dello schema, da cui si irradiano delle linee che rappresentano i temi principali ad essa connessi. Su queste linee, un’immagine o una parola chiave stabilisce un collegamento visivo e logico con il concetto centrale della mappa. Dalle linee principali partono delle ramificazioni, che rappresentano i concetti secondari. Ogni ramificazione può essere ulteriormente indagata fino al livello che si desidera. Questo permette da un lato di liberare idee e pensieri sfruttando le proprie risorse cognitive, dall’altro di identificare e comprendere agevolmente la struttura dell’oggetto che si sta analizzando. Il risultato sarà in ogni caso unico: «Di questa pratica mi piace il fatto che è molto personale. Il tuo tratto è il tuo linguaggio, che con il tempo si intensifica sempre più. E poi il fatto che è immediata. Tutto è rappresentato su una pagina, la sintesi è estrema», commenta con passione Patrizia Pfenninger. Questo è reso possibile dal fatto di servirsi – come detto – di parole chiave e simboli, che hanno la capacità di far ricordare quanto detto o letto, come se aprissero dei cassetti mentali. Ma il Mind map ha pure un’altra dimensione: «Oltre a quello che hai creato, c’è quello che generi a partire da esso, da solo o con la partecipazione di altri», afferma Patrizia. In questo senso la tecnica aiuta a stimolare la creatività e l’immaginazione e a sviluppare il pensiero critico, individuale e di gruppo, a confrontarsi con gli altri e a creare sinergie in un team. Ecco perché aziende ed organizzazioni l’utilizzano come strumento del problem solving, specialmente centrato sul brainstorming. La mappatura delle idee è utile per qualsiasi campo dell’esistenza: dal business alla famiglia, dalle questioni sociali a quelle personali. «Io uso questo metodo praticamente sempre. In ambito
professionale, tra le altre cose, per prendere appunti durante una conferenza o sviluppare progetti in modo rapido ed intuitivo. È molto pratico anche per organizzare il tempo, dal momento che consente di avere una visione immediata delle priorità e delle gerarchie», spiega Patrizia, una mente creativa in continuo fermento: «nel privato l’ho usato per esempio quando il mio studio si è allagato e ho dovuto fare un trasloco immediato. Emotivamente ero k.o. perché per me si trattava di un posto del cuore e l’Idea mapping è stato il mio aiuto per strutturare in modo veloce e funzionale tutto quello che dovevo fare». Viene però da chiedersi se non risulti difficile applicare questa tecnica considerando che a partire dalla scuola abbiamo imparato a svolgere in modo lineare e sequenziale il pensiero. «L’Idea mapping è una pratica da cui tutti possono trovare giovamento. Imparare è veloce e semplice, perché fa parte del nostro modo di ragionare; si tratta fondamentalmente di mettere su carta quello che abbiamo in testa, ma va fatto nei modi corretti. Ci sono delle regole di base che vanno tramandate in modo professionale», afferma la giovane creativa, «ecco perché consiglio di fare almeno un incontro, nell’ambito del quale vengono spiegati i fondamenti dell’approccio e, soprattutto, viene data la possibilità di creare una mappa, essendo seguiti, di vederne altre e commentarle». Patrizia Pfenninger propone incontri con privati, scuole e strutture aziendali, con lo scopo di fornire un tool di lavoro da mettere subito in pratica. «Nelle aziende il mio ruolo è piuttosto quello di moderatrice: si sceglie una problematica e man mano che se ne parla la si espone su carta. Il risultato è bello da vedere e questo colpisce ma un’altra cosa apprezzata è il modo in cui tutti prendono parte al processo». Per quel che riguarda l’ambito scolastico, il Mind mapping può essere di grande aiuto nel caso di alcuni disturbi dell’apprendimento, per esempio la dislessia. In generale si tratta di un eccellente sistema per agevolare lo studio. «Quando uno studente si trova con tante pagine da studiare, cosa fa? In genere una sintesi, che sono comunque parole sulle parole», commenta Patrizia, «con il Mind mapping si tratta invece di capire quanto si ha davanti e poi elaborarlo dandogli una forma personale, e facendolo assicuro che ci si diverte. Quanto ottenuto permette di avere tutto sott’occhio, il che significa poter vedere il collegamento tra le informazioni, senza dover ricorrere a lunghe descrizioni, e poter fare agevolmente un ripasso più volte al giorno».
«Descrivere le trasformazioni territoriali dell’ultimo cinquantennio significa tentare di illustrare il passaggio precipitoso da una configurazione fondata su un relativo equilibrio tra città e campagna (piccole città, campagne in stato di incipiente declino) verso la formazione di uno spezzone, peraltro assai discontinuo, di città diffusa». Così scriveva l’architetto Tita Carloni nel saggio intitolato «La grande trasformazione del territorio», apparso nel 1998 nella Storia del Cantone Ticino. L’Ottocento e il Novecento curata da Raffaello Ceschi. Da allora, la «città diffusa» non ha fatto che crescere, creando ampie zone edificate senza soluzione di continuità. Nelle pagine del portale di storia partecipativa lanostraStoria.ch sta aumentando quella documentazione iconografica del nostro territorio, grazie alla quale studiare le trasformazioni descritte da Carloni, ben visibili all’occhio dell’architetto addestrato a leggere la sintassi del terreno edificato ma quasi impercepite da chi non compie lo sforzo di opporsi alla forza dell’oblio sostenuta dall’abitudine. Grazie a Memoriav – l’associazione che salvaguarda il patrimonio culturale svizzero – nel 2010 fu possibile digitalizzare alcuni film in 16 millimetri della RSI contenenti una serie di trasmissioni televisive prodotte da Bixio Candolfi nel 1970 e curate da Sergio Genni, complessivamente intitolate I problemi dei nuclei ticinesi. Mai più trasmessi in televisione, quei dodici, brevi, documentari di straordinario interesse, grazie alla Fondazione Patrimonio Culturale della RSI, sono ora disponibili su lanostraStoria.ch. Si tratta di documenti che mostrano la grande trasformazione del territorio descritta da Tita Carloni e lo fanno proprio in presa diretta, negli anni in cui si assistette ad una fortissima accelerazione del fenomeno. «Molte terre coltivate situate attorno ai vecchi borghi e ai villaggi pedemontani e collinari vennero abbandonate per la scarsità del rendimento e per l’arcaicità dei modi di lavorazione; talvolta per la difficoltà d’accesso o più semplicemente per stanchezza. Esse divennero facile preda di agenti immobiliari sovente improvvisati, che comperavano a basso prezzo da vendi-
tori ingenui o disarmati, preoccupati di spartire equamente i beni tra gli eredi o di affrontare, senza contrarre debiti, modesti investimenti come l’acquisto di un’automobile o di un autocarro, il riattamento della casa o gli studi dei figli» – così ancora Carloni, descrivendo un fenomeno non solo urbanistico ma anche sociologico, quando non addirittura antropologico, di quella «mutazione antropologica» di cui parlava Pasolini. I dodici documentari raccolti nel dossier «I problemi dei nuclei ticinesi» furono diffusi tra il novembre e il dicembre del 1970. Nella loro collocazione originale, i documentari erano inseriti in quattro puntate della trasmissione televisiva «Enciclopedia TV». Andate in onda in diretta, erano caratterizzate da momenti di dibattito in studio e dai brevi filmati pubblicati su lanostraStoria.ch. Negli archivi della RSI sono rimasti solo questi ultimi, mentre dei dibattiti sappiamo solo chi vi partecipò. I dodici documentari, con il commento di Carlo Cocco, ci consentono di avere una visione diretta di tutte le tipologie urbanistiche ticinesi così come si presentavano alla fine degli anni Sessanta. I centri delle città (Lugano, Locarno e Bellinzona) pressoché rigirati come un guanto in un paio di decenni; i villaggi pedemontani (Sonvico, Carona, Tegna, Verscio e Cavigliano) dove i terreni prima coltivati, vicino ai vecchi nuclei superstiti, sono già scempiati da case e casette costruite senza alcun riguardo per quanto sta attorno; i villaggi di lago (Ponte Tresa, Morcote, Gandria e Bissone), un tempo omogeneamente sviluppatisi in modo da conciliare le attività di pesca con quelle agricole, successivamente sfigurati da un’edilizia priva di regole e dal passaggio di nuove vie di transito; e da ultimo i villaggi di montagna (Quinto, Campo Blenio, Carì, Corippo e Campello), spesso prediletti da quelli che lo scrittore Piero Bianconi chiamava i «paguri», vale dire quei cittadini della Svizzera tedesca che acquistavano e riattavano le case dei ticinesi. Dodici documentari, che sarebbe davvero utile esaminare alla luce delle grandi tensioni negli anni Sessanta prodotte dal progetto di legge urbanistica cantonale.
Informazioni
pfenninger@indica.ch oppure mapping@indica.ch
Il nucleo di Bissone diviso in due dall’autostrada. (www.lanostrastoria.ch)
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Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 27 dicembre 2017 • N. 52
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Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 27 dicembre 2017 • N. 52
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Ambiente e Benessere Una Scozia estrema Reportage dalla cittadina di Scoraig, un piccolo nucleo sulla costa nord-occidentale
I segreti dell’eucaliptus Un albero importato dalla Nuova Zelanda che possiede proprietà curative rare ed efficaci e che veniva usato per bonificare le paludi
Chi mangia sano va lontano La ricetta Migusto di questa settimana è l’ultima dell’anno ed è adatta alle Feste: Rana pescatrice in crosta speziata pagina 15
Anche la pizza è protetta
Lettere da un esilio asiatico
è un’ottima ispirazione per esplorazioni fuori rotta
letture per viaggiare
Viaggiatori d’Occidente La Lista del patrimonio immateriale UNESCO
pagina 11
Claudio Visentin «Hey, dico a voi! Che ne direste di passare le vacanze di Natale in famiglia?». Uno slancio di generosità del sistema informatico ha messo in ginocchio American Airlines. Improvvisamente la più grande compagnia aerea del mondo (duecento milioni di passeggeri trasportati nel 2016) si è trovata in grave difficoltà a gestire quindicimila partenze in uno dei periodi più trafficati dell’anno e ha dovuto fare ponti d’oro ai suoi piloti per convincerli a tornare in servizio. Invece Alaska Airlines ha offerto l’imbarco prioritario a chiunque si fosse presentato al gate indossando uno di quei terribili maglioni natalizi con disegni di renne e abeti…
pagina 10
Tra peso, sovrappeso e obesità
Salute La tendenza all’eccesso di peso
può tradursi in una malattia multifattoriale con impatto sistemico Maria Grazia Buletti Secondo l’Ufficio federale di statistica, in Svizzera le persone in sovrappeso sono passate dal 30,4 al 41,1 percento tra il 1992 e il 2012, mentre la quota delle persone obese è pressoché raddoppiata. L’Ufficio del medico cantonale indica che in Ticino nel 2012 il 40,8 percento della popolazione risulta sovrappeso o obesa; la tendenza all’eccesso di peso è sensibile all’età e gli uomini (56,6 percento) risultano significativamente più in sovrappeso delle donne (27,1 percento). «L’alimentazione è quel che di più affettivo esista ed è nota l’importanza del legame affettivo. Basti pensare che il piacere che traiamo dall’alimentazione percorre gli stessi circuiti della dopamina. Ci fa stare bene. Il confine tra il mangiare in modo equilibrato o meno è molto sottile e quando si mangia, ad esempio, in modo compulsivo siamo nella zona di un vero e proprio disturbo», esordisce la dottoressa Elisa Biacchi, FMH in medicina interna, che si occupa di sovrappeso e obesità all’Ospedale Regionale Bellinzona e Valli (ORBV) e nelle altre sedi dell’EOC. L’OMS e l’Ufficio federale della salute pubblica (UFSP) seguono assiduamente l’evoluzione del tema stesso. «L’obesità è una malattia multifattoriale con impatto sistemico, dunque dalle molteplici cause che vanno indagate minuziosamente; comporta una comorbidità associata intesa come altre patologie importanti che ne conseguono, come diabete, ipertensione, problemi cardiocircolatori». La dottoressa Biacchi la definisce «malattia del benessere, ma anche del malessere»: «L’alimentazione è strettamente correlata alla «temperatura emozionale»: quando nella nostra vita aumentano stress, ansia, malessere, ciascuno di noi possiede una capacità di compensazione emozionale che ci permette di non far «esplodere la pentola a pressione» e ognuno la mette in atto secondo una modalità propria. Una compensazione efficace è mangiare e se si risponde così, ci si rende subito conto che pare un metodo efficace perché placa, e lo si riproduce soprattutto se la temperatura emozionale rimane alta nel tempo». In poche parole: mangiare in modo smisurato, o semplicemente buttarsi sul cibo senza soffermarsi su qualità, quantità e ascolto della sensazione di fame e sazietà, potrebbe
rappresentare un’illusoria soluzione di benessere che, però, ha un’altra faccia della medaglia: quella che ci porta verso un aumento ponderale certamente molto nocivo per la salute. Inoltre: «Siamo animali così intelligenti da essere in grado di amputare le nostre sensazioni di fame e sazietà (ho fame, ma mangerò quando avrò tempo, ho sete ma berrò quando posso). Così ci affamiamo, poi mangiamo velocemente e in modo meno corretto», spiega la nostra interlocutrice che aggiunge altro al quadro della nostra scarsa disciplina nelle abitudini alimentari: «Il livello di attività fisica quotidiana, l’alimentazione e il comportamento alimentare sono fattori che concorrono a definire ciò che poi siamo a livello ponderale e di salute». Questi esempi illustrano la complessità delle possibili cause, molteplici e individuali, del sovrappeso e dell’obesità, e ci permettono di entrare nella complessità della malattia riconducendo all’importanza di un’accurata indagine da parte del medico chiamato a formulare la diagnosi cui dovrà seguire un percorso terapeutico specifico, individualizzato e multidisciplinare, concordato insieme al paziente stesso. Bisogna quindi prendere in mano la situazione che, per queste persone, significa pure uno stato di salute complesso e malsano, con tutte le conseguenze del caso. Eppure, dal punto di vista della percezione individuale (dati Ufficio medico cantonale), risulta che il 63,4 per cento delle persone in sovrappeso e il 35 percento di quelle obese si dichiara soddisfatto del proprio peso. «Un paziente obeso si vede obeso, ma può avere difficoltà nella percezione di quanto lo sia, cosa che non osserviamo in tutte le persone che si rivolgono a noi, ma è noto in quei pazienti che presentano un quadro psicologico particolare che esula dal puro disturbo alimentare», rivela la dottoressa Biacchi che ribadisce come il problema di peso sia il sintomo, «la punta dell’iceberg», la spia delle cause e delle condizioni di base che vanno indagate per poter pianificare una cura adeguata e personalizzata: «Attività fisica, alimentazione, comportamento alimentare, comprensivo dei fattori psicoambientali e delle sensazioni emozionali del mangiare, sono i pilastri dei quali dobbiamo scoprire le falle da provare a correggere». La diagnosi risulta dunque la parte saliente del percorso che dovrà partire
Ce n’è per tutti i gusti: quella hawaiana è stata creata in Canada da un immigrato greco e piace soprattutto in Australia Ma queste e altre curiosità di fine anno sono passate in secondo piano dinanzi alla notizia dell’inclusione della pizza napoletana nella Lista UNESCO del Patrimonio immateriale dell’umanità. La pizza, a dire il vero, è ormai un cibo universale per eccellenza, di casa alle più diverse latitudini. Strada facendo la ricetta originale è stata reinventata mille volte. Sapete per esempio che quando ordinate una pizza hawaiana state in realtà chiedendo una specialità canadese inventata da un greco? Correva infatti l’anno 1962 quando Sam Panopoulos, emigrato nell’Ontario, cominciò a proporre la pizza in Canada ed ebbe la stravagante idea di aggiungere l’ananas sciroppato in una pizza al prosciutto. Conoscete un miglior esempio di globalizzazione? Per inciso la proposta ha avuto parecchia fortuna, soprattutto in… Australia. Ma noi stiamo piuttosto dalla parte del presidente dell’Islanda Guðni
Thorlacius Jóhannesson. Quando visitando una scuola ha scoperto che la pizza hawaiana era il piatto preferito dagli alunni ha sostenuto –scherzando – che dovrebbe essere vietata per legge. Ne è nato un simpatico scambio di battute sui social network con l’hastag #pineappleonpizza, in cui è stato coinvolto anche il primo ministro del Canada Justin Trudeau. Di certo la pizza hawaiana ha trovato molti difensori e d’altronde c’è chi fa anche peggio: dopo tutto esistono pizze alle banane, al curry, alla carne di canguro, di pecora, di renna o di coccodrillo... Gli italiani (con 7,6 chili di pizza all’anno) non sono neppure i principali consumatori al mondo; gli americani quasi li doppiano, con 13 chili a testa. Per tutte queste ragioni il patrocinio UNESCO non è stato concesso alla pizza, quanto piuttosto a tutto quel complesso di gesti, storie e canzoni che ne accompagnano la preparazione: l’arte del pizzaiuolo insomma (a Napoli sono tremila), che fa roteare l’impasto in aria per ossigenarlo prima di aggiungere pomodoro, mozzarella, basilico e… stop. Parliamo infatti soprattutto della pizza Margherita, la pizza per eccellenza, inventata a Napoli nel 1889 in onore della regina Margherita riproducendo negli ingredienti i colori della bandiera italiana. Ma forse meritava un riconoscimento speciale anche la meravigliosa «pizza a portafoglio» (piegata due volte), il caratteristico street food napoletano. Il riconoscimento alla pizza napoletana è giunto nel corso dell’annuale riunione del Comitato UNESCO, tenutasi nell’isola di Jeju, Corea del sud. Questa lista del Patrimonio immateriale dell’umanità fu creata nel 2003, quando ci si rese conto che l’UNESCO applicava criteri troppo occidentali; non a caso l’Italia occupa il primo posto nella principale e più conosciuta lista, quella dedicata ai beni materiali culturali o naturali. Questo elenco però è poco interessante per il viaggiatore perché comprende soprattutto monumenti molto famosi e spesso minacciati dal turismo di massa.
Bussole I nviti a
«È un surrogato del globo questo dormitorio di uegughì, di stranieri, venuti qui dalla Tanzania alla Georgia e dal Messico all’Indonesia per divulgare versioni disossate della loro lingua. Arrivano qui con le vene striate di vaccini, perché la Corea del Sud non se la immaginano e allora sono partiti inquieti, hanno addirittura fatto delle iniezioni specialissime, introvabili nella loro città… E così partono indeboliti, trascinandosi dietro una valigia ripiena di grammatiche e medicine...»
Valorizzate le tecniche di produzione della Margherita, nata nel 1899 in onore della Regina d’Italia. (Marka)
In compenso la lista del patrimonio immateriale è una meravigliosa fonte d’ispirazione per viaggi fuori dalle vie battute. Si contano ormai 470 voci in 117 Paesi e solo in quest’ultima sessione sono state approvate 33 nuove proposte. Poche quelle già conosciute, come la festa del Kumbh Mela in India, un pellegrinaggio di massa indù. Più spesso è una scoperta. Per esempio in Arabia Saudita gli elaborati affreschi (al-Qatt al-Asin) dipinti dalle donne nelle stanze degli ospiti; una pratica che rafforza la solidarietà femminile. Oppure l’arte di costruire barche (Pinisi) nel Sulawesi meridionale. In Kazakistan troviamo un gioco di strada per bambini (Assik): lanciando un osso di pecora si cerca di far cadere quelli degli avversari. L’intera carcassa di una capra è invece contesa dai cavalieri di due squadre nel popolare Kok boru in Kirghizistan: si segna un punto gettandola nella porta dell’av-
versario. Affine è il Chogān iraniano, anch’esso incluso nella lista. Nelle ultime selezioni gli Stati occidentali sono sempre più presenti, tutelando tradizioni minacciate dalla modernità. In questa occasione un riconoscimento è toccato alle feste di primavera in Bulgaria, Macedonia, Moldavia e Romania; alla danza popolare greca Rebetiko; ai suonatori di cornamusa irlandesi (Uilleann Piping) così come alla fabbricazione di organi in Germania. Nel caso della Svizzera è stata sottolineata la dimensione satirica e di preziosa critica sociale del Carnevale di Basilea, il più importante del Paese, con le sue parate, i suonatori e le lanterne. Apertura mentale, piacere della diversità, celebrazione della bellezza della tradizione. Questo è lo spirito della Lista UNESCO del patrimonio immateriale dell’umanità, questo il fondamento della nostra passione per il viaggio.
«Ma col dottorato in Italia che ci faccio?» La risposta è scontata. Meno ovvia però la decisione di trasferirsi in un’università coreana, in una piccola cittadina appena sotto Pyongyang, e di restarci per quattro anni insegnando italiano. Come si racconta l’Oriente? Tradizioni ancora vive e modernità tecnologiche (Samsung, Kia, Hyundai) si intersecano in forme imprevedibili, anche senza contare il segno lasciato dalla storia in un Paese dimezzato dalle guerre del Novecento. Gli altri stranieri nel dormitorio universitario – ciascuno insegnante della propria lingua, che nessuno capisce, e stereotipo della propria cultura – sono anch’essi specchi offuscati, solitudini in cerca di un dialogo, accomunati soltanto da un dato negativo, il non essere coreani. Ma prima di affrontare i massimi sistemi occorre sopravvivere, tentando faticosamente di comunicare in un inglese che pochi capiscono o anche solo imparando a riconoscere un supermercato guidati dai disegni di cavoli, pesci e mele attaccati alle porte scorrevoli. Verrà poi il tempo di conoscere meglio la lingua (Hangul) di un Paese mutevole, non a caso sedotto più di ogni altro dalle promesse della chirurgia plastica. È un percorso raccontato in una serie di email lanciate verso il Paese natio come messaggi in una bottiglia. Bibliografia
Maria Anna Mariani, Dalla Corea del Sud. Tra neon e bandiere sciamaniche, Exòrma, 2017, pp. 168, € 14,90.
