Meta • Zeta Numero 4 | Maggio 2022

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Periodico della Scuola Superiore di Giornalismo “Massimo Baldini” Numero 4 Maggio 2022

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Meta

La rivoluzione che ci porterà in un altro universo

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Il cammino del Lupo

Caos calmo

30

43

La dittatura digitale La musica oltre i confini del reale


Data Lab

Italian Digital Media Observatory Partners: Luiss Data Lab, RAI, TIM, Gruppo GEDI, La Repubblica, Università di Roma Tor Vergata, T6 Ecosystems, ZetaLuiss, NewsGuard, Pagella Politica, Alliance of Democracies Foundation, Corriere della Sera, Fondazione Enel, Reporters Sans Frontières, The European House Ambrosetti, Harvard Kennedy School e Ministero degli affari esteri e della cooperazione internazionale


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Periodico della Scuola Superiore di Giornalismo “Massimo Baldini”

Glossario

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Numero 4 Maggio 2022

La nuova frontiera del metaverso

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La parola Start

di Silvia Stellacci

di Yamila Ammirata

Coverstory

Il cammino del Lupo

10

Il suono del campanello

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di Enzo Panizio

di Giorgio Brugnoli

Italia

Il mondo del metaverso nella scuola

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Una jam session nel paradiso

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Perdersi tra sacro e profano

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Chi salva la tipografia

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di Silvia Morrone

di Elena Pomè

di Silvia Pollice

di Maria Teresa Lacroce

Tech

Metaverso e disabilità

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Il benessere nella realtà mentale

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Visita nella mente di Zuckerberg

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di Leonardo Aresi

di Silvano D’Angelo di Dario Artale

Economia

Tutti i soldi del metaverso

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di Francesco Di Blasi

Photogallery Caos calmo

28

di Giorgio Brugnoli

Esteri

Al-Sisi sogna la dittatura digitale

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L’isola che (non) c’è

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di Martina Ucci

di Leonardo Pini

Cultura

Il Metavolto salverà la memoria?

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La newsletter di Dracula

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Lavorare nel mondo digitale

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Lo spettatore come input

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di Silvia Andreozzi e Giulia Moretti di Ludovica Esposito di Silvia Stellacci

di Lorenzo Sangermano

Spettacoli Crypto arte

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L’Eurovision e l’orgoglio queer

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La musica oltre i confini del reale

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di Federica De Lillis di Alissa Balocco

di Niccolò Ferrero

Moda

La moda democratica del virtuale

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Verso l’opera d’arte totale

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di Beatrice Offidani

di Caterina Di Terlizzi

Sport

Non siamo solo dei nerd

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La lunga notte di Lionel Messi

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Più nobile che sporca l’ultima meta

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di Giorgia Verna

di Antonio Cefalù

di Valeria Verbaro

La guida di Zeta

Il tesoro italiano che non puoi toccare di Claudia Bisio

Parole e immagini Doctor Strange 2

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Meta Meta è una non parola. Sull’ambiguità dei suoi significati è possibile edificare mondi diversi. La traduzione dal greco antico offre molte possibilità. Meta può essere “insieme” o “dopo”. Indica transizione o vicinanza. Da sola non sa stare, per assumere significato ha bisogno di unirsi ad altre parole. Con la metafora nutre la lingua dei poeti e sposta la loro opera dal foglio all’immaginario. Esprime il cambiamento quando è metamorfosi, dà forma alla più alta delle filosofie nella metafisica, lo studio di ciò che sta al di là del tangibile ed è per questo più reale. Meta è oltre. Oltre un confine, alla scoperta di un conflitto. Un viaggio nei luoghi sospesi, in cui la meta diventa arrivo, e l’arrivo si fa vicinanza alle vittime più innocenti della guerra. Il dinamismo del cammino la ridefinisce continuamente, nel senso di una ricerca che non si esaurisce nel materialismo dei luoghi che si possono raggiungere. Obiettivo dello sforzo atletico nel rugby inglese, per essere davvero meta ha bisogno di una presenza completa. Gli sportivi devono toccare oltre la linea con tutto il corpo, con la condizione che la squadra sia dietro il singolo a legittimare il suo traguardo. Capace di trasformarsi in base ai tempi, meta è tornata recentemente a significare l’innovazione tecnologica quando Mark Zuckerberg ha annunciato Silvia Andreozzi

ZETA Periodico della Scuola Superiore di Giornalismo “Massimo Baldini” supplemento di Reporter Nuovo Registrazione Reg tribunale di Roma n. 15/08 del 21/01/2008

Direttore responsabile Gianni Riotta Condirettori Giorgio Casadio Alberto Flores d’Arcais

di voler intitolare il suo nuovo progetto al termine che per lui «simboleggia che c’è sempre altro da costruire e che c’è sempre un capitolo successivo della storia». Nell’idea del metaverso si trova l’aspirazione verso una nuova realtà. Una promessa non ancora realizzata e in parte già disattesa nella riproposizione delle distorsioni umane nell’inedita dimensione. Ma questa tecnologia può davvero essere un’opportunità, un ausilio da utilizzare, ad esempio, nella cura delle persone. È già iniziato l’uso nella medicina, dove è impiegata per trattare i disturbi alimentari. Per chi è diversamente abile la prospettiva di potersi emancipare dalla propria condizione può rappresentare una vera ricchezza, la possibilità di fare esperienze che sono loro precluse nella dimensione fisica. Giocando sulla promessa, meta si alimenta di aspettative. Siano esse quelle di una nuova dimensione tecnologica o di un traguardo sognato. Le donne e gli uomini idealizzano la prospettiva del suo raggiungimento, ma la natura mobile del termine e dell’idea si arricchisce nel tradimento delle attese sempre troppo alte che le persone ripongono in lei. Così va avanti il progresso, nel continuo spostamento di ciò che definiamo “meta”. In una corsa che dura da sempre se è vero, come scriveva Giovanni Pascoli nel suo Alexandros, che «il sogno è l’infinita ombra del vero».

A cura di Claudia Bisio Antonio Cefalù Silvano D’Angelo Caterina Di Terlizzi Ludovica Esposito Enzo Panizio

Redazione Viale Pola, 12 – 00198 Roma Stampa Centro riproduzione dell’Università Contatti 0685225358 giornalismo@luiss.it


La parola

Arte

a cura di Dario Artale

Méta- [dal gr.

μετά «oltre, dopo»]

Preposizione utilizzata nelle lingue occidentali per modificare le parole composte a cui si lega

Mèta s. f. [dal lat. mēta]

Donne trasformate in piante e uomini in pianeti. È la lunga storia delle metamorfosi, che volteggiano nell’arte e nella letteratura, dando vita a miti e leggende i cui protagonisti cambiano aspetto mantenendo inalterata la propria identità. È il caso della bellissima Dafne, trasformata in una pianta d’alloro per sfuggire all’amore indesiderato di Apollo. Il mito di Apollo e Dafne ispirerà l’omonima scultura di Gian Lorenzo Bernini, realizzata tra il 1622 e il 1625 ed esposta presso la Galleria Borghese a Roma.

Nel linguaggio comune, termine, punto d’arrivo. Nel linguaggio figurato, fine a cui si tende o a cui si rivolge l’azione

La citazione «La mia ipotesi è che tu abbia scritto così tante metamorfosi di te stesso da non sapere più né chi sei né chi sei stato» Philip Roth

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Letteratura

Scienza

Giulio Cesare, dopo la sua morte, si trasforma in un astro che veglia sul destino di Roma. È una delle oltre 250 trasformazioni descritte dal poeta latino Ovidio nelle sue Metamorfosi e rivela il processo mitologico, noto come "catasterismo", mediante il quale un personaggio si trasfroma in un astro o in una costellazione. Nel ‘900 in letteratura sarà la volta delle Metamorfosi dello scrittore boemo Franz Kafka, il cui protagonista una mattina si risveglia nel corpo di uno scarafaggio.

Per influenza del termine “metafisica” (dal greco μετὰ τὰ ϕυσικά), risalente ad Aristotele e interpretato come «scienza di ciò che trascende le cose naturali», il prefisso –meta è stato utilizzato in età moderna per definire quelle discipline che, pur essendo oggetto di scienza, ne oltrepassano i confini. È il caso della metamatematica, del metalinguaggio, della metastoria.

Sport Nel rugby, la meta è la migliore marcatura a cui tendono le due squadre in campo. Vale cinque punti. Si segna appoggiando l’ovale, la palla di gioco, in una zona qualunque dell’aria di meta avversaria. Perché sia valida, è necessario che il rugbista, nel tuffarsi, crei un contatto unico tra il corpo, la palla e il campo di gioco.

Tecnologia Il 28 ottobre 2021 Facebook, Inc. ha cambiato nome in Meta Platforms, Inc. L’obiettivo annunciato dal fondatore Mark Zuckerberg è di dar vita al metaverso, un universo virtuale nel quale sarà possibile teletrasportarsi all’istante attraverso un visore che consentirà di oltrepassare gli schermi 2D dei nostri desktop e di entrare in una realtà multidimensionale, dove donne e uomini saranno trasposti – non più in piante, non più in pianeti – ma in ologrammi. È l’inizio di una nuova metamorfosi. Il sole è nell’avvenire.

T A Zeta — 5


Start

Glossario di Silvia Stellacci

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Metaverso Dopo che Mark Zuckerberg ha deciso di chiamare la holding del gruppo Meta, il metaverso è diventato un tema estremamente attuale. Il termine viene in realtà dal mondo cyberpunk di inizi anni ’90. È un universo digitale frutto di molteplici elementi tecnologici, tra cui video, realtà aumentata e realtà digitale. Nel metaverso, gli utenti accedono tramite visori 3D e vivono delle esperienze virtuali: possono creare degli avatar realistici, incontrare altri utenti, creare oggetti o proprietà virtuali, andare a concerti, conferenze, viaggiare e molto altro. In pratica sarebbe l’insieme di mondi virtuali interconnessi tra di loro e popolati da avatar appartenenti a persone reali. Dall’annuncio del cambio di nome da parte di Facebook, il metaverso ha visto fiorire i primi matrimoni, ma anche i primi scandali di molestie sessuali. Alcuni vip sono già approdati su questo tipo di piattaforma, basti pensare a Marco Verrati, centrocampista della nazionale italiana, che qualche mese fa ha acquistato un’isola nel metaverso. Insieme al progetto di Zuckerberg, anche la Microsoft ha voluto lanciarsi su questa nuova iniziativa, annunciando che da quest’anno su Teams sarà possibile utilizzarlo grazie ad una funzionalità chiamata Mash.

Criptoarte È una forma d’arte basata sul mondo delle criptovalute. Si parla di criptoarte per tutte quelle opere digitali o digitalizzate pubblicate su una blockchain. Da un punto di vista tecnico, un’opera di criptoarte è un contenuto in formato digitale, caricato su una piattaforma di scambio. Le opere possono essere di molteplici generi. Il più gettonato è quello delle immagini, che sono quanto più originali possibili. Persino un tweet può trovare mercato se ha un determinato valore simbolico, ma molto successo stanno avendo anche le immagini o i video relativi agli sport, in particolare basket e baseball sul mercato americano. Ad oggi l’opera digitale più costosa è quella di Beeple, messa all’asta dalla celebre casa Christie’s e partita da soli 100 dollari. Dopo una serie di rilanci, però, nell’ultima mezz’ora di contrattazioni è arrivata a un valore di 69,3 milioni di dollari. Secondo uno studio della BNP Paribas, nel 2018 il mercato di Nft era di 41 milioni di dollari. Nel 2020 era passato a 338 milioni.

Token

Blockchain È una “catena di blocchi” – da qui il nome – in cui le informazioni (transazioni, titoli di proprietà, firme, contratti) sono protette da processi crittografici che collegano ogni blocco all’altro e rendono il token che si registra a prova di manomissione. Una caratteristica fondamentale della blockchain, infatti, è la sua immutabilità una volta che le informazioni sono state scritte. È un registro di contabilità condiviso e immutabile, che semplifica la registrazione delle transazioni, le quali, a loro volta, acquisiscono autenticità e tracciabilità dalla loro registrazione su blockchain.

Criptovaluta Le criptovalute sono delle valute digitali che costituiscono delle rappresentazioni virtuali di valore. Queste possono essere utilizzate come mezzo di scambio o tenute come fonte d’investimento. Ogni criptovaluta viene creata su internet ed è decentralizzata e slegata dalle comuni valute a corso legale come l’euro o il dollaro. Essendo delle “rappresentazioni digitali di valore” non sono sottoposte all’emissione, alla garanzia o al controllo da parte di banche centrali o autorità pubbliche. Si tratta di valute emesse da emittenti privati che si servono di software altamente specializzati e, generalmente, di tecnologie blockchain. La loro gestione avviene di norma tramite portafogli virtuali denominati e-wallet. In genere le criptovalute sono convertibili, a cambi variabili nel tempo, in valute a corso legale, ma non vanno confuse con i sistemi di pagamento elettronici. Le criptovalute più note sono: Bitcoin, Ethereum, Litecoin, Ripple e Torn.

Un token (letteralmente “gettone”) è un insieme di informazioni digitali registrate su una blockchain, che conferiscono un diritto a un determinato soggetto. Simile alle criptovalute in caratteristiche come l’impossibilità di manomissione, l’unicità, la sicurezza, la registrazione delle transazioni su un registro immutabile, è trasferibile (e non duplicabile) tra due parti su Internet, senza richiedere il consenso di un terzo. L’uso è regolato da smart contract, protocolli software che definiscono le modalità in cui si svolgono le transazioni. La tokenizzazione, quindi, ha a che fare con la conversione dei diritti su un bene in un token registrato su blockchain. In via ipotetica qualsiasi cosa è “tokenizzabile”, tanto che in futuro si pensa che ogni forma di archiviazione di valore e registrazione pubblica sarà rappresentata da un token.

Nft Un non-fungible token – traducibile come “gettone non fungibile” o “non riproducibile” – è un particolare token collegato a un oggetto digitale memorizzato su una blockchain. L’Nft rappresenta un certificato di autenticità e costituisce la prova di provenienza e proprietà di un bene fisico o digitale. A differenza delle classiche criptovalute, i token non fungibili sono gettoni non duplicabili e non reciprocamente intercambiabili, perché ognuno di loro rappresenta un bene unico e raro. Non stupisce, quindi, che gli Nft abbiano trovato ampio spazio nel mondo dell’arte e dei collezionisti, per i quali sono diventati dei mezzi utili per acquisire opere la cui rarità è provata. Per gli artisti digitali o autori di arte effimera, invece, i token non fungibili rappresentano un modo per attestare il valore del loro lavoro.

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Start comunicare con chiunque si troverà in streaming nel nuovo mondo. Così il metaverso, spiega il report Fjord Trends 2022 di Accenture Interactive, è un’opportunità per le aziende nel 2022. Promette ai brand e alle persone di interagire, consumare e guadagnare. Le attività del metaverso, accessibili a tutti, si svolgono già nelle comunità di gaming. «La piattaforma online Roblox, è diventato popolare durante la pandemia, raggiungendo 43,2 milioni di utenti attivi giornalieri nel secondo trimestre del 2021». Il CEO di Roblox, David Baszucki, crede che la sua piattaforma diventerà uno strumento essenziale per la comunicazione e il commercio. Ad oggi è usata perlopiù dalla nuova generazione, tanto che il 50% degli utenti ha meno di 13 anni. 1

La nuova frontiera del metaverso Le aziende devono proiettare il loro futuro al mondo virtuale. Decidere di non aderirvi potrebbe far uscire dal mercato competitivo TREND

di Yamila Ammirata

«Questo nuovo sistema di luoghi cambierà la cultura e le aspettative di comportamento digitale», dove la realtà virtuale (VR) e aumentata (AR) interagiscono con il mondo fisico. Si ha una effettiva sensazione di essere presenti e si ha la possibilità di viaggiare ovunque, «questo potrebbe creare infinite possibilità per i brand». Si offrono alle aziende nuovi modi di connettersi con gli utenti, annullando l’ostacolo della distanza. La rivoluzione, anche dal punto di vista delle collaborazioni online, sta nel poter

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Le aziende che sperimentano questa nuova realtà potrebbero avere problemi nei primi momenti, ma «la tecnologia è in continua evoluzione e scegliere di non farne parte può significare che un brand viene lasciato indietro». Si deve tenere conto anche dell’etica, della cura e del rispetto della sostenibilità. Un aspetto negativo riguarda l’effetto psicologico che potrebbe avere sulla popolazione. Le persone rischiano di non essere più consapevoli di ciò che è reale o meno. Rimane anche una preoccupazione dal punto di vista ecologico, secondo Accenture Interactive, perché «gli Nft hanno un impatto negativo sull’ambiente: uno solo genera più di 200 chilogrammi di carbonio che riscaldano il pianeta. Equivale a guidare 500 miglia – all’incirca 800 km – con una macchina che va a benzina». Tuttavia, gli Nft giocheranno un ruolo fondamentale per l’economia nel metaverso, come mezzo per autenticare la proprietà di beni digitali. Ad oggi, il non-fungibletoken più costoso è posseduto da Vignesh Sundaresan, un uomo che vive a Singapore, che per 69 milioni di dollari ha acquistato il monumento Everydays: The First 5000 Days. Così si legge nel report 2022 Trends dell’azienda Omnicom Media Group. Essere possessori di Nft è ormai considerato da molti uno status sociale tanto che la tennista croata Oleksandra Oliynykova è arrivata a mettere all’asta una piccola parte del suo braccio. Secondo il report Technology and Media Outlook 2022 di Activate le attività previste per le aziende includeranno incontri e uffici virtuali. Esistono già brand che, attraverso sponsor e collaborazioni, hanno dimostrato il potenziale del Metaverso. Tra questi: Coca-Cola nel gioco Grand Theft Auto, Ralph Lauren per i vestiti degli avatar di Snapchat (Bitmoji), e The North Face x Gucci x Pokémon Go.


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L’azienda Omnicom Media Group ha analizzato anche la questione dello shopping nel metaverso ed è emerso che «anche gli avatar si vestono! Una borsa virtuale di Gucci su Roblox è stata venduta per 4.115 dollari». L’economia viene poi alimentata dalla compravendita del mercato immobiliare. Sandbox, un mondo digitale che si autodefinisce metaverso, ha avuto un ricavo di 8,6 milioni di dollari per i terreni virtuali venduti tra aprile e giugno 2021. Nel Digital Asset Outlook 2022 pubblicato da The Block Research si è sottolineato come le aziende Meta, TikTok, Twitter, Microsoft e Disney hanno annunciato il loro piano incentrato su criptovalute, Nft e metaverso, definendo «lo sviluppo della tecnologia della prossima decade». È necessario, però, ottimizzare l’intelligenza artificiale attraverso l’esperienza dei clienti, creando armonia tra il mondo umano e le capacità delle macchine – spiega Deloitte nel suo report 2022 Global Marketing Trends. Questo lento processo è già in atto, le persone, infatti, interagiscono con le macchine attraverso l’uso degli assistenti virtuali che si trovano sui dispositivi, come Siri e Alexa. Attraverso una raccolta di tweet, filtrati con Datalize, è stata analizzata la comunicazione di 48 aziende sul social media, dal 1 al 13 maggio 2022. La ricerca si è concentrata sulle quattro parole chiave metaverse, Nft, AI e crypto. Gli account che hanno trattato di più l’argomento sono: Bloomberg (@business), agenzia di comunicazione e informazione, con

oltre 120 post; Messari (@MessariCrypto), con all’incirca 70 post, fornisce dati e informazioni di mercato per gli investitori e i professionisti delle criptovalute; Activate (@activateinc), che si occupa di consulenza gestionale nei settori della tecnologia, Internet, media e intrattenimento, con più di 15 post. L’hashtag più utilizzato è #metaverse, seguito da #nfts e #cryptocurrency. L’agenzia di comunicazione e marketing Wunderman Thompson ha analizzato i vari cambiamenti che apporterà il metaverso nel report The Future 100 Trends and change to watch in 2022. Si parla della più grande rivoluzione industriale che verrà mai vista. Krista Kim, artista legata agli Nft, ha reso chiara l’importanza, affermando che «nel 1960 c’era una

Datalize: Motore di intelligenza artificiale che si occupa di analizzare la comunicazione dei social media sviluppato da Catchy in collaborazione con il Data Lab

corsa allo spazio, mentre ora c’è una corsa al metaverso». L’occasione per costruire mondi e società virtuali da zero inizia ora. ■ 1. Nikeland su Roblox 2. Sviluppo delle tecnologie che portano al Metaverso - Report “Technology and Media Outlook 2022” di Activate 3. L’ecosistema del Metaverso - Ibidem 4. Ralph Lauren su Roblox

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Coverstory di dimostrare a sé stesso di avere il coraggio di realizzare i propri sogni. «Era una cosa che sentivo di fare da molto tempo, sapevo che mi avrebbe fatto bene. Volevo cambiare vita e migliorarmi. Sono una persona timida e un viaggio così grande mi avrebbe portato ad avere più fiducia. Per la prima volta avevo messo da parte quello che gli altri dicevano di me e sono partito in massima spensieratezza. Mi sono goduto un grande sentimento di libertà». Certo, non proprio il più comune espediente contro la timidezza. Più del cammino, però, a Nazario spaventava «l’idea di non iniziarlo».

