Azione 06 del 6 febbraio 2017

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Cooperativa Migros Ticino

G.A.A. 6592 Sant’Antonino

Settimanale di informazione e cultura Anno LXXX 6 febbraio 2017

Azione 06 M shopp alle pagining e 33-42 / 59-62

Società e Territorio L’Ospedale del giocattolo, un grande atelier dove cresce la solidarietà

Ambiente e Benessere Reportage dai fondali dell’Adriatico: ritrovati i resti di due aerei americani affondati durante la seconda guerra mondiale e il relitto di un piroscafo del ’32

Politica e Economia È Pechino il vero nemico di Donald Trump e nei prossimi mesi il contrasto si evidenzierà

Cultura e Spettacoli Claude Monet ospite d’eccezione per festeggiare il 20esimo anniversario della Beyeler

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Vincenzo Cammarata

Nuovi orizzonti della medicina

di Maria Grazia Buletti pagina 9

Svizzera-Europa, chiarimento in vista di Peter Schiesser Chi si attendeva dal Consiglio federale un controprogetto diretto con i denti, all’iniziativa popolare RASA, che chiarisse una volta per tutte i rapporti con l’Unione europea, è senz’altro deluso. Le due varianti messe in consultazione il 1. febbraio lasciano nel vago la politica europea del governo federale, ciò che induce a pensare che fra i sette ministri manchi il consenso per affrontare di petto la questione, nonostante l’oggettiva urgenza. Diversamente, non avremmo dichiarazioni in ordine sparso di singoli consiglieri federali: come scrive la «NZZ», il ministro degli esteri Didier Burkhalter vorrebbe una votazione dai termini chiari (sì o no alla via bilaterale), coerentemente con quanto andava dicendo dopo la votazione del 9 febbraio 2014 sull’immigrazione di massa; dal canto suo il ministro dell’economia Johannes Schneider-Ammann ha auspicato in un’intervista alla «Aargauer Zeitung» che il parlamento bocci il controprogetto del Consiglio federale («sarebbe una soluzione elegante»). Che cosa prevedono le due varianti di controprogetto all’iniziativa RASA (che chiede la semplice cancellazione dell’articolo costituzio-

nale 121a, introdotto con il voto del 9 febbraio 2014)? La prima, di completare l’articolo con la specificazione che nella gestione autonoma dell’immigrazione vengano tenuti nella giusta considerazione gli accordi internazionali di grande portata per la posizione della Svizzera in Europa, e di stralciare al contempo la disposizione che l’articolo 121a debba essere tradotto in legge entro tre anni (che scadono questa settimana). La seconda variante prevede unicamente lo stralcio della disposizione sui tempi di attuazione. Una formulazione, quella relativa alla prima variante di controprogetto, i cui effetti non aggiungono né tolgono nulla a quanto deciso dalle Camere federali in dicembre, con la preferenza light ai lavoratori residenti rispetto agli immigrati dall’Unione europea. Inoltre, se in votazione popolare venissero bocciate sia l’iniziativa RASA sia il controprogetto del Consiglio federale, non avremmo comunque chiarezza sui rapporti futuri con l’Unione europea. Per contro, ci penseranno presto gli anti-europeisti a sgombrare il campo dalle ambiguità. Non tanto coloro che si preparano a lanciare il referendum contro la legge di applicazione dell’iniziativa popolare del 9 febbraio 2014 decisa dalle Camere federali in dicembre, ma

l’UDC e l’Azione per una Svizzera neutrale e indipendente (ASNI), che a metà anno lanceranno un’iniziativa popolare per abrogare la libera circolazione delle persone. A quel punto i cittadini svizzeri dovranno prendere una posizione netta, con la consapevolezza che un rifiuto della libera circolazione equivarrebbe a disdire gli accordi bilaterali in vigore con l’Unione europea, perlomeno quelli contenuti nel primo pacchetto negoziato alla fine degli anni Novanta. Un chiarimento necessario, poiché durante la campagna per il voto del 9 febbraio gli anti-europeisti avevano fatto credere che un sì ad un controllo autonomo dell’immigrazione non avrebbe messo in pericolo gli accordi bilaterali – un’ambiguità che ha permesso alle Camere federali di considerare più importante il rispetto degli accordi internazionali con Bruxelles (anch’essi iscritti nella Costituzione) varando una legge che non contravviene alla libera circolazione. A questo punto, non sarebbe auspicabile che venisse ritirata l’iniziativa popolare RASA (con poche probabilità di successo), ciò che renderebbe superfluo anche il controprogetto del Consiglio federale? La votazione sembra inutile, conta invece quella che l’UDC e l’ASNI si accingono a lanciare.


Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 6 febbraio 2017 • N. 06

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Attualità Migros

M Migros in testa alla classifica nel benessere degli animali Sostenibilità L a nostra azienda rientra nel gruppo dei migliori del cosiddetto Business

Benchmark on Farm Animal Welfare (BBFAW)

Investimento di oltre mezzo milione Ecologia I nuovi

frigo «a vasca» nelle filiali di Migros Ticino consentono cospicui risparmi energetici

Migros Ticino, fedele e coerente alla sua politica di massima efficienza energetica, ha sostituito 165 vasche frigo nei suoi supermercati. Investimento? Oltre 500mila franchi. I nuovi apparecchi, ecologici e moderni, con sistema di refrigerazione che gira su gas naturale propano, sono dotati di sportelli scorrevoli e illuminazione a LED. Ogni nuova vasca consumerà il 63 per cento in meno rispetto alla versione precedente. In totale, grazie all’introduzione di questi nuovi frigoriferi, verrà risparmiato ogni anno l’equivalente del fabbisogno di energia elettrica di ben 165 famiglie. Questi i risultati quando si lavora per una quotidianità sostenibile e per un futuro migliore!

Da decenni Migros si impegna a favore di standard particolarmente elevati nel settore del benessere degli animali. La maggior parte della carne svizzera venduta nelle sue filiali, ad esempio, reca i marchi TerraSuisse e Migros Bio, sigilli che garantiscono il rispetto di requisiti particolarmente severi. Inoltre, già oggi, la totalità della carne fresca di pollo, tacchino e coniglio importata dall’estero viene prodotta secondo gli elevati standard

svizzeri in materia di protezione degli animali. Quest’anno Migros è stata inserita per la prima volta nel gruppo dei migliori («leadership») del BBFAW (cioè «benchmark globale sul benessere degli animali d’allevamento»), realizzato dalle organizzazioni internazionali di protezione degli animali Compassion in World Farming e The World Society for the Protection of Animals (WSPA). Il benchmark

Il nuovo «Quiz Hotelplan»

Un anniversario da festeggiare con nuove proposte e un concorso

Giochi Rispondi

a semplici domande sulla storia di Migros e vinci buoni viaggio da 100 franchi Da questa settimana il sito www.azione.ch alla pagina «Concorsi» ospita un nuovo gioco: con il «Quiz Hotelplan» i nostri lettori possono vincere buoni da 100 franchi messi in palio dall’agenzia di viaggio di Migros. Per partecipare, occorre rispondere alla «Domanda della settimana», un semplice quiz pubblicato online. La risposta va inviata con un’email all’indirizzo giochi@azione.ch. Oltre alla risposta esatta il concorrente dovrà inviare il proprio nome, cognome e indirizzo. L’email deve pervenire entro le 24.00 del mercoledì seguente alla pubblicazione del quiz, il quale sarà online di regola il lunedì mattina. Le domande a cui rispondere saranno legate alla storia di Migros, di Hotelplan o ad altri temi legati all’attività delle due aziende. Buona fortuna!

Azione

Settimanale edito da Migros Ticino Fondato nel 1938 Redazione Peter Schiesser (redattore responsabile), Barbara Manzoni, Manuela Mazzi, Monica Puffi Poma, Simona Sala, Alessandro Zanoli, Ivan Leoni

ha analizzato 99 imprese leader del settore alimentare, sulla base di criteri quali impegno del management, leadership, innovazione e informazioni rese pubbliche. Migros è stata elogiata per le sue chiare direttive in materia di benessere degli animali, applicate in ogni fase della catena del valore aggiunto. In particolare la giuria ha sottolineato l’impegno di Migros nel garantire che anche i prodotti animali prove-

nienti dall’estero rispettino i requisiti della legislazione svizzera in materia di protezione degli animali, promessa espressa nell’ambito del programma Generazione-M. «La nostra classifica rende onore al ruolo leader di Migros in materia di benessere degli animali e la sua determinazione ad applicare standard elevati in questo settore, indipendentemente dal genere e dal paese di produzione», afferma Nicky Amos, Executive Director del BBFAW.

Un intervento dai concreti effetti sulla tutela dell’ambiente.

Programma 2017 Pubblicato il calendario «febbraio/settembre 2017»

dell’organizzazione femminile che intende diffondere i valori di Migros cognome e i vostri numero di telefono (fisso e cellulare). Tra tutte le email che perverranno entro il 15.02.2017 verranno estratti a sorte due buoni

viaggio offerti dalle filiali Hotelplan Ticino, del valore di CHF 100.– cadauno, e due carte per acquisti Migros Ticino del valore di CHF 50.– cadauna.

Le vincitrici dei concorsi settimanali verranno informate per email e riceveranno i buoni/le carte Migros per posta.

Assemblea Generale Forum elle Ticino.

Gio. 1 giugno 2017, giornata intera

Musical Milano «THE BODYGUARD». In collaborazione con Dreams Travel Biasca.

Gio. 7 settembre 2017, fine pomeriggio/sera

Gli appuntamenti Forum elle festeggia nel 2017 il 60mo dalla sua fondazione. Il suo Comitato ha ritenuto quindi, per celebrare degnamente l’anniversario, di allestire un programma particolarmente ricco. Tutte le informazioni relative all’impegno e agli scopi dell’associazione sono pubblicate sul sito web www.forum-elle.ch: qui si trova uno spazio dedicato alla sezione Ticino, che riporta tra l’altro tutti i contatti delle responsabili. Altra iniziativa speciale: è stato indetto un concorso per tutte le socie. Vincere è semplice, basta inviare un’email all’indirizzo simona.guenzani@ forum-elle.ch con il vostro nome e Sede Via Pretorio 11 CH-6900 Lugano (TI) Tel 091 922 77 40 fax 091 923 18 89 info@azione.ch www.azione.ch La corrispondenza va indirizzata impersonalmente a «Azione» CP 6315, CH-6901 Lugano oppure alle singole redazioni

Me. 15 febbraio 2017, ore 16.00

Hotel Milano, Mendrisio. Presentazione del libro Misteriosi delitti a Maloja e incontro con l’autrice Francesca Vivian Salatino. Ve. 24 febbraio 2017, pomeriggio

Visita alla Chocolat Stella di Giubiasco. Sa. 11 marzo 2017, giornata intera

Mostra Claude Monet – Fondation Beyeler – Basilea. In collaborazione con Dreams Travel Biasca. Gio. 23 marzo 2017, ore 16.30

Sede Croce Rossa Lugano – Via alla Campagna 9. Editore e amministrazione Cooperativa Migros Ticino CP, 6592 S. Antonino Telefono 091 850 81 11 Stampa Centro Stampa Ticino SA Via Industria 6933 Muzzano Telefono 091 960 31 31

Do. 2 aprile 2017

Gio. 20 aprile 2017, ore 18.00

Scuola Club Migros Lugano Conferenza di Yvonne Pesenti Salazar «Novecento: il secolo delle donne». Gio. 11 maggio 2017, pomeriggio

Visita alla Casa Avanzini di Curio – Malcantone. Tiratura 101’614 copie Inserzioni: Migros Ticino Reparto pubblicità CH-6592 S. Antonino Tel 091 850 82 91 fax 091 850 84 00 pubblicita@migrosticino.ch

Monte Generoso: la nuova struttura turistica dell’Arch. Mario Botta.

In battello al Museo delle dogane Svizzero e cena al Grotto Descanso alle cantine di Gandria. Tutti gli incontri ed eventi sono aperti ad amiche/amici o simpatizzanti. Per alcuni incontri è prevista una quota di iscrizione di 10.–. Le trasferte in torpedone sono a pagamento: costi per ogni appuntamento sono indicati sul sito web www.forum-elle.ch. Abbonamenti e cambio indirizzi Telefono 091 850 82 31 dalle 9.00 alle 11.00 e dalle 14.00 alle 16.00 dal lunedì al venerdì fax 091 850 83 75 registro.soci@migrosticino.ch Costi di abbonamento annuo Svizzera: Fr. 48.– Estero: a partire da Fr. 70.–


Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 6 febbraio 2017 • N. 06

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Società e Territorio Riuso e solidarietà A dieci anni dalla morte dell’Abbé Pierre visitiamo il centro Emmaüs di Rivera

Diamo tempo al tempo La Società ticinese di scienze naturali e L’ideatorio presentano un ciclo di conferenze all’Usi per esplorare il significato del tempo pagina 5

I Corsi G+S In Ticino continuano ad avere molto successo, solo nel 2015 sono stati formati 900 nuovi monitori: intervista a Marco Bignasca a capo dell’Ufficio dello Sport pagina 6

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Giochiamo ancora?

Riuso e socialità 1 L’Ospedale del giocattolo

è un grande atelier dove si riparano i giochi rotti e nel contempo si sostiene la lotta contro disoccupazione e povertà

Sara Rossi Guidicelli Natale non è passato da un pezzo: abbiamo forse riletto qualche libro in cui sono raffigurati gli aiutanti di Babbo Natale, tutti intenti a cucire pupazzi, incollare pezzi di trenini, saldare le parti di un giocattolo nuovo. Ecco, all’Ospedale del giocattolo è tutto uguale, tranne che, anche se non sembra, i giochi sono tutti già stati usati. Nato nel 1995 come progetto di Roberto Rodriquez con il sindacato Ocst, l’Ospedale del giocattolo è uno spazio di solidarietà in cui lavorano disoccupati e professionisti. C’è il reparto sartoria, falegnameria, elettronica, officina, il magazzino, la lavanderia e il negozio. Ci sono clienti con una tessera speciale per fare gli acquisti e ci sono le scuole, gli asili, le associazioni che vengono a prendere materiale per le proprie sedi e attività. Altri giocattoli riparati vengono spediti ad associazioni ticinesi o svizzere che fanno beneficenza all’estero. C’è il Dottor Tasca, di cui riferiremo più tardi, che ha le vasche e stimola la fantasia. Entriamo, un giorno di nebbia in gennaio e i colori di questo particolare ospedale, in via Vignola 5 a Lugano, ci abbagliano. Appena entrati, si giunge subito alla parte di negozio, che come ci spiega Sandro Diana, il responsabile, è in pratica un luogo in cui si regalano i giochi a chi è nel bisogno. Ci sono giocattoli in legno, in plastica, in stoffa, giochi di società e giochi elettronici; ci sono sdraiette e girelli per neonati; libri e vestiti di carnevale. C’è anche un prezzo, per i clienti «normali». Tutta questa cuccagna colorata è arrivata qui però in un altro stato: già usata, spesso rotta, talvolta incompleta. Nel negozio sembra perfettamente nuova; com’è possibile? Sandro ci accompagna nell’ospedale vero e proprio, diviso in reparti. Lì, vengono smistati i pazienti, a seconda della loro malattia. «Mi sento tornare bambino», racconta Carlo, un signore imponente dalle mani grandi, che sta ripitturando un pezzo di legno con la vernice esente da sostanze tossiche. «Solo che da piccolo li spaccavo, mentre adesso cerco di rimetterli insieme!». Lui è falegname di professione, lavora per l’associazione Gruppo di Solidarietà, parte dell’Ocst, che gestisce questi atelier. Conduce il laboratorio, pardon, il reparto di falegnameria, in cui lavo-

rano altre cinque persone. Tranne che per gli operatori, si tratta di programmi occupazionali, una quarantina in totale. Oltre ad aiutare a riparare giocattoli, i partecipanti di tali programmi si dedicano durante il giorno anche alla ricerca di lavoro, per cui nell’ospedale c’è un servizio di accompagnamento alle ricerche di un impiego. Ci dirigiamo verso il reparto di grafica, dove arrivano soprattutto puzzle e giochi di società: anche qui c’è chi accoglie queste scatole usate, le apre e controlla che ci siano ancora tutti i pezzi. Ma sappiamo quanto è facile perdere una tessera, una pedina, il libretto delle istruzioni. Allora gli aiutanti di un Babbo Natale che ricicla devono essere in grado di ricostruire ciò che manca. Hanno programmi e stampanti apposta per far tornare tutto come prima. Particolarmente fremente negli ultimi anni, ci dicono, è il reparto di elettronica: qui arrivano sempre più giochi e le competenze sono molto specialistiche. Riparare una macchinina telecomandata o un computerino per ragazzi richiede savoir faire informatico e meccanico insieme, oltre a una grandissima precisione. Anche il reparto sartoria è molto attivo: «non prendiamo più peluches, ne abbiamo troppi!», ci dice Sandro Diana, prima di portarci giù, nei magazzini. Passiamo ancora dall’officina, dove si ripara tutto ciò che non è di stoffa né di legno e non ha componenti elettroniche. Qui vengono anche smontati i giochi che non possono essere riparati. Tutte le componenti vanno a finire negli altri reparti, nel caso servissero un giorno a completare un gioco che ha bisogno proprio di loro... oppure finiscono nelle vasche del Dottor Tasca. Nelle settimane che seguono Natale, i magazzini sono intasati. Genitori che cercano di sbarazzarsi di giochi in eccesso; bambini stessi che non ne possono più di ricevere oggetti identici ogni anno; famiglie che svuotano una stanza di giochi vecchi per riempirla con i regali nuovi. Tutti hanno troppo di tutto, cioè non tutti, molti. Perché tanti altri bambini, si sa, costruiscono una palla con vecchi stracci e con quella giocano, oggi, domani e dopodomani e le danno pure un nome. Allora nel magazzino dell’Ospedale del giocattolo stanno non solo le scatole

Negli ultimi anni il reparto elettronica dell’Ospedale del giocattolo è tra i più sollecitati. (Stefano Spinelli)

da controllare o i pupazzi da riparare, ma anche tutti i giocattoli già pronti e rinnovati per essere spediti all’estero, a quei bambini lì, che hanno altri problemi che la camera piena di giochi. Tra l’altro, se qualcuno volesse riparare senza buttare né regalare un suo giocattolo, o qualsiasi altro oggetto a cui tiene, ci sono le giornate «caffè riparazione». «Le organizziamo una volta ogni due mesi, in genere di martedì, in collaborazione con l’Associazione Consumatori della Svizzera italiana», ci illustra Sandro. Anche le scuole, elementari e medie, possono iscriversi a giornate in cui si impara a riparare, lavorando insieme ai partecipanti nei reparti dell’Ospedale. Percorso il lunghissimo corridoio di scatoloni, ben divisi con le etichette, risaliamo al pianterreno, passando prima però davanti al reparto lavanderia, per i vestiti e le stoffe. Finalmente andiamo a conoscere il Dottor Tasca,

che sta festeggiando il compleanno di una bambina di 12 anni insieme a una decina di sue amiche. Il Dottor Tasca ha un viso aperto e sorridente, e possiede delle vasche speciali. Dentro questi grossi contenitori tiene di tutto, però meticolosamente diviso per generi: c’è la vasca dei bottoni, la vasca dei pezzetti di legno, la vasca delle perline, la vasca delle pietruzze, la vasca dei pezzetti di ferro... E poi la vasca degli oggetti grandi, quella dei fili, delle cose d’oro. Il Dottor Tasca, che in realtà è una dottoressa, va nelle scuole, a casa delle persone oppure la si trova qui in ospedale se la vengono a trovare: dice che «all’inizio i bambini restano interdetti. “Come, possiamo fare quello che vogliamo?”, chiedono. E io ripeto “Qui c’è la colla, qui c’è la pittura, qui c’è la carta. Prendete un sottomano e pescate quello che vi piace dalle vasche. Potete fare quello che volete”. Dopo un po’ cominciano. Uno prende

un coccodrillo e comincia ad addobbarlo con le paillettes, l’altro costruisce un circo, un altro ancora zitto zitto attacca oggetti belli, piccoli e colorati su un cartone e ne esce un’opera d’arte». E infatti vedo quelle bambine tutte intente a costruire creature fantastiche con scarti di ogni genere. Da quest’anno, mi racconta il Dottor Tasca, parte un progetto, che arriverà in tutte le scuole del Cantone che lo vorranno: una mostra itinerante e interattiva promossa dall’Ospedale del giocattolo, sul riciclo, il gioco ecologico, il gioco digitale e quello tradizionale, con atelier simili a quelli descritti prima. Finita la visita in via Vignola, penso che non butterò via mai più niente. Mi terrò in casa delle vaschette per i pomeriggi di pioggia. E semmai avrò bisogno di una mano, so dove trovare il Dottor Tasca e la sua banda di creatori. Creatori di seconda mano.


Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 6 febbraio 2017 • N. 06

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Società e Territorio

Al fianco degli esclusi

Riuso e socialità 2 L a comunità Emmaüs di Rivera recupera oggetti e dà speranza a persone in difficoltà altre spese correnti. Prima di passare nelle mani di un nuovo proprietario, il Mobilio, elettrodomestici, vestiti, sto- materiale raccolto, se necessario, vieviglie, libri e tutto ciò che è di troppo e ne riparato, pulito e revisionato dagli che può servire ancora ad altri. Questa addetti di Rivera. Gli scarti e gli inin sintesi la gamma degli oggetti re- gombranti vengono invece smaltiti nel cuperati e gestiti dalla comunità Em- modo corretto, separando dove possimaüs di Rivera, poi in parte rivenduti bile i vari materiali come legno, carta, nel negozio, quindi riciclati e salvati cartone, vetro, ferraglia o metalli. dall’eliminazione. A occuparsene è un «Sì, il nostro è un lavoro anche a fagruppo che, oltre a valorizzare e riuti- vore dell’ambiente, ma non ci sostituializzare preziose risorse, ha il suo obiet- mo ai centri di smaltimento dei rifiuti» tivo primario nell’accoglienza di per- commenta René Leu, responsabile Cosone escluse o emarginate dalla società. munità Emmaüs Ticino: loro sono in Intento che persegue offrendo in primis cerca di oggetti buoni. Vengono infatti un luogo di vita. ritirati solo quelli ancora utilizzabili. Attualmente sono una quindici- Tuttavia alcuni potrebbero non trovare na le persone ospitate nella sede di via acquirenti, per cui pur venendo comunCantonale a Rivera e che partecipano que raccolti seguono la strada dell’eal processo di recupero e rivendita di liminazione. «Esatto, e in questi casi oggetti non più utilizzati dai proprieta- chiediamo una partecipazione ai costi, ri. Il ritiro della merce avviene proprio in modo da poter supportare le spese di grazie ai «comunitari» (le persone che smaltimento che ricadono su di noi». vivono presso Emmaüs) i quali assieUn servizio per l’ambiente, ma con me ai responsabili circolano con i loro uno sguardo attento anche all’ambito camion dal lunedì al venerdì su tutto sociale dal momento che «le persone il territorio ticinese. È anche possi- che vivono nella nostra piccola comubile portare la merce direttamente in nità non beneficiano di uno stipendio, sede, ma spesso mobili e altro mobilio ma hanno un luogo di vita, una gioringombrante per praticità vengono ri- nata strutturata con delle regole e delle tirati a domicilio. Peraltro, gli oggetti mansioni definite, dove tutti contribudevono essere ancora in buono stato e iscono alle attività svolte. Dal recupero, riutilizzabili così da permettere loro di alla riparazione e alla vendita, senza trovare una seconda vita. dimenticare i compiti di casa, come la La comunità si finanzia proprio preparazione dei pasti o le pulizie docon la vendita del materiale recupera- mestiche». to. Da esso ricavano i fondi necessari ai L’edificio alle spalle del negozio di bisogni quotidiani dei membri della co- Rivera ospita i «comunitari» dal 2005, munità, ma anche per il mantenimen- traslocati nella nuova sede dopo quato Anz degliI stabili e per far fronte a tutte le si vent’anni di presenza in Ticino. Ma SportXX SALE I kw 06 I Azione I Italienisch I Zeitung I 289 x 220 mm Elia Stampanoni

In Svizzera la prima comunità Emmaüs fu fondata a Ginevra nel 1957. (Stampanoni)

chi sono? «Persone sole o a volte anche famiglie, con un passato e un presente difficile. Gente che ha perso tutto e vuole ritrovare serenità. Alcuni rimangono qualche mese, altri anche due o tre anni, finché non riescono a reinserirsi nella società e ridare un senso alla propria vita anche al di fuori della comunità», conclude René Leu. Il movimento Emmaüs ha infatti le sue radici nel secondo dopoguerra, quando la crisi mise in condizioni di precarietà diverse persone. Fu allora che si organizzarono i primi centri per accogliere le numerose famiglie senza alloggio e senza possibilità di guadagno. Lo slancio decisivo per la nascita del movimento venne dall’abate Pierre che, nel febbraio del 1954, di fronte I DU: 30.01.2017 I Erscheinung: kw06

all’immobilismo dell’autorità, lanciò il suo primo appello. A partire da quella data egli s’impegnò per la lotta contro la miseria, portando la testimonianza della sua esperienza con Emmaüs. In Svizzera fu la grande ondata di freddo del febbraio 1956 (che causò sofferenza a molte famiglie e persone socialmente isolate) a dare l’impulso decisivo alla nascita della prima comunità d’Emmaüs; correva l’anno 1957 e fu fondata a Ginevra. Per combattere la miseria e per risvegliare la coscienza all’aiuto reciproco se ne aggiunsero altre, compresa quella ticinese negli anni Ottanta. Nel 1971 fu creata Emmaüs Internazionale che oggi conta 350 associazioni distribuite in 37 Paesi membri, tra

Africa, Americhe, Asia ed Europa. Tutte s’adoperano per creare delle attività economiche a favore del reinserimento delle persone escluse, in modo che le stesse possano accedere ai diritti fondamentali di ognuno. Sin dalla sua creazione, Emmaüs vuole dimostrare che le azioni collettive sono alternative credibili alle situazioni d’ingiustizia. Celebre una frase dell’Abbé Pierre del 1949 rivolta a un vecchio carcerato che aveva appena tentato di suicidarsi: «Non posso darti niente. Ma tu che non hai niente, al posto di morire, vieni ad aiutarmi ad aiutare». Parole che divennero tra i fondamenti del movimento. Henri Grouès, detto l’Abbé Pierre, nacque il 5 agosto 1912 e nel 1947 comprò una casa a Neuilly-Plaisance per farvi un ostello per la gioventù. Decise di battezzare questa casa Emmaüs, in riferimento a quel villaggio della Palestina dove due compagni di Cristo ritrovarono la speranza. Per portare assistenza al primo gruppo di comunitari, avviò l’attività del recupero di merce usata e altri materiali. Oggi, a dieci anni esatti dalla morte dell’Abbé Pierre, il movimento Emmaüs resta fedele al suo fondatore impegnandosi nella lotta alle cause della miseria e nell’azione quotidiana al fianco degli esclusi della società. Benché l’abate fosse un religioso, le comunità non hanno alcun carattere confessionale e tutti vengono accolti senza distinzioni di razza o religione. Informazioni

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Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 6 febbraio 2017 • N. 06

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Società e Territorio

Tempi tecnologici e società Conferenze All’Università della Svizzera italiana si esplora il significato del tempo Loris Fedele Se avete tempo parliamo di tempo. Non l’hanno detto così, ma sembra questo lo spirito che ha animato e animerà una iniziativa della Società ticinese di scienze naturali in collaborazione con L’ideatorio. Si tratta di un ciclo di conferenze tenuto presso l’Università della svizzera italiana sotto il titolo di Il tempo. Parlare del tempo, non di quello meteorologico, è forse facile, ma capire veramente cosa sia e darne una definizione univoca è difficilissimo. Filosofi, poeti, scienziati l’hanno studiato e propongono le loro risposte. Il ciclo di conferenze cerca di vederlo con gli occhi dei biologi, degli astronomi, dei paleontologi e di chi si occupa di tecnologie. «Diamo tempo al tempo» non vuol dire comandarlo e concedergli qualcosa, ma piuttosto di lasciare che il tempo scorra per vedere cosa succederà. In effetti il tempo riusciamo a coglierlo solo in termini di evoluzione e cambiamento, anche se avvertiamo che deve esserci dell’altro. Il primo incontro nel ciclo di conferenze è stato dedicato alla tecnologia e alla comunicazione: «Come cambia il tempo nel mondo tecnologico», tema presentato dal giornalista Paolo Attivissimo e dal professor Lorenzo Cantoni. Parlare di tempo sembra per lo più un argomento filosofico ma, di fatto, è parlare della nostra società e di come evolve. Non c’è più il tempo di una volta, possiamo dirlo. Ci sembrava di avere più tempo, ci sembrava che i nostri giorni fossero più lunghi, con più spazi da riempire. Poi è arrivata la tecnologia, che in un certo senso ci ha spiazzato. Abbiamo computer, telefonini, tablet, orologi che scandiscono la giornata e

le nostre azioni, ma la dimensione vera del tempo ci sfugge completamente. Con tutte le macchine che abbiamo in giro e che utilizziamo non abbiamo mai tempo. La tecnologia ci ha tradito? O forse siamo noi che ci siamo illusi di comandare il tempo con le nostre macchine? Facile per noi muoversi nello spazio, avanti e indietro, ma il tempo è un’altra cosa: ogni minuto che passa è un tempo che non torna. Allora dobbiamo trovarci una tecnologia che ce lo faccia risparmiare. La tecnologia, per esempio, ci ha dato gli elettrodomestici, come la lavatrice: meravigliosa soluzione! Ci fa risparmiare molta fatica e ben venga. Ma in termini di tempo? Sì, anche quello, però ci invoglia anche a fare più macchine, a lavare di più. Allora il tempo guadagnato si allunga: laviamo di più, stiriamo di più e alla fine abbiamo meno tempo. La colpa non è della tecnologia, è colpa nostra. È colpa dell’uso che ne facciamo. La tecnologia modifica la nostra vita e controlla la società. L’arrivo del computer, di internet e degli smartphone ha cambiato il modo di vivere nei paesi industrializzati, e non solo. Il nostro tempo viene anche stabilito dall’attenzione che oggi regaliamo ai social network. Quel tempo che noi pensavamo di guadagnare con la tecnologia lo stiamo spendendo per alimentarla. Quando usiamo queste nuove tecnologie in pratica lavoriamo anche per qualcun altro, e non ce ne accorgiamo. Siamo noi che diamo i contenuti, con i nostri messaggi, con la condivisione delle nostre fotografie, intorno ai quali il social network inserisce delle pubblicità sulle quali guadagna. Un dato ufficiale indica che ogni mese Facebook guadagna, in pratica sul no-

Siamo sicuri che le nuove tecnologie ci facciano risparmiare tempo? (Keystone)

stro lavoro, un miliardo di dollari. Nel mondo il consumo di tempo su internet per persona, tra i 16 e 24 anni, è di 168 minuti al giorno. Un dato Swisscom indica che negli ultimi 2 anni le connessioni da noi sono aumentate del 25%, con circa 2,5 ore passate giornalmente sul telefonino o su un tablet. Forse non è nemmeno giusto dire che passiamo tot minuti al giorno su internet: se abbiamo acceso in tasca un telefonino con diverse funzioni, che ci collegano agli amici, ai parenti e al mondo, siamo connessi sempre. Nel momento in cui riceviamo un messaggio entriamo nel meccanismo dell’impiego del nostro tempo. È molto utile poter comunicare con qualcuno in maniera asimmetrica, a prescindere persino dal luogo in cui si trova: poter

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Videogiochi W atch Dogs 2 mette in scena la lotta per una società

libera in cui la privacy dei cittadini sia garantita

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Davide Canavesi

Data d’inizio – Da convenire. Ubisoft

Le nuove tecnologie digitali hanno avvicinato le persone come prima mai nella storia dell’umanità. Nelle nostre tasche teniamo degli smartphone, oggetti di straordinaria potenza, migliaia di volte più performanti dei computer che hanno portato per la prima volta l’uomo sulla Luna. Lo smartphone è un dispositivo per molti irrinunciabile, una vera e propria estensione della propria persona. Nella società dell’informazione, uno smartphone, però, è anche una vera e propria miniera d’oro: preferenze, gusti, comportamenti, dati medici, dati bancari. Tutto, crediamo, racchiuso in una scocca di plastica, vetro e metallo. La realtà è ben diversa: le grandi aziende informatiche raccolgono questi dati, li categorizzano e li utilizzano per bombardarci di pubblicità. O peggio. Questa, in sostanza, la premessa di Watch Dogs 2, nuovo gioco d’azione di Ubisoft per PC, PlayStation 4 e Xbox One, in cui i giganti dell’IT sfruttano i dati per influenzare la società in ogni sua componente. In Watch Dogs 2 impersoniamo Marcus «Retr0» Holloway, un giovane hacker con qualche conto in sospeso con la giustizia. Il ragazzo, assieme al collettivo hacker DedSec, lotta per una società più libera, in cui la privacy dei cittadini non sia messa in vendita al miglior offerente. Nella San Francisco di Watch Dogs 2, tutto viene gestito da un sistema informatico chiamato CtOS, una sorta di grande fratello digitale che tutto vede e tutto conosce. I tentacoli del CtOS sono talmente lunghi da poter controllare ogni cosa: cellulari,

lasciare un messaggio che prima o poi verrà letto e al quale il destinatario risponderà, gestendo asimmetricamente il suo tempo e il nostro. Qui si inserisce un altro fenomeno perché, quando si scrive sul telefonino o altro supporto, il tempo che ci si mette è decisamente superiore a quello di una conversazione verbale diretta, simmetrica. Per quanto siate veloci nel digitare, in un minuto direte molte meno parole di una normale comunicazione verbale. Quindi paradossalmente questa tecnologia ci rallenta. L’utilità non si discute, ma in termini di tempo si perde, e anche in valore e qualità dell’informazione. Questo modo di comunicare ci impone di essere brevi, scarni e concisi. Per esprimere un’idea si usano sempre meno parole e sempre quelle. L’essere

più elementari porta anche a perdere contenuti. Se poi guardiamo alla miriade di prodotti preconfezionati che la rete ci propone si riscontra una tendenza pericolosa: prendiamo quel che c’è e per mancanza di tempo siamo propensi a delegare ad altri l’approfondimento delle informazioni. Nasce una deresponsabilizzazione pericolosa. Un altro pericolo sta nel credere che tutte le informazioni che troviamo sulla rete siano vere. È difficile distinguere la differenza qualitativa delle fonti: le immagini sono tutte uguali, la grafica è simile, il sito più attendibile è messo in rete sullo stesso piano del messaggio di un qualsiasi creatore di «bufale». È ciò che ci porta alle «fake news», le post-verità false, di cui si è molto parlato verso la fine della campagna elettorale americana. Se poi la notizia non porta la data, è difficile capire se è fresca o passata. Si assiste al fenomeno del cosiddetto «presente eterno». Tutto è come se fosse successo adesso e si perde la prospettiva temporale. Facciamo fatica a gestire il tempo ma il tempo è nostro, come nostra è la tecnologia, inventata da noi per rispondere a un bisogno. È solo quando deleghiamo passivamente alla tecnologia la gestione del nostro tempo che rischiamo di farci male. Cerchiamo quindi di vivere il tempo della tecnologia godendone i vantaggi, ma non perdiamo la nostra umanità. I prossimi appuntamenti del ciclo sono: lunedì 13 febbraio, Il tempo nelle cellule. Perchè la vita non è eterna? Con Andrea Alimonti; lunedì 6 marzo, Il tempo dell’umanità. Da dove veniamo? Con Telmo Pievani. Il programma completo si trova su www.ideatorio.usi. ch/eventi

profili social, semafori, sistemi di sicurezza e molto altro. Marcus e il DedSec sono degli idealisti pronti a sporcarsi le mani per fermare l’azienda produttrice del CtOS. La nostra avventura inizia cancellando il profilo di Marcus dal sistema, in modo che possa agire liberamente in città. Da questo momento si trasforma in una sorta di fantasma digitale, inesistente nella rete cittadina. In poche ore di gioco la trama si complica, mano a mano che Marcus e compagni scoprono i loschi piani delle corporation. Grazie alla manipolazione dei social media e dei mezzi di informazione, i creatori del CtOS gestiscono il crimine organizzato, manipolano le opinioni della massa, creano e distruggono imperi finanziari. Il nostro compito è fermare i loro piani. Watch Dogs 2 è un gioco «open world» che offre al giocatore una città intera da esplorare liberamente. La San Francisco di questo gioco è grandissima e offre parecchie opportunità di divertimento: corse in go-kart, gite in barca, ricerca ed esplorazione e, ovviamente, missioni da portare a termine. Marcus ha a disposizione un nutrito armamentario di gadget tecnologici, tra cui droni e robot telecomandati, oltre

che armi offensive. Ma il vero superpotere del protagonista è il suo cellulare. Con la semplice pressione di un tasto possiamo effettuare hacking remoti di veicoli, centraline elettriche, altri smartphone, automobili e via dicendo. L’esperienza di gioco è assai diversificata e molto soddisfacente, specialmente una volta che saremo capaci di sfruttare le varie combinazioni di mosse possibili. Al netto di una storia un po’ fiacca, le varie missioni di Watch Dogs 2 sono molto divertenti, specialmente perché alcune sono palesemente ispirate a fatti realmente accaduti negli ultimi anni. Ciò che viviamo in Watch Dogs 2 può sembrare fantascienza (e per alcune parti lo è) ma in realtà è molto più vicino al mondo reale di quanto vorremmo. La privacy online, ad esempio, non solo non è garantita ma semplicemente non esiste. Più dati personali riversiamo sul web e più è facile sapere tutto di noi. Specialmente nel caso di prodotti gratuiti, ad esempio qualsiasi tipo di social network. Il motivo è semplice: se non viene richiesto un pagamento per usare tale servizio significa che il prodotto siamo noi. Watch Dogs 2 è un gioco riservato ad un pubblico adulto.