Libri per giocare e giochi da leggere Elisa Biacchi, FMH in medicina interna, si occupa di sovrappeso e obesità negli ospedali dell’EOC. (Vincenzo Cammarata)
scevro da opinioni comuni e pregiudizi dilaganti sul tema stesso: «Sull’igiene alimentare c’è tanta confusione e tutti hanno un’opinione, ma in realtà in questo campo non ci sono opinioni, non ci sono persone stupide: c’è un problema medico risolvibile a condizione che il paziente trovi il coraggio di farsi accompagnare per mano nel percorso per risolverlo insieme». Indagare significa cercare insieme i «punti fragili» all’interno dei pilastri alimentari, causa del peso che sale o non scende: «Scegliamo insieme da dove partire, ci poniamo graduali obiettivi raggiungibili (a livello alimentare, stile di vita, attività fisica e quant’altro) e individuiamo un percorso terapeutico, come per qualsiasi altra medicina». La terapia è individuale e può comportare risultati diversi: «L’approccio conservativo (dieta, movimento, eventualmente farmaci, psicologia…) può affiancare e preparare un approccio
chirurgico (ad esempio bypass gastrico), in una presa a carico multidisciplinare nella quale il paziente viene seguito per anni, fino alla sua autonomia». È importante affrontare questa malattia di valenza sociale oltre che personale: «I costi dell’obesità rappresentati da terapia, consultazioni e chirurgia sono l’1 percento, tutto il resto è generato dalle malattie collegate e concomitanti, per le quali questi pazienti sono anche emarginati socialmente (infortuni, disoccupazione, malattie come diabete…)». Di fatto, l’OMS la considera una vera e propria epidemia, che va affrontata. «A volte bisogna sapersi ascoltare e buttare lo sguardo dentro, non fuori, di noi. Taluni devono essere accompagnati per mano». Per cambiare è necessaria una motivazione e si ha a che fare con l’ambivalenza della situazione personale complessa: chi entra da questa porta sta già «spogliandosi», ciò significa aprire
il proprio frigorifero e la propria vita. «Si tratta di persone solitamente molto motivate a migliorare la propria salute, senza problemi di volontà. Infine: alcuni devono imparare a scrollarsi di dosso il senso di colpa perché, non dimentichiamolo, è quello che fa aumentare parecchio la temperatura emozionale».
Video intervista Sul canale Youtube di «Azione» e su www.azione.ch la videointervista alla dottoressa Elisa Biacchi.
Giochi N uovi consigli biblio-ludici per appassionati e curiosi Ennio Peres I giovani, la lettura e la scuola al tempo del web, di Anna Maria Pica
(Aracne, pp. 148, € 10,00) Un lodevole saggio che cerca di rispondere ad alcune fondamentali domande di pressante attualità, ricorrendo alle testimonianze di studiosi e scienziati. La rivoluzione digitale cambierà la funzionalità del nostro cervello e il modo di apprendere della nostra specie? Il libro, cioè la parola scritta in tutte le sue manifestazioni, avrà la stessa importanza in quella che già chiamiamo civiltà delle immagini? Le generazioni future, in tale prospettiva, vedranno compromessa quella caratteristica esclusiva della specie umana che è la capacità di servirsi delle parole per descrivere e capire il mondo? E in tutto questo, la Scuola che funzione può avere? Il testo non propone risposte inoppugnabili. Però, afferma che spetta alla Scuola il
ruolo fondamentale di rafforzare quelle abilità che l’uso eccessivo del web tende a deprimere, educando i giovani a sentire il potere e il fascino delle parole e ad amare la lettura. Mondi senza tempo, di Francesco
Troccoli (Delos Books, pp. 240, € 12,75) Con lo scopo di sottolineare gli stretti legami esistenti tra letteratura e giochi di ruolo, la rivista «Riflessi di Luce Lunare» bandisce ogni anno, dal 1994, un concorso letterario per il miglior racconto fantastico. Questa attività ha stimolato e incoraggiato una produzione narrativa, in canali paralleli. Un valido esempio, al riguardo è costituito dal romanzo in oggetto, di ambientazione fantascientifica, che resta fedele all’ambientazione generale di altri lavori dello stesso autore, ma che rinnova la trama, proponendo nuove sfide, nuove alleanze, nuove missioni impossibili per l’eroe protagonista.
Vivo a frasi alterne – tutto in dieci parole, a cura di Pietro Gorini (A.G.
Editions) È la raccolta delle 660 composizioni finaliste del primo concorso Sarò bre’, basato sull’ideazioni di frasi significative (aforismi, battute, calembour o poesie), contenente non più di dieci parole. Il materiale pubblicato, prodotto da oltre 100 autori, è risultato estremamente valido e sorprendente. Considerando lo stretto vincolo lessicale imposto, ogni partecipante ha mostrato di saper scrivere con accortezza ed essenzialità. In molti casi, l’effetto di un’intera espressione è affidato all’ultima parola, come nei seguenti esempi. Mi hai rubato il cuore, ma non ti denuncio – Non rimandare a domani ciò che non farai mai – Non saprei: sono più rassegnate le dimissioni o i cittadini? – Parrucchiera si scrive con lacca – Sì è vero, sono colto, ma mai sul fatto! – Riconosco i miei sbagli, perché mi somigliano.
Matematica amica, di Anna Cerasoli (Feltrinelli, pp. 128, € 13,00) Un testo di insegnamento della Matematica, rivolto ai bambini, che affronta anche argomenti impegnativi, come Statistica, Logica, Algebra e Calcolo Combinatorio, in maniera semplice e dilettevole, attraverso i racconti letti da un bambino al proprio fratellino curioso e creativo. L’opera è arricchita da un insieme di enigmi e rompicapo, divertenti e stimolanti. Inoltre, contiene alcune pagine di approfondimento per gli adulti che desiderano aiutare il giovane lettore nella riflessione sui concetti matematici presentati nei vari capitoli. L’autrice, considerata una delle massime esperte di divulgazione matematica, è convinta che: «La Matematica è amica di tutti, anche di quelli che non sono amici suoi». Quando l’allievo supera il maestro,
di Bruno D’Amore (Dedalo, pp.152, € 16,00)
Un insieme di dieci storie che ipotizza le reazioni avute da alcuni grandi maestri, quando si resero conto che uno dei loro allievi li aveva superati. I maestri sono: Andrea del Verrocchio, John Wallis, Parmenide di Elea, Cimabue, Tycho Brahe, Simón Rodríguez, Michael Wolgemut, Leopold Kronecker, Domenico Maria Novara e un anonimo maestro buddista. I geniali allievi sono rispettivamente: Leonardo da Vinci, Isaac Newton, Zenone di Elea, Giotto da Bondone, Johannes Kepler, Simón Bolívar, Albrecht Durer, Georg Cantor, Niccolò Copernico e Gesù di Nazareth. Ognuno dei dieci maestri reagisce al successo del proprio allievo, in maniera diversa (sorpresa, rabbia, gioia, rancore, incredulità...). Di conseguenza, secondo l’autore, che si è divertito ad accoppiare questi autorevoli personaggi della nostra Storia, il vero protagonista dei suoi racconti è la natura umana.
Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 27 dicembre 2017 • N. 52
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Ambiente e Benessere Una Scozia estrema Reportage dalla cittadina di Scoraig, un piccolo nucleo sulla costa nord-occidentale
I segreti dell’eucaliptus Un albero importato dalla Nuova Zelanda che possiede proprietà curative rare ed efficaci e che veniva usato per bonificare le paludi
Chi mangia sano va lontano La ricetta Migusto di questa settimana è l’ultima dell’anno ed è adatta alle Feste: Rana pescatrice in crosta speziata pagina 15
Anche la pizza è protetta
Lettere da un esilio asiatico
è un’ottima ispirazione per esplorazioni fuori rotta
letture per viaggiare
Viaggiatori d’Occidente La Lista del patrimonio immateriale UNESCO
pagina 11
Claudio Visentin «Hey, dico a voi! Che ne direste di passare le vacanze di Natale in famiglia?». Uno slancio di generosità del sistema informatico ha messo in ginocchio American Airlines. Improvvisamente la più grande compagnia aerea del mondo (duecento milioni di passeggeri trasportati nel 2016) si è trovata in grave difficoltà a gestire quindicimila partenze in uno dei periodi più trafficati dell’anno e ha dovuto fare ponti d’oro ai suoi piloti per convincerli a tornare in servizio. Invece Alaska Airlines ha offerto l’imbarco prioritario a chiunque si fosse presentato al gate indossando uno di quei terribili maglioni natalizi con disegni di renne e abeti…
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Tra peso, sovrappeso e obesità
Salute La tendenza all’eccesso di peso
può tradursi in una malattia multifattoriale con impatto sistemico Maria Grazia Buletti Secondo l’Ufficio federale di statistica, in Svizzera le persone in sovrappeso sono passate dal 30,4 al 41,1 percento tra il 1992 e il 2012, mentre la quota delle persone obese è pressoché raddoppiata. L’Ufficio del medico cantonale indica che in Ticino nel 2012 il 40,8 percento della popolazione risulta sovrappeso o obesa; la tendenza all’eccesso di peso è sensibile all’età e gli uomini (56,6 percento) risultano significativamente più in sovrappeso delle donne (27,1 percento). «L’alimentazione è quel che di più affettivo esista ed è nota l’importanza del legame affettivo. Basti pensare che il piacere che traiamo dall’alimentazione percorre gli stessi circuiti della dopamina. Ci fa stare bene. Il confine tra il mangiare in modo equilibrato o meno è molto sottile e quando si mangia, ad esempio, in modo compulsivo siamo nella zona di un vero e proprio disturbo», esordisce la dottoressa Elisa Biacchi, FMH in medicina interna, che si occupa di sovrappeso e obesità all’Ospedale Regionale Bellinzona e Valli (ORBV) e nelle altre sedi dell’EOC. L’OMS e l’Ufficio federale della salute pubblica (UFSP) seguono assiduamente l’evoluzione del tema stesso. «L’obesità è una malattia multifattoriale con impatto sistemico, dunque dalle molteplici cause che vanno indagate minuziosamente; comporta una comorbidità associata intesa come altre patologie importanti che ne conseguono, come diabete, ipertensione, problemi cardiocircolatori». La dottoressa Biacchi la definisce «malattia del benessere, ma anche del malessere»: «L’alimentazione è strettamente correlata alla «temperatura emozionale»: quando nella nostra vita aumentano stress, ansia, malessere, ciascuno di noi possiede una capacità di compensazione emozionale che ci permette di non far «esplodere la pentola a pressione» e ognuno la mette in atto secondo una modalità propria. Una compensazione efficace è mangiare e se si risponde così, ci si rende subito conto che pare un metodo efficace perché placa, e lo si riproduce soprattutto se la temperatura emozionale rimane alta nel tempo». In poche parole: mangiare in modo smisurato, o semplicemente buttarsi sul cibo senza soffermarsi su qualità, quantità e ascolto della sensazione di fame e sazietà, potrebbe
rappresentare un’illusoria soluzione di benessere che, però, ha un’altra faccia della medaglia: quella che ci porta verso un aumento ponderale certamente molto nocivo per la salute. Inoltre: «Siamo animali così intelligenti da essere in grado di amputare le nostre sensazioni di fame e sazietà (ho fame, ma mangerò quando avrò tempo, ho sete ma berrò quando posso). Così ci affamiamo, poi mangiamo velocemente e in modo meno corretto», spiega la nostra interlocutrice che aggiunge altro al quadro della nostra scarsa disciplina nelle abitudini alimentari: «Il livello di attività fisica quotidiana, l’alimentazione e il comportamento alimentare sono fattori che concorrono a definire ciò che poi siamo a livello ponderale e di salute». Questi esempi illustrano la complessità delle possibili cause, molteplici e individuali, del sovrappeso e dell’obesità, e ci permettono di entrare nella complessità della malattia riconducendo all’importanza di un’accurata indagine da parte del medico chiamato a formulare la diagnosi cui dovrà seguire un percorso terapeutico specifico, individualizzato e multidisciplinare, concordato insieme al paziente stesso. Bisogna quindi prendere in mano la situazione che, per queste persone, significa pure uno stato di salute complesso e malsano, con tutte le conseguenze del caso. Eppure, dal punto di vista della percezione individuale (dati Ufficio medico cantonale), risulta che il 63,4 per cento delle persone in sovrappeso e il 35 percento di quelle obese si dichiara soddisfatto del proprio peso. «Un paziente obeso si vede obeso, ma può avere difficoltà nella percezione di quanto lo sia, cosa che non osserviamo in tutte le persone che si rivolgono a noi, ma è noto in quei pazienti che presentano un quadro psicologico particolare che esula dal puro disturbo alimentare», rivela la dottoressa Biacchi che ribadisce come il problema di peso sia il sintomo, «la punta dell’iceberg», la spia delle cause e delle condizioni di base che vanno indagate per poter pianificare una cura adeguata e personalizzata: «Attività fisica, alimentazione, comportamento alimentare, comprensivo dei fattori psicoambientali e delle sensazioni emozionali del mangiare, sono i pilastri dei quali dobbiamo scoprire le falle da provare a correggere». La diagnosi risulta dunque la parte saliente del percorso che dovrà partire
Ce n’è per tutti i gusti: quella hawaiana è stata creata in Canada da un immigrato greco e piace soprattutto in Australia Ma queste e altre curiosità di fine anno sono passate in secondo piano dinanzi alla notizia dell’inclusione della pizza napoletana nella Lista UNESCO del Patrimonio immateriale dell’umanità. La pizza, a dire il vero, è ormai un cibo universale per eccellenza, di casa alle più diverse latitudini. Strada facendo la ricetta originale è stata reinventata mille volte. Sapete per esempio che quando ordinate una pizza hawaiana state in realtà chiedendo una specialità canadese inventata da un greco? Correva infatti l’anno 1962 quando Sam Panopoulos, emigrato nell’Ontario, cominciò a proporre la pizza in Canada ed ebbe la stravagante idea di aggiungere l’ananas sciroppato in una pizza al prosciutto. Conoscete un miglior esempio di globalizzazione? Per inciso la proposta ha avuto parecchia fortuna, soprattutto in… Australia. Ma noi stiamo piuttosto dalla parte del presidente dell’Islanda Guðni
Thorlacius Jóhannesson. Quando visitando una scuola ha scoperto che la pizza hawaiana era il piatto preferito dagli alunni ha sostenuto –scherzando – che dovrebbe essere vietata per legge. Ne è nato un simpatico scambio di battute sui social network con l’hastag #pineappleonpizza, in cui è stato coinvolto anche il primo ministro del Canada Justin Trudeau. Di certo la pizza hawaiana ha trovato molti difensori e d’altronde c’è chi fa anche peggio: dopo tutto esistono pizze alle banane, al curry, alla carne di canguro, di pecora, di renna o di coccodrillo... Gli italiani (con 7,6 chili di pizza all’anno) non sono neppure i principali consumatori al mondo; gli americani quasi li doppiano, con 13 chili a testa. Per tutte queste ragioni il patrocinio UNESCO non è stato concesso alla pizza, quanto piuttosto a tutto quel complesso di gesti, storie e canzoni che ne accompagnano la preparazione: l’arte del pizzaiuolo insomma (a Napoli sono tremila), che fa roteare l’impasto in aria per ossigenarlo prima di aggiungere pomodoro, mozzarella, basilico e… stop. Parliamo infatti soprattutto della pizza Margherita, la pizza per eccellenza, inventata a Napoli nel 1889 in onore della regina Margherita riproducendo negli ingredienti i colori della bandiera italiana. Ma forse meritava un riconoscimento speciale anche la meravigliosa «pizza a portafoglio» (piegata due volte), il caratteristico street food napoletano. Il riconoscimento alla pizza napoletana è giunto nel corso dell’annuale riunione del Comitato UNESCO, tenutasi nell’isola di Jeju, Corea del sud. Questa lista del Patrimonio immateriale dell’umanità fu creata nel 2003, quando ci si rese conto che l’UNESCO applicava criteri troppo occidentali; non a caso l’Italia occupa il primo posto nella principale e più conosciuta lista, quella dedicata ai beni materiali culturali o naturali. Questo elenco però è poco interessante per il viaggiatore perché comprende soprattutto monumenti molto famosi e spesso minacciati dal turismo di massa.
Bussole I nviti a
«È un surrogato del globo questo dormitorio di uegughì, di stranieri, venuti qui dalla Tanzania alla Georgia e dal Messico all’Indonesia per divulgare versioni disossate della loro lingua. Arrivano qui con le vene striate di vaccini, perché la Corea del Sud non se la immaginano e allora sono partiti inquieti, hanno addirittura fatto delle iniezioni specialissime, introvabili nella loro città… E così partono indeboliti, trascinandosi dietro una valigia ripiena di grammatiche e medicine...»
Valorizzate le tecniche di produzione della Margherita, nata nel 1899 in onore della Regina d’Italia. (Marka)
In compenso la lista del patrimonio immateriale è una meravigliosa fonte d’ispirazione per viaggi fuori dalle vie battute. Si contano ormai 470 voci in 117 Paesi e solo in quest’ultima sessione sono state approvate 33 nuove proposte. Poche quelle già conosciute, come la festa del Kumbh Mela in India, un pellegrinaggio di massa indù. Più spesso è una scoperta. Per esempio in Arabia Saudita gli elaborati affreschi (al-Qatt al-Asin) dipinti dalle donne nelle stanze degli ospiti; una pratica che rafforza la solidarietà femminile. Oppure l’arte di costruire barche (Pinisi) nel Sulawesi meridionale. In Kazakistan troviamo un gioco di strada per bambini (Assik): lanciando un osso di pecora si cerca di far cadere quelli degli avversari. L’intera carcassa di una capra è invece contesa dai cavalieri di due squadre nel popolare Kok boru in Kirghizistan: si segna un punto gettandola nella porta dell’av-
versario. Affine è il Chogān iraniano, anch’esso incluso nella lista. Nelle ultime selezioni gli Stati occidentali sono sempre più presenti, tutelando tradizioni minacciate dalla modernità. In questa occasione un riconoscimento è toccato alle feste di primavera in Bulgaria, Macedonia, Moldavia e Romania; alla danza popolare greca Rebetiko; ai suonatori di cornamusa irlandesi (Uilleann Piping) così come alla fabbricazione di organi in Germania. Nel caso della Svizzera è stata sottolineata la dimensione satirica e di preziosa critica sociale del Carnevale di Basilea, il più importante del Paese, con le sue parate, i suonatori e le lanterne. Apertura mentale, piacere della diversità, celebrazione della bellezza della tradizione. Questo è lo spirito della Lista UNESCO del patrimonio immateriale dell’umanità, questo il fondamento della nostra passione per il viaggio.
«Ma col dottorato in Italia che ci faccio?» La risposta è scontata. Meno ovvia però la decisione di trasferirsi in un’università coreana, in una piccola cittadina appena sotto Pyongyang, e di restarci per quattro anni insegnando italiano. Come si racconta l’Oriente? Tradizioni ancora vive e modernità tecnologiche (Samsung, Kia, Hyundai) si intersecano in forme imprevedibili, anche senza contare il segno lasciato dalla storia in un Paese dimezzato dalle guerre del Novecento. Gli altri stranieri nel dormitorio universitario – ciascuno insegnante della propria lingua, che nessuno capisce, e stereotipo della propria cultura – sono anch’essi specchi offuscati, solitudini in cerca di un dialogo, accomunati soltanto da un dato negativo, il non essere coreani. Ma prima di affrontare i massimi sistemi occorre sopravvivere, tentando faticosamente di comunicare in un inglese che pochi capiscono o anche solo imparando a riconoscere un supermercato guidati dai disegni di cavoli, pesci e mele attaccati alle porte scorrevoli. Verrà poi il tempo di conoscere meglio la lingua (Hangul) di un Paese mutevole, non a caso sedotto più di ogni altro dalle promesse della chirurgia plastica. È un percorso raccontato in una serie di email lanciate verso il Paese natio come messaggi in una bottiglia. Bibliografia
Maria Anna Mariani, Dalla Corea del Sud. Tra neon e bandiere sciamaniche, Exòrma, 2017, pp. 168, € 14,90.
Libri per giocare e giochi da leggere Elisa Biacchi, FMH in medicina interna, si occupa di sovrappeso e obesità negli ospedali dell’EOC. (Vincenzo Cammarata)
scevro da opinioni comuni e pregiudizi dilaganti sul tema stesso: «Sull’igiene alimentare c’è tanta confusione e tutti hanno un’opinione, ma in realtà in questo campo non ci sono opinioni, non ci sono persone stupide: c’è un problema medico risolvibile a condizione che il paziente trovi il coraggio di farsi accompagnare per mano nel percorso per risolverlo insieme». Indagare significa cercare insieme i «punti fragili» all’interno dei pilastri alimentari, causa del peso che sale o non scende: «Scegliamo insieme da dove partire, ci poniamo graduali obiettivi raggiungibili (a livello alimentare, stile di vita, attività fisica e quant’altro) e individuiamo un percorso terapeutico, come per qualsiasi altra medicina». La terapia è individuale e può comportare risultati diversi: «L’approccio conservativo (dieta, movimento, eventualmente farmaci, psicologia…) può affiancare e preparare un approccio
chirurgico (ad esempio bypass gastrico), in una presa a carico multidisciplinare nella quale il paziente viene seguito per anni, fino alla sua autonomia». È importante affrontare questa malattia di valenza sociale oltre che personale: «I costi dell’obesità rappresentati da terapia, consultazioni e chirurgia sono l’1 percento, tutto il resto è generato dalle malattie collegate e concomitanti, per le quali questi pazienti sono anche emarginati socialmente (infortuni, disoccupazione, malattie come diabete…)». Di fatto, l’OMS la considera una vera e propria epidemia, che va affrontata. «A volte bisogna sapersi ascoltare e buttare lo sguardo dentro, non fuori, di noi. Taluni devono essere accompagnati per mano». Per cambiare è necessaria una motivazione e si ha a che fare con l’ambivalenza della situazione personale complessa: chi entra da questa porta sta già «spogliandosi», ciò significa aprire
il proprio frigorifero e la propria vita. «Si tratta di persone solitamente molto motivate a migliorare la propria salute, senza problemi di volontà. Infine: alcuni devono imparare a scrollarsi di dosso il senso di colpa perché, non dimentichiamolo, è quello che fa aumentare parecchio la temperatura emozionale».
Video intervista Sul canale Youtube di «Azione» e su www.azione.ch la videointervista alla dottoressa Elisa Biacchi.
Giochi N uovi consigli biblio-ludici per appassionati e curiosi Ennio Peres I giovani, la lettura e la scuola al tempo del web, di Anna Maria Pica
(Aracne, pp. 148, € 10,00) Un lodevole saggio che cerca di rispondere ad alcune fondamentali domande di pressante attualità, ricorrendo alle testimonianze di studiosi e scienziati. La rivoluzione digitale cambierà la funzionalità del nostro cervello e il modo di apprendere della nostra specie? Il libro, cioè la parola scritta in tutte le sue manifestazioni, avrà la stessa importanza in quella che già chiamiamo civiltà delle immagini? Le generazioni future, in tale prospettiva, vedranno compromessa quella caratteristica esclusiva della specie umana che è la capacità di servirsi delle parole per descrivere e capire il mondo? E in tutto questo, la Scuola che funzione può avere? Il testo non propone risposte inoppugnabili. Però, afferma che spetta alla Scuola il
ruolo fondamentale di rafforzare quelle abilità che l’uso eccessivo del web tende a deprimere, educando i giovani a sentire il potere e il fascino delle parole e ad amare la lettura. Mondi senza tempo, di Francesco
Troccoli (Delos Books, pp. 240, € 12,75) Con lo scopo di sottolineare gli stretti legami esistenti tra letteratura e giochi di ruolo, la rivista «Riflessi di Luce Lunare» bandisce ogni anno, dal 1994, un concorso letterario per il miglior racconto fantastico. Questa attività ha stimolato e incoraggiato una produzione narrativa, in canali paralleli. Un valido esempio, al riguardo è costituito dal romanzo in oggetto, di ambientazione fantascientifica, che resta fedele all’ambientazione generale di altri lavori dello stesso autore, ma che rinnova la trama, proponendo nuove sfide, nuove alleanze, nuove missioni impossibili per l’eroe protagonista.