Il cammino del Lupo Dopo aver disegnato l’Italia a piedi e passato il lockdown in un bosco, lo youtuber Nazario Nesta si dirige in Spagna e Portogallo per un cammino di quasi 20.000 chilometri SFIDE

di Enzo Panizio

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Il perimetro italiano è lungo più di 10.000 chilometri e Nazario Nesta li ha percorsi tutti a piedi. Dalla Puglia alle Alpi, passando per la Calabria e la costa tirrenica, isole comprese, con ritorno sul versante adriatico. “Disegnando l’Italia” si chiamava il suo progetto proprio perché ha scontornato la Penisola, un passo alla volta. Zaino in spalla, tenda per accamparsi e strumenti di lavoro: con la sua immancabile go-pro ha documentato ogni tappa giornaliera e l’ha condivisa sul suo canale YouTube. Da allora condivide con i suoi follower tutte le sue attività ed è uno “youtuber creator” di professione con tanto di targa ufficiale, partita Iva e un canale da oltre 100.000 iscritti. In questo momento è in viaggio verso la Spagna, per una nuova sfida oltre i confini italiani. Quando ha deciso di dedicarsi ai «suoi progetti», Nazario era un ventisettenne di San Nicandro Garganico, in provincia di Foggia. Dopo aver provato ad avviare una sua attività, «una bellissima paninoteca ambulante», e lavorato per diversi anni in una macelleria, ha deciso

È partito «all’avventura» il 19 maggio 2019, lasciando a casa il denaro risparmiato oltre a paure e insicurezze. «Non organizzo nulla per trovarmi in quelle difficoltà che mi stimolano a dare il massimo. Sono partito senza soldi, dopo un mese e mezzo avevo perso 16 chili. Per vivere mi arrangiavo con quello che trovavo per strada e accettavo aiuti, raccoglievo della frutta o al mare le telline. Era una regola che mi ero imposto per vincere la timidezza. Solo in caso di emergenza mi ero dato il limite di poter spendere 3 euro al giorno. Il primo viaggio mi ha dimostrato che le persone sono solidali e aiutano chi lo chiede». «In totale ho percorso 10.606 chilometri», dice Nazario, «ho segnato il cammino più lungo mai fatto in Italia. Tutto di seguito, in un anno e 5 mesi. Non mi hanno riconosciuto il record perché c'è bisogno della presenza di due testimoni. Anche in Sicilia e Sardegna ho fatto dei record, sia per lunghezza del perimetro che per tempi di percorrenza. Ma non importa. Sono l’unico in Italia che fa cammini così lunghi senza tornare a casa, zaino in spalla e registrando tutto quello che fa». Ogni giorno ha portato a termine tappe dai 30 ai 70 chilometri, a tutte le latitudini, sull’asfalto come sulla sabbia o per sentieri di montagna. «Non è stato un viaggio comodo, spesso mi sono trovato ad affrontare sentieri impervi, strapiombi. Per il resto dormi in mezzo ai boschi da solo, dormi qua dormi là». L’impresa l’ha portata a termine in una data speciale: «sono tornato al mio paese il 17 ottobre 2021, il giorno del mio compleanno». Al suo arrivo, racconta Nazario, «c’erano un sacco di persone nonostante la vera festa, seppur all’esterno, era stata annullata per via della pandemia». “The Lone Wolf ” (così lo chiamava la gente che lo ha incontrato a camminare da solo), infatti, era nel pieno del suo viaggio quando si è saputo dei primi casi di covid, nel marzo 2020. Il lockdown lo


ha sorpreso mentre attraversava la Valtellina, in Lombardia. «La legge mi vietava di tornare a casa. Io poi ci tenevo a portare a termine il mio progetto, rinunciare non era un’opzione. Non sapevo cosa fare dove andare, ero l’unico che camminava per strada, sembrava un film apocalittico». Il lupo ha trovato rifugio nel suo habitat naturale. «Grazie alle forze dell’ordine ho trovato un boschetto dove stare e sono rimasto là per 75 giorni. Ho capito che il viaggio era un po’ cambiato».

«Non organizzo nulla perché voglio trovarmi in difficoltà. Sono partito senza soldi, dopo un mese e mezzo avevo perso 16 chili» «Così ho messo su un bivacco, una piccola casa. Ci ho costruito una cucina e altri oggetti per oggetti per passare il tempo. Mi rilassava farlo». Vivere più di due mesi da solo in un bosco mentre il mondo scopriva la pandemia, però, non sembra averlo turbato. «Tolte le prime sensazioni forse la quarantena è stata la parte più tranquilla del mio viaggio. Evitavo di sentire quello che succedeva all’esterno, anche perché mi tenevo impegnato. Quando sono arrivato lì ero felice di avere un posto dove stare e nessuno che mi avrebbe cacciato, parlavo con i follower che interagivano con i miei video e ogni tanto qualcuno veniva a farmi visita. L’unica notizia che volevo sentire era quando sarei potuto ripartire». Nazario parla con un po’ di nostalgia di quel «piccolo mondo» che si era creato: «È ancora tutto lì e ora ci tornerò, dovrei esserci tra due settimane».

Dopo un periodo di fermo nella sua città di origine, infatti, al momento Nazario è in Emilia Romagna, in cammino verso la Spagna. Un nuovo grande viaggio, tutto rigorosamente a piedi. «Il primo è stato una prova, un giro di rodaggio. Questa volta voglio disegnare due Stati: Spagna e Portogallo, entrambi i perimetri. Compresi andata e ritorno dall’Italia – che lui definisce “piccolo riscaldamento” – credo saranno tra i 16.000 e 20.000 chilometri». Per il nuovo viaggio, però,

ha cambiato politica. «Sfrutterò le mie risorse anche economiche, cercando di consumarne il meno possibile ma senza chiedere aiuto. Proverò ad essere autonomo, pur con una spesa giornaliera piccolissima, per avere più indipendenza e sicurezza in me. Il resto lo offrirà la strada». «Mi sento libero. Voglio vedere come me la cavo fuori dall’Italia. Devo alzare l’asticella e superare altri limiti», dice convinto. «Ho accresciuto la mia esperienza e sento che il viaggio a piedi fa parte di me. Camminare è la cosa più bella perché vivi tutti i posti al cento per cento». E poi ci sono i suoi follower. «Lo faccio anche perché ho bisogno di far crescere il mio canale YouTube a livello internazionale per dei progetti futuri. E soprattutto per chi mi segue: vorrei far capire loro che siamo troppo condizionati da quello che dicono gli altri e invece chi siamo dipende solo da noi». Nazario anche questo viaggio ci tiene a portarlo a termine con le sue sole forze, «passo dopo passo». A dimostrazione che pure arrivare a piedi in Spagna, quando si ha una meta e tanta determinazione, può sembrare una passeggiata per sgranchire le gambe. ■ Zeta — 11


Coverstory

Il suono del campanello Il racconto dell’ultimo viaggio in Ucraina del convoglio umanitario organizzato da Children in Crisis GUERRA

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di Giorgio Brugnoli


Cernivci, Ucraina. La linea simbolica che divide la Romania con il paese in guerra è a circa 80 km di distanza. Nessuna sirena questa notte ha risvegliato i cittadini che hanno deciso di rimanere. Le strade sono deserte ma ai margini di questa nuova vita le persone continuano a vivere. Nessuno urla, nessuno sorride e camminando nelle ore di punta si sente solo un sussurrio generale che rende l’atmosfera ancora più surreale. Si parte per Vaslovivtsi, un agglomerato di poche case fuori dalla città. Le nuvole corrono veloci su un cielo azzurro intenso. La strada è costellata da profonde buche che obbligano a procedere a rilento formando uno zig zag per evitare di compromettere le sospensioni dei mezzi. Se in città l’umanità era diradata, in aperta campagna regna un’atmosfera sospesa. L’occhio si perde su distese di campi fioriti di un giallo primaverile e guardando l’orizzonte sembra di vedere la bandiera ucraina nella sua interezza.

Se in città tutto sembrava essersi fermato con l’arrivo dei russi, nel centro si respira un’aria di dimenticanza. Una donna aspetta di stendere il bucato davanti a una fila di lavatrici, ha il viso immerso nel suo smartphone, suo unico alleato contro la totale alienazione. Dall’altra parte di Cernivci si trova il centro di accoglienza per bambini e ragazzi con disabilità. All’ingresso, in ucraino, una scritta in carattere infantile sormonta la porta e recita “Casa campanellino”. I muri sono di un verde chimico reso più umano da decine di fotografie dei piccoli ospiti della struttura immortalati in momenti di felicità antecedenti al 24 febbraio 2022. La struttura è stata creata più di 20 anni fa e si prende carico di tutti i minori che hanno bisogno di as-

glienza per donne e bambini vittime di violenza domestica. Il centro è stato costruito nel 2020 ma «ho sempre aiutato chi era in difficoltà». Prima di dedicarsi a tempo pieno all’attività pagava l’affitto a giovani madri perché in Ucraina, spiega Anya, non c’è attenzione per la violenza che nasce e si consuma tra le mura domestiche. I servizi sociali, infatti, in casi come questi si occupano dei minori coinvolti, portandoli via anche se le violenze vengono perpetrate solamente ai danni della madre. Dopo un colloquio con le istituzioni regionali, Anya ha trovato l’accordo per interrompere questa pratica di separazione. «Io trovo un lavoro e un alloggio alle madri e voi non togliete i bambini» questo è il patto che ha trovato. Al momen-

Dopo diversi chilometri intercettiamo un check Point dell’esercito. I blindati accostati alla carreggiata lasciano spazio ai cavalli di Frisia, elemento difensivo fatto di ferro che avevo visto solamente nei libri di storia. Dopo un rapido controllo dei documenti ci lasciano passare. Gli ultimi chilometri prima della destinazione sono interamente su strada sterrata e il convoglio, formato da dodici mezzi, procede piano.

«Nessuno urla, nessuno sorride e camminando nelle ore di punta si sente solo un sussurrio generale che rende l’atmosfera surreale» Il cancello dell’orfanotrofio è in mezzo alla foresta e delimita la strada ma intorno non ci sono recinzioni o muri. Non si fa in tempo a fare pochi metri che cinquanta bambini vengono ad accogliere gli ospiti venuti da lontano con tesori dal sapore dolce. Il responsabile, un uomo di sessant’anni in pantaloncini e ciabatte di nome Igor, racconta la costruzione di quello che fino a prima dello scoppio della guerra era un centro estivo per bambini della borghesia ucraina e che ora invece è diventato un centro di accoglienza per bambini e madri scappati dalla guerra. Il corpo principale ospita la mensa e gli spazi comuni mentre le camere sono costruite in piccoli bungalow numerati in legno distribuiti intorno alla struttura.

sistenza medica fino al compimento dei 18 anni. Durante la visita incontriamo una decine di famiglie ma «non sono tutte» spiega Sara, la direttrice, che precisa «in questo momento stiamo assistendo più di 50 bambini ma non abbiamo un bunker abbastanza grande, quindi preferiamo che stiano in posti dove possono scappare dalle bombe». Lontani ma vicini, Sara sente tutti i giorni i suoi piccoli amici con FaceTime e anche dopo il compimento del 18esimo compleanno le strade non si dividono. In Ucraina bastano 75 euro per avere un kit di farmaci corretto per la cura di diverse disabilità. Poco lontano Anya, una ragazza sulla trentina, ha fondato un centro di acco-

to la struttura ospita cento orfani e dieci donne vittime di violenza sessuale. I tre piani dell’abitazione sono divisi ordinatamente in piccole stanzette, ognuna con un numero e il nome del piccolo ospite. La palestra nel seminterrato è stata adibita a bunker con il pavimento ricoperto di materassi, tra tappetini per le capriole e reti per la pallavolo. Non ci stanno tutti e ogni volta che suona la sirena soltanto un membro del personale assiste i bambini all’interno del rifugio, tutti gli altri cedono il posto ai più piccoli e rimangono fuori. Dall’esterno le finestre sono coperte da pallet di legno e sacchi di sabbia per attutire l’onda d’urto in caso di un bombardamento russo. ■ Zeta — 13


Italia che ti rappresenta, decidendo il volto e come vestirlo. Una volta pronto guidi il tuo visitatore virtuale, lo fai interagire tramite chat e simuli le attività.

«Parlare del Metaverso oggi è come aver parlato di internet negli anni novanta, ignorare il fenomeno non lo annulla, bisogna prepararsi a gestirlo»

«È uno dei ventotto laboratori didattici, presenti sul territorio italiano, rivolto ai docenti su temi inerenti il digitale e le metodologie didattiche che si avvalgono delle stesse», spiegano il dirigente scolastico Giuseppe Martino e il professor Mauro Sabella dell’istituto Ponti. «Negli ultimi quattro anni di lavoro sono stati formati circa cinquemila docenti, tramite progetti mirati. Tra le aree tematiche proposte ha avuto una larga adesione la formazione sull’augmented, virtual e mixed reality (realtà aumentata, virtuale e mista). Anche la formazione sulla gamification e sul coding sono state molto seguite e le stesse hanno visto un ampio riscontro sui ragazzi da sempre abituati a muoversi in contesti virtuali ed immersivi come possono essere minecraft, roblox e fortnite».

La realtà virtuale tra i banchi di scuola Nasce il progetto che, sfruttando la tecnologia, consente di lavorare in sicurezza DIGITALE

di Silvia Morrone

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Che cosa succede se docenti e studenti interagiscono a migliaia di chilometri di distanza, magari da continenti diversi, come se fossero nella stessa aula? L’istituto tecnico Andrea Ponti di Gallarate entra nel Metaverso il 9 maggio 2022. Un semplice click e sei nel laboratorio virtuale che riproduce quello della scuola. Sembra un gioco di simulazione della vita come in The Sims, ma è tutto vero. Accedi al future lab virtuale attraverso la piattaforma Coderblock: scegli il tuo nome, il genere e modifichi l’avatar

Una realtà virtuale, il metaverso che «interessa» molte «aziende» e che ha attratto l’istituto tanto da «inserirlo all’interno del progetto STEM vinto dalla scuola, anticipando anche quelle che saranno le nuove tendenze della comunicazione e della formazione. È una didattica efficace, tale da trascinare anche gli alunni abituati ad essere passivi spettatori». Il dirigente e il professore precisano: «tra le varie società presenti sul territorio italiano ci ha incuriosito la start up Coderblock che grazie ai suoi ambienti presenti in rete ci ha permesso di valutare le potenzialità del metaverso anche in ambito didattico. Dopo una serie di incontri tecnici con il loro staff e quello del team dell’innovazione digitale dell’Andrea Ponti, è stato riprodotto in ogni suo dettaglio il future lab con possibilità di accesso rivolte a centinaia di persone che possono identificarsi ed interagire tramite avatar personalizzati».


Si tratta di un metodo di lavoro che rivoluziona l’insegnamento e quindi l’apprendimento a distanza. «Ci aspettiamo un miglioramento in tutte le discipline, a partire da quelle scientifiche, ma senza escludere quelle umanistiche. Qualunque strumento, per quanto sofisticato ed efficace non può sostituire il rapporto umano tra docente e alunno, è un valore che nessuno strumento può cancellare. La relazione umana si avvale però anche di strumenti facilitatori della comunicazione, dell’apprendimento e della formazione, pertanto un approccio equilibrato, competente e consapevole nei confronti delle nuove tecnologie può permettere di gestire le nuove sfide della conoscenza. Il principale aspetto positivo della realtà aumentata nella didattica potrà essere costituito dall’incremento dell’immersività che tali strumenti possono offrire a chi li utilizza».

«La scuola è chiamata a controllare gli effetti del passaggio dal reale al meta-reale, senza che il secondo prenda il sopravvento sulla natura umana»

manutenzione». È possibile rendere la formazione più immersiva restando in un contesto di totale sicurezza, migliorando la motivazione, l’efficacia didattica ed agendo come se ci si trovasse in un contesto reale».

Un mondo che docenti e alunni non possono ignorare, ricordando che «parlare del Metaverso oggi è come aver parlato di internet negli anni novanta, ignorare il fenomeno non lo annulla, bisogna prepararsi a gestirlo. La scuola è chiamata a controllare gli effetti del passaggio dal reale al meta-reale, senza che il secondo prenda il sopravvento sulla natura umana». ■

Questo per la scuola di Gallarate è solo l’inizio. «Essere in un luogo lontano, agire su provette contenenti materiali pericolosi, miscelare dei composti chimici, agire sulla parte meccanica di un macchinario, altrimenti non raggiungibile». Sono alcune delle novità che si svolgeranno. I professori con entusiasmo continuano: «nei prossimi anni vorremmo iniziare a lavorare in laboratori di fisica, chimica, biologia su strumentazioni sofisticate, grazie all’uso del metaverso si potranno utilizzare reagenti pericolosi catalogati come R45 o innescare virtualmente reazioni chimiche come la nitrazione, non solo in teoria ma anche nel laboratorio virtuale del metaverso. Oltre le scienze integrate, potranno trovare applicazioni in discipline come la meccatronica, che potrà essere sviluppata attraverso la simulazione realistica di operazioni complesse, come la saldatura di metalli o l’installazione di macchinari o la loro Zeta — 15


Italia di Milano gli ha confidato i segreti della tromba jazz, ma tra i bivi del futuro Siracusa gli ha sussurrato casa. In testa, l’idea di vivere Amsterdam per un Master in Composizione di Musica da Film, tra le mani, le birre offerte ai clienti di un pub. Nelle notti ortigiane, la chitarra di Marco ha calamitato il sassofono di Stefano Ortisi, il cavaquinho di Luigi Orofino e l’ukulele di Erlend Øye, il cantante del gruppo indie-folk Kings Of Convenience, norvegese per nascita e siracusano per scelta: «Il fatto incredibile è che la svolta della mia vita è arrivata tornando a Siracusa, mentre tutti la cercano andando via», racconta Marco.