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Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 6 febbraio 2017 • N. 06

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Società e Territorio

Monitori si diventa

Corsi G+S I corsi Gioventù e Sport esistono dal 1972 e sono uguali in tutta la Svizzera. In Ticino continuano

ad avere molto successo, ne abbiamo parlato con Marco Bignasca dell’Ufficio cantonale dello Sport

Paola Bernasconi «Il mio compagno questa settimana sarà assente, va a fare il G+S di sci». Una frase che molti adolescenti avranno detto a casa, parlando dell’amico che, per alcuni giorni, lasciava il banco di scuola vuoto. Soprattutto in questo periodo, quando si va a frequentare i corsi per diventare monitori di sport invernali, a partire da sci e snowboard. Ma che cosa sono questi corsi, come si svolgono e che prospettive danno? Per capirlo meglio, abbiamo contattato Marco Bignasca, capufficio dell’Ufficio dello Sport. «I corsi Gioventù e Sport sono uguali in tutta la Svizzera. La casa madre, se così si può chiamare, è rappresentata dall’Ufficio federale dello Sport, che stabilisce i programmi. Noi, come servizio cantonale, ci occupiamo di “riempire” il contenitore che loro ci preparano».

Nel 2015 in Ticino sono stati formati 900 nuovi monitori, mentre 2700 hanno frequentato dei corsi di aggiornamento Gioventù e Sport forma monitori ormai dal 1972, e la filosofia è sempre rimasta la stessa. «Lo spirito è quello di fornire, in una settimana, una formazione di base ad un giovane per poter insegnare ai ragazzi. È una formula vincente e non pensiamo affatto a cambiarla. Offriamo tre livelli di corsi: il primo è quello base, poi vi sono il modulo metodologico e il modulo tecnico. Non si è obbligati a frequentarli tutti, ci si può fermare al livello che si preferisce, però bisogna tenersi aggiornati, con nuovi corsi ogni due anni». Se si pensa che basti la passione per uno sport per iscriversi a un corso base, si sbaglia. «Il ragazzo che si iscrive ci viene mandato da un coach del suo club sportivo, che è a sua volta stato formato da noi». Dunque, fondamentale è essere affiliati ad una società sportiva, e poi una volta ottenuto il brevetto, essere attivi nella formazione. «Se non si fa il monitore, dopo otto anni i brevetti scadono e bisogna ricominciare tutto da capo. I vari club ricevono dei sussidi dalla Confederazione per ogni giovane che mandano a imparare da noi e che poi utilizzano nell’insegnamento, e parliamo di un flusso di 4,5 milioni annui che da Berna arrivano a noi e poi alle società sportive. Se i giovani non

Marco Bignasca fuori dal centro di Gioventù e Sport a Bellinzona. (Ti-Press)

partecipassero più, la conseguenza sarebbe un’interruzione del flusso di sussidi e dunque in pochi anni si avrebbero dei formatori non qualificati». Un rischio, comunque, lontano all’orizzonte, stando alle cifre che fornisce Bignasca: «nel 2015 abbiamo contato 900 nuovi monitori, e ne abbiamo aggiornati 2700, su un totale di quasi 9000 registrati: si può dunque parlare di un turnover del 10%. C’è stata una stabilità abbastanza chiara tra fine degli anni ’90 e l’inizio del 2000. Dal 2005 si nota una lenta e costante crescita. Come lo leggo? Le società in Ticino girano bene, sono vive perché trovano persone disponibili e tutti hanno ancora spazio nei comuni e nelle infrastrutture per lo sport». Chi si iscrive? «Il 46% sono ragazze, il 56% ragazzi, quindi più o meno in questo senso siamo a pari, anche se ovviamente dipende dalle discipline. Per partecipare, bisogna essere nell’anno dei 18. Solitamente, chi vuole diventare

formatore in sport individuali si iscrive subito, mentre per gli sport di squadra si aspetta fino verso ai 21-22 anni, dato che spesso si gioca ancora a livello agonistico». Un corso dura una settimana continuativa, e si svolge al Centro G+S di Bellinzona. I costi? «Variano dai 450 ai 550 franchi». Bignasca vuole sottolineare come in Ticino, nel 2015, vi siano stati 8340 monitori attivi, praticamente tutti volontari, che hanno insegnato a 49’515 ragazzi. «Che doti deve avere un buon monitore? Prima di tutto, per entrare ai corsi serve una certa tecnica. In alcuni sport per esempio si organizzano dei test o dei corsi propedeutici, al fine di poter valutare la capacità tecnica degli interessati, oppure si chiede che sia stato raggiunto un certo livello: penso alle arti marziali, dove si deve essere almeno cintura nera di secondo Dan. E al termine della settimana vi è una sorta di esame: il tasso di bocciature non è altissimo, ma non basta la frequenza per ot-

tenere il brevetto. Detto ciò, ritengo che per fare i monitori bisogni avere tanta voglia di fare, di continuare a rimettersi in gioco, di buttarsi e di non aver paura di fare qualcosa per i ragazzi». Frequentare i tre livelli di formazione G+S può essere un trampolino di lancio verso una professione quale il docente di ginnastica oppure il maestro di uno sport singolo, per esempio lo sci, ma per Bignasca la maggior parte di chi si iscrive lo fa per passione. In Svizzera le discipline in cui si preparano i monitori sono 76, mentre in Ticino si organizzano i corsi per una quarantina. Alcuni sono annuali, mentre in sport dove c’è minor richiesta si tengono magari ogni due anni o anche tre. «Se vuoi formarti nel triathlon, è possibile che il corso sia quadriennale», spiega Bignasca. «Ma se quell’anno manca la disciplina che ti interessa, puoi spostarti in un altro cantone, dato che i contenuti sono studiati dall’Ufficio federale e sono pressoché uguali

trovare i consigli e le informazioni giuste. Sara, la mia amica di San Gallo, incinta al nono mese, dice di essere entusiasta di Swissmom, un sito che nel 2016 ha vinto il Q-Award assegnato dall’Associazione Schweizer Medien, come pubblicazione online più innovativa e qualitativa. In effetti Sara mi dice che il sito è molto pratico e diretto, trovi subito l’articolo e i consigli che fanno per te. Così ho fatto qualche esperimento e in pochi minuti mi sono acculturata in materia di pannolini: da quelli usa e getta che si trovano in qualsiasi ripiano del supermercato, a quelli di stoffa, lavabili, riutilizzabili, prodotti con fibre naturali. Due click e si trova tutto, basta inserire la parola chiave nel campo di ricerca. E il valore aggiunto risiede nel forum in cui le mamme si supportano e consigliano a vicenda in base alle proprie esperienze. Interessante seguire la conversazione che lancia Mariposa:

a pochi giorni dal congedo maternità, l’attende l’incontro con il capo del personale per discutere della percentuale lavorativa al suo rientro. È indecisa se optare per il 30% o il 40%, non sa se nei giorni in cui sarà al lavoro è meglio lasciare il bimbo a casa con la nonna o mandarlo all’asilo nido. Stella le dice di ritornare al 40% e, secondo la sua esperienza, due giorni a settimana all’asilo nido al bimbo non possono fare che bene. Insomma, provare per credere, il sito può davvero essere un buon punto di riferimento tra le tante offerte che si trovano in Rete. Il «Tages-Anzeiger» ha un Mama e un Papablog, seguitissimi, che ospitano i punti di vista dei giornalisti della testata ma anche di mamme e papà che di professione fanno tutt’altro. Il bello di questi blog non è solo il fatto di essere informativi e molto reali ma sono anche divertenti. In Ticino Alessandra Bonzi, mamma di due figli insieme a

ovunque. Si punta, oltre che sulla tecnica, su didattica e pedagogia, e le schede tecniche sono redatte nelle tre lingue. Molti ragazzi dal Grigioni italiano vengono da noi». Le discipline più richieste, al di là di quelle tradizionali, variano anche secondo le mode. «Lo snowboard ha conosciuto un boom qualche anno fa, che ora si è arrestato. Lo stesso vale per il parkour l’anno scorso, sull’esempio di Kevin Delcò. La pallavolo funziona a seconda dei successi delle squadre ticinesi, mentre l’alpinismo è in regressione essendo uno sport faticoso. Notiamo che spesso i giovani non amano lo sport cosiddetto strutturato, e preferiscono quello di strada. Noi, però, non possiamo formare monitori che non siano strutturati». Bignasca ci tiene a precisare come non esiste una crisi per quanto concerne le discipline invernali, a causa della mancanza di neve. «È un mito da sfatare: gli sci-club sono più che mai vivi!».

La società connessa di Natascha Fioretti

La Rete consiglia mamme e papà in attesa Amiche che incontri, storie di mamme e gravidanze che ascolti. Negli ultimi tempi mi capita proprio così, sento continuamente parlare di mamme con il pancione, bimbi in arrivo, già arrivati, ambienti domestici in riassetto e piena rivoluzione. E mi sono ricordata della festa di compleanno di una mia ex compagna di università di qualche tempo fa in cui c’erano tutte neomamme... Da single e senza figli mi sono chiesta che cosa avessi sbagliato nella

vita perché ad ogni tentativo di unirmi a qualsivoglia discorso sui pannolini, le poppate o il latte in polvere migliore sul mercato, venivo rimbalzata come un corpo estraneo. D’altronde si sa, quello delle mamme e dei papà è un universo speciale che si può davvero comprendere solo nel momento in cui si vive e condivide la medesima esperienza e da outsider, pur con tutta la passione e l’impegno, non si riesce davvero ad entrare nell’ottica di una vita in cui non si hanno più salde in mano le redini del proprio destino, soprattutto all’inizio. Mentre ogni gesto, pensiero, e attenzione ruota intorno alla pupa o al pupo in preda a sorrisi, pianti, urla, alternati ad attacchi di fame e di beato sonno, le mamme dai capelli spettinati e i papà con gli occhi cerchiati di blu dal sonno, tentano di capire quali nuovi contorni, tempi, e orizzonti prenderà la loro vita. E non è semplice, quando si è in dolce attesa,

Vito Robbiani, entrambi giornalisti, hanno creato un’alternativa ai blog autoproducendo una webserie dal titolo Oh mamma mia! dedicata alle future mamme, alle già mamme, ai papà ma anche agli amici dei neogenitori, il cui ruolo non è da sottovalutare. Qui si sfata qualsiasi luogo comune o mito che ruoti intorno alla maternità/paternità e in modo sfacciato e ironico si mettono a nudo delizie e tragedie di una vita da genitori. Fuori dagli schemi, modaiolo e accattivante è anche il blog Mummy Mag, per mamme e donne che nella vita non si accontentano, si informano, lavorano, sono alla moda e condividono esperienze di vita. Menti di questa piattaforma, che nulla invidia ad un vero magazine, sono quattro giovani donne berlinesi mamme di sei figli. C’è molto da imparare in questi luoghi della Rete, non solo per le mamme, e qualche risata è assicurata.


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Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 6 febbraio 2017 • N. 06

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Società e Territorio Rubriche

Lo specchio dei tempi di Franco Zambelloni Acqua e vino, giovani e vecchi La letteratura di tutti i tempi abbonda di entusiastici elogi del vino, di inni di lode al dio Bacco – il Dioniso dei Greci – per avere inventato la prodigiosa bevanda. Quasi sempre però, in questi grandi elogi, si avverte il rovescio della medaglia: il lato oscuro della vita, la malinconia e la tristezza che il succo d’uva fermentato aiuta a mitigare. Nel V secolo a. C. il poeta greco Anacreonte cantava: «Se non ci fosse il succo dell’uva / chi rimarrebbe qui più a lungo? [...] Su fratelli, beviamo, / per dimenticare questa triste terra». Il poeta barocco Francesco Redi, nel suo poemetto Bacco in Toscana, ne raccomandava caldamente l’uso: «Se dell’uve il sangue amabile / Non rinfranca ognor le vene, / Questa vita è troppo labile, / Troppo breve e sempre in pene». Il Redi era un medico; e la medicina di tutti i tempi, fino all’avvento dei farmaci moderni, prescriveva il vino come terapia per

molti mali e, naturalmente, per quella patologia dell’umore che un tempo si chiamava «malinconia» e che oggi è nota come «depressione». E così, gli inviti a spazzar via la malinconia si susseguono, almeno fino a Baudelaire che in uno dei suoi poemetti in prosa raccomandava: «Enivrez-vous». Peraltro lo stesso Baudelaire era già passato all’oppio e all’hashish e ne cantava i pregi nei Paradisi artificiali. Questi reiterati inviti al vino e all’ebbrezza sono dunque un modo, indiretto e però pur sempre drammatico, per cogliere il lato d’ombra che accompagna la vita umana: i suoi dolori, le sue angosce. Ma, confrontando le condizioni di vita dei secoli passati con quelle d’oggi, ci si può stupire che tanti debbano ancora ricorrere ai «rimedi» della tradizione passata. La fame, la guerra, le malattie, la fatica disumana sono cose in gran parte scomparse dalla vita attuale nei Paesi europei: ep-

pure, l’evasione nell’ebbrezza del vino o delle droghe psichedeliche sono sempre presenti; e, quel che più stupisce, è che a lanciarsi in queste fughe dalla realtà siano in gran parte i giovani. Quando mi capita di vedere nuovi graffiti aggiunti a quelli vecchi sui muri di edifici pubblici (specie le scuole); o di leggere di danni causati volontariamente a vetrine, bacheche, specchi sulle strade e altri congegni vulnerabili; mi chiedo ovviamente quanto alcol abbia scatenato la rabbiosa allegria di quelle bravate; e quanti giovani, passando d’eccesso in eccesso, alla fine si troveranno impantanati nella dipendenza fino al punto da non poterne più uscire se non dopo un lungo e incerto percorso di riabilitazione. I dati che appaiono di tanto in tanto sono inquietanti: un paio di anni fa i giornali segnalavano il sovraccarico di lavoro per medici e infermieri nei finesettimana, quando troppi giovani ar-

rivano al pronto-soccorso ospedaliero così ubriachi da non reggersi in piedi. A livello nazionale, si aggiungeva, un giovane su tre al di sotto dei vent’anni incappa almeno una volta in una simile situazione d’emergenza per aver esagerato nel consumo di birre, vino, liquori. E poi, naturalmente, ci sono i consumi di sostanze stupefacenti. In base alle conoscenze attuali, sappiamo con certezza che l’alcol inibisce le funzioni della corteccia prefrontale, ossia la regione cerebrale preposta al disciplinato controllo del comportamento: si comprende, dunque, come uno «sballo» serale possa portare ad atti di violenza improvvisi e insensati. E questo nei giovani è tanto più facile in quanto in loro non è ancora avvenuta la piena maturazione della corteccia, che si compie solo tra i 23 e i 25 anni. Pur senza queste conoscenze medicoscientifiche, gli antichi erano ben consapevoli che i giovani sono più fa-

cilmente soggetti a turbe mentali sotto l’effetto del vino. Platone, sognando la sua città ideale, stabiliva che ai giovani, considerata la loro maggiore eccitabilità, non si dovesse dare vino fino ai 18 anni, perché «non si deve mettere fuoco sul fuoco sia nel corpo che nell’anima». Varcata questa soglia, era concesso un uso moderato del vino; poi, una volta raggiunti i quarant’anni (che in passato segnavano l’inizio della vecchiaia), ogni freno cadeva e diveniva lecito il consumo smodato della bevanda che Dioniso «donò agli uomini come soccorso dell’amarezza senile». E qui la saggezza antica, che accortamente decretava l’astinenza dei giovani, ricade nel pessimismo tipico dei Greci, che detestavano la vecchiaia. Oggi, in un mondo migliore, possiamo avere una serena vecchiaia anche senza abusare del vino, che invece, stranamente, sembra necessario a tanti giovani.

con lo zucchero a velo. Alle 9.27 finiscono: una è entrata e ne voleva due da portare via, ma si è dovuta accontentare dell’ultima con lo zucchero e una senza. Due minuti neanche dopo, due amiche sedute a fianco sono delusissime di essere arrivate tardi all’appuntamento con la brioche al lampone del desiderio. Optano per una ai petali di rosa. C’è un bel viavai a quest’ora: Matteo, il bisnipote dei fratelli Ghezzi, prepara caffè e cappuccini, in compagnia dell’efficace Ornella che serve anche ai tavoli e porta le torte in vetrina man mano che arrivano. Qui ci si saluta per nome e si scambiano due chiacchiere garbate, senza però il bla bla fasullo di tanti bar inutili e frettolosi. Il marmo lo si ritrova, a tratti, nel lungo bancone sinuoso in legno. Davanti a me c’è una vetrinetta che viene aggiornata a poco a poco con i dolci. È appena arrivato un vassoio zincato di Belle Époque mignon. Un formato che rispecchia la modica grandezza graziosa del posto. La pasticceria Ghezzi di Varese (377 m),

seppur in formato mignon, attraverso l’illuminazione, il marmo, gli specchi, e soprattutto la squisita boiserie realizzata da un ebanista di nome Pietro Valsassina, si apparenta un po’ all’atmosfera mitteleuropea dei caffè triestini, viennesi, budapestiani. Ma la particolarità del Ghezzi dimora forse in una gran classe molto alla mano. Il giovane Matteo si siede un attimo, ventunanni, lavora qui da tre: «puntiamo molto sulla semplicità e la genuinità, produciamo magari poco, ma ogni cosa non rimane qui più di ventiquattro ore». Chiedo notizie sulla Belle Époque. Battezzata così da un cliente è una variante della Belle Hélène: al posto della pera c’è la mela. È uno dei cavalli di battaglia: pasta frolla, crema pasticcera con pezzetti di mela, manto di ganache al cioccolato e nocciola sopra. Accanto un suo seguace adolescente ne ordina una monodose. Altra specialità, mi dice Matteo, sono i fondant di zucchero. L’otto dicembre tutta la vetrina viene riempita con questi zuccherini colorati;

gli stampi a forma di frutta sono ancora quelli in gesso fatti dai bisnonni. Il pan d’anice poi ha tutta una sua cerchia di fedeli estimatori di una certa età. Quel Pan d’anice di Ghezzi titolava un trafiletto apparso nell’aprile di tre anni fa su «La Provincia di Varese». Gli unici due prodotti di un tempo, per ora accantonati, sono la cotognata e i pazientini. Delle meringhe con la panna non ne parla, ma ricordo che appena arrivano vanno a ruba. So di un chimico supramolecolare pavese che ha una casa a Porto Valtravaglia e ogni volta che passa di qui, ne porta via una vagonata prenotata per tempo. L’atemporalità benefica di sedersi al Ghezzi è data anche dall’orologio fermo sopra la macchina del caffè. Da decenni segna le sei meno venti tutto il giorno. E ora ecco una torta Belle Époque, le cui deliziose increspature della crema spalmata sono liricamente illuminate, dirigersi verso la vetrina una metà mattina ai primi di febbraio. Incartata con maestria sarà la mia compagna di viaggio.

un avvertimento all’indirizzo di Facebook, Google, Twitter, cioè i maggiori responsabili dei canali che diffondono a quasi due miliardi di utenti, nel mondo intero, messaggi d’ogni genere e qualità, anche ingannevoli e nocivi. Ne stanno facendo le spese, appunto, gli europarlamentari, a cominciare da Angela Merkel, vittima di notizie false diffuse in rete. Giustamente, ci mancherebbe, alla vigilia di importanti elezioni nazionali, in Germania e in Francia, i candidati si difendono. Ma, gli effetti delle fake news, proprio perché diffusi globalmente ormai da decenni, hanno messo radici difficili da estirpare, soprattutto nel terreno, per sua natura vulnerabile, di un’opinione pubblica allargata. Si tratta di una corrente di rivelazioni, cosiddette controcorrente, ispirate all’altra verità, cioè in contrasto con la versione ufficiale, e ci toccano da vicino. Concernono avvenimenti politici, crisi economiche e, soprattutto, traguardi scientifici e medici.

Impossibile elencare tutte le alternative che, da decenni, accompagnano eventi storici, di portata mondiale, in nome del «diritto al dubbio». Dallo sbarco sulla Luna alle Torri gemelle, dall’Aids ai vaccini, dall’ assassinio di Kennedy all’Isis, dalle scie chimiche agli Ogm, ogni fatto di cronaca, ogni novità trova subito una spiegazione, frutto di interpretazioni rocambolesche, in grado di soddisfare la fantasia, il piacere di sentirsi un bastian contrario, addirittura un moralizzatore, capace di opporsi ai poteri occulti di multinazionali e minacce affini. Ora, ed è quel sorprende, queste teorie aberranti, che umiliano il raziocinio e il buon senso, trovano ascolto e seguito e, guarda caso, proprio nei paesi più evoluti e benestanti. Dove, per dirla con il sociologo francese Gérald Bronner, è nata e cresce «La democrazia dei creduloni» (così s’intitola un suo recente saggio, pubblicato da Aracne). In queste pagine si analizza un fenomeno paradossale: la conoscenza viene sostituita dalla credenza.

È il caso di parlare di «fideismo», come l’ha definito Franco Cavalli, ospite, alcune settimane fa, di una memorabile puntata di «Patti chiari», in cui si affrontava il tema del rapporto alimentazione-cancro. Ma, il nostro oncologo si è trovato, per così dire, alle strette, in un incontro dove, la voce del rigore scientifico era sopraffatta da incoerenti esternazioni pseudoscientifiche. In parole povere, si dava spazio e autorevolezza a chi si cura un tumore con l’insalata. Con il pretesto d’informare ad ampio raggio, senza pregiudizi di sorta, si finisce per favorire, anche attraverso canali importanti quali la RSI, l’avanzata delle notizie infondate. C’è però anche da noi chi ci mette in guardia. Vale la pena di consultare «Il disinformatico», il sito in cui Paolo Attivissimo s’impegna per orientare il pubblico, sommerso da «appelli all’emotività». E, lo fa anche nelle nostre scuole, fra i giovanissimi, categoria risaputamente più esposta alla seduzione informatica.

A due passi di Oliver Scharpf La pasticceria Ghezzi di Varese Le vetrine di certe pasticcerie storiche possiedono la stessa bellezza di alcune nature morte ammirate nei musei. Quelle della pasticceria Ghezzi, dal 1919, si trovano sotto i portici di Corso Matteotti. Al numero trentasei, dove prima delle nove entro e mi siedo a uno dei cinque tavolini di legno con il ripiano di marmo nero screziato di bianco. In occasione di ogni reportage da queste parti – il biscione di Breno su al Sacro Monte, il Borducan, le stanze di luce al neon a Villa Panza, l’elefante di Bregazzana – partivo da casa sempre di buonora solo per fare colazione qui. Caffè e commovente brioche al lampone da azzannare sotto a uno dei due lampadari a gocce di cristallo. Identici si trovano nel foyer della Scala. Il Teatro alla Scala di Milano ne ha ordinati due di troppo e così questo surplus scaligero viene comprato da Fortunato Ghezzi, il fondatore assieme ai due fratelli Angelo e Carlo, della pasticceria. Come ricorda l’abbreviazione della discretissima scritta marmorea fuori:

Pasticceria F.lli Ghezzi. Mentre la dolce luce in vetrina proviene da quattro lampade zigrinate a forma di campanula che illuminavano i tram milanesi negli anni venti e ora accarezzano, per esempio, la superficie dei plumcake. Un capolavoro, va detto subito, è la brioche al lampone spolverata di zucchero a velo. Va per la maggiore vedo, ma anche i ventagli di pasta sfoglia, che io ho sempre chiamato prussiani, sono ambiti. Una imbacuccata nel suo piumino lungo nero, se ne sgranocchia furtiva due di fila. Un’altra chiede ripetutamente alla sua amica: «guarda se c’è ancora un ventaglietto, c’è ancora un ventaglietto?». C’è, grazie al cielo, l’ultimo. La golosità mattutina qui sembra in prevalenza femminile. Due signore accompagnano il cappuccino con due esse di frolla ricoperte in parte di cioccolato e un biscotto semplice, a forma di scoiattolo. Faccio il bis. Con meno impeto e più aplomb, assaporo la seconda brioche al lampone senza cospargere troppo tutto il montgomery

Mode e modi di Luciana Caglio Quando le bufale fanno opinione Cambiano, con i tempi, le denominazioni che definiscono un vizio, o arte, di sempre: quello di Pinocchio, cioè la bugia. Che, con un termine più solenne, si chiama anche menzogna, e popolarmente, balla, o patacca, e, negli ultimi anni, bufala. Più recentemente, nel linguaggio giornalistico, che si è arreso all’inglese, lingua d’obbligo nei confronti dei fenomeni globali, si è imposto fake news. Secondo l’Oxford Dictionary, bibbia in materia, proprio fake news, notizie false, e post truth, oltre la verità, sono state elette parole dell’anno 2016. Avrebbero, infatti, espresso, con pertinenza, il clima politico, culturale e quotidiano del momento: denunciando la confusione provocata dall’eccesso di un’informazione allo sbando. Sui cittadini-utenti si riversa, loro malgrado, una valanga di messaggi ambigui, accattivanti, ma non attendibili. Informazione e informatica non coincidono più, e non è un gioco di parole. Succede, una volta ancora, che una conquista tecnologica rischia di diventare un’opportunità imbarazzante.

Le tante notizie, veicolate da giornali, televisioni, internet, social, ecc… anziché mettere in relazione con la realtà dei fatti e dei pensieri, ci allontanano dalla conoscenza. Le fake news stanno, appunto, alimentando, una forma attualissima di ignoranza camuffata. Tutti sanno di tutto. Le conseguenze si fanno sentire. Da Bruxelles è partito, nei giorni scorsi,


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Ambiente e Benessere Un biricoccolo in giardino Prunus x dasycarpa, veniva chiamato anche albicocco nero o albicocco del Papa

L’ignoto alle porte di casa Nel tempo del turismo globale la vecchia equazione tra lontananza e diversità non funziona più

Natura e civilizzazione Ne La ragazza selvaggia, romanzo di Laura Pugno, l’autrice si interroga sul rapporto uomo-natura

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Lacrime, elogi ed emozioni Da via Collinetta sino agli spalti degli Australian Open, sono in molti ad aver applaudito Federer

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Piccolo taglio, grande chirurgo Medicina Chirurgia mini invasiva

e tecnologicamente assistita: sono i nuovi orizzonti della neurochirurgia spinale

Maria Grazia Buletti «Abbiamo davanti agli occhi i peccati degli altri uomini, ma i nostri li portiamo sulla schiena» sentenziava il filosofo Seneca (4 aC.-65 dC.). «La schiena è la parte che non puoi vederti, quella che lasci agli altri. Sulla schiena pesano i pensieri, le spalle che hai voltato quando hai deciso di andartene» sono parole della scrittrice Margaret Mazzantini. Fuor di metafora: le problematiche della colonna vertebrale arrecano vero dolore a chi le subisce. Se non identificate e curate adeguatamente possono cambiare la qualità della vita. Il più delle volte, una cura di tipo conservativo aiuta a risolvere la cosa, ma vi sono situazioni (talvolta pure in emergenza) in cui bisogna ricorrere alla chirurgia, quella chirurgia che ancora oggi è avvolta da un alone di diffidenza: la neurochirurgia spinale. Ne abbiamo parlato con il dottor Pietro Scarone, caposervizio al Servizio di neurochirurgia dell’Ospedale Regionale di Lugano: «Dobbiamo premettere che, purtroppo, quando si parla di questa branca della chirurgia ci si rapporta spesso ai concetti oramai superati di una ventina d’anni fa». L’avvento di nuove tecnologie e il perfezionamento chirurgico, costante e all’avanguardia, hanno portato grandi innovazioni: «Oggi la neurochirurgia è mini invasiva e comporta una netta diminuzione dell’alta percentuale di complicazioni e dei rischi di un tempo». È qualcosa di diverso rispetto agli esordi della chirurgia spinale che si era sviluppata attorno agli anni Settanta. All’epoca «si interveniva principalmente su pazienti che presentavano deformità o problemi legati a infezioni del rachide; oggi questi casi sono molto meno frequenti, perché prevenzione e farmaci adeguati hanno portato a una netta diminuzione, ad esempio, della tubercolosi vertebrale che, fra l’altro, causava seri problemi di deambulazione». La chirurgia spinale si pone oggi obiettivi meno semplicistici: «Un tempo i pazienti con ernie del disco arrivavano dal chirurgo quando già mostravano un deficit motorio (dunque

in fase tardiva); oggi arrivano coi primi sintomi e siamo perciò in grado di intervenire in modo più rapido, efficace e duraturo». Parallelamente alla precocità diagnostica c’è stata un’evoluzione tecnologica di non poco conto, perché rispetto agli altri campi chirurgici questa è una disciplina molto dinamica che evolve di anno in anno, assieme alle tecniche interventistiche: «Oggi siamo in grado di intervenire ed effettuare interventi sulla colonna vertebrale senza invasività, senza fare grosse incisioni e, quindi, senza causare un grosso trauma alle strutture muscolari che circondano il rachide». Ciò si traduce in una serie di benefici: «Minore dolore post operatorio, tempi di recupero molto più rapidi e recupero del proprio stile di vita, anche professionale, in tempi brevi». L’equazione grande taglio uguale grande chirurgo è stata soppiantata da piccolo taglio, grande chirurgo: «La chirurgia mini invasiva mi permette di posizionare viti o effettuare gesti chirurgici attraverso il muscolo, senza praticare incisioni, con approcci transcutanei e percutanei». L’équipe del Servizio di neurochirurgia dell’ORL, in sala operatoria può infatti avvalersi – come quarto centro in Europa (e primo in Svizzera, a cui ha fatto seguito l’ospedale universitario di Zurigo) – «di una TAC mobile (AIRO) che durante l’intervento viene orientata di volta in volta secondo necessità, restituendoci un’immagine della colonna vertebrale in tempo reale». Assistiti da questa raffinata tecnologia associata a un sistema di navigazione computerizzato, i neurochirurghi possono sapere con precisione millimetrica cosa stanno facendo e dove sono i nervi e le strutture vertebrali mentre operano: «Ciò, in associazione con la chirurgia mini invasiva, riduce notevolmente i rischi operatori, soprattutto nella chirurgia spinale confrontata con l’applicazione di viti o gesti chirurgici operati su strutture molto molto piccole». Una precisione da orologiaio, oseremmo pensare, dagli indubbi ed evidenti benefici per il paziente e per la prognosi, che oggi è all’avanguardia

Il dottor Pietro Scarone, caposervizio al Servizio di neurochirurgia dell’Ospedale Regionale di Lugano. (Vincenzo Cammarata)

anche nel nostro cantone dove disponiamo, sempre all’ORL, della Spine unit: un Centro di riferimento per le patologie spinali attivo 24 ore su 24 per le emergenze che, dice il dottor Scarone, per fortuna non sono molte: «Nella maggior parte dei casi, la chirurgia spinale può essere discussa e pianificata nei tempi migliori e sono rari i pazienti che presentano già un deficit motorio alle gambe e deficit neurologici acuti. Potrebbe ad esempio trattarsi di pazienti con trauma vertebrale che qui vengono accolti, trattati e seguiti (con intervento se necessario)». In questi casi la rapidità è fondamentale e l’intervento precoce garantisce rapidamente un miglior risultato. La neurochirurgia non rappresenta più in assoluto l’ultima spiaggia, come si pensava fino ad ora, anzi: «Studi scientifici certificano che un trattamento conservativo protratto troppo a lungo e senza miglioramenti comporta solo una protrazione dei sintomi e un

peggioramento della qualità di vita del paziente». Ciò non significa ricorrere al bisturi con facilità: «Oggi i colleghi comprendono l’importanza di consultare il neurochirurgo per valutare individualmente ogni caso, a vantaggio di un’ottimale proposta terapeutica che non deve necessariamente passare dalla sala operatoria». I neurochirurghi non sono dunque così amanti del bisturi come il luogo comune imporrebbe di pensare: «Ricorrere al bisturi è una decisione ponderata, individuale, che poggia su diversi criteri (fra i quali quello anagrafico e lo stile di vita) che, combinati, permettono di valutare se procedere o meno chirurgicamente; la nostra tendenza è quella di indirizzarci sempre più verso procedure meno invasive, se non addirittura conservative». Un anonimo aforista ha detto: «Non sai se fa più male il coltello infilato nella schiena, o il vuoto che lascia

quando lo togli». Oggi, almeno per quanto attiene alla neurochirurgia, possiamo riporre questo pensiero nel comparto puramente filosofico, perché la chirurgia spinale ha fatto passi così incoraggianti che il bisturi viene usato con parsimonia, precisione millimetrica e quasi inavvertitamente, ma con evidenti risultati. Intervista online

Su www.azione.ch potete vedere in video l’intervista al dottor Pietro Scarone, caposervizio al Servizio di neurochirurgia dell’Ospedale regionale di Lugano, in cui approfondisce gli aspetti tecnici degli interventi di neurochirurgia spinale.


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Ambiente e Benessere

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* Fonte: Nielsen Market Track, gruppo di prodotti „Deodoranti“, in unità di vendita, commercio al dettaglio in Svizzera, senza marchio proprio, MAT dicembre 2015.

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Anita Negretti Possiedo un piccolo frutteto che ospita meli, peri, un caco, due ciliegi e una prugna, ma dallo scorso anno ho fatto posto anche a una pianta nuova che ho trovato in vendita in una mostra di piante. L’ho acquistata incuriosita dal nome e ho seguito le indicazioni del vivaista: in pochi mesi ha raggiunto un buono sviluppo e ora attendo per questa estate di assaggiare i suoi frutti. Si tratta di un biricoccolo (Prunus x dasycarpa), chiamato da alcuni anche susincocco, ed è un ibrido naturale derivante dall’incrocio tra albicocco (Prunus armeniaca) e susino mirabolano (Prunus cerasifera).