Vivo a frasi alterne – tutto in dieci parole, a cura di Pietro Gorini (A.G.
Editions) È la raccolta delle 660 composizioni finaliste del primo concorso Sarò bre’, basato sull’ideazioni di frasi significative (aforismi, battute, calembour o poesie), contenente non più di dieci parole. Il materiale pubblicato, prodotto da oltre 100 autori, è risultato estremamente valido e sorprendente. Considerando lo stretto vincolo lessicale imposto, ogni partecipante ha mostrato di saper scrivere con accortezza ed essenzialità. In molti casi, l’effetto di un’intera espressione è affidato all’ultima parola, come nei seguenti esempi. Mi hai rubato il cuore, ma non ti denuncio – Non rimandare a domani ciò che non farai mai – Non saprei: sono più rassegnate le dimissioni o i cittadini? – Parrucchiera si scrive con lacca – Sì è vero, sono colto, ma mai sul fatto! – Riconosco i miei sbagli, perché mi somigliano.
Matematica amica, di Anna Cerasoli (Feltrinelli, pp. 128, € 13,00) Un testo di insegnamento della Matematica, rivolto ai bambini, che affronta anche argomenti impegnativi, come Statistica, Logica, Algebra e Calcolo Combinatorio, in maniera semplice e dilettevole, attraverso i racconti letti da un bambino al proprio fratellino curioso e creativo. L’opera è arricchita da un insieme di enigmi e rompicapo, divertenti e stimolanti. Inoltre, contiene alcune pagine di approfondimento per gli adulti che desiderano aiutare il giovane lettore nella riflessione sui concetti matematici presentati nei vari capitoli. L’autrice, considerata una delle massime esperte di divulgazione matematica, è convinta che: «La Matematica è amica di tutti, anche di quelli che non sono amici suoi». Quando l’allievo supera il maestro,
di Bruno D’Amore (Dedalo, pp.152, € 16,00)
Un insieme di dieci storie che ipotizza le reazioni avute da alcuni grandi maestri, quando si resero conto che uno dei loro allievi li aveva superati. I maestri sono: Andrea del Verrocchio, John Wallis, Parmenide di Elea, Cimabue, Tycho Brahe, Simón Rodríguez, Michael Wolgemut, Leopold Kronecker, Domenico Maria Novara e un anonimo maestro buddista. I geniali allievi sono rispettivamente: Leonardo da Vinci, Isaac Newton, Zenone di Elea, Giotto da Bondone, Johannes Kepler, Simón Bolívar, Albrecht Durer, Georg Cantor, Niccolò Copernico e Gesù di Nazareth. Ognuno dei dieci maestri reagisce al successo del proprio allievo, in maniera diversa (sorpresa, rabbia, gioia, rancore, incredulità...). Di conseguenza, secondo l’autore, che si è divertito ad accoppiare questi autorevoli personaggi della nostra Storia, il vero protagonista dei suoi racconti è la natura umana.
Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 27 dicembre 2017 • N. 52
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Ambiente e Benessere
Saluti da Scoraig
Reportage È conosciuto come uno dei paesini più remoti nella Scozia del nord, situato su una penisola
che si può raggiungere solo con un Sea-Taxi
La penisola vista dal Ben Ghobhlach (635 m).
Lisa Maddalena, testo e foto Sono le 10.45 precise quando la barca si avvicina alla costa. A pochi metri di distanza dal molo, con un gesto atletico Jonah getta una lunga fune attorno a un palo per far attraccare il piccolo Sea-Taxi. Il taxi è una delle poche possibilità per arrivare a Scoraig. Infatti, questo paesino di sessanta anime si trova sulla punta di una penisola nel nord-ovest della Scozia, e si può raggiungere solo via mare, attraversando il Little Loch Broom, oppure via terra percorrendo per circa tre ore un sentiero lungo la costa. Alcuni abitanti possiedono un’imbarcazione per poter attraversare il braccio di mare. Molti fanno affidamento sul Sea-Taxi, in funzione da una decina di anni. Ma in verità, solo pochi hanno bisogno di spostarsi dal loro paese: la maggior parte della gente lavora a Scoraig oppure è pensionata. Quelli che lavorano qui svolgono svariate professioni: ci sono pescatori, contadini, una postina, una maestra, un costruttore di violini, due sviluppatori di pagine internet, un allevatore di una rara razza di pony, un costruttore di muretti a secco... Anche i bambini non devono spostarsi molto lontano per andare a
Vista sul Ben Ghobhlach e l’entroterra.
scuola: fino ai quindici anni possono frequentare le lezioni direttamente sulla penisola, dall’asilo alle scuole medie. Dopodiché hanno la possibilità di proseguire gli studi nella città di Ullapool, a circa un’ora d’auto dal molo del Sea-Taxi. Durante la settimana pernottano in un ostello, e tornano a casa il finesettimana. Non tutte le persone sono originarie di Scoraig: diverse vi si sono stabilite perché affascinate dalla tranquillità del luogo e dal suo stile di vita semplice. Ad esempio, William ha studiato matematica nel Sud dell’Inghilterra, e solo verso i quarant’anni si è trasferito qui. Martha invece viene dal Galles e ha svolto diversi lavori in Scozia, come pastore di pecore, cameriera, assistente di un biologo che studiava gli spostamenti dei salmoni... Per poi finire a Scoraig, innamorarsi del postino e diventarne infine la moglie. Alla sua morte, Martha ne ha ripreso la professione, e da allora ogni lunedì, mercoledì e venerdì fa il giro delle case con il quad, assieme ai suoi due border collies. Le case di Scoraig sono piuttosto sparpagliate sulla penisola, con un nucleo nelle vicinanze del molo a sud, uno verso le montagne ad est e uno sulla costa nord. Tutte hanno un grande pezzo
di terra, e molte sono dette Crofts. Il crofting è una forma di proprietà terrena tipica della Scozia: alla base vi è un landlord, che è proprietario di un vasto terreno. Quest’ultimo è suddiviso in appezzamenti più piccoli, i crofts, affittati dai crofters. I crofts misurano in media cinque ettari di terreno, ma spesso vi è una parte condivisa con altri crofters, di solito sulle colline dove è
Vecchi recinti realizzati con ciottoli arrotondati.
meno facile coltivare, dove si lasciano pascolare gli animali tutti assieme. La maggior parte dei crofts non è abbastanza grande per sostenere una famiglia intera o offrire un impiego a tempo pieno, perciò solitamente gli affittuari hanno anche altri impieghi, come nel caso di Martha, allevatrice, orticoltrice e postina. Tra il 1700 e il 1900, molte persone dovettero emigrare dalle Highlands scozzesi (le cosiddette Clearances), perché i loro landlords approfittarono delle scadenze dei contratti d’affitto per scacciarle, giudicando più proficuo convertire i terreni coltivabili in pascoli per pecore. Nel 1886, con i Crofting Acts si è voluto garantire più sicurezza ai crofters, per esempio proteggendoli dall’allontanamento ingiustificato dalle loro terre e assicurando loro un affitto equo. Questo atto aveva inoltre lo scopo di incoraggiare i crofters a migliorare il loro terreno, perché autorizzò il trasferimento della concessione tra membri della stessa famiglia e alle future generazioni. Gli abitanti di Scoraig hanno la possibilità di ordinare rifornimenti dal negozietto situato dall’altra parte del braccio di mare, che giungono tre volte a settimana direttamente in paese con
Il territorio dell’isola è suddiviso in unità chiamate crofts.
il Sea-Taxi, assieme alla posta. Tuttavia, molti coltivano il proprio orto: insalate, patate, fagioli, cavoli… Molte verdure crescono senza problemi all’aria aperta, per altre invece è meglio possedere una serra. Anche le bacche crescono in abbondanza: fragole, more, cassis, ribes, che spesso sono trasformati in jellies da spalmare sui toast a colazione o da mangiare assieme alla carne. Pure quest’ultima non è difficile da procurarsi: oltre alle pecore, alle mucche e ai maiali, sulla penisola vivono numerosi cervi. Chi possiede una licenza può cacciarli durante la stagione di caccia, che va approssimativamente da agosto a ottobre. Chi ne è sprovvisto può comunque uccidere gli animali che si trovano sul proprio terreno, un diritto derivato dalla tradizione locale. Per dimostrare che l’animale si trovava davvero sul proprio terreno, bisogna lasciarne la testa e le interiora sul luogo dell’abbattimento. Oltre alla carne, a Scoraig non mancano pesce e frutti di mare. A volte alcune persone vanno a pescare in mare aperto, alla ricerca di sgombri o merluzzo giallo; altre calano delle trappole per catturare aragoste, mitili e altri molluschi a poca distanza dalla costa; anche i granchi non vengono risparmiati, diventando l’ingrediente principale dei crab cakes, gustose polpettine di polpa di granchio. Il mare non fornisce solo cibo: per esempio, le alghe vengono usate come concime, e quando si caccia un cervo, si può lasciarne la pelle per qualche giorno nell’acqua del mare affinché i granchi ne ripuliscano i residui di carne, così da ottenere una bella pelle senza troppo lavoro. A Scoraig, la corrente elettrica non arriva. Perciò, praticamente ogni casa è fornita di pannelli solari e di una pala eolica. Le pale eoliche sono piuttosto piccole, e vengono costruite sul posto partendo da materiali riciclati. Un’altra dimostrazione di come bisogna sapersi arrangiare se si vive in un posto così isolato.
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Ambiente e Benessere
Le mille risorse dell’Eucalipto Piante medicinali Un vegetale amato dall’orsetto Koala, che si nutre solo delle sue foglie
Eliana Bernasconi L’Eucalipto, nome scientifico Eucaliptus globulus labill (dal greco «eu» = bene e «kalipto» = copro, in riferimento all’opercolo fiorale che ricopre il suo calice) appartiene alla assai nobile famiglia botanica delle Myrtaceae, che annovera il Mirto e il Melograno. Si conoscono centinaia di generi diversi di questa pianta, originaria dell’Oceania. La sua vera patria infatti è l’Australia, dove occupa tre quarti delle foreste ed era o forse lo è ancora, il rimedio tradizionale degli aborigeni per le malattie infettive. Importato in Europa nel XIX secolo dal direttore del giardino botanico di Melbourne, la scienza occidentale conosce l’eucaliptus nel 1794, quando viene introdotto in Italia e Francia. Per la loro grande bellezza e maestosità questi alberi vengono coltivati e spesso collezionati nei giardini annessi alle ville patrizie, collocati in parchi affidati alle cure di illustri botanici. La coltivazione dell’Eucalipto come albero ornamentale si diffonde velocemente nel bacino del Mediterraneo, nonostante abbia la particolarità di impedire la crescita di altre piante intorno a sé: la secrezione delle foglie di alcune sostanze tossiche causa infatti l’avvelenamento del terreno circostante, assorbendone tutta l’acqua. Nel secolo scorso era piantato in Italia nelle zone malariche per risanarle e combattere la proliferazione delle zanzare. Nel 1869 i monaci trappisti dell’Abbazia delle Tre fontane, fuori Porta San
Paolo a Roma, iniziarono a coltivarlo creando intere foreste di 2000 alberi (ancora oggi si può visitare l’Abbazia e acquistare elisir o estratti di eucalipto confezionati da loro). Si riteneva infatti che l’essenza balsamica emanata dalla pianta scacciasse la zanzara anofele, ritenuta responsabile della trasmissione della malaria. In realtà quest’albero di notevoli dimensioni, dotato di un apparato radicale gigantesco, contribuisce, grazie al suo bisogno d’acqua, a prosciugare gli acquitrini, habitat naturale della terribile zanzara. Enorme albero sempreverde, dal tronco eretto e liscio ricoperto da una sottile corteccia color cenere che si sfoglia in strisce, ha foglie di un verde bluastro spesso coperte da una polvere biancastra, eleganti e lunghe, lanceolate, sottili e leggermente ricurve: di esse si ciba esclusivamente il Koala, il timido orsetto marsupiale. L’eucalipto fiorisce da novembre a luglio: il suo habitat ideale è in centro e sud Italia, nelle zone costiere meridionali di Calabria, Sicilia, Sardegna, paludose ma anche marittime, nei boschi vicino al mare. In queste zone si produce l’aromatico miele di eucalipto, ottima cura quando si è raffreddati. La storia farmacologica e terapeutica dell’Eucalipto è piuttosto recente: ha proprietà analgesiche, antiinfiammatorie, antinevralgiche, antisettiche, balsamiche, deodoranti, diuretiche, espettoranti, vermifughe. Ben noto è il suo olio essenziale, estratto per distillazione in corrente di vapore dalle foglie e dai ramoscelli freschi. Gli oli essenziali che le piante
ziale di Eucalipto, detto anche eucaliptolo, va usato con cautela estrema e sconsigliato ai bambini. La forza delle sue componenti è tale che in alte dosi diventa tossico, può provocare delirio, convulsioni, addirittura essere letale. In farmacia è impiegato per le sue virtù balsamiche, fluidificanti, espettoranti, deodoranti, inalazioni e infusi si addicono alla tosse, alla sinusite e bronchite, nelle affezioni asmatiche, nei catarri bronchiali. È un discreto stimolante del sistema nervoso. Il suo profumo, secondo l’Aromaterapia, branca della Fitoterapia, crea spazio mentale, favorisce il ricordo, purifica l’ambiente, alza il tono dell’umore e impedirebbe l’annidarsi nella mente di cattivi pensieri (aspirarlo quindi se si è demoralizzati o depressi). Pare sia indicato anche se si manca di autostima, poiché risveglia, rompe schemi mentali, toglie apatia e sostiene nelle difficoltà. Sul piano psichico aiuterebbe la facoltà della concentrazione, stimolando il pensiero logico. Per uso esterno, un caldo bagno che elimina la stanchezza si ottiene spargendo in 2 litri d’acqua 5 gocce di olio essenziale di menta, 3 di eucalipto e 3 di timo.
Un curioso esempio di alimentazione selettiva. (Marka)
producono per proteggersi da batteri e agenti esterni sono conservanti naturali, antisettici e antibatterici. Sono miscele complesse di molecole odorose fatte di sostanze aromatiche volatili concentrate, la componente sottile e purificata della pianta, e ne racchiudono i principi attivi e l’informazione energetica che la caratterizza. L’olfat-
to ricorda immediatamente l’aroma acuto e inconfondibile, fresco e quasi canforato dell’essenza di Eucalipto. È il profumo che ci accompagna spesso in inverno quando le gocce introdotte nei diffusori o direttamente negli umidificatori dei caloriferi diffondono gli effluvi delle loro essenze balsamiche. Ma stiamo in guardia, l’olio essen-
Informazioni
Gabriele Peroni, Trattato di fitoterapia Driope, NuovaIpsa Ed. Maria Fiorella Coccolo, La magia delle erbe, Centro di Benessere Psicofisico Ed. Laura Rangoni, Il grande libro delle piante magiche, Xenia Ed. Annuncio pubblicitario
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Ambiente e Benessere
Rana pescatrice in crosta speziata
Migusto La ricetta della settimana
Piatto principale Ingredienti per 4 persone: 1 filetto di rana pescatrice di ca. 700 g · 1 cucchiaino di
migusto.migros.ch/it/ricette Per diventare membro di Migusto non ci sono tasse d’iscrizione. Chiunque può farne parte, a condizione che un membro della sua famiglia possieda una Carta Cumulus.
fleur de sel · 2 cucchiai d’olio d’oliva · ½ cucchiaino di pepe in grani, ad es. Quartetto di pepe · ½ cucchiaino di cumino · 3 cucchiai di pangrattato · 2 cucchiaini di burro, morbido · 2 rametti d’aneto · Verdure · 600 g di carote miste · 1 cucchiaino di burro o olio d’oliva · ½ cucchiaino di zucchero · 1 arancia · 1,5 dl di brodo di verdura · sale. La panatura al pepe, cumino e aneto rende il filetto di rana pescatrice croccante e gustoso. Servito con carote multicolori all’arancia. 1. Per le verdure, tagliate le carote a fette di ca. 5 mm. Fatele soffriggere nel burro con lo zucchero finché brillano. Aggiungete un po’ di scorza d’arancia grattugiata. Spremete l’arancia e unite il succo e il brodo alle carote. Fate sobbollire per ca. 20 minuti finché il liquido non sarà completamente evaporato. Condite con il sale. 2. Scaldate il forno a 170 °C. Sciacquate il pesce e asciugatelo. Accomodatelo in una pirofila e salate un poco tutto il filetto. Irroratelo d’olio e cuocetelo in forno per 15-20 minuti in base allo spessore del pesce. 3. Pestate il pepe e il cumino e mescolateli con il sale rimasto, il pangrattato, l’aneto tritato e il burro. Sfornate il pesce. Alzate la temperatura del forno a 220 °C e regolate su calore superiore. Distribuite la panatura speziata sul pesce e gratinatelo per ca. 5 minuti, finché la crosta non si colora. Servite il pesce a fette con le carote. Preparazione: circa 40 minuti. Per persona: circa 20 g di proteine, 10 g di grassi, 20 g di carboidrati, 300 kcal/
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Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 27 dicembre 2017 • N. 52
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Politica e Economia La Gerusalemme scavata Scavando sotto terra più ancora che piantando bandiere, gli israeliani si riappropriano di tutto
La grande Milano di sempre Non cambiano gli uomini da anni, ma la città meneghina è riuscita a reinventarsi attraversando periodi difficili come quelli di Mani pulite. Oggi risplende di luce propria, anche grazie alla spinta venuta da Expo
Fiscalità elvetica sotto la lente La Svizzera in una «lista grigia» europea, poiché non ha ancora cancellato le agevolazioni fiscali per le holding, intanto anche la nuova riforma dell’imposizione delle aziende non avanza pagina 21
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Il presidente polacco Andrzej Duda ha difeso le leggi stigmatizzate da Bruxelles. (AFP)
La deriva polacca
Polonia-Ue Per la prima volta nella storia comunitaria, la Commissione europea ha invocato l’articolo 7 dei Trattati,
mettendo sotto accusa uno Stato membro Ue che vuole controllare politicamente la propria magistratura
Lucio Caracciolo La Polonia, fino a ieri paese modello della «Nuova Europa», rischia di incorrere in pesanti sanzioni comunitarie. L’annuncio di aver attivato l’articolo 7 del Trattato di Lisbona, da parte del vicepresidente della Commissione europea Frans Timmermans, apre le ostilità e chiude mesi di fallimentare diplomazia Bruxelles-Varsavia. O meglio Berlino/Parigi-Varsavia, visto che le due maggiori potenze sono state in prima linea nel denunciare la svolta autoritaria e liberticida del governo polacco, di fatto diretto dal capo del Partito Diritto e giustizia, Jarosław Kaczyński. In sostanza, la causa scatenante della procedura avviata dalla Commissione è la messa sotto tutela del potere giudiziario da parte di quello politico: una potente incrinatura nel sistema della divisione dei poteri classico nelle liberaldemocrazie e professato – non sempre praticato – da tutti i paesi membri dell’Ue. Di qui all’imposizione di sanzioni, che potrebbero in teoria giungere fino
all’esclusione del diritto di voto della Polonia negli organismi comunitari – il che, presupponendo l’unanimità, è impossibile stante l’indisponibilità di alcuni paesi, Ungheria in testa – a giungere fino a questo punto, molto ne corre. Già il 9 gennaio il presidente della Commissione Europea, JeanClaude Juncker, incontrerà il neopremier polacco Mateusz Morawiecki, nel tentativo estremo di ricondurlo all’ortodossia comunitaria. Per ora i margini di mediazione sono ristretti. Lo stesso presidente Andrzej Duda è intervenuto per difendere le leggi che a Bruxelles appaiono liberticide, presentandole come «approfondimento della democrazia», giacché «i giudici non si autogoverneranno più. Non sono una casta straordinaria, sono servitori del popolo polacco». Al di là della disputa specifica, in gioco è molto di più dei poteri della magistratura polacca. Il segnale inviato da Bruxelles e dalla gran parte dei paesi comunitari, solidali con l’approccio della Commissione, vale non solo per la Polonia, ma almeno per gli altri paesi
del Gruppo di Visegrád – Cechia, Slovacchia e soprattutto Ungheria. I quali, fra l’altro, hanno mostrato scarsa o nulla disponibilità a un approccio solidale e concordato alla questione migratoria. Facendone una questione identitaria: quei paesi – e con loro altri Stati membri dell’Est – sentono minacciata l’identità bianca e cristiana di cui si ergono a campioni, contro il multiculturalismo degli euroccidentali. In sintonia, invece, con Trump e – paradosso dei paradossi – con la stessa Russia di Putin, che pure considerano minaccia permanente ed esistenziale alla loro sicurezza. Inoltre, la Romania rischia presto di finire all’angolo insieme alla Polonia, a causa del suo nuovo approccio, analogo a quello di Varsavia, al potere giudiziario. Le opposizioni polacca e romena sono scese in piazza per manifestare contro le leggi «liberticide», ma il loro impatto è relativo. In società fortemente traumatizzate dagli interventi dall’esterno e appena emancipate dall’impero russo, lo stigma antipatriottico di chi sostiene le posizioni dell’«impero
europeo» pesa alquanto. Lo scontro interno è quindi insieme frontale e ineguale, a tutto vantaggio dei governi in carica. Nel frattempo la tensione fra Russia e Nato/Ue resta alta. Chi immaginava un compromesso Trump-Putin sull’Ucraina resta disilluso. Gli apparati americani, Pentagono e Cia in testa, hanno sabotato e continueranno a impedire ogni intesa con la Russia. La guerra nell’Ucraina orientale non accenna a spegnersi. Siamo molto lontani dal «conflitto congelato». Anche perché il controllo di Putin sui ribelli del Donbas è relativo. Lo scontro interno allo spazio Ue (ma anche atlantico) gioca a favore della Russia. Anziché confrontarsi con un blocco unico, Putin può far leva sulle differenze interne al campo avversario. Soprattutto, occorre considerare che la Polonia è il capofila dell’Europa russofoba. E che sta puntando le sue carte strategiche sul rafforzamento della solidarietà fra i paesi di confine con la Federazione Russa, dalla Svezia (di fatto atlantica, di forma neutrale)
alla Romania. Con l’esplicito sostegno degli Stati Uniti. In questo campo ha preso rilievo negli ultimi due anni il progetto Trimarium, asse di collegamento fra Mar Baltico, Mar Nero e Mare Adriatico, che coinvolge dodici paesi. In apparenza infrastrutturale, di fatto strategico. Si tratta di collegare il fronte nord-sud, prima linea di un possibile conflitto con la Russia. Quello che Germania, Francia, Italia e paesi dell’Europa occidentale in genere intendono evitare a qualsiasi costo, considerando che potrebbe finire fuori controllo, fino ad assumere un’intensità tale da coinvolgere gli arsenali nucleari. Comunque si risolva, la disputa interna all’Unione Europea segna un punto a favore di Putin in questa partita. E ci ricorda che il processo di integrazione europeo è finito da un pezzo. Accontentiamoci di gestirne, con prudenza, la meccanica disintegrativa, da cui molto probabilmente sortiranno diverse Europe, lontane per cultura politica, carattere istituzionale, postura strategica.