Una jam session nel paradiso Nella culla di Siracusa, una comitiva di musicisti risplende tra la campagna, i vicoli e il mare MUSICA

di Elena Pomè

Ai piedi del Tempio di Apollo, il mercato di Ortigia pulsa. Le macchine fotografiche dei turisti trafugano spezie variopinte, energiche cantilene di contadini e aromi acri di pesce. Tra tonni e gamberi, sotto il tendone rosso della pescheria Fratelli Cappuccio, la chitarra di Marco e il tamburello di papà Angelo riordinano il caos. Le corde e i sonagli smaniano di indomabili ritmi siciliani che, racconta Marco, siracusano nelle radici, «sono parte di me, della mia tradizione e della mia cultura». Il piacere della musica, 16 — Zeta

A Siracusa, i quattro strumenti musicali si corteggiano, e a Santiago Del Cile, dove i tre artisti siciliani hanno accompagnato Øye in tournée, si innamorano. Nasce La Comitiva, che accarezza l’altiplano cileno e gli tra scogli lucenti e il mare blu ricorda il Paradiso siracusano. «Il nostro stile di vita è particolare rispetto a quello degli altri professionisti di musica. Per loro, suonare inizia e finisce sul palco del concerto, mentre per noi è uno stato d’animo perenne, andiamo oltre il soundcheck, i concerti e le jam. Suoniamo perché ci piace, anche quando non abbiamo nulla da fare abbiamo gli strumenti in mano e viviamo la musica come un momento tutto per noi, di divertimento, di piacere e di relax, e non come pressione professionale». Marco incide Siracusa anche in Contenta Tu, il disco solista che viaggia per l’Italia. «È nato tutto per gioco come parodia dell’indie italiano, che cita città sconosciute e parla il dialetto». Dentro, c’è tutto: «L’ispirazione perenne di Siracusa nasce dal contrasto tra cose belle e cose schifose nel giro di un chilometro

Marco l’ha respirato in famiglia: «Zio Peppe suonava il sax, zio Carmelo la batteria, c’erano delle cantanti, mio papà e mia mamma facevano parte di un gruppo folcloristico siciliano e io sono cresciuto così, in mezzo alle note, nella sala prove sopra la pescheria». Amante delle melodie cubane, brasiliane e blues, Marco intreccia accordi e colora i vicoli bianchi di Ortigia: «Il segreto è viaggiare di balcone in balcone e disturbare più persone possibili nel minor tempo possibile, per evitare secchiate d’acqua». Nelle jam session sull’isola, anche il musicista Marco Castello ha scansato le piogge delle signore addormentate. A Siracusa, Marco è nato e ritornato. La Civica Scuola di Musica Claudio Abbado

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stem Festival, che insieme al Moro Festival e al Gisira Fest coinvolge artisti come i Novelle Vague, Giorgio Moroder, Awesome Tapes from Africa e Venerus. Nel negozio Malamore, alle spalle del Tempio di Apollo, i vinili del duo napoletano e della «cricca siracusana e adottata» convivono con i dischi usati: «Malamore nasce dall’esigenza di far rivivere i negozi di dischi, che negli ultimi anni hanno chiuso» racconta Lucio. Tra le insenature del Forte Vigliena, l’artista trattiene la tranquillità: «Non svelo la mia caletta preferita, ho cercato tanto un posticino di paradiso senza nessuno!». ■

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quadrato. Il bello è il centro storico di Ortigia, il parco archeologico, la spiaggia della Pillirina, che ti riportano a te. Il brutto è la zona industriale, l’abusivismo edilizio, la totale assenza di servizi e la mentalità di alcuni abitanti, che per me sono comunque motivo di poesia». Marco disegna Siracusa perché «è qui che vivo e ho scelto di vivere. È una città piccola, che in tempi brevissimi permette di isolarsi nella natura o di vivere il centro storico. Le vedute ampie di cielo o di mare aprono la testa e regalano lo spazio per ordinare i pensieri. La luce, soprattutto in primavera, è unica e inspiegabile, a volte sembra bianca, altre azzurra o rosa. Così, quando mi allontano per i concerti guardo le stories Instagram della gente in Ortigia e provo la FOMO, fear of missing out quel momento a Siracusa». Una sovrapproduzione di amore che Marco manifesta anche nei confronti dei “torpi”, i tamarri che colonizzano la piazza con i motorini, perché «non si capisce dove stia l’asticella che ti renda torpo o meno, lo siamo tutti a modo nostro». La voce di Marco ha solleticato anche Bar Mediterraneo, l’ultimo progetto artistico del duo partenopeo Nu Genea. Il musicista Lucio Aquilina ha lasciato Napoli per Berlino, dove ha riversato la nostalgia per la città «viscerale, calda, teatrale, affettuosa e caotica» nel disco Nuova Napoli. «Mi mancavano i tuffi nel mare, i vicoli, il carretto del fruttivendolo che con il megafono, che la mattina fa un casino incredibile, e la signora delle pizze fritte». Poi, stregato da uno spettacolo al teatro greco, Lucio si è trasferito a Siracusa. «Il barocco di Ortigia ha vita propria. Fa bene all’anima passeggiare tra la bellezza del lungomare, della cam-

pagna o di Piazza Duomo e respirare gli strati dei popoli, della storia e della cultura nel quartiere ebraico della Giudecca», spiega. «E qui c’è una bella cricca di musicisti: Marco Castello, Stefano Ortisi, Erlend Øye, il bassista dei The Whitest Boy Alive Marcin Öz, il trombettista Roy Paci e il cantautore Lorenzo Colapesce. Siracusa è una città a misura d’uomo, ignara della vita frenetica e del traffico snervante della metropoli, e la quiete e la pace ispirano la creatività dei musicisti e degli artisti». La musica dei Nu Genea nutre le barche sul porto della Marina, l’Antico Mercato di Ortigia e il Castello Maniace nei tramonti estivi dell’Ortigia Sound Sy-

1. Malamore, il negozio di vinili fondato da Lucio Aquilina dei Nu Genea a Ortigia. 2.Marco Castello, cantautore e membro de La Comitiva, a Ortigia. Crediti: Bianca Burgo 3. Lucio Aquilina dei Nu Genea mostra il vinile del singolo Marechià. 4. Il musicista Marco Cappuccio suona la chitarra in una caletta del Plemmirio.

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Italia del diabolico (“ciò che è diviso”) con l’amor, ispirato alla navigazione intrapresa da Polifilo nell’opera di Francesco Colonna Hypnerotomachia Poliphili del 1499. Il protagonista cerca la sua controparte femminile (Polia) in sogno, ma per trovarla dovrà muovere guerra e approdare a Citèra, l’isola di Venere. Dopo averla trovata, potrà finalmente riunificarla al diabolico e completare il suo percorso interiore. Non a caso, la struttura della Scarzuola ricorda quella di un galeone, dove campeggia l’Acropoli: una riproduzione delle meraviglie dell’antichità come il Partenone, il Colosseo, l’Arco di Trionfo e il tempio di Vesta rappresenta le virtù dell’uomo, che sovrastano le prigioni sotterranee, la cui entrata ricorda il parco dei mostri di Bomarzo e in cui albergano i vizi da tenere a bada.

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Perdersi nel profano e ritrovarsi nel sacro Da luogo di culto a culla della simbologia massonica, alla Scarzuola diabolico e amor si ricongiungono per conoscere il proprio Sé ARCHITETTURA

di Silvia Pollice

«Se Francesco avesse avuto la stessa coscienza di suo padre Bernardone, questo posto oggi non esisterebbe. Quando venne qui, tane, ruderi e grotte erano le sue dimore, dopo aver lasciato la sua famiglia: oggi sarebbe un hippie, più o meno». Dal 1981, Marco Solari è l’eccentrico proprietario e abitante della Scarzuola, un complesso architettonico costruito sui resti del convento fondato da San Francesco d’Assisi nel 1218 nei pressi di Montegabbione (Terni), che deve il suo nome alla scarza, pianta del posto con cui il santo costruì una capanna in cui rifugiarsi, e la sua fama alla simbologia esoterica. Inizialmente di proprietà della famiglia Conti di Marsciano, il convento era gestito dai frati francescani che vi abitarono fino al secondo dopoguerra, «quando 18 — Zeta

misero in vendita il rudere e nel 1956 trovarono il pollo che lo acquistò: il professor Tomaso Buzzi di Milano, mio zio». Tra i principali architetti e designer del Novecento, Buzzi collaborò a lungo con Gio Ponti alla rivista Domus e fondò il Club degli Urbanisti, partecipando nel 1926 al concorso per il piano regolatore di Milano con il progetto Forma Urbis Mediolani. Molto richiesto dalla borghesia meneghina, Buzzi era anche un grande appassionato e studioso di esoterismo e simbologia massonica, che riversò in ogni dettaglio della sua opera magna, rimasta incompiuta e completata da suo nipote Marco. «Buzzi non venne mai ad abitare qui, ma vi abiterà il suo didimo: quella parte di voi che non addomesticherete mai. Avete presente Il piccolo principe? La volpe deve essere addomesticata perché se non l’addomestichi tutti i giorni, non troverai mai Dio». Quando si varca la soglia della Scarzuola si è consapevoli del fatto che un incontro tanto illustre non avverrà mai, ma non lo si è pienamente del fascino che è in grado di trasmettere. Davanti ad un asse di legno raffigurante un giullare, perché «Francesco diceva di essere il giullare di Dio», inizia il viaggio che porterà alla conoscenza di sé attraverso la riunificazione

Ma prima di arrivare alla luce della conoscenza di sé, l’uomo deve affrontare un percorso buio e silenzioso, come quello che accomuna Giona e Pinocchio: essere inghiottiti dalla balena, per poi uscirne trasformati (rispettivamente, in profeta di Ninive e bambino in carne ed ossa). Un percorso che si compie «iniziando dall’origine di tutto: l’organo genitale femminile, fonte dell’energia femminile che mi aiuta a capire chi sono», alla quale prima Buzzi e poi Solari rendono omaggio attraverso la statua/polena del galeone La Grande Madre. Dopo essere usciti dalla porta Amor vincit omnia, il viaggio interiore si conclude ai piedi della torre di Babele, che protegge la fragile piramide di vetro, custode della scala musicale delle sette ottave. Un omaggio ad un’altra forma di amore: quella che Buzzi nutriva per il violino. ■ 1. Il Terzo Occhio e la Città ideale 2. La Grande Madre

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Chi salva la tipografia Il laboratorio in cui si recuperano macchinari e strumenti antichi per sottrarre all’oblio un patrimonio storico DESIGN

di Maria Teresa Lacroce

«Eravamo in vacanza. A un certo punto leggiamo l’annuncio di un torchio, il primo che abbiamo recuperato. Molliamo la vacanza, ci facciamo questo viaggio in macchina fino a Modena e poi a Roma, andata e ritorno in giornata e carichiamo questo torchio sulla mia macchina, più i set di caratteri». Era il 2019 quando Elettra Scotucci, 29 anni e Andrea Vendetti, 33 anni, entrambi grafici, hanno realizzato il loro sogno: aprire, a Roma, un laboratorio di stampa a caratteri mobili in cui si utilizzano caratteri tipografici e macchinari antichi per realizzare poster, copertine grafiche per quaderni, cartoline, segnalibri e biglietti da visita. «Continuavamo ad accumulare caratteri mobili. Per mesi abbiamo raccolto questo materiale senza avere la possibilità di usarlo ma non vedevamo l’ora di poter stampare. Così abbiamo preso un torchio più piccolo, abbiamo allestito una postazione che è ancora in casa e per diversi mesi abbiamo stampato dentro casa appoggiando le stampe sullo stendino per i panni. Sapevano che era una situazione temporanea fino a quando non avessimo aperto un laboratorio. E poi finalmente abbiamo trovato uno spazio qui a Roma. È iniziata così», racconta Elettra. Salvare dal degrado e dall’oblio i caratteri in legno e piombo, le cassettiere tipografiche e i macchinari antichi è una vera e propria missione per Elettra e Andrea.

Sono tanti i materiali recuperati da garage, scantinati e vecchie tipografie dismesse, grazie anche a una rete con altri tipografi e stampatori in tutta Italia, con cui ci si segnala a vicenda dove trovare questi pezzi unici. «Abbiamo del materiale che risale a metà Ottocento, quindi, caratteri in legno intagliati a mano, un torchio a leva del 1883 e tantissimo materiale anni Venti e anni Trenta e altro che va dagli anni Cinquanta agli anni Settanta». Un’attività importante quella portata avanti da Elettra e Andrea: permette di tutelare la cultura tipografica italiana salvando così un’arte che rischia di scomparire. I caratteri antichi in piombo che non vengono recuperati finiscono per essere

sprecati: diventano piombini per la caccia o il tiro a segno mentre quelli in legno vengono smembrati e riutilizzati per realizzare cornici o tavolini. «Per noi è devastante. Un pezzo di storia della grafica e della tipografia che sparisce per sempre», precisa Andrea. Dal momento che i materiali tipografici sono soggetti all’usura e ai segni del tempo, Elettra e Andrea effettuano delle piccole operazioni di conservazione: per esempio, i caratteri in legno vengono trattati con prodotti antitarlo e puliti in maniera delicata. Non si effettuano però vere e proprie operazioni di restauro: infatti, le lettere, nel momento in cui vengono stampate, fanno emergere anche eventuali venature, graffietti o ammaccature. «Siamo molto rispettosi del valore di archeologia industriale di questi materiali, quindi, se volessimo avere lo stesso set che stampa perfettamente, credo passeremmo attraverso un’operazione di digitalizzazione e poi di rifacimento dei caratteri piuttosto che intervenire su quelli che sono effettivamente dei reperti». Slab, quindi, non è solo un laboratorio di stampa a caratteri mobili ma è anche un archivio e un centro per lo studio della tipografia e della grafica editoriale. Mentre Andrea porta avanti la ricerca storica sul materiale tipografico, Elettra si occupa delle questioni più tecniche a partire dalla stampa e dalla manutenzione dei macchinari. «La letteratura sulla storia di questi caratteri è molto limitata e io, in particolare, mi sto occupando della ricerca sui caratteri in legno quindi su chi li produceva e come venivano distribuiti», spiega Andrea. «Invece io, in linea con questa mia attitudine più manuale, sto lavorando al rifacimento dei caratteri in legno», conclude Elettra. ■ Foto courtesy of Riccardo Ferranti

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La disabilità nel metaverso Una questione aperta Andare oltre le capacità fisiche nella realtà virtuale può rappresentare una terapia efficace per i disabili, ma l’industria non ha ancora accolto le loro esigenze SOCIETÀ

di Leonardo Aresi

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Sedie a rotelle elettriche ultra funzionali, tecnologie Li-Fi per le trasmissioni di dati tramite fasci di luce utili per persone ipovedenti e affette da sordità, guanti in grado di tradurre il linguaggio dei segni in testo su PC: la tecnologia che abbiamo conosciuto finora ha dimostrato di essere in grado di andare incontro alle esigenze dei disabili. Adesso tocca al metaverso. La realtà virtuale sarà una nuova frontiera di sostegno e inclusione per le persone con disabilità? Rispondere a questa domanda oggi appare estremamente difficile. Uno dei pericoli più grandi nell’inseguimento tecnologico tra i giganti del settore riguarda proprio l’importanza che verrà data alla sua accessibilità universale. Per ottenere il vantaggio assoluto sul mercato al momento del lancio, la questione corre il rischio di non rientrare tra le priorità delle big tech. L’attuale assen-

za di standard condivisi per lo sviluppo di strumenti di supporto è un campanello d’allarme. Nel metaverso gli utenti dovranno essere in grado di padroneggiare una serie di scorrimenti e gesti con le mani per poter navigare. Dunque gli osservatori più attenti si interrogano se i dispositivi di aiuto utilizzati dai disabili per accedere a un computer potranno essere trasferiti nella realtà virtuale. In questo senso occorreranno sistemi di attivazione vocale ad altissima funzionalità. Un altro aspetto importante riguarda coloro che soffrono di disturbi dei processi sensoriali. La raffica di sensazioni che travolgeranno gli utenti saranno in qualche modo gestibili anche da parte loro? «Quando penso al metaverso mi viene in mente il film di Steven Spielberg Ready Player One in cui viene rappresentata


una realtà virtuale alternativa alla nostra che si sviluppa durante una crisi mondiale causata da inquinamento e sovrappopolazione. Mentre lo guardavo mi chiedevo se prima o poi saremmo finiti anche noi a vivere un’esperienza del genere. Credo che dovremmo prestare molta attenzione a questo fenomeno. È una novità che va prese con le pinze. Se indossando il mio visore potessi, ad esempio, visitare gli Stati Uniti d’America dal salone di casa partecipando come spettatore a una partita di basket NBA sarebbe fantastico. Ma dovrebbe trattarsi di un’attività eccezionale perché se vissuta come un’abitudine il rischio che diventi una dipendenza alienante è altissimo». A parlare è Matteo Gualandris: impiegato amministrativo di ventisette anni in un’azienda immobiliare del bergamasco che fa parte del Gruppo Giovani Nazionale dell’Unione italiana lotta alla distrofia muscolare. I suoi timori sugli effetti indesiderati della navigazione nel metaverso aprono ad altri interrogativi. «Pur con tutte le difficoltà che affronto quotidianamente, il mio orizzonte non sarà mai nel metaverso. Sono affetto da una forma congenita di distrofia che comunque mi permette di poter fare delle attività a cui non rinuncerei mai per rifugiarmi in un mondo virtuale. Suonare il pianoforte, visitare un museo, osservare le montagne in compagnia dei miei amici o andare al palazzetto dello sport a tifare l’Olimpia Milano in carne ed ossa sono passioni inscalfibili. Per le persone costrette a letto, senza poter muovere un dito, penso però che il discorso sia diverso. Con la giusta assistenza, potrebbero seriamente beneficiarne. Se il destino le ha inchiodate a vivere in determinate condizioni, la realtà alternativa del metaverso potrebbe essere una terapia efficace».

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nitensi abbiano riconosciuto la centralità delle WCAG a seguito di una serie di cause legali sull’accessibilità digitale. Il settore dei videogiochi, analogo a quello del metaverso per tecnologia e idee di progettazione, ha visto un’incredibile innovazione in questa materia. Gli sviluppatori del gioco di corse “Forza Horizon 5”, ad esempio, hanno svolto un lavoro accurato per sviluppare funzionalità tra cui il supporto della lingua dei segni nei filmati e una modalità di gioco per i daltonici. Per accogliere i visitatori non udenti i luoghi nel metaverso dovranno presentare un qualche tipo di sistema di sottotitoli, ma come verranno visualizzati in un

ambiente tridimensionale immersivo? Il tipo di attrezzatura necessaria creerà un nuovo divario digitale? Sono tanti gli interrogativi. Le aziende che si stanno occupando dell’architettura virtuale del metaverso dispongono di team specializzati in materia. Soltanto indirizzando questa nuova esperienza sensoriale verso un modello realmente universale sapranno accogliere le esigenze delle persone con disabilità. ■ 1. Le nuove frontiere della realtà aumentata potrebbero aiutare i disabili. Foto: Hay Dmitriy Vistacreate 2. Matteo Gualandris, membro dell’Unione italiana lotta alla distrofia muscolare, mentre suona al Mediolanum Forum in occasione di una partita dell’Olimpia Milano 3. Foto: RODNAE Productions

Andare oltre le proprie capacità fisiche può essere la strada giusta nella ricerca di un sollievo. La questione principale rimane l’accessibilità. Il mondo digitale non è sempre stato all'altezza della sua promessa di connettere le persone, spesso considerata come qualcosa di secondario. Sebbene le linee guida per l’accessibilità dei contenuti Web (WCAG) si siano evolute dalla loro pubblicazione nel 1999, gli standard legali non si sono sviluppati alla stessa velocità. L’European Accessibility Act è entrato in vigore solo nel 2019. L'Americans with Disabilities Act invece non fa riferimento all’accessibilità dei siti web, sebbene le sentenze dei tribunali statu-

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Sentirsi bene nella realtà mentale L’utilizzo delle tecnologie immersive nella psicoterapia è solo all'inizio, ma il metaverso potrebbe portarlo a un livello superiore PSICOLOGIA

di Silvano D’Angelo

La tecnologia nasce dalla mente umana e proprio come una figlia, dopo essere stata cresciuta dai genitori, arriva il momento in cui è lei a dover sostenere la madre quando mostra i primi segni di debolezza. Ma come può la tecnologia fisica aiutare qualcosa di immateriale come la mente umana? Ce lo spiega il 22 — Zeta

professor Giuseppe Riva, docente di Psicologia cognitiva ed esperto di tecnologie applicate alle neuroscienze. Il lavoro di Riva si focalizza infatti sull’utilizzo dei progressi tecnici per «migliorare gli stati emotivi del paziente e la sua dimensione cognitiva».

to la relazione con gli ambienti naturali. Per questo abbiamo cercato di ricreare l’immagine di un giardino zen in realtà virtuale per riprodurre una situazione di stabilità emotiva». L’esperienza richiede solo il possesso di uno smartphone e di un visore VR, dura 10 minuti e va ripetuta una volta al giorno per una settimana insieme a un’altra persona che può trovarsi anche a distanza. «I risultati indicano una notevole riduzione di ansia e depressione. Abbiamo avuto un tale successo che la nostra tecnologia è stata tradotta in 14 lingue e ora è la più usata al mondo di questo tipo».