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Già noto nell’Ottocento sia nella regione Campania sia nelle colline bolognesi della vicina penisola, veniva chiamato albicocco nero o albicocco del Papa. La sua messa a dimora viene consigliata da novembre fino ai primi di aprile, evitando i periodi con gelate. In commercio si trovano solo due varietà: la Bolognese e la Vesuviana. La prima, dai frutti di sapore dolce e polpa gialla, è di media pezzatura ed è leggermente più precoce della Vesuviana, che presenta frutta medio-piccola, polpa gialla intensamente venata di rosso, succosa e leggermente più acidula. Per avere una buona produzione di frutta è però necessario piantare vicino al biricoccolo un susino mirabo-

lano così da incentivare l’impollinazione, visto che la pianta è auto sterile e i fiori maschili non sono in grado di fecondare i fiori femminili della stessa pianta, come purtroppo accade per molti ibridi. Se lo spazio disponibile nel frutteto non permette la piantumazione di un’altra pianta, si può ovviare lasciando crescere un solo pollone dal portainnesto di mirabolano che sviluppandosi diventerà impollinatore. Inoltre è utile ricordarsi, al momento dell’acquisto, che questa fruttifera entrerà in produzione dal terzo anno. Il biricoccolo, solitamente innestato su susino mirabolano, permette di ottenere piante ben vigorose, produttive e adattabili a tutti i terreni, mentre l’innesto su susino Ishtara garantisce una vigorosità minore ma richiede suoli molto ricchi e un’elevata disponibilità di acqua. Essendo una pianta rustica resiste bene ai freddi invernali come ai periodi siccitosi e non necessita di potature, raggiungendo autonomamente una bella forma della chioma. Bella e molto generosa, questa pianta, infatti, si presenta in fase adulta con un’ampia chioma rotonda e raggiunge l’altezza di cinque metri sviluppandosi velocemente. In marzo, quando i primi tepori si fanno sentire, il biricoccolo, ancora nudo delle sue foglie, si riempie di numerosissimi fiori bianchi con stami e sepali rossi, dando così l’impressione che anche i petali siano rosati. A inizio aprile si assiste alla caduta dei fiori e alla comparsa delle prime foglie,che nel corso dell’anno diverranno lunghe fino a dieci centimetri, di un bel verde acceso, appuntite e seghettate. Bisognerà attendere i primi giorni di luglio per poter gustare i suoi frutti speciali: si tratta di drupe rotonde, rosso scuro, ricoperte da una leggera peluria e con una polpa tenera e molto succosa. Ottimi se consumati freschi, i frutti possono esser trasformati in gustose confetture.


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Ambiente e Benessere

Wilderness, potente richiamo Viaggiatori d’Occidente Verso luoghi di natura selvaggia più vicini di quanto crediamo Claudio Visentin Siamo stati selvaggi. Poi dalla foresta siamo stati cacciati o ci siamo allontanati di nostra volontà. Ma il suo richiamo non si è mai spento del tutto. Anche tra le luci artificiali e i rumori della città, basta una folata di vento proveniente dalla montagna, carica degli odori del bosco, per risvegliare quell’antico legame soltanto sopito. Oggi chiamiamo questo stato d’animo Wilderness, importando dall’America la parola e l’idea. Intorno alla metà dell’Ottocento, quando gli Stati Uniti si espandevano sempre più verso ovest, spingendo avanti la frontiera e fondando sempre nuove città, un piccolo gruppo di filosofi, poeti e artisti – il più noto è Henry David Thoreau – celebrarono la natura selvaggia, invitando l’uomo moderno a ricongiungersi con i suoi inizi (ndr.: ed è questo anche il tema al centro del libro recensito a pag. 12 da Laura di Corcia, per la rubrica: Seme nel cassetto). Sembrò dapprima stravaganza, ma poi il

loro esempio si rafforzò e mise radici. Così proprio negli Stati Uniti nacquero i primi parchi naturali (Yellowstone è del 1872). Il punto d’arrivo di questo percorso fu il Wilderness Act del 1964: vastissime regioni nella parte occidentale degli Stati Uniti – oltre un milione di chilometri quadrati, come Francia e Spagna messe assieme – furono conservate nel loro stato originario per le generazioni future. La Svizzera seguì l’esempio nel 1914 con il suo Parco nazionale in Engadina, dove l’uomo può solo contemplare lo svolgersi delle forze della natura, lasciata completamente libera. Anche in Italia – naturalmente in scala minore, ma con una maggiore varietà di paesaggi rispetto agli Stati Uniti – sono state create riserve naturali integrali, a cominciare da Sasso Fratino, sul versante romagnolo delle foreste del Casentino, una faggeta considerata la più antica selva d’Europa; e sul ramo orientale del Lago di Lugano, al confine tra Svizzera e Italia, troviamo Valsolda, la prima riserva integrale della Lombardia.

Non finisce qui. Oltre alle aree protette, negli spazi vuoti delle carte geografiche, dove raramente cade lo sguardo, un numero sorprendente di territori ha cominciato un cammino di ritorno verso la selvatichezza. Sono nascosti tra case, industrie e gomitoli di strade, anche nella vicina Lombardia, nonostante i suoi quattrocento abitanti per chilometro quadrato. Basta una difficoltà d’accesso anche temporanea, per esempio una frana, per isolare un’area. Negli anni Sessanta la Val di Vesta, nel bacino del Lago di Garda, fu tagliata fuori dal mondo dalla creazione di un lago artificiale. In altri casi sono barriere naturali, o la mancanza di strade e sentieri, a tenere lontani gli uomini. E così, a poche decine di chilometri dalle grandi città, è possibile incontrare un lupo, vagare tra i boschi nella nebbia, sostare in un rudere spettrale o nella chiesa di un borgo abbandonato. Un ottimo esempio è la parte italiana della Valle Onsernone, collegata alla madrepatria solo attraverso alti valichi chiusi dalla neve in inverno. E in Pie-

Sulla cima del Pizzo Proman (a 2098 m ) nella Val Grande. (Ford c prefect)

monte, tra il Verbano e il confine svizzero, a solo cento chilometri da Milano, la Val Grande è l’area disabitata più vasta d’Europa. L’antichissima rete di alpeggi e sentieri è in abbandono e la natura, dopo essere stata faticosamente domata, ha rialzato la testa. Molte di queste terre un tempo erano abitate, ma il richiamo della modernità è stato troppo forte; contadini, pastori, boscaioli e carbonai hanno gradualmente abbandonato le loro terre per diventare cittadini. Pochi segni sempre più incerti ricordano la presenza umana: vecchie linee ferroviarie abbandonate, ponti, miniere, borghi fantasma… Anno dopo anno la foresta si allarga, i sentieri si cancellano, i muri si gonfiano, i tetti s’incurvano e poi crollano, mentre gli alberi crescono nelle case ridotte a ruderi. Qui abbiamo il privilegio di assistere allo spettacolo del mondo di ieri ma forse anche di domani, dopo di noi, se gli uomini non sapranno ristabilire un equilibrio con la natura. In questi luoghi lontani dal potere, poco raggiungibili e perciò poco controllabili, s’incontrano stravaganti figure di ribelli e di nuovi eremiti, ma anche un numero crescente di viaggiatori. Non è impresa facile: in un terreno senza sentieri, infestato dagli sterpi, si avanza lentamente e a fatica, anche solo di un chilometro all’ora. Inoltre in zone certo vicine, ma poco raggiungibili, il pericolo può essere reale e una salutare paura aiuta a misurare le proprie forze. Occorre una buona preparazione fisica, un’attrezzatura essenziale e leggera quanto ben calibrata, un carattere saldo, la capacità di far fronte agli imprevisti. È soprattutto importante disporre di informazioni aggiornate. Qualche buona guida è stata pubblicata di recente, per esempio Valentina Scaglia, Wilderness in Italia. A piedi nei luoghi del silenzio (Hoepli), dove trovate una riflessione d’insieme nutrita da una lunga esperienza sul campo e diverse proposte. Questi esploratori della wilderness sono degli ottimi esempi di «viaggiatori d’Occidente». Hanno compreso che nel tempo del turismo globale la vecchia equazione tra lontananza e diversità non funziona più. Mentre i Paesi esotici sono visitati da folle di turisti e le loro attrazioni sono moltiplicate all’infinito nelle fotografie e nei social media, l’ignoto si nasconde nelle pieghe del territorio, ricompare inatteso là dove non te l’aspetti: alle porte di casa.

Pascoli vaganti

Bussole I nviti a

letture per viaggiare

«Dimentichiamoci il nostro modo solito di muoverci, le vie più brevi, il minor tempo possibile, il navigatore che ci guida. Il gregge vagante non si mette in cammino per arrivare in un luogo, ma per nutrirsi. Non è importante il quando, bensì il come: non bisogna raggiungere un luogo entro la notte, ma è fondamentale che a sera gli animali siano sazi. Quando non c’è più cibo a sufficienza si va avanti fin dove se ne troverà ancora, e proprio questo è il compito principale del pastore: condurre i suoi animali da un pascolo all’altro. (…) Brucare, ruminare, brucare ancora, e l’uomo non può in nessun modo alterare questo meccanismo…» Pastori si nasce. In qualche caso però può essere anche una scelta, come è accaduto a Marzia Verona; dopo la laurea in scienze forestali si è legata al mondo dei pastori, raccontandolo dall’interno. Anche questo in fondo è un ritorno alla vita selvatica. Perché si diventa pastori? Dapprima credo per un sentimento estetico, la bellezza del paesaggio di collina e montagna, l’infinito cammino tra nuvole di lana bianca, i cani che radunano il gregge, i giochi degli agnellini (mentre gli ultimi nati riposano nelle sacche degli asini)… Ma poi inevitabilmente si conosce anche il lato oscuro del mestiere: il caldo d’estate e il freddo d’autunno, la fatica, i bilanci che non quadrano mai, la burocrazia implacabile, le difficili relazioni umane, a cominciare dall’eterno dissidio tra nomadi e stanziali, tra allevatori e agricoltori. Anche per questo negli altri Paesi invidiano i pastori svizzeri, per gli spazi di cui dispongono e il maggiore rispetto della società. Ma poi quando la strada chiama si risponde sempre, all’inizio dell’estate per salire in alpeggio, in autunno per ritornare in pianura. Bibliografia

Marzia Verona, Storie di pascolo vagante, Laterza, 2016, pp. 113, € 14.

Cifre in competizione Giochi matematici Si chiama Contiamo uno dei più semplici e coinvolgenti giochi matematici

la vittoria va a «d» che ha centrato l’obiettivo, come «b» e «c», ma ha utilizzato meno numeri. Nella versione ufficiale del gioco sono previsti solo quattordici numeri di base e, precisamente: le nove cifre dall’1 al 9, oltre a: 10, 25, 50, 75, 100 (come obiettivo è accettato qualsiasi numero compreso tra 100 e 999). È interessante notare che, nello svolgimento di una gara di questo gioco, viene vanificato ogni tentativo di scopiazzatura, in quanto un eventuale copiatore finirebbe per scrivere la propria soluzione sempre dopo quella del copiato, privandosi così della possibilità di guadagnare punti. Inoltre, il ricorso a calcolatrici elet-

esposte e ricorrendo solo a tre operazioni aritmetiche elementari, potendo accostare, però, due o più cifre per generare un nuovo valore. Alcuni esempi interessanti al riguardo possono essere:

a) 2, 3, 5, 7, 9, 50135 b) 5, 6, 7, 8, 9, 100172 c) 5, 6, 7, 8, 9, 25272 d) 5, 6, 7, 8, 9, 25279 e) 5, 6, 7, 8, 9, 10315 f) 4, 5, 7, 8, 9, 50504

Sempre per esercizio, nel rispetto delle regole precedenti, cercate di ottenere il numero posto a destra della freccia, in relazione a ciascuno dei seguenti insiemi di cifre.

Un’interessante variante di questo gioco (detta: Cifre magnetiche) consiste nel cercare di ottenere un assegnato numero intero, utilizzando le nove cifre da 1 a 9, senza alterare l’ordine con cui sono

12345678968 (Soluzione: 1234x5–678x9 = 6170–6102 = 68) 98765432119 (Soluzione: 987–65–43x21 = 922–903 = 19)

a) 9635417280 b) 9148537261 c) 4923675187 d) 41238956714 e) 98743215631 f) 85761342932

Soluzione

a) 7x100-10x(4+2)-5=700-60-5 = 635 b) 7x10x(4+5) = 630 c) 7x100-10x(5+2) = 700-70 = 630 d) 7x(100-10) = 7x90 = 630

troniche verrebbe scoraggiato dalla constatazione che l’intuizione mentale risulta molto più rapida ed efficace di una ricerca meccanica. In particolare, nel caso analizzato in precedenza, la soluzione si trova più rapidamente, riconoscendo mentalmente che 630 è uguale a 790, piuttosto che procedendo per tentativi con una calcolatrice. Per esercizio, provate a trovare la soluzione ottimale ai seguenti problemi (senza calcolatrice e… senza sbirciare le risposte):

Contiamo a) 3x5x9 = 135 b) 8x9+100 = 172 c) (25+9)x8 = 272 d) (25+6)x9 = 279 e) 5x7x9 = 315 f) 7x8x9 = 504

Uno dei giochi matematici di competizione più semplici e coinvolgenti è noto con il nome di Contiamo. Ideato dal francese Armand Jammont, è diventato molto popolare in molte nazioni europee, dopo essere stato lanciato, negli anni Settanta, dall’emittente televisiva Antenne 2. Le sue regole sono molto semplici. Dati sei numeri di base, vince chi, entro un tempo prefissato, riesce a comporre con essi, avvalendosi delle sole quattro operazioni aritmetiche, il risultato più vicino a un determinato numero obiettivo, composto da tre cifre. Uno stesso numero di base può essere usato una sola volta. In caso di parità vince chi ha adoperato meno numeri (in caso di ulteriore parità, vince chi ha impiegato meno tempo). Supponiamo che siano stati assegnati i sei numeri: 2, 4, 5, 7, 10, 100, con obiettivo: 630 (sinteticamente: 2, 4, 5, 7, 10, 100630);

se i risultati ottenuti da quattro giocatori sono stati i seguenti:

Cifre magnetiche a) (96/3)x54–1728 = 32x54–1728 = 1728–1728 = 0 b) (914+85)/37–26 = 999/37–26 = 27–26 =1 c) (492–367)/5–18 = 125/5–18 = 25–18 = 7 d) 4x123+89–567 = 492+89–567 = 581– 567 = 14 e) (987–432)/15–6 = 555/15–6 = 37–6 = 31 f) (857–613)/4–29 = 244/4–29 = 61–29 = 32

Ennio Peres


Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 6 febbraio 2017 • N. 06

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Ambiente e Benessere

Il «Terzo paesaggio» della ragazza selvaggia Il seme nel cassetto L ’ultimo romanzo di Laura Pugno indaga la relazione che c’è tra la natura

e l’azione civilizzatrice dell’uomo, ma non solo

Laura Di Corcia La Natura è buona o cattiva? L’epoca a cavallo fra Illuminismo e Romanticismo indagò il tema in lungo e in largo, e la risposta è ovviamente che la Natura è entrambe le cose. Ma ci sono domande che sono pozzi, fonti inesauribili di nuovi interrogativi e risposte, ed è su questo terreno che si muove l’ultimo romanzo di Laura Pugno – La ragazza selvaggia (Marsilio) – poetessa e scrittrice che sin dagli esordi narrativi ha indagato il tema della fine delle cose, del loro sgretolarsi. La cornice entro cui si dipana la vicenda è Stellaria, il tentativo (artificioso?) di creare uno spazio incontaminato, di dare vita al «Terzo paesaggio» così come lo ha descritto in maniera lucida e netta un esponente sopraffino del pensiero ecologico come il paesaggista francese Gilles Clément. Ma attenzione: il fitto bosco vicino a Roma, al quale Tessa, la protagonista del romanzo, rimane attaccata dopo aver perso

praticamente tutto, non è uno di quei luoghi sfuggiti come buchi in una rete fitta all’azione civilizzatrice dell’uomo. Stellaria è in fondo un esperimento in vitro, è il risultato di un atto volitivo, è fortemente condizionata dallo sguardo (e la fisica quantistica ci insegna che l’attenzione esercitata da parte di un soggetto verso un oggetto lo modifica): può un luogo come questo rendere conto davvero delle logiche avulse dall’azione esercitata dall’umana ragione? Stellaria è teatro di una vicenda che ha dell’incredibile: una ragazza figlia adottiva di una famiglia di industriali, Dasha, si perde nei suoi boschi da ragazzina, a causa della sorella gemella Nina, e ci rimane per anni cibandosi di carne cruda che si procura da sola. Sarà Tessa a ritrovarla, la ricercatrice che segue l’andamento della riserva naturale destinata ormai alla chiusura e che vive lì da tantissimo tempo, in una casetta rifornita del minimo indispensabile, al confine fra civilizzazione e vita selvaggia. Sia lei sia Nina proiettano su Dasha

il loro bisogno di tranciare i legami col mondo, di tuffarsi nel ventre molle della Natura, nelle sue terribili contraddizioni. Dasha, in fondo, rifiutando di parlare e rinchiudendosi in una sorta di autismo muto e secco, non aveva mai varcato la soglia magica della civilizzazione; sopravvissuta al disastro di Cernobyl insieme a Nina, aveva preferito rimanere attaccata alle macerie, alla materia decostruita e non ordinata in società. Riportarla a casa dopo anni di vita selvaggia nel bosco non è una buona idea: fra le mura paterne e materne Dasha può vivere solo sedata, vegetando come una pianta. Per lei non esiste via di ritorno; per Tessa sì, ed è per questo che alla fine si deciderà a lasciare Stellaria per raggiungere la ex collega in Camargue e lavorare a un nuovo progetto. Il romanzo di Laura Pugno, scritto con una lingua asciutta, senza fronzoli, precisissimo nei rimandi e affilato come una lama tagliente, è in fondo

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Eleganza associata al benessere e alla vitalità

Se moltissime celebrità e grandi sportivi, così come milioni di persone nel mondo, indossano, di giorno e di notte, un bracciale bio-magnetico, non è sicuramente una coincidenza.

Una storia millenaria Non si conta il numero di testimonianze archeologiche che attestaacciali di no l’onnipresenza dei bracciali a, g greca rame nelle civiltà egizia d e romana, quale gioiello dai poteri benefici. Più di reati cente, alcuni scienzia hanno osservato come o i minatori che lavorano E nelle miniere di RAME non soffrano praticamente di alcun dolore alle articolazioni. Orra, o di d finalmente, disponiamo numerosi studi scientificci e di mo ostrano testimonianze che dim o alla macome il rame associato tribu ribuir uire ad d gneto-terapia possa contribuire alleviare la situazione quotidiana in caso di: - artrosi - emicrania - vene varicose - dolori vari - stress - ansia - insufficienza circolatoria, ecc.

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un’inquisizione sul destino, sull’ombra che ci cammina accanto e decide per noi la via. Le vite dei personaggi sono tutte legate da un filo invisibile, ogni cosa che accade ha una gittata, un effetto sul resto: Nina va in coma quando torna Dasha, muore quando scappa di nuovo. Agnese, la madre, pure ha alle spalle una storia gemellare, ma prima della nascita: la sorella, morta, era stata in qualche modo inglobata nel suo corpo. Liberando per la seconda volta la figlia selvaggia, permetterà una sorta di riscatto a quella gemella mai venuta alla luce. Nel comparto denso, fiabesco, spettrale e allo stesso tempo umanissimo creato dall’autrice, esistono pochi legami causali e sono sempre sfuggenti; tutto è psichico, simbolico, sanguigno. Laura Pugno nuota nella faglia che c’è fra visibile e invisibile e come ogni grande scrittore ce la riporta con tutto il suo sapore selvatico, misterioso e non sempre pacificato: rimane tutto così, come deve, come può essere.

L’immagine usata per la copertina de La ragazza selvaggia. (Marsilio)

Bibliografia

Laura Pugno, La ragazza selvaggia, 2016, Marsilio, 174 pag., 16.50 euro.

Notizie scientifiche Medicina e dintorni Marialuigia Bagni Rigenerare le cartilagini Le cartilagini lese non sono in grado di rigenerarsi, il che può condurre all’artrosi. Un’equipe dell’Università di Basilea ha sperimentato la validità dell’utilizzo delle cellule del setto nasale, la cui natura è cartilaginea. L’esperimento, condotto su dieci soggetti dall’età compresa fra i 18 e i 55 anni, con lesioni al ginocchio, ha dimostrato l’importanza del trattamento condotto in diverse fasi: 1. prelevamento di micro frammenti del setto nasale in anestesia locale; 2. messa in coltura delle cellule per alcune settimane per ottenere un «innesto» di 3-4 centimetri; 3. l’ablazione della cartilagine danneggiata e l’impianto dell’«innesto». L’intervento ha avuto successo in nove casi su dieci. Lo stress è contagioso Una ricerca dell’Università della Columbia britannica sostiene che lo stress sia come un virus. I ricercatori hanno infatti esaminato il legame tra lo stress degli insegnanti e il livello di cortisolo, che è l’ormone dello stress, nei loro alunni, attraverso campioni di saliva raccolti da oltre 500 studenti. I ragazzi delle classi in cui gli insegnati erano particolarmente stressati hanno fatto registrare un livello di cortisolo superiore alla media. Unghie e allergie Mangiarsi le unghie riduce il rischio di allergie. Secondo uno studio neozelandese, che ha seguito mille individui fino alla maggiore età, il rischio di sviluppare allergie è del 49% per quanti, da piccoli, si mettevano le mani in bocca; del 40% per quanti si mangiavano le unghie e solo del 31% per chi faceva entrambi gli atti. Le emozioni nel cervello Tristezza, divertimento, paura, collera, contentezza e sorpresa: sono le sei condizioni mentali che un’équipe dell’Università inglese di Duke è riuscita a osservare nel cervello umano con l’aiuto di una tecnica IRM. Video e musica presentati a 32 persone sono serviti a un computer a riconoscere le singole zone cerebrali attivate. Questa ricerca servirà a diagnosticare e a studiare i fenomeni depressivi.

Contro le vertigini Sperimentato un rimedio contro le vertigini. I primi risultati di un esperimento clinico hanno rivelato che un antistaminico chiamato «Sens 111», preso per via orale, è in grado di diminuire la durata e l’intervallo tra le vertigini. Non provoca sonnolenza e agisce specificamente sull’orecchio interno, responsabile appunto delle vertigini, modulando la sua attività. Sono necessari altri test prima di iniziare la commercializzazione del farmaco. Lo sport attiva anche la memoria Lo sport attiva anche la memoria. L’esercizio fisico aiuta i meno giovani a risolvere i problemi di memoria, secondo ricercatori canadesi. Lo studio si basa su un vasto campione di persone con disturbi cognitivi di origine vascolare. Ne parla la rivista «Neuro». Dormono gli uccelli migratori? In volo, gli uccelli migratori dormono con un solo occhio. Certi uccelli di mare sono capaci di viaggiare senza soste fino alla meta. Il loro segreto è dormire in volo. Un’équipe internazionale di ornitologi ne ha fornito la prova, equipaggiando alcune fregate con un GPS ed elettrodi che registravano l’attività del cervello durante il volo, che dura anche dieci giorni (equivalenti a tremila chilometri). Questi uccelli dormono, in media, 42 minuti all’ora e, spesso, resta in riposo una sola parte dell’emisfero cerebrale. Farfalle: da qui all’Etiopia La farfalle dei nostri giardini emigrano in Etiopia. Ornitologi tedeschi hanno scoperto che le farfalle comuni dei giardini europei, in autunno, sono solite migrare verso l’Africa. Attraversano il Mediterraneo per arrivare nel Maghreb, che già sarebbe un bel viaggio, ma talora salgono sull’Atlante fino a 4mila metri d’altezza e volano per chilometri sul Sahara, fino agli altopiani etiopici. Un percorso di oltre 4mila chilometri. L’efficacia dell’ipnosi Apparsa verso la fine del XVIII secolo l’ipnosi, oggi, viene rivalutata grazie ai suoi effetti benefici soprattutto sul dolore, l’ansietà e tutti i disturbi psicosomatici. Ne parla «Science et Vie».


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Ambiente e Benessere

Riemerge dai fondali la storia del 12 settembre ’44 Mondo sommerso R itrovamento di relitti della seconda guerra mondiale conservati

nelle profondità del mare Adriatico Franco Banfi, testo e foto Immerso nel silenzio e nell’oblio del mare Adriatico, al largo della costa di Svetac (arcipelago di Vis), Lorenz Marovic e suo figlio Andy hanno ritrovato i resti di due aerei americani affondati durante la seconda guerra mondiale e il relitto del piroscafo N. Maris, affondato nel 1932. Con straordinaria perseveranza hanno raccolto i rapporti dei sopravvissuti rovistando negli archivi navali, e hanno studiato le carte nautiche per mesi prima di organizzare le ricerche. Poi, hanno dotato la loro imbarcazione di un sonar a scansione laterale, potente ed estremamente dettagliato, e hanno condotto le indagini idrografiche. Per prima cosa hanno fatto la scansione del fondale marino, di zone note ai pescatori. Questo tipo di sonar trasmette delle onde sonore (energia) e analizza il segnale di ritorno (eco) che ha rimbalzato sul fondo del mare o di altri oggetti. In una scansione lato, l’energia delle onde sonore è trasmessa a forma di ventaglio che spazza il fondo marino direttamente sotto la sonda, tipicamente a una distanza di cento metri su entrambi i lati. L’intensità del segnale di ritorno viene continuamente registrato, creando un’«immagine» del fondo dell’oceano chiaramente visibile sul display posto sul ponte di coperta della barca.

Non solo relitti ma soprattutto storia: quella che rispolvera i fronti di battaglia tra Italia e Balcani Dopo vari tentativi, un giorno, il sonar di Lory e Andy ha dato prova di qualcosa che riposava sul fondo del mare, alcune «immagini» chiare hanno dato il via alla seconda parte delle ricerche che prevedeva alcune immersioni tecniche per verificare i risultati del sonar. Mi sono unito a una speciale spedizione di subacquei professionisti e tecnici, con l’obiettivo di documentare con le mie foto queste incredibili scoperte. Ho incontrato Tom Baier e altri tre subacquei tecnici per pianificare le immersioni in dettaglio. A causa delle rilevanti profondità (tra i 60 e i 110 metri) abbiamo scelto di immergerci in un contesto tecnico, utilizzando dei rebreather, apparecchi a circuito chiuso e bombole riempite con diverse miscele di gas (elio, azoto e ossigeno). Questi set up ci hanno permesso di rimanere sott’acqua per un tempo superiore alla norma e con la necessaria sicurezza, e di raccogliere la quantità

maggiore di informazioni possibile per documentare e riconoscere i relitti. Una progettazione accurata delle immersioni è un elemento chiave per il risultato positivo di una simile spedizione. Nulla deve essere ignorato e una ridondanza corretta è obbligatoria, anche se ciò comporta attrezzature pesanti e profonda conoscenza su come utilizzare tutto questo nel peggiore dei casi. Il primo giorno ci siamo immersi nel punto dove abbiamo visto segnali di resti di uno degli aerei, appoggiato sul fondale a 95 metri. Guardando il monitor del sonar, abbiamo visto chiaramente la forma delle ali e parte della fusoliera per cui l’entusiasmo si è impennato: si trattava di un relitto dove nessuno era mai stato prima, ma anche una scoperta che rompeva il silenzio dell’oblio riportando in superficie i ricordi degli eventi che causarono l’affondamento. Abbiamo provato l’emozione della scoperta, anche se solo per pochi minuti per non perdere la concentrazione: durante le operazioni erano necessari controllo e calma. Fotografare a 95 metri di profondità non è un compito facile, non si può fare con qualsiasi attrezzatura fotografica e non è per tutti i fotografi, bisogna

avere una profonda conoscenza delle immersioni tecniche e della fotografia subacquea. A 95 metri di profondità, tutto deve essere in grado di sopportare una pressione di 10,5 bar e tutto deve essere chiaro nella nostra mente. Nulla può essere improvvisato: non c’è tempo da perdere per tentare diverse impostazioni fino a trovare quella corretta. Il fotografo subacqueo deve padroneggiare le regole della fotografia, l’attrezzatura fotografica, la progettazione dell’immersione e l’equipaggiamento subacqueo che sta usando. Con un tempo di fondo di soli 25 minuti, abbiamo fatto una singola immersione di 166 minuti, di cui 130 minuti di decompressione (ndr: soste a diverse profondità, in modo da desaturare i tessuti dei sub). Il risultato di questa immersione è quello che si vede nelle immagini, raffiguranti il relitto di un aereo PBY Catalina, affondato il 12 settembre 1944 nel tentativo di salvare cinque sopravvissuti in un mare molto mosso. I sopravvissuti erano l’equipaggio del Consolidated B-24H Liberator #41-28762 Tailwind, assegnato al 515 Squadrone bombardieri del Gruppo 376, Quindicesima aviazione militare dell’unità

bombardieri pesanti, a San Pancrazio (Italia). Il 12 settembre 1944, l’equipaggio aveva in programma di partecipare al raid su Monaco di Baviera, con l’intento di colpire la fabbrica Allach BMW Motor. Quel giorno a Monaco di Baviera la fabbrica Allach BMW e la fabbrica di aerei Wasserburg lavoravano a pieno regime quando sono state colpite da una flotta aerea composta da circa 330 aerei; Boing B-17 e Consolidated B-24 bombardieri pesanti coadiuvati da aerei caccia P-38 e P-51. Il campo di concentramento Allach fu aperto il 19 marzo 1943, era il più grande sottocampo di quello di Dachau, il primo campo di concentramento nazista. Nel campo di Allach transitarono circa 200mila persone. Il compito principale del campo era di fornire con i prigionieri operai l’armamento di fabbrica BMW, che produceva armi e riparava motori aeronautici per Junkers. Sulla via del ritorno a San Pancrazio, il controllo del timone del B-24H si inceppò e l’aereo uscì dalla formazione iniziando una lenta curva a sinistra a causa di una vibrazione di coda. All’equipaggio fu ordinato di gettarsi con il paracadute nel mezzo del mare Adriatico a circa 50 miglia a nord dell’isola

di Vis. Iniziò un’intensa missione di salvataggio e cinque membri dell’equipaggio furono recuperati dal velivolo da pattugliamento PBY Catalina, che ora riposa nel dimenticatoio a 95 m di profondità. Un’altra missione di soccorso trovò altri due membri del B-24H, mentre altri quattro membri dell’equipaggio non sono mai stati trovati. Nonostante il mare mosso e il forte vento, il capitano del PBY Catalina riuscì a fare un ammaraggio in mare aperto e prese a bordo i cinque sopravvissuti, ma l’aereo non riuscì più a decollare. Iniziò a riempirsi d’acqua e fu abbandonato al suo destino. Il suo equipaggio così come gli uomini salvati furono raccolti da un LCI, un mezzo di sbarco britannico per il trasporto delle truppe da sbarco, una nave anfibia, e portati in salvo sull’isola di Vis. I resti del PBY Catalina appartengono al mare e restano là allineati sul fondo quasi con precisione matematica. Solo la parte inferiore è parzialmente sepolta nel fondo sabbioso; la coda e le strutture in plexiglas, insieme ad alcune strutture sono andate perse, ma la maggior parte del relitto è ancora riconoscibile con facilità, anche se l’aereo è totalmente ricoperto da incrostazioni di vita marina, com’è ovvio che sia dopo aver trascorso 72 anni nel mare Adriatico. In conformità con la legge croata, la scoperta del relitto è stata dichiarata al dipartimento governativo e militare, ed è ora vietato immergersi nel sito. Dopo che avranno fatto l’indagine e il recupero necessario, la zona sarà aperta al pubblico e sarà possibile immergersi con permessi rilasciati dai centri di immersione, in base alle norme di legge croata. Informazioni

www.crodive.info Sul sito www.azione.ch si troveranno altre immagini della spedizione.


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Ambiente e Benessere

Pollo al ginepro farcito di castagne

Cucina di Stagione La ricetta della settimana

Piatto principale Ingredienti per 4 persone: 1 cucchiaio di bacche di ginepro secche · 1½ cucchiaini di sale marino · 1½ cucchiaini di pepe nero in grani · 2 cucchiai di sciroppo d’acero · 2 cucchiai d’olio d’oliva · 1 pollo intero di circa 1,3 kg · 2 rametti di rosmarino · 1 pera piccola · 100 g di castagne surgelate. 1. Per la marinata. Pestate finemente le bacche di ginepro con il sale e il pepe

in un mortaio. Mescolate le spezie con lo sciroppo d’acero e 1 cucchiaio d’olio. Mettete la marinata da parte. Sciacquate il pollo con acqua fredda e asciugatelo. 2. Scaldate il forno a 175 °C. Staccate gli aghi di rosmarino dai rametti e tritateli finemente. Tagliate la pera a dadini. Mescolate entrambi con le castagne leggermente scongelate e con 1 cucchiaino di marinata. Farcite il pollo con le castagne e sigillatelo con spago da cucina. 3. Ungete una teglia con l’olio rimasto. Sistemate il pollo nella teglia e spennellatelo bene con la marinata rimasta. Cuocetelo in forno per circa 1½ ore. Togliete lo spago. Tagliate il pollo e servitelo con la farcia. Accompagnate con spätzli.

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Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 6 febbraio 2017 • N. 06

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Ambiente e Benessere

Gli occhi lucidi di Rod Laver per il grande ritorno di Roger Sportivamente Tante emozioni per il 18esimo Slam di Federer

Alcide Bernasconi Non posso certo ridurre il grande ritorno di Roger Federer, vincitore dell’Open d’Australia con una finale vinta contro Rafa Nadal – il maiorchino che in carriera gli ha pure dato molti dispiaceri – con un temino di quelli che hanno assicurato finora una discreta fama al «Federer fans club di via Collinetta».

La nota penna Gianni Clerici, su «la Repubblica», ha definito Federer una leggenda nel presente Alcuni miei conoscenti, oltre a qualche assiduo lettore della nostra «Azione», mi hanno chiesto di poter leggere qualcosa di via Collinetta. «Cioè sul 18esimo Slam di Federer», ho risposto abbastanza imbarazzato, per il fatto che si attendessero un’altra storiella che implicasse la nostra presidente Michelle e la sua reazione al successo del campione-eroe dopo cinque anni di attesa, a volte quasi disperata. Ed essendo io quasi sempre testimone (oltre che… bersaglio) delle sue reazioni, si trattava evidentemente di un’attesa vagamente eccitante. Su questo punto, comunque, suo marito mi ha assicurato trattarsi di un comportamento normalissimo, quindi di non preoccuparmi.