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Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 27 dicembre 2017 • N. 52
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Politica e Economia
Gerusalemme, è anche una questione di scavi Archeologia Nel quartiere arabo di Silwan, fuori dalla porta più
vicina al Muro del Pianto, l’Israel Antiquities Authority sta portando avanti da anni un contestatissimo scavo sotto le case dei palestinesi
Giorgio Bernardelli «Eccoci qui dove tutto è cominciato». La veduta su Gerusalemme da quest’angolo subito fuori le mura della Città Vecchia è di quelle mozzafiato. Prima di salire sulla terrazza e guardarti intorno, però, devi passare dal cinema. Saletta piccola, pochi minuti appena; ma il video è rigorosamente in 3D, perché chi ha pensato questo percorso ci tiene a farti tornare indietro nel tempo e a capire bene che cosa c’era qui «quando tutto è cominciato». Vuole togliere dal tuo orizzonte gli «incidenti della storia», lasciati in eredità da altre dominazioni, religioni e culture. Non ti devono distrarre dall’unica Gerusalemme che conta: la città che il re Davide tremila anni fa strappò ai gebusei; che è poi la stessa tornata ora ad essere la «capitale unita e indivisibile» di Israele.
Nel quartiere arabo secondo alcuni archeologici israeliani vi sarebbero reperti del palazzo del re Davide Se si vuole capire quanto in profondità si spinga oggi lo scontro tra arabi ed ebrei intorno a Gerusalemme è all’Ir David che bisogna assolutamente fare tappa; alla Città di Davide, il parco archeologico subito fuori dalla Porta dell’Immondizia, all’inizio di quello che sarebbe il quartiere arabo di Silwan, ma che per gli ebrei oggi è tornato a essere Siloe. Siamo a poche centinaia di metri in linea d’aria dal Muro del Pianto e dalla cupola della moschea di al Aqsa, i due luoghi simbolo che abbiamo visto migliaia di volte nelle immagini televisive di questo conflitto senza fine. Le immagini dall’alto, però, non possono mostrare un’altra battaglia, quella che si sta giocando sotto la superficie: il fronte degli archeologi e degli urbanisti nel conflitto araboisraeliano. Vale a dire lo scontro di chi – mentre la politica e la diplomazia discutono sulle parole – si contende le antiche pietre su cui poggiano le narrative, che è poi quanto in una città come Gerusalemme conta per davvero. A parte qualche casa di ebrei yemeniti – venuti ad abitare in questa zona a fine Ottocento e poi costretti ad andarsene nel 1948 – è sempre stato un quartiere arabo, Silwan; e ancora oggi vi abitano ventimila palestinesi di Gerusalemme est. Ma in questi ultimi anni è diventato un luogo di importanza strategica dal punto di vista archeologico. Per capire il perché bisogna tener presente un dato: i confini delle mura di Solimano, quelli che racchiudono la cosiddetta Città Vecchia, non corrispon-
dono al perimetro della Gerusalemme antica; nei primi secoli dalla Spianata dove sorgeva il Tempio e oggi troviamo le Moschee la città scendeva da questa parte, verso il punto dove le due vallate di Kidron e Ghion vanno a incontrarsi. Ed è ovviamente qui che – dopo averne acquisito il controllo nel 1967, strappando questa parte della città alla Giordania – Israele ha cominciato a scavare alla ricerca delle proprie radici: nei primi anni ci si è concentrati sull’area dell’Ofel, la parte subito al di sotto del Muro Meridionale, quello sopra cui svetta la cupola della moschea al Aqsa. Poi, dall’alto, si è cominciato anche a scendere anche verso Silwan; e a trovare qualcosa di importante. In particolare al centro dell’attenzione sono finite le fondamenta di un grande palazzo, compatibili con una datazione intorno al X secolo a.C.; a partire da questo dato l’archeologa Eilat Mazar le ha identificate come i resti della residenza del re Davide, il condottiero di Israele che portò la capitale da Hebron a Gerusalemme. A dire il vero va aggiunto che non tutti i colleghi sono concordi con questa identificazione; ma il boccone era troppo ghiotto dal punto di vista identitario per stare a sottilizzare. Così dall’inizio degli anni Duemila quella dell’Ir David a Silwan/ Siloe è diventata la partita archeologica per eccellenza a Gerusalemme. Grazie a sostanziosi contributi raccolti soprattutto tra i sostenitori della destra nazionalista ebraica gli scavi sono proseguiti a ritmo molto sostenuto e senza guardare in faccia a nessuno. Gli arabi si sono ritrovati gli archeologi israeliani a scavare letteralmente sotto le proprie case; e questo lavoro ha riportato alla luce due tunnel che nell’antichità erano stati scavati per proteggere l’approvvigionamento idrico della città. Uno di questi è tuttora attraversato da un corso d’acqua, che ha contribuito a farlo diventare un’attrazione per i turisti: l’ultima moda a Gerusalemme è diventata ripercorrerlo al buio con la torcia e con l’acqua che arriva fino alle ginocchia proprio come fecero nell’anno 70 d.C. gli ebrei in fuga dall’assedio dei romani che portò alla distruzione del Tempio. Anno dopo anno, dunque, l’Ir David – il parco archeologico dell’identità ebraica, realizzato nel mezzo di un quartiere arabo – sta crescendo tra i luoghi più visitati di Gerusalemme; e l’impressione è che la sua parabola sia ancora all’inizio. Perché nel frattempo il governo Netanyahu ha dato il via libera ad altri due progetti destinati a cambiare radicalmente il modo in cui i visitatori arriveranno al Muro del Pianto. Il primo è già in fase avanzata e sono gli scavi in corso sotto il piazzale del luogo più sacro per gli ebrei a Gerusalemme: a una ventina di metri
di profondità gli archeologi israeliani stanno scavando quello che era il livello del terreno duemila anni fa, all’epoca del Secondo Tempio – quello più maestoso, fatto costruire dal re Erode e di cui il Muro del Pianto è l’unico contrafforte rimasto. Hanno ritrovato l’antica strada attraverso cui gli ebrei salivano al Tempio, nonché – pochi mesi fa – un piccolo anfiteatro romano. L’obiettivo è quello di rendere presto questo livello sotterraneo visitabile, collegandolo direttamente con i tunnel dell’Ir David e con quelli già scavati negli anni Novanta oltre il Muro del Pianto, sotto il quartiere arabo della Città Vecchia. Una volta che la piazza sotterranea sarà stata completata, quindi, dal parco archeologico dell’Ir David comincerà un unico grande percorso turistico-archeologico che porterà il visitatore dentro la Gerusalemme ebraica di duemila anni fa. E da qui direttamente nella Città Santa oggi. Un itinerario dove la Gerusalemme dei musulmani e dei cristiani semplicemente non ci sarà. Freudiana – da questo punto di vista – è già adesso la conclusione del video iniziale proposto all’Ir David: su quella che era l’antica città di Davide un’animazione fa spuntare gli edifici simbolo della moderna Gerusalemme di oggi. Compaiono l’hotel King David, la Knesset, il mulino di Moses Montefiore; ma della basilica del Santo Sepolcro e della Moschea di al Aqsa non c’è traccia, come ovviamente dei ventimila palestinesi del quartiere arabo di Silwan che abitano lì intorno. Per loro – intanto – è in arrivo anche una seconda sorpresa, destinata a cambiare profondamente la fisionomia di questa zona di Gerusalemme est: l’Ir David si prepara a diventare lo snodo fondamentale della funivia urbana, voluta fortissimamente dal sindaco Nir Barkat. Il progetto ha avuto il via libera del governo israeliano nel mese di maggio e si appresta a entrare nella fase esecutiva con l’obiettivo di essere completata entro il 2021. La funivia partirà dalla vecchia stazione ferroviaria – che si trova nella parte ovest della città – e dopo un tragitto panoramico di 1,4 chilometri sbarcherà tremila passeggeri all’ora al Kedem Center, un nuovo grande museo da costruire proprio a Silwan, accanto al parco archeologico della città di Davide. La funivia che passerà sopra le case arabe e si potrà prendere con il normale biglietto dei trasporti pubblici urbani diventerà, dunque, la principale via di accesso al Muro del Pianto. Un progetto del genere è destinato ad avere un impatto molto più forte di qualsiasi nuovo quartiere residenziale ebraico di Gerusalemme Est. Perché qui in gioco c’è – appunto – la narrativa sulla città. Del resto in un posto che ha avuto tanti dominatori lungo i secoli, dal punto di vista archeologico tutto si gioca intorno alla scelta su quale sia lo strato più importante da preservare. E oggi chi ha in mano le redini della città non ha dubbi: qualsiasi resto bizantino o arabo passa in subordine rispetto a tutto ciò che ha a che fare con l’identità ebraica di Gerusalemme. Non è un caso, allora, che proprio Silwan sia oggi uno dei quartieri arabi che ribollono di più. Perché in gioco non c’è semplicemente lo spostamento o meno di un’ambasciata da Tel Aviv a Gerusalemme, ma una visione sul futuro. Al di là delle parole di circostanza sul rispetto per le tre religioni, la Città Santa di Netanyahu è quella dove la città di Davide sta prendendosi tutto. Scavando sotto terra e progettando funivie, più ancora che piantando delle bandiere.
In Cile torna la destra Presidenziali Sebastian Piñera prenderà
il posto della socialista Michelle Bachelet
Il ricco Piñera, 68 anni , ha già governato il Paese tra il 2010 e il 2014. (Keystone)
Angela Nocioni Torna la destra al governo del Cile. L’imprenditore ed ex presidente Sebastian Piñera, 68 anni, già stato a capo del governo dal 2010 al 2014, ha vinto il 17 dicembre lo scontro al ballottaggio per le presidenziali tra la destra classica e una sinistra ampia che va dal centrosinistra ai radicali. A capo di una coalizione conservatrice, Chile vamos, uscita dal primo turno con il 36% dei voti, Piñera ha battuto con oltre il 54% il sociologo Alejandro Guillier, fermo al 43%, candidato della alleanza di sinistra Nueva Mayoria ed erede del modello di progressismo promosso dalla presidente uscente Michelle Bachelet. Guillier aveva preso al primo turno il 22,6% ed aveva rischiato di essere scavalcato dalla giornalista Beatriz Sanchez, candidata del Frente Amplio, un raggruppamento della sinistra radical, dato dai sondaggi al 14% e premiato nelle urne al primo turno con un grande exploit: il 20,6%. La novità delle elezioni cilene è stata proprio la Sanchez, che ha sfiorato di poco il ballottaggio, e che, a sorpresa, ha pubblicamente dichiarato di votare Guillier. Ma l’appoggio prezioso della Sanchez non è comunque bastato all’erede della Bachelet per vincere. Il Frente Amplio è una coalizione di sinistra con solo un anno di vita, nata come alternativa radicale al centrosinistra (democrazia cristiana unita ai socialisti) di cui si compone il bipartitismo classico cileno. Il Frente unisce i partiti Revolución Democrática e Partido Umanista, insieme a una galassia di vari movimenti politici, compresi i cattolici militanti di sinistra, che in gran parte raccolgono l’eredità del movimento studentesco cileno del 2011. Il Frente Amplio è il tentativo di risposta del mercato politico al malessere di parte dell’elettorato di sinistra che non si riconosce nella via moderata della Nueva Mayoría e si è rifugiato da anni nell’astensione. Piñera ha vinto riuscendo proprio nell’operazione più difficile: riuscire a mobilitare parte dell’astensionismo di destra. Si calcola che quasi 900’000 voti andati a Piñera vengano da elettori di destra che non votavano più da anni. L’imprenditore, uno degli uomini più ricchi dell’America Latina (tra i suoi tanti affari ci sono le linee aeree) è stato abile nel serrare le fila di tutto ciò che si muove in Cile alla sua destra. Nell’operazione è stata compresa anche la cura dei rapporti con il politicamente assai poco presentabile José Antonio Kast, candidato di una coalizione indipendente nostalgica del regime militare di Pinochet. Kast, il quale ha affermato tra le altre cose che durante la dittatura si
fece molto a favore dei diritti umani, ha visto tra i finanziatori della sua campagna elettorale vari personaggi legati al vecchio regime, tra cui, sebbene solo con una cifra simbolica, un ex-membro della Dina, la polizia segreta dell’epoca della dittatura, responsabile di innumerevoli casi di tortura, sequestri e omicidi. Kant ha preso l’8% al primo turno, segno evidente che in Cile ha un seguito chi dice, come Kast ha detto in campagna elettorale: «Se Pinochet fosse ancora vivo mi voterebbe». È quella che il Nobel per la letteratura Mario Vargas Llosa definisce destra «cavernicola», i cui slogan inquietanti hanno favorito Piñera che, pur ultraliberista, si è ritagliato un ruolo di moderato, apprezzato sia a destra sia a sinistra. Il nuovo presidente non avrà comunque la maggioranza al Parlamento: le elezioni legislative, svoltesi durante il primo turno e per la prima volta con un nuovo sistema elettorale, hanno portato a una situazione piuttosto frammentata con il Frente Amplio presente con una ventina di deputati e un senatore a rappresentare la principale forza di sinistra che ha sostanzialmente preso il posto della coalizione a guida Bachelet, dato straordinariamente insolito per il Cile, dove il centrosinistra classico è stato il protagonista degli anni post dittatura. Chile Vamos, il raggruppamento di Piñera, non potrà dunque contare sulla maggioranza né alla Camera né al Senato. Piñera propone un classico programma di centrodestra, che include la sempreverde promessa di ridurre le tasse, creare 600 mila posti di lavoro e ripristinare lo splendore del cosiddetto «modello cileno»: un messaggio che ha funzionato in un momento in cui la classe media si sente socialmente più fragile ed esposta alle sorprese della crisi economica continentale. La vittoria di Piñera – che nel 2010 divenne il primo presidente non di sinistra dai tempi del ritorno della democrazia nel Paese – segna nel continente la fine del lungo ciclo delle vittorie di coalizioni di centrosinistra e radicali. È la normalizzazione della politica continentale: così quanto meno interpretano (festeggiando) la vittoria di Piñera i partiti di destra dal Venezuela all’Argentina. Il primo a complimentarsi con Piñera è stato infatti il presidente argentino Mauricio Macri, anche lui imprenditore e anche lui simbolo di un ritorno dei conservatori al governo a Buenos Aires. Annuncio pubblicitario
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Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 27 dicembre 2017 • N. 52
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Politica e Economia
Milan l’è semper un gran Milan Singolarità italiane Nella città meneghina da venticinque anni è al comando la stessa classe dirigente:
ha attraversato la sua caduta legata alle inchieste giudiziarie e in seguito la rinascita grazie all’Expo
Alfio Caruso Non è arrivata l’Agenzia europea del farmaco, con la sua ricca dote annuale di 1700 milioni, tuttavia dagli Stati Uniti è giunto per Milano l’ennesimo riconoscimento. Cushman&Wakefield, la più importante società privata del mercato immobiliare (gestisce oltre 400 milioni di metri quadrati, effettua transazioni per 191 miliardi di dollari, un 7 per cento appartiene alla famiglia Agnelli), ha appena stabilito che via Montenapoleone ha superato gli Champs Elysées nel volume di affari e nelle quotazioni
In una decina d’anni, grazie all’Expo, Milano è stata assai brava nel reinventarsi. Ma i padroni del vapore sono rimasti gli stessi al metro quadro. Adesso è alle spalle di New Bond Street a Londra, di Causeway a Hong Kong, di Fifth Avenue a New York. 5,6 miliardi di euro in beni di lusso spesi nell’ultimo anno, in gran parte dentro il piccolo, elegantissimo, agognato quadrilatero di viuzze, che hanno in Montenapoleone il sogno di ogni brand. Settecento metri di consolidata tradizione e d’impronta neoclassica: all’ultimo evento, la «Vendemmia» di ottobre, straripavano di gaudenti estimatori, forse su di giri per i troppi cin cin, ma ormai pronti ad ac-
correre a qualsiasi richiamo. Si va per vedere ed esser visti, per assaporare il gusto di un elitarismo contraddetto proprio dall’eccesso di partecipazione, ma solleticato dai maghi delle pubbliche relazioni. Le boutique trasformate in showroom, in salotti per aperitivi serali, in location di presentazioni, mostre, première: così si spiega l’incremento del 12,5 per cento a metro quadro degli affitti. Quasi un paradosso dinanzi alla crescita esponenziale degli acquisti sul web degli articoli legati a moda e lusso. Con l’eccezione di Chanel, l’unica grande firma che si ostina a non vendere online. Un fenomeno capace poi di allargarsi al resto del centro ormai spostatosi dal Duomo-Scala verso i bastioni di Porta Nuova. Impressionano le code dinanzi alla Rinascente, aumento degli ingressi e delle vendite (più 4 e 6 per cento), dinanzi al megastore di Feltrinelli, le lunghe file anche da Eataly, il tempio dell’alimentazione a caro prezzo, sempre puntuale nel suscitare la curiosità dei suoi estimatori. Anche se l’ultimo pienone era figlio di un annuncio notturno, via internet, di sconti e scontissimi. In una decina d’anni, grazie all’Expo, Milano è stata assai brava nel reinventarsi, nell’attrarre le migliori intelligenze d’Italia, nel consegnare al mondo un’immagine scintillante fatta di sciccheria, di cibo (corso Garibaldi esibisce 50 locali in cinquecento metri), di raffinatezza, di opportunità lavorative. Persino le sue dimensioni mignon, le vie della movida sono contenute in dieci chilometri quadrati, hanno favo-
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Una piazza del Duomo imbiancata dalle neve recente. (Keystone)
rito la rivoluzione da città degli affari, che chiudeva alle 7 di sera, a città degli appuntamenti e dei convegni aperta ventiquattr’ore su ventiquattro. Sono cambiati scenari, metodologie, mentalità, non sono cambiati i padroni del vapore. C’erano ai tempi della famosa indagine giudiziaria «Mani Pulite», che nel 1992 stravolse la politica e gli affari dell’intera Penisola (l’immagine simbolo è la tribuna d’onore dello stadio San Siro svuotata da una domenica all’altra). Ci sono ancora oggi che vengono progettati il nuovo Polo sanitario, la nuova cittadella universitaria, le due nuove linee del metro per collegare finalmente anche l’aeroporto di Linate. Inamovibili e inattaccabili, anzi spesso invocati quali cavalieri bianchi o risolutori di missioni impossibili. Banche, finanza e «Corriere della Sera» continuano a dipendere dalle scelte di un avvocato bresciano e di un avvocato comasco, benché Nanni Bazoli (85 anni) e Giuseppe Guzzetti (83 anni) la professione l’abbiano esercitata per hobby, molto più attratti dalla gestione della cosa pubblica, che in mano loro ha spesso assunto caratteristiche personali. Entrambi cattolici, entrambi democristiani con venature progressiste rappresentano l’intangibilità di un potere inossidabile, resistente a ogni inchiesta giudiziaria, trasferitosi dalla prima alla seconda repubblica e pronto a entrare in un eventuale terza repubblica. Bazoli, con una figlia fidanzata del sindaco di Milano, Sala, ufficialmente lontano da ogni incarico di comando rimane il lord protettore d’Intesa Sanpaolo, la banca di sistema per eccellenza, nonché il supervisore e mentore di Ubi Banca, quarto polo nazionale del settore. Guzzetti, ex presidente della Regione, è l’eterno numero uno della Fondazione Cariplo, l’ente più importante del Paese e del mercato nazionale nonché nume tutelare dell’Acri, l’associazione di categoria. Nulla si muove che loro non sappiano e su cui, anzi, non abbiano inciso: dalla legge di riforma del sistema delle banche popolari al via libera al fondo Atlante servito per salvare banche in dissesto come la Popolare Vicenza e Veneto Banca. E per Bazoli conta anche l’appoggio determinante fornito a Urbano Cairo, ex assistente personale di Berlusconi, nella battaglia per impadronirsi della Rcs, che significa in buona sostanza «Corriere della Sera», ancor oggi il principale giornale della Penisola. Cairo ha sconfitto la cordata soste-
nuta dal proprietario della Tods, Della Valle, da sempre avversario di Bazoli, ma costretto a ripiegare sulle scarpe di casa. Un’operazione condotta con pochissimo esborso di denaro, attraverso la quale il presidente del Torino calcio è asceso a più importante tycoon dell’informazione (i settimanali della Cairo editore, La7, Rcs). In posizione molto più defilata, ma con ottimi agganci nelle stanze dove ci s’intende muovendo le ciglia, l’ottantenne Francesco Micheli. Amante del pianoforte, del mare, delle barche a vela, impegnatissimo a far tornare i difficili conti economici della Scala, Micheli viene ancora considerato uno dei più efficaci manovratori della Borsa: trent’anni addietro un paio di sue operazioni ne sconvolsero gli assetti e gli equilibri. Appena più giovane il notaio Piergaetano Marchetti, gran maestro delle relazioni altolocate, custode da quasi mezzo secolo di segreti e d’intese sotterranee. È l’ascoltato consigliere delle grandi famiglie, la sua unica passione la prefazione dei libretti stampati dalla Fondazione Corriere della Sera, che presiede dopo aver presieduto la Rcs.