Nei suoi lavori all’Università Cattolica di Milano e presso l’Istituto Auxologico Italiano, il professor Riva si serve della realtà virtuale per aiutare i pazienti a ritrovare il proprio equilibrio emotivo. Una necessità che è esplosa ancora di più con la pandemia e che Riva ha notato a partire dai suoi studenti. «Molti di loro hanno avuto un peggioramento dello stato emotivo e hanno difficoltà a tornare in aula per le lezioni a causa del senso di isolamento sociale e della mancanza di relazioni che hanno provato in questi due anni». Proprio questo ha spinto il professore e il suo team a creare uno strumento di realtà virtuale gratuito chiamato Covid Feel Good. «Ciò di cui siamo stati privati durante il lockdown è stata soprattut-

La realtà virtuale può essere uno strumento fondamentale anche per altre patologie psicologiche diffuse soprattutto tra i giovani. «Quando parliamo di disturbi alimentari ci troviamo di fronte da un lato a una percezione falsata del proprio corpo, dall’altra a emozioni negative legate al cibo». Due problematiche per cui la realtà virtuale offre soluzioni molto più efficaci di quelle che potrebbero essere messe in atto in uno spazio fisico. «A livello emotivo», spiega Riva «Il cibo virtuale ha lo stesso effetto di quello vero. Perciò possiamo praticare un’esposizione controllata e progressiva ai cibi ansiogeni», questo con il notevole vantaggio non solo di poter monitorare costantemente la risposta emotiva del paziente, ma


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anche di poter avere accesso istantaneo a piatti e scenari diversi, «senza aver bisogno di andare in un ristornate e ingaggiare uno chef». Ma non solo, la realtà virtuale permette anche di far entrare il paziente in un altro corpo. «Possiamo mettere un anoressico in un corpo normale e fargli capire che il suo è solo un disturbo di percezione, perché di fatto anche il corpo che vede guardandosi allo specchio e percepisce come grasso è “virtuale”». Quest’ultima pratica è appena all’inizio e non ci sono dati sufficienti per valutarla, ma i primi risultati sembrano essere incoraggianti. L’ultimo campo in cui la psicoterapia di Riva si serve della VR è quello della riabilitazione cognitiva. «Stiamo parlando della possibilità di rallentare la progressione delle malattie neurodegenerative, per le quali non esiste cura, ma anche di aiutare soggetti che hanno perso temporaneamente le capacità motorie a recuperarle». Anche in questo caso ci sono tre vantaggi chiave sulla riabilitazione classica. «Innanzitutto è più divertente e poi permette di misurare la risposta del paziente passo dopo passo». Ma la vera marcia in più è la possibilità di non porre limiti all’immaginazione. «Si potrebbe trasportare qualcuno che ha perso la mobilità a un braccio in un corpo in perfetta forma e a quel punto utilizzare gli schemi motori virtuali funzionanti per stimolare e ricostruire quelli reali danneggiati». L’applicazione delle tecnologie virtuali alla cura dei problemi mentali è dunque un campo già ricco di risultati e potenzialità da scoprire, che potrebbero beneficiare del crescente sviluppo del metaverso. Qui però Riva si fa più cauto. «Il metaverso, a differenza della realtà virtuale, dovrebbe essere la fusione tra il mondo fisico e quello digitale, in cui ciò che faccio nell’uno ha effetti nell’altro,

ma non siamo ancora a questo livello». Il limite del metaverso attuale consiste nel fatto che la trasmissione di emozioni è ancora solo simulata, perché manca un legame diretto tra l’identità digitale e quella reale, cosa che richiederebbe sistemi di controllo molto sofisticati e molto costosi. Per ora dunque il metaverso è solo una versione molto avanzata del videogioco Second Life, ma questo non vuol dire che non possa portare a enormi progressi nel campo della psicoterapia. «Il mio avatar può essere ciò che voglio, permettendomi si superare i limiti imposti dal mondo fisico e aumentare le possibilità di interazione», spiega Riva. Una prospettiva che non deve mai perdere di vista quello che la tecnologia può fare per aiutarmi nel mondo fisico. «Il nostro cervello è una macchina predittiva che costruisce profezie che si autoavverano. Il metaverso potrebbe funzionare come un potentissimo effetto placebo che sblocchi le mie potenzialità semplicemente facendo sì che io ci creda: ad esempio in Spagna hanno visto che mettendo delle

persone con difficoltà di apprendimento nel corpo di Einstein le loro capacità miglioravano sensibilmente». In un tale oceano di possibilità bisogna però evitare la tentazione di lasciarsi convincere che il mondo digitale sia meglio di quello reale. La componente che rimane fondamentale è quella dell’interazione umana e solo quando il metaverso darà nuovo slancio a questa possibilità potrà definirsi un’innovazione compiuta, mentre le attuali tecnologie digitali tendono all’isolamento. Al contrario «Lo psicoterapeuta è un professionista che opera col linguaggio che è una forma di mediazione. Il metaverso deve dare la possibilità di ampliare le possibili esperienze terapeutiche, farle vivere e renderle trasformative. Quando sarà pianamente sviluppato non parleremo più di reale e virtuale, ma di digitale e fisico». ■ 1. Un paziente immerso nel giardino virtuale del programa Covid Feel Good 2. Il CAVE (Cave Automatic Virtual Reality) dell'Istituto Auxologico italiano, un ambiente virtuale adibito alla riabilitazione 3. L’esperienza riabilitativa in VR vista dall'esterno

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Visita guidata nella mente di Mark Zuckerberg Angelo Mazzetti, Head of Public Policy di Meta Platforms, ci porta nel metaverso concepito dall’uomo che nel 2004, dalla sua stanza del dormitorio di Harvard, inventò Facebook VIRTUALE

di Dario Artale

C’è chi ritiene che la prima “metamorfosi” impressa nella memoria collettiva risalga ad Omero e sia quella dei compagni di Ulisse trasformati in porci dalla maga Circe. E c’è chi sostiene che l’ultima sia quella che Mark Zuckerberg, il fondatore di Facebook, ha in mente per “virtualizzare” i nostri corpi nel metaverso. Non più ninfe trasformate in piante né eroi divenuti pianeti, ma donne e uomini trasposti in ologrammi per iniziare una nuova vita nella virtual reality (VR). 24 — Zeta

Il metaverso ha trovato una concettualizzazione per la prima volta nel romanzo cyberpunk Snow Crush dell’autore statunitense Neal Stephenson, che ha inventato il termine per definire una realtà virtuale nella quale il protagonista Hiro accede trasformandosi in software e si muove sotto forma di avatar. Fuori dalle pagine di Stephenson, il metaverso sta prendendo forma come l’evoluzione di internet. Un insieme di spazi digitali fatti di esperienze tridimensionali, tutti interconnessi tra loro, in modo tale da permettere alle persone di spostarsi facilmente da un luogo all'altro. Una sorta di world wild web in 3D che rappresenterà per questi nuovi spazi virtuali ciò che internet rappresenta oggi per i siti web che siamo soliti esplorare in 2D attraverso i nostri desktop. Con una sua lettera pubblicata sul sito web dell’azienda il 28 ottobre scorso – data in cui Facebook ha cambiato nome in Meta – il fondatore Mark Zuckerberg ha annunciato l’obiettivo di estendere la piattaforma oltre i limiti dell’espe-

rienza maturata finora dagli utenti. «Lo chiameremo metaverso e toccherà ogni prodotto che costruiamo». A partire dai visori Oclus Quest 2 e dagli smart glasses Ray Ban, attraverso i quali sarà possibile avere accesso alla porzione di metaverso firmata Zuckerberg, che – come ci spiega Angelo Mazzetti, Head of Public Policy di Meta Platforms – «saranno soltanto alcuni degli "entry point" per il metaverso, al quale sarà possibile avere accesso anche attraverso strumenti come pc e laptop». Entrato nel metaverso sotto forma di avatar, l’utente Meta potrà esplorare il mondo Horizon, la piattaforma virtuale in cui sarà possibile stare insieme con amici e familiari, lavorare, imparare, giocare, fare acquisti, creare. «Si tratterà di spazi interconnessi in cui interagire, che saranno popolati dagli utenti e dai contenuti prodotti dai creator e che rispetteranno il principio di interoperabilità. Chi vive il metaverso vorrà portare con sé il proprio avatar e la propria identità in mondi e ambienti diversi. Ebbene, l’interoperabilità permetterà agli utenti di


muoversi senza problemi da una tecnologia a un’altra, di portare con sé contenuti e informazioni e di usufruirne in ambienti diversi. Così sarà possibile utilizzare gli oggetti digitali dei diversi creator, tra cui ad esempio i vestiti degli avatar, in diversi spazi e dimensioni interconnesse». In un mondo virtuale nel quale ogni cosa fisica - invece di essere assemblata in fabbrica - sarà replicabile sotto forma di ologramma, e dove nuove cose saranno creabili da zero grazie al contributo costante di creatori e sviluppatori, il nostro avatar potrà investire tanto il suo tempo libero quanto il suo tempo pieno. «Già oggi sono disponibili esperienze di tipo educativo, come l’insegnamento della matematica sulla piattaforma di realtà virtuale Prisms, oppure di tipo lavorativo attraverso, ad esempio, la possibilità di fare riunioni in Horizon Workrooms». Quanto allo svago, «il metaverso sarà una realtà caratterizzata dalla percezione della presenza fisica – come se fossi proprio lì con un'altra persona – quindi l’intenzione è quella di dare forma a tutte quelle occasioni e quei contesti in cui è possibile condividere insieme ad altri individui un’esperienza significativa come concerti, giochi, mostre e molto altro ancora». La creatività che oggi è centrale già nel mondo digitale lo sarà sempre di più nel metaverso. «Le tecnologie innovative come la blockchain permetteranno, da un lato, di riconoscere il valore del lavoro di ciascun creatore di contenuti online e, dall’altro, renderanno i contenuti intero-

perabili. Stiamo già testando i cosiddetti “digital collectibles” con un gruppo selezionato di creatori negli Stati Uniti. Nel tempo, immaginiamo un mondo dove gli artisti potranno vendere NFTs delle loro opere che i fan possono esporre in tutti gli spazi virtuali che visitano». Non è possibile, tuttavia, fare a meno di parlare di metaverso al futuro, almeno per ora. Pochi utenti possiedono, infatti, allo stato attuale, gli strumenti necessari per averne accesso e molti paesi, in Europa e nel mondo, non dispongono ancora di una connessione internet ultra veloce. L’Italia, secondo gli ultimi dati forniti dal Ministero dello Sviluppo Economico, gode di una copertura complessiva della rete veloce (banda ultralarga ad almeno 30 Mbps) pari al 66%, mentre si attesta al

20% la copertura relativa alla rete super veloce (banda ultralarga ad almeno 100 Mbps). «Per beneficiare appieno delle opportunità portate dalle tecnologie innovative di ultima generazione – conclude Mazzetti – è fondamentale che tutti i cittadini abbiano accesso a un internet veloce. L’utilizzo dei dispositivi che permettono l’accesso al metaverso necessita di connessioni Wi-Fi, e quindi domestiche, affidabili. Ci impegniamo a migliorare le infrastrutture, e spetta poi ai decisori istituzionali a livello internazionale decidere come allocare le risorse destinate alla connessione Wi-Fi. Sicuramente, la rete ultraveloce basata sulla fibra offre un incredibile supporto all’efficienza di questo tipo di connessioni». ■

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Economia

Tutti i soldi del metaverso Il mercato dell’universo virtuale è in rapida espansione e il destino della tecnologia del futuro è in mano a chi deciderà di investirci FINANZA

Sappiamo poco di cosa sia il metaverso e di come evolverà, ma conosciamo alcune regole che hanno guidato le rivoluzioni tecnologiche nella storia. La prima: «non avvengono mai da un giorno all’altro», come scrive Matthew Ball, ex Global head of strategy di Amazon, in Framework for the Metaverse. Quando nel 1881 Thomas Edison inaugurò le prime due centrali elettriche della storia a Manhattan e a Londra non avvenne nessuna rivoluzione. Il vero sconvolgimento rappresentato dall’energia elettrica si vide solo tra il 1910 e il 1920 quando il numero dei macchinari azionati da energia elettrica negli Stati Uniti superò il 50 per cento. Non solo, l’adozione della corrente su scala industriale non dipese dalla visione di Thomas Edison né dall’aumento delle stazioni elettriche, piuttosto derivò da una serie di innovazioni interconnesse che portarono all’utilizzo dell'elettricità su larga scala. Per lo stesso motivo, l’iPhone non avrebbe mai rappresentato la rivoluzione dell’internet mobile senza gli sviluppi della tecnologia 3G e i milioni di sviluppatori che iniziarono a creare i contenuti per l’App Store.

di Francesco Di Blasi

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Queste storie ci ricordano la seconda regola individuata da Ball: le rivoluzioni

tecnologiche dipendono da un insieme di molte innovazioni diverse e talvolta secondarie che si influenzano a vicenda. Ciò che rende un’innovazione “rivoluzione” è la volontà di investirci da parte di un’ampia platea di attori disposti a rischiare su un mondo che ancora non esiste. È questo il caso del metaverso. Un mondo virtuale fruibile in 3D da un numero illimitato di utenti nello stesso istante con la possibilità di svolgere azioni quotidiane oggi esiste in dimensioni estremamente ridotte. Sarà la volontà degli investitori a decidere il destino del metaverso: chi sono, le loro dimensioni e quanto sono disposti a spendere sono le domande a cui bisogna rispondere per capire quella che si considera essere la nuova rivoluzione tecnologica del secolo. Non esiste una lista aggiornata con le aziende e i fondi pubblici che più investono nella creazione del metaverso, ma si conoscono i settori d’affari più interessati. Secondo Sortlist, compagnia di consulenza per aziende che vogliono investire nel digitale, dopo il settore “Computer e IT”, al secondo e terzo posto ci sono il settore dell’insegnamento e quello della finanza. «Molte banche stanno entrando nei circuiti del metaverso perché la valorizzazione degli asset presenti, come non-


fungible tokens (Nft), cryptovalute, spazi virtuali come terreni o edifici, viene paragonata ai beni rifugio, come spesso si fa con i pezzi di arte contemporanea», dice Alessandra Spada, imprenditrice digitale nel settore della blockchain e dell’intelligenza artificiale. Le cryptovalute non sono imprescindibili per costruire il metaverso, ma i mondi virtuali rappresentano un’applicazione naturale per questo tipo di moneta la cui popolarità potrebbe salire parallelamente alla crescita della nuova tecnologia. Alcuni “proto-metaversi” si affidano già a valute digitali per le transazioni, come, per esempio, Decentraland che utilizza la criptovaluta MANA. Non solo, secondo la società di analisi di mercato CB Insights: “il metaverso offrirà un’opportunità per gli operatori bancari storici di raggiungere nuovi clienti, approfondire le relazioni con quelli già esistenti e connettersi con le giovani generazioni che devono ancora entrare nel mondo finanziario”. Entro il 2025, eMarketer, società di ricerche di mercato, prevede che quasi il 20 per cento della popolazione statunitense avrà conti con banche esclusivamente digitali. L’interesse del settore dell'insegnamento per il metaverso mira invece a estendere l’esperienza dell’educazione al di fuori dei confini fisici della scuola. Durante la pandemia da Covid-19 le tecniche di apprendimento a distanza non sono riuscite a replicare la qualità della formazione in presenza. Le classi “metaverse” potrebbero risolvere queste criticità cre-

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ando un ambiente virtuale coinvolgente e garantendo gli aspetti sociali dell’apprendimento. Il settore dell’educazione potrebbe estendere il proprio mercato superando i limiti fisici a cui ora è in gran parte costretto. Ipotizzare come sarà il metaverso conoscendo i settori economici interessati a finanziarlo non basta, il nuovo mondo virtuale riuscirà a rivoluzionare le nostre vite solo con finanziamenti imponenti. Grand View Research consulting, azienda di consulenza per le imprese, prevede che il mercato del metaverso passerà dai 38,85 ai 678,80 migliaia di miliardi di dollari entro il 2030. Una cifra grande quasi quanto l’intero Prodotto interno lordo (Pil) del-

la Svizzera. Questi numeri sono ancora lontani dalle dimensioni dell’economia di internet, con cui il metaverso dovrà confrontarsi, ma sono considerevoli per ipotizzare che nelle economie avanzate il metaverso sarà una parte rilevante della vita di ognuno di noi. Questa previsione è supportata anche da un’altra indagine svolta da Sortlist secondo la quale il 33 per cento delle aziende mondiali punta a investire tra il 10 e il 20 per cento del suo budget nel metaverso e solo il 6 per cento considera di investire più della metà del suo bilancio nella nuova tecnologia. Cifre considerevoli, ma non abbastanza da far pensare che da qui a dieci anni lavoreremo tutti con un visore per la realtà aumentata davanti agli occhi. Secondo Spada: «Per almeno due o tre anni convivranno diversi metaversi, quindi, diverse realtà virtuali ancora disconnesse tra loro, ma poi inizieranno ad esserci grandi conglomerazioni tra aziende e questo aumenterà sensibilmente gli investimenti e le dimensioni della nuova tecnologia». Ciò che sembra sicuro è che a decidere le dimensioni del metaverso e del suo mercato sia, al momento, solo il settore privato. Le varie aziende e istituti di settore convergono nel sostenere che l’investimento pubblico nel metaverso sia quasi assente. Un dato significativo che potrebbe determinare il controllo delle grandi corporation nel settore tecnologico che si annuncia essere il più pervasivo di sempre. ■

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1, 2. Dati: Sortlist, Metaverse for business (2022 State of the Metaverse Study)

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Photogallery

Caos calmo Vita sospesa in Ucraina A Černivci, città ucraina al confine rumeno, la vita continua nonostante la guerra. Le strade sono deserte e il silenzio viene interrotto soltanto da parole sussurrate PHOTOGALLERY

a cura di Giorgio Brugnoli

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Esteri

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Ora al-Sisi sogna la dittatura digitale Il governo egiziano, ispirandosi alle monarchie del golfo, sta utilizzando le innovazioni tecnologiche per un nuovo sistema di sorveglianza e repressione EGITTO

di Martina Ucci

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Immaginate di essere filmati 24 ore su 24, 7 giorni su 7. Questo è il nuovo progetto delle “smart cities” annunciato da Amr Talaat, Ministro delle Comunicazioni e della Tecnologia dell’Informazione in Egitto, alla fine del 2021. Nel 2016 il governo egiziano ha preso la decisione di costruire una nuova capitale amministrativa che si trova tra il Nilo e il Mar Rosso, circa 40 chilometri a est dal Cairo, che avrà un’architettura innovativa e incentrata sull’utilizzo della tecnologia. Sarà questa la prima “città intelligente” voluta dal presidente egiziano al-Sisi nella quale sarà previsto un sistema di sorveglianza molto innovativo. Ispirata al modello saudita, dove è in costruzione una nuova città tecnologica, Neom, nel nord-est del regno, la Nuova Capitale Amministrativa egiziana, definita come un’impresa faraonica, è destinata a diventare la nuova sede del governo egiziano, ospitando ministeri, istituzioni amministrative e finanziarie e ambasciate straniere. Distribuita su 700 chilometri quadrati, si prevede che

ospiterà una popolazione di sei milioni e mezzo di persone. Promossa come “un’oasi tecnologica avanzata nel cuore dell’Egitto”, gli spazi pubblici e le strade della città saranno dotati di una rete di 6.000 telecamere di sorveglianza, destinate a “monitorare persone e veicoli per gestire il traffico e segnalare eventuali attività sospette”. Le città intelligenti introducono l’uso della tecnologia e dell’intelligenza artificiale in linea con la strategia di sviluppo sostenibile dell’Egitto, ma anche con le politiche repressive e di controllo introdotte dal presidente al-Sisi da anni, che ora hanno la possibilità di arrivare ad una fase superiore e più efficiente. «Le forme di sorveglianza tradizionale sono ancora molto diffuse: pedinamenti, monitoraggio delle attività attraverso automobili piazzate fuori dalle case dei dissidenti politici o degli attivisti, controllo di telefoni e del traffico internet». Riccardo Noury, portavoce di Amnesty Italia, ricorda come questi sistemi abbiano un effetto sia di controllo che di intimidazione verso i cittadini e gli attivisti. «Le smart cities hanno un obiettivo chiaro: sono state progettate perché non ci sia attivismo di alcun tipo. Eppure, trovo questo progetto superfluo, dal momento che la nuova capitale sorgerà in mezzo al deserto, isolata e lontana da Piazza Tahrir e dalle mani-


festazioni che all’epoca delle primavere arabe riuscirono a far cadere Mubarak e da qualunque altro tipo di opposizione». Lo spostamento della capitale progettato da al-Sisi ha diverse motivazioni. Il Cairo ha più di 20 milioni di abitanti e si pensa che entro il 2050 si arriverà ad una popolazione di 150 milioni di abitanti e le attuali infrastrutture sono estremamente inadeguate per la quantità di persone che ci vivono. “Sicurezza” è uno dei termini chiave della retorica utilizzata dal regime egiziano per giustificare enormi investimenti e un sistema di sorveglianza capillare. Eppure, i motivi reali dei nuovi progetti non si limitano a questo, ma vanno contestualizzati all’interno di un regime opprimente come quello di al-Sisi che si ispira alle monarchie del golfo, prima su tutte l’Arabia Saudita. «In un contesto in cui le violazioni dei diritti sono all’ordine del giorno è chiaro che queste tecnologie verranno utilizzate ai fini della sorveglianza attiva». Laura Cappon, giornalista freelance esperta di Egitto, non è affatto sorpresa da ciò che sta accadendo e non ha dubbi riguardo alla finalità di al-Sisi. «Ovviamente stiamo parlando di una cosa che ancora non è successa, per ora è stata solo annunciata. Ci vorranno anni prima che queste smart cities siano costruite ed entrino in funzione, perché bisogna ricordare che l’Egitto è un paese povero, però non ci sono dub-

