La nuova Europa - Zeta

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LA NUOVA EUROPA

Periodico della Scuola Superiore di Giornalismo
“Massimo Baldini”
Numero 21 Giugno 2024
Roma Pride
La Francia a un bivio
La nuova avventura di Corto

Italian Digital Media Observatory

Partner: Luiss Data Lab, RAI, TIM, Gruppo GEDI, La Repubblica, Università di Roma Tor Vergata, T6 Ecosystems, ZetaLuiss, NewsGuard, Pagella Politica, Harvard Kennedy School, Ministero degli Esteri, Alliance of Democracies Foundation, Corriere della Sera, Reporters Sans Frontières, MediaFutures, European Digital Media Observatory, The European House Ambrosetti, Catchy

cambia l’Europa di Lorenzo Pace

Scenari

Emmott: «La destra avanza» di Filippo Cappelli

La partita per la Commissione di Michelangelo Gennaro

Contrasti

Afd vs Bsw, i guastafeste radicali di Matilde Nardi

L’estrema destra conquista la Francia di Matilda Ferraris

Ritratti

Jordan Bardella, l’enfant prodige di Laura Pace

La doppia vita di Alice Weidel di Francesco Esposito

Le sfide di Mette Frederiksen di Lavinia Monaco

Magyar mette in crisi Orban di Nicoletta Sagliocco

Interni

Il centrodestra supera il test di Luca Graziani

Schlein conquista il Pd di Alessio Matta

La sconfitta delle forze liberali di Federica Carlino

Ilaria Salis finalmente libera di Asia Buconi

Rimandato al prossimo appello di Gennaro Tortorelli

Cartina

Come cambia l’Italia di Pietro Gangi

Economia

Il Pnrr cambia ma il ritardo resta di Valeria Costa

L’altra faccia del lobbismo di Simone Salvo

Mondo

Washington sceglie il futuro di Gabriele Ragnini

Photogallery

Bandiere Ue in Georgia come a Kiev di Massimo De Laurentiis

La grande rimonta del Labour di Chiara Boletti

Diritti

La locanda dei girasoli di Nicole Saitta

Roma Pride, tra amore e rivoluzione di Giulia Rugolo

La piaga del lavoro minorile di Chiara Grossi

Sport

Il re delle figurine racconta il pallone di Isabella Di Natale

Gli eroi azzurri degli Europei di Caterina Teodorani

Società

L’Osservatore di strada di Sara Costantini e Elisa Vannozzi

Cultura

All’avventura, una volta ancora di Alessandro Imperiali

In un mare di libri

di Alessandro Villari

Anniversari

UNHCR il lavoro per integrare i rifugiati

di Silvia Della Penna

L’Occidente è vecchio e senza più fantasia. Siamo pochi e sempre meno. Il dato demografico confrontato con gli altri continenti mostra l’incapacità dell’Europa e degli Stati Uniti d’America di rigenerarsi ed essere appetibile agli occhi degli altri paesi del mondo. Logorato dagli interessi dei singoli Stati e inadeguato nel guardare in maniera compatta e concreta al futuro.

Con la Cina, l’Iran e la Russia che penetrano nelle altre nazioni e fomentano rivolte, con i Brics che si organizzano e con le guerre in Ucraina e in Medio Oriente, non è, però, possibile perdere altro tempo. Per questo, se non si vuole finire per essere una semplice comparsa dello scacchiere geopolitico, la parola chiave è “unità”. Ognuno con le proprie differenze ma decisi sui grandi temi. Unità non solo per legiferare ma di intenti, di solidarietà e di destino. Per costruire insieme nuovi immaginari e ritrovare un’identità comune. Fattori necessari per l’Europa quando gli Stati Uniti d’America appaiono agli occhi del

mondo così fragili. La terra dei sogni e della gioventù è finita per essere la culla delle degenerazioni dove a sfidarsi per il comando della Casa Bianca sono Joe Biden e Donald Trump, rispettivamente ottantuno e settantotto anni. Le ultime elezioni tenutesi tra il 6 e il 9 giugno, nonostante poco cambierà in termini di maggioranze del prossimo Parlamento, hanno mostrato uno spostamento politico verso destra in molte delle principali nazioni dell’Unione Europea, inclusi alcuni tra i fondatori come Italia, Francia, Belgio e Germania.

Da quando ancora si chiamava Comunità economica europea (Cee), questo mondo politico porta avanti la retorica dell’Europa dei popoli contro quella degli Stati. Il 9 giugno i popoli hanno dato loro ragione. Riusciranno a tenerli uniti per una nuova pagina da scrivere e per non far diventare luoghi di villeggiatura quelle città che hanno scritto la storia della nostra civiltà? La sfida è grande. La sua gioventù ne sia protagonista.

Alessandro Imperiali

Come cambia l'Europa

a cura di Lorenzo Pace

Emmott: «La destra avanza in Francia esito più drammatico»

Nel nuovo

Parlamento resiste la maggioranza europeista, ma in molti Stati i partiti nazionalisti crescono in maniera significativa.

Parla lo storico direttore dell'Economist

In Francia e in Austria sono stati i più votati con percentuali mai viste prima, in Germania hanno superato il partito del cancelliere, in Belgio hanno umiliato il premier liberale, che ha dato le dimissioni in lacrime. Le elezioni europee segnano l’avanzata dei partiti di destra, capaci di canalizzare i timori, l’insoddisfazione e la rabbia dei cittadini.

Il successo del Rassemblement National (Rn) di Marine Le Pen in Francia ha indotto il presidente Emmanuel Macron a sciogliere l’Assemblea Nazionale e convocare nuove elezioni legislative per il 30 giugno.

successo o meno». Se il ventottenne Jordan Bardella diventasse primo ministro, si instaurerebbe una difficile coabitazione per i prossimi tre anni: «La destra – dice Emmott – darebbe la colpa di tutti i problemi al presidente, per cercare di strappargli l’Eliseo».

di Filippo Cappelli

«È il risultato più drammatico delle Europee» ci dice Bill Emmott, a lungo direttore dell’Economist. «Macron non ha avuto altra scelta se non quella di fare una scommessa. Il voto per il parlamento dopo soli venti giorni è una mossa con cui spera di recuperare terreno, ma è difficile prevedere se avrà

Euroscettico, islamofobo e filorusso, in più di mezzo secolo di vita Rn non è mai stato al governo e il timore di molti è che, una volta al potere, possa indebolire l’Unione. Secondo Emmott «l’Europa resta popolare in Francia, ma Le Pen potrebbe trattare Bruxelles come un nemico per cercare di ottenere più potere. Anche questo, tuttavia, è imprevedibile: una volta pensavamo che Giorgia Meloni fosse anti Ue, oggi non la definirei così».

Punito dagli elettori anche il governo semaforo di Olaf Scholz in Germania. Socialdemocratici, liberali e verdi insieme arrivano a stento al 30%. Per la Spd del cancelliere il 13,9% è il risultato peggiore di sempre, più

ANALISI

che doppiata dai cristiano democratici (Cdu-Csu), al 31%. Netta la crescita di Alternative für Deutschland (Afd), 15,9%, primo in tutti i Länder