Australian Open tranquilli per me, nonostante sia afflitto, data l’età, da fastidiosi malanni. Infatti, Michelle e marito si sono recati in Australia per una breve vacanza, come dicono loro, e si sono visti, una dopo l’altra e dal vivo, tutte le vittorie del basilese. Come il campionissimo del passato Rod Laver, unico vincitore di due grandi Slam. Il vecchietto australiano aveva gli occhi lucidi quando le camere della tv lo inquadravano, dopo i colpi più spettacolari della finale. Non c’è dubbio che egli ammirasse entrambi i contendenti e che il suo cuore di tennista raffinato battesse per Federer e per i suoi colpi 1 3 4 effettuati con 2eleganza impareggiabile. Lasciandosi finalmente andare, anche la migliore penna del tennis Giannni 9 Clerici su «la Repubblica» ha definito Federer una leggenda nel presente, 13 14 mentre in un’intervista a fianco, Paolo Bertolucci – vincitore con gli azzurri della Coppa Davis 16 in Cile17 nel 1976 e di sei tornei Atp e pure numero 12 del mondo19 – ha elogiato a non finire il basilese. Significativa questa osservazione: «Incarna il desiderio di chi ama il tennis e lo vuole giocare: tutti hanno appeso il suo poster in camera». Lo spazio dedicato da giornali 22 e tv di tutto il mondo al successo del «Maestro» (6-4, 3-6, 6-1, 3-6, 6-3) è stato 24 e grande. Tutto è stato detto e scritto l’abbraccio appena accennato per rispetto reciproco fra Federer e Laver, 27 riproposto chissà quante volte in Australia dove, mancando ora campioni come quelli del passato, tutti sono tor-

Giochi per “Azione” - Gennaio bis 2017 Stefania Sargentini

(N. 5 - Circa sette metri di altezza) 5 6 Roger vincitore con la coppa al cielo11 e 10 l’ammirazione di Rod Laver. (Keystone)

7

8

12 15

18 pausa a fare il tifo per nati dopo la lunga lo svizzero. Federer imponendosi per la quinta 20 volta nell’Australian Open, ha portato a 18 le sue vittorie nei tornei del Gran21 de Slam. Lo segue Pete Sampras con 14 successi, tanti quanti ne ha totalizzati Rafa Nadal che, a 30 anni, sogna forse 23 un sorpasso. Tuttavia anche se dovesse riuscirci, il nostro Roger rimarrebbe 25 grande 26 di tutti i temcomunque il più pi. Lo ha affermato anche Clerici. Il giornalista e scrittore comasco, sottolineando pure il merito del coach Ivan Ljubicic («Non pensare a Rafa. Gioca libero, come se lui non esistesse», ripeté il

C I R A N O C A S E I T E R TSUDOKU E A PERT AZIO M N. 5 FACILE E E G T R I D I O tecnico ex giocatore sempre battuto da Federer sul Ccampo). I E R Schema I T I L T Ammirato dalle esibizioni sicure 7 a Melboudell’elvetico sin dall’inizio A L A C E R E O rne, Clerici scrisse subito che T avreb-A be vinto il torneo. A rafforzare1questa 2 convinzione ecco la vittoria sul giapZ O N E R ponese Nishikori nei quarti e poi il successo in semifinale nel derby conT A N A Z A tro un forte Wawrinka, l’ex tennista 5 6dubbio comasco aveva invece qualche C R I C per alcune giocate di Nadal. Poi egliO R 3 confessa di aver dubitato delle sue convinzioni quando, nel quinto e decisivoM A T E R I E set, Rafa si è portato sul 3-1. 4 Ma anche7i grandi critici possono sbagliare. Roger,

4 6 Vinci una delle 3 carte regalo da 50 franchi5con4 il cruciverba 6 2 8 e una delle 2 carte regalo da 50 franchi con il sudoku (N. 6 - Cina nord orientale) 8 5 3

Giochi Cruciverba Per scoprire di dove è originario l’albicocco risolvi il cruciverba e leggi nelle caselle evidenziate. (Frase: 4, 4, 9)

infatti, è risalito fino a portarsi in vantaggio (4-3) completando il capolavoro con un ultimo gioco, deciso dal «Falco» che mostrava la palla sulla linea, dopo essersi salvato (15-40) in questa finale mozzafiato. Mi è piaciuto vedere Mirka partecipare in tribuna a tutti gli alti e bassi del marito, ma sotto sotto convinta che ce l’avrebbe fatta. Ho ammirato anche la bella fidanzata di Nadal, inquadrata più volte, scrollare il capo nelle ultime battute. E tanti altri primi piani oltre allo scambio interminabile fra due campioni (29 colpi o giù di lì) vinto da Roger. Certo, con Djokovic e Murray eliminati anzitempo da altri avversari, Nadal e Federer sono approdati alla finale più facilmente (si fa per dire). Io ho cercato ancora fra gli spettatori Michelle e il marito. Inutilmente. La nostra presidente, quasi sempre inquadrata almeno una volta in altre occasioni per la sua bellezza e la sobria eleganza anche con la bandierina svizzera agitata forse solo per Roger («Sono 8 è stata ignorata 2 dal regiqui!») stavolta sta della tv: in campo contro un bravissimo Rafa c’era un redivivo 8 avversario 4 con la magia di essere Federer, come ha scritto Clerici, ora totalmente 7 2 1convinto di aver scoperto e scritto già nel 1999, seguendo un incontro di Davis Italia3che sarebbe diventato Svizzera, quello il più grande di tutti i tempi. L’abbrac6 il quale il giornalista cio di Laver, per continua a mantenere un’ammirazione senza defi8 limiti, 5 deve 9 averlo convinto 3 6 nitivamente.

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Sudoku

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C E Soluzione: Scoprire iA 3 numeri R corretti da inserire nelle caselle colorate. M O I S L L E E S R O I

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26. La cantante Rosalba Pippa 27. Il cacchione ne è la larva

19. Isola della costa dalmata 20. Stretta insenatura costiera 22. Articolo spagnolo (N.24. 5 -Pronome Circa sette metri di altezza) personale 25. Le hanno il topo e la talpa

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E O L I E

Regolamento per i concorsi a premi pubblicati su «Azione» e sul sito web www.azione.ch

I premi, cinque carte regalo Migros Partecipazione online: inserire la 19 del valore di 50 franchi, saranno sor- (N.soluzione del cruciverba o del sudoku 6 - Cina nord orientale) teggiati tra i partecipanti che avranno nell’apposito formulario pubblicato 1 2 3 4 5 6 fatto20pervenire sulla pagina del sito. 21 la soluzione corretta 8 entro il venerdì seguente la pubblica-7 Partecipazione postale: la lettera o zione del gioco. la cartolina10 postale che riporti la so9

Soluzione dellaSUDOKU settimanaPER precedente AZIONE - GENNAIO/FEBBRAIO 2017 CURIOSITÁ SUL PUMA – Il puma salta … CIRCA SETTE METRI DI ALTEZZA.

N. 5 FACILE Schema

(N. 7 - Le cause le vince chi non le fa)

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A N N 7 3R T O O A S 7 N T E C A 6 I V 5 A R I 9

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Giochi per “Azione” - Gennaio bis 2017 Stefania Sargentini N. 7 DIFFICILE

ORIZZONTALI 1. Contengono file cancellati 7. Tre isole dell’Irlanda 8. Un no al contrario 9. Il mio francese 10. Rosso a Londra 11. Si leggono in viso 12. Molti in libreria 13. Lungo gli uadi 14. Un anagramma di «remi» 18. Può essere a contatto 20. Un formaggio 21. Insidiosa offerta 22. In senso non letterale… 23. Re… di Francia 24. Controllano la direzione dei veicoli

VERTICALI 1. Montalbano è un suo personaggio 2. L’amore greco 3. L’ultimo Silvestro 1 5 4. Torna se 2ora non3 c’è… 4 5. Nome femminile 6. Perciò 10 in poesia 10. Un particolare tipo di vino 12. Un’educatrice 12 13. Misura per guantoni da box 14. Si paga a scadenza fissa 14 15. Simbolo sul monitor del pc 15 16. Pronome personale 17. Isole 17 del Tirreno 18

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Vincitori del concorso Cruciverba 11 20 su «Azione 04», del 23.1.2017: 21 Respini, G. Paltenghi, G. M. Cantanna 22

Vincitori del concorso Sudoku: 25 1626 su «Azione 2404», del 23.1.2017:

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B. Lasia, D.27 Garbarino

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Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 6 febbraio 2017 • N. 06

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Politica e Economia Un falco alla Corte suprema Donald Trump nomina Neil Gorsuch: è il giudice più giovane dell’ultimo quarto di secolo

Siria, segnali di pace senza Trump Il summit di Astana in Kazakistan, orchestrato da Russia, Turchia e Iran, porta qualche spiraglio di pace al conflitto siriano. In attesa che Wasghinton faccia il suo ingresso nella politica estera del Medio Oriente

Votazioni federali Il 12 febbraio si vota anche sulla naturalizzazione agevolata e sul Fondo per le strade

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Una pioggia di milioni La mini-amnistia federale sui capitali evasi, in concomitanza con l’avvicinarsi dello scambio automatico delle informazioni, fa emergere miliardi di franchi in nero, per la gioia del fisco dei cantoni pagina 21

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È Pechino il vero nemico di Trump Usa-Cina Il presidente americano sta

azzerando una rivoluzione geopolitica che potrebbe mettere in pericolo la supremazia americana nel mondo

Lucio Caracciolo Trump sta azzardando una rivoluzione geopolitica che potrebbe mettere in pericolo la primazia americana nel mondo. Il principio regolatore della sua politica estera è infatti la creazione di posti di lavoro in casa propria, il rilancio della manifattura e l’aggiornamento delle infrastrutture nazionali. Tutto il resto deriva di qui. A cominciare dal protezionismo e dalla messa in naftalina dei progetti obamiani di aree di libero scambio nell’Atlantico e nel Pacifico. Allo stesso tempo, la nuova amministrazione è convinta di essere in piena guerra mondiale contro il radicalismo islamico. Non è più guerra al terrorismo, ma a una religione che usa il terrorismo. Impegno potenzialmente infinito. E che necessita di tutte le risorse disponibili. Di qui anche il riavvicinamento alla Russia, utile su questo fronte. Quanto a noi europei, siamo sostanzialmente inutili. D’altronde, l’unica potenza veterocontinentale che interessa Trump è la Germania, accusata di manipolare l’euro e dunque combattuta come avversario nella competizione commerciale, e non solo. Resta da vedere come Trump saprà contenere e battere i contropoteri americani che si oppongono alla sua rivoluzione: un presidente in conflitto con la sua intelligence è novità assoluta. Ma anche nelle burocrazie, negli apparati, nel sistema giudiziario e nello stesso Congresso non mancano le forze disposte a sgambettarlo. Persino a organizzare un impeachment, se necessario. Il principale rivale degli Stati Uniti, sulla scena mondiale, rimane la Cina. Nemico ideologico, geopolitico e commerciale. Unica potenza in grado, sulla carta, di superare gli Stati Uniti come

fattore di potenza globale. Infatti, Cina e Stati Uniti sono in rotta di collisione. Con paradossale inversione dei ruoli classici, Xi Jinping si offre al mondo come araldo della globalizzazione e alfiere dell’economia verde. Per questo usa financo la tribuna di Davos, sancta sanctorum dell’élite capitalista. Donald Trump si erge a campione del protezionismo. Non essendo né filosofi né moralisti, entrambi considerano le rispettive strategie in linea con gli interessi nazionali. La Cina ha bisogno dei mercati mondiali, a cominciare da quello americano. Di più: i mandarini al potere sanno che il crollo delle esportazioni potrebbe comportare la loro fine. Gli Stati Uniti – non solo la nuova amministrazione – accusano i cinesi di barare al tavolo del commercio, mettendo a repentaglio benessere, coesione e sicurezza della superpotenza. E virano verso una strategia di strangolamento della Cina, dopo il pallido contenimento obamiano. L’offensiva di Trump ha una componente retorica che si esprime anche nel linguaggio diretto, a uso e consumo del suo elettorato. I cinesi conoscono questa tecnica. Non era Mao stesso a scherzare con Kissinger sulle «cannonate a salve» che di tanto in tanto si divertiva a sparare per mobilitare la sua gente e spaventare i nemici? Ma la stagione dell’allineamento antisovietico fra Washington e Pechino è passato remoto. Allora i leader dei due paesi si intendevano (quasi) al volo perché coltivavano il medesimo disegno in quanto coerente con la rispettiva geopolitica. Nel tempo le strategie si sono divaricate. Non ci si sforza troppo di entrare nella testa altrui, o lo si fa attribuendo all’interlocutore la propria logica. Codici culturali, stereotipi e pregiudizi disturbano la comunicazione fra leader

Cinesi festeggiano il capodanno lunare che cade il 28 gennaio. (AFP)

cinesi e americani. Quando Obama discuteva con Hu o con Xi non ne usciva un dialogo, solo due monologhi paralleli. Possiamo figurarci quale empatia muoverà Trump e Xi. Non capirsi è grave sempre, ma diventa pericoloso in tempi di crisi. Perché la contrapposizione sino-americana non è mera propaganda, discende dal conflitto fra interessi difficilmente componibili. Gli ottimisti assicurano che economia e finanza dei due paesi sono talmente imbricate da escludere la guerra, armata o commerciale. Risuonano le sfortunate tesi di Norman Angell sulla futilità dello scontro militare fra economie interdipendenti, che precedettero di pochi anni lo scoppio della Grande guerra. Seguendo tale copione,

il neonazionalismo cinese si piegherà all’imperativo di accedere al mercato americano e alla coscienza della superiorità militare a stelle e strisce. Il protezionismo trumpiano, espressione geoeconomica del nazionalismo americano, vorrà autolimitarsi per evitare le rappresaglie della Cina contro le merci americane prodotte sul suo territorio. E per non correre il rischio che a Pechino qualcuno per disperazione prema il bottone rosso della mutua distruzione assicurata, convertendo oltre un trilione di buoni del Tesoro Usa in euro. Valutazioni più realistiche inducono a considerare che un grande compromesso sino-americano sia tutt’altro che scontato. Comunque sarebbe pre-

ceduto da una lunga fase di turbolenza, nella quale l’improbabile slittamento verso il ricorso alle armi non potrebbe essere escluso. Per questo occorre tenere d’occhio due scenari: quello coreano, con il regime del Nord che sta allestendo missili balistici in grado di colpire gli Usa, e che Washington considera erroneamente un alleato di Pechino; e i mari cinesi, oggetto di permanente disputa di sovranità fra la Cina e i suoi vicini, più o meno appoggiati dagli Stati Uniti. Se la competizione fra Usa e Cina diventerà calda, la guerra probabilmente scoppierà in uno di questi due quadranti geopolitici. E, come quasi sempre, sarà per caso, non per una precisa strategia.


Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 6 febbraio 2017 • N. 06

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Politica e Economia

Monopolio repubblicano

Corte suprema D onald Trump nomina il giudice 49enne Neil Gorsuch, noto per le sue posizioni conservatrici,

restaurando così una maggioranza di destra nella più alta istanza giudiziaria statunitense

Federico Rampini E adesso dove finiranno i «contropoteri», i famosi «checks and balance» che garantiscono la liberaldemocrazia americana dalle derive autoritarie? La destra si avvia a fare un «en plein» micidiale, restaurando una maggioranza repubblicana anche alla Corte suprema. Donald Trump blinda il massimo organo giudiziario e così facendo si rilancia: l’annuncio del suo candidato al tribunale costituzionale martedì scorso ha ricompattato la destra, uscendo da quei terribili quattro giorni di caos sul decreto anti-immigrati in cui il presidente era parso in evidente difficoltà, sulla difensiva, attorniato da un mare di critiche. Era una mossa attesa, cionondimeno gli è riuscita bene. C’era da riempire un seggio vacante nel «terzo potere» americano, quella Corte costituzionale che ha scritto tante pagine di storia di questo Paese. Quasi un anno fa moriva Antonin Scalia, italo-americano, pilastro ultraconservatore in un tribunale dove i repubblicani erano 5 contro 4. Toccava a Obama sostituire Scalia ma non ci fu verso. Forti della loro maggioranza al Senato, che deve ratificare le nomine presidenziali, per 11 mesi i repubblicani rifiutarono perfino di esaminare il candidato di Obama, benché fosse un centrista moderato. Ora assaporano la loro rivincita. Il Senato è sempre nelle loro mani, alla Casa Bianca c’è Trump, un ostruzionismo democratico potrà solo rallentare l’ineluttabile. «Useremo l’opzione nucleare» contro l’ostruzionismo, ha detto Trump: parole grosse, ma è un termine in gergo per la procedura d’emergenza che aggira le dilazioni della minoranza, la minaccia è già stata messa sul tavolo dai notabili repubblicani al Senato.

Prenderà il posto vacante di Antonin Scalia, pilastro ultraconservatore in un tribunale dove i repubblicani erano 5 contro 4 Trump ha azzeccato il nome giusto. Il suo uomo è Neil Gorsuch, che finora presiedeva la corte d’appello del Colorado, un magistrato dalle credenziali professionali impeccabili. Profonda-

mente religioso e ultraconservatore, Gorsuch è un antiabortista che piace ai fondamentalisti evangelici i cui voti sono stati essenziali per Trump l’8 novembre. Ha fama di essere ostile a tutto ciò che va sotto il nome di «affirmative action» cioè le politiche intese a promuovere l’ascesa socio-economica delle minoranze etniche. È un giudice ideale per rafforzare la componente di destra che ritroverà così la maggioranza in seno alla Corte. Ha altre due qualità. A 49 anni diventerà il più giovane tra i giudici costituzionali e poiché l’incarico è a vita significa che la sua poltrona sarà prevedibilmente repubblicana per decenni. Inoltre lui debuttò come allievo-aiutante di un altro membro della Corte, Anthony Kennedy. Quest’ultimo è un repubblicano, nominato da Ronald Reagan, ma è un moderato che non esita a schierarsi coi democratici se così gli detta l’indipendenza di giudizio. Kennedy è stato decisivo per far oscillare a sinistra la bilancia costituzionale, quando si spostava con la minoranza democratica. A 80 anni, Kennedy non vede l’ora di andare in pensione. La nomina di un suo allievo per il seggio vacante può rassicurarlo e spingerlo a ritirarsi. Questo darebbe la possibilità a Trump di nominare un altro giudice che sarebbe di sicuro ben più conservatore di Kennedy. Altri seggi potrebbero liberarsi per ragioni di età. L’autorevole decana democratica Ruth Bader Ginsburg ha 83 anni. È possibile che Trump diventi uno dei presidenti che lasciano un segno profondo nella Corte, con conseguenze che si misureranno per decenni. La contro-riforma di Trump, la volontà di demolire tutto ciò che ha costruito Barack Obama, investe temi che possono arrivare davanti ai giudici costituzionali: dall’immigrazione all’ambiente. Tra le riforme di Obama su cui la Corte potrebbe fare marcia indietro – dopo averle approvate in passato – ci sono i matrimoni gay e la sanità «Obamacare». Potrebbero tornare in discussione conquiste più antiche come l’aborto. Le scuole private religiose avranno alleati potenti nel tribunale costituzionale. E il sogno dei progressisti di ottenere un’interpretazione più restrittiva del diritto alle armi, si scontrerà con l’interpretazione rigida del Secondo Emendamento. Può finire davanti alla Corte suprema un altro tema su cui Trump punta molto: il diritto di voto per le minoranze. Dietro le bugie che il pre-

Il giudice Neil Gorsuch stringe la mano a Donald Trump dopo la sua nomina alla Corte suprema. (AFP)

sidente continua a cavalcare, sui milioni di immigrati illegali che avrebbero votato per Hillary Clinton, c’è un progetto caro alla destra soprattutto nel profondo Sud: impedire il voto ai neri e ad altre minoranze che furono decisive per portare Obama alla Casa Bianca. I brogli non esistono, lo hanno confermato i governatori repubblicani responsabili della regolarità delle elezioni. Ma la parola «brogli» è un segnale in codice: non si tratta di immigrati clandestini bensì di cittadini americani al 100%, con la pelle più scura, che si vogliono allontanare dai seggi elettorali. La diffusione di controlli d’identità è lo strumento con cui la destra cerca di reintrodurre forme di segregazione pre-diritti civili. Impedirlo è una prerogativa del governo centrale. Ma gli Stati del Sud si appellano al federalismo presso la Corte suprema, per calpestare i diritti elettorali. Un monocolore repubblicano che controlla Casa Bianca, Congresso e Corte suprema, faciliterà ogni disegno di restaurazione. Sul nome di Gorsuch dunque si è

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ricompattata la maggioranza repubblicana che era parsa vacillare durante la tempesta sul decreto sigilla-frontiere, quello con cui il 27 gennaio il presidente aveva bloccato gli ingressi da sette paesi a maggioranza islamica, e sospeso l’accoglienza di profughi siriani. Il culmine delle proteste contro quell’ordine esecutivo si era verificato con la discesa in campo di Barack Obama, costretto a tornare nell’arena politica contro il suo successore, appena dieci giorni dopo il pensionamento. Rompendo con la tradizione di non intervento degli ex presidenti, Obama si è unito alla vasta coalizione che protesta contro il bando anti-islamici. L’ex presidente si è detto «confortato dal livello di mobilitazione, che corrisponde esattamente a quello che vogliamo vedere quando i valori dell’America sono minacciati». Attraverso un portavoce, Obama ha espresso «disaccordo fondamentale rispetto al concetto di discriminare le persone in base alla loro religione». È un altro shock inaudito questo scontro fra due presidenti, ma è tutto senza precedenti nell’era Trump. Sembra quasi che il neopresidente se l’aspettasse, questo ritorno in forze del predecessore. Prima ancora, infatti, Trump si era difeso tirando in ballo Obama: invocando il precedente del 2011 in cui era stato sospeso per sei mesi l’afflusso di rifugiati iracheni; e attribuendo a Obama stesso la selezione dei sette paesi più rischiosi come potenziali riserve di terroristi. Si accentua l’isolamento di Trump nel mondo, senza che questi dia il minimo segno di pentimento. All’estero le condanne sono venute dall’Onu, da alleati-ex-occupati come l’Iraq dove il Parlamento chiede ritorsioni, fino a includere la Gran Bretagna. A Londra una petizione per cancellare l’invito della Regina Elisabetta a Trump ha raggiunto in poche ore 1,5 milioni di firme. Perfino un populista del fronte Brexit come il ministro degli Esteri Boris Johnson ha definito «fortemente controverso» l’ordine esecutivo sulle frontiere. All’interno degli Stati Uniti il gesto estremo di Trump ha creato una fronda di diplomatici, con un memorandum di mille dirigenti ribelli al Dipartimento di Stato che vogliono ignorare le diretti-

ve. Ma il portavoce del presidente gli ha risposto secco: «Se non siete d’accordo, andatevene». Più complicato per la Casa Bianca è l’ostacolo del federalismo: diversi ministri della Giustizia degli Stati Usa governati dai democratici fanno ricorso per incostituzionalità del decreto sigilla-confini. Questo accresce le forze messe in campo sul fronte giudiziario, dopo che vari magistrati federali avevano bloccato con ordinanze locali le espulsioni dagli aeroporti di New York, Boston, Washington, San Francisco, generando confusione. Una certa cacofonia c’è anche ai piani altri dell’Amministrazione dove il generale John Kelly, nuovo segretario alla Homeland Security, voleva esentare dal blocco i detentori della Green Card. Poi questo gesto deve essere sembrato un dietrofront che sconfessava il presidente, e quindi per le Green Card si è tornati a un limbo di controlli discrezionali. Non basta avere questo «permesso legale di residenza permanente» (nome ufficiale della Green Card), se si è cittadini di uno dei sette paesi inclusi nel bando bisogna comunque ottenere un «waiver» o esenzione dalle autorità consolari Usa del proprio Paese. E Trump passa all’attacco contro quella Silicon Valley che lo ha criticato duramente: minaccia un riesame dei visti H1B, quelli usati dalle aziende hi-tech (e non solo loro) per assumere personale qualificato dall’estero. Ma chi legga la stampa europea, o giornali liberal come il «New York Times» e il «Washington Post», può avere una sensazione sbagliata. Può pensare cioè che Trump si sia cacciato in un vicolo cieco, in un isolamento drammatico. C’è perfino chi sogna il suo impeachment. In realtà quella parte di America che lo ha eletto non lo molla. Nell’insieme ha l’impressione che il presidente stia mantenendo quello che prometteva nei suoi comizi elettorali. Alla lettera. E già questa è una novità positiva rispetto all’immagine dei politici tradizionali che promettono una cosa e ne fanno un’altra. Inoltre il partito repubblicano ha una maggioranza confortevole, l’impeachment quindi dovrebbe votarlo almeno una parte dei parlamentari della destra. Che non ci pensano proprio.


Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 6 febbraio 2017 • N. 06

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Politica e Economia

Siria, segnali di pace

Cessate il fuoco Il futuro di Damasco passa per Astana in Kazakistan, dove i colloqui promossi da Russia, Turchia

e Iran hanno portato a risultati tangibili. Senza l’intervento degli Stati Uniti e nella totale impotenza dell’Onu

Marcella Emiliani L’8 febbraio avrebbero dovuto riprendere a Ginevra i negoziati di pace sponsorizzati dall’Onu per il conflitto in atto dal 2011 in Siria, ma il 27 gennaio scorso il ministro degli Esteri russo, Sergey Lavrov, annunciava che l’ennesimo round delle trattative fra il governo di Damasco e le «opposizioni» sarebbe stato posticipato per lo meno alla fine del mese. Nel tentativo un po’ goffo di rimediare all’improntitudine di Mosca, Yara Sharif, portavoce dell’inviato speciale delle Nazioni Unite per la Siria, Staffan de Mistura, si affrettava a smentire Lavrov, ma il guaio ormai era fatto. Se la Russia si permetteva di annunciare il rinvio di una scadenza Onu significava solo due cose: che ormai Putin era diventato il vero regista delle sorti della Siria e, quanto all’Onu, oggi più impotente che mai, non poteva sperare di strappare a Ginevra niente più di quanto era stato appena concordato ad Astana in Kazakistan dal summit per la pace in Siria orchestrato dalla Triade Russia-Turchia-Iran, ovvero l’ennesimo cessate il fuoco tra le parti. Detto in parole povere, cosa poteva portare a casa Staffan de Mistura a Ginevra senza sapere che posizione avrebbe assunto sulla Siria il vero convitato di pietra dei negoziati cioè il nuovo presidente degli Stati Uniti, Donald Trump? E cosa intenda fare Trump in Siria non è ancora chiaro, anche se due cose frettolosamente le ha già annunciate: in primo luogo che intende continuare a combattere l’Isis a qualsiasi latitudine, ma non è più disposto a sostenere, come ha fatto Obama «le opposizioni» al regime di Bashar al-Assad. In secondo luogo ha incluso la Siria tra i sette paesi musulmani ai cittadini dei quali ha vietato l’ingresso negli Stati Uniti (che sono Iraq, Iran, Yemen, Libia, Siria, Somalia e Siria, appunto). Il cosiddetto Muslim Ban è destinato ad avere pesanti ripercussioni umane, politiche ed economiche di cui al momento non si riesce nemmeno a valutare la gravità. Ma tant’è: that’s Trump revolution!

In attesa di capire che direzione prenderà la politica estera Usa in Medio Oriente, in Siria il gioco rimane nelle mani della triade RussiaTurchia-Iran In attesa, dunque, di capire meglio assieme a Staffan de Mistura che direzione prenderà la politica estera americana nell’intero Medio Oriente, in Siria il gioco rimane nelle mani della Triade, col fiato sospeso. Se infatti fra Trump e Putin sembra esserci un’empatia che andrà tutta verificata nei fatti, rimangono molto problematici i rapporti tra gli Usa e la Turchia e soprattutto tra gli Usa e l’Iran. Ancora Trump, in campagna elettorale, ha più volte urlato che tutti i guai degli Stati Uniti in Medio Oriente sono cominciati con l’accordo sul nucleare iraniano del 2015 che – a suo parere – andrebbe cancellato. Autorità iraniane, dal presidente Rouhani alla Guida della rivoluzione Khamenei, l’hanno già messo sull’avviso di non toccare quell’accordo, cosa che peraltro hanno fatto anche alcuni degli altri cofirmatari come la Francia e la Germania, senza suscitare reazioni «costruttive» da parte del nuovo presidente americano.

Nel frattempo però l’Iran ha cominciato a inviare a Washington messaggi più inquietanti: non più tardi di domenica 29 gennaio ha infatti effettuato il primo test di un missile balistico a medio raggio dell’era Trump in apparente violazione della risoluzione Onu n. 2231, in base alla quale Teheran non avrebbe dovuto effettuare test simili prima di otto anni dalla firma dell’accordo medesimo. L’Onu, su richiesta degli Usa, ha convocato d’urgenza il Consiglio di sicurezza per verificare l’esatta natura del test, l’Iran si è affrettato a chiarire che il missile testato non era di quelli abilitati a trasportare testate nucleari, dunque il dettato Onu non era stato violato, e il premier israeliano Netanyahu si è precipitato a dichiarare che chiederà al presidente americano di rinnovare le sanzioni al regime degli ayatollah. Ma la cosa importante da sottolineare è che, al di là delle parole, quel missile era un avvertimento agli Stati Uniti. Anche se non sono in ballo – per ora – testate nucleari, l’Iran manda a dire a Washington che è in grado di colpire l’Arabia Saudita e gli Emirati, amici di Trump (non a caso esclusi dal Muslim Ban), o di bloccare come e quando vuole l’intero traffico petrolifero che transita per lo Stretto di Hormuz con grave danno se non per gli Usa – che hanno ormai raggiunto l’autosufficienza energetica – certamente per l’Europa e per la maggioranza dei produttori di greggio della penisola arabica. Che effetti avrebbe un’escalation della tensione fra Stati Uniti e Iran su uno scenario di guerra già intricato e complesso come quello siriano? Si ha paura solo a pensarlo. In Siria infatti, allo stato attuale delle cose, si giocano almeno quattro conflitti: tra il regime di Bashar al-Assad e le «opposizioni» altrimenti dette «ribelli»; tra il blocco sciita rappresentato dal regime di Damasco-Russia-Iran-Hezbolla h libanesi da una parte e le «opposizioni» sunnite sostenute da Stati Uniti di Obama-Turchia-Arabia Saudita-parte degli Emirati dall’altra; tra regime di Damasco-Russia-Iran-Hezbollah-Turchia-parte delle «opposizioni» – Stati Uniti di Obama-Curdi e l’Isis; e infine una lotta ancora difficile da definire tra le varie fazioni islamiste e jihadiste sunnite che afferiscono o dicono di afferire al blocco delle «opposizioni». Un caos affollato a geometria variabile che negli ultimi tempi si è leggermente semplificato in virtù di tre avvenimenti cruciali: innanzitutto la vittoria riportata nel dicembre scorso da parte del regime di Bashar al-Assad e dai suoi alleati Russia, Iran e Hezbollah libanesi ad Aleppo, che era l’ultima roccaforte delle «opposizioni». Una vittoria che – strumentalizzando la guerra contro l’Isis – in realtà è avvenuta soprattutto ai danni dei «ribelli» che sono stati costretti a cedere quando si è concretata sul terreno l’intesa tra Russia (patron ufficiale del regime) e Turchia (nominalmente madrina dei «ribelli»). Intesa che peraltro ha cominciato a impensierire non poco l’Iran che teme che la Russia giochi a tutto campo finché le conviene, ma sia pronta a sacrificare gli interessi degli alleati, nel caso specifico quelli di Teheran, nella sua entente reale con la Turchia sunnita e in quella per ora virtuale con gli Usa di Trump. I sospetti dell’Iran sono stati confermati in parte dall’andamento del vertice di Astana, la maratona di due giorni iniziata il 23 gennaio in Kazakistan, dove Teheran, al di là delle dichiarazioni altisonanti, ha giocato un ruolo marginale rispetto a Mosca e ad Ankara. Detto in altre parole, l’Iran ha tenuto in piedi col solo aiuto degli Hezbollah libanesi

Staffan de Mistura, l’inviato Onu per la Siria, al termine dei colloqui di pace ad Astana. (AFP)

il regime di Bashar fino al 2015 quando Putin è intervenuto militarmente a fianco di Damasco. Da quel momento solo Mosca ha realmente capitalizzato la sua presenza in Siria garantendosi una grossa presenza nel Mediterraneo con la base navale di Tartus e quella aerea di Khmeimim a Latakia, nonché trasformando la Siria nel trampolino per espandere la sua influenza anche in Libia in cui ha trovato un’altra intesa, questa volta col generale Haftar ufficialmente in funzione anti-Isis.

In Siria allo stato attuale, si giocano almeno quattro conflitti: un caos affollato a geometria variabile Il cessate il fuoco negoziato ad Astana – il secondo degli avvenimenti importanti degli ultimi tempi – su questo sfondo si configura più che altro come un fermo dei giochi negoziato per la prima volta senza l’intervento degli Stati Uniti, in attesa del famoso con-

vitato di pietra, cioè di Trump, e non certo dell’Onu. E questo l’hanno capito soprattutto le cosiddette «opposizioni» all’interno delle quali è iniziato un nuovo gioco a geometria variabile, la terza novità dell’ultimo lasso di tempo. Il 25 gennaio, infatti, una delle più grosse formazioni che affianca il Libero Esercito della Siria per combattere il regime di Bashar al-Assad, Ahrar al-Sham (Uomini liberi della Grande Siria, islamista ma non jihadista) ha annunciato di aver «inglobato» nei suoi ranghi altre sei formazioni «ribelli» per respingere gli attacchi di Jabhat Fateh al-Sham (Fronte della Conquista del Levante, ex Fronte al-Nusra di origine qaedista). Jabhat Fateh al-Sham infatti avrebbe attaccato il Libero Esercito della Siria, alleato di Ahrar al-Sham, ad Aleppo (peraltro controllata dalle forze fedeli a Bashar) per punirlo della partecipazione al vertice di Astana. I sei gruppi che hanno confermato la loro adesione ad Ahrar al-Sham sono: Alwiyat Suqour al-Sham, Fastaqim, Jaish al-Islam’s (branca di Idlib), Jaish al-Mujahideen e al-Jabha al-Shamiya’s (branca di Aleppo ovest) e le Sham Revolutionary Brigades.

Tanto per chiarire, né il jihadista Jabhat Fateh al-Sham né Ahrar alSham hanno partecipato al vertice di Astana poiché sono entrambi ritenuti formazioni terroristiche da parte di Damasco e Mosca. Ma Ahrar al-Sham non è ritenuto tale né dalla Turchia, né dagli Stati del Golfo, né dai furono Stati Uniti di Obama. In tutti i casi queste agglutinazioni delle «opposizioni» stanno a significare che i «ribelli» cercano in tutte le maniere di rimediare al loro frazionamento. Ma soprattutto cercano di uscire dal calderone indistinto del terrorismo, che – come è ormai noto – è l’accusa che il regime di Bashar al-Assad usa per tutti quanti lo osteggiano. Si tratta di un primo passo per qualificare l’opposizione medesima che fino ad oggi, in sette anni di guerra, non è mai riuscita a presentarsi come un’alternativa credibile al regime di Damasco. Responsabilità che però ricade non solo sugli stessi «ribelli» ma anche sui troppi interessi che hanno trasformato la Siria in un risiko di potenze grandi e piccole, senza nessun riguardo per la sua popolazione e a tutto vantaggio, per ora, di Bashar al-Assad.


Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 6 febbraio 2017 • N. 06

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Politica e Economia

Naturalizzazione: agevolata, ma contestata Votazioni federali Il 12 febbraio i cittadini sono chiamati ad esprimersi su un decreto federale

che comporta una modifica della Costituzione – A beneficiarne sarebbero soltanto giovani stranieri fino a 25 anni di terza generazione ben integrati Alessandro Carli Il 12 febbraio i cittadini svizzeri si esprimeranno sul decreto federale concernente la naturalizzazione agevolata degli stranieri della terza generazione, ciò che comporta una revisione della Costituzione. Attualmente, la naturalizzazione agevolata è prevista, ad esempio, per i coniugi stranieri di cittadini svizzeri. Governo e Parlamento intendono ora introdurla anche per i giovani stranieri la cui famiglia vive in Svizzera da generazioni e che sono bene integrati nel nostro Paese. Per i fautori, si tratta di un atto dovuto a chi è nato nel nostro Paese. Sebbene il rilascio del passaporto rossocrociato non sia automatico e nonostante i severi criteri previsti, il progetto è contestato, in particolare dall’Unione democratica di centro, che accusa la sinistra di voler «svendere» la nazionalità svizzera. In nome del federalismo, vi si oppongono anche diversi senatori PPD e PLR. Gli stranieri nati e cresciuti in Svizzera non ottengono automaticamente la cittadinanza svizzera e, in genere, non beneficiano nemmeno di una procedura di naturalizzazione agevolata. La naturalizzazione è disciplinata in modo differenziato dai cantoni, la maggior parte dei quali già concede agevolazioni ai discendenti d’immigrati. Non è la prima volta che il popolo è chiamato a esprimersi in materia. Progetti di naturalizzazione facilitata sono già stati respinti tre volte. L’ultima risale al 2004, quando il 51,6% dei cittadini si è espresso contro il rilascio automatico del passaporto agli stranieri di terza generazione. La consigliera nazionale Ada Marra (PS/VD), figlia di immigrati italiani, ha presentato nel 2008 un’iniziativa

parlamentare secondo cui «la Svizzera deve riconoscere i propri figli». Nella sessione autunnale 2016, approvando la revisione della legge sulla cittadinanza, il Nazionale e gli Stati hanno raggiunto un’intesa: gli stranieri della terza generazione devono poter beneficiare di una naturalizzazione agevolata, volta a evitare loro intralci amministrativi e costi, che potrebbero diminuire persino di quattro volte. Attualmente, l’onere complessivo di una procedura ordinaria (tasse comunali, cantonali e federali) può superare i 3000 franchi. Ma attenzione: i necessari adeguamenti legislativi potranno entrare in vigore soltanto se questa modifica costituzionale sarà accettata e se la revisione della legge sulla cittadinanza non sarà contestata da un referendum. Per Ada Marra «le terze generazioni hanno praticamente solo legami turistici e simbolici con il paese di provenienza dei nonni. La loro realtà è quella svizzera». Le Camere si sono opposte all’introduzione di una naturalizzazione automatica e hanno stabilito chiare condizioni per la naturalizzazione agevolata. Per beneficiarne, uno straniero di terza generazione dovrà farne domanda, avere meno di 25 anni, essere nato in territorio elvetico, avervi frequentato per almeno cinque anni la scuola dell’obbligo ed essere titolare di un permesso di domicilio (permesso C). Inoltre, uno dei due genitori deve aver soggiornato in Svizzera per almeno dieci anni, avervi frequentato la scuola dell’obbligo per almeno cinque e aver ottenuto un permesso C. Per quanto riguarda i nonni del candidato, almeno uno deve aver acquisito un diritto di dimora in Svizzera o esservi nato. Il tutto reso verosimile da documenti ufficiali. Secondo l’autrice, il progetto approvato dal Parlamento permette di

Sarebbero soprattutto giovani italiani a poter usufruire della naturalizzazione agevolata. (Keystone)

compiere due passi in avanti: circa l’onere della prova, non spetterà più al giovane candidato dimostrare d’essere integrato, ma alle autorità cantonali che non lo è. Un aspetto, questo, che dà fastidio all’UDC. Ada Marra rammenta che l’articolo costituzionale permetterà di armonizzare le diverse pratiche cantonali. La deputata socialista interpreta come un segnale incoraggiante il rifiuto, nel 2008, dell’iniziativa popolare dell’UDC «Per naturalizzazioni democratiche». Quest’ultima prevedeva che le procedure di naturalizzazione dovessero essere sottoposte a votazione popolare nei comuni.

Per l’UDC, «nel momento in cui i problemi dell’integrazione si accentuano, occorre inasprire i controlli e non alleggerirli. Già oggi – sostengono i democentristi – la Svizzera naturalizza persone che non sono integrate e che non si identificano con l’ordinamento esistente. Parlando di «naturalizzazioni incontrollate», l’UDC ha pubblicato insegne provocatorie che mostrano una donna col burqa. Questo partito sottolinea che, secondo il progetto in votazione, le persone candidate alla nazionalità svizzera, come detto, non dovranno più dimostrare d’essere integrate e dunque potranno anche «nascondere il viso».

a quelli già esistenti, ossia il 100% del supplemento fiscale sugli oli minerali e il 100% del contrassegno autostradale. Tra le nuove fonti a destinazione vincolata figureranno tutte le entrate dell’imposta sugli autoveicoli e il 10% in più (60% contro l’attuale 50%) dell’imposta sugli oli minerali (queste due voci fruttano 650 milioni, ora attribuiti alle casse federali). A partire dal 2020, ci sarà anche il 100% della tassa sui veicoli elettrici. Città e cantoni, che sostengono il progetto, parteciperanno dal 2020 con 60 milioni di franchi all’anno all’integrazione di 400 km di strade cantonali nella rete nazionale, integrazione respinta dal popolo nel 2013, perché era abbinata all’aumento a 100 franchi del contrassegno autostradale. Non prima del 2019, ci sarà anche un aumento di 4 centesimi del supplemento fiscale sugli oli minerali, fermo dal 1974 a 30 centesimi e mai adeguato. Il potenziamento stradale avverrà gradualmente: per la fase di realizzazione 2030 saranno impiegati circa 6,5 miliardi di franchi. Per il Ticino, l’adozione del nuovo fondo significa dare una valenza nazionale alla tratta Bellinzona-Locarno per la realizzazione di questo collegamento veloce. Poi vi è la realizzazione dei programmi d’agglomerato nel Locarnese, Bellinzonese, Luganese e nel Mendrisiotto. Tutti progetti che traggono vantaggio

dal nuovo fondo. Se gli obiettivi che il FOSTRA si prefigge non sono contestati, il suo finanziamento è però stato oggetto di tensioni. L’aumento del supplemento fiscale sui carburanti ha sollevato le proteste della destra e della lobby stradale. È stato così limitato ai citati 4 centesimi, contro i 15 iniziali. Dopo il naufragio dell’iniziativa popolare «vacca da mungere», che voleva attribuire alla strada la totalità del gettito dell’imposta sugli oli minerali, gli ambienti stradali sono riusciti a convincere il Parlamento ad aumentare dal 50% al 60% la parte attribuita alla strada. Una concessione che ha indignato la sinistra, secondo cui gli automobilisti non contribuiscono abbastanza al fondo che, afferma l’Associazione traffico e ambiente (ATA), costerà sei volte di più al contribuente rispetto al FAIF. «Piuttosto che asfaltare il territorio – sottolinea – occorre investire in una gestione intelligente del traffico». Vi sono però anche deputati socialisti e Verdi che fanno campagna per il FOSTRA, per non attizzare il confronto ferrovia-strada, che penalizza i trasporti pubblici. E se il nuovo fondo a durata indeterminata fosse bocciato? Per le autostrade potrebbe essere garantito solo il mantenimento dell’infrastruttura, senza eliminare i problemi di capacità, né possibilità di ricuperare ritardi nella viabilità, già ora troppo vistosi. / AC

Un fondo anche per le strade Il futuro fondo per le strade nazionali e il traffico d’agglomerato (FOSTRA), su cui ci pronunceremo il 12 febbraio, solleva resistenze solo a sinistra. Consiglio federale e Parlamento sono convinti che questo strumento permetterà di eliminare le code sulle autostrade e di rendere il traffico più scorrevole negli agglomerati. Consentirà pure di finanziare l’esercizio e la manutenzione della rete delle strade nazionali. Nel fondo, di durata indeterminata, confluiranno circa tre miliardi di franchi all’anno. La sua istituzione richiede una modifica costituzionale. Questo oggetto è il meno controverso dei tre in votazione il prossimo fine settimana e dovrebbe essere accolto. Popolo e cantoni, con una maggioranza del 62%, hanno sostenuto tre anni fa l’introduzione nella Costituzione di un fondo di durata illimitata per il finanziamento e l’ampliamento dell’infrastruttura ferroviaria (FAIF), entrato in vigore il 1° gennaio 2016. Il fondo per il traffico stradale vuole essere il gemello di quello ferroviario. È più che mai giunto il momento di regolare in modo duraturo anche il finanziamento delle infrastrutture stradali. Sulle strade nazionali, dal 1990 il traffico privato è raddoppiato. Nelle ore di punta, varie autostrade non sono più in grado di smaltire tutti i veicoli che vi affluiscono. Secondo le «Prospettive di traffico

2040» della Confederazione, il numero delle auto continuerà a crescere. Favorevole all’istituzione del FOSTRA, il consigliere nazionale Fabio Regazzi (PPD) ricorda che nel 2015 sulla rete delle strade nazionali si sono registrate 23’000 ore di colonne, con costi per l’economia stimati in 1,6 miliardi di franchi. Un problema che non va sottovalutato, poiché non provoca soltanto stress e inquinamento, ma ostacola il buon funzionamento dell’economia. Garantendo il finanziamento delle strade nazionali e il loro potenziamento si potranno risolvere questi problemi. Il fondo permetterà di sostenere anche progetti in favore del traffico d’agglomerato, con un importo annuo di 390 milioni di franchi. Il FOSTRA sostituirà l’attuale fondo infrastrutturale (FI), risalente al 2008, le cui risorse hanno permesso di finanziare progetti per il completamento della rete delle strade nazionali, per l’eliminazione dei problemi di capacità e per progetti di viabilità negli agglomerati. Il FI ha però una durata determinata e le sue risorse sono state ampiamente attribuite. Da qui la necessità del nuovo fondo, che beneficerà di finanziamenti aggiuntivi e che dovrebbe entrare in vigore nel 2018. Per poter coprire il disavanzo che si prospetta per i prossimi anni, sono previsti nuovi finanziamenti a destinazione vincolata, che si aggiungono

I fautori replicano che un giovane nato in Svizzera, dove ha frequentato le scuole, ha imparato a parlare correntemente la lingua del luogo e ne vive la realtà sociale e politica, ben difficilmente potrà essere considerato «non integrato». Ma i giovani ben integrati – osserva l’UDC – non faticheranno a diventare svizzeri seguendo la procedura ordinaria. È dunque inutile modificare la Costituzione. Anche diversi senatori PPD e PLR, in nome del federalismo, si oppongono alla naturalizzazione agevolata dei giovani stranieri di terza generazione. Essi non sono contrari all’agevolazione, ma faticano ad accettare che in futuro la concessione della cittadinanza sia affidata alla Confederazione e non più a cantoni e comuni. In caso di accettazione della modifica costituzionale, che nell’ultimo sondaggio sarebbe in vantaggio (51% contro 47%), in tutto sarebbero circa 25’000 i giovani tra i 9 e i 25 anni che in teoria potrebbero approfittare della naturalizzazione agevolata. La maggior parte possiede la nazionalità italiana. Seguono i giovani originari della Turchia e dei Balcani. Anche se con la procedura agevolata si consulterà sempre il casellario giudiziale, l’UDC si chiede chi verificherebbe le conoscenze linguistiche o la vicinanza all’estremismo dei candidati. Lontana dai comuni che conoscono i candidati, la Confederazione potrebbe ammettere talpe di organizzazioni terroristiche o scolari che si rifiutano di stringere la mano alla loro insegnante. Il partito denuncia anche la «naturalizzazione di massa senza precedenti» degli ultimi anni. Infatti, dal 2001 la cittadinanza svizzera è stata accordata mediamente a 40’000 persone all’anno. Nel 2015, a ottenere il passaporto rossocrociato sono stati in 40’888, contro i 33’325 del 2014. Questo incremento può essere motivato dall’incertezza legata all’applicazione delle iniziative «Contro l’immigrazione di massa» (approvata il 9 febbraio 2014) e «Per l’attuazione dell’espulsione degli stranieri che commettono reati» (respinta nel febbraio del 2016). A influire vi sono pure gli inasprimenti annoverati nella citata revisione della legge sulla cittadinanza svizzera, che precisa i criteri per ottenerla con procedura ordinaria o agevolata, revisione che dovrebbe entrare in vigore nel 2018.


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Politica e Economia

Molte autodenunce spontanee di capitali in nero

Denaro pulito La mini-amnistia per i capitali nascosti, ma soprattutto l’avvicinarsi dello scambio automatico

di informazioni fiscali, ha provocato la corsa alla dichiarazione spontanea esente da pena

Ignazio Bonoli Le amministrazioni cantonali delle contribuzioni segnalano il probabile arrivo nelle casse cantonali di centinaia di milioni di franchi, grazie alle eccezionalmente numerose richieste di poter beneficiare dell’autodenuncia esente da pena per capitali finora non dichiarati. Gli ultimi mesi del 2016 hanno visto un aumento sensibile delle autodenunce, in molti casi sicuramente a causa dell’avvicinarsi dello scambio automatico di informazioni fiscali tra paesi. Questo scambio automatico di informazioni diventerà effettivo nel 2018 e si baserà sui dati del 2017. Tuttavia l’arrivo di un numero elevato di autodenunce ha fatto in modo che non tutti i cantoni siano riusciti a trattare tutte le pratiche, per cui i dati globali non sono ancora completi. Vista la situazione, il canton Neuchâtel ha perfino prolungato di tre mesi il termine per l’autodenuncia esente da pena. L’iniziativa era stata presa dalla Confederazione già nel 2010, mentre altre iniziative per amnistie fiscali cantonali – come per esempio in Ticino – non avevano avuto tutte pari successo. L’autodenuncia spontanea si è intensificata già nel 2014, quando è apparso chiaro che anche la Svizzera avrebbe dovuto partecipare allo scambio automatico di informazioni fiscali con i paesi dell’UE

e dell’OCSE. Come detto manca ancora una statistica precisa del numero di autodenunce e dell’ammontare dei capitali così dichiarati. Fino alla scorsa primavera, la Confederazione valutava in circa 22’000 le pratiche avviate e in 24,7 miliardi i capitali venuti alla luce. Un’indagine presso le amministrazioni cantonali constata però, negli ultimi mesi, una notevole accelerazione, con cifre da primato. Così il canton Zurigo annuncia 3600 richieste per un ammontare globale di capitali dichiarati di 5573 milioni di franchi. A San Gallo le pratiche sono 2608 per 1307 milioni. A BasileaCittà sono 2071 pratiche per 2297 milioni, mentre a Lucerna si parla di 2236 casi per un totale di ben 8791 milioni di franchi. In quest’ultimo caso, una sola persona pagherà in più ben 4,5 milioni di franchi. Anche Svitto, cantone fiscalmente favorevole, ha ricevuto 1251 richieste per un totale di 843 milioni di franchi. Ovviamente a queste cifre corrispondono maggiori entrate per le imposte cantonali e comunali. Per Zurigo si tratta di 409 milioni, per Basilea-Città di 113 milioni. Anche nel canton Ticino le cifre sono ragguardevoli: nel 2016 sono state registrate 963 autodenunce per una sostanza emersa di 1368 milioni di franchi, che provocherà una maggiore entrata fiscale di 60 milioni

Oggi le banche svizzere consigliano o impongono ai clienti di dichiarare al fisco i capitali depositati. (Keystone)

di franchi. Ginevra, che al momento dell’indagine non disponeva ancora di cifre precise, prevede oltre 2000 denunce spontanee. È evidente la pressione esercitata dall’avvicinarsi dell’introduzione dello scambio automatico di informazioni fiscali, sia direttamente sia indirettamente. Buona parte delle dichiarazioni è dovuta, infatti, alla politica del denaro dichiarato introdotta dalle stesse banche, che consigliano e, in certi casi, chiedono al cliente di dichiarare al fisco i

propri conti. Vi sono poi anche situazioni particolari, come quella di Ginevra, in cui si suppone che molte richieste siano dovute allo stesso inasprimento del diritto fiscale federale in caso di frode di sussidi, soprattutto da parte di stranieri. Una buona parte dei capitali emersi dovrebbe inoltre essere dovuta a capitali depositati all’estero e non dichiarati, che potrebbero venire alla luce con lo scambio automatico delle informazioni. In sostanza, quello che si sarebbe voluto con le tanto criticate amnistie

(giustificate in caso di grandi cambiamenti del sistema) si sta realizzando con la parziale amnistia per mezzo di autodenuncia esente da pena, che farà comunque entrare cospicui capitali nelle casse federali, cantonali e comunali. Tutti i cantoni constatano un forte aumento di denunce spontanee. Come detto il canton Neuchâtel ha perfino prolungato il termine per l’inoltro al 31 marzo 2017. Finora a Neuchâtel sono state presentate 270 denunce, contro le 172 del 2015. Le cifre sorprendono anche per l’ampiezza del denaro nascosto. Difficile però valutare a quanto possa ammontare il totale. Stime prudenti valutano il «nero» tra il 10 e il 20 per cento della sostanza globale, il che significherebbe un volume di circa 150 miliardi di franchi. Volume che potrebbe aumentare con l’adesione di altri paesi all’accordo AIA. Il prossimo anno vi aderiranno parecchi paesi latino-americani. A quanto pare vi sarebbe parecchio denaro non dichiarato nelle banche di questi paesi. Vi potrebbero anche essere contribuenti che aspettano fino all’ultimo momento per beneficiare magari di una amnistia più generosa. È chiaro che per finire tutto il denaro nascosto verrà alla luce. Questa previsione, più che una migliorata coscienza del singolo o del gruppo avrà avuto effetti positivi sulle casse di parecchi enti pubblici Annuncio pubblicitario

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Politica e Economia

Una alternativa al conto di risparmio La consulenza della Banca Migros Sacha Marienberg

Crescita del patrimonio con il conto di risparmio o le azioni

Con i tassi così bassi il conto di risparmio non è più indicato per accumulare un patrimonio nel lungo periodo. Ma il piano di risparmio in fondi azionari offre una valida alternativa.

Sacha Marienberg è responsabile dell’Investment Center di Banca Migros

I risparmiatori mi confermeranno che non ha molto senso depositare il denaro su un conto considerando l’attuale livello dei tassi. Se gli interessi sono nulli, mancano anche i proventi che consentono di accrescere il patrimonio. Ma esistono interessanti alternative al risparmio in conto. Chi investe regolarmente nel piano di risparmio in fondi azionari ha buoni motivi per sperare di accumulare un patrimonio considerevole, anche con modesti versamenti periodici. Con versamenti mensili di 100 franchi e un rendimento annuo del 6,6%, che corrisponde alla media della performance conseguita dal mercato azionario svizzero (SPI), negli ultimi 20 anni sarebbe stato possibile accumulare 41’500 franchi, rispetto ai 24’000 versati. La differenza corrisponderebbe al risultato dell’investimento. In confronto, il saldo del conto di risparmio è molto modesto, con appena 28’000 franchi. Ma le azioni sono indicate per i piccoli investitori? Certamente! Chi investe regolarmente e a lungo termine in azioni deve considerare solo due aspetti: i costi e la diversificazione. Per ottenere quest’ultima occorre distribuire il patrimonio tra numerosi titoli, compensando così l’andamento negativo di un singolo titolo. Occorre inoltre tenere

45'000

40'000

Versamenti di capitale 35'000

Conto di risparmio (remunerato) Mercato azionario svizzero (SPI)

30'000

25'000

20'000

15'000

10'000

5'000

1997

1999

2001

2003

2005

2007

2009

2011

2013

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d’occhio i costi, che assottigliano il risultato dell’investimento. Un piano di risparmio in fondi consente di investire in una soluzione diversificata a costi equi. Non c’è da preoccuparsi di azzeccare il tanto anelato momento giusto per entrare sul mercato, perché i versamenti periodici implicano una diversificazione «temporale» degli investimenti.

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Politica e Economia Rubriche

Il Mercato e la Piazza di Angelo Rossi Il clima cambia, e si vede Non conosco le statistiche sugli incendi (se ce ne sono) ma ho la sensazione che gli incendi di boschi in inverno, in Ticino, debbano essere ben rari. Eppure è evidente che, indipendentemente dalla stagione, se per mesi non si registrano precipitazioni importanti, come è stato il caso dello scorso autunno, il pericolo di incendi è sempre elevato. Ora, che non ci siano precipitazioni in autunno e nella prima parte dell’inverno è probabilmente una conseguenza del cambiamento climatico. Questo per ricordare che le conseguenze negative del cambiamento climatico non sono per domani. Già oggi, se non ci credete domandatelo a tutti coloro che abbisognano d’acqua per le loro attività, il regime delle precipitazioni, a sud e a nord delle Alpi, è mutato. In generale si può dire che le stesse sono diminuite

e si ripartiscono meno regolarmente nel corso dell’anno. A lunghi periodi di siccità fanno riscontro brevi periodi di forti, e anche fortissime precipitazioni, con elevati rischi di allagamento. Il rapporto delle accademie svizzere Coup de projecteur sur le climat suisse (purtroppo non disponibile in italiano) ci informa per l’appunto di come il clima sta cambiando, dei rischi che questo cambiamento comporta, e delle politiche che la Confederazione sta promovendo per cercare di rimediare al peggio. Concentriamoci sulle conseguenze del riscaldamento climatico. Che cosa succede quanto l’atmosfera si riscalda? Beh, una cosa è evidente perché la possiamo constatare di persona quando facciamo le nostre escursioni in montagna: i ghiacciai si ritirano. Direttamente possiamo anche

accertare che sulle nostre montagne cade sempre meno neve. Per effetto di queste diminuzioni è probabile che in futuro avremo più difficoltà sia per quel che concerne la produzione di energia idroelettrica, sia per quel che riguarda il nostro approvvigionamento di acqua potabile. Badate bene, la scarsità di acqua non significa solo che d’estate farete fatica a riempire le vostre piscine; significa soprattutto che a buona parte dei produttori agricoli mancherà un elemento essenziale nella loro catena di produzione. Altro rischio che possiamo constatare direttamente è l’aumento dei pericoli di erosione. Come si è già ricordato, anche il regime delle precipitazioni sta cambiando. La tendenza è verso la concentrazione delle stesse in particolari periodi dell’anno. Di conseguenza aumenta anche il

rischio di inondazioni. Per effetto del riscaldamento climatico, sorgeranno, anche da noi, regioni desertiche, e cambierà la composizione del bosco. In agricoltura il riscaldamento climatico dovrebbe favorire la coltura del mais e sfavorire invece quella della patata. Vi faccio grazia di tutte le altre modifiche sul paesaggio e la produzione agricola elencate nel rapporto delle accademie scientifiche. La diminuzione delle precipitazioni nevose sta mettendo in crisi il turismo invernale e la situazione non migliorerà nei prossimi anni. Contemporaneamente però si allungherà la stagione estiva e questa è una tendenza che potrebbe far piacere agli operatori del turismo nostrano. Termino questa concisa presentazione del rapporto delle accademie scientifiche svizzere ricordando gli effetti del riscaldamento

climatico sulla gestione degli immobili e sugli agglomerati urbani. Se la temperatura annuale media dovesse ancora aumentare si ridurrà il periodo durante il quale è necessario riscaldare gli immobili. Questo potrebbe favorire il risparmio energetico. Tuttavia è possibile che l’energia che non si consumerà per il riscaldamento, durante i mesi invernali, dovrà essere utilizzata, nei mesi estivi, per produrre aria condizionata. Per quel che riguarda gli agglomerati ricordiamo solamente che il riscaldamento climatico minaccia l’approvvigionamento di acqua potabile, fa aumentare il rischio di inondazioni per le città situate sulle rive dei laghi o di fiumi importanti, incrementa gli sbalzi di temperatura tra il giorno e la notte, con effetti nocivi sulla salute della popolazione.

modo, François Fillon, dopo un’ascesa rapidissima che i sondaggi (in Francia di solito accurati) avevano colto solo in parte. Pareva che per Fillon fosse quasi fatta. Ma poi spunta uno scandalo che in altri tempi sarebbe quasi passato inosservato, meno grave di quello degli stipendi di partito pagati con il denaro pubblico del Comune di Parigi, che a suo tempo non affossò affatto Chirac: Fillon in sostanza stipendiava la moglie come assistente parlamentare. Però, al tempo della grande rivolta contro l’establishment e le élites, una semplice attitudine mediocre diventa una vergogna pubblica; e la candidatura di Fillon ne esce indebolita. Inoltre il suo progetto rigorista di tagli allo Stato sociale e ai funzionari pubblici è piaciuto a destra, ma rischia di ritorcersi contro di lui quando si tratterà di rivolgersi all’elettorato nel suo complesso. Al partito socialista non è andata meglio. L’ex primo ministro Manuel Valls ha indotto il presidente François Hollande a non ripresentarsi (unico caso nella storia della Quinta Re-

pubblica; ci sarebbe il precedente di Pompidou, che però era morto). Ma ha poi clamorosamente fallito la prova delle primarie, battuto da un suo ex ministro, Benoit Hamon, figura di secondo piano destinata – a meno di altre clamorose sorprese – a restare tale: secondo i sondaggi non soltanto Hamon non arriverà al ballottaggio delle presidenziali, ma al primo turno potrebbe essere solo quinto, dietro Marine Le Pen, Fillon, il centrista Emmanuel Macron e l’estremista di sinistra Jean-Luc Mélenchon. Anche Hamon strizza l’occhio alla Gauche radicale. Ha criticato aspramente Valls e Hollande, indicandoli come succubi del pensiero unico, dell’austerity, del liberismo (Valls ha tentato di mettere sotto controllo i conti pubblici, che tendono comunque al rosso acceso, e di liberalizzare il mercato del lavoro più rigido d’Europa). Ma questo arroccamento non fa il bene della sinistra. Il caso Corbyn insegna: l’anticapitalista duro e puro consegna il potere alla destra, o – dove sono in campo – ai populisti della

prima ora: i Grillo, le Le Pen, i Salvini, i Trump (che non a caso tra loro si piacciono moltissimo e si scambiano di continuo segnali d’intesa, estesi volentieri a Putin). È un rischio, quello dell’arroccamento, che corre pure la sinistra italiana. Dopo aver affossato l’ultimo leader riformista che restava al potere nei grandi Paesi europei, il povero Matteo Renzi, la minoranza Pd ora viaggia spensierata verso la scissione. Un regalo fatto ai populisti italiani. Altro che larghe intese Renzi-Berlusconi; se si va avanti così, alle prossime elezioni politiche avranno più seggi Grillo, Salvini e la Meloni, con un «simpatico» programma che si può sintetizzare nella formula «no neri no euro»: linea dura contro l’immigrazione, e referendum per uscire dalla moneta unica. Per carità, l’euro si può criticare, forse si deve; ma il rischio di un governo Cinque Stelle-Lega l’Italia non se lo può permettere. E questo rischio non è meno remoto di quello che corre la Francia con Marine Le Pen e la sua nipotina Marion.

lo stile di vita italiano, che Piero Bassetti riassunse nel concetto di «italicità», una visione e un comportamento che potevano anche prescindere dalla lingua, bastava un generico rimando, la volontà di riconoscersi nei canoni della bellezza rinascimentale. Bei tempi, gettati purtroppo alle ortiche dall’involuzione prodottasi negli ultimi decenni; un regresso provocato da un lato dall’invasione di una marea di anglicismi gratuiti e dall’altro dall’apologia acritica, questa sì populista, dei dialetti, considerati come espressione autentica delle radici, voce dei nostri avi, testimonianza genuina della nostra anima. Nelle scorse settimane, tutti i nostri quotidiani e settimanali, «Azione» compresa, hanno ricordato l’opera e la figura di Tullio De Mauro, illustre linguista scomparso lo scorso 5 gennaio. Ebbene: De Mauro, fin dai primi anni Settanta, volle mettere in guardia genitori e insegnanti dai pericoli di una pedagogia linguistica troppo rigida, che lui definiva addirittura «dittatoriale». Dialetti e italiani non andavano contrapposti;

tutelare e coltivare i vernacoli non era un crimine, come riteneva il fascismo. Tuttavia occorreva tener presente una distinzione fondamentale, e funzionale. «È molto importante – sottolineava ogni volta – che i cittadini italiani sappiano tutti l’italiano. Tutti e non solo una parte, proprio in conseguenza della pedagogia dialettofobica che ha allontanato tanti dalla scuola precocemente. La capacità di potersi servire di una stessa lingua è la prima base di intesa all’interno di una stessa società». Questo pensava e diceva De Mauro nei primi anni Settanta, tra l’altro anche a Muttenz (Basilea campagna) durante un convegno organizzato dall’Ecap-Cgil sul tema della formazione linguistica dei lavoratori emigrati. In quell’occasione (aprile del 1975) De Mauro illustrò le «dieci tesi per l’educazione linguistica democratica», un decalogo che segnò una svolta sia nell’insegnamento, sia nel modo di far convivere i dialetti con l’italiano, senza che i primi ostacolassero, per ragioni di status familiare e sociale, il passaggio al secondo.

Ma veniamo a noi. Nel dopoguerra quasi tutti gli svizzeri italiani sono cresciuti dentro un bozzolo dialettofono. L’italiano è venuto dopo, sui banchi di scuola, leggendo libri e giornali, ascoltando la radio, guardando la televisione. Per la maggioranza è stata insomma una conquista, la faticosa scalata del manzoniano Resegone, nella consapevolezza che la padronanza dell’italiano rappresentasse la chiave d’accesso ad un universo aperto, energetico, ricco di opportunità, sia professionali che culturali. Dimenticare quest’ascesa, questo cammino di riscatto, vorrebbe dire ricadere nella subalternità, condizione in cui le nostre terre vissero a lungo prima di investire ingentissime risorse nella formazione scolastica. Stefano Franscini – padre dell’educazione popolare – conosceva perfettamente questa situazione, tant’è vero che uno dei primi compiti che si propose fu la compilazione di una Grammatica inferiore della lingua italiana (manuale recentemente riedito dalla Demopedeutica).

In&outlet di Aldo Cazzullo Il rischio dell’arroccamento politico Le primarie della sinistra francese si sono rivelate un mezzo disastro. La politica sembra impazzita in tutta Europa, anche in un Paese «strutturato» come la Francia. L’umiliazione del presidente Hollande, del primo ministro

Valls, della Gauche di governo è totale. A questo punto può davvero succedere di tutto. Le primarie della destra dovevano essere una sfida tra Sarkozy e Juppé; ha prevalso a sorpresa il terzo inco-

Benoit Hamon (a destra) con lo sconfitto Manuel Valls. (AFP)

Cantoni e spigoli di Orazio Martinetti Povero itagliano... A volte prevale lo scoramento, l’impressione, suffragata da sempre nuove conferme, che la battaglia finora condotta sia stata vana: necessaria, eroica, ma alla fine inutile. Ci riferiamo alle sorti dell’italiano, innanzitutto nella Svizzera italiana, poi nell’intera Confederazione, nelle scuole, nelle università, nell’amministrazione federale, nei media e nella pubblicità, nell’esercito, nelle grandi aziende. Quest’ultimo aspetto – il ruolo e l’importanza delle traduzioni nell’impresa economica – viene spesso sottovalutato e quindi trascurato. I cartelli appesi nei grandi magazzini si limitano a ricalcare pigramente i testi concepiti in tedesco. Davvero le agenzie di marketing non riescono a produrre qualcosa di meglio, di più accattivante, di più brioso, se del caso dando un’occhiata agli ipermercati italiani? Molti anni fa la RTSI (allora si chiamava così) diffuse un opuscoletto in cui si invitavano i creativi d’Oltralpe a non trascinare nel fango l’idioma italico: Chi spotte la nostra lingua? Si voleva dire ai pubblicitari, senza acrimonia alcuna, che non era il caso di salmistra-

re la lingua dei potenziali destinatari, perché questi non erano soltanto folle di consumatori, ma esponenti di una minoranza, ovvero di una civiltà, e come tali meritevoli di rispetto. Ora però continuano ad arrivare lettere che sembrano confezionate apposta per riattizzare il fuoco dell’indignazione: «Invitazione… non transferibbile… Lei è privilegiato a ricevere l’esclusiva medaglia speciale “Gottardo”!» Possibile che il mittente non si sia reso conto dello scempio, con esiti disastrosi per la stessa iniziativa commerciale? C’è stato un lungo periodo in cui l’italiano fuori d’Italia poteva contare su simpatie e solidarietà. La linfa vitale gli giungeva dalle sue larghe radici di lingua di cultura: dalla letteratura, dalla lirica, dal teatro, dal cinema; negli anni 70 del Novecento la sua musicalità viaggiava sulle note delle canzoni d’autore. Anche chi non aveva mai letto né Dante né Manzoni, ascoltava volentieri De Gregori, Dalla, Venditti, Guccini. Italianità e impegno sociale. Poi venne la moda e la gastronomia, in una parola


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Cultura e Spettacoli Libro che vai... ... copertina che trovi: spesso il primo contatto con un libro passa attraverso la valutazione dell’involucro

L’importanza del passato Si è chiuso il bando di concorso del «Premio Migros Ticino per ricerche di storia locale e regionale della Svizzera italiana»

La La Land, caso da Oscar Nei cinema ticinesi il film che vuole rinverdire il mito della commedia musicale

Note per ascoltatori attenti Una rassegna di produzioni discografiche e video della giovane scena musicale

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Claude Monet, Nymphéas, 1916-1919, particolare. (Fondation Beyeler, Riehen)

Panta rei

Mostre Monet alla Fondazione Beyeler di Basilea Gianluigi Bellei Abbiamo scritto di Claude Monet circa un anno fa in occasione dell’esposizione a cura di Guy Cogeval alla Galleria civica d’arte moderna e contemporanea di Torino. Allora i dipinti in mostra erano una quarantina e provenivano tutti dal Musée d’Orsay di Parigi. Oggi la Fondation Beyeler di Basilea, in occasione del suo ventennale, gli apre le sale con 62 opere provenienti dai principali musei del mondo come il Metropolitan Museum of Modern Art di New York, il Museum of Fine Art di Boston, la Tate di Londra, il Musée d’Orsay di Parigi, affiancate dalla serie di dipinti di sua proprietà come l’incredibile Bassin aux Nympheas del 1917-1920: tre pannelli di due metri per tre ognuno raffiguranti lo stagno di Giverny dove l’artista ha vissuto negli ultimi anni. Pannelli che non sfigurerebbero certo accanto alle dodici tele analoghe esposte all’Orangerie di Parigi. Monet muore proprio a Giverny nel 1926, a 86 anni. Tele mozzafiato, queste, che secondo Cesare Brandi fanno «capire che cos’è la pittura, o se non si capisce, la fa ignorare per sempre». Dipinti effervescenti, fluidi, che non definiscono il mondo esterno ma l’arte

stessa, perché con essi la pittura diventa essenza e purezza. Ma anche ibridazione: esce infatti dai propri limiti per incontrare il mondo della musica e della poesia, tra fantasia e sogno. Come dimostra il legame con opere di poeti quali Mallarmé e musicisti come Debussy. Certo la sua fortuna critica ha subito nel tempo fasi altalenanti. Dagli esordi piuttosto contrastanti, fino all’accoglienza totale nel periodo di maggior successo, per poi cadere nell’oblio perché tacciato di passatismo dopo la morte. Oggi è considerato uno dei maggiori artisti del suo tempo ed è amato da ogni genere di pubblico. La mostra basilese inanella una serie di dipinti realizzati dopo il 1880 scanditi secondo aree tematiche: la Senna, gli alberi, il Mediterraneo, Londra, Giverny. Dopo la morte nel 1879 della moglie Camille, Monet inizia una serie di viaggi verso il Mediterraneo e poi a Londra che gli è rimasta nel cuore a seguito del suo soggiorno nel 1870 per sfuggire alla guerra franco-prussiana. Un periodo intenso, riflessivo, che coincide con i primi soggiorni a Giverny dal 1883 assieme alla nuova compagna Alice Hoschedé e alla ripetizione quasi ossessiva dei soggetti pittorici tendenti a una sorta di astratti-

smo cromatico. Dipinti con uno stesso soggetto realizzati da angolazioni differenti e in diversi momenti della giornata che rappresentano il suo amore per la natura, ma soprattutto la sua concezione della vita in continuo movimento. Ed è la luce che li plasma. Una luce vibrante, intensa, dinamica. Monet è considerato il capostipite dell’Impressionismo. Frantuma il colore attraverso le pennellate poste una accanto all’altra senza sfumature. Un metodo rivoluzionario che ha nell’immediatezza il suo carattere distintivo. A ben vedere però si nota subito che il suo procedimento esecutivo negli anni diventa più meditato e probabilmente, per un antiaccademico come lui, molto tradizionale. Troviamo sì le singole pennellate corpose e di getto, lo schiarimento dei colori, tipici degli Impressionisti, ma il tutto realizzato attraverso procedimenti lunghi e canonici. I vigorosi sfregazzi – una sorta di pennellate corpose posizionate quasi a secco sulla tela mediante pennelli irsuti – usati da artisti come Tiziano e Rembrandt, si accompagnano a una serie di velature sovrapposte. Per velature si intendono sottili campiture di colore dato molto diluito di tonalità più scura di quello sottostante, sempre secco e pastoso. Una tecnica dai tempi lunghi

che serve a dare maggior luminosità al dipinto e che in questo caso viene alternata agli sfregazzi. Un po’ come faceva uno dei suoi artisti preferiti: Turner. In mostra troviamo nella prima sala La cathédrale de Rouen del 1894 dipinta al mattino con le luci bluastre rischiarate dal giallo del Sole nascente e La meule au soleil del 1891, controluce con la sua ombra allungata che copre metà della tela. Poi la serie degli alberi, alti, spogli, luminosi od oscuri. La Senna ghiacciata dai riflessi oro o argentei. La capanna del doganiere, il mare a Pourville e la impressionante Vagues à la Manneporte del 1885 con il suo arco rampante realizzato con pennellate rapide e vigorose, fra il giallo della parte illuminata e il blu del mare spumeggiante in basso. Segue la serie Waterloo Bridge in una dissolvenza di colori tra il rosa, il grigio e il blu che mette a repentaglio la stessa percezione visiva. Nei due dipinti del parlamento londinese del 1904 si nota chiaramente l’influsso di Turner con la torre controluce che si staglia nel cielo pieno di bagliori giallastri come nell’acqua. Alla fine del percorso troviamo le ninfee, il soggetto preferito degli ultimi anni. «Ho impiegato del tempo prima di capire le mie ninfee – racconta –, le avevo piantate per

piacere e le coltivavo senza pensare di dipingerle. Poi, d’improvviso, ebbi la rivelazione della magia del mio stagno. Presi la tavolozza e da allora in poi non ebbi altri modelli». All’inizio Monet inquadra la riva, la vegetazione attorno, i salici, le iris. Poi dal 1904 solo lo specchio d’acqua. Verso il 1908 le cateratte gli indeboliscono la vista e le sue opere sono invase da gialli virulenti; dopo l’operazione del 1923 per un po’ di tempo riacquista la percezione del blu. Dipinge quello che sogna e non più quello che vede perché, come sostiene lui stesso, «sogno sempre le mie ninfee». Durante il suo funerale nel 1926 la bara viene coperta da un telo nero. Il suo amico Clemenceau strappa dalle pareti un drappo colorato e lo getta sulla bara gridando: «Niente nero per Monet». Bella mostra, pulita e lineare; ottima l’illuminazione, come sempre. Cataloghi in tedesco e in inglese. Dove e quando

Monet, Fondation Beyeler Basilea. A cura di Ulf Küster. Orari 10.00-18.00, me 10.00-20.00. Fino al 28 maggio 2017. Catalogo Fondation Beyeler E/D, Fr. 62.50. www.fondationbeyeler.ch.