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bi sul fatto che il presidente riuscirà ad utilizzare queste nuove tecnologie per i suoi scopi». «La tecnologia di per sé è neutra. Il problema nasce nel momento in cui viene inserita in un determinato contesto, dove c’è un regime altamente autoritario e che ha come obiettivo ultimo la sua stessa sopravvivenza». Andrea Dessì, responsabile del programma Politica estera dell’Italia e ricercatore nel programma Mediterraneo, Medioriente e Africa dell’Istituto Affari Internazionali, ha messo l’accento sui precedenti a cui si è ispirato al-Sisi: «Il modello cinese e saudita dimostrano come queste tecnologie hanno una capacità di semplificazione della vita nella quotidianità ma anche una chiara dimensione declinata ad interessi di controllo e monitoraggio della popolazione». La grande preoccupazione per questi progetti di monitoraggio e sorveglianza nasce in primo luogo dal fatto che stiamo parlando di paesi che, come sottolinea il portavoce di Amnesty, «considerano l’attivismo per i diritti umani alla stregua del terrorismo o sovversione e quindi come una vera e propria minaccia per la sicurezza. L’amministrazione egiziana, così come utilizza già misure di controllo e di repressione classiche, ha colto subito le potenzialità delle nuove tecnologie per asservire allo stesso scopo».

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La Nuova Capitale sarà la pioniera delle tecnologie che verranno poi applicate nelle smart cities. Secondo Laura Cappon questi progetti si inseriscono anche in un sistema di propaganda, applicato a una dittatura che delle grandi opere, dei grandi progetti, ha fatto una

caratteristica fondamentale della sua amministrazione. Per quanto riguarda le tutele a livello internazionale siamo ancora molto lontani. La Carta dei diritti dell’uomo, ratificata dall’Egitto, dovrebbe porre qualche limitazione a certi tipi di repressione ma spetta poi alle autorità nazionali controllare le attività del governo. «Ad oggi, sorvegliare l’utilizzo di queste tecnologie è praticamente impossibile, perlomeno finché non ci saranno nuovi accordi internazionali. Si può fare qualsiasi cosa se c’è unità e volontà politica a livello internazionale» continua Dessì, «ma senza un fronte unito è impossibile imporre un reale cambiamento di rotta a un regime come quello di al-Sisi che si basa su sistemi di repressione». Noury si trova d’accordo con Dessì: «Il problema per quanto riguarda un intervento a livello internazionale è che siamo agli albori dell’applicazione di queste nuove tecnologie. Inoltre ci troviamo di fronte a un classico caso di “doppio uso”: da una parte questo tipo di sorveglianza può essere utile per legittime esigenze di sicurezza, ma dall’altra vi è un utilizzo sbagliato che viola i diritti umani fondamentali, primo su tutti quello alla privacy». «A prescindere da quello che riusciranno a fare, la cosa importante da riconoscere è che comunque il modello seguito è quello della Cina e dell’Arabia Saudita: il governo di al-Sisi guarda alle peggiori dittature del mondo. Quello che si vuole riprodurre è una dittatura che permette un controllo capillare della popolazione». ■ 1. Proteste contro il regime egiziano 2. Modello di Smart city 3. Manifestante contro la repressione di al-Sisi

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Esteri

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Null Island L’isola che (non) c’è di Leonardo Pini

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Al largo del Golfo della Guinea si sono registrate migliaia di attività umane. Spoiler alert: non è possibile MONDO


Dove l’Equatore e il meridiano di Greenwich si intersecano, coordinate 0° N 0° E, si trova un’isola piena di ristoranti, di strade dove fare jogging e case in vendita. Questo luogo in aperto Oceano Pacifico ha dovuto vedersela con il Covid-19 e, secondo alcuni utenti di Reddit, sembra ospitare una base militare segreta. Se si cercano su internet quelle coordinate ci si accorge, però, che nel golfo di Guinea, a largo delle coste africane, non c’è nessuno spazio terrestre. L’unica cosa che si incontra è una boa, utilizzata per rilevare le temperature meteo marine. Sarebbe quella l’isola in cui vengono rintracciati parchi e ristoranti, ma esiste solo per degli errori di geolocalizzazione commessi dall’uomo. Il nome di questo posto è Null Island. Null Island oggi rappresenta l’equivalente digitale di quelle che nel ‘900 erano chiamate paper town. Queste erano dei luoghi fittizi che coloro che facevano le cartine inserivano all’interno delle mappe a tradimento, così da vedere chi dei concorrenti avrebbe copiato la loro carta. L’esempio più famoso di “paper town” è Agloe, creata dalla General Draftings e situata nei pressi di New York. Questa invenzione rimane ancora oggi da esempio perché qualcuno credette davvero all’esistenza della città, aprendo lì un negozio e facendo diventare la finzione in realtà.

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Peter Mooney (Maynooth University) e Levente Juhasz (University of Florida) hanno studiato a lungo il fenomeno Null Island da un punto di vista geospaziale, sociale e, solo recentemente, anche artistico. «Null Island è qualcosa di sconosciuto per molte persone ma, considerando che i sistemi di geolocalizzazione sono presenti negli smartphone, negli ultimi anni i geografi e le persone che sviluppano software si sono accorti che le coordinate con cui ci si riferisce a Null Island sono apparse in diversi posti in giro per il mondo».

L’esempio più clamoroso di come Null Island può essere tirata in causa per errore è avvenuto nel corso della prima pandemia negli Stati Uniti. La Johns Hopkins University ha costruito un portale online con cui ha monitorato la pandemia di Covid-19, utilizzando come coordinate standard per alcuni dati quello che viene considerato il centro geografico degli Stati Uniti, che si trova nel Kansas, più precisamente a Lebanon. Gli abitanti della città protestarono per essere stati scelti, spingendo i ricercatori dell’Università a cambiare approccio e associando questi dati incompleti alle coordinate che più spesso vengono usate in questi casi: (0°N,0°E). Null Island non esiste ma ha registrato per questo motivo molti casi Covid.

ta. Non è dato sapere quante persone ci abbiano creduto veramente, ma è proprio quello a cui si riferiscono Mooney e Juhasz quando parlano di «creare confusione».

«Il nome scelto è stato coniato da Steve Pellegrini, un programmatore di software, che, visto che “null” ha un valore specifico nel data management, ovvero quello di sottintendere un errore, e visto che la posizione era in mare aperto, ha pensato di chiamarla Null Island» racconta Mooney.

Questi errori sono una normalità al giorno d’oggi, ma «dovremmo fare di tutto per evitarli. Nonostante sia impossibile ridurli allo zero, possiamo però fare uno sforzo perché si verifichino sempre meno sbagli. Questa mancanza di precisione crea confusione in coloro che non sono geografi, o cartografi».

Secondo i due ricercatori, Null Island non ha mai avuto un picco così alto nell’interesse del pubblico e questo grazie al fatto che gli smartphone hanno un ruolo centrale nella società odierna. «Senza gli smartphone, probabilmente Null Island sarebbe conosciuta solo dagli addetti ai lavori e non sarebbe di così grande interesse per le persone». ■

Esempi di una cattiva geolocalizzazione possono essere trovati ovunque e su qualsiasi piattaforma. Non solo nei server che si utilizzano per mappare una determinata situazione, tipo il Covid o un’epidemia, ma anche su Twitter, Instagram e Snapchat.

Nel 2021, ad esempio, su una comunità Reddit di circa 1 milione e mezzo di persone alcuni utenti hanno notato un picco di attività sul sito di Helium, una criptovaluta. Vista l’assenza di terra a largo del Golfo della Guinea si sono convinti di aver scoperto una base militare segre-

1. Boa per le rilevazione delle temperature marine al largo del Golfo di Guinea. Si trova 0°N 0° E, precisamente le coordinate di Null Island. Foto: Graham Curran (Wikimedia Commons) 2. Il punto esatto nel quale si trovano la boa e l'ubicazione dell’“isola”. Foto: Google Maps

È il punto di vista sociologico, però, che Mooney vuole enfatizzare. «Gli esseri umani hanno un vero interesse per questi luoghi. Sono posti particolari che sappiamo essere finti ma allo stesso tempo siamo noi a renderli reali con il nostro interesse. Basti pensare al binario 9 e ¾ di Harry Potter. Ancora oggi a Londra ci sono persone che visitano Victoria Station solo per andare davanti a quella colonna e pensare che esista davvero. O pensa alla Lapponia con Babbo Natale».

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Cultura

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Il meta-volto salverà la memoria? I sopravvissuti alla Shoah si raccontano attraverso i propri avatar in alcuni musei statunitensi TECNOLOGIA

di Silvia Andreozzi e Giulia Moretti

Il volto è «una superficie di carne e senso da cui riceviamo il mondo e lo costruiamo nel rapporto con gli altri». Massimo Leone, docente di semiotica e semiologia all’università di Torino, risolve così il senso del legame tra fisico e incorporeo. La disputa tra le due dimensioni non è certo inedita. L’idea del divino è stata spesso associata alla qualità della trascendenza. Nella filosofia platonica era l’incorporeo ad informare di senso le cose, il materiale. Se l’assenza di una dimensione fisica, dunque, è la condizione più desiderabile, smaterializzarsi nel me34 — Zeta

taverso è l’attualizzazione di un’utopia? Forse gli avatar, creati a nostra immagine e somiglianza, sono in grado di regalarci una qualche forma di immortalità? Se si assume come vera la premessa di Leone, in realtà, nel luogo/non-luogo, dove la corporeità viene meno, si perde anche questa funzione socializzatrice. Senza faccia, il metaverso è una scatola vuota. Esso si regge invece sulla possibilità di costruire volti virtuali emotivamente credibili». SimuMan è un nuovo sistema di prototipazione umana virtuale. Il suo scopo è quello di generare uomini digitali a partire dal volto inteso come risultante della combinazione di sei facce emozionali e dieci movimenti degli arti. Gli esseri umani generati in questo modo possono cambiare frequentemente le espressioni facciali ed esprimere differenti emozioni. Facets è un progetto finanziato dall’Unione Europea che si occupa di esaminare gli effetti percettivi di un volto

ricostruito artificialmente. Le sue ricerche hanno già dimostrato che la digitalizzazione del viso, però, ne mette in discussione il tratto saliente: la singolarità. Questo dato biologico della specie umana è un pilastro di molte culture e risiede nella sua dimensione sensoriale. Il volto è il mezzo attraverso cui avviene il riconoscimento identitario tra individui. Tramite esso si esprime la singolarità degli uomini e delle donne, il loro carattere morale che, nella filosofia occidentale a partire da Kant, ha rappresentato il fondamento per lo sviluppo dell’idea dei diritti umani. Il rispetto reciproco tra individui, secondo questa idea, si realizza nel reciproco riconoscimento che viene veicolato dai visi. Lo scarto tra realtà e digitale depotenzia questa dinamica di mutua affermazione e apre a scenari preoccupanti. Il progressivo spostamento della vita all’interno di realtà alternative può, infatti, provocare la tendenza alla standardizzazione dei visi. Da questo potrebbero deri-


vare nuove esclusioni le cui conseguenze avrebbero effetti anche nel mondo fisico. D’altra parte questa tecnologia può essere un mezzo per raggiungere una forma di immortalità. È quello che è successo con artisti come il rapper statunitense Tupac Shakur, i cantanti Elvis Presley, Michael Jackson, Whitney Houston e il compositore Frank Zappa.

«L’utilizzo di questa tecnologia rappresenta una cristallizzazione della testimonianza. Ma la memoria non si tramanda in questo modo. È importante che rimangano i valori e i sentimenti» Ai fan non è bastato continuare ad ascoltare la loro musica nei diversi formati oggi disponibili, hanno voluto rivivere l’esperienza della presenza visiva di questi artisti. Così sono stati creati i loro ologrammi che hanno interagito, durante alcune esibizioni, con performer contemporanei. Anche nell’esercizio della memoria sembra prendere piede la creazione di figure digitali. Silvia Guetta, docente dell’Università di Firenze e referente in Italia della Fondazione Spielberg, racconta come alcuni musei statunitensi facciano già uso degli avatar di soprav-

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vissuti alla Shoah. «Uno dei primi musei ad averlo fatto è quello dell’Olocausto di Washington in cui ci sono gli avatar preimpostati con fattezze e voce dei sopravvissuti». La stessa cosa fa l’Illinois holocaust museum and education center. «Immagina di sederti in un teatro ad ascoltare la sopravvissuta di Auschwitz Fritzie Fritzashall mentre racconta la sua straziante storia dell’olocausto in cui lei, all’epoca tredicenne, è stata strappata alla sua casa e portata nel noto campo di concentramento dove la maggior parte della sua famiglia è stata uccisa. Immagina farle delle domande riguardo la vita durante l’olocausto, a proposito degli eroi che hanno rischiato la loro vita per salvarla e sul suo messaggio per il nostro mondo». L’esperienza, così presentata sul sito dell’istituzione museale, prevede di as-

sistere alla proiezione di un ologramma che riproduce le sembianze dei sopravvissuti e che, utilizzando le loro voci, procede a raccontare la loro storia. «Era come se loro fossero di fronte a me e stessimo avendo una conversazione», si legge in una delle testimonianze di chi ha assistito, riportata sulla pagina web. L’uso di queste tecnologie costituisce un’opportunità di mantenimento della memoria collettiva. Opportunità che diventa tanto più preziosa quanto più cresce il numero di quei sopravvissuti alla Shoah che muoiono. Ma queste figure virtuali, simulacro di ciò che le persone sono state nella realtà, possono essere davvero considerati testimoni? Su questo nutre forti dubbi la professoressa Guetta. «L’utilizzo di questa tecnologia rappresenta una cristallizzazione della testimonianza. Ma la memoria non si tramanda in questo modo. È importante che rimangano i valori e i sentimenti. La componente emotiva, fondamentale nel processo di trasmissione del ricordo della storia, è preservabile solo attraverso un’interazione tra individui fisici. Le registrazioni delle testimonianze sono un buon supporto, ma ciò che conterà è il ruolo che decideranno di assumere le generazioni future». Torna ancora, quindi, il tema dell’impossibilità di riprodurre l’emozione e, quindi, di riuscire a ricreare l’umano in modo artificiale. La dimensione fisica sembra rimanere, per il momento, il luogo del reale. ■

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1. L’ologramma di Fritzie Fritzshall, sopravvissuta all’olocausto, che interagisce con il pubblico dell’Illinois Holocaust museum 2. Pubblico di fronte agli ologrammi dei sopravvissuti alla Shoah 3. Aaron Elster, sopravvissuto alla Shoah. Alle spalle il suo ologramma racconta la sua storia

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Cultura

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La newsletter del conte Dracula L’aggiornamento periodico che rispetta la cronologia del classico di Bram Stoker e arriva direttamente via mail LETTERATURA

di Ludovica Esposito

Il romanzo epistolare nel XXI secolo è fatto con le email. L’americano Matt Kirkland lo prova con il suo progetto Dracula Daily. Una newsletter che spedisce nella casella di posta elettronica degli iscritti le epistole del romanzo in ordine cronologico, dal 3 maggio al 10 novembre. Il classico di Bram Stoker del 1897 è diviso in blocchi narrativi incentrati su personaggi diversi che spesso ripropongono la stessa data ma da un’altra prospettiva. Questa newsletter, invece, permette al lettore di seguire il romanzo «così come accade». Dato che rispetta la cronologia, l’intero romanzo verrà inviato, ma a piccoli pezzi: certi giorni ci sarà molta attività, altri solo alcune frasi e molti assolutamente niente. Si riceve una mail solo quando succede qualcosa nel libro. Ci si può iscrivere in qualsiasi momento e recuperare le scorse mail in un archivio libero e sempre consultabile, disponibile sul sito. 36 — Zeta

Il progetto esiste dal 2021, ma è stato quest’anno, dopo essere stato riproposto, che il social media Tumblr l’ha scoperto. Gli utenti hanno iniziato a commentare ogni giorno gli eventi, ipotizzando come la storia possa andare avanti, fingendo che non sia stata pubblicata 125 anni fa. Questo ha aiutato Dracula Daily a diffondersi e ad arrivare a oltre 25000 iscritti: un grande club del libro digitale e internazionale di appassionati di vampiri. Alla lettura collettiva del romanzo partecipa anche l’artista Ren Buchness che su Instagram, per ogni invio, disegna un’illustrazione. «In passato ho provato molte sfide giornaliere, ma confesso di non aver mai superato la prima settimana, ma farlo con qualcuno e con l’intera comunità mi ha dato la giusta motivazione. È stato Noa, il mio partner, a dirmi della newsletter e che sta illustrando giorno per giorno le lettere. Stavo già leggendo e annotando Dracula per regalarglielo, quindi ho pensato che questa potesse essere l’opportunità di fare qualcosa di divertente insieme non solo come coppia, ma come artisti, e ho ricominciato la lettura. Sto lavorando con Creatively Queer Press qui a Tucson per stampare, quando avremo finito il romanzo, un libro con tutte le nostre illustrazioni e le citazioni che le hanno ispirate». Le sue illustrazioni per Dracula Daily sono molto diverse dai suoi soliti lavori, perché sono

tutte digitali. Sta ancora imparando a usare Procreate e altri programmi, quindi non ha la stessa fiducia nelle sue abilità di quando dipinge. Di solito crea grandi acquerelli di corpi grassi per combattere gli standard di bellezza della società. Questa è una sfida per aumentare le sue capacità artistiche. «Ho letto Dracula molte volte, quindi di solito ho un’idea generale di cosa disegnerò prima che arrivi il capitolo. Quello che mi piace fare quando arriva è leggerlo e trovare momenti inattesi. Per esempio, il disegno della colazione preparata per Jonathan da Dracula con il suo messaggio che sarebbe stato fuori per un po’ non ha personaggi all’interno, ma ti fa entrare in quella che sembra una scena pacifica. Di solito impiego tra le 3 e le 5 ore in media per ogni disegno, con l’eccezione della scena della colazione che me ne ha impiegate circa 18! Ma amo disegnare cibo e nature morte, quindi è stato un lavoro di amore». «Non avevo mai letto Dracula in ordine cronologico, mi incuriosiva scoprire come il libro sarebbe stato diverso. Ho scoperto che c’è una sensazione più grande di mistero e attesa quando lo si sperimenta in questo modo, un po’ come aspettare che trasmettano il prossimo episodio della tua serie tv preferita. Non solo è divertente da leggere con un’altra persona e discutere tutti i capitoli insieme, ma è interessante vedere una intera comunità, come quella di Tumblr, leggere e interagire insieme con Dracula». ■ 1. May 7th @ladybuchness 2. May 19th @ladybuchness

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ampio di questa tecnologia». Daniele Monte, Software Developer di 26 anni con esperienza nell’ambito della ricerca informatica, pensa che in futuro la blockchain possa essere utilizzata, nel mondo del lavoro, come sistema di notarizzazione delle certificazioni aziendali.