In disparte ma incombente, Silvio Berlusconi alla terza resurrezione politica e alla decima imprenditoriale È rientrato a Milano Paolo Scaroni, vicentino, classe 1946, già a capo dei colossi di stato Enel ed Eni: l’hanno nominato vicepresidente della banca d’affari Rothschild e poi uomo di fiducia del fondo Elliott nel consiglio d’amministrazione del Milan cinese. Da qualche mese si è insediato sotto la Madonnina un altro veterano di rilevante spessore, il settantacinquenne Fabrizio Saccomanni, ex ministro ed ex direttore generale della Banca d’Italia. È stato nominato presidente di Unicredit per esplicito volere del nuovo amministratore delegato, il francese Jean Pierre Mustier. Proprio a lui molti hanno guardato come possibile successore dei prossimi pensionati Bazoli e Guzzetti, invece l’interessato ha fatto sapere di pensare esclusivamente ai conti dell’istituto e a un futuro in chiave europea, magari a Parigi o a Francoforte. Iden-
tica la posizione del suo omologo di Intesa, ovvero Carlo Messina. Superate le difficoltà e le riserve, legate al fallito tentativo di scalare le Generali, il cinquantacinquenne romano ha occhi e cuori soltanto per i bilanci e per i dividendi da distribuire agli azionisti. Per due che sembrano disinteressati, uno che a quel ruolo ambirebbe è il cinquantaduenne Alberto Nagel. Entrato in Mediobanca quando ancora imperava Enrico Cuccia, il «padrone» del sistema bancario per quasi sessant’anni, Nagel ne è dal 2004 l’amministratore delegato. Rispetto al passato si è dovuto accontentare di un ruolo più modesto: ha perso la presa sul «Corriere» e sulle Generali, il coinvolgimento nelle vicissitudini del costruttore Ligresti e dei figli ne ha scalfito le ambizioni di ascesa. E lui per dimostrare di avere altro in testa ha comprato di recente casa a Londra. Non traballa il trono del piacentino Giorgio Armani (83 anni) icona internazionale della moda, sempre più attento al rapporto con la città tra beneficienza occulta e sponsorizzazione della famosissima squadra di basket, che però dieci anni addietro sarebbe fallita senza il suo intervento. Armani rappresenta il volto e il prestigio della moda, che del fenomeno Milano incarna l’immagine più scintillante e più remunerativa. Accanto a lui la coppia di ferro Miuccia Prada, sessantanovenne terza donna più ricca d’Italia, e Patrizio Bertelli, settantunenne, nono uomo più ricco d’Italia. L’estro creativo dell’una e l’intuito affaristico dell’altro sono stati sin qui sinonimo di crescita ininterrotta. Ora vogliono riprovarci con la coppa America di vela e rimettere in cantiere l’ultima versione di Luna Rossa. Non nutrono aspirazioni legate allo sport Domenico Dolce e Stefano Gabbana: sono tuttora considerati gli enfant terribili delle passerelle, però veleggiano verso i sessanta. Per fortuna rimangono giovani le loro invenzioni ricche di colori. In disparte, ma incombente il «rieccolo» per eccellenza, Silvio Berlusconi alla terza resurrezione politica e alla decima imprenditoriale. Liquido come mai: ha messo assieme un miliardo fra il risarcimento di De Benedetti e i proventi della vendita del Milan e per di più senza dover versare un milione e mezzo al mese all’ex moglie Veronica Lario. Alle soglie degli ottantadue anni si è lanciato in una campagna elettorale piena delle stesse promesse formulate nel 1994. E gli credono.
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Politica e Economia
«Lista grigia» per la Svizzera in attesa della riforma fiscale
Rapporti CH-UE La Svizzera non entra nella «lista nera» dell’UE, ma continua ad essere sorvegliata. Determinante
sarà l’esito del nuovo progetto di tassazione delle imprese, che però incontra ancora parecchie opposizioni
Ignazio Bonoli I ministri delle finanze dell’Unione Europea hanno emanato una nuova lista di paesi che vengono considerati come oasi fiscali. Questa nuova lista concerne 17 paesi che sono definiti «non cooperativi» in materia fiscale. Altri 47 Stati – fra cui anche la Svizzera – hanno garantito di proporre una soluzione, su alcuni punti ancora controversi, entro termini ragionevoli. Per la Svizzera si tratta di sopprimere i privilegi fiscali di cui alcune società (Holding e simili) godono in alcuni cantoni. La promessa di Berna è quella di portare in porto la riforma della tassazione delle imprese, che è già stata respinta una volta in votazione popolare. Il termine previsto per l’entrata in vigore della nuova legge è quello per i 47 paesi interessati e cioè il 2018 (rispettivamente il 2019 per i paesi in via di sviluppo). Per il momento l’UE non ha inserito questi paesi in una vera e propria «lista grigia», come è subito stata definita, ma piuttosto «in attesa» di una serie di impegni, che variano da paese a paese. Con la Svizzera figurano ad esempio paesi come l’Isola di Man, il Liechtenstein e la Turchia, che presentano problemi ben diversi. Ma se alle promesse fatte nella procedura per l’allestimento della lista non seguono fatti concreti,
c’è il rischio di cadere immediatamente nella «lista nera». Rispettivamente gli Stati compresi nella «lista nera» possono uscirne adottando i provvedimenti chiesti dall’UE. Questa lista sarà comunque seguita costantemente e attualizzata in base ai provvedimenti adottati dai singoli paesi. Per la Svizzera, che da tempo si considerava sicura di non entrare più in una lista UE, questo significa che la lista d’attesa nasconde sempre il rischio di cadere in una lista di Stati non cooperativi in materia fiscale. Paradossalmente è stato proprio il Liechtenstein a chiedere l’applicazione della parità di trattamento e inguaiare la Svizzera. Nel 2014, la Svizzera aveva promesso di sopprimere i regimi fiscali che non rispettano gli standard internazionali, ma anche l’UE sa che il processo democratico in Svizzera può essere molto lungo. Ci si può quindi chiedere a che punto siamo in Svizzera con la riforma della tassazione delle imprese: subito dopo il voto popolare negativo del 12 febbraio, il responsabile delle finanze Ueli Maurer aveva incaricato un gruppo di esperti di studiare la possibilità di correggere i punti più controversi del progetto. Due sono i punti principali che dovrebbero evitare un nuovo referendum da sinistra: la soppressione della deduzione degli interessi calcola-
tori sul capitale proprio dell’impresa da un lato e un aumento degli assegni familiari dall’altro. Ma già subito dopo la presentazione delle correzioni è apparso chiaro che l’accordo su vasta scala non sarebbe stato possibile. Per la sinistra le correzioni non sono apparse sufficienti, mentre a destra si è parlato di un peggioramento della posizione concorrenziale; l’USAM ha parlato addirittura di un affronto alle piccole e medie imprese e al ceto medio artigianale elvetico. Le consultazioni sono terminate il 6 dicembre scorso, ma ancor prima di conoscerne i risultati si può prevedere che la ricerca di un punto d’accordo non sarà né facile, né breve. Per la sinistra, il Consiglio federale starebbe ripetendo gli errori della riforma già respinta dal popolo. Per essa un aumento della tassazione dei dividendi all’80% nei cantoni e al 100% per la Confederazione è irrinunciabile. Inoltre chiede un aumento degli assegni familiari di almeno 50 franchi e aggiunge di essere stata troppo poco interpellata nella consultazione. L’UDC giudica insufficiente la riforma e vorrebbe completarla. A seguito dell’annunciata diminuzione della tassazione sugli utili dei gruppi dal 35 al 20%, chiede in concreto una riduzione da 8,5 a 7,5 punti percentuali. Si lascerebbe così ai cantoni uno spazio
La speranza di risolvere rapidamente la vertenza con l’UE sull’imposizione delle holding attraverso una riforma della tassazione di tutte le imprese in Svizzera si sta rivelando prematura, purtroppo per Ueli Maurer. (Keystone)
sufficiente per adeguare la loro fiscalità. Anche i liberali-radicali chiedono alcuni adeguamenti, tenendo meglio in considerazione le differenze fiscali fra i cantoni, considerando le misure proposte facoltative e non obbligatorie, nella misura del possibile. Il PPD ritiene che il nuovo progetto non sia ancora maturo per una discussione in Parlamento e propone di suddividerlo nelle sue componenti principali e di sottoporre al Parlamento solo quelle largamente accettate, poiché il
tempo stringe. In particolare le regole per le società speciali, l’aumento della partecipazione cantonale all’imposta federale diretta al 21% e l’adeguamento della compensazione finanziaria. I Verdi respingono tutto il nuovo progetto, perché senza compensazione delle perdite fiscali non è accettabile. Invece di abolire i privilegi, ne crea dei nuovi. Soprattutto si deve respingere la deduzione degli interessi dagli utili che alcuni cantoni stanno già introducendo. Annuncio pubblicitario
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Cultura e Spettacoli Il jazz di Luciano Intervista con il fisarmonicista Luciano Biondini, recentemente a Lugano per un concerto della serie «Tra jazz e nuove musiche» pagina 24
Un imperatore lungimirante 1900 anni fa moriva Marco Ulpio Traiano, anche definito «optimus princeps» per le sue grandi virtù in campo sociale, amministrativo e militare
Cronache dall’altro mondo (femminile)
pagina 25
Recensioni I contributi giornalistici di Alfonsina Storni nell’Argentina degli anni 20
Pietro Montorfani
Yoko Ono, Wish Tree, 1996, veduta dell’installazione, Anderson Gallery, Richmond, Virginia, 1996. (© Yoko Ono)
Un’esperienza unica Ci sono molti buoni motivi per andare all’Hangar Bicocca di Milano. Prima di tutto l’entrata è gratuita. Con la scusa che con l’arte si mangia adesso si paga qualsiasi cosa. Persino per entrare in chiesa. È di queste settimane la polemica sul ticket per accedere al Duomo di Milano. Una volta, solo pochi decenni fa, non era così. Ora si paga per entrare perfino ai Giardini di Boboli a Firenze nei quali i giovani andavano ad amoreggiare. Fortuna che non da tutte le parti è così. A Parigi, per esempio, i musei della città sono gratuiti. Sono a pagamento solo le mostre temporanee. Ma si deve andare all’Hangar soprattutto perché le esposizioni sono di qualità. A cominciare dall’installazione permanente site specific di Anselm Kiefer I Sette Palazzi Celesti. Questa volta, poi, l’occasione è veramente ghiotta. Due le esposizioni da non perdere. La prima, un po’ seriosa un po’ no, è intitolata Take Me (I’m Yours) mentre la seconda, ad alto tasso intellettualistico e concettuale, è dedicata agli Ambienti di Lucio Fontana. Iniziamo con Take Me (I’m Yours). Traduzione: prendimi, sono tuo. Siamo in piena estetica relazionale. Ne abbiamo già scritto diverse volte e in parecchie occasioni. In questo caso citiamo soltanto il libro di riferimento
che è Arte relazionale di Nicolas Bourriaud il quale nel glossario ne dà questa succinta definizione: «Teoria estetica che consiste nel giudicare le opere d’arte in funzione delle relazioni interpersonali che raffigurano, producono o suscitano». Take Me (I’m Yours) viene presentata per la prima volta nel 1995 alla Serpentine Gallery di Londra. Da allora si è spostata, con diverse modalità, in parecchie altre città del mondo. L’idea nasce dall’incontro tra Christian Boltanski e Hans Ulrich Obrist sul metodo per ripensare «i modi nei quali l’arte viene esposta». Nel 2015 la mostra è alla Monnaie di Parigi. Ne scaturisce un libro intitolato Le degré zéro de l’objet de valeur, Il grado zero dell’oggetto di valore. Boltanski vuole mettere in discussione il concetto di sacra reliquia e rompere un tabù, quello dell’intoccabilità dell’opera d’arte. In pratica le regole del gioco sono da secoli sempre le stesse e vedono l’artista come un demiurgo, un semidio da osannare e riverire, le sue opere da vendere e appendere alle pareti dei nuovi e vecchi ricchi. Hans Ulrich Obrist sostiene però che la condivisione esiste da parecchio tempo nella storia dell’arte. Cita William Morris, Joseph Conrad e Jean Starobinski con il loro concetto di dono. «Dal seno della madre alle labbra del bambino, il dare e ricevere sono comportamenti
primari», scrive Starobinski in A piene mani. Per lui non doniamo solamente cose, ma anche parole, segni… La mostra presenta una cinquantina di artisti. Le opere si possono prendere, creare, scambiare, comprare e interagire con loro modificandole. Per prenderle bisogna però acquistare la borsa creata da Christian Boltanski e che costa 10 euro. Ogni opera ha la relativa didascalia, una biografia dell’artista e una spiegazione, unitamente all’ideogramma relativo alle varie possibilità di utilizzo. Boltanski presenta Dispersion, cumuli di abiti usati che si possono portar via. Gilbert & George regalano spille di metallo e 12 fogli di carta per acquarello. Gustav Metzger presenta un’installazione composta da migliaia di giornali dai quali i visitatori possono ritagliare i loro articoli preferiti e attaccarli a una parete. Wolgang Tillmans ha creato una serie di poster anti-Brexit che si possono scaricare dal suo sito e utilizzare liberamente. Carsten Höller mette a disposizione del pubblico dei cioccolatini incartati. Micol Assaël presenta dei dadi di marmo di Carrara. Yoko Ono porta due piante di limone Modernino; sui rami il visitatore può appendere dei bigliettini con il proprio messaggio. Annette Messager offre delle spille con disegnato un utero e la scritta «A mio desiderio». Patrizio Di
Sempre attenta alla condizione femminile: Alfonsina Storni. (youtube)
sivo, per due distinte testate argentine su cui tenne rubriche di argomento affine: Feminidades, firmata con il proprio nome sul settimanale «La Nota», e Bocetos femininos, nascosta dietro lo pseudonimo maschile di Tao Lao, sul quotidiano «La Naciòn», lo stesso che ospitò più tardi la celebre poesia di addio prima del suo tragico tuffo in mare (Voy a dormir). Oggetto di entrambe le rubriche è naturalmente la condizione femminile nell’Argentina del primo Novecento, con un’unica puntata polemica, la più acre, in direzione della Svizzera italiana, al cui confronto le coste del Rio de la Plata paiono ad Alfonsina un faro
di modernità e progresso: «Entriamo nelle case, facciamo la conoscenza della donna di campagna e ci lanceremo a correre lontano, colte da un senso di soffocamento. Quella donna ci sembrerà valere meno dell’intontito asinello montanaro delle nostre Ande: una specie di bracciante con titolo di moglie, di nutrice con titolo di madre, serva con titolo di donna» (Le elette del Signore). Tolto questo estremo, non a caso dedicato alla sua patria d’origine, con la quale non ebbe mai molto a che spartire, il femminismo della Storni assume in genere toni meno risentiti, giocati su una leggerezza ironica ugualmente efficace, anzi, forse persino maggiore,
come nel gustoso ritratto della Perfetta dattilografa: «Per ottenere una perfetta dattilografa si segua questo procedimento. […] Le si trucchino discretamente gli occhi. Si ossigenino i capelli. Si limino le unghie. Le si confezioni un vestitino alla moda, piuttosto corto. Le si comprima un po’ la pancia», e via di questo passo. Non meno severo è il suo giudizio sulla manicure, «mestiere grato alla donna forse in accordo con la pigrizia del sesso, che sceglie di preferenza compiti di poca spesa mentale e facile esecuzione». Ecco il punto: è la donna, per Alfonsina, a scegliere la propria condizione, anche laddove esistano possibilità diverse (e ne elenca
alcune, prelevate in gran parte dall’universo maschile). Oggetto dello sguardo polemico della Storni, del suo ragionare affilato, è insomma tutto un insieme di regole e convenzioni, tacitamente accettate da uomini e donne con pari responsabilità, entro una società che non sente di poter cambiare. Per molti decenni ancora, e in parte anche oggi, avrebbe avuto ragione. Bibliografia
Alfonsina Storni. Cronache da Buenos Aires, a cura di Hildegard E. Keller, traduzione di M. Stracquadaini. Casagrande 2017. 149 pagine.
Cosa c’è di leventinese nel Kalevala
Mostre Tra luce e nuove regole all’Hangar Bicocca di Milano Gianluigi Bellei
La breve ma eccezionale parabola biografica di Alfonsina Storni aveva tutte le caratteristiche per trasformarla in un mito (e così è stato): nata in uno sperduto paese delle prealpi ticinesi ma vissuta sempre in America Latina, donna forte ed emancipata, scrittrice e regista, femminista convinta sebbene non isterica, morì suicida a Mar del Plata dopo aver dato alla luce un figlio nato da una relazione extraconiugale. Si aggiungano poi una vociferata e forse leggendaria candidatura al Premio Nobel e, soprattutto, il commovente omaggio postumo di Ariel Ramírez (il compositore della Misa Criolla), cioè l’intramontabile Alfonsina y el mar. Ce n’è di che crearle un monumento scintillante e duraturo, senza ausilio di ulteriori pezze d’appoggio. Per fortuna anche in casi così eclatanti ‒ la Storni è oramai l’«Alfonsina» per definizione ‒ è sempre possibile un ritorno alle fonti, una adeguata indagine storico-filologica atta magari a confermarne il mito, o a smentirlo soltanto in parte, ma con la forza dei documenti e non con quella delle suggestioni o dei «sentito dire». Il lavoro di Hildegard Elisabeth Keller, cui si devono una biografia della Storni di prossima uscita per Limmat Verlag (Distel im Wind, 2018) e questa bella antologia per Casagrande, tradotta da Marco Stracquadaini, è di quelli da salutare con il rispetto che sempre si deve a chi non abdichi al rigore della ricerca, nemmeno in presenza di una sana quanto fortissima infatuazione. Alle otto ristampe dei Poemas de amor, apparsi per la prima volta a Bellinzona nel 1988, si aggiungono oggi le prose giornalistiche cui Alfonsina lavorò in pochi mesi febbrili tra il marzo del 1920 e il giugno dell’anno succes-
Pubblicazioni La grande epopea finlandese tradotta nella lingua d’Airolo
Massimo si offre come modello vivente seminudo: chi desidera può ritrarlo. Unico neo, non da poco: i lavori non sono né firmati né certificati, al contrario di quelli che gli stessi artisti propongono nelle gallerie di riferimento. Ne risulta un’operazione prettamente teorica e accademica. Peccato! Bastavano un po’ più di coraggio e chiarezza. Lungo la navata dell’Hangar troviamo Lucio Fontana (1899-1968). Di lui si conoscono soprattutto i suoi tagli, tutti chiamati Concetto spaziale. Artista poliedrico e grande sperimentatore, Fontana si cimenta anche con la matericità della ceramica e con gli altrettanto famosi, o famigerati, buchi. Una sorta di superamento della pittura per quei tempi particolarmente rivoluzionaria. Meno noti i suoi Ambienti, anche perché dopo le loro presentazioni sono stati distrutti o smantellati. La mostra riunisce per la prima volta due interventi ambientali e nove Ambienti spaziali realizzati tra il 1949 e il 1968. Un’incredibile sperimentazione fra vuoto, luce e spazio che abbraccia tutti i sensi e coinvolge il visitatore in un processo di immedesimazione particolarmente intrigante. In uno dei suoi Manifesti degli anni Quaranta Fontana scrive: «Non intendiamo abolire l’arte del passato o fermare la vita: vogliamo che il quadro esca dalla sua
cornice e la scultura dalla sua campana di vetro». Per lui lo spazio era la «somma di tempo, direzione, suono, luce». I materiali usati per i suoi ambienti sono prevalentemente il neon, la luce di Wood e la pittura fluorescente. L’effetto è sorprendente anche se, ovviamente, la realizzazione degli ambienti non ricrea il complesso stratificarsi dell’opera originale. Che ancor oggi influenza gli artisti più giovani, banalizzandone l’impatto e la valenza trasgressiva e sperimentale, fatta di ritmi certi e controllati, degli originali. Fontana ha esplorato mondi nuovi all’interno della modernità, senza intrupparsi nella moltitudine. A lui sono state dedicate mostre nei più importanti musei internazionali. Ma l’esperienza alla Bicocca sembra irripetibile. Come sempre sono a disposizione del visitatore delle piccole ed esaurienti guide di accompagnamento. Dove e quando
Take Me (I’m Yours). A cura di Christian Boltanski, Hans Ulrich Obrist, Chiara Parisi, Roberta Tenconi. Fino al 14 gennaio. Lucio Fontana. Ambienti/Environments. A cura di Marina Pugliese, Barbara Ferriani, Vincente Todolí. Fino al 25 febbraio. Hangar Bicocca, Milano. hangarbicocca.org
Sara Rossi Guidicelli Chi ama sentir raccontare le imprese grandiose e folli, come quella di chi ha voluto un giorno costruire un teatro dell’opera in mezzo alla giungla, allora non resterà indifferente a questa: Walter Arnold, leventinese d’origine, ha trascorso gli ultimi 14 anni a tradurre il Kalevala nella «parlata di Airolo e dintorni». Ventimila ore di lavoro per 22’795 versi (rii puétic secondo le parole dell’autore) che ora si trovano racchiusi in una bella edizione della casa di pubblicazioni Curéigia du Drèisc. Il 2 dicembre scorso, nella splendida sala col camino dell’Hotel Des Alpes, si è svolta la presentazione del volume di quasi 700 pagine, davanti a un pubblico prevalentemente locale, venuto per capire chi era questo avventuriero traduttore, cosa lo aveva spinto a scavare nelle radici linguistiche e se era «sufficientemente airolese» per permettersi un’azione del genere. Diciamo subito che Walter Arnold, figlio di una leventinese di Osco, ha passato il test: è vero, non ha vissuto molto a lungo ad Airolo («Andavo a scuola a Lugano, ma la vita l’ho imparata qui, d’estate dai nonni, fino ai 17 anni»), però la sua conoscenza della lingua locale è infinitamente precisa e vasta. Molto più di tanti airolesi di oggi, che ascoltando e
leggendo Walter Arnold (o altri emigranti che conservano la parlata di una volta) riscoprono parole che non ricordavano più. Per tradurre il grandioso poema finnico ha dovuto imparare il finlandese antico e cercare le traduzioni ad Airolo, in Valle Bedretto, nei paesi arroccati sulle montagne dell’Alta Leventina. Per esempio per sapere i nomi dei differenti pezzi della slitta, confrontava parole di Nante, di Villa, di Quinto, di Ronco sopra Bedretto e sceglieva, a seconda della metrica, della musica, del suono che gli serviva di più. E quando proprio la parola giusta non c’era da nessuna parte, allora inventava, magari andando a pescare in altre lingue. Walter Arnold ha trascorso la maggior parte della sua vita in Finlandia; ha lasciato il Ticino per finire il liceo negli Stati Uniti, dove ha studiato filosofia, scultura, storia, storia del Cinema. Quando ha preso la nave per tornare in Svizzera (una cinquantina di anni fa) ha conosciuto un gruppo di americani che seguivano un corso di finlandese. «Mi sono aggregato e al momento di sbarcare in Europa ho deciso che avrei tentato un soggiorno in Finlandia. Mi sono iscritto all’università e ho studiato filosofia e psicologia. Sono diventato insegnante di psicote-
La Finlandia è più vicina ad Airolo di quanto si pensi...
rapia e ultimamente ho lavorato anche come istruttore di tennis; prima sono anche stato danzatore di danza moderna. Ora vivo lì con i miei figli; con loro
parlo un dialetto diciamo “della ferrovia”, perché la lingua non è solo cultura, ma anche funzionalità», racconta. «Quando sei lontano, le “cose di casa”
diventano più preziose. Mi mancava la mia lingua, volevo usarla e onorarla. Dopo 45 anni trascorsi in Finlandia, mi è venuto naturale occuparmi della storia di quel paese e poi il Kalevala è una raccolta di leggende sulla creazione dell’identità finnica e vi si trovano i nostri stessi paesaggi, gli strumenti di lavoro, le gradazioni della neve, i fiori, i mirtilli e boschi simili; ci sono i laghetti con i pesci e le paludi di montagna, le donne dal carattere forte come da noi e alcuni arnesi da lavoro identici; la stüva riscaldata con la pigna, la caccia e molto altro». E poi il mondo è paese e le leggende si ritrovano con elementi simili dall’Egitto alla Papuasia all’Europa, come ha fatto notare il poeta di Lurengo Alberto Jelmini durante la presentazione. Perché ci sono storie che durano qualche anno e altre che si raccontano per secoli e queste sono quelle che toccano la profonda essenza universale dell’umanità. Ad Airolo Arnold ha letto alcuni brani in traduzione e ha fatto ascoltare una registrazione della lettura in lingua originale del Kalevala: sia l’una sia l’altra sembrano musica e infatti sono versi che un tempo venivano cantati. «Il dialetto per me è una lingua senza esercito e senza flotta, ma molto più potente».