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Cultura e Spettacoli

Gemelli diversi in copertina

Tradizioni d’Africa a Ginevra Mostre Le opere della collezione di Josef

Editoria A volte capita che le stesse immagini siano condivise

Mueller ci invitano a scoprire il loro mondo

Mariarosa Mancuso

Marco Horat

«Una copertina austera e discreta. Forse grigio e grigio. Lettere uguali un po’ spesse. Tutto qui. Come impressionismo basta e avanza». Sono i desiderata di Louis-Ferdinand Céline, inviati per iscritto all’editore Robert Denoel, per la copertina di Viaggio al termine della notte (assieme ad altre missive, colorite e minacciose – «non toccate una sillaba!» – sono raccolte nel volume curato da Martina Cardelli Lettere agli editori, Quodlibet). La prova di copertina arriva, e come capita spesso, a Céline non piace: «Fategli di grazia sopprimere lo sfumato dall’azzurrognolo al blu... orrore! un blu categorico uniforme, e le lettere del titolo tutte simili». Jhumpa Lahiri deve avere avuto qualche volta la stessa reazione. Dopo cinque libri tradotti in molte lingue – secondo i suoi calcoli, un centinaio di volumi in tutto, ma bisogna aggiungere i tascabili – ha imparato a mascherarle meglio. Ma il dolore resta. Soprattutto per una copertina che definisce a distanza di anni «tremenda» (moriamo di curiosità, ma la tace l’editore). La scrittrice nata a Londra da genitori originari del Bengala – dopo un lungo soggiorno a Roma, ha scritto In altre parole direttamente in italiano – racconta le sue avventure e disavventure copertinesche in Il vestito dei libri. Esce da Guanda come molti altri suoi titoli, ma il merito della scoperta va a Marcos y Marcos che nel 2000 pubblicò L’interprete dei malanni. Dai vestiti si comincia. Jhumpa Lahiri ricorda l’invidia per i cugini indiani che indossavano la divisa scolastica, e l’imbarazzo per gli abiti che la madre comprava per lei, senza curarsi delle mode. Ricorda anche i libri «nudi» – vale a dire tutti uguali – che prendeva a prestito nella biblioteca dove il padre lavorava come bibliotecario. L’equivalente della carta da pacchi marroncina in uso nella biblioteca di Bellinzona (così era, almeno, e non vogliamo sapere da quanti decenni non accade più). Premesse necessarie, per ribadire che la scelta di una copertina è sempre un momento difficile. Non tutti hanno la fortuna di Virginia Woolf, che per i suoi romanzi pubblicati dalla casa editrice di famiglia (l’aveva fondata con il marito Leonard) poteva contare sulle copertine della sorella Vanessa Bell. Esa-

Il Museo ginevrino Barbier-Mueller si è da molti anni specializzato nella presentazione al pubblico delle varie forme artistiche che hanno caratterizzato in passato soprattutto le molte culture africane; da quando il fondatore Josef Mueller cominciò la sua straordinaria raccolta di oggetti di grande pregio artistico e culturale nella prima metà del ’900, fino a mettere insieme una collezione privata tra le più importanti al mondo. L’interesse per le culture extraeuropee in Occidente aveva fatto in quel periodo molti adepti, sia tra i più famosi artisti (Picasso, Braque, Brignoni, Tzara e tanti altri) sia tra i mercanti d’arte sempre alla ricerca di nuovi oggetti da immettere sul mercato; di qui il diffondersi tra i collezionisti della passione per tutto ciò che non era frutto della tradizione culturale della vecchia Europa: Africa, Asia con Cina, India e Giappone, Nuova Guinea, Melanesia. Fino ad aprile a Ginevra si possono ammirare alcuni capolavori provenienti dalla Costa d’Avorio, che si riferiscono a popolazioni quali gli Yohouré o i Senufo: maschere naturalmente, ma anche statuette e oggetti rituali utilizzati nel corso di cerimonie dedicate al tema della morte, alle divinità del loro pantheon o a figure di antenati. Le maschere sono forse ritratti di personaggi eminenti, di antenati appunto o di divinità, e rivestono quindi un valore religioso; al punto che le donne della tribù non potevano nemmeno vederle, pena

creando una strana sensazione nei lettori del contenuto

Sul blog copertinedilibri.wordpress.com, una raccolta di «cloni» grafici. (U. Wolf)

minando le proprie copertine, si rende conto che sempre scelgono la strada più breve e ruffiana. Quando si lamentò per l’esotismo indianeggiante di una scelta – in fondo il protagonista era nato e cresciuto negli Stati Uniti – le riportarono uno schizzo con la bandiera americana a stelle e strisce. La scrittrice provò da grande il senso di inadeguatezza provato da piccola per i vestiti sbagliati. Ultimo incidente, made in Italy. Un editore sceglie per un altro scrittore angloindiano la copertina americana dei primi racconti di Jhumpa Lahiri, appunto L’interprete dei malanni (traduceva sintomi, quando paziente e medico erano divisi da una delle innumerevoli lingue indiane). Capita spesso, perlomeno nell’editoria italiana. Vedere per credere il sito copertinedilibri, che li mette fianco a fianco. Silvia Ballestra (con I giorni della rotonda) e Michel Houellebecq (con Sottomissione) condividono lo sfondo scarlatto e le bestie fameliche. Lo stesso ragazzino dai capelli rossi con la maglietta a righe che guarda il mare sta sulla copertina di Alice Munro (La vista da Castle Rock) e di Neil Jordan (Auro-

ra con mostro marino. La signorina con la treccia vista di nuca ci ha afflitto per anni, come le copertine con gli occhi fabbricate a imitazione del best seller di Paolo Giordano La solitudine dei numeri primi. Ci fu la versione all black, per il libro di Andrea Tarabbia Un demone a Beslan. E c’è la versione «romanzo vecchio vestito di nuovo», adottata da Neri Pozza per Il male oscuro di Giuseppe Berto: un giovane che guarda fisso in direzione del lettore, coprendosi la bocca. Noi restiamo affezionati al labirinto giallo e nero della storica edizione Rizzoli, anno 1964. Si può riproporre con le copertine il gioco che si fa con i manifesti e i titoli dei film «veritieri». Passengers, per esempio, sarebbe meglio descritto come «Fighi nello spazio»: Chris Pratt e Jennifer Lawrence sono bellissimi, lei ha un taglio di capelli incantevole, la cosa finisce lì. Dan Wilbur ha un sito intitolato «Better Book Titles». Per Guerra e pace, suggerisce: Guerra, e pace, e Russia, e Napoleone, e nomi difficili da ricordare, e ancora più difficili da ricordare, e un sacco di chiacchiere, chiacchiere, chiacchiere, e neve.

la sterilità o la morte, quando venivano indossate dagli uomini nel corso di cerimonie e danze. Le statuette incarnano invece i geni protettori della Natura consultati dagli sciamani mattino e sera per trarne auspici circa la caccia o la guerra (sono quindi veri e propri oracoli). Di queste testimonianze BarbierMueller ne ha già esposte parecchie nel corso degli ultimi anni, cercando sempre di abbinare la fruizione estetica all’approfondimento tematico. Questa volta lo fa accompagnando la mostra con uno studio antropologico di Alain-Michel Boyer che degli Yohouré si occupa fin dagli anni ’70. L’iniziativa è interessante anche perché mi pare che da anni l’attenzione della nostra cultura per quelle africane sia decisamente calato a favore dell’Oriente vicino e lontano. Dell’Africa oggi parliamo soprattutto a proposito di guerre fratricide, carestie, corruzione, terrorismo o di migrazioni di popolazioni in cerca di una vita migliore... e poco più. Pare di capire, ma è una mia impressione, che di quel mondo affascinante e visionario di popoli e tradizioni così intimamente legati alla Natura e all’aldilà, che hanno prodotto in passato veri capolavori artistici, non sia rimasto molto. La gente lascia le campagne per andare a vivere in città e qui le cose cambiano, come muta lo stile di vita nei villaggi discosti. Non sempre maschere e oggetti usati in occasioni speciali forse per secoli sono state conservate, anche perché la loro funzione è ormai dimenticata e quindi hanno perso di significato; sono state così vendute sul mercato internazionale a favore di chi riusciva ad arrivare prima sulla preda, musei europei compresi. Bisogna però anche dire che modernizzazione non significa necessariamente abbandono dei valori del passato, poiché il substrato culturale ancestrale continua a vivere sotto la patina della modernità: è sempre successo così fin dagli albori della civiltà in tutte le parti del mondo. Un bel tema di studio per l’antropologia culturale. Dove e quando

La locandina dell’esposizione. (Musée Barbier Mueller)

Arts de la Côte d’Ivoire, autour des Yohouré. Ginevra, Musée BarbierMueller, fino al 30 aprile 2017. www.musee-barbier-mueller.org

Un linguista san Nicolao

Pubblicazioni Torna dopo sessanta anni e in traduzione italiana un leggendario saggio

di linguistica italiana e svizzera Stefano Vassere «Cara Naima, purtroppo sai molto poco del nonno. A causa della grande differenza d’età e la distanza geografica. Sarebbe forse ora che ti raccontassi alcune cose di lui. Di un grande uomo dall’aspetto insignificante, leggermente curvo, con una lunga barba grigioargento, al quale anni fa, in una strada di Gossau, i bambini hanno chiesto: “Vecchio, tu sei san Nicolao?”». È tentazione legittima quella di classificare la vicenda del linguista svizzero Robert Rüegg come una vera e propria leggenda. Lo sa benissimo chi abbia studiato nella linguisticamente inappuntabile e piena di gloria Università di Zurigo negli anni grosso modo tra il 1975 e il 1990, quando ancora si usava raccontare della genesi di un la-

voro (questo Sulla geografia linguistica dell’italiano parlato) e di uno studioso (Robert Rüegg), i cui destini non erano precisamente definibili. Ed è privilegio particolare di questa squadra di reduci della comune alma mater quello di apprezzare ora, finalmente in edizione italiana, quel vecchio testo; che è addolcito tra l’altro da una tenera testimonianza di Tullio De Mauro (che da quel lavoro pescò molto per i suoi primi studi) e da una tenerissima lettera-biografia che il figlio di Rüegg indirizza, a mo’ di presentazione del nonno, alla nipotina Naima. Il valore dell’opera è assoluto. Quando la sociolinguistica americana ancora muoveva i primi passi, quando quella europea e italiana erano ancora lontane, Rüegg disorientò tutti, anche i suoi maestri, con un lavoro sui cosid-

Robert Rüegg. (OSLI)

detti «geosinonimi», le parole diverse per dire la stessa cosa in diverse parti del paese. Sarebbero arrivate dopo le nozioni di italiano regionale, di variazione linguistica, di varietà, di italiano dell’uso medio; eppure la loro sostanza stava già in gran parte in queste pagine. «Rüegg avanzava in quella che allora era in Italia, e non solo in Italia, una terra di nessuno», dice De Mauro. Lo studio di Rüegg avrebbe dovuto avere un seguito, più legato alla variazione nei testi della letteratura dell’epoca; ed è qui che in quella Università e negli anni di cui si è detto si cominciò a favoleggiare, sui destini incerti dello studioso e del suo materiale. Taluni, nell’ambiente, dissero che aveva abbandonato gli studi, che si era stabilito in un qualche liceo del contado, forse un istituto religioso, indaffarato a fare tutt’al-

tro. Sul piano scientifico, dice De Mauro che «la vicenda non ebbe un lieto fine dal punto di vista degli studi»; che «con grande generosità Rüegg mi offrì di mettermi a disposizione le schede raccolte, perché portassi io a compimento il lavoro. A tratti ancora mi pento di non averlo accettato, allora a me parve doveroso rifiutare l’offerta e invitarlo a pubblicare il materiale raccolto. Non mi rispose, il mio rifiuto probabilmente gli dispiacque, certo è che i nostri rapporti personali si esaurirono». Bibliografia

Robert Rüegg, Sulla geografia linguistica dell’italiano parlato, a cura e traduzione di Sandro Bianconi, Bellinzona, Osservatorio linguistico della Svizzera italiana, 2016.


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Cultura e Spettacoli Lo storico Carlo Agliati. (Ti-Press)

Le incandescenze della lingua Editoria Book Editore pubblica Brevis altera,

la nuova raccolta del poeta ticinese Antonio Rossi

Daniele Bernardi

La storia, patrimonio fondamentale

Intervista Carlo Agliati ci spiega l’importanza del Premio Migros

Ticino (giunto alla 17esima edizione), iniziativa che vuole sollecitare l’interesse per la ricerca sul passato del nostro Paese

Alessandro Zanoli Dott. Agliati, da quando fa parte della giuria del Premio Migros Ticino?

Il «Premio Migros Ticino per ricerche di storia locale e regionale della Svizzera Italiana», che ha cadenza biennale, è stato costituito nel 1983, in occasione del cinquantesimo anniversario della fondazione della Società Cooperativa. La prima ricerca premiata risale al 1985: si trattava di un’opera di storia contemporanea di Mauro Cerutti, dedicata alla Svizzera e al Ticino negli anni di avvio del regime fascista mussoliniano in Italia, che ancora oggi resta un riferimento imprescindibile per gli studi storici sul tema. Io sono entrato a far parte dalla seconda edizione del Premio, quando appena iniziavo ad affacciarmi alla ricerca storica; ero stato chiamato dall’allora presidente prof. Giuseppe L. Beeler, già direttore della Scuola cantonale superiore di Commercio di Bellinzona, che frequentava il nostro Archivio di Stato, e che insieme al compianto Mario Fransioli, il maggiore nostro studioso delle vicende storiche dell’Alto Ticino, è stato l’iniziatore di questa impresa che ormai ha fatto un bel pezzo di strada. Attualmente da chi è composta la giuria del Premio?

Il Premio Migros Ticino si muove nel territorio degli studi umanistici, dalla storia politica a quella economica passando per la storia sociale, la storia dell’arte e dell’architettura, nonché la storia della lingua e della cultura nei suoi diversi aspetti. I membri sono perciò attivi in questi ambiti di ricerca, sono storici come il sottoscritto, come Giuseppe Chiesi e Yvonne Pesenti Salazar, economisti come Angelo Rossi, storici dell’arte come Lucia Pedrini Stanga, linguisti e dialettologi come Franco Lurà. Per gli aspetti gestionali facciamo naturalmente capo all’amministrazione di Migros Ticino, in particolare al Percento culturale e al suo attuale responsabile di settore Luca Corti, che funge da segretario, mentre al Consiglio di amministrazione spetta la decisione finale presa in base alle nostre valutazioni.

Voi esaminate opere in procinto di essere pubblicate: date agli autori anche indicazioni di merito sul contenuto, proposte di approfondimento o di miglioramento?

Non siamo editori in proprio, nel senso che non pubblichiamo direttamente le opere premiate, e neppure ci confrontiamo con il finanziamento della ricerca nella fase precedente alla pubblicazione o in corso d’opera. Il nostro Premio, che in un contesto regionale come quello della Svizzera italiana ha una dotazione finanziaria abbastanza importante (a dipendenza delle edizioni dai 10’000 ai 15’000 franchi), è un aiuto che giunge agli autori di ricerche nel momento in cui concludono il loro lavoro, quando si tratta di confrontarsi con la pubblicazione, che ha costi tipografici ed editoriali notevoli e che comporta problemi di sponsorizzazione pubblica e privata. Ci limitiamo dunque alla valutazione dei contenuti e della forma di ricerche considerate concluse. In oltre trent’anni di esistenza (complessivamente sedici edizioni), il Premio ha costituito un patrimonio ormai importante di pubblicazioni. Ce n’è qualcuna che lei ricorda in particolare, che l’ha colpita, magari perché più affine alle sue ricerche?

Effettivamente in questi decenni abbiamo valutato centinaia di lavori ed è stata riconosciuta la validità assoluta di oltre 30 ricerche attraverso l’assegnazione di premi e di menzioni speciali. Se andiamo a sfogliare a ritroso gli elenchi delle ricerche premiate nel corso delle diverse edizioni del Premio, l’impressione è di aver fatto un pezzetto di storia della cultura del nostro Paese: numerosi di questi volumi sono diventati dei riferimenti imprescindibili, delle opere specialistiche di settore, anche se il Premio per la verità ha quasi sempre valutato la valenza divulgativa della ricerca, che non dovrebbe avere un connotato di nicchia destinato solo al pubblico degli addetti ai lavori. Lungo il cammino del Premio mi sono imbattuto in ricerche che mi erano più vicine per interesse o per ambito di studio, di cui magari conoscevo la genesi e lo

sviluppo avendole incrociate in corso d’opera nella mia funzione di archivista cantonale (come non pensare ai lavori bibliografici dell’indimenticato padre Callisto Caldelari sulle edizioni ticinesi del Sette e dell’Ottocento?), ma devo riconoscere che la lettura di ogni ricerca, su temi anche curiosi e per me desueti, ha apportato un arricchimento notevole delle conoscenze personali. In un mondo che sta conoscendo una rivoluzione anche nei modi della trasmissione del sapere e della fruizione della conoscenza, può ancora avere senso un premio legato alla ricerca storica che ha uno sbocco nel libro cartaceo?

A distanza di tanti anni dalla sua creazione, gli scopi del Premio Migros Ticino mi pare che rimangano di grande attualità. Intanto occorre ribadire che oggi siamo confrontati con uno spirito del tempo in cui il lavoro culturale non è sempre riconosciuto, anzi, qualche volta è messo in discussione fino a diventare addirittura un disvalore. Per noi invece il ruolo della ricerca è un patrimonio sociale, è un bene da condividere e soprattutto da valorizzare e divulgare: è in questa prospettiva che trova legittimazione un’iniziativa che si prefigge appunto di dare forza al ruolo degli studiosi in ambito umanistico e di sostenerli nella diffusione dei risultati del loro lavoro. Dall’osservatorio della giuria del Premio Migros Ticino, come giudica la qualità della ricerca storica alle nostre latitudini?

La ricerca nella Svizzera italiana è sempre molto viva, e questo è un dato confortante. L’abbiamo constatato in quasi tutte le edizioni del Premio, tanto è vero che in alcune occasioni abbiamo avuto fino a una trentina di concorrenti. È vero, non tutti i lavori presentati risultano di valore assoluto (ovviamente chi si muove nell’ambito della rievocazione storica lo fa anche con i soli strumenti della passione e non della scienza), ma il livello generale è sempre molto alto, anche perché spesso queste ricerche hanno già subito il vaglio degli esami di laurea o dottorali delle università svizzere e italiane.

Nella sua nota a Diafonie (Vanni Scheiwiller, 1995), Stefano Agosti scriveva di una «non facile collocabilità (...) nel quadro pur variegato dell’attività poetica contemporanea». A distanza di vent’anni, a seguito della pubblicazione di Sesterno nel 2005 e con l’uscita, ora, di questo densissimo Brevis altera (Book Editore, 2015), tale constatazione si rivela necessariamente attuale. Il libro, di una sessantina di pagine, conferma infatti un ulteriore, mirato inabissamento nella faglia che, da sempre, è il campo di indagine di Antonio Rossi. Ma, prima, è bene retrocedere e descrivere, per sommi capi, gli esiti di un percorso che, come si è detto, rappresenta un fenomeno singolare nella nostra letteratura. Rossi esordisce nel 1979 con la raccolta Ricognizioni (Casagrande, 1979). La prima edizione del volume è introdotta da una prefazione di Giovanni Raboni, nella quale, acutamente, già si accenna a «un linguaggio che si parla da solo, fantasma o alone vocale di un ben difeso inconscio collettivo». Di fatto, i brani di Ricognizioni, anche se emanati da parvenze narrative, sembrano contenere quel che sarà, poi, uno sviluppo sostanziale e violento. Ad esempio, testi come Terriccio, oppure Comunicazione a terzi o, ancora, Movimenti di gru e Rimozione di polline rivelano caratteristiche reperibili nelle successive raccolte: «Erano così singolarmente distribuiti / sopra il tavolino delle riviste / gli infinitamente minuscoli, / com’è abitudine designarli, / granelli di polline caduti e riuniti / a formare infine consistenza / di fragili aggregati in un canto / e di isolati corpuscoli dall’altro / e così fuori dell’ordinario era la compiutezza / suggerita da tale loro disposizione / che assai smarrito e con vero senso di rincrescimento / presi atto, a un certo momento, / della loro accidentale rimozione». Se in questo frangente l’appoggio al senso condiviso appare ancora evidente (aspetto che, poi, Rossi attaccherà con un vero e proprio assedio linguistico), la presenza della materia corpuscolare, del suo farsi e disfarsi in balia di forze «altre», indica, al contrario, quella «nuova», ingigantita dimensione che permetterà alla lingua del poeta di rinnovarsi acquisendo una singolare autonomia. Un continuo cozzare di elementi «assolutamente non omogenei fra loro» (S. Agosti) – sostantivi, aggettivi, verbi – simile a quello di un processo alchemico sarà alla base delle future Diafonie – così come di Sesterno (Book Editore, 2005) – e di formulazioni che, via via, andranno a seguire le logiche di un editto preciso quanto impenetrabile: «Turbolenze subdole / rasentano

Antonio Rossi, poeta e insegnante.

massi farinosi / e si addensano se stoffe / assumono nottetempo fogge / truci e visi di altri / transitano fra condotti / e con essi un livido / sleale, una brezza / carente poiché respinta / in cunicoli e: un furto seguito / da offese, un’esplicita collusione». Nelle note del nuovo Brevis altera l’autore, riferendosi al titolo della raccolta, accenna al sistema di notazione mensurale che permise, dalla fine del XIII secolo sino al termine del Seicento, la rappresentazione esatta di ritmi articolati e complessi: «è così chiamata (...) una «breve alterata» (o «altra breve»). Qui con allusione al «punto di partenza» che, trasformato, si ritrova nella parola poetica». Vediamo dunque che, con questa schiva indicazione, il poeta suggerisce il campo da gioco in cui si consuma la sua partita: il percorso di Rossi è sì oscuro (per noi) ma, anche, rispondente a un definito progetto «musicale». Infatti lo sforzo che richiede al lettore non riguarda la ricerca di una piana comprensione, ma, piuttosto, la ricezione fisica di una parola reinventata. In questo Rossi è indubbiamente un autore radicale, poiché non opera in modo furbesco (tenendo un piede nel «discorso» e l’altro oltre il segno). Al contrario, è come se a monte, tra le righe, dicesse: smantellerò il senso e obbedirò al buio, alla sua vibratilità, così da far emergere l’incandescenza di una lingua inedita. Brevis altera, come era il caso di Sesterno, è suddiviso in sei parti e comprende quaranta poesie distillate nell’arco di dieci anni. I testi, tutti brevi, evidenziano quella materialità che è peculiare della scrittura di Rossi e, al contempo, lasciano emergere criptate dichiarazioni di poetica – come in questo esempio: «Una particella di fuoco / da un braciere fuoriuscita / e a ovatta puntualmente / sorretta o illesa capigliatura / sfuggita forse impoverita non è / se aspetto di perlina o luminosa / goccia non assume ma esente / da fidato interlocutore suo / tragitto compie». Ancora più evidenti, in questo senso, sono certi brani della sezione Quasi di sé: «Prevale il silenzio: / timori e pericoli / si faranno più sicuri / e visioni più esplicite / o lesive / se prima con bisbiglio / parole dispendiose / in severa lingua / torneranno». Ed è proprio questa sezione che, a tratti, forse con qualche eccezione qua e là, lascia emergere, seppur di rado, una sorta di soggettività fantasmatica comunque sempre dissestata, fuori asse e priva di contorni che non siano quelli del testo: «Temono i passi / quasi di sé la presenza / nel locale agli eventi / destinato come se / le cento frammentate / musiche in esso generate / potessero per un istante / essere udite». Naturalmente, l’io è al bando ma la sua eco potrebbe essere udita, magari (e, sottolineo, magari), nel seguente brano, appartenente a Disancoraggi: «In foreste pluviali / originato e da monsone oltre / golfi e ombre danzate / sollevato e a gran passo / in cerchi e strati e atmosfere / dilagato: vieni affanno / e di ogni fessura o pensiero / fai tuo presidio». Per concludere: la pubblicazione di Brevis altera è un evento considerevole e, in qualche modo, atteso; poiché Rossi, nel suo percorso, ha avuto l’abitudine di operare come un sommergibile, aspettando a lungo l’istante della riemersione. Certo la sua poesia potrebbe sembrare esclusiva e non «aperta» quanto altre, eppure è proprio questa posizione estrema, intransigente, a confermarne il valore – e l’indiscutibile unicità.


Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 6 febbraio 2017 • N. 06

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Cultura e Spettacoli

Il senso del limite

Incontri Il filosofo Remo Bodei, autore del recente Limite, ci spiega alcune delle grandi sfide

con cui si trova confrontata la nostra civiltà Eliana Bernasconi Con la semplicità e la chiarezza del grande filosofo Remo Bodei, docente alla University of California a Los Angeles e all’Università di Pisa, non molto tempo fa si è intrattenuto anche con gli studenti del Liceo di Bellinzona sul suo ultimo libro: Limite (il Mulino). Un piccolo testo di facile e avvincente lettura che, in tre capitoli densi di riferimenti storici, filosofici, letterari, con piani paralleli e contigui ci accompagna nella conoscenza della caduta progressiva di molti limiti : biologici, ambientali, morali. Ripercorriamo la miriade di eventi, scoperte geografiche, commerci e invenzioni che hanno permesso all’umanità di raggiungere la conoscenza, di passare da un cosmo chiuso, eterno e intoccabile – qual era quello degli antichi – alla complessità della condizione contemporanea e ai radicali mutamenti della globalizzazione. Negli ultimi decenni le biotecnologie hanno superato limiti che si ritenevano invalicabili, i cinque sensi si avvalgono della tecnologia, il corpo umano conosce protesi e robotica. Ma tutto questo non è privo di rischi: Bodei ci avverte che i limiti da rispettare non hanno cessato di esistere, ci pone di fronte a interrogativi fondamentali, ci chiede di coltivare l’attitudine a riconoscere e distinguere, di farci guidare da un’adeguata conoscenza delle situazioni specifiche, da un giudizio critico e da un vigile senso di responsabilità nel «politeismo dei valori» del nostro vivere attuale. Fin dove è possibile spingersi

nelle scelte? Di fronte a un uomo che attraverso le tecnoscienze potrebbe credersi padrone assoluto della natura l’avvertimento della filosofia è chiaro: la posta in gioco è il destino della nostra specie.

Per fare un bambino ci vorranno dunque sempre 9 mesi...

Prof. Bodei, lei scrive che la morale è una fragile costruzione che va incessantemente difesa dagli abusi. Non è sufficiente proteggere noi stessi, il prossimo, l’ambiente?

La filosofia che si occupa di questi argomenti è l’etica, un tempo infatti non era possibile fare trapianti, intervenire sul DNA, dunque, al fine di evitare errori, si devono regolare quelle possibilità che prima non c’erano. Se ad esempio modifichiamo il DNA, potremmo introdurre delle varianti che riguardano anche le generazioni future, dunque persone che ancora non esistono e non hanno deciso. È su questo che la filosofia indaga dal punto di vista etico, poiché non tutto ciò che oggi è possibile è anche lecito.

Questi precetti generali basterebbero, ma bisogna vedere nei casi specifici come si articolano, il diritto e la morale hanno il compito di dimostrare la struttura di queste affermazioni. Prendiamo ad esempio l’ambiente: si possono fare delle sottigliezze dicendo che certi rifiuti tossici sono smaltiti facilmente e si rigenerano. Questo però non è vero: i pesci sono pieni di mercurio, occorrono allora regole che impediscano di buttare il mercurio nell’acqua. I limiti riguardano la coscienza del singolo o la coscienza collettiva?

La coscienza collettiva è più importante perché produce azioni che riguardano tutti e che si dovrebbero trasferire a livello di leggi o comunque di comportamenti abitudinari. La coscienza collettiva è preminente anche perché pensa i limiti cui la coscienza individuale dovrebbe adeguarsi, insieme ai comandamenti morali che sente in se stessa. La coscienza individuale privata resta un fatto isolato, conta invece il quadro generale in cui il singolo si trova a nascere.

(ride)... Non sappiamo in futuro cosa succederà, ma ci sono limiti naturali che sono invalicabili – sebbene alcuni siano stati superati abbondantemente Perché si è occupato del limite?

Il filosofo Remo Bodei. (Marka) Possiamo parlare di responsabilità dello scienziato?

La ricerca deve essere libera: se lo scienziato si impone dei limiti la ricerca si paralizza. Il problema dei limiti riguarda l’applicazione, cioè la tecnologia. Pensiamo ad esempio al bosone di Higgs: gli scienziati studiano le forme della natura, ma non sono responsabili di ciò che si potrebbe ricavarne. Il controllo è dunque dei politici?

Dei politici, ma anche dei cittadini: il politico deve infatti capire cosa pensa la maggior parte delle persone. Prendiamo la clonazione: per quanto tecnicamente possibile, essa ripugna alla nostra condizione umana...

Gli avvertimenti sono ascoltati?

Nell’Unione europea è stata creata una carta dei diritti e dei doveri che comprende anche questo. Ad esempio nel caso di malattie genetiche il genoma non può essere usato a scopi commerciali. Tra un relativista e chi invece crede nella verità assoluta, Lei non pensa che il relativista abbia dei vantaggi? Il primo può mettersi nei panni del secondo, ma il contrario non è possibile.

Sono perfettamente d’accordo: l’assolutista crede di avere in tasca la verità, mentre il relativista pensa alla verità, ma poi non è detto che qualsiasi scelta sia possibile. Il relativista è il contrario dell’assolutista: questi ritiene di non

avere legami, di possedere una verità staccata da qualsiasi rapporto con gli altri.

Nel momento storico attuale Lei pensa si possa essere ottimisti verso la capacità degli esseri umani di fermarsi al momento giusto?

Non sono né ottimista né pessimista poiché non ho la sfera di cristallo. Mi limito a fare un ragionamento al condizionale: se siamo in grado di mobilitarci per cambiare certe situazioni pericolose, non si tratta di una questione intellettuale, bensì di volontà, sia politica sia individuale. Le cose non cambiano se non ci si mobilita per far prevalere le forze positive, che includono la vita delle persone, piuttosto che quelle negative come la guerra, le armi, la distruzione del pianeta. Moralmente la scelta è chiara. Ma allora cosa la impedisce?

Ci sono troppi interessi e naturalmente chi fabbrica bombe non vuole rinunciare, chi ha la libidine del potere non se ne andrà. Il problema dell’umanità è quello di sempre: da una parte ci sono le forze che vogliono espandere i diritti di tutti, dall’altra quelle che naturalmente perseguono i propri fini. Dunque ritorniamo di nuovo alla coscienza umana, individuale?

Sì, ma dev’essere una coscienza umana che non nasce nel vuoto, che si costruisce sulla base di problemi individuali ma riguarda problemi che non sono individuali, e che cresce in ogni società che abbia istituzioni, leggi e pluralità di vedute della democrazia. Annuncio pubblicitario

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Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 6 febbraio 2017 • N. 06

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Cultura e Spettacoli

Lunga vita al musical e non solo

Giovani leoni e storici maestri Rete Due Tra jazz

Filmselezione È già sui nostri schermi il favoritissimo Oscar 2017

e nuove musiche

Fabio Fumagalli *** La La Land, di Damien Chazelle, con Ryan Gosling, Emma Stone, J.K. Simmons (Stati Uniti 2016) Oscar 2017 annunciato grazie alla bellezza di quattordici nomination, premio per la Migliore Attrice all’ultima Mostra di Venezia a Emma Stone, il successo di pubblico come di critica di La La Land non sorprende più di tanto. Poiché il secondo film (dopo il già interessante Whiplash del 2015) del regista appena trentenne Damien Chazelle sembra nato apposta per sedurre un arco vastissimo di spettatori.