Il lavoro digitale non è mai stato così reale Tra Nft, blockchain e metaverso, la digitalizzazione avanza nel mondo del lavoro e coinvolge soprattutto le nuove generazioni di lavoratori e lavoratrici DIRITTI

di Silvia Stellacci

Addio alla cara amata vecchia carta, addio ai classici progetti lavorativi e ai documenti che un tempo ricoprivano le scrivanie di ogni ufficio. Presto, forse, diremo addio allo stesso ufficio, se davvero nel metaverso sarà possibile riprodurre, in una realtà aumentata e virtuale, quello che ogni giorno facciamo sul posto di lavoro. Ma prima ancora che si compia questa rivoluzione, è la rivoluzione del digitale ad avanzare e a cambiare sempre di più il modo di lavorare e di svolgere la propria professione. Negli ultimi anni, la digitalizzazione ha conosciuto un nuovo impulso grazie alla nascita della blockchain e degli Nft, realtà digitali che hanno in parte trasformato il lavoro di molti professionisti, in primo luogo designer ed esperti dell’ICT (Information and Communication Technologies). Ad essere più esposte al cambiamento sono le nuove generazioni, che col digitale hanno a che fare fin da quando sono nate.

Camilla Vanadia è una giovane art director dell’agenzia pubblicitaria M&C Saatchi di Milano che, a soli 23 anni, ha realizzato il primo logo Nft nella storia delle Esposizioni Universali per il comune di Roma e la sua candidatura a Expo 2030. «Abbiamo pensato di inventare un logo dinamico, una porta che cambia forma e colore, per simboleggiare l’apertura e l’accoglienza di una città come Roma. Ogni logo, poi, è un Nft registrato su blockchain, un’opera digitale unica e irriproducibile, che apre l’orizzonte su un futuro digitale e connesso. Nel nostro caso, quindi, l’utilizzo degli Nft è servito per rafforzare il concetto alla base di Expo 2030, che mira a raccontare la città del futuro».

«Ora si pubblicano su social come Linkedin i documenti che attestano l’ottenimento di una competenza o la certificazione di un qualsiasi ente. Non c’è, però, possibilità di certificare in maniera assoluta il lascito di documenti del genere, senza avere anche la certezza che non siano alterati. Se li registrassimo su blockchain, invece, tutto questo non sarebbe un problema, perché avrebbero il valore aggiunto di documenti notarizzati, autentici e inalterabili». Quanto al metaverso, Daniele ha una sola certezza. «Credo che nel futuro ci saranno molte poche riunioni con i caschi per realtà virtuale e molti più caffè tra colleghi, magari in piedi davanti a una macchinetta virtuale. Anche perché, dopo l’esperienza della pandemia e dello smart working, abbiamo capito che ad essere davvero insostituibili e necessari sono i rapporti umani». ■

In un lavoro creativo come quello di Camilla, per trovare idee che offrano un contenuto originale e innovativo, è necessario cogliere ogni cambiamento. «Dove si trovano le idee? Nei nuovi mezzi. Il mio lavoro è un costante cercare nuovi modi per raccontare, è un costante aggiornarsi, perché una cosa può essere innovativa un giorno e il giorno dopo non esserlo più. Non è l’Nft o il metaverso in sé, non è una singola cosa che sta esplodendo. Sono tantissime e bisogna capire come sfruttarle nel momento giusto. Andremo dove è naturale andare». Nel mondo aziendale, la direzione potrebbe essere quella già segnata dalla blockchain, il cui utilizzo potrebbe diventare sempre più sostanziale. «Da esperto appassionato di blockchain, credo che presto assisteremo a un uso sempre più

Titane (Julia Ducournau, 2021). Foto di Carole Bethuel. Courtesy of I Wonder Pictures.

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Cultura

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Lo spettatore è input l’arte è output Il mondo dell’arte si è modellato sulla forma delle continue innovazioni INFORMATICA

di Lorenzo Sangermano

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«Il settembre che non finirà mai». Così nel 1994 l’artista e fotografo statunitense Dave Fisher descrive il mese dell’anno precedente. Fino ad allora le registrazioni al gruppo di Usenet alt. folklore.computers sono altalenanti. In quelle settimane del 1993 però il provider America Online concede a tutti gli abbonati la possibilità di entrare nel loro forum. Fisher osserva l’impennata degli utenti, un flusso senza fine. Osserva l’incomprensione dei nuovi membri, il loro spaesamento, ma anche la trasformazione e sa che tutto, compresa l’arte, sarebbe cambiato. Già dal 1973 Harold Cohen programma AARON, la prima macchina in grado produrre forme di creatività artificiale.

«Senza input aggiuntivi da parte mia, riesce a generare un numero illimitato di immagini, è un migliore colorista di quanto io sia mai stato. Generalmente produce tutto questo mentre sono infilato a letto», così Cohen descrive le prestazioni ottenute da AARON. Quando Fisher fissa il numero degli utenti, l’arte abbraccia già nuove sperimentazioni e avanza scoprendo nuove forme di espressione, «in una fase storica in cui la tecnologia è padrona bisogna imparare a dominarla» secondo Andrea Bonaceto, artista contemporaneo italiano. «Io non ho una formazione artistica, ma un background finanziario. Suonavo la chitarra nei pub di Londra mentre investivo in Nft e nella blockchain dalla loro nascita». Nel suo ultimo lavoro, AB Infinite 1, Bonaceto ha creato un’opera digitale in grado di modificarsi in base a come vi interagiscono gli utenti sui social. «L’arte programmabile è lo step successivo di un’arte che ha solo una dimensione di output. Ora si hanno due piani diversi. L’input creativo dell’artista,


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che può essere rivisitato dall’intelligenza artificiale, e input esterni, anche degli stessi spettatori. Come se potessimo creare qualcosa insieme agli altri, può essere musica, colori o poesia». Nel 2011 la Cornell University sviluppa EndlessForms, un sito internet che permette all’utente di guidare l’evoluzione di oggetti tridimensionali e stampabili. Secondo Jeff Clune, uno dei programmatori, «per far evolvere davvero oggetti complessi, abbiamo studiato i processi di creazione della natura, dalle querce agli elefanti. Una volta implementati questi processi su un computer, le forme complesse hanno iniziato ad apparire». Nell’utilizzo di mezzi digitali in campo artistico, per Andrea Bonaceto «il rischio è che ci si limiti a produrre innovazioni, senza però avere contenuti. La tecnologia è un mezzo e non un fine. È importante che aiuti ad ampliare un certo contenuto». Una sostanza che non solo ricade in campo artistico di nicchia, ma incontra un certo scetticismo. Come può un computer essere creativo come un essere umano? E soprattutto, come comprendere questa forma d’arte senza conoscerne il linguaggio? «Un filtro è quello della conversazione con l’artista. Così ci si può rendere conto se c’è una profondità artistica. D’altronde ogni innovazione all’inizio non è compresa e forse il fatto che non lo sia è un punto a suo favore. Capire ogni sfaccettatura solo guardando un’opera visiva è quasi un’utopia». La stessa idea di “artista” appare fuori fuoco. Non più il classico eccentrico, il Picasso fotografato nel suo studio e circondato da opere che sfidano il soffitto, ma

uno scultore digitale, un programmatore che raddrizza le linee del suo algoritmo. «Io sono piombato nel mercato dell’arte perché ero nell’intersezione tra tecnologia e arte. Per me è stato quasi naturale, ero il prototipo di quello che il periodo storico chiedeva».In un mondo artistico definito “computazionale”, la chiave non è il suo essere digitale o computerizzato, ma l’attività di manipolazione e programmazione che fa da protagonista.

Intelligenza artificiale, codici e algoritmi consentono all’artista di creare opere fluttuanti in un etere digitale in continua evoluzione. «Tutto verrà proiettato nel metaverso e usato su larga scala. Essendo un mercato soggetto a fluttuazioni, alcuni sublimeranno il mondo degli Nft ed entreranno in quello dell’arte contemporanea. Gli altri, risucchiati e dominati da tecnologie pronte a prendere il sopravvento, finiranno per scomparire». ■ 1. Quayola Studio Landscape Paintings © 2.Andrea Bonaceto, AB Infinite 1, 2022 © 3. Andrea Bonaceto, AB Infinite 1, Oxford Circus, Londra, 2022 © 4. Andrea Bonaceto, George Floyd ©

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Spettacoli

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Crypto arte: appartiene soltanto a uno ma è di tutti Il confine tra digitale e reale si assottiglia quando blockchain e Nft entrano a pieno titolo nel mondo collezionisti MUSEI

di Federica De Lillis

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Un collage di 500 immagini digitali è stato venduto per 69.3 milioni di dollari a marzo 2021. È il risultato della prima vendita di un Nft sul mercato regolamentato delle aste d’arte. L’opera è intitolata Everydays: the First 5000 Days e il suo creatore, Mike Winkelmann, in arte Beeple, non aveva alcuna presenza precedente sul mercato: nessuna galleria, nessuna mostra e nessuna asta. Contro ogni aspettativa, Christie’s, una delle maggiori case d’asta del mondo, responsabile della vendita, partì da un prezzo iniziale di 100 dollari, nessuno si aspettava una vendita milionaria e la svolta che ha dato inizio a una rivoluzione nel mondo dei collezionisti. Da quel momento, altre due case d’asta di fama internazionale, Sotheby’s e Phillips, si sono interessate alle nuove opportunità offerte dalla crypto arte. All’interno della categoria ricadono forme espressive che vanno dall’arte digitale alla pittura, dalle illustrazioni alla scultura. Caratteristica fondamentale è quella di essere tutte opere certificate tramite tecnologia Nft e scambiate sulla blockchain. Vengono inserite in un grande registro digitale (la blockchain) attra-

verso il loro collegamento a un token (o “gettone”). In tal modo diventano a tutti gli effetti dei non-fungible token, che svolgono il ruolo di certificati di autenticità. Gli Nft non possono essere copiati, manomessi o riprodotti. Ciò rende il prodotto artistico unico e ancora più desiderabile agli occhi dei collezionisti. L’arte digitalizzata è alla portata di tutti: ognuno sul web può condividere l’immagine, la gif o il video cui corrisponde l’Nft. Ciò che può essere acquistato è solo il certificato di proprietà dell’opera. Vittorio Bonapace, illustratore e art director, da qualche anno nel mercato della crypto arte, riconosce come «gli Nft permettono di vendere quello che prima non si poteva vendere, danno valore alla digital art affinché questa diventi parte della storia dell’arte. Eravamo arrivati a un punto in cui i galleristi percepivano percentuali elevatissime sulle vendite. Con la crypto la situazione si è ribaltata: l’artista può vendere privatamente le proprie opere e sono arrivati i curatori, diversi dai galleristi. Chi gestisce piattaforme curatoriali trattiene un piccolo utile sulle vendite e avvia con l’artista un


che questo giovane graphic designer, che vanta collaborazioni di altissimo livello, che vanno da Achille Lauro a Hell Raton, da Versace a Dr. Marten’s, ha iniziato a lanciare le sue prime opere in Nft. «Hirst sta chiedendo a tutti se preferirebbero un’immagine da avere sul telefono che domani potrebbe valere un euro oppure un milione, oppure un oggetto tangibile che ti dà una certa sicurezza sull’investimento. Per me la maggior parte sceglierebbe il formato digitale, il rischio piace sempre».

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percorso di ricerca e perfezionamento». Secondo un report del 2021 della compagnia assicurativa Hiscox, il settore della crypto arte ha generato in un anno un valore di circa 11.9 miliardi di dollari. Il successo sta nel fatto che «gli Nft soddisfano il desiderio dei collezionisti di possedere un pezzo raro e ambito, solo che è in formato digitale, anziché fisico». Secondo Paolo Pibi, artista sardo che da poco si è avvicinato alla crypto arte, «è un mondo nuovo e ancora molto caotico». Una considerazione che si riflette nella difficoltà di stabilire quali siano i criteri per giudicare un’opera d’arte e quale valore dare ai collectibles, immagini generate in serie e in modo automatico da algoritmi, come nel caso della collezione Bored Ape Yacht Club. La serie di illustrazioni collezionabili contiene profili di scimmie abbigliate in modi diversi e stravaganti e nel 2022 ha totalizzato oltre un milione di dollari in termini di vendite. A interessarsi a questi prodotti, più operazioni di marketing che opere d’arte, sono soprattutto collezionisti giovani, già investitori di successo nel campo delle criptovalute. Andrea Alexandre Marec, uno dei fondatori di Reasoned Art, startup italiana dedicata alla crypto arte, ritiene che i collectible non siano che «strategie di vendita che si alimentano grazie a community di utenti divertiti dalle immaginine in serie o interessati a fare un investimento. Quando si pensa alla creazione di questi prodotti si considera soltanto il profitto derivante dalla loro distribuzione, mentre, nel caso dell’opera d’arte, esiste solo l’artista che vuole esprimere sé stesso».

La popolarità dei collectibles è confermata dal report annuale 2021 della piattaforma Artprice: «le opere Nft più vendute non sono sempre creazioni artistiche di per sé, piuttosto beni digitali da collezione, segni di appartenenza a una comunità». «I collectibles sono come figurine commenta l’artista Paolo Pibi - mentre nell’opera d’arte si riconosce il lavoro, la poetica, la capacità di trasmettere emozioni. Visto che ancora ci troviamo in una fase iniziale, credo sia fondamentale lo sviluppo di piattaforme che selezionano gli artisti cui dare visibilità, come Super Rare, una delle più esclusive. Ci si deve ancora assestare ma presto spariranno tutti quelli che si sono cimentati in questo mondo prendendolo solo come una forma di investimento. Se alla base non c’è passione, è difficile continuare». Per molti resta difficile comprendere il rapporto tra digitale e reale, ma un mercato così giovane è aperto alla sperimentazione. Il poliedrico artista e imprenditore britannico Damien Hirst ha lanciato nel 2021 il progetto “The Currency” creando un ponte tra Nft e mondo reale. Diecimila opere sono state convertite in token non fungibili, mentre la versione fisica era conservata in un caveau segreto in Inghilterra. I collezionisti potevano acquistare la versione digitale, ma a una condizione: nel giro di poco tempo avrebbero dovuto scegliere se restare in possesso dell’opera fisica o di quella virtuale perché una delle due sarebbe stata distrutta. «Adoro Hirst, questo progetto mi fa apprezzare ancora di più il suo spirito provocatore» commenta Matteo Pizzo, in arte OMEN. Poco più di vent’anni, an-

Una distinzione, quella tra reale e digitale, che si assottiglia sempre di più se si considera l’interesse crescente per il metaverso, una dimensione in cui la crypto arte sembra destinata ad approdare. «Il metaverso sarà una delle case di questa nuova forma espressiva - suggerisce Andrea di Reasoned Art - ma non sarà la principale perché credo che il tratto fondamentale della crypto debba rimanere l’estrema condivisibilità. Un’opera certificata tramite tecnologia Nft appartiene a uno solo, ma questo non deve significare che soltanto il proprietario può usufruirne. Il cambio di paradigma avvenuto nel mondo dell’arte potrebbe regredire a causa del metaverso se ognuno, per esempio, creasse al suo interno la propria galleria personale. La qualità intrinseca della crypto arte, invece, è l’abbattimento di tutte le barriere: può essere ammirata senza limiti di spazio, da chiunque lo voglia e in qualsiasi momento. È l’arte che appartiene a uno ma è di tutti». ■ 1. Commuting on Mars di Vittorio Bonapace 2. A.D. 2000 Crucifixion di Vittorio Bonapace 3. Hellenica di Vittorio Bonapace

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Spettacoli

L’Eurovision e l’orgoglio queer potuto vedere qualcosa del genere in altro modo». Il fatto che così tanti artisti siano queer e vengano trasmessi sulle tv nazionali è apprezzato dalla comunità queer «perché vediamo in tv le cose con cui ci relazioniamo senza che siano nascoste». Wurst non è stata la prima drag a partecipare all’Eurovision. Nel 2007 Verka Serduchka gareggiò per l’Ucraina con Dancing Lasha Tumbai, una canzone dance destinata a diventare un tormentone. Ma quello tra la comunità queer e l’Eurovision è amore fin dal 1997, quando partecipò il primo cantante a dichiararsi pubblicamente gay, Paul Oscar. Appena un anno dopo a vincere è la prima concorrente transgender, Dana International.

Quello tra il mondo lgbtq+ e l’Eurovision è un legame sempre più forte POP

di Alissa Balocco

Tutina nera decorata di diamanti e cavalcata su un toro meccanico. Achille Lauro ha gareggiato per la Repubblica di San Marino il 12 maggio alla semifinale dell’Eurovision Song Contest e, pur non riuscendo a passare alla serata finale, ha regalato al pubblico una performance destinata a fare strada: il bacio omosessuale scambiato con il chitarrista è il primo nella storia del contest, fondato nel 1956. Per la comunità del pride, l’Eurovision è più di una competizione musicale. Sul palco, nel corso degli anni, sono salite dive transgender e cantanti che hanno parlato della propria omosessualità davanti a tutta Europa. Tutto ciò ha reso il contest un simbolo all’avanguardia nella celebrazione delle differenze e dell’inclusione. «L’Eurovision è un modo per alcune persone di avere accesso a contenuti 42 — Zeta

queer pur non essendo ancora out, o magari mentre stanno cercando di capire la propria identità». Ema è francese, si riferisce a sé stessa con i pronomi lei/loro e segue il festival da due anni. «È importante mostrare alle persone che essere queer va bene e farlo in un altro modo rispetto, ad esempio, a un programma televisivo. Quelle sono persone reali, non personaggi». Ema ricorda lo stupore di quando vide la performance di Conchita Wurst, drag queen austriaca che vinse l’Eurovision nel 2014. «In quegli anni non avrei mai

Ogni anno, fan club da ogni parte del mondo organizzano trasferte e raduni nella città che ospita il contest, così come feste a tema e streaming collettivi dell’evento. Tantissima partecipazione arriva dalla comunità lgbtq+. «Il fatto che alla manifestazione partecipino artisti da tutte le parti d’Europa non solo ha permesso la conoscenza di lingue e tradizioni, ma anche la costruzione di un senso di comunità queer», dice Anna, sul cui profilo Twitter compare la bandiera lesbica. Poiché il contest celebra l’apertura alle differenze, durante i sei giorni del suo svolgimento nessuno sente il bisogno di nascondersi. Per il seguito sempre più consistente che l’Eurovision ha guadagnato nella comunità lgbtq+ si è diffuso un particolare modo di identificare la competizione: una Gay World Cup, termine orgogliosamente rivendicato dalla comunità stessa. «Per me non c’è differenza tra questo e altri eventi musicali», sostiene Ema. «Credo che l’interesse sia cresciuto perché è diventato un evento da condividere ogni anno con la famiglia più vicina, quella delle amicizie queer». Quest’anno, la sera del 14 maggio il palazzetto di Torino si è riempito di bandiere arcobaleno e di quelle che Mika ha regalato al pubblico per il suo medley di canzoni. Paladino della comunità gay, il cantante ha cominciato la sua carriera nel 2006, quando era ancora problematico dichiararsi esplicitamente omosessuali. Lo ha sempre fatto con la musica. Come l’Eurovision continua a fare oggi. ■


certo nel metaverso. Tra Spotify, Amazon Music e altri competitor, il mercato dello streaming on line oggi vale 520 milioni di abbonati: tutti potenziali clienti. In questo contesto nasce, da un’idea di una startup italiana, ‘Music City’. Una città della musica nel metaverso: artisti e fan, eventi e live, produzioni musicali e merchandising, music games, case discografiche, radio, magazine, fanzine e due format per supportare gli artisti emergenti. Un circo musicale all’interno del quale è possibile vivere la musica in tutte le sue forme. Ma i problemi tecnici sono ancora frequenti. L’esibizione virtuale dei ‘Foo Fighters’ è stata un flop. Secondo i fan, indignati sui social, «Meta ha distrutto il concerto». La piattaforma non si è aperta fino a cinque minuti prima dell’inizio del Live e la connessione è saltata più volte al punto che molti spettatori non sono riusciti ad accedere.