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Cultura e Spettacoli Il jazz di Luciano Intervista con il fisarmonicista Luciano Biondini, recentemente a Lugano per un concerto della serie «Tra jazz e nuove musiche» pagina 24
Un imperatore lungimirante 1900 anni fa moriva Marco Ulpio Traiano, anche definito «optimus princeps» per le sue grandi virtù in campo sociale, amministrativo e militare
Cronache dall’altro mondo (femminile)
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Recensioni I contributi giornalistici di Alfonsina Storni nell’Argentina degli anni 20
Pietro Montorfani
Yoko Ono, Wish Tree, 1996, veduta dell’installazione, Anderson Gallery, Richmond, Virginia, 1996. (© Yoko Ono)
Un’esperienza unica Ci sono molti buoni motivi per andare all’Hangar Bicocca di Milano. Prima di tutto l’entrata è gratuita. Con la scusa che con l’arte si mangia adesso si paga qualsiasi cosa. Persino per entrare in chiesa. È di queste settimane la polemica sul ticket per accedere al Duomo di Milano. Una volta, solo pochi decenni fa, non era così. Ora si paga per entrare perfino ai Giardini di Boboli a Firenze nei quali i giovani andavano ad amoreggiare. Fortuna che non da tutte le parti è così. A Parigi, per esempio, i musei della città sono gratuiti. Sono a pagamento solo le mostre temporanee. Ma si deve andare all’Hangar soprattutto perché le esposizioni sono di qualità. A cominciare dall’installazione permanente site specific di Anselm Kiefer I Sette Palazzi Celesti. Questa volta, poi, l’occasione è veramente ghiotta. Due le esposizioni da non perdere. La prima, un po’ seriosa un po’ no, è intitolata Take Me (I’m Yours) mentre la seconda, ad alto tasso intellettualistico e concettuale, è dedicata agli Ambienti di Lucio Fontana. Iniziamo con Take Me (I’m Yours). Traduzione: prendimi, sono tuo. Siamo in piena estetica relazionale. Ne abbiamo già scritto diverse volte e in parecchie occasioni. In questo caso citiamo soltanto il libro di riferimento
che è Arte relazionale di Nicolas Bourriaud il quale nel glossario ne dà questa succinta definizione: «Teoria estetica che consiste nel giudicare le opere d’arte in funzione delle relazioni interpersonali che raffigurano, producono o suscitano». Take Me (I’m Yours) viene presentata per la prima volta nel 1995 alla Serpentine Gallery di Londra. Da allora si è spostata, con diverse modalità, in parecchie altre città del mondo. L’idea nasce dall’incontro tra Christian Boltanski e Hans Ulrich Obrist sul metodo per ripensare «i modi nei quali l’arte viene esposta». Nel 2015 la mostra è alla Monnaie di Parigi. Ne scaturisce un libro intitolato Le degré zéro de l’objet de valeur, Il grado zero dell’oggetto di valore. Boltanski vuole mettere in discussione il concetto di sacra reliquia e rompere un tabù, quello dell’intoccabilità dell’opera d’arte. In pratica le regole del gioco sono da secoli sempre le stesse e vedono l’artista come un demiurgo, un semidio da osannare e riverire, le sue opere da vendere e appendere alle pareti dei nuovi e vecchi ricchi. Hans Ulrich Obrist sostiene però che la condivisione esiste da parecchio tempo nella storia dell’arte. Cita William Morris, Joseph Conrad e Jean Starobinski con il loro concetto di dono. «Dal seno della madre alle labbra del bambino, il dare e ricevere sono comportamenti
primari», scrive Starobinski in A piene mani. Per lui non doniamo solamente cose, ma anche parole, segni… La mostra presenta una cinquantina di artisti. Le opere si possono prendere, creare, scambiare, comprare e interagire con loro modificandole. Per prenderle bisogna però acquistare la borsa creata da Christian Boltanski e che costa 10 euro. Ogni opera ha la relativa didascalia, una biografia dell’artista e una spiegazione, unitamente all’ideogramma relativo alle varie possibilità di utilizzo. Boltanski presenta Dispersion, cumuli di abiti usati che si possono portar via. Gilbert & George regalano spille di metallo e 12 fogli di carta per acquarello. Gustav Metzger presenta un’installazione composta da migliaia di giornali dai quali i visitatori possono ritagliare i loro articoli preferiti e attaccarli a una parete. Wolgang Tillmans ha creato una serie di poster anti-Brexit che si possono scaricare dal suo sito e utilizzare liberamente. Carsten Höller mette a disposizione del pubblico dei cioccolatini incartati. Micol Assaël presenta dei dadi di marmo di Carrara. Yoko Ono porta due piante di limone Modernino; sui rami il visitatore può appendere dei bigliettini con il proprio messaggio. Annette Messager offre delle spille con disegnato un utero e la scritta «A mio desiderio». Patrizio Di
Sempre attenta alla condizione femminile: Alfonsina Storni. (youtube)
sivo, per due distinte testate argentine su cui tenne rubriche di argomento affine: Feminidades, firmata con il proprio nome sul settimanale «La Nota», e Bocetos femininos, nascosta dietro lo pseudonimo maschile di Tao Lao, sul quotidiano «La Naciòn», lo stesso che ospitò più tardi la celebre poesia di addio prima del suo tragico tuffo in mare (Voy a dormir). Oggetto di entrambe le rubriche è naturalmente la condizione femminile nell’Argentina del primo Novecento, con un’unica puntata polemica, la più acre, in direzione della Svizzera italiana, al cui confronto le coste del Rio de la Plata paiono ad Alfonsina un faro
di modernità e progresso: «Entriamo nelle case, facciamo la conoscenza della donna di campagna e ci lanceremo a correre lontano, colte da un senso di soffocamento. Quella donna ci sembrerà valere meno dell’intontito asinello montanaro delle nostre Ande: una specie di bracciante con titolo di moglie, di nutrice con titolo di madre, serva con titolo di donna» (Le elette del Signore). Tolto questo estremo, non a caso dedicato alla sua patria d’origine, con la quale non ebbe mai molto a che spartire, il femminismo della Storni assume in genere toni meno risentiti, giocati su una leggerezza ironica ugualmente efficace, anzi, forse persino maggiore,
come nel gustoso ritratto della Perfetta dattilografa: «Per ottenere una perfetta dattilografa si segua questo procedimento. […] Le si trucchino discretamente gli occhi. Si ossigenino i capelli. Si limino le unghie. Le si confezioni un vestitino alla moda, piuttosto corto. Le si comprima un po’ la pancia», e via di questo passo. Non meno severo è il suo giudizio sulla manicure, «mestiere grato alla donna forse in accordo con la pigrizia del sesso, che sceglie di preferenza compiti di poca spesa mentale e facile esecuzione». Ecco il punto: è la donna, per Alfonsina, a scegliere la propria condizione, anche laddove esistano possibilità diverse (e ne elenca
alcune, prelevate in gran parte dall’universo maschile). Oggetto dello sguardo polemico della Storni, del suo ragionare affilato, è insomma tutto un insieme di regole e convenzioni, tacitamente accettate da uomini e donne con pari responsabilità, entro una società che non sente di poter cambiare. Per molti decenni ancora, e in parte anche oggi, avrebbe avuto ragione. Bibliografia
Alfonsina Storni. Cronache da Buenos Aires, a cura di Hildegard E. Keller, traduzione di M. Stracquadaini. Casagrande 2017. 149 pagine.
Cosa c’è di leventinese nel Kalevala
Mostre Tra luce e nuove regole all’Hangar Bicocca di Milano Gianluigi Bellei
La breve ma eccezionale parabola biografica di Alfonsina Storni aveva tutte le caratteristiche per trasformarla in un mito (e così è stato): nata in uno sperduto paese delle prealpi ticinesi ma vissuta sempre in America Latina, donna forte ed emancipata, scrittrice e regista, femminista convinta sebbene non isterica, morì suicida a Mar del Plata dopo aver dato alla luce un figlio nato da una relazione extraconiugale. Si aggiungano poi una vociferata e forse leggendaria candidatura al Premio Nobel e, soprattutto, il commovente omaggio postumo di Ariel Ramírez (il compositore della Misa Criolla), cioè l’intramontabile Alfonsina y el mar. Ce n’è di che crearle un monumento scintillante e duraturo, senza ausilio di ulteriori pezze d’appoggio. Per fortuna anche in casi così eclatanti ‒ la Storni è oramai l’«Alfonsina» per definizione ‒ è sempre possibile un ritorno alle fonti, una adeguata indagine storico-filologica atta magari a confermarne il mito, o a smentirlo soltanto in parte, ma con la forza dei documenti e non con quella delle suggestioni o dei «sentito dire». Il lavoro di Hildegard Elisabeth Keller, cui si devono una biografia della Storni di prossima uscita per Limmat Verlag (Distel im Wind, 2018) e questa bella antologia per Casagrande, tradotta da Marco Stracquadaini, è di quelli da salutare con il rispetto che sempre si deve a chi non abdichi al rigore della ricerca, nemmeno in presenza di una sana quanto fortissima infatuazione. Alle otto ristampe dei Poemas de amor, apparsi per la prima volta a Bellinzona nel 1988, si aggiungono oggi le prose giornalistiche cui Alfonsina lavorò in pochi mesi febbrili tra il marzo del 1920 e il giugno dell’anno succes-
Pubblicazioni La grande epopea finlandese tradotta nella lingua d’Airolo
Massimo si offre come modello vivente seminudo: chi desidera può ritrarlo. Unico neo, non da poco: i lavori non sono né firmati né certificati, al contrario di quelli che gli stessi artisti propongono nelle gallerie di riferimento. Ne risulta un’operazione prettamente teorica e accademica. Peccato! Bastavano un po’ più di coraggio e chiarezza. Lungo la navata dell’Hangar troviamo Lucio Fontana (1899-1968). Di lui si conoscono soprattutto i suoi tagli, tutti chiamati Concetto spaziale. Artista poliedrico e grande sperimentatore, Fontana si cimenta anche con la matericità della ceramica e con gli altrettanto famosi, o famigerati, buchi. Una sorta di superamento della pittura per quei tempi particolarmente rivoluzionaria. Meno noti i suoi Ambienti, anche perché dopo le loro presentazioni sono stati distrutti o smantellati. La mostra riunisce per la prima volta due interventi ambientali e nove Ambienti spaziali realizzati tra il 1949 e il 1968. Un’incredibile sperimentazione fra vuoto, luce e spazio che abbraccia tutti i sensi e coinvolge il visitatore in un processo di immedesimazione particolarmente intrigante. In uno dei suoi Manifesti degli anni Quaranta Fontana scrive: «Non intendiamo abolire l’arte del passato o fermare la vita: vogliamo che il quadro esca dalla sua
cornice e la scultura dalla sua campana di vetro». Per lui lo spazio era la «somma di tempo, direzione, suono, luce». I materiali usati per i suoi ambienti sono prevalentemente il neon, la luce di Wood e la pittura fluorescente. L’effetto è sorprendente anche se, ovviamente, la realizzazione degli ambienti non ricrea il complesso stratificarsi dell’opera originale. Che ancor oggi influenza gli artisti più giovani, banalizzandone l’impatto e la valenza trasgressiva e sperimentale, fatta di ritmi certi e controllati, degli originali. Fontana ha esplorato mondi nuovi all’interno della modernità, senza intrupparsi nella moltitudine. A lui sono state dedicate mostre nei più importanti musei internazionali. Ma l’esperienza alla Bicocca sembra irripetibile. Come sempre sono a disposizione del visitatore delle piccole ed esaurienti guide di accompagnamento. Dove e quando
Take Me (I’m Yours). A cura di Christian Boltanski, Hans Ulrich Obrist, Chiara Parisi, Roberta Tenconi. Fino al 14 gennaio. Lucio Fontana. Ambienti/Environments. A cura di Marina Pugliese, Barbara Ferriani, Vincente Todolí. Fino al 25 febbraio. Hangar Bicocca, Milano. hangarbicocca.org
Sara Rossi Guidicelli Chi ama sentir raccontare le imprese grandiose e folli, come quella di chi ha voluto un giorno costruire un teatro dell’opera in mezzo alla giungla, allora non resterà indifferente a questa: Walter Arnold, leventinese d’origine, ha trascorso gli ultimi 14 anni a tradurre il Kalevala nella «parlata di Airolo e dintorni». Ventimila ore di lavoro per 22’795 versi (rii puétic secondo le parole dell’autore) che ora si trovano racchiusi in una bella edizione della casa di pubblicazioni Curéigia du Drèisc. Il 2 dicembre scorso, nella splendida sala col camino dell’Hotel Des Alpes, si è svolta la presentazione del volume di quasi 700 pagine, davanti a un pubblico prevalentemente locale, venuto per capire chi era questo avventuriero traduttore, cosa lo aveva spinto a scavare nelle radici linguistiche e se era «sufficientemente airolese» per permettersi un’azione del genere. Diciamo subito che Walter Arnold, figlio di una leventinese di Osco, ha passato il test: è vero, non ha vissuto molto a lungo ad Airolo («Andavo a scuola a Lugano, ma la vita l’ho imparata qui, d’estate dai nonni, fino ai 17 anni»), però la sua conoscenza della lingua locale è infinitamente precisa e vasta. Molto più di tanti airolesi di oggi, che ascoltando e
leggendo Walter Arnold (o altri emigranti che conservano la parlata di una volta) riscoprono parole che non ricordavano più. Per tradurre il grandioso poema finnico ha dovuto imparare il finlandese antico e cercare le traduzioni ad Airolo, in Valle Bedretto, nei paesi arroccati sulle montagne dell’Alta Leventina. Per esempio per sapere i nomi dei differenti pezzi della slitta, confrontava parole di Nante, di Villa, di Quinto, di Ronco sopra Bedretto e sceglieva, a seconda della metrica, della musica, del suono che gli serviva di più. E quando proprio la parola giusta non c’era da nessuna parte, allora inventava, magari andando a pescare in altre lingue. Walter Arnold ha trascorso la maggior parte della sua vita in Finlandia; ha lasciato il Ticino per finire il liceo negli Stati Uniti, dove ha studiato filosofia, scultura, storia, storia del Cinema. Quando ha preso la nave per tornare in Svizzera (una cinquantina di anni fa) ha conosciuto un gruppo di americani che seguivano un corso di finlandese. «Mi sono aggregato e al momento di sbarcare in Europa ho deciso che avrei tentato un soggiorno in Finlandia. Mi sono iscritto all’università e ho studiato filosofia e psicologia. Sono diventato insegnante di psicote-
La Finlandia è più vicina ad Airolo di quanto si pensi...
rapia e ultimamente ho lavorato anche come istruttore di tennis; prima sono anche stato danzatore di danza moderna. Ora vivo lì con i miei figli; con loro
parlo un dialetto diciamo “della ferrovia”, perché la lingua non è solo cultura, ma anche funzionalità», racconta. «Quando sei lontano, le “cose di casa”
diventano più preziose. Mi mancava la mia lingua, volevo usarla e onorarla. Dopo 45 anni trascorsi in Finlandia, mi è venuto naturale occuparmi della storia di quel paese e poi il Kalevala è una raccolta di leggende sulla creazione dell’identità finnica e vi si trovano i nostri stessi paesaggi, gli strumenti di lavoro, le gradazioni della neve, i fiori, i mirtilli e boschi simili; ci sono i laghetti con i pesci e le paludi di montagna, le donne dal carattere forte come da noi e alcuni arnesi da lavoro identici; la stüva riscaldata con la pigna, la caccia e molto altro». E poi il mondo è paese e le leggende si ritrovano con elementi simili dall’Egitto alla Papuasia all’Europa, come ha fatto notare il poeta di Lurengo Alberto Jelmini durante la presentazione. Perché ci sono storie che durano qualche anno e altre che si raccontano per secoli e queste sono quelle che toccano la profonda essenza universale dell’umanità. Ad Airolo Arnold ha letto alcuni brani in traduzione e ha fatto ascoltare una registrazione della lettura in lingua originale del Kalevala: sia l’una sia l’altra sembrano musica e infatti sono versi che un tempo venivano cantati. «Il dialetto per me è una lingua senza esercito e senza flotta, ma molto più potente».
Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 27 dicembre 2017 • N. 52
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Cultura e Spettacoli
Il jazz nella fisarmonica Intervista A colloquio con Luciano Biondini che ha suonato a Lugano quale membro
del gruppo A Novel of Anomaly, per l’ultimo concerto di «Tra jazz e nuove musiche» 2017 Andreas sembra molto preponderante. Considerando le tracce del vostro album, invece il repertorio è molto più condiviso, e ci sono diverse sue composizioni. Come è andata al momento della scelta?
Alessandro Zanoli È musica fatta d’incontri, il jazz: costruisce la sua specificità nell’interazione tra personalità musicali (e umane) diverse ed eterogenee. Non a caso molti musicisti neri (e non solo loro) la ritengono un veicolo di integrazione sociale e una dimostrazione vivente di quanto l’unione delle differenze possa generare armonia e non caos. Questo particolare approccio all’espressione artistica si pratica da tempo in Svizzera. Nel nostro jazz la storia delle collaborazioni e le escursioni fuori dalla frontiera sono numerose e fruttifere. Uno degli esempi più recenti ce lo offre la formazione A Novel of Anomaly, quartetto composto da due svizzeri di grande bravura come il cantante Andreas Schaerer e il batterista Lucas Niggli, dal chitarrista scandinavo Kalle Kalima e dal fisarmonicista di Spoleto Luciano Biondini. Quest’ultimo è un esponente di spicco della scena musicale italiana. Ha collaborato tra gli altri con Rava, Tavolazzi, Mirabassi, Ottaviano, Girotto, e fa parte di quel nutrito nucleo di fisarmonicisti che stanno esplorando nuove dimensioni espressive per uno strumento affascinante e «strano». Novel Of Anomaly, dal canto suo, è un gruppo che ha attirato l’attenzione del pubblico e degli specialisti nel panorama jazzistico europeo con la sua proposta originale e spiazzante. Abbiamo voluto parlarne proprio con Biondini, in occasione della sua presenza a Lugano, durante l’ultimo concerto della serie realizzata da Rete Due, con il sostegno del Percento culturale di Migros Ticino. Luciano Biondini, il nome del vostro gruppo è veramente curioso, in particolare perché sembra voler descrivere in qualche modo come «anomala» la vostra esperienza. Ma è davvero così anomala, almeno per lei?
Le scelte dei brani avvengono in modo molto spontaneo: si fanno delle proposte e si sceglie il materiale più adatto, più consono a ogni strumento e alla voce di Andreas. Non penso che lui sia preponderante: ovviamente il suo modo di cantare è talmente unico che nei concerti può dare questa sensazione ma ci tengo a dire che la forza di questo gruppo sta principalmente nella gioia di suonare insieme ed essere di supporto all’altro, avendo l’unico obiettivo di fare una bella cosa insieme, liberi da manie solistiche ed egocentriche.
È nato nel 1971 a Spoleto.
Si può considerare anomalo il modo in cui il quartetto è nato: io collaboro con Lucas da molti anni, abbiamo condiviso un bellissimo progetto in trio con Michel Godard, facendo molti concerti e realizzando due cd per la Intakt. Lucas e Andreas hanno un duo da qualche anno e durante uno dei loro concerti ebbero il piacere di condividere il palco con Kalle. Nacque così un’idea, che era quella di organizzare una serie di concerti di due diversi trio, divisi un due parti: nella prima dove io mi univo al loro duo e nella seconda dove era Kalle ad unirsi a loro. Le prove erano state previste in differenti orari per i due progetti ma purtroppo il ritardo dell’aereo di Kalle ci ha costretto a fare una prova tutti insieme. Dopo i primi minuti di prove tutti realizzammo che la miglior cosa da fare fosse quella di fare tutti i concerti in quartetto! Come vede, da musicista italiano, la scena musicale (jazzistica) elvetica? È riuscito a farsene un’idea in questi
anni di frequentazione di Lucas e Andreas?
Nel vostro paese ci sono grandissimi musicisti e a mio avviso hanno anche la fortuna di essere supportati dal sistema: venendo dall’Italia, dove manca ogni tipo di tutela del musicista, questa è la cosa che colpisce di più.
Ci sono magari altri musicisti svizzeri con cui le piacerebbe collaborare?
Ho già avuto il piacere di collaborare con il violinista Tobias Preisig e il trombonista René Mosele, ma è con grande orgoglio che ricorderò sempre la mia collaborazione con il grande George Gruntz. Sfortunatamente ci ha lasciato qualche anno fa ma era un musicista, compositore e arrangiatore di livello assoluto, oltre che una persona stupenda. La mia esperienza musicale e umana vissuta insieme a lui la porto sempre con me, mi manca molto. Come nascono i brani del vostro repertorio? Se si osservano le vostre performance live, la personalità di
Il ruolo della fisarmonica in un contesto così «avanzato»: è uno strumento che associamo più ad atmosfere malinconiche e folk, non alla musica d’avanguardia. Lei come si è trovato in un ensemble di questo tipo? In altre parole, la fisarmonica è uno strumento tradizionalista?