Chazelle riesce a tenersi lontano dagli stereotipi e a toccare anche temi sociali importanti, senza perdere in grazia Il fascino del film non deriva tanto, infatti, da una storia che la commedia cinematografica ha sfruttato fino dalla sua nascita: un’antipatia a prima vista, che progressivamente si muta in legame amoroso. È quella tra Mia (Emma Stone) – che fa la cameriera nei pressi della Warner, frequentando però tutte le audizioni nella speranza di avviare la carriera di attrice – e Sebastian (Ryan Gosling), dal tragitto quasi parallelo, visto che tira a campare nell’ingrata professione del pianista da bar, ma nella speranza di aprire in futuro un club di jazz tutto suo. Il cuore che pulsa, e probabilmente spiega le ragioni del grande successo del film, sta però in una sua sorta più preziosa di stato di grazia. Che gli permette di proiettarsi, con felicità, una bella dose di talento e anche di spregiudicatezza (magari a rischio di sfociare nel nulla) in tutta una serie di direzioni. In parte tradizionali: come in quel suo modo, pieno di grazia e di qualità, di resuscitare un genere che si credeva morto (oltre che non sempre amato da tutti) come la grande

Emma Stone è Mia, Ryan Gosling è Sebastian. (www.lalaland.movie)

commedia musicale. Altre volte, nel rifiuto del semplice omaggio condito di nostalgia: per deviare in una specie di sorprendente modernismo, uno stile spettacolare ma volentieri tentato dall’esprimere dei temi e delle preoccupazioni attuali e tutt’altro che scontate. La La Land è un film che poteva limitarsi ad essere una favola; è invece capace di rivitalizzarsi nella riflessione sociale come nell’indagine psicologica. Così, la passione di Chazelle per una musica autentica, per un’epoca basata su altri valori, per un’estetica meno sbrigativamente tradotta con degli effetti digitali, e non da ultimo per dei personaggi veri, la si recepisce dalla minuzia, priva di ogni sottolineatura didattica, di ogni sua imma-

gine. Anche perché impregnata di quel senso di libertà che alimentava (come forse mai più da allora) i capolavori dei musical di Busby Berkeley, Vincente Minnelli, Stanley Donen, Jacques Demy. Allo stesso tempo altri risvolti del film rimandano a universi espressivi quasi antitetici, pensiamo al cinema di Max Ophuls o a un Woody Allen senza le sue battute, alle tinte del Francis Coppola di Un sogno lungo un giorno, o addirittura a David Lynch, forse per l’ambientazione che ricorda il magnifico Mullholland Drive. L’impatto del film è immediato nella straordinaria dinamica estetica e musicale del suo incipit che scaturisce, quasi inopinatamente, dalla più banale delle situazioni. Un immenso ingorgo mattutino sull’autostrada che

conduce alla Los Angeles del sogno hollywoodiano e che si trasforma in un infinito piano-sequenza: con gli automobilisti che, al suono delle autoradio, escono dai veicoli incolonnati per liberarsi in una gioiosa, solare coreografia di musiche e danze. Ma tutto ciò, in assenza dei protagonisti, non sarebbe che un sapiente esercizio di stile. Ryan Gosling che balla e canta è talmente impacciato da riuscire a risultare toccante. In quanto ad Emma Stone, l’eroina di Woody Allen e di Inarritu riesce splendidamente, nella splendida trasparenza del viso, senza per questo dimenticare le movenze sexy, evidenziando così in profondità il dinamismo sfrenato e forse anche qualche rischio d’edulcorazione del film.

Gli appassionati attendono sempre con una certa impazienza e curiosità il programma della stagione jazz di Rete Due (sostenuta dal Percento Culturale di Migros Ticino). Le sue caratteristiche rimangono costanti nel tempo, grazie all’esperienza del suo coordinatore, Paolo Keller. Da un lato una panoramica delle proposte più originali e nuove provenienti d’Oltreoceano; dall’altro; un paio di appuntamenti con alcuni grossi nomi, meglio se veterani di sicuro valore. Entrambe queste caratteristiche sembrano perfettamente rispettate nel programma della seconda parte della stagione 2016-2017. Tra le nuove proposte vanno segnalate le nuove ECM Session: giovedì 23 febbraio allo Studio 2 RSI, con «Food + guest» mentre il 30 marzo all’ Auditorio RSI è programmata una ECM Live recording session con il quintetto di Thomas StrØnen. Il 28 aprile a Biasca, sarà di scena poi il giovane talento Shai Maestro col suo Trio. Nel settore «grandi calibri» troviamo nomi di rilievo come l’incredibile Duo Galliano – Carter, il 17 marzo al Teatro di Chiasso, e il William Parker Organ Quartet il 23 marzo allo Studio 2. Il gruppo «Sky Dancers 6» del contrabbassista Henry Texier sarà poi il 7 aprile allo Studio 2 RSI. Ciliegina sulla torta, la Steve Gadd Band, l’8 maggio al Teatro del Gatto di Ascona. /AZ

Il grande batterista Steve Gadd, sarà ad Ascona l’8 maggio. (RSI)

Un degno erede di Scorsese e Robert Altman Rassegne I Cineclub ticinesi dedicano una Retrospettiva a Paul Thomas Anderson Giovanni Medolago C’è chi affianca il suo nome a quello di Martin Scorsese, soprattutto per gli insiti piani sequenza (ottenuti anche grazie al sapiente lavoro di Robert Elswit, che l’ha seguito su tutti i set, fatta eccezione per The Master) e l’azzeccato inserimento della musica nella colonna sonora. Altri lo hanno eletto quale miglior erede di Robert Altman, stavolta per l’interesse al racconto corale dove una selva di personaggi si danno il cambio nello sviluppo drammaturgico della storia narrata. Confronti certo lusinghieri, che fanno di Paul Thomas Anderson (PTA) uno di quei registi capitati per caso a Hollywood, aggiungiamoci anche Woody Allen e i fratelli Cohen, ma che guardano al cinema europeo d’antan e ai soliti Grandi Maestri del Vecchio Continente. È certo che PTA non abbia dovuto sciropparsi la consueta gavetta fatta di mille disparati mestieri prima di vedersi aprire le porte degli Studios, che curiosamente riecheggiano nel nome

della sua cittadina natale, Studio City (CA), dov’è nato nel giugno 1970. Discendente da un’agiata stirpe è anche in qualche modo figlio d’arte: suo padre ha lavorato quale attore soprattutto nei serial televisivi. Ma il genitore è stato importante per il futuro regista anche

perché fu uno dei primi appassionati di videoregistrazione. Sin da piccino PTA ha così avuto a disposizione un numero quasi infinito di film, e grazie ai tasti «rewind» e «forward» è assai probabile che abbia preso gusto a studiare scene, inquadrature e sequenze, cercando una

Il regista americano sul set di Vizio di forma (del 2014). (Keystone)

mirabile sintesi tra i diversi stilemi dei suoi cineasti preferiti. Un altro colpo di fortuna PTA l’ha avuto quando il Sundance Festival di Robert Redford gli ha assegnato una borsa di studio, indispensabile per garantirgli l’esordio con Hard Eight (conosciuto anche col titolo di Sidney), nel 1996. Digerite le critiche mosse alla sua opera prima (superficiale nella sceneggiatura, qualche trovata un po’ troppo campata in aria…), PTA si butta nell’universo dell’industria pornografica statunitense degli Anni 70 del secolo scorso con Boogie Nights (L’altra Hollywood), dove dirige due mostri sacri come Julianne Moore e Burt Reynolds, ottenendo risultati migliori rispetto al Milos Forman di Oltre lo scandalo e ricordandoci invece l’acume che pervadeva Il pornografo, firmato nel ’75 da John Byrum. Sin dai primi titoli, si evidenziano altresì quei temi che diverranno imprescindibili per PTA. L’interesse per i personaggi presi dalla strada, spesso emarginati, looser e borderline, figli senza padri, figure messe a dura prova

dal destino o sconfitte dai sempiterni mali (leggi: ingiustizie) che affliggono la società contemporanea; famiglie che devono confrontarsi con un passato talvolta imbarazzante e legami di sangue ai quali si vorrebbe sfuggire; il cinismo del Caso e realtà quotidiane quasi disintegrate messe a confronto con gli universi paralleli della TV o della droga. Spunti che ritroviamo nel lavoro che permise a PTA di farsi notare nel 2000 a livello internazionale, Magnolia, petali separati, ma imprescindibili e uniti alla base, di quel meraviglioso fiore cinematografico che in realtà deve il suo titolo a un omonimo viale della San Ferdinando Valley. Un vasto affresco che deve molto al già citato Altman (America oggi) e che torna a denunciare – quattro decenni dopo la «Nuova Hollywood» – il diffuso malessere della società statunitense, dove rimane poco spazio per il mito dell’american dream. Informazioni

Programma e altre info all’indirizzo www.cicibi.ch


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Cultura e Spettacoli

Quando l’ascolto diventa scoperta

Dischi U n’attenzione meritata per le nuove pubblicazioni di Lothar, dyp e MeVdA grammatori musicali dello Studio Foce a Lugano – e per chi viene dai lunghi anni dell’apprendistato all’interpretazione classica farsi creatore non è un passo da poco, soprattutto concettualmente. Così come non è semplice abbandonare il virtuosismo tecnico quale chiave interpretativa della realtà e unico metro per misurare la qualità musicale. Con Empty Songs il dado è decisamente tratto, e il minimalismo malinconico delle tre tracce è un inno – profondo, sentito – alla semplicità dei sentimenti e delle sensazioni più vere. Archetipi elementari da cui la nostra esperienza non può sfuggire, come quando si resta in ammirazione di orizzonti urbani invernali: lineari e a tratti disconnessi, sereni ma anche sporchi e graffiati.

Zeno Gabaglio Ci sono fondamentalmente due tipi di attitudine: quella di chi nell’ascolto musicale cerca conferme di sé (dei propri gusti, delle proprie abitudini, della propria visione del mondo) e quella di chi nell’utilizzo attivo del senso-udito vuole anche aprirsi a nuove esperienze (poetiche, sensoriali, culturali, umane) ben sapendo che il risultato non è per nulla garantito: magari piacere, magari stupore, magari fastidio.

Tre produzioni di «nuova musica» che rifuggono dagli stili offrendo un approccio raffinato al suono

MeVdA – Scare To Care

Smetta di leggere tutto quel che segue chi fa parte della prima categoria. Mentre chi appartiene alla seconda provi a trovarci spunti per future soddisfazioni, scoprendo contestualmente come la produzione musicale della Svizzera italiana non è – come spesso si suppone – solo rifrittura dell’ovvio, ma anche audace movimento centrifugo. Lothar – Ikaròs

Piattaforma ideale per ogni tipo di scoperta musicale – senza nessun confine, davvero – è il portale bandcamp. com. Sito di vendita digitale e fisica che quest’anno celebra il primo decennale, bandcamp è soprattutto un luogo riparato in cui a trionfare non sono tanto i flussi veicolati dal marketing e dalle classifiche quanto la soggettiva libertà – per chi la musica la fa – di inserirsi a tutti gli effetti nel mercato globale. Per esempio ci si può trovare Ikaròs di Lothar, al secolo Mattia Scheiwiller, che nel locarnese già da qual-

Esce per l’etichetta «L’è tütt folklor Records».

che anno è agitatore di idee inconsuete attorno al mondo dei suoni. Il suo, essenzialmente, è un disco di field recording (cioè di campionamenti ambientali, più domestici e civilizzati che non en plein air) cui si sommano strumenti reali quali chitarra, banjo, clarinetto e carillon. Il risultato sono nove tracce di collage sonori che – provandoli a leggerli secondo i normali percorsi logico-musicali – potrebbero apparire ostici. Se invece da subito ce li si immagina come reminiscenze

oniriche, come esperienze che si distorcono e sovrappongono senza soluzione di continuità (proprio come accade nei sogni) i pezzi rivelano un profondo ordine espressivo ed evocativo. Bisogna avere un caos dentro di sé per generare una stella danzante, diceva il Zarathustra di Nietzsche. dyp – Empty Songs

Filippo Corbella è chitarrista di ascendenze classiche – oltre che tra i pro-

Spendere solo poche righe per parlare di MeVdA (un nome che – per una band, ma non solo – rasenta la perfezione) e della florida realtà sopracenerina di L’è tütt folklor Records potrebbe sembrare iniquo. Uno spazio ingiustamente breve soprattutto se si vuole sottolineare come anche in Ticino c’è chi – magari il tuo vicino di casa – fa cose che proprio non t’aspetteresti, cose che a tutto il resto del villaggio sembrano la negazione di ogni valore costituito, che sfuggono a qualsiasi tipo di comprensione. E proprio alla limitatezza culturale di questi benpensanti personalmente dedico quell’unica nota che caratterizza i primi quattordici minuti dello split-tape MeVdA/Xtematic uscito a metà dello scorso anno. Un quarto d’ora per un’unica nota, sì, perché quel che conta non è l’altezza della nota ma il processo di progressiva distorsione a cui tale nota viene sottoposta. Una voluttuosa disgregazione materica che appare sublimazione dell’ineluttabile, declino e al tempo stesso apoteosi.

Una piccola scena per un pubblico di piccoli Minispettacoli

Continua la rassegna teatrale per l’infanzia I Minispettacoli sono nati diciotto anni fa per iniziativa di un gruppo di mamme appassionate di teatro, le quali si erano proposte di avvicinare al palcoscenico il… «piccolo pubblico». In epoca di media elettronici, i Minispettacoli con la loro formula «a misura di bimbo», sostenuti da Percento Culturale di Migros Ticino, propongono ogni anno un cartellone di spettacoli divertente e creativo: il prossimo appuntamento è con una fiaba ambientata in un giardino speciale, in cui cresce un quadrifoglio magico...

Biglietti in palio Oratorio San Giovanni, Minusio Do. 12 febbraio, ore 15.00 e 17.00 Aglio, Oglio e il Quadrifoglio Compagnia Mariangela Martino, Milano. Per bambini dai 3 anni. www.minispettacoli.ch Migros Ticino offre ai lettori di «Azione» biglietti gratuiti per le manifestazioni organizzate attraverso il Percento culturale (massimo due biglietti per economia domestica). La partecipazione è riservata a chi non ha beneficiato di vincite in occasione di analoghe promozioni nel corso degli scorsi mesi. Per aggiudicarsi i biglietti basta scrivere una email contenente nome, cognome, indirizzo e orario dello spettacolo scelto martedì 7 febbraio all’indirizzo giochi@azione.ch. I vincitori saranno estratti a sorte tra tutti partecipanti e riceveranno una conferma via email. Buona fortuna!

L’avventura della danza contemporanea svizzera Editoria Un interessante volume raccoglie documenti e testimonianze di un’epoca vivace e innovativa Giorgio Thoeni I temi che vengono discussi attorno alle nuove proposte della scena contemporanea muovono frequentemente soggetti dialettici che talvolta si soffermano su aspetti semplicistici, per non dire superficiali come la nudità esposta, oppure il dialogo con le nuove tecnologie, o ancora il «métissage» che avviene attraverso studiati incroci fra stili e protagonisti. Il tutto per un quadro da cui far derivare riflessioni sull’impatto comunicativo della danza e il suo futuro artistico. La danza sta oggi vivendo un momento molto felice. Lo si avverte nella nostra regione e su scala nazionale: l’attenzione verso nuove creazioni e i suoi protagonisti si traduce in numerose proposte per confronti che possono solo giovare. E anche il sostegno dei sussidi pubblici è diventato argomento prioritario per molte istituzioni. Gilles Jobin, Philippe Saire, Foofwa d’Imobilité, Marco Berrettini, Nicole Seiler, Cindy Van Acker, Perrine Valli, Thomas Hauert, MarieCaroline Hominal, Laurence Yadi & Nicolas Cantillon, Noemi Lapzeson o Annuncio pubblicitario

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ancora Claudio Schott, Nunzia Tirelli, Tiziana Arnaboldi, Claudio Prati & Ariella Vidach, Lorena Dozio… sono solo alcuni dei nomi che hanno scritto o stanno ancora scrivendo pagine importanti e che in molti casi hanno ottenuto riconoscimenti a livello internazionale. Fra glorie del passato e rilievi del presente l’elenco è davvero molto più lungo e la danza contemporanea svizzera ha una storia affascinante. Un capitolo che non ha ancora conquistato la giusta considerazione: in parte lo si deve a un’affermazione che ha faticato a farsi largo fra le specificità regionali, argini culturali e linguistici che spesso impediscono di affrontare temi comuni in termini generali. A ciò si aggiunge la poca letteratura esistente sulla danza contemporanea in Svizzera, una realtà «attiva, solida, diversificata e importante comunità di artisti e di attori culturali». Per raccontarla occorre infatti considerare un complesso percorso di crescita che inizia dagli anni 60, quando molti artisti si costruiscono una propria identità impegnandosi in un itinerario professionale all’estero, per poi arrivare agli anni 80, un’epoca in cui questa forma d’espressione conquista per la prima volta una larga visibilità fino alle consacrazioni dei giorni nostri. È una storia dunque relativamente giovane e che racconta anche lo sviluppo culturale del nostro Paese e

che oggi assume le giuste proporzioni grazie alla pubblicazione di La danse contemporaine en Suisse. 1960-2010 Les débuts d’une histoire, un libro edito dalle Editions Zoé di Ginevra e scritto dalla ricercatrice ginevrina Anne Davier con la francese Annie Suquet, storica della danza. Suddiviso in tre parti, il libro inizia il suo excursus sull’onda del ’68 quando, travolti dal desiderio di emancipazione, di ribellione e di libertà, molti danzatori e futuri coreografi svizzeri cercano di ampliare gli orizzonti della danza aprendo le frontiere fra gli ambiti artistici (teatro, arti plastiche, cinema, circo, letteratura, musica…) ed elaborando nuovi approcci al movimento, anche alla luce del dirompente progresso musicale della musica Jazz di quegli anni. Una trasgressione rispetto alle tradizionali tecniche proposte dalla danza classica accomunato da un forte desiderio di «ibridazione« fra discipline. La seconda sezione cerca di capire come questa nuova generazione di artisti si è battuta per fare uscire la danza contemporanea dal cerchio «confidenziale», come ha potuto trovare una visibilità dialogando con associazioni, festival e, soprattutto, attraverso gli spettacoli. In questo senso assume un’importanza rilevante il ruolo che nel 1986 si assunse Pro Helvetia, la fondazione a sostegno dell’arte e della cultura svizzere, collaborando all’or-

La pagina dedicata alla coreografa zurighese Anna Huber. (www.blvdr.ch)

ganizzazione a Boswil (AG) del primo simposio dedicato alle sorti della danza contemporanea: una tappa che la faceva entrare nell’agenda della politica culturale svizzera. Una terza e ultima parte del libro si concentra sulla generazione che ha potuto approfittare delle sinergie innescate dai precursori e, soprattutto, cercando di rispondere alla domanda: quale sarà il panorama di riferimento per gli artisti emergenti? In definitiva, come si può immaginare, il risultato di questa ricerca diventa una fondamentale base per

meglio comprendere molti aspetti di un’arte che ha conquistato una popolarità fino a pochi anni fa limitata a un ristretto pubblico di appassionati. Non solo. Questo libro, il risultato di ricerche d’archivio, di una settantina di interviste e strutturato come una biografia, prende finalmente in seria considerazione anche la realtà della Svizzera italiana dedicando pagine interessanti e approfondite ad alcune delle principali voci che hanno contraddistinto la sua vicenda. Nel bene come nel male, ma sempre con un respiro di speranza per l’avvenire.


Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 6 febbraio 2017 • N. 06

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Cultura e Spettacoli Rubriche

In fin della fiera di Bruno Gambarotta Un libro pieno di segreti fruttati Torino è ricca di musei ma il più originale e forse unico al mondo è «Il Museo della Frutta» che presenta la collezione di mille e più «frutti artificiali plastici» modellati nella seconda metà dell’Ottocento da Francesco Garnier Valletti, nato a Giaveno (provincia di Torino) nel 1808 e morto a Torino nel 1889. È stato un impareggiabile virtuoso della tecnica «cero plastica» con la quale riprodusse con maniacale precisione fiori e frutti, chiamato per chiara fama a Vienna dall’imperatore d’Austria e a San Pietroburgo alla corte dello Zar. Nel museo si trovano 501 varietà di pere, 295 di mele, 56 di albicocche, oltre a pesche, susine, uve. Molte cultivar si sono nel frattempo estinte e questa è l’unica documentazione visiva rimasta. Ne scrivo qui per esortare i lettori a visitare il museo e per raccontare qualcosa su questo singolare personaggio poiché è riemerso dagli archivi un suo calepino manoscritto di ben 700 pagine che Stefano Benedetto, direttore del museo, ha fatto trascrivere. È una summa delle

conoscenze popolari dell’Ottocento, soprattutto in campo medico ed agricolo, un testo che avrebbe di sicuro fatto gola al compianto Piero Camporesi, infaticabile esploratore di questo genere di letteratura. Ricordiamo tra i tanti suoi titoli Il pane selvaggio e Il libro dei vagabondi. La casa editrice Il Saggiatore ha in progetto la ristampa di tutte le sue opere. Francesco Garnier Valletti era un infaticabile autodidatta e scriveva in un italiano colorito e traballante, ricco di piemontesismi. Perciò nel trascrivere qualche ricetta, scelta fra le più curiose, mi sono permesso di fare talvolta un lavoro di editing. Dalle prescrizioni di medicina popolare si può inferire di quali mali soffrissero con maggiore frequenza i suoi contemporanei: infezioni, tagli, ferite, bubboni, bruciature. La colica si cura «con una bevanda a base di escremento di bue fresco, un po’ di zucchero o miele». Con una raccomandazione forse pleonastica: «si dà al malato che non lo sappia». In caso di emorragie ecco un rimedio

semplice e a portata di mano: «per sedare il sangue usare la bava di rana in calore». Non spiega come si distingue la rana in calore da quella frigida. Altro malanno frequente: «Con tre castagne d’India in tasca le emorroidi scompariranno senza accorgersene». Ritornano con frequenza prescrizioni, ogni volta diverse, per «far sparire le lentiggini dalla faccia». Eccone una: «Si uccide una gallina bianca e si prende il sangue di detta gallina; si unge il viso o dove sono le lentiggini, si lascia seccare e le lentiggini spariscono». Leggo la ricetta dell’elisir di lunga vita a base di aloe e penso al dottor Dulcamara di Donizetti; chissà se il Nostro ha mai assistito a una rappresentazione de L’elisir d’amore. Come sollievo della martellante pubblicità di cibi per cani: «Se si vuole che un cane non abbandoni mai il suo padrone, si metta della mollica di pane sotto le ascelle prima di andare a letto e la si tenga tutto il giorno seguente in modo che s’impregni del sudore e dell’odore, poi la si dia da mangiare

al cane che così mai abbandonerà il suo padrone». Vorrei vederli i nostri cani viziati dalle crocchette bio, che mangiano quella mollica. Francesco Garnier Valletti, da una parte appunta «mille accorgimenti per far buon vino o champagne» o il «Rum artificiale» e anche i «1700 grammi di zucchero per ettolitro di vino per farlo salire di un grado», dall’altra suggerisce i rimedi per scoprire l’adulterazione: «Per conoscere se il vino è colorato con materie coloranti si mette una fetta di pane nel vino e la si lascia mezz’ora. Si estrae e si mette nell’acqua. Se il vino è naturale ci vogliono almeno dieci minuti perché l’acqua si colori. Se succede subito è la prova che il vino è stato adulterato». Francesco Garnier Valletti dà il meglio di sé quando si dilunga sugli accorgimenti per la coltivazione della frutta, dall’impegno a «combattere la Fillossera che distrugge le viti», al rimedio «per distruggere i calabroni che attaccano i frutti sugli alberi: cuocere una frittata con uova e noce vomica ridotta

in polvere, metterla in un piatto dove passano i calabroni che ne sono ghiotti, la mangiano e muoiono». C’è anche spiegata nel dettaglio una tecnica «per trovare l’acqua un mattino d’estate» e di conseguenza il posto dove scavare un pozzo. Trascrivendo il taccuino c’era la speranza, andata delusa, di trovarvi la spiegazione delle tecniche impiegate dall’autore per ottenere le sue stupefacenti copie più vere del vero di ogni varietà di frutta. Si trova solo qualche riferimento ai materiali, come quest’appunto del 5 marzo 1858: «Frutti artificiali si fanno con polvere d’alabastro sciolta nella cera, nel miele e nella gomma damar». (È una resina naturale di origine vegetale, usata dai restauratori). Poco dopo annota, il 20 novembre dello stesso anno: «Morrò senza palesare il mio segreto per imitare le uve se non sarò compensato onestamente». È consapevole dell’importanza del suo taccuino. Annota: «Questo libro è preziosissimo e non trovasi il compagno con tanti segreti».

veterinaria e cinopedagogica, i secondi terribili scenari di detenzione, paragonabili, anche nelle versioni più chic e all’aria aperta, a certe prigioni che gli Stati Uniti promettono di chiudere e non chiudono, costruite su isole caraibiche. Dunque, il cucciolo non verrà lasciato a se stesso o condotto per volgari marciapiedi, perché ogni mattina passerà da casa lo scuolabus dell’asilo per cani. Una modalità normale per le scuole degli umani del Nord America, da noi ancora poco praticata per le nostre scuole materne e primarie. Ma i cagnolini sì, hanno lo scuolabus. Arrivati all’asilo, le bestiole vengono accudite da esperti che si preoccupano della loro nutrizione, secondo diete personalizzate, del loro divertimento e movimento, si sa che in città i cani ingrassano perché si muovono poco, con gravi conseguenze per la salute. Infine, precisano i responsabili in interviste rilasciate negli ultimi giorni, ogni animaletto riceverà cure, coccole

e attenzioni, tese a far dimenticare la trascuratezza di un «padrone» (ma che brutta parola, passare a «compagno»?) che non ha né tempo né energie per accudirlo. Perché prendere un cane se poi non ci si può dedicare, ci domanderemo insieme ad animalisti dotati di incredibile buon senso. Per poi riempire il cane di dolcetti e vizi per compensare le mancanze, facendogli del male. È lo stesso meccanismo cui si accennava prima, quello del bambino trascurato a cui non si nega niente nella speranza, del tutto vana, di recuperare amore grato e gratuito, quello che sorge spontaneo in cambio dell’accudimento, della «cura». Che in fondo è l’unica richiesta irrinunciabile di umani e animali, di grandi e piccini. Nell’ultimo libro di Gianrico Carofiglio (L’estate fredda, Einaudi, astenersi appassionati dei thriller pulp e frettolosi della peggiore tradizione americana), il commissario Fenoglio illustra al carabiniere Pellecchia la teoria dei de-

linquenti adulti e bambini. Pochi sono gli «adulti», coloro che infrangono la legge per uno scopo preciso, come il guadagno e basta. Questi non si fanno scoprire quasi mai. La maggioranza, invece, delinque per attirare l’attenzione dell’autorità: compie gesti anche efferati, crudeli, e poi lo racconta in giro, se ne vanta, finendo per far arrivare le sue gesta all’orecchio di un confidente della polizia, che parla con chi sa e che alla fine mette l’autorità alla ricerca del ladro o assassino o altro. Costui si sente finalmente «ricercato», sia come i wanted del far west, sia come persona che desta interesse, c’è qualcuno che lo cerca per quello che ha fatto, la sua vita diventa piena di senso, da vuota che era. E se per ottenere questo scopo si è disposti a uccidere e a vivere o tra delinquenti in prigione o tra delinquenti in fuga, allora come potremo ancora avere la speranza di comprare con oggetti e cure di estranei la riconoscenza di grandi e piccini, cani o bambini?

di essere del tutto cancellato, perché in definitiva ciò che riguarda la tua persona semplicemente non ti appartiene e prima o poi tutto riemerge a furia di rimestare nella grande pattumiera. Non possiedi il copyright della tua identità: senza saperlo – per distrazione, per ignavia, per precipitazione – nel momento in cui hai accettato di far parte di un social network, hai ceduto la tua identità a un ente superiore (o inferiore) che la gestirà autonomamente. Video, messaggi, fotografie che hai «postato» (3– al neologismo) non ti appartengono più. Devi sapere (prima di entrarci) che internet non ammette pentimenti: se in passato hai lasciato una traccia fotografica di cui ora ti vergogni, è complicato tornare indietro. È nota la storia dell’imprenditore spagnolo che aveva subìto un pignoramento (registrato su internet) e che, nonostante il «fattaccio» fosse ormai chiuso definitivamente da anni, non riusciva più a stabilire rapporti di lavoro perché il

web continuava a rovinargli la reputazione riportando a galla quel vecchio incidente giudiziario. Ne La tentazione dell’oblio (un saggiopamphlet uscito da Franco Angeli, 5–), l’ingegnere elettronico Andrea Barchiesi, esperto nel ripulire la reputazione online, spiega come tutelare la propria riservatezza nel web. La «stretta di mano digitale», avverte, è un gesto pressoché inevitabile che rischia di vincolarti per sempre. Il fatto è che sopravvivono, senza selezione, tutti i rottami, i detriti inquinanti, le scorie infette… Se lo dice lui, c’è da crederci. Dunque, bisognerebbe utilizzare i social network con cautela, il che assomiglia tanto a una figura retorica classica, l’«adynaton», che segnala un’impossibilità del tipo «arare il mare» o il biblico passaggio del cammello nella cruna di un ago… Se Lapo Elkann (1+ alla simpatia) pensa davvero, come ha annunciato qualche giorno fa, di ritirarsi a vita privata dopo avere scelto

una sguaiata sovraesposizione per terra, per mare e per cyberspazio, si sbaglia di grosso: «Da oggi – ha scritto ai suoi affezionati “seguaci” (513 mila su Instagram, 350 mila su Facebook) – la mia vita sarà offline». Minacciando subito, però: «Non è un addio ma un arrivederci». Anche lui conosce l’adynaton? Non è escluso. Tempo fa il politico Maurizio Gasparri, su Twitter, si è lasciato sfuggire un passato remoto alquanto inusuale («chiesimo», voce del verbo chiedere): ebbene, di fronte allo scandalo dei puristi e allo scherno di tanti «followers», il senatore ha prontamente (ed elegantemente) scaricato la responsabilità dello strafalcione sullo staff che gli gestisce i social ed è andato avanti tranquillamente. C’è chi non è sfiorato dalla tentazione dell’oblio, al punto da pagare uno «staff» per alimentare di sé, a futura memoria, la grande pattumiera universale. Memorabili e felici anche nel fango.

Postille filosofiche di Maria Bettetini Come ti curo il cucciolo Mentre un presidente blocca l’ingresso nella sua nazione a chi gli sta antipatico, mentre la disoccupazione giovanile raggiunge vette ineguagliate, mentre si muore per il freddo e la neve, e soprattutto fa freddo anche all’Isola dei Famosi, c’è chi si occupa d’altro. Sorgono nelle metropoli istituzioni di cui sentivamo davvero la mancanza, atte a soccorrere il cittadino nelle sue primarie necessità. Asili nido? Negozi di vendita a peso e misura, per risparmiare sulle ricche confezioni? Luoghi deputati al baratto, così da evitare insieme l’accumulo di cose inutili e i frequenti imbrogli delle vendite web? No, no e no. I bambini continueranno ad avere destini diversi a seconda del censo, chi seguito da mamma e baby sitter, chi posizionato dalla nonna e pazienza se la nonna dorme davanti al televisore notte e giorno. I nostri guadagni continueranno a investire nella plastica del packaging, a contribuire quindi al soffocamento del pianeta

(ogni tanto, per esempio, ricordiamoci di quel sesto continente, quell’isola composta da migliaia di chilometri quadrati di imballi di plastica, che viaggia placida per gli oceani). I genitori butteranno via o dimenticheranno in soffitta carrozzine, abiti, culle, tutto ciò che i loro bimbi non usano più. Quei genitori stessi compreranno ogni cosa nuova al figlioletto, per compensare col consumo quello che non sanno o non possono dare in tempo e attenzioni. Però, i cittadini potranno godere dei vantaggi dell’«asilo per cani». Da anni lo si richiedeva a gran voce, imputando all’insostenibile mancanza le colpe di disfatte familiari, politiche, sportive. Da tempo sindaci e ministri esortavano i cittadini a offrirsi volontari per questo amorevole business. Infatti per porre rimedio all’inaccettabile ritardo, ora le cose si fanno per bene: non stiamo certo parlando di dog-sitter e di canili attrezzati, i primi quasi sempre giovani squattrinati senza alcuna cultura

Voti d’aria di Paolo Di Stefano Fango, identità e oblio E se uno volesse scomparire? Dopo essere stato sulla scena per anni, dopo aver combattuto la propria battaglia professionale o sociale, dopo essere stato o essersi sentito protagonista, volesse sottrarsi, rientrare nell’ombra? È possibile, tranne in un caso. Il diritto all’oblio, previsto sulla carta, per i social network non è realizzabile. Una volta che hai accettato di entrare in Facebook, YouTube, Google, Twitter, Instagram o nelle altre reti sociali, non ne puoi più uscire: tecnicamente impossibile scomparire. Sei nella grande pattumiera universale della Rete e ci resti. Non basta un clic. È ciò che si definisce una situazione kafkiana: oppure una di quelle distopie che somigliano molto al mondo narrato da George Orwell (6 per la capacità visionaria). Il caso più drammatico è stato quello, recente, della giovane donna napoletana i cui video porno le sono sfuggiti di mano e hanno cominciato a circolare contro la sua volontà, scatenando vignette,

montaggi, canzoni, burle, parodie in qualsiasi forma nello spazio virtuale e nella vita reale. Una catena inarrestabile, un meccanismo cosiddetto «virale» (3– all’aggettivo) che ha costretto la poveretta ad abbandonare il lavoro, a fuggire di casa, a rintanarsi in luoghi sconosciuti, a cercare di cambiare identità, a provare la denuncia penale, a chiedere inutilmente che quel materiale venisse cancellato, a tentare un paio di volte il suicidio e infine a togliersi la vita per la disperazione, impiccandosi con un foulard in uno scantinato. È vero che una sentenza della Corte di Giustizia Europea ha sancito nel maggio 2014 che ogni cittadino ha il diritto di richiedere la rimozione dal motore di ricerca dei contenuti che lo riguardano, ma c’è poco da fare: i tempi di reazione di un tribunale sono infinitamente più lenti di quelli di internet, che diffonde milioni di materiali in un battito di ciglia. Puoi pure implorare di scomparire ma non ce la farai mai a ottenere


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Idee e acquisti per la settimana

shopping Appuntamento con l’amore

14 febbraio La festa degli innamorati è l’occasione ideale per sorprendere il proprio partner con un bel dono

o un gustoso piatto. Oltre ai tradizionali fiori e cioccolatini, vi proponiamo alcune altre idee per sottolineare degnamente il giorno più romantico dell’anno. Gli articoli sono in vendita presso i maggiori punti vendita Migros

Lasciatevi stuzzicare dai sapori della cucina giapponese. Il sushi non è solo un piacere per il palato, ma anche per gli occhi. I bocconcini di pesce crudo e riso sono disponibili nelle maggiori filiali in diverse varianti, oppure da ordinare in anticipo. P.es. Sushi Nigiri Classic 180 g Fr. 11.90

La specialità perfetta per un romantico tête-à-tête a casa propria. La fondue chinoise è tagliata fresca al coltello dal vostro macellaio Migros di fiducia con l’utilizzo dei tagli più pregiati di manzo e vitello svizzeri. Si consiglia di riservare con qualche giorno di anticipo. Chinoise di manzo o vitello p.es. Magatello di manzo, 100 g Fr. 5.50

Magnifiche rose rosse di provenienza sostenibile. Acquistare questo prodotto di qualità, griffato dal marchio Fairtrade Max Havelaar, significa aiutare a migliorare le condizioni di vita dei piccoli agricoltori e dei lavoratori nei paesi in via di sviluppo ed emergenti. Rose rosse Max Havelaar 70 cm, al pezzo Fr. 5.90

Illustrazione Sergio Simona

Cosa ne direste di dare il via alla vostra cena romantica con un antipasto d’effetto? La tartare di manzo a forma di cuore è già condita al punto giusto ed è preparata con succulente carne di manzo svizzera. A voi non resta che accompagnarla con del pane tostato e del burro. Tartare di manzo pronta «Cuore» 100 g Fr. 5.–

Per la festa degli innamorati prendetevi tutto il tempo per gustarvi una ricca colazione! Una gustosa treccia al burro è l’ingrediente imprescindibile del primo pasto della giornata. L’originale treccia cuoriforme è prodotta dagli abili panettieri Jowa con ingredienti svizzeri di prima qualità. Treccia a forma di cuore 900 g Fr. 10.80 In vendita dall’11 al 14.2 a S. Antonino

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Idee e acquisti per la settimana

Un risotto da Re

Attualità Non c’è carnevale senza il tradizionale risotto. Ma non tutti i risotti sono uguali. Quello del carnevale di

Prosito si è aggiudicato il primo premio al «Campionato ticinese dei risotti per gruppi di carnevale 2016», grazie anche all’utilizzo del riso della Riseria Taverne, un’industria Migros. Abbiamo incontrato il re di questo carnevale rivierasco, Paolo Barelli, alias Re Gosc

Paolo (Re Gosc), come nasce questa passione per il carnevale?

Fin da bambino sono stato un grande appassionato del carnevale. Prima di diventare Re, facevo già parte di una guggen in cui suonavo all’inizio la grancassa e poi il trombone. In seguito, nel 2006 la svolta: il carnevale di Prosito era alla ricerca di un successore e, con mia grande sorpresa, sono stato eletto a nuovo Re Gosc. Del carnevale apprezzo la compagnia, il sano divertimento e la spensieratezza nel trascorrere alcune giornate in allegria gustando degli ottimi menu carnevaleschi.