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La musica oltre i confini del reale L’industria dei concerti sperimenta le nuove opportunità offerte dal metaverso VIRTUALE

di Niccolò Ferrero

«È importante mantenere attiva la musica dal vivo innanzitutto nel mondo reale. Non demonizzo il metaverso, anzi, sono incuriosito dal suo potenziale, ma va tutelata l’importanza dell’esperienza fisica». Fulminacci, cantautore romano classe 1997, è divertito all’idea di esibirsi nel metaverso, ma non nasconde qualche preoccupazione tipica di «tutti i momenti di cambiamento» sopratutto quando ci si trova «dentro le rivoluzioni». Lo strumento che rende possibili i concerti nel metaverso è la motion capture. I movimenti degli artisti sono catturati e riportati ai loro avatar digitali. Il cantan-

te si esibisce in un set ripreso da diverse telecamere e interagisce con il pubblico tramite una chat globale. Gli eventi, che uniscono il virtuale al reale, sono colmi di effetti speciali. Partecipandovi, lo spettatore può assistere al concerto, acquistare il merchandising oppure tracce inedite dell’artista. «Il metaverso è il prossimo capitolo di internet. È fatto per connettere le persone. Raggiungerà un miliardo di utenti nel prossimo decennio», ha promesso Mark Zuckerberg. E la musica lo sta sperimentando. Da un punto di vista economico il settore musicale troverà salvezza nel metaverso? L’esibizione on line della cantante statunitense Ariana Grande, che l’ha vista salire una scala galleggiante verso un paradiso fatto di luce, ha guidato 78 milioni di spettatori in un gioco globale. Un incasso di 20 milioni di dollari ha attirato l’interesse dell’industria musicale, anche perché il potenziale di spazi pubblicitari è illimitato. Il rapper Snoop Dog ha lanciato le sue canzoni nel metaverso generando circa 40 milioni di dollari di introiti. Dopo Warner Music Group, anche Sony e Universal hanno creato una sala da con-

I concerti nel metaverso possono sostituire l’adrenalina del contatto fisico con centinaia di migliaia di spettatori? Secondo Fulminacci potrebbe essere «un’interessante aggiunta nelle nostre vite, ma non una sostituzione dei concerti, quelli in cui i corpi interagiscono, creando momenti di aggregazione a cui non si può rinunciare». «Un piacere fluido» l’ha definito Nicola Pecora, membro della band ‘Brama’. Un collettivo definito dal critico Ernesto Assante «la ‘fase due’ della rivoluzione musicale italiana», che ha deciso di non comparire sulle piattaforme streaming perché incapaci di proporre il loro progetto musicale nella sua completezza. «È molto diverso rispetto ai concerti» continua Pecora «stare da soli davanti a una telecamera ha un aspetto narcisistico e di onanismo. Esibirsi davanti a un pubblico è come stare con una donna bellissima, ma molto pelosa: l’emozione è grande, ma ci sono pure altri esseri umani». ■ 1. Fulminacci al Festival di Sanremo 2021 2. Il collettivo ‘Brama’ durante una delle sue ultime perfromance. Foto di Carla Ciffoni

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Moda

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La moda democratica del virtuale I brand del lusso tentano un approccio agli Nft e al gaming, con l’obiettivo di intercettare i gusti della GenZ FASHION

di Beatrice Offidani

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«Non hai idea di quanti soldi si fanno con queste cose». Nella voce di Davide, 22 anni e youtuber da 378mila iscritti, c’è un pizzico di sfrontatezza. Il gamer ha 22 anni, ma su Fortnite, il videogioco dove ha più seguito e uno dei più popolari al momento, l’età media dei giocatori è molto più bassa della sua. Tra i video di Davide c’è n’è uno in cui mostra il proprio personaggio vestito con una giacca e un pantalone da combattimento molto particolari, firmati Balenciaga, noto marchio di streetwear. Il giovane youtuber spiega che per un gamer cambiare la skin (l’abito che si indossa mentre si gioca) al proprio personaggio è un elemento sociale. Più la skin è accattivante e semplifica l’esperienza di gioco, maggiore è la considerazione che gli altri giocatori hanno del personaggio. Le skin o altri accessori di marca su Fortnite costano molto meno, rispetto ai prodotti di lusso acquistabili nella vita reale. Ad esempio le virtual sneaker di Gucci, lanciate un anno fa, avevano un prezzo di soli 9 dollari. Le scarpe erano indossabili su Roblox, un videogioco dove è possibi-

le creare il proprio mondo virtuale. Allo stesso modo, il prezzo dei prodotti di Balenciaga si aggira intorno alle migliaia di euro, ma su Fortnite bastano 20 euro per aggiudicarsi un accessorio del marchio. La maggior parte dei brand decide di investire e vendere i suoi prodotti sulle piattaforme di gaming perché spera di riceverne in cambio pubblicità. Fortnite è infatti il più popolare tra i giovani della GenZ. Alcuni marchi iniziano queste operazioni per cominciare ad entrare nella vita digitale delle persone, affinché i ragazzi che acquistano le loro skin diventino in futuro dei clienti nel mondo reale. Il lusso fa infatti molta fatica ad intercettare la GenZ. Esperimenti come quello di Balenciaga o di Gucci dimostrano che la tecnica funziona. Il prezzo di 9 dollari delle scarpe di Gucci mirava a rendere più democratico l’acquisto. Vendendo i propri prodotti in formato digitale, quindi con meno costi di produzione, i prezzi diventano molto più accessibili. Il mondo del gaming e del metaverso è quindi la nuova frontiera per i brand del fashion. Esistono due diversi modi di approcciar-


si: l’acquisto attraverso valuta reale oppure in cryptovalute, che permettono di entrare in possesso di Nft. «Le piattaforme di gioco online funzionano bene, c’è molta attenzione a quello che si indossa mentre si gioca. Nel metaverso, invece, è ancora tutto in divenire. Non è ancora chiaro dove andrà il settore in quel campo. Nell’anno in cui i social fanno 20 anni Meta è percepito come il futuro, ma nessuno sa esattamente quanto avrà impatto sul fashion», spiega Lorenzo Dornetti, psicologo ed esperto di neuroscienze applicate alla vendita. «Il tema è che i brand vogliono esserci, iniziare a comprendere questo mondo, anche se ancora non porta ricavi importanti. Il meccanismo è lo stesso dei primi youtuber o influencer. Nel 2009 o 2010 nessuno poteva sapere che quel settore sarebbe esploso, chi è arrivato per primo ha sfruttato il vantaggio. Ora è molto difficile inserirsi in un mercato che è già saturo. Per Meta vale esattamente la stessa cosa», continua Dornetti.Mentre il mondo del gaming è un mercato più semplice da raggiungere, quello del metaverso è ancora molto oscuro, persino per i brand di moda. Una maglietta, dei pantaloni di jeans e degli occhiali da sole. Questo era ciò che si poteva indossare, se non si aveva un portafoglio in cryptovalute, durante la Metaverse Fashion Week, svoltasi lo scorso marzo. Gli eventi erano ospitati su Decentraland, una piattaforma il cui funzionamento è basato sulla tecnologia blockchain. Era possibile acquistare capi in formato Nft dei brand partecipanti, ma solo attraverso transazioni in crypto. «La user experience era molto limitata. Si poteva accedere solo da desktop e non esisteva la versione mobile. Il sistema è molto complesso da usare se non si ha un dispositivo dotato di un processore o una memoria potente. Il problema dell’evento è stato che aveva una fruizione molto difficile a livello tecnologico», racconta Federica Salto, Senior fashion news editor per Vogue Italia, che ha partecipato alle iniziative della settimana. La sensazione di Salto è che la maggior parte dei brand si siano aperti alla possibilità di vendere i loro prodotti nella virtual reality più per un’esigenza di marketing che per loro volontà. «Ho seguito la Metaverse Fashion Week con occhio abbastanza scettico, chiedendomi se davvero ogni brand di moda debba avere una propria strategia e investire nel metaverso. La tecnologia non è pronta, ma tutti sentono

la pressione di esserci», continua. «Il mio punto di vista è che si sente molto la necessità di dover arrivare per primi senza sapere esattamente dove porterà questo processo. Ci sono dei brand che sono più vicini al tech, come l’italo-francese Sunnei, ma non so quanto i marchi più tradizionali, che non hanno una strategia improntata alla tecnologia e al gaming siano pronti. La moda è arrivata molto tardi sui social, da sempre sottovalutati dagli uffici comunicazione. Ora i brand sentono la pressione di non fare lo stesso errore, anche nel metaverso», conclude Salto. La domanda quindi diventa se valga davvero la pena per i brand di moda investire e creare Nft dei loro prodotti che potrebbe non comprare nessuno. «I brand si prendono dei rischi dal punto di vista finanziario. Non sono poi così alti rispetto a quello che spendono tante altre aziende in altri campi. È abbastanza normale che l’investimento non paghi subito», spiega Lorenzo Dornetti. «È stato dimostrato che l’acquisto è legato quasi sempre ad una dinamica ostentativa, soprattutto nel mondo fashion. Le persone non comprano quasi mai perché hanno un bisogno concreto, ma perché il cervello raggiunge dei veri e propri picchi di dopamina. Per quanto riguarda il mondo moda la questione è: come posso riuscire ad ottenere l’attenzione dell’altro per ciò che indosso? Questa dinamica qui è la chiave neuroscientifica del perché compriamo», spiega lo psicologo. Nel virtuale accade la stessa identica cosa. «Il tema diventa: qual è l’opportunità che ho di sfoggiare un determinato capo? Molto dipende dal budget che ho e dagli ambienti che frequento. Dal punto di vista del budget, per acquistare un

2 1. Il negozio virtuale di Etro durante la Metaverse Fashion Week. Foto: Etro 2. Uno dei look della collezione Liquid Paisley presentati alla Fashion Week. Foto: Etro 3. Il Gucci Garden, una delle iniziative del marchio di alta moda su Roblox. Foto: Gucci.

paio di scarpe di Gucci devo avere un certo tipo di possibilità economica, mentre per comprare le virtual sneaker di Roblox bastano nove dollari. Inoltre, molti giovani frequentano più il mondo digitale che quello reale, quindi a loro interessano di più le scarpe che possiedono su Roblox, rispetto a quelle che indossano nella realtà. Il palcoscenico sociale diventa virtuale. È lì che hanno più possibilità di farsi notare». «Non esiste ancora un’infrastruttura solida e affermata di realtà virtuale. Per questo sarà necessario capire dove sarà possibile sfoggiare i nuovi prodotti Nft in cui tutti i marchi si affrettano ad investire ora. Il mondo virtuale, escluse le piattaforme di gaming, non è ancora così evoluto. È tutto ancora in divenire». ■

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Moda

Verso l’opera d’arte totale dalla carta al metaverso Le copertine della rivista Grazia diventano Nft e i proventi delle vendite verranno devoluti alle vittime della guerra in Ucraina SOCIETÀ

di Caterina Di Terlizzi 46 — Zeta

Nascono sotto le stelle le dieci copertine di Bianca Cedrone per il settimanale femminile Grazia. «Mi relaziono molto alla notte, a quello che il subconscio mi comunica mentre dormo». Lei, nobile d’animo e di nascita, cacciatrice di sogni, si avvicina al mondo artistico con l’umiltà e lo stupore dei grandi. Figlia e nipote d’arte che attinge al bello attraverso l’educazione di una delle più creative

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famiglie italiane di tutti i tempi, suo zio Giovanni Gastel è stato uno dei fotografi di moda più influenti del mondo. Le immagini surreali di questo numero speciale si aggrappano a dei valori fondamentali. La responsabilità di creare informazione attendibile, credibile e autorevole, l’attivismo per l’affermazione dei propri diritti, la libertà di esprimersi


con coraggio, l’inclusione di ogni diversità, la visione per anticipare il futuro e molto altro ancora, l’inclusione, il pianeta, il nuovo femminismo, il globale, la moda e le bellezze. È potente la tecnica personalissima. Cocktail di collage, fotografia e digitale, immagini visionarie sature di colori e sogni che rappresentano le sue ambizioni deliziose. «Sviluppo le fotografie con un contesto onirico, spesso rappresentano le mie fantasie, le mie ambizioni, quelle che ho di notte». Poi il progetto prende vita con il programma di Adobe chiamato After Effects, il lavoro non è più solo cartaceo ma diventa animato. La fantasia di Bianca vola e si inanella in un loop dove ogni copertina entra in una seconda, all’infinito. «I valori sono singolari ma uno non può esistere senza l’altro». Le idee mutano ancora diventando opere Nft (Non Fungible Token) da comprare. «La vendita finanzierà un progetto umanitario della fondazione Francesca Rava N.P.H Italia Onlus a favore delle donne e dei bambini ucraini» racconta a Zeta la ragazza venticinquenne. Deve il suo senso di esplorazione alla città di Londra. «La mia formazione proviene dalla Central Saint Martins College of Art and Design». La metropoli e l’università l’hanno spinta a guardare lontano. Lontano fino al mondo del metaverso che all’inizio la spaventava. Temeva, con il mondo dell’NFT, di perdere la proprietà intellettuale delle sue opere. «L’universo virtuale appartiene alla nostra quotidianità. Mi garantisce di lavorare, di sviluppare, di creare. I timori, esplorando e studiando, sono poi svaniti, facendo convivere il mondo fisico e quello digitale».

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Bianca approccia nella quotidianità la realtà fisica: «Cerco sempre di ritagliare due ore al giorno per dipingere, per fare delle cose che mi tengono a contatto con la terra». Le manca il senso tattile, il pennello, la tempera, la tela, l’usare le mani per produrre. «Mi spaventa molto la dipendenza che questo digitale può creare». È stato Simone Guidarelli, vate della moda, a notare che in quella famiglia, dove l’abilità artistica regna sovrana, c’era una nuova scintilla luminosa. Lui ha visto tutte le sfaccettature che ha dentro. Racconta la pittrice, fotografa, grafica e art director della rivista americana Wynwood, che nei suoi futuri sogni c’è il cinema come l’idea di opera totale di Richard Wagner, compositore e poeta: la Gesamtkunstwerk. Gesamt significa completo, totale. Kunst significa arte. Werk significa lavoro. «Tutto quello che rende l’immagine un insieme, l’obbiettivo è di colpire, avvicinare e emozionare, includendo tutte le arti. I miei sogni futuri saranno quelli di entrare in quel mondo ed è una curiosità che devo assolutamente compiacere». Le opere di Bianca non si fanno analizzare, prendono per mano e accompagnano nel suo mondo poliedrico fatto di modelle a ripetizione infinita che sembrano matrioske contemporanee. Città psichedeliche abitate da corpi sospesi fra il cielo e la montagna. Colori inventati, fiori oltre misura e quella donna in copertina con le ali di farfalla ai piedi invita a volare leggeri dentro a queste immagini personalissime. Il suo sogno resta l’approdo nel cinema. ■

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5 1. Nuovo Femminismo che rivendica la libertà di realizzare le proprie ambizioni 2. Bianca Cedrone, l’artista 3. Pianeta, il bene più prezioso da difendere 4. Attivismo per l’affermazione dei diritti 5. Moda come libertà di espressione

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Sport

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«Non siamo solo dei nerd» Il mondo degli eSports, il gaming competitivo, raccontato da Francesco Pardini, Daniele Tealdi e Danilo Pinto VIDEOGIOCO

«Quando ero piccolo ero l’unico della mia classe a non avere il gameboy, perché i miei genitori non volevano. Così di nascosto le mie nonne hanno speso 150 mila lire per comprarmelo insieme a Pokémon rosso. Così è nata la mia passione per i videogiochi e il competitivo». Francesco Pardini è un Pokémon competitive player e YouTube e Twitch content creator. Pokémon, il videogioco giapponese prodotto da Nintendo, è solo uno dei tanti eSports che spopolano tra i giovani e gli appassionati. Gli eSports, conosciuti anche come gaming competitivo, sono una forma di competizione elettronica organizzata che avviene tramite e grazie ai videogiochi. Il prefisso “e” sta per “electronic” e sottolinea il carattere digitale di questo nuovo fenomeno.

di Giorgia Verna

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«Competitivo Pokémon significa saper competere in un mix di strategia scacchistica, capacità di previsione delle mosse dell’avversario, psicologia, matematica, mente fredda, visto che ogni turno ha 45 secondi, grande capacità fisica di riuscire a rimanere concentrati per tornei lunghi undici o dodici ore di fila». Non è

un caso che dei videogiochi, che all’apparenza hanno solo un lato ludico, vengano riconosciuti come dei veri e propri sport. Le skills richieste ai vari giocatori raggiungono un livello di difficoltà ed esperienza molto alto e anni di duro allenamento. Danilo Pinto, in arte @danipitbull, è un FIFA Player per la squadra di E Serie A del Cagliari. «Mi alleno quattro o cinque ore al giorno tutti i giorni». Negli ultimi anni gli eSports si sono evoluti e hanno iniziato a coinvolgere diversi attori, affermandosi come fenomeno internazionale tramite l’organizzazione di campionati e tornei e aumentando vertiginosamente il numero dei fan. Daniele Tealdi, @dagnolf, FIFA Player per il Torino, ci spiega la struttura del competitivo di FIFA: «la E serie A è come un campionato di calcio vero e proprio, non a giornate ma a gironi. Quest’anno eravamo 14 squadre. Finiti i gironi l’ultima e penultima squadra finiscono nel girone dei perdenti o loser bracket, quindi non vengono subito eliminate. C’è la regular season divisa in playoff. Si arriva poi a una sorta di finale con le squadre che arrivano dalla parte alta della classifica (vincenti


contro vincenti) e le squadre che arrivano dalla parte bassa. Infine, si gioca a eliminazione diretta. Escono quattro squadre dal winner bracket e quattro squadre dal loser bracket. Ci sono le finals a otto squadre e poi quarti di finale, finale e il vincitore». In origine, le competizioni erano per lo più amatoriali e i montepremi in palio per i campioni erano solo di poche migliaia di euro. Oggi, invece, parliamo di un’industria strutturata che genera milioni di euro e si prevede possa generarne miliardi negli anni a venire. «Ma non è solo questo. Si tende a pensare che si faccia qualche video online e si guadagni tanto. Sicuramente nel mondo dei content creator girano molti soldi… alcuni guadagnano più di mia mamma che fa il medico» scherza Pardini «ma c’è tanto lavoro dietro e non è facile farlo capire a chi non lavora con le tecnologie». Per Danilo Pinto «sicuramente c’è molta curiosità attorno a questo mondo, ma spero che un giorno verremo visti in maniera diversa. Siamo persone normali come tutti, non solo dei nerds».

un italiano, Leonardo Bonanomi, e anche quest’anno a competere agli internazionali di Francoforte nella top 32, 13 erano italiani. La modalità di fruizione principale degli eSports è sicuramente lo streaming. Le piattaforme come Twitch, Discord e YouTube garantiscono la possibilità di trasmissione di un evento dal vivo al grande pubblico, assicurandone l’accessibilità e aumentandone la portata. Nel 2021 Sky Sport ha creato una rubrica apposita per seguire la eSerie A Tim FIFA 2021. Non stupisce, dato il grande coinvolgimento italiano per il mondo del calcio e di FIFA. «È più facile trasmettere una partita di calcio in televisione, anche se è un videogioco. Quando si tratta, invece, di FPS, giochi ‘sparatutto’ è più difficile. Escludendo Fortnite che è strutturato come un cartone animato ed è ben visto, giochi come Call of Duty e Rainbow Six possono passare il messaggio di “i ragazzi sono sempre davanti a un computer e per di più sparano”».

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dei freelance» conferma Tealdi. La mancanza di regolamentazione e attenzione cerca di essere compensata dal lavoro spontaneo che i singoli gamer cercano di fare per diffondere e insegnare il competitivo dei vari eSports anche ai giovani, come il Team acqua di Francesco Pardini nato nel 2007.

Nella top five degli eSports più seguiti, al primo posto c’è senza dubbio League of legends (LOL), che secondo i dati di Esports Charts è il videogioco più seguito al mondo. I dati dello scorso anno mostrano LOL in prima posizione tra gli eSports più seguiti con un totale di circa 175 milioni di ore di streaming.

Ma Tealdi non vede la televisione come il mezzo a cui ambire: «è un medium come altri. Non per forza bisogna finire in tv. Se si collabora, bene! Ma tv e Twitch sono due cose completamente diverse». «In Italia siamo molto indietro nel mondo degli eSports, soprattutto in confronto all’Europa e l’America. Mancano gli sponsor, i fondi e tante volte manca semplicemente la comprensione».

«Il team acqua è il primo team esportivo al mondo centrato su Pokémon. Organizziamo delle lezioni dove insegniamo ai ragazzi il competitivo con diversi professori e lezioni, come se fosse un campus universario. Ricordiamoci però che non è un lavoro, ma un divertimento. Abbiamo sempre voluto declinare questi campus come un modo per stare insieme, fare amicizia e alcuni studenti si sono addirittura sposati». ■

Tra i più famosi anche Fornite, FIFA 22, Minecraft, GTA e Pokémon che vede da anni tantissimi italiani protagonisti, tanto che il campione mondiale del 2021 è

«L’Italia è molto indietro anche a livello di regolamentazioni, sia per chi fa il lavoro di content creator che di pro player» afferma Pardini «siamo considerati

1. Francesco Pardini Pokémon competitive player 2. Daniele Tealdi e Danilo Pinto – E Serie A Fifa players per il Torino e il Cagliari 3. Esports Charts – Tornei di eSports più visti nell'anno 2021

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Sport dati biometrici è utile per migliorare prestazioni, affinare cure mediche e personalizzare allenamenti. Ma fino a pochissimo tempo fa nessuno credeva che tutti questi dati potessero avere un altro uso. E infatti oggi il primo ostacolo alla loro commercializzazione (per ora solo potenziale) è che la legge in materia è molto confusa, se non assente.

La lunga notte di Lionel Messi Qualcuno pagherebbe «una barca di soldi» per sapere tutto della vita dei calciatori DATI

di Antonio Cefalù

Avete presente Moneyball? Dimenticatelo. Nell’era in cui la tecnologia rivoluziona le nostre vite in tempi record, il film sull’impresa degli Oakland A’s, che grazie ai dati hanno costruito dal nulla una squadra di baseball vincente, è già diventato obsoleto. Dai primi 2000 ad oggi, infatti, la quantità di statistiche che gli atleti producono si sono moltiplicate, e quello a cui potremmo avere accesso oggi può darci informazioni molto più preziose di velocità, movimenti o rendimento. Si tratta dei dati biometrici, quelli che raccontano lo stato biologico degli atleti. Parliamo, ad esempio, di battito cardiaco, temperatura corporea, ossigeno nel sangue. Ma anche di quanto si è dormito durante la notte o, in alternativa, quello che il giocatore ha fatto invece di dormire. In poche parole, i dati biometrici sanno tutto di noi e sono capaci di raccontare praticamente tutto quello che facciamo 24/7. «Una barca di informazioni, che nel caso degli atleti potrebbero valere una barca di soldi», se preferite la definizione di Kimberly Houser, professoressa di diritto delle nuove tecnologie all’Università del Texas. Negli Stati Uniti, televisioni e soprattutto agenzie di scommesse sarebbero disposte a fare all-in per avere accesso a questi dati. «Nulla più di queste statistiche può dare la misura di quanto sia in 50 — Zeta

forma un giocatore prima di una partita, e conoscendole i bookmakers possono stabilire delle quote per loro molto più vantaggiose. Avere accesso a informazioni così dettagliate può fare la differenza fra chiudere un anno in perdita e aggiungere diversi punti percentuali ai propri margini di profitto», spiega John Holden, esperto di diritto sportivo dell'Università dell’Oklahoma. Ma questi dati li vorrebbero anche gli scommettitori. Il sogno degli accaniti è aprire il sito di scommesse, leggere che «Il giorno prima della partita Messi ha dormito sette ore e 32 minuti. E quando dorme più di sette ore ha il 70% di probabilità di segnare più di un gol» e scommettere di conseguenza. O, ancora peggio, scoprire grazie al gps che alle tre di notte Messi in realtà era in discoteca, o che stava vivendo un momento intimo con sua moglie, quindi scommettere sugli avversari. Quando si dice che questi dati sanno tutto, è in senso letterale. Uno scenario distopico reso possibile dai cosiddetti wearables, i dispositivi indossabili (il più famoso è l’Apple Watch) che tengono d’occhio le nostre attività. E che arrivano a sapere così tanto su di noi che Google ha sborsato 2,1 miliardi per comprare Fitbit. Non tanto per i suoi smartwatch, ma per la mole di informazioni che questi raccolgono sugli utenti, regalategli quando questi pigiano il tasto «Consento» dopo aver fatto finta di leggere l’informativa per la privacy. Gli atleti sono fra i primi utenti al mondo di queste tecnologie. Li indossano costantemente perché monitorare i loro

I contratti che stipulano gli utenti con i wearables, infatti, permettono la vendita dei loro dati a terze parti. Ma senza condividerli al pubblico, né rilevando l’identità del proprietario, come si vorrebbe richiedere agli atleti. «Per quello servirebbe una triangolazione dei contratti. I giocatori dovrebbero aderire ai termini di utilizzo dei dispositivi, come già fanno. Questi, per vendere i dati, si metterebbero d’accordo con i campionati, i quali per dare il via libera avrebbero a loro volta bisogno di un accordo collettivo con i giocatori. È complicato, ma il mercato spinge perché accada», ragiona Houser. Chiave in ciò dice Houser è il concetto di “accordo collettivo” degli atleti, comune in un’America in cui lo sport gode di una cultura sindacale molto più radicata che in Europa. «È un processo farraginoso. Per questo serviranno 10 o 20 anni prima che questi dati vengono messi in commercio», secondo Holden. Dato che in Europa i giocatori sono più indipendenti dai sindacati, è proprio nel Vecchio Continente che potremmo sapere per primi se Leão o Lautaro hanno fatto serata la notte prima del derby. «Il vostro sistema legale vi dà un vantaggio. Chissà che non siano proprio delle squadre di calcio europee, con qualche accordo speciale, ad essere le prime a mettere in vendita i dati dei loro giocatori». Ma che prezzo avrebbe, per loro, sacrificare completamente la propria privacy? Troppo presto per dirlo. Intanto, si preparino a sacrificare i festeggiamenti in discoteca. ■


È più nobile che sporca quell’ultima meta Il rugby è uno degli sport più coreografici e cinetici ma nel cinema è anche uno dei meno presenti FILM

di Valeria Verbaro

Un lancio, un’esplosione di forza e velocità: due mani afferrano la palla ovale. Uno, due, tre avversari si susseguono in un corpo a corpo di colpi sordi e ruggiti leonini e la corsa continua fino alla linea di meta, guadagnando ogni centimetro come fosse un campo di battaglia. Ma non basta ancora per segnare i cinque punti. È meta soltanto quando si lotta fino all’ultimo, arrivando con tutto il proprio peso a fare pressione sul terreno, a esercitare il potere della propria presenza. Il rugby è sport di tatto e contatto, di pelle contro pelle, lividi, sangue, terra e fango. Uno sport perfetto per il cinema, per la sua fisicità, per la rapidità e per la complessità delle azioni di gioco, eppure uno dei meno rappresentati. Spazio, tempo e movimento Tre concetti basilari accomunano il cinema e gli sport moderni, che nascono insieme alla fine del XIX secolo, influenzandosi a vicenda: lo spazio, il tempo e il movimento. Al centro, sottinteso, vi è sempre il corpo. Il sottogenere sportivo nel cinema trova

la sua fortuna nel desiderio di veder rappresentate la materialità e la fatica dei corpi sullo schermo, così simili al proprio e al tempo stesso straordinari. Al cinema il rugby è in grado di raccontare la resistenza e la vulnerabilità degli uomini in campo da un punto di vista privilegiato, vicino e tangibile. È quel che succede nelle inquadrature all’interno della mischia chiusa in Io sono un campione (Lindsay Anderson, 1963) o nei dettagli delle azioni di gioco in Invictus (Clint Eastwood, 2009). Io sono un campione «Avanzare, sostenere e avanzare ancora» è il senso del rugby secondo Aldo Rositano, Presidente del CAS Rugby di Reggio Calabria. «Per vincere bisogna lottare e guadagnare terreno nell’area avversaria, ma al tempo stesso per andare avanti è necessario giocare con i passaggi indietro». È questo che rende lo sport della palla ovale in apparenza anomalo. In realtà, quel che richiede è una totale fiducia nella squadra, nell’idea che alle proprie spalle ci sia sempre un compagno pronto a ricevere e proseguire l’azione. In apparenza opposto a questo spirito è il personaggio di Frank (Richard Harris) in Io sono un campione, un classico del Free Cinema britannico di contestazione tra gli anni Cinquanta e Sessanta. Violento, rude e collerico, Frank usa il rugby come strumento per incanalare la sua rabbia

Richard Harris in Io sono un campione (Lindsay Anderson, 1963)

sociale e la sua incapacità di integrarsi, ma non arriva mai a comprendere la nobiltà dello sport e non riesce a vedere in esso un appiglio per salvarsi. Vuole avanzare senza sostenere, e per questo fallisce. Invictus, I am the captain of my soul A descrivere bene il senso di collettività e rispetto reciproco su cui il rugby fonda la sua etica, oltre che il suo regolamento, è invece Invictus di Clint Eastwood, che riprende la storica vittoria del Sudafrica ai mondiali del 1995 come esempio di integrazione nazionale. Il capitano François Pienaar (Matt Damon) parla di una squadra di oltre quaranta milioni di persone “dietro di lui”, un’intera nazione appena uscita dall’apartheid e ancora traumatizzata dal passato che però trova, negli ottanta minuti di ogni partita, un motivo di appartenenza comune. Invictus e Io sono un campione nascono da due periodi storici diversi e da visioni del mondo opposte, dalla retorica statunitense e dalla contestazione antiborghese dell’Europa di metà Novecento. Si incontrano tuttavia in un punto essenziale, nell’idea che sia l’intera squadra a muovere l’attacco, senza punte o mine vaganti, che oltre a riassumere la psicologia di questo sport, rende la rappresentazione al cinema tra le più spettacolari e articolate possibili. ■ Zeta — 51


La Guida di Zeta a cura di Claudia Bisio

Il tesoro italiano che non puoi toccare Il patrimonio culturale mondiale non è costituito soltanto da luoghi, oggetti e monumenti ma anche da espressioni intangibili in cui si manifestano la storia e le tradizioni

Dieta mediterranea, dall'Italia alla Grecia (2013) La Dieta Mediterranea non è un elenco di alimenti o una tabella nutrizionale. È uno stile di vita emblema dell’identità culturale e della continuità della comunità nel bacino Mediterraneo. I valori dell’ospitalità e del dialogo interculturale sono al centro della dieta, la quale comprende competenze, conoscenze, rituali, simboli e tradizioni che coinvolgono la coltivazione, la raccolta, la pesca e l’allevamento. Ed è proprio per questi motivi che la Dieta Mediterranea, grazie al Comitato Intergovernativo riunitosi a Nairobi in Kenya il 16 novembre 2010, è entrata a far parte del Patrimonio Culturale Immateriale. La candidatura transazionale ha coinvolto Italia, Spagna, Grecia e Marocco e nel 2013 è stata estesa anche a Cipro, Croazia e Portogallo. La Dieta Mediterranea ha giocato un ruolo fondamentale anche ultimamente, contribuendo all’equilibrio tra cultura umanistica e scientifica. La dieta, quindi, non è solo una filosofia di vita nata nel passato ma un mezzo fondamentale per la creazione di un futuro sano.

Cerca e cavatura del tartufo in Italia (2021) Questa usanza è costituita da un insieme di conoscenze e pratiche tradizionali trasmesse oralmente di generazione in generazione. Diffusa ampiamente nelle campagne dell’Italia, i tartufai, ovvero coloro che cacciano i tartufi, di solito vivono in aree rurali o in piccoli paesi. La caccia al tartufo è divisa in due momenti: la caccia e l’estrazione. La prima consiste nell’identificazioni delle aree in cui si trova la pianta. 52 — Zeta


Per questo passaggio il cacciatore deve disporre di un’ampia gamma di capacità e conoscenze su clima, ambiente e vegetazione. Connesse, a loro volta, alla gestione di ecosistemi naturali e al rapporto tra il cane e l’uomo. Di solito, infatti, i tartufai portano un cane con loro per aiutarli in questa fase, il quale è addestrato appositamente. Una volta individuato il fungo sotterraneo attaccato alle radici della pianta, il cacciatore utilizza una paletta speciale che gli consente di estrarre i tartufi senza danneggiare il terreno circostante. Questa pratica viene trasmessa oralmente attraverso favole e aneddoti ma anche espressioni particolari che riflettono l’identità culturale locale.

Opera dei Pupi siciliani (2008) L’Opera dei Pupi ovvero il teatro delle marionette è nato in Sicilia all’inizio del 19esimo secolo. Sin dall’inizio ha avuto un enorme successo. Le storie che vengono raccontate, con dialoghi molto spessi improvvisati dagli stessi burattinai, prendono spunto dalla letteratura cavalleresca medievale, dai poemi italiani del Rinascimento, dalle vite dei santi e dai racconti dei malfattori. Le scuole di Pupi siciliani principali sono a Palermo e Catania, la maggior parte gestite da famiglie i cui burattini sono costruiti e dipinti con metodi tradizionali. Nonostante si pensi all’opera dei pupi come intrattenimento fine a sé stesso, nel passato le rappresentazioni hanno influenzato il pubblico e qualche volta favorito rivendicazioni sociali.

L’arte del pizzaiuolo napoletano (2017 ) L’arte tradizionale del “pizzaiuolo” napoletano grazie al senso di identità e continuità che trasmette da generazione in generazione, risponde ai criteri previsti dalla Convenzione Unesco del 2003. Si tratta di una pratica culinaria che va dalla preparazione dell’impasto alla cottura nel forno a legna. L’arte della pizza è nata a Napoli dove si contano almeno 3000 “pizzaiuoli” divisi in tre categorie in base all’esperienza e alle capacità.

L’Accademia dei Pizzaiuoli Napoletani ogni anno organizza corsi sulla storia, gli strumenti e la tecnica dell’arte della pizza con lo scopo di preservarne l’esistenza. Grazie al riconoscimento da parte dell’UNESCO la pizza arriva ad essere uno dei cibi più amati e consumati al mondo a livello nazionale e internazionale. La manualità che un pizzaiolo napoletano ha è ineguagliabile e fa di essa un marchio di italianità nel mondo. L’arte tradizione del “pizzaiuolo” napoletano rappresenta l’ottavo riconoscimento italiano della lista del Patrimonio Immateriale dell’UNESCO, terzo invece per quanto riguarda l’iscrizione nazionale nell’ambito della tradizione enogastronomica.

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Parole e immagini di Silvano D’Angelo

FILM

Doctor Strange nel Multiverso della Follia

Sam Raimi 2022 Marvel Studios Walt Disney Studios Motion Pictures 128 minuti

I supereroi sono felici? È la semplicissima domanda che fa da sfondo alla vicenda raccontata in Doctor Strange nel Multiverso della Follia. Una domanda che mette al centro l’umanità dei personaggi e le loro fragilità, anche quando sono dotati di poteri straordinari, tratto tipico della regia di Sam Raimi, tornato a dirigere un film di supereroi 14 anni dopo Spider-Man 3. L’aspetto emozionale è infatti il più riuscito dell’ultima pellicola del Marvel Cinematic Universe (MCU). Ma al di là di questo siamo di fronte a un buon film? Bisogna premettere che è difficile dare un giudizio sul singolo prodotto, perché l’ambiziosissimo progetto dei Marvel Studios si configura da tempo come un intricato puzzle di storie interconnesse. Tutti i film soffrono dunque di un limite intrinseco, dato che

è quasi impossibile capirne appieno uno senza aver visto i restanti. Doctor Strange 2 non fa eccezione, intrecciando la vicenda dello stregone supremo (Benedict Cumberbatch), apparso l’ultima volta in Spider-Man No Way Home, con quella di Wanda Maximoff (Elzabeth Olsen), che si riaggancia alla fine della serie tv a lei dedicata, WandaVision. La trama ha come fulcro America Chavez (Xochitl Gomez), una ragazza dotata del potere di viaggiare attraverso il multiverso e che Dr Strange deve tenere al sicuro dal demone che vuole sottrarle la sua capacità. Si tratta di una pellicola divertente, che svolge egregiamente il suo ruolo di intrattenere il pubblico per le due ore della sua durata. Come tutti i blockbuster della Marvel, mischia humor e azione, con immagini che catturano l’occhio grazie ai magistrali effetti speciali che i 200 milioni di dollari di budget hanno permesso di sviluppare. Grande pregio del film la scelta di esplorare il tema del Multiverso e delle realtà parallele, cosa che

permette di apprezzare le doti attoriali di Cumberbatch e Olsen in diverse vesti. Un deciso vantaggio sul resto della produzione Marvel è invece dato dal tocco di horror che Raimi, esperto del settore, riesce a portare sullo schermo in alcune scene che lasciano lo spettatore sempre sul chi va là – ovviamente nei limiti concessi da un film che comunque non presenta limitazioni di età per essere visto. A fare da contraltare a questo troviamo però una trattazione del tema supereroistico rimasto legato a uno stile da primi anni duemila, specialmente nelle presentazioni dei personaggi che risultano fin troppo artificiose. L’altro limite sta nel fatto che la trama si serve di diversi clichè e topoi letterari che danno al film un’aria di già visto: in particolare la presenza di un personaggio bambino estremamente potente e non in grado di controllare i propri poteri, salvo quando la trama lo richiede, e l’immagine della madre mancata che si trasforma in una strega. Una considerazione a parte merita quello che tra gli appassionati di questo

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genere di film viene definito “fan service”, ovvero l’inserimento di elementi che non sono fondamentali per lo sviluppo del film, ma hanno l’unico scopo di far saltare sulla sedia i fan. La conseguenza è che mentre gli estimatori della Marvel resteranno entusiasti della comparsa di alcuni personaggi, lo spettatore generalista rimarrà indifferente o addirittura confuso. Nonostante questi evidenti limiti e una soluzione finale semplicistica, il film risulta efficace perché riesce a sviluppare la vicenda umana del protagonista. Il Dottor Strange è uno degli eroi più potenti al mondo, ma al picco della sua fama si trova a fare i conti con i limiti e le debolezze di Stephen, la sua identità civile. Sono la sua arroganza e la sua noncuranza a impedirgli di essere felice, un tratto che si ritrova in tutti gli universi che visita nel corso del film e che riuscirà a superare soltanto accettando che, nonostante il suo immenso potere, non può controllare tutto ciò che gli accade intorno. Pur non arrivando al livello dei migliori capitoli della saga, Doctor Strange 2 supera nettamente le ultime uscite del MCU.


Data Lab

Luiss Data Lab Centro di ricerca specializzato in social media, data science, digital humanities, intelligenza artificiale, narrativa digitale e lotta alla disinformazione Partners: ZetaLuiss, Media Futures, Catchy, CNR, Commissione Europea, Soma, T6 Ecosystems, Harvard Kennedy School

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Faculty: Roberto Saviano, Francesca Mannocchi, Bill Emmott, Jeremy Caplan, Sree Sreenivasan, Moises Naim, Virginia Stagni, Gianni Riotta

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