Siamo a Napoli, in casa di Gennaro e Lucia Parascandolo. Lui è un geometra e un piccolo imprenditore edile; lei una moglie e una madre con grandi ambizioni sociali. Lo prova il fatto che per la festa di compleanno della figlia diciottenne (che si terrà sull’ampia terrazza del loro appartamento condominiale) non ha invitato 42 persone, come crede il marito, bensì 84. (Particolarmente atteso è l’assessore ai lavori pubblici, il cui figlio è sentimentalmente legato alla figlia dei padroni di casa). Lo prova anche il fatto, di minor rilievo ma significativo, che in aggiunta alla domestica – confinata in cucina – ha noleggiato un cameriere indiano, che in realtà è un napoletano con la faccia tinta. Fervono i preparativi, cresce l’eccitazione, ma disgraziatamente (non dirò in che modo) il condomino novantaduenne del piano di sotto passa, come usa dire, a miglior vita. È cosa decente fare una festa con 84 invitati mentre nel condominio c’è un morto fresco di giornata? Gennaro pensa di no, ma la moglie e la figlia non sentono ragioni. Quest’ultima minaccia addirittura il suicidio. L’unica soluzione pare quella di rivolgersi alla figlia zitella del defunto per chiederle di rimandare all’indomani l’annuncio del trapasso. Le sorprese saranno molte.
cio, sia nell’invenzione delle situazioni e nella vivacità dei dialoghi: qualità che in parte sono frutto di un talento naturale, in parte di un mestiere appreso durante gli anni – sei, per l’esattezza – in cui Salemme ha lavorato come attore nella compagnia di Eduardo De Filippo. Al quale ha voluto rendere esplicitamente omaggio in due modi: inventando un invisibile dirimpettaio dei Parascandolo che ha nome Cupiello (a cui Gennaro rivolge di quando in quando la parola, ricordandoci il Pasquale Lojacono di Questi fantasmi!), e facendo riascoltare – mentre il sipario lentamente si chiude – la voce registrata del grande attoredrammaturgo nel ruolo del protagonista di Natale in casa Cupiello. L’intento dichiarato di Salemme è quello di divertire, ma lasciando sempre intravedere, attraverso la comicità dei gesti, delle parole e delle situazioni, aspetti seriamente problematici della realtà contemporanea: una preoccupazione forse sgradita a chi è del parere di Alberto Savinio, che nella «farsa genuina» addita «un groviglio di fatti illogici», e parlando di sé aggiunge: «Nulla ci distrae così completamente, e diremo meglio: nulla ci astrae, quanto una farsa riuscita bene. Nulla ci porta tanto lontano dal mondo. Momento di follia. Svenimento. Sogno a occhi aperti». Il pubblico ride tantissimo durante la rappresentazione di Una
solido come una roccia, commovente e implacabile Fabio Fumagalli ***(*) Loveless (Nelyubov), di Andrei Zvyagintsev, con Maryana Spivak, Matvey Novikov, Andris Keishs (Russia 2017). (Ottenibile in DVD/Blu-ray o tramite VOD, streaming ecc.)
Andrei Zvyagintsev, autore dello splendido Il ritorno nel 2003, già raccontava di un padre, assente da dieci anni, che ricompariva per condurre i figlioli in un viaggio realistico e astratto verso il lago Ladoga. Itinerario misterioso, lirico, malinconico, immerso
Allargando il discorso: come vede il coinvolgimento dello strumento stesso nel panorama della musica attuale?
Se penso al jazz credo che stia vivendo un buon momento: rispetto agli anni passati ci sono molti più fisarmonicisti interessanti e con differenti personalità che stanno senz’altro dando un importante contributo. La fisarmonica è ancora un giovane strumento c’è bisogno di tempo.
Teatro La nuova, esilarante e amara farsa di Vincenzo Salemme In quantità variabile, tutte le commedie di Vincenzo Salemme presentano dei tratti farseschi. Questo suo nuovo lavoro, Una festa esagerata...! (il prossimo marzo se ne potrà vedere la trasposizione cinematografica), è una farsa con rari e brevi indugi riflessivi (ad esempio le considerazioni di Gennaro sui condominî, «alveari senz’anima») che danno al protagonista una consistenza psicologica maggiore di quella degli altri personaggi e contrastano sensibilmente con l’andamento e la tonalità di tutto il resto. Nel corso dei secoli la farsa («genere» imperituro) si è modificata nei contenuti e nelle forme, in relazione ai diversi e mutevoli contesti socio-culturali. Ha progressivamente perso la trivialità sanguigna e plebea della farsa antica, diventando più «raffinata», più «elegante» (si pensi al vaudeville e alla pochade), ma conservando in vario modo e misura gli elementi propri del «genere», come gli equivoci e i giochi di parole (spesso di carattere sessuale), i tormentoni e le sorprese, la stranezza o l’assurdità delle situazioni, la recitazione un poco o molto sopra le righe, la presenza di «tipi» più che di «personaggi», oscillanti fra caricatura, macchietta e marionetta «metafisica». Tutti questi elementi si ritrovano nel teatro di Salemme, variamente distribuiti e declinati con perizia e originalità sia nella costruzione dell’intrec-
Cinema Un film
La fisarmonica nasce da atmosfere folk e malinconiche, è vero, ma nasconde in sé molteplici facce e modi di essere utilizzata che la possono proiettare molto oltre l’immaginabile... Ho sempre cercato di scavare fuori da questi confini, ciò mi ha permesso di sperimentare il mio strumento nei contesti più svariati e avere la capacità di entrare in sintonia con mondi apparentemente lontani.
Festa in terrazza con morto al piano di sotto Giovanni Fattorini
Dalla famiglia al mondo, una tragedia
Esilarante Salemme. (© Federico Riva)
festa esagerata...! Ma non è da escludere che alcuni, o forse molti, abbiano lasciato il teatro con l’amaro in bocca. A me è tornato in mente ciò che Jean Anouilh ha scritto di Feydeau e di Pascal: gli unici autori, a suo giudizio, che hanno visto chiaro nella condizione umana, dove risplendono sinistramente due sole, irrefutabili certezze: la morte e l’egoismo dei viventi. Fatte le debite proporzioni, è ciò che vede e dice anche Salemme. Che dall’insegnamento di Eduardo ha derivato – e qui ne dà ulteriore dimostrazione – anche la capacità di inscenare i suoi testi con grande precisione e senso del ritmo, concertando in modo ammirevole la recitazione degli attori, che meritano di essere tutti nominati: Teresa Del Vecchio (moglie di Gennaro), Mirea Flavia Stellato, Antonio Guerriero, Nicola Acunzo, Giovanni Ribò, Antonella Cioli (la condomina zitella); Sergio D’Auria. Naturalmente c’è anche Vincenzo Salemme, bravissimo nel ruolo di Gennaro. Dove e quando
Milano, Teatro Manzoni, fino al 1° gennaio. Chiasso, Cinema Teatro, 3 gennaio 2018.
La locandina del bellissimo film russo di Zvyagintsev.
nella natura, nella fatica del diventare ineluttabilmente adulti. Tutti temi che l’autore riprende in questo Loveless, pur volgendoli ora mirabilmente in un contesto urbano di straordinaria, universale urgenza. Genia e Boris si odiano. Si tradiscono a vicenda e vorrebbero lasciarsi, avendo risolto dapprima alcuni problemi. Come ad esempio disfarsi dell’appartamento, ma soprattutto di Aliocha, il delicato figliolo dodicenne, che nessuno avrebbe mai voluto fra i piedi. Di Aliocha non vedremo più che le poche lacrime furtive fra una furibonda aggressione e l’altra dei genitori. All’indomani, i due non si accorgeranno nemmeno della sua scomparsa. Prima di questa scoperta vergognosamente tardiva, Zvyagintsev si prende tutto il tempo necessario per mostrarci la banalità dell’indifferenza; e di quanto essa faccia parte di un rituale al quale tutti noi fatichiamo a sfuggire. Magnificamente calibrato negli ambienti, il quotidiano (professionale, sessuale) degli ancora inconsapevoli, indegni genitori viene descritto con una cura tutta dovuta allo sguardo del cineasta. Nei tempi dilatati e negli spazi accuratamente indagati di una «normalità» comportamentale dal sapore ipocrita, allo spettatore viene quasi imposto un interrogativo. E di conseguenza questo lo precipiterà in un dramma vieppiù coinvolgente. Col fiato sospeso si ritroverà a seguire gli interrogativi, le inchieste e infine le ricerche e le scoperte. Seguirà una presa di coscienza, che per quanto paradossale e privata potesse apparire in un primo tempo, finirà per farsi collettiva. Mettendo in luce una noncuranza mostruosa che dall’infernale triangolo privato iniziale si allarga inesorabilmente fino a farsi portavoce dell’eco delle tragedie pubbliche che giungono dalle guerre in Ucraina.
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Cultura e Spettacoli Marco Ulpio Traiano come appariva raffigurato su una moneta ritrovata nel 1935 a Vidy (VD). (Keystone)
Vitalità, dal Bardo fino all’invisibile
In scena La parola che seduce e sottomette
una donna indomabile Giorgio Thoeni È tutta giovane la nuova produzione di LuganoInScena che Carmelo Rifici ha affidato al regista Andrea Chiodi. La scelta è caduta su La bisbetica domata di William Shakespeare, un’opera che il regista ha riletto nell’adattamento e nella traduzione di Angela Demattè scegliendo un cast di soli uomini: attori di affermata bravura come i premiati Tindaro Granata, Christian La Rosa, Angelo Di Genio, gli ormai comprovati talenti «nostrani» di ottimo livello come Igor Horvat e Massimiliano Zampetti e tre freschi diplomati come Rocco Schira (Accademia Dimitri di Verscio), Ugo Fiore e Walter Rizzuto (Scuola del Piccolo di Milano). Se alla fedeltà «territoriale» occorre aggiungere le musiche curate da Zeno Gabaglio, le scene sono di Matteo Patrucco e i costumi di Ilaria Ariemme.
Marco Ulpio Traiano, 1900 anni dopo Anniversari P erché tanto interesse attorno alla figura
dell’imperatore romano?
Marco Horat È stato definito «optimus princeps». Forse il più grande imperatore che Roma abbia avuto nella sua lunga storia a partire da Augusto, che seppe innalzare alla massima gloria la fama dell’Urbe. «Che tu possa essere più fortunato di Augusto e migliore di Traiano» diranno infatti speranzosi i senatori romani ai suoi successori dopo quel 117 d.C., data della sua morte avvenuta in agosto a Selinus in Cilicia per malattia. L’anno nel quale la grandezza territoriale romana, calcolata in circa 6,5 milioni di chilometri quadrati, era giunta all’apice: dalla Britannia alla Mesopotamia e al Golfo persico, dalle coste dell’Africa al Mar Nero passando per l’Europa centrale e orientale. Marco Ulpio Traiano lasciava in eredità ad Adriano un regno stabile e prospero, che grazie alle sue doti eccezionali era riuscito a costruire in una ventina d’anni di potere, dal 98 al 117 appunto. Un sovrano illuminato insomma, come già raccontava con enfasi lo storico Dione Cassio qualche tempo dopo, nella sua Storia romana: «Un uomo eminente per giustizia, per coraggio e per semplicità di abitudini. Non era invidioso, né fece assassinare alcuno, ma onorò ed esaltò tutti gli uomini buoni senza eccezioni...».
Traiano si distinse per le conquiste, per il senso di giustizia, per le iniziative sociali e la lotta alla corruzione Si narra che al segretario che lo rimproverava per la sua eccessiva disponibilità nei confronti del popolo romano Traiano rispondesse: «Tratto tutti come vorrei che l’imperatore trattasse me, se fossi un privato cittadino». Nei manuali di storia la grandezza di un imperatore si tende a misurare con la portata delle sue più o meno for-
tunate imprese belliche. Sarebbe però un errore applicare il ragionamento alla figura di Traiano, militare di carriera fino ai massimi gradi sì, con al suo attivo conquiste prestigiose, ma anche riformatore coraggioso, amministratore oculato, politico attento, economista e costruttore di spicco, dai tratti spesso originali nella storia imperiale romana, interessato alla gloria ma anche al benessere di Roma e della sua gente, come pure di quella dell’intero territorio italico dal quale era stato generosamente adottato. Ricordiamo i dati essenziali e alcuni fatti importanti nella vita di Traiano, per dare un contenuto a queste enunciazioni che potrebbero essere considerate solamente come un dovuto omaggio alla figura di un potente, mondata dei suoi aspetti negativi, sia dei suoi contemporanei sia degli studiosi odierni. E per cercare di capire la sua grande attualità che spiega fors’anche l’interesse suscitato da questo anniversario. Qualcosa circa la sua personalità abbiamo detto più sopra. Traiano era nato ad Italica in Andalusia. Un provinciale venuto da lontano, dunque. Non uno dei... «nostri». E già questo fatto lo pone fuori della tradizione. Al momento della sua elezione il 27 gennaio del 98 alla morte di Nerva (che lo aveva adottato quale successore) si trovava in Germania impegnato in operazioni militari per rafforzare i confini dell’impero sul Reno. Traiano non si precipitò a Roma per occupare il trono imperiale, ma preferì finire il suo lavoro e solo in seguito si presentò al Senato per l’investitura ufficiale con un seguito ristretto di collaboratori e senza gli sfarzi ai quali Nerone e compagni avevano abituato i romani. Infatti sarà sempre ritratto, in sculture e sulle monete, con vesti militari o civili, mai accompagnato da attributi divini. Un uomo, non un dio. Creò in seguito un «Consiglio del principe» che lo affiancava nelle decisioni importanti e collaborò con il Senato romano alla realizzazione di grandi
progetti: il rafforzamento dei porti italici a partire da quelli sul Tevere, Ostia in particolare, e della rete stradale (nuovo tracciato della Via Appia da Benevento a Brindisi) per sviluppare i commerci internazionali attorno a quello che diventerà il Mare nostrum. Imporrà ai proprietari terrieri della penisola di investire un terzo delle rendite per il miglioramento dei loro fondi e concederà prestiti agevolati ai contadini per sviluppare la piccola proprietà di fronte al diffondersi del latifondo; una sorta di cassa rurale ante litteram. Come pure istituirà un fondo per il mantenimento e l’educazione di bambini e bambine poveri e degli orfani di guerra da inserire nell’apparato amministrativo dell’impero. Si applicò anche alla lotta alla corruzione e in favore della trasparenza della giustizia, abolendo ad esempio la denuncia anonima fino ad allora accettata quale prassi corrente. Non si sa bene con quali risultati pratici. Roma, Caput mundi, cambierà aspetto: nascerà un Foro imperiale curato da una archistar dell’epoca quale era Apollodoro di Damasco, con un immenso impianto termale pubblico; al centro dell’Urbe la celebre Colonna traiana (sotto la quale furono poste le sue ceneri) eretta ad eterna memoria dopo la sua conquista della Dacia, l’attuale Romania, che si aggiungeva a quella del regno dei Nabatei e della loro capitale Petra. Grandi conquiste militari, riforme nella vita economica e politica, iniziative edilizie a sfondo sociale, atteggiamenti diremmo oggi democratici, naturalmente tenendo conto delle differenze tra l’oggi e la vita di due millenni or sono, dove giustizia ed eguaglianza hanno valenze diverse da quelle odierne. Uomo eccellente, imperatore illuminato, grande condottiero, personaggio dai tratti originali che in qualche modo ha anticipato i tempi: così la tradizione lo ha consegnato ai posteri e così lo vediamo con gli occhi di oggi, dal momento che duemila anni fa non c’eravamo per verificare in prima persona i fatti raccontati.
Per la sua Bisbetica Chiodi ha voluto solo attori maschili, mentre la coreografa Lorena Dozio gioca con l’invisibile L’importante appuntamento con il debutto nella sala del LAC non è stato disatteso dal pubblico che ha pacificamente invaso il teatro fino a occupare balconata e palchetti accogliendo calorosamente la commedia del Bardo su cui Chiodi ha voluto ricamarne, con scelte registiche originali, la prepotente ambiguità di un’indiavolata Caterina, addomesticata e sottomessa da Petruccio, suo sposo e domatore. Una direzione che ha lasciato praticamente intatte le parti più significative del testo scespiriano che è stato rimontato accorpando i cinque atti originali in un’unica tirata di oltre due ore. Una scelta sorretta da una recitazione ritmata e dagli accenti che riecheggiano la grande tradizione del teatro di parola «all’italiana», dove enfasi oratoria e venature manieristiche non lasciavano però spazio a compiacimenti mettendo così in luce le capacità attoriali che, viste in questa prospettiva, erano davvero sorprendenti. Il gioco delle parti, raffinato e divertito, offre i contorni di personaggi ben definiti in un allestimento che ammicca al musical grazie a spassosi intermezzi farciti da garbate sdolcinature alla Perry Como come Caterina, Magic Moment fino al Presley di Love Me Tender tessuti con la complicità canora degli attori, davvero molto bravi, duttili e incisivi. Una menzione speciale la merita senza esitazione il duo protagonista. A co-
minciare da Tindaro Granata per una Caterina tragicamente attuale con Angelo Di Genio per lo spavaldo e crudele Petruccio. Il tutto in uno spettacolo riuscito e godibile dove la comicità conquista sorrisi intelligenti. Dopo le due serate luganesi si prospetta un’articolata tournée italiana con in coda, ce lo auguriamo, un ritorno luganese. Un gioco invisibile fra spazio e tempo
Bella vitalità creativa quella di Lorena Dozio in uscita dalla volatilità di Otolithes ora è entrata con Dazzle in una nuova esplorazione dell’invisibile, del camuffamento. Questo è il significato del verbo inglese che da «abbagliare» fa derivare l’espressione razzle-dazzle per «confondere le idee». Eppure, nonostante il titolo, abbiamo visto lo spettacolo di Lorena al suo debutto al Teatro Foce di Lugano per la rassegna Home. Dazzle è immaginato in quattro quadri. Nel primo ci mostra un corpo «spento», rannicchiato sul palco e che viene ricoperto da un telo scuro dal quale nascono forme, si animano ombre, prendono vita immagini surreali, dalla punta di uno stelo al respiro di una medusa nel cuore della geometrica stilizzazione di una foresta, un’Ade che tutto inghiotte avvolta da un sottofondo elettronico ed esoterico. Nel secondo quadro il corpo si svela verso nuove dimensioni, insegue le linee spezzate della foresta, assume lentissime sembianze, un ralenti che richiama la leggerezza delle ombre. Insolito e provocatorio, il terzo quadro sembra voler abbracciare i cliché dell’invisibilità della morte sulle note di un insistito riff che ricorda l’hendrixiana versione di All Along the Watchtower, canzone apocalittica dylaniana dai tre ripetuti accordi del riff. Sono movimenti su ritmi usciti da una discoteca degli anni Settanta, dove un teschio e un mantello suggeriscono l’icona della morte, della paura ma anche una danza macabra. Quello che consideriamo come ultimo quadro ci riassume tutto con un’unica danza frenetica in cui si susseguono movimenti dolcemente veloci finché il corpo torna a sparire inghiottito dall’invisibile. La coreografia della Dozio, proposta al termine di una residenza tra LuganoInScena e il Teatro Laura Betti di Casalecchio di Reno, convince e affascina grazie anche alla bella prova di Caterina Basso, una sorta di alter-ego della coreografa, perfettamente calata nei contrasti e nelle forme «dazzle». Anche nelle volute più esplicitamente simboliche, il suo corpo volubile e elegante si presta al gioco di un’architettura intelligente nel segno spezzato della sorpresa e nel giusto equilibrio formale.
La Bisbetica domata al maschile. (luganolac.ch)
W an La A An G F r u M R C i L u a t a b a b e t la r a a n ir d a E G ae A n Ka cia ole rie ric o W ud T. e E a P . Y tan ge O ra Ch rl F. G. la e G . ia Ar . L . F as o B lica . S L T h r is G . G G a S a G . . R M a Z . F ia n u c r e d ser . M P i l v . o m t ia io b r r a A n e t s s la e E r ez e r N o . E a n a s n S i a T i e l J . n a o Z im o v i o . F i a i c T . Fr u n a r i k a a Tr W . J . S P. L Len U. P . Ja B M. ran A . L . A anç M R a u . V a n a b u a e s . S Y k u ng o . A . Do dhi ata T. L ine is P. D. N ter min erg ann L. R cien elo is W les m ld n e G R i E e io ic e n s . s Er ini e L. V. D na . P obe na W. Ha P. A V. k R gin e R A . R Jaq io W sin k L S us T. etr r t . ns nn To . U e . L e ue . C n u Al E. . No san an D Dürü a F. o A . Erik K . D abe bias rs S . H oic é Z line Da ber Lori rih na . T m Ma Ca a M av lle G. . M ann W. J . S. vid t M s T ito F. om F. E nu rlo . G id L I. R Pr ar ah os Ni N . S . M Y. Mi K rn el C. io . N en isc co Z et c . a M r j . s T A va i a i V . D t e Ha k B. Alic hra auri ath am Ling t V. . Re les nni cola to R lla B . Le om S. n D e U zi ia G L E n si O s . . a i M nin ian B. . Pa o C s K . S . K rwi zo B a T. . Gi L. Jos Ani T. nik a d g a J o s . M . F t e im n . M V a n J a e t a L. lei B. T. I y G ca ar ab ph G F. R ic ivi F ni Lo B Y v ne J ü ne . l R io ie a n . A u h en . E ne ui . o r s C . M n i l d i n r S s Cy nne S. A g E. M. lara Ma . L ne e B. i B. olph B. V e M en X . W P. r i l D. s l a A n E l K s a t u i g G . S a P a R u j o . S . D a l t Sa l V. Sa ug dy ian . B o Y i L Qu lva sq . S G ep en er n r u . . e t ua a . p i M n J m F a d r o e s s in a G . M C . J e B n o R e t H a n ir oz o r e le C n d y N u r B . B z M . . b B i a u . S M o s Z B . P ia R a i a n . K i c a F R . J r i t a li e n im . C é S . N - U e . F l . G e D o . J a B . e a Z h e L . li a . D u li G . H . o n e li n a li G o r i r o mi n n K N i c . l G A n n F a r i a F M C a G e t h a . B a n me iq . R H M r a . P a a i s . L a o A . . T im a r c n d i d . S a C li e R il a l B . M J . u e M e t o . ia o m a r . Y i J o P tr M u Y W r i a . Y i l i c k . A n r a M ve s o t h y M . R . i r a o l H A g . R e g u e é l G . D o . L. ma T. D ne- . S I. A L. Ma Yan M. . S nes mo l N . T lore V. Aik z Z ie Ka ilv le Ka tej ni La iro G. C . S om s a s r D . a c d M . g tin ar en K Jil o G thri na B san im R. N k R ina P. Ra Adn Nic ra N U. . a G u sh . C R . . V ne . L dr H . em . K G . m a n ola . i R . V a T lem Van ine K . J uz a A Ser an evin Fa on T. s L . X ale . J e es e t h en ia K . S ain ja K b r i L . A la . ng e n n t o a n s s a K ni . t el a N . . R zi o C y n a Y. o L ina na F. F S. . Kr L. Rub la C S. M Xim ach C. rill R. t o F la . I s S . S . r i M a i s N ik e n . J i c e n el F lu E . p v a M A t z r ti a h a R r M h B. ia F bel er nge N. ko K na K H. L F. D na elle G. . Lu in C . S . S e l B Y . . i a B e S L i o r im o E le . L e t B . in a ia n . H y J o n v ia B ng k . O l H . L iny i c a C . D D n G n a o E G l e G c a o a s . T h i e i v e r u ke n g F T. ina m Z. S . H. L .
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Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 27 dicembre 2017 • N. 52
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Idee e acquisti per la settimana
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e ch chino. anstic ta ro su si ig ici Vi w.m egu s e
shopping
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Benaugurante prelibatezza
Attualità La melagrana non è solo un portafortuna per il nuovo anno, ma ha molto altro da offrire
Hit Melagrana extra Grecia, al pezzo Fr. 2.95 dal 27 al 30.12
Ritenuta sin dall’antichità simbolo di fecondità e bellezza, la melagrana è il frutto del melograno, albero della famiglia delle Punicacee. Originario del Medio Oriente, si è diffuso successivamente anche nell’area mediterranea grazie ai Fenici. Uno dei principali produttori a livello mondiale è l’Iran. La melagrana da sempre un forte valore simbolico: viene infatti menzionata già nella Bibbia e, sia nel Medioevo Cristiano, sia nella mitologia greca, questi grani rossi venivano tenuti in
particolare considerazione. La buccia spessa e legnosa della melagrana racchiude circa 400 prelibati semi rossi succosi, dal sapore dolce-acidulo, leggermente frizzanti, da gustare da soli oppure per arricchire insalate, macedonie, müesli, cocktail; spremuti in succhi multifrutta o per decorare dessert, bowl, torte e creme. Come tutti i frutti contenenti molti semi si ritiene che la melagrana porti fortuna e prosperità. Pertanto è particolarmente consumata durante le fe-
stività di fine anno. Al delizioso frutto vengono attribuite molte proprietà benefiche per la nostra salute, tanto che oggigiorno è considerata un superfood. Contiene infatti potassio, ferro, vitamine B e C, acido folico ed è ricca di antiossidanti utili nel combattere i radicali liberi e proteggere le cellule. Inoltre la melagrana è indicata per mantenere sana la circolazione sanguigna, per ridurre le infiammazioni della cute, per il trattamento del mal di gola e nella prevenzione di alcune forme di
tumore. Altri effetti benefici le sono attribuiti in caso di problemi dentali, anemia, disturbi gastrici e diabete. Con sole 65 calorie per 100 grammi, il frutto è adatto anche per regimi alimentari a basso tenore di calorie. Alcune curiosità: lo sciroppo alla granatina è ottenuto dai semi della melagrana spremuti. Manipolate la melagrana con cautela, poiché il succo dei sui chicchi è indelebile e potrebbe rovinare il vostro abito preferito. Un espediente per evitare questo inconveniente è
sgranare la melagrana immersa in una ciotola d’acqua. La melagrana si conserva molto bene anche per diversi mesi a temperatura ambiente. La stagione delle melegrane va da settembre a dicembre. Il nome della città di Granada, in Spagna, corrisponde alla denominazione spagnola della melagrana. Sullo stemma della città è raffigurata una melagrana. In Grecia secondo la tradizione vengono rotte delle melegrane per terra in occasione del Capodanno e durante i matrimoni.
Il modo migliore per celebrare insieme San Silvestro.
conf. da 2
20% Tutto l’assortimento di sottaceti e di antipasti Condy per es. cetrioli alle erbe aromatiche, 270 g, 1.50 invece di 1.90
40%
2.35 invece di 3.95 Carne per grill da tavola Svizzera, per 100 g
20%
13.90 invece di 17.40 Raccard assortito in conf. da 2 2 x 350 g
15%
2.80 invece di 3.30 Fettine di pollo Optigal Svizzera, per 100 g
4.90
Mini hamburger Svizzera, 6 x 30 g
Prezzo del giorno
Patate resistenti alla cottura, bio sacchetto, 1 kg
1.30
Miscela di spezie per carne Gourmet Mix 77 g
Da tutte le offerte sono esclusi gli articoli M-Budget e quelli già ridotti. OFFERTE VALIDE SOLO DAL 27.12.2017 ALL’1.1.2018, FINO A ESAURIMENTO DELLO STOCK
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Idee e acquisti per la settimana
Antipasto raffinato
Attualità Pregiate e deliziose, le ostriche
sono un must per ogni buongustaio. Le trovate ora nelle pescherie e nelle maggiori filiali di Migros Ticino
Azione 30% sulle Ostriche Marennes Oléron nr. 3 Francia, confezione da 12 pezzi con coltello Fr. 13.– invece di 19.– dal 29 al 30.12
Sono uno dei piatti più ricercati per la loro delicatezza, ma sono anche ricche di preziosi sali minerali e oligoelementi quali calcio, fosforo, zinco, selenio e rame. Inoltre sono poverissime di calorie: un etto di ostriche contiene solo sessanta calorie. Anche se i puristi preferiscono mangiarle crude, direttamente dalla conchiglia, al naturale o solamente con uno spruzzo di succo di limone, questi molluschi si prestano anche per essere fritti o gratinati. La quasi totalità delle ostriche disponibili sul mercato proviene da ostricoltura, attività in cui la Francia spicca a livello mondiale con i suoi allevamenti ai bordi dell’Atlantico. A proposito: segnaliamo che sabato 30 dicembre, siete invitati ad una degustazione di ostriche al Centro S. Antonino. I golosoni sono avvertiti.
Ostriche con vinaigrette allo scalogno Ingredienti per 4 persone: 20 ostriche • 1 scalogno • 2 cucchiai d’aceto di mele • 1 cucchiaio di succo di limone • 4 cucchiai d’olio d’oliva • ½ mazzetto d’erba cipollina • sale • pepe Preparazione Tritate finemente scalogno ed erba cipollina e mescolateli con aceto, succo di limone e olio. Condite con sale e pepe. Aprite le ostriche con l’apposito coltello introducendo la punta tra le due valve. Recidete il muscolo che le tiene unite, fate scorrere la lama tutt’attorno e facendo leva sollevate la valva superiore. Distribuite la vinaigrette sul guscio inferiore contenente l’ostrica e servite subito su un letto di ghiaccio.
Insaccati che bontà
Specialità I tradizionali prodotti da cuocere non possono mancare
sulle tavole natalizie
Azione 33%
Illustrazione Flavia Leuenberger Ceppi
Luganighe Ritratto: Le luganighe hanno una consistenza più grossolana rispetto al cotechino, anche se in linea di massima l’impasto è molto simile. Grazie al sapore intenso è uno degli insaccati più apprezzati abbinato a risotto, lenticchie, ragù oppure arrostito o grigliato.
Preparazione: Rispetto al cotechino, i tempi di cottura delle luganighe si riducono a circa mezzora. Anche in questo caso le salsicce non vanno bucate. Scelta: La selezione delle nostre macellerie comprende le luganighe nostrane e quelle a base di carne svizzera, entrambe disponibili a libero servizio.
Cotechino prodotto in Ticino per 100 g Fr. 1.15 invece di 1.75 dal 28 al 30.12
Cotechino
Zampone
Ritratto: Il cotechino è un salume crudo realizzato con un sapiente impasto a base di carne di maiale, pancetta, cotenna (da cui prende il nome), spezie e sale. L’impasto viene in seguito insaccato in un budello naturale. Un cotechino pesa in media 4-500 g. Preparazione: Cuocere il cotechino in acqua calda, ma non bollente, per ca. 1 ora. Bucherellare l’insaccato a fine cottura per non disperdere i saporiti succhi. Scelta: Migros Ticino propone nelle proprie macellerie cotechini da cuocere prodotti in Ticino con carne svizzera oppure anche la variante a base di carne nostrana. Per chi va di fretta esiste pure la versione di vitello precotta, solo da scaldare.
Ritratto: Specialità dal gusto delicato della tradizione emiliana, è composta da un trito di carni di puro suino, cotenna, musetto e spezie varie. L’impasto viene insaccato nel caratteristico involucro ottenuto dalla zampa anteriore del maiale svuotata, ben pulita e raschiata; dopodiché viene cotto nel forno a vapore e pastorizzato. Preparazione: Lo zampone è già precotto, quindi deve solo essere riscaldato in acqua calda per 1 ora lasciandolo nel proprio sacchetto originale. Scelta: Sono ben tre i salumifici regionali che producono lo zampone per Migros Ticino: Sciaroni di Monte Carasso, Salumi del Pin di Mendrisio e Rapelli di Stabio. In aggiunta è ottenibile anche lo zampone già affettato Citterio.
Per iniziare il nuovo anno in tutta salute.
5.50
Arance sanguigne Italia, rete da 2 kg
3.90
Arance Tarocco Italia, al kg
3.90
35%
2.80 invece di 4.40 Arance bionde Spagna, rete da 2 kg
Arance bionde bio Spagna, al kg
4.80
Arance bio Tarocco* Italia, rete da 1 kg
*In vendita nelle maggiori filiali Migros. Migros Ticino Da tutte le offerte sono esclusi gli articoli già ridotti. OFFERTE VALIDE SOLO DAL 27.12.2017 ALL’1.1.2018, FINO A ESAURIMENTO DELLO STOCK
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Idee e acquisti per la settimana
Farm Chips
Aperitivo con stile Le Farm Chips della Migros impreziosiscono ogni buffet di aperitivo. Sono prodotti interamente svizzeri, realizzati alla Bischofszell con patate svizzere e erbe indigene. Risultano particolarmente gustose e croccanti grazie al fatto che sono tagliate un po’ più spesse. Questo classico snack si presta bene anche come contorno per una fondue chinoise o con le grigliate. E poiché le Farm Chips sono disponibili in diverse varietà di gusti, è garantito che ognuno troverà le sue chips preferite.
Azione 20% sull’intero assortimento Farm Chips a partire dall’acquisto di 2 confezioni dal 27.12.2017 al 01.01.2018
Suggerimento di presentazione
Le Farm Chips sono tagliate più spesse delle tradizionali chips, per questo motivo possono essere accompagnate da una fine salsa. Ecco come fare: su ognuna aggiungere una cucchiaiata di formaggio fresco e un po’ di pesto rosso, quindi decorare con prezzemolo tritato e pinoli tostati.
*Nelle maggiori filiali Da tutte le offerte sono esclusi gli articoli M-Budget e quelli già ridotti.
Farm Chips alle erbe svizzere 150 g* Fr. 2.80
Farm Chips Nature 150 g* Fr. 2.70
Farm Chips Origano 150 g* Fr. 2.90
Farm Chips Rosmarino 150 g* Fr. 2.80
M-Industria crea numerosi prodotti Migros, tra cui anche le Farm Chips.
Nel mio negozio c’è solo pesce sostenibile. Hilal A., proprietaria della Migros
La Migros è della gente. Per questo si impegna come nessun altro a favore della sostenibilità . Tutti i pesci e i frutti di mare provengono per esempio da fonti sostenibili. migros.ch/proprietari
Azione 15%
30%
2.80 invece di 3.30
Filetto di salmone con e senza pelle (bio escluso), per es. senza pelle, d’allevamento, Norvegia, per 100 g, 3.25 invece di 4.70
Fettine di pollo Optigal Svizzera, per 100 g
33% Tutti i tipi di caffè in chicchi da 1 kg, UTZ per es. Boncampo Classico, 5.95 invece di 8.90
50%
6.50 invece di 13.– Succo d’arancia M-Classic in conf. da 10, Fairtrade 10 x 1 l
25%
4.40 invece di 5.90 Uva bianca Aledo Spagna, al kg
a partire da 2 pezzi
20%
Tutte le conserve di frutta 820 g, a partire da 2 pezzi, 20% di riduzione
Migros Ticino Da tutte le offerte sono esclusi gli articoli M-Budget e quelli già ridotti. OFFERTE VALIDE SOLO DAL 27.12.2017 ALL’1.1.2018, FINO A ESAURIMENTO DELLO STOCK
30%
13.– invece di 19.– Ostriche Marennes Oléron (n. 3), con coltello per apertura Francia, in conf. da 12 pezzi, dal 29.12 al 30.12
. te r e P . a z z e h c s e fr Incredibile 50%
9.90 invece di 19.80 Salmone dell’Atlantico affumicato ASC in conf. speciale d’allevamento, Norvegia, 300 g
50%
1.80 invece di 3.60 Lonza di maiale M-Classic in conf. speciale Svizzera, per 100 g
conf. da 5
50%
7.10 invece di 14.25 Wienerli M-Classic in conf. da 5 Svizzera, 5 x 4 pezzi, 1 kg
CONSIGLIO
MANGIARE LEGGERO DURANTE LE FESTE
Gli shirataki ai funghi sono un piatto giapponese ideale per chi ama restare in forma: vermicelli low-carb conditi con funghi shiitake, cipollotti e salsa di ostriche e di pesce. Trovate la ricetta su migusto.ch
conf. da 2
20% Snack Anna’s Best Asia in conf. da 2 per es. spring rolls vegetariani, 2 x 210 g, 6.80 invece di 8.60
40%
9.30 invece di 15.50 Prosciutto cotto 1956 Ferrarini Italia, affettato, in conf. da 2 x 120 g / 240 g
50%
33%
1.15 invece di 1.75
9.75 invece di 19.50 Carne macinata di manzo Svizzera/Germania, in conf. da 2 x 500 g / 1 kg
Cotechini prodotti in Ticino, imballati, per 100 g, dal 28.12
conf. da 2
20%
5.95 invece di 7.55 Fettine fesa di vitello fini TerraSuisse imballate, per 100 g
25%
4.20 invece di 5.60 Filetti di agnello Australia / Nuova Zelanda, imballati, per 100 g
Migros Ticino OFFERTE VALIDE SOLO DAL 27.12.2017 ALL’1.1.2018, FINO A ESAURIMENTO DELLO STOCK
20%
6.90 invece di 8.65 Carne secca dei Grigioni affettata in conf. speciale Svizzera, 95 g
30%
4.90 invece di 7.– Petto di tacchino affettato finemente M-Classic in conf. da 2 Francia/Brasile, 2 x 144 g
30%
2.65 invece di 3.85 Salametti di cervo prodotti in Ticino, in conf. da 2 x ca. 90 g / 180 g, per 100 g
30%
1.15 invece di 1.70 Arrosto e spezzatino di maiale TerraSuisse imballato, per 100 g
. te r e P . a z z e h c s e fr Incredibile 50%
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MANGIARE LEGGERO DURANTE LE FESTE
Gli shirataki ai funghi sono un piatto giapponese ideale per chi ama restare in forma: vermicelli low-carb conditi con funghi shiitake, cipollotti e salsa di ostriche e di pesce. Trovate la ricetta su migusto.ch
conf. da 2
20% Snack Anna’s Best Asia in conf. da 2 per es. spring rolls vegetariani, 2 x 210 g, 6.80 invece di 8.60
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9.30 invece di 15.50 Prosciutto cotto 1956 Ferrarini Italia, affettato, in conf. da 2 x 120 g / 240 g
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9.75 invece di 19.50 Carne macinata di manzo Svizzera/Germania, in conf. da 2 x 500 g / 1 kg
Cotechini prodotti in Ticino, imballati, per 100 g, dal 28.12
conf. da 2
20%
5.95 invece di 7.55 Fettine fesa di vitello fini TerraSuisse imballate, per 100 g
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4.20 invece di 5.60 Filetti di agnello Australia / Nuova Zelanda, imballati, per 100 g
Migros Ticino OFFERTE VALIDE SOLO DAL 27.12.2017 ALL’1.1.2018, FINO A ESAURIMENTO DELLO STOCK
20%
6.90 invece di 8.65 Carne secca dei Grigioni affettata in conf. speciale Svizzera, 95 g
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4.90 invece di 7.– Petto di tacchino affettato finemente M-Classic in conf. da 2 Francia/Brasile, 2 x 144 g
30%
2.65 invece di 3.85 Salametti di cervo prodotti in Ticino, in conf. da 2 x ca. 90 g / 180 g, per 100 g
30%
1.15 invece di 1.70 Arrosto e spezzatino di maiale TerraSuisse imballato, per 100 g
35%
2.80 invece di 4.40 Arance bionde Spagna, rete da 2 kg
30%
13.90 invece di 19.90 Minirose Fairtrade, mazzo da 30 disponibili in diversi colori, lunghezza dello stelo 40 cm, per es. arancioni, rosse e gialle
30%
2.70 invece di 3.90 Peperoni bio Spagna, in busta da 400 g
20% Tutta la pasta fresca Garofalo per es. tortellini prosciutto crudo, 250 g, 4.45 invece di 5.60
20%
5.50 invece di 6.90 Zucca a cubetti Ticino, imballata, al kg
Migros Ticino OFFERTE VALIDE SOLO DAL 27.12.2017 ALL’1.1.2018, FINO A ESAURIMENTO DELLO STOCK
20%
2.90 invece di 3.80 Mele Gala dolci Svizzera, al kg
Hit
2.80
Lattuga rossa Anna’s Best 150 g + 20% di contenuto in più, 180 g
40%
1.20 invece di 2.– Carote Svizzera, in busta da 1 kg
Hit
2.95
Melograno Grecia, al pezzo
40%
2.90 invece di 4.90 Clementine a foglia Spagna, al kg
50%
30%
3.60 invece di 7.20
14.45 invece di 21.60
Tomme à la crème Jean-Louis in conf. da 2 x 200 g
20%
1.45 invece di 1.85 Gruyère piccante AOP in conf. da ca. 250 g, in self-service, per 100 g
Taleggio DOP in self-service, al kg
20%
1.95 invece di 2.45 L’Affiné per 100 g
35%
2.80 invece di 4.40 Arance bionde Spagna, rete da 2 kg
30%
13.90 invece di 19.90 Minirose Fairtrade, mazzo da 30 disponibili in diversi colori, lunghezza dello stelo 40 cm, per es. arancioni, rosse e gialle
30%
2.70 invece di 3.90 Peperoni bio Spagna, in busta da 400 g
20% Tutta la pasta fresca Garofalo per es. tortellini prosciutto crudo, 250 g, 4.45 invece di 5.60
20%
5.50 invece di 6.90 Zucca a cubetti Ticino, imballata, al kg
Migros Ticino OFFERTE VALIDE SOLO DAL 27.12.2017 ALL’1.1.2018, FINO A ESAURIMENTO DELLO STOCK
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2.90 invece di 3.80 Mele Gala dolci Svizzera, al kg
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Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 27 dicembre 2017 • N. 52
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Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 27 dicembre 2017 • N. 52
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Idee e acquisti per la settimana
Michael Lang
La soluzione grazie alla formula Power
Handy & Manella
Una faccenda pulita
Il veglione di San Silvestro lascia tracce su pentole e stoviglie, come residui di formaggio, grassi e incrostazioni. Per rimuovere ogni tipo di sporco in pochissimo tempo ci sono ora i nuovi detersivi per rigovernare con il turbo ammollo, così come i consigli di un esperto per lavare con efficacia
Manella Classic 500 ml Fr. 3.10
Testo Melanie Michael; Foto Yves Roth
Cucinare è divertente. È invece meno piacevole rigovernare dopo il pasto. Chi ama rosolare usando grassi o si gusta una fondue di formaggio, sa che poi ciò lascerà delle tracce di sporco ostinato in pentole e stoviglie. Anche le incrostazioni di riso o di pasta sono difficili da eliminare. Per i prodotti Power di Manella e Handy, gli esperti del reparto ricerca e svi-
Consiglio 1: il modo migliore per pulire un tegame unto consiste nel raccogliere il grosso dello sporco con un po’ di carta cucina, meglio se lo si fa quando è ancora caldo. In seguito si lava il tegame con un normale detersivo per stoviglie.
1
Handy 750 ml Fr. 1.80
luppo del Gruppo Mibelle hanno messo a punto una nuova formula con attivatori per l’ammollo, che sciolgono senza problemi grasso, formaggio e incrostazioni. L’enzima contenuto, la proteasi, scompone per esempio le proteine del formaggio e scioglie così le incrostazioni rimaste nel caquelon per la fondue. Tutti i detersivi illustrati sono testati dermatologicamente e ben tollerati dalla pelle.
I consigli di Michael Lang, Responsabile ricerca e sviluppo dei prodotti per la pulizia della casa presso Mibelle Group.
Consiglio 2: le incrostazioni di formaggio nel caquelon per la fondue possono essere facilmente eliminate grazie alle nuove formule Power sviluppate per Manella e Handy. A tale scopo riempire il caquelon con acqua molto calda e aggiungere una dose generosa di Handy CC o Manella, quindi lasciare agire e in seguito risciacquare.
2
I detersivi con turbo ammollo sono l’ideale per rigovernare senza fatica dopo aver festeggiato.
Azione 30% su tutto l’assortimento Manella a partire dall’acquisto di 2 prodotti* dal 26.12.2017 al 01.01.2018
Consiglio 3: i delicati bicchieri da champagne è meglio lavarli a mano con un po’ di detersivo e una spugna morbida. In tal modo si evita la corrosione del vetro e non si rovinano eventuali decorazioni.
3
4
Consiglio 4: le spugne e le spazzole su cui si sono attaccati densi residui di formaggio o pasta possono essere messe in lavastoviglie ed essere lavate durante il successivo ciclo di lavaggio, dopo di che risulteranno perfettamente ripulite.
Consiglio 5: è possibile risparmiare acqua se si evita di risciacquare le stoviglie e se non le si lavano sotto acqua corrente. Per le macchie ostinate meglio un ammollo con poca acqua e un detersivo per piatti molto concentrato, così risulta superfluo strofinare a lungo.
5
Manella Power 500 ml* Fr. 3.10
Handy Power CC 500 ml Fr. 2.40
Handy Power CC al limone con dosatore 500 ml* Fr. 2.80
*Nelle maggiori filiali Da tutte le offerte sono esclusi gli articoli M-Budget e quelli già ridotti.
M-Industria crea numerosi prodotti Migros, tra cui anche i detersivi per rigovernare a mano Handy e Manella.
Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 27 dicembre 2017 • N. 52
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19.12.17 14:39
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