Il gruppo del carnevale di Prosito si è aggiudicato il primo posto al «Campionato ticinese dei risotti per gruppi di carnevale 2016». (Garbani)

Il risotto è un piatto indissociabile dal carnevale. Come si cucina un buon risotto per così tante persone?

I risi da risotto della Riseria Taverne:

Il nostro rodato team di cuochi da diversi anni il sabato prepara il risotto partendo da brodo fatto con carne e verdure fresche ed aromi «segreti». Inoltre, utilizzando il riso Carnaroli della Riseria Taverne, ci possiamo assicurare un’ottima riuscita. Altra particolarità del nostro risotto è poi l’aggiunta di pezzetti di luganighetta del Re. Il fatto che la nostra ricetta sia stata premiata con il primo premio al «Campionato ticinese dei risotti di carnevale» la scorsa estate a Locarno è stata una gran bella soddisfazione.

Riso Ticinese 1 kg Fr. 5.40

Riso Carnaroli 1 kg Fr. 4.20

Quali sorprese riserva quest’anno il carnevale di Prosito, previsto dal 16 al 18 febbraio?

Il nostro carnevale Gosc per l’edizione 2017 prevede un tema d’attualità particolarmente caldo per la regione: l’aggregazione in Riviera. Per l’occasione tutto il capannone sarà addobbato goliardicamente grazie al prezioso contributo del nostro «artista» Andrea. Sia io che la mia Regina vi aspettiamo numerosi: il divertimento è assicurato!

Risotto S. Andrea 1 kg Fr. 2.55

Re Gosc con la sua Regina alla scorsa edizione del carnevale di Prosito.

Il piacere di regalare fiori Offrire dei fiori è un gesto sempre molto apprezzato. Che si tratti dell’imminente San Valentino, del compleanno, dell’anniversario o del lieto evento, i reparti fiori Migros delle maggiori filiali offrono un’ampia gamma di creazioni floreali per ogni gusto, occasione e stagione. Come a Lugano Centro, dove Jasmina Acocella, responsabile del reparto, è a vostra disposizione per composizioni personalizzate.

Jasmina Acocella, responsabile del reparto fiori di Migros Lugano Centro, si assicura che ogni giorno la scelta di fiori e piante sia sempre attrattiva. (Flavia Leuenberger)


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Idee e acquisti per la settimana

Pane del mese

Soffice e leggero sotto la crosta

Ogni mese le panetterie della casa Migros presentano un nuovo pane. L’attuale protagonista, il Pane Fiocco di Neve, è poroso dentro e croccante fuori. Ha un gusto leggermente acidulo e si abbina bene alla confettura

Il Pane Fiocco di Neve di qualità TerraSuisse è un pane di frumento poroso, chiaro, fatto con lievito madre e latte. Possiede un piacevole aroma leggermente acidulo e un gusto fresco con note tostate. Ha una crosta fine e croccante, mentre la mollica è aerata e soffice. Gli abbinamenti ideali del Pane Fiocco di Neve possono essere sia salati

Serie Il sapore del pane del mese Attuale in febbraio: Pane Fiocco di Neve

che dolci; soprattutto la confettura si sposa bene a questa specialità. Un’altra unione ideale è per esempio quella con la polpa di olivello spinoso: il rinfrescante prodotto da spalmare, fruttato-acidulo e ricco di vitamina C, fa risaltare armoniosamente l’aroma neutro del pane. www.migros.ch/pane

Mauro Pizzagalli

... è panettiere presso la panetteria della casa di S. Antonino e uno dei 900 panettieri che producono quotidianamente specialità da forno nelle 126 panetterie della casa. Qui il pane fresco e caldo è garantito fino alla chiusura dei negozi.

«Passione per il pane» Mauro Pizzagalli, perché è diventato panettiere? Per passione. Questo lavoro mi permette di poter lavorare con molti deliziosi ingredienti e di poter essere creativo. Si possono produrre tante bontà con la pasta del pane. Quali sono i suoi pani preferiti? I pani dei Nostrani del Ticino, il pane Val Morobbia e la treccia al burro. Queste prelibatezze non mancano mai dalla mattina alla sera nella nostra panetteria della casa. Con cosa li accompagna volentieri? Con salumi, formaggi, burro e confettura. Quali sono i criteri di qualità del pane? Il buon aroma che emana, risultato di una lunga maturazione dell’impasto o dell’utilizzo di lievito madre.

Consiglio

Foto Veronika Studer (Food)/Giovanni Barberis (ritratto); Consiglio Regula Brodbeck

Pane al burro con polpa di olivello spinoso Spalmare le fette di pane con burro e polpa di olivello spinoso. A piacimento cospargere con nocciole tostate macinate.

TerraSuisse è sinonimo di un’agricoltura vicina alla natura, rispettosa degli animali e si rifà alle direttive di IP-Suisse.

Come si ottiene un buon pane? Naturalmente di fondamentale importanza è la qualità degli ingredienti. Importante è però anche la passione che ci mette il panettiere nel suo mestiere. Questo lo si può notare anche dal sapore del prodotto…

Pane Fiocco di Neve 360 g Fr. 3.20 Disponibile nelle filiali Migros con «Panetteria della casa», ossia Serfontana e S. Antonino


Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 6 febbraio 2017 • N. 06

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Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 6 febbraio 2017 • N. 06

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Idee e acquisti per la settimana

Pane del mese

Soffice e leggero sotto la crosta

Ogni mese le panetterie della casa Migros presentano un nuovo pane. L’attuale protagonista, il Pane Fiocco di Neve, è poroso dentro e croccante fuori. Ha un gusto leggermente acidulo e si abbina bene alla confettura

Il Pane Fiocco di Neve di qualità TerraSuisse è un pane di frumento poroso, chiaro, fatto con lievito madre e latte. Possiede un piacevole aroma leggermente acidulo e un gusto fresco con note tostate. Ha una crosta fine e croccante, mentre la mollica è aerata e soffice. Gli abbinamenti ideali del Pane Fiocco di Neve possono essere sia salati

Serie Il sapore del pane del mese Attuale in febbraio: Pane Fiocco di Neve

che dolci; soprattutto la confettura si sposa bene a questa specialità. Un’altra unione ideale è per esempio quella con la polpa di olivello spinoso: il rinfrescante prodotto da spalmare, fruttato-acidulo e ricco di vitamina C, fa risaltare armoniosamente l’aroma neutro del pane. www.migros.ch/pane

Mauro Pizzagalli

... è panettiere presso la panetteria della casa di S. Antonino e uno dei 900 panettieri che producono quotidianamente specialità da forno nelle 126 panetterie della casa. Qui il pane fresco e caldo è garantito fino alla chiusura dei negozi.

«Passione per il pane» Mauro Pizzagalli, perché è diventato panettiere? Per passione. Questo lavoro mi permette di poter lavorare con molti deliziosi ingredienti e di poter essere creativo. Si possono produrre tante bontà con la pasta del pane. Quali sono i suoi pani preferiti? I pani dei Nostrani del Ticino, il pane Val Morobbia e la treccia al burro. Queste prelibatezze non mancano mai dalla mattina alla sera nella nostra panetteria della casa. Con cosa li accompagna volentieri? Con salumi, formaggi, burro e confettura. Quali sono i criteri di qualità del pane? Il buon aroma che emana, risultato di una lunga maturazione dell’impasto o dell’utilizzo di lievito madre.

Consiglio

Foto Veronika Studer (Food)/Giovanni Barberis (ritratto); Consiglio Regula Brodbeck

Pane al burro con polpa di olivello spinoso Spalmare le fette di pane con burro e polpa di olivello spinoso. A piacimento cospargere con nocciole tostate macinate.

TerraSuisse è sinonimo di un’agricoltura vicina alla natura, rispettosa degli animali e si rifà alle direttive di IP-Suisse.

Come si ottiene un buon pane? Naturalmente di fondamentale importanza è la qualità degli ingredienti. Importante è però anche la passione che ci mette il panettiere nel suo mestiere. Questo lo si può notare anche dal sapore del prodotto…

Pane Fiocco di Neve 360 g Fr. 3.20 Disponibile nelle filiali Migros con «Panetteria della casa», ossia Serfontana e S. Antonino


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Ingredienti: 200 g di cioccolato al caffè, ad es. Sogni di Caffè Ristretto, 2 uova fresche, 100 g di zucchero, 2 dl di panna Preparazione: 1. Con un pelapatate ricavate delle scaglie di cioccolato sottili e mettetele da parte per guarnire. Spez zettate il resto del cioccolato e fatelo fondere con cura in una scodella a bagnomaria tiepido. 2. Separate i tuorli dagli albumi. Lavorate a spuma i tuorli e lo zucchero con uno sbattitore elettrico. Montate separatamente la panna e gli albumi ben fermi. Incorporate il cioccolato fuso alla spuma di tuorli. Unite la panna e gli albumi. Distribuite la massa nei bicchieri, coprite e mettete in congelatore per ca. 4 ore. Prima di servire, guarnite il semifreddo con le scaglie di cioccolato. Tempo di preparazione 25 minuti + congelamento ca. 4 ore

Da questa offerta sono esclusi gli articoli già ridotti. OFFERTA VALIDA SOLO DAL 7.2 AL 13.2.2017, FINO A ESAURIMENTO DELLO STOCK

Per persona 9 g proteine, 41 g grassi, 46 g carboidrati, 590 kcal

Ricetta e foto: www.saison.ch

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Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 6 febbraio 2017 • N. 06

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Idee e acquisti per la settimana

Migros Bio Cotton

Cotone a valore aggiunto

Ellen Amber e John Adams

Una giornata in completa comodità I pigiami non sono di certo adatti solo per dormire. La biancheria da notte delle linee Ellen Amber e John Adams si differenzia di poco dall’abbigliamento da casa. Uno stile avvolgente completato da confortevoli pantofole. Pigiami e shorty sono al cento per cento in cotone. Una parte della collezione è realizzata con Migros Bio Cotton, certificato eco. Entrambi i marchi garantiscono la produzione di cotone sostenibile a livello ambientale e sociale, dalla coltivazione alla lavorazione.

Nella produzione tessile il cotone rappresenta la più importante fibra naturale. Modalità di produzione sostenibili come richiesto da Migros Bio Cotton non sono possibili ovunque. I prodotti tessili nella qualità Migros Bio Cotton sono in cotone proveniente da colture biologiche controllate e vengono lavorati conformemente alle direttive Migros eco per quanto riguarda ecologia, responsabilità sociale e tracciabilità. L’origine dei tessili è interamente documentata dalla coltivazione al capo finito.

*Azione 40%

Il cotone proveniente da colture biologiche controllate non lascia impronte negative nell’ambiente. Nei campi vengono praticate colture miste. La concimazione dei terreni avviene con letame o compost, ciò che garantisce la loro fertilità sul lungo termine. Tra i diversi metodi usati per tenere lontani i parassiti dannosi alle colture, i contadini utilizzano anche piante utili. La rinuncia all’uso di sostanze velenose ha nel contempo un vantaggio per la salute dei lavoratori.

di sconto

dal 7 al 14 febbraio

Il marchio Migros eco garantisce inoltre standard ecologici e sociali. È per esempio proibito l’uso di candeggina nelle fasi di tintura e di stampa. Sono permesse solo sostanze chimiche ecologicamente innocue.

Ellen Amber Ballerine da casa Taglie 36-41 Fr. 19.80

John Adams Pantofole Taglie 40-45** Fr. 24.80

Pigiama Ellen Amber 100% cotone Bio Taglie S-XL** Fr. 17.90 invece di 29.80*

Pigiama John Adams 100% cotone Bio Taglie S-XL** Fr. 23.90 invece di 39.80*

**Nelle maggiori filiali

* 40% di sconto sull’intero assortimento di biancheria da giorno da donna (Mey escluso), così come sull’assortimento di biancheria da notte da donna e da uomo dal 7 al 14 febbraio.

John Adams Shorty 100% cotone Taglie S-XL** Fr. 17.90 invece di 29.80*

Ellen Amber Shorty 100% cotone Bio Taglie S-XL** Fr. 11.90 invece di 19.80*


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Idee e acquisti per la settimana

Migros Bio Cotton

Cotone a valore aggiunto

Ellen Amber e John Adams

Una giornata in completa comodità I pigiami non sono di certo adatti solo per dormire. La biancheria da notte delle linee Ellen Amber e John Adams si differenzia di poco dall’abbigliamento da casa. Uno stile avvolgente completato da confortevoli pantofole. Pigiami e shorty sono al cento per cento in cotone. Una parte della collezione è realizzata con Migros Bio Cotton, certificato eco. Entrambi i marchi garantiscono la produzione di cotone sostenibile a livello ambientale e sociale, dalla coltivazione alla lavorazione.

Nella produzione tessile il cotone rappresenta la più importante fibra naturale. Modalità di produzione sostenibili come richiesto da Migros Bio Cotton non sono possibili ovunque. I prodotti tessili nella qualità Migros Bio Cotton sono in cotone proveniente da colture biologiche controllate e vengono lavorati conformemente alle direttive Migros eco per quanto riguarda ecologia, responsabilità sociale e tracciabilità. L’origine dei tessili è interamente documentata dalla coltivazione al capo finito.

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Il cotone proveniente da colture biologiche controllate non lascia impronte negative nell’ambiente. Nei campi vengono praticate colture miste. La concimazione dei terreni avviene con letame o compost, ciò che garantisce la loro fertilità sul lungo termine. Tra i diversi metodi usati per tenere lontani i parassiti dannosi alle colture, i contadini utilizzano anche piante utili. La rinuncia all’uso di sostanze velenose ha nel contempo un vantaggio per la salute dei lavoratori.

di sconto

dal 7 al 14 febbraio

Il marchio Migros eco garantisce inoltre standard ecologici e sociali. È per esempio proibito l’uso di candeggina nelle fasi di tintura e di stampa. Sono permesse solo sostanze chimiche ecologicamente innocue.

Ellen Amber Ballerine da casa Taglie 36-41 Fr. 19.80

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Idee e acquisti per la settimana

Frey

Dolce come l’amore Azione* Frey Adoro palline Milch 200 g Fr. 6.55 invece di 8.20

Azione* Frey Pralinés Prestige cuore di metallo 90 g Fr. 7.80 invece di 9.80

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Dolce, delicato e variegato: il cioccolato è proprio come l’amore. Non è un caso che le praline di finissimo cioccolato figurino tra i regali più gettonati in occasione di San Valentino. Le palline Adoro confezionate in modo elegante sono perfette per la giornata degli innamorati. Un classico di San Valentino apprezzato da tempo è la scatola di metallo a forma di cuore con Pralinés Prestige e il grazioso cuore con palline Giandor.

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Azione* Frey Adoro palline Blond 200 g Fr. 6.55 invece di 8.20 Nelle maggiori filiali

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M-Industria crea numerosi prodotti Migros, tra cui anche le palline Adoro e Pralinés della Frey.


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2.30 invece di 3.60 Broccoli bio Spagna/Italia, 400 g

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Mango Perù, per es. 2 pezzi, 3.50 invece di 5.–, a partire da 2 pezzi, 30% di riduzione

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2.95 invece di 3.80 Arance Tarocco extra Italia, al kg

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11.45 invece di 13.50 Tulipani M-Classic, mazzo da 20 disponibili in diversi colori, per es. rossi, offerta valida fino al 14.2.2017 Migros Ticino OFFERTE VALIDE SOLO DAL 7.2 AL 13.2.2017, FINO A ESAURIMENTO DELLO STOCK

20%

3.30 invece di 4.20 Pomodori cherry ramati Italia, conf. da 500 g

30%

4.80 invece di 6.90 Lamponi extra Portogallo, conf. da 250 g

30%

3.30 invece di 4.75 Sminuzzato di vitello TerraSuisse Svizzera, imballato, per 100 g

30%

2.45 invece di 3.50 Fettine di pollo alla minute Optigal Svizzera, imballate, per 100 g

33%

6.95 invece di 10.40

30%

1.60 invece di 2.30

Prosciutto crudo dei Grigioni affettato finemente in conf. da 2 Orata reale 300–600 g Svizzera, 2 x 103 g Grecia, per 100 g, fino all’11.2

30%

1.75 invece di 2.50 Fettine coscia di maiale Svizzera, imballate, per 100 g

30%

6.40 invece di 9.25 Luganighetta Svizzera, conf. da 2 x 250 g/500 g

al kg

20% Tortine pasquali, 2 pezzi (Sélection escluse), per es. con uva sultanina, 2 x 75 g, 2.05 invece di 2.60

25%

18.20 invece di 24.35 Caseificio Leventina prodotto in Ticino, a libero servizio, al kg

Hit

10.80

Grana Padano DOP conf. da 700 g/800 g, a libero servizio

20%

2.40 invece di 3.– Arrosto spalla di manzo TerraSuisse Svizzera, imballato, per 100 g


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. te r e p e n o i z a in i, o Prodotto da n conf. da 3

20% Spätzli Anna’s Best in confezioni multiple alle verdure e all’uovo, per es. spätzli all’uovo in conf. da 3, 3 x 500 g, 6.70 invece di 8.40

M consiglia

40%

1.95 invece di 3.30 Lonza di maiale TerraSuisse in conf. speciale per 100 g

30% Cosce di pollo Optigal, 4 pezzi al naturale e speziate, per es. al naturale, Svizzera, al kg, 9.– invece di 13.–

PANE CHE BONTÀ! Happy Bread è un pane ideale per la colazione, il brunch, il café complet o semplicemente per chi ama il pane. Happy Bread si mantiene fresco per cinque giorni. Un suggerimento: gustalo con la crema spalmabile di nocciole e cacao. Trovi la ricetta su saison.ch/m-tipp e tutti gli ingredienti freschi alla tua Migros.

20%

conf. da 2

40%

1.90 invece di 2.40

4.55 invece di 7.60

Pane Happy Bread, TerraSuisse bianco e scuro, 350 g, per es. scuro

Panfino in conf. da 2 agli spinaci e alla pancetta, surgelata, per es. agli spinaci, 2 x 235 g

conf. da 2 a partire da 2 confezioni

20% Tutto l’assortimento di dessert Tradition per es. Crème Vanille, 175 g, 1.– invece di 1.30 Migros Ticino OFFERTE VALIDE SOLO DAL 7.2 AL 13.2.2017, FINO A ESAURIMENTO DELLO STOCK

–.80

di riduzione l’una Tutti i tipi di riso M-Classic da 1 kg a partire da 2 confezioni, –.80 di riduzione l’una, per es. Carolina, 1.45 invece di 2.25

20%

5.– invece di 6.30 Panna intera UHT Valflora in conf. da 2 2 x 500 ml

30%

1.40 invece di 2.– Fleischkäse TerraSuisse affettato finemente per 100 g


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PANE CHE BONTÀ! Happy Bread è un pane ideale per la colazione, il brunch, il café complet o semplicemente per chi ama il pane. Happy Bread si mantiene fresco per cinque giorni. Un suggerimento: gustalo con la crema spalmabile di nocciole e cacao. Trovi la ricetta su saison.ch/m-tipp e tutti gli ingredienti freschi alla tua Migros.

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. e n io z a in s ro ig M i tt o d ro p i Tantissim a partire da 2 confezioni

–.60

di riduzione l’una Tutto l’assortimento ChocMidor a partire da 2 confezioni, –.60 di riduzione l’una, per es. Rocher al latte, 100 g, 2.75 invece di 3.35

50%

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Ice Tea in bottiglie di PET, in conf. da 6, 6 x 1,5 l al limone, alla pesca e al fiore di loto, per es. al limone, 4.05 invece di 8.10

Tutti i tipi di caffè, in chicchi e macinato per es. Exquisito in chicchi, 500 g, 5.50 invece di 6.90

15% Detersivo per i piatti Handy in confezioni multiple per es. classic, 3 x 750 ml, 4.55 invece di 5.40, offerta valida fino al 20.2.2017

conf. da 2

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a partire da 2 pezzi

Hit

conf. da 4

40%

9.80

6.– invece di 10.–

Mix di cioccolato Frey Stars, UTZ 500 g

– .5 0

di riduzione l’uno Tutti gli sciroppi in bottiglie di PET da 75 cl o da 1,5 l a partire da 2 pezzi, –.50 di riduzione l’uno, per es. ai lamponi, 75 cl, 1.70 invece di 2.20

22.20 invece di 27.80 Detersivi Elan in conf. da 2 per es. Fresh Lavender, 2 x 2 l, offerta valida fino al 20.2.2017

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Detersivo delicato Yvette a partire da 2 pezzi, 20% di riduzione, offerta valida fino al 20.2.2017

L’INDUSTRIA MIGROS E I SUOI PRODOTTI.

Petit Beurre con cioccolato al latte in conf. da 4 4 x 150 g

Latte, bevande a base di latte, yogurt, formaggio fresco, salse, maionese.

Caffè, caffè in capsule, frutta secca, spezie, noci.

Ice Tea, succhi di frutta, prodotti pronti, prodotti a base di patate e prodotti a base di frutta.

Carne fresca, pesce, salumi, pollame.

conf. da 6

40% Tavolette di cioccolato Frey da 100 g in conf. da 6, UTZ cioccolato al latte finissimo, Giandor e Noxana, per es. cioccolato al latte finissimo, 6 x 100 g, 7.20 invece di 12.–

Pane, prodotti da forno, pasticceria, paste.

conf. da 60

40%

16.– invece di 26.70 Branches Classic Frey in conf. da 60, UTZ 60 x 27 g

OFFERTE VALIDE SOLO DAL 7.2 AL 13.2.2017, FINO A ESAURIMENTO DELLO STOCK

Formaggio per raclette Raccard, Gruyère AOP, Appenzeller, fondue.

Biscotti, Blévita, gelati, dessert in polvere, frittelle di Carnevale, prodotti da forno per l’aperitivo.

20% Cake alla tirolese, alla finanziera e all’albicocca per es. cake alla tirolese, 340 g, 2.85 invece di 3.60

Acqua minerale, sciroppo, succhi di frutta.

Prodotti trattanti, sostanze cosmetiche attive, detersivi e detergenti, margarine, grassi commestibili.

Diverse varietà di riso, riso al latte, varietà speciali di riso.

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Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 6 febbraio 2017 • N. 06

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Idee e acquisti per la settimana

Noi Firmiamo. Noi Garantiamo

La star della settimana

Le star della settimana si presentano una dopo l’altra su Azione. Prima Blévita Gruyère ha raccontato di sé e della sua grande famiglia, poi Aproz Classic ha narrato il suo viaggio attraverso le rocce delle Alpi vallesane. Questa settimana sul palcoscenico di «Noi firmiamo. Noi garantiamo» sale uno dei pionieri: Happy Bread, la creazione Jowa lanciata due anni fa, è infatti un’innovazione sul mercato svizzero del pane. Il perché è spiegato nelle pagine seguenti Ogni settimana puntiamo la luce dei riflettori su uno dei prodotti Migros. Le qualità che gli consentono di essere eletto «star della settimana» sono illustrate dal prodotto stesso sul sito internet www.noifirmiamo-noigarantiamo.ch/happybread in una scheda di presentazione e in una breve intervista. Tutto ciò è poi abbinato a un gioco settimanale, dotato di premi del valore di 150 franchi. Pagina 60

M-Industria crea numerosi prodotti Migros, tra cui Happy Bread.


Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 6 febbraio 2017 • N. 06

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Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 6 febbraio 2017 • N. 06

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Idee e acquisti per la settimana

Happy Bread

Un pane innovativo

Rimane fresco per cinque giorni e viene prodotto con cereali svizzeri. Due anni fa Happy Bread è stato lanciato da Jowa, il panificio Migros, come pioniere del settore prodotti freschi e da allora è una storia di successo Testo Thomas Tobler; Foto Paolo Dutto

La mia comparsa sugli scaffali Migros del paese è stata accompagnata dai contributi di numerosi media. È probabile che raramente tanti giornalisti si siano occupati contemporaneamente di un pane. Alla base del grande interesse da parte della stampa è principalmente il fatto che mi conservo a lungo, cinque giorni, senza l’aggiunta di conservanti! Al momento del lancio, due anni fa, ero una novità assoluta sul mercato del pane svizzero. Nei paesi a noi confinanti i pani a lunga conservazione come me erano disponibili già da alcuni anni, ma qui da noi il ruolo di pioniere l’ha giocato la mia produttrice, l’azienda della Migros Jowa. I cosiddetti scopritori di tendenze della Jowa avevano individuato miei predecessori all’estero e hanno così presentato l’idea del prodotto a Volketswil. «La nostra idea era di adattare il prodotto al gusto svizzero», spiega Barbara Bechtiger, che alla Jowa si è occupata del mio sviluppo. Nei paesi vicini alla base dei pani a lunga conservazione il più delle volte c’è la semplice lievitazione naturale. Ciò mantiene più a lungo la freschezza dell’impasto, ma l’esperienza dimostra che il suo gusto leggermente amarognolo in Svizzera non è apprezzato da tutti. «Dovevamo perciò trovare un’alternativa, così da adattare questo moderno pane europeo alle abitudini alimentari svizzere, ottenendo nel contempo anche una più lunga durata di conservazione», spiega Barbara Bechtiger.

Investimenti per la «star della settimana»

L’aggiunta di conservanti è stata esclusa dai miei sviluppatori, che hanno così dato avvio a una serie di piccoli tentativi e all’aggiornamento continuo della ricetta, fino ad arrivare a raggiungere la soluzione finale. Risulto così composto dagli ingredienti più classici, farina, acqua, lievito e sale. Inoltre i cereali che mi compongono – così come quelli dei miei colleghi Happy Bread chiari – sono coltivati in Svizzera. Oltre ai tempi e ai costi destinati alla ricerca delle ricette finali, Jowa ha investito ulteriori due milioni di franchi nella costruzione di un edificio e nell’acquisto di tecnologia. In un nuovo spazio edificato appositamente per me, vengo così affettato e poi impacchettato in uno speciale sacchetto, il cui materiale ha uno spessore maggiore rispetto a quello di altri imballaggi. Grazie alla confezione richiudibile con un apposito fermaglio risulto così protetto e non posso seccare. «Questa combinazione ottimale tra ricetta, imballaggio e nuova tecnologia è decisiva per la lunga conservabilità degli Happy Bread», spiega Bechtiger. Un pane che non crea problemi

Gli sforzi del mio produttore Jowa sono stati ricompensati. Lo conferma anche chi si occupa dello sviluppo dei prodot-

ti: «Happy Bread è stato fin dall’inizio molto popolare tra i clienti Migros, e così è ancora oggi.» Oggi noi pani dobbiamo soddisfare diversi bisogni. Un unico pane che si adatta a tutti non c’è più. I clienti Migros desiderano una grande scelta, anche per quanto riguarda la dimensione. «In generale nel corso degli anni i pani sono diventati più piccoli, in parallelo al fenomeno che vede la comparsa di economie domestiche sempre meno numerose», aggiunge Barbara Bechtiger. È principalmente per soddisfare le esigenze di queste persone che Jowa ha sviluppato me e i miei colleghi. Sono infatti i nuclei famigliari composti da poche persone o da single che mi acquistano con maggior frequenza. Tuttavia finisco nel carrello della spesa anche di chi fa gli acquisti per grandi famiglie o comunità. La lunga conservabilità e le fette già tagliate mi rendono molto attrattivo agli occhi delle persone che non vogliono fare grandi spese e preferiscono le piccole porzioni. A questo aspetto pratico devo del resto anche il mio nome forse insolito. I miei produttori presso la Jowa volevano offrire ai clienti un pane che non ponesse alcun problema, gustoso e pratico nell’utilizzo. Trovo pertanto che il mio nome sia assolutamente appropriato. E presto, tanto vi posso rivelare, un nuovo Happy Bread della Jowa arriverà sugli scaffali Migros. Probabilmente senza il grande clamore mediatico di due anni fa!

Indovinare e vincere Il gioco a premi su Happy Bread è su www.noifirmiamonoigarantiamo.ch/ happybread

Informazioni in breve

2,4

milioni di Happy Bread sono stati venduti da Migros nel corso del primo anno dall’introduzione del pane.

350

grammi è il peso di un Happy Bread, che costa, 2.40 franchi.

È lungo e variegato l’elenco dei prodotti che Migros produce nelle proprie aziende. Quale sarà la prossima «star della settimana»?

10

o 11 le fette di pane contenute in una confezione di Happy Bread.

Barbara Bechtiger, sviluppatrice di prodotti presso Jowa, è assolutamente felice con Happy Bread.


Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 6 febbraio 2017 • N. 06

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Idee e acquisti per la settimana

Happy Bread

Un pane innovativo

Rimane fresco per cinque giorni e viene prodotto con cereali svizzeri. Due anni fa Happy Bread è stato lanciato da Jowa, il panificio Migros, come pioniere del settore prodotti freschi e da allora è una storia di successo Testo Thomas Tobler; Foto Paolo Dutto

La mia comparsa sugli scaffali Migros del paese è stata accompagnata dai contributi di numerosi media. È probabile che raramente tanti giornalisti si siano occupati contemporaneamente di un pane. Alla base del grande interesse da parte della stampa è principalmente il fatto che mi conservo a lungo, cinque giorni, senza l’aggiunta di conservanti! Al momento del lancio, due anni fa, ero una novità assoluta sul mercato del pane svizzero. Nei paesi a noi confinanti i pani a lunga conservazione come me erano disponibili già da alcuni anni, ma qui da noi il ruolo di pioniere l’ha giocato la mia produttrice, l’azienda della Migros Jowa. I cosiddetti scopritori di tendenze della Jowa avevano individuato miei predecessori all’estero e hanno così presentato l’idea del prodotto a Volketswil. «La nostra idea era di adattare il prodotto al gusto svizzero», spiega Barbara Bechtiger, che alla Jowa si è occupata del mio sviluppo. Nei paesi vicini alla base dei pani a lunga conservazione il più delle volte c’è la semplice lievitazione naturale. Ciò mantiene più a lungo la freschezza dell’impasto, ma l’esperienza dimostra che il suo gusto leggermente amarognolo in Svizzera non è apprezzato da tutti. «Dovevamo perciò trovare un’alternativa, così da adattare questo moderno pane europeo alle abitudini alimentari svizzere, ottenendo nel contempo anche una più lunga durata di conservazione», spiega Barbara Bechtiger.

Investimenti per la «star della settimana»

L’aggiunta di conservanti è stata esclusa dai miei sviluppatori, che hanno così dato avvio a una serie di piccoli tentativi e all’aggiornamento continuo della ricetta, fino ad arrivare a raggiungere la soluzione finale. Risulto così composto dagli ingredienti più classici, farina, acqua, lievito e sale. Inoltre i cereali che mi compongono – così come quelli dei miei colleghi Happy Bread chiari – sono coltivati in Svizzera. Oltre ai tempi e ai costi destinati alla ricerca delle ricette finali, Jowa ha investito ulteriori due milioni di franchi nella costruzione di un edificio e nell’acquisto di tecnologia. In un nuovo spazio edificato appositamente per me, vengo così affettato e poi impacchettato in uno speciale sacchetto, il cui materiale ha uno spessore maggiore rispetto a quello di altri imballaggi. Grazie alla confezione richiudibile con un apposito fermaglio risulto così protetto e non posso seccare. «Questa combinazione ottimale tra ricetta, imballaggio e nuova tecnologia è decisiva per la lunga conservabilità degli Happy Bread», spiega Bechtiger. Un pane che non crea problemi

Gli sforzi del mio produttore Jowa sono stati ricompensati. Lo conferma anche chi si occupa dello sviluppo dei prodot-

ti: «Happy Bread è stato fin dall’inizio molto popolare tra i clienti Migros, e così è ancora oggi.» Oggi noi pani dobbiamo soddisfare diversi bisogni. Un unico pane che si adatta a tutti non c’è più. I clienti Migros desiderano una grande scelta, anche per quanto riguarda la dimensione. «In generale nel corso degli anni i pani sono diventati più piccoli, in parallelo al fenomeno che vede la comparsa di economie domestiche sempre meno numerose», aggiunge Barbara Bechtiger. È principalmente per soddisfare le esigenze di queste persone che Jowa ha sviluppato me e i miei colleghi. Sono infatti i nuclei famigliari composti da poche persone o da single che mi acquistano con maggior frequenza. Tuttavia finisco nel carrello della spesa anche di chi fa gli acquisti per grandi famiglie o comunità. La lunga conservabilità e le fette già tagliate mi rendono molto attrattivo agli occhi delle persone che non vogliono fare grandi spese e preferiscono le piccole porzioni. A questo aspetto pratico devo del resto anche il mio nome forse insolito. I miei produttori presso la Jowa volevano offrire ai clienti un pane che non ponesse alcun problema, gustoso e pratico nell’utilizzo. Trovo pertanto che il mio nome sia assolutamente appropriato. E presto, tanto vi posso rivelare, un nuovo Happy Bread della Jowa arriverà sugli scaffali Migros. Probabilmente senza il grande clamore mediatico di due anni fa!

Indovinare e vincere Il gioco a premi su Happy Bread è su www.noifirmiamonoigarantiamo.ch/ happybread

Informazioni in breve

2,4

milioni di Happy Bread sono stati venduti da Migros nel corso del primo anno dall’introduzione del pane.

350

grammi è il peso di un Happy Bread, che costa, 2.40 franchi.

È lungo e variegato l’elenco dei prodotti che Migros produce nelle proprie aziende. Quale sarà la prossima «star della settimana»?

10

o 11 le fette di pane contenute in una confezione di Happy Bread.

Barbara Bechtiger, sviluppatrice di prodotti presso Jowa, è assolutamente felice con Happy Bread.


Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 6 febbraio 2017 • N. 06

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Idee e acquisti per la settimana

Noi Firmiamo. Noi Garantiamo

Queste Star hanno tutte origine svizzera

Azione 40% di sconto sulle tavolette di cioccolato Frey da 100 g in confezione da 6, per es. Frey Giandor 6 x 100 g Fr. 8.10* invece di 13.50

Azione Fr. –.80 di riduzione a partire da due confezioni su ognuna, su tutte le varietà di riso M-Classic da 1 kg, per es. M-Classic Riso Carolina Parboiled 1 kg Fr. 1.70* invece di 2.50

Azione 20% di sconto su tutti i caffè, macinati o in chicchi, per es. Boncampo Classico in chicchi, 500 g Fr. 3.65* invece di 4.60

Happy Bread è al centro dell’attenzione. Ma oltre alla «star della settimana» ci sono altri prodotti Migros disponibili a prezzo promozionale

Azione 20% di sconto sui detersivi per capi delicati Yvette, a partire dall’acquisto di due prodotti, per es. Yvette Black 2 l Fr. 7.80 invece di 9.80 fino al 20.2

Azione Fr. –.50 di riduzione a partire da due confezioni su ognuna, su tutti gli sciroppi nelle bottiglie di PET (escl. M-Budget), 75 cl o 1,5 litri, per es. Sciroppo Lampone 1.5 l Fr. 3.75* invece di 4.25

Azione 40% di sconto sulla Lonza affumicata di maiale TerraSuisse in confezione speciale 100 g Fr. 1.95* invece di 3.30

Azione 20% di sconto su tutti i pani Happy Bread, per es. Happy Bread scuro TerraSuisse 350 g Fr. 1.90* invece di 2.40

Azione 15% di sconto sui detersivi per piatti Handy in confezioni multiple, per es. Handy Classic 3 x 750 ml Fr. 4.55 invece di 5.40 valido fino al 20 febbraio

*Azioni valide dal 7 al 13 febbraio

Azione 30% di sconto sulle Cosce di pollo nature Optigal 4 pezzi, Svizzera Fr. 9.–* invece di 13.– Azione 40% di sconto sui Petit Buerre Chocolat au lait in confezione da 4 4 x 150 g Fr. 6.–* invece di 10.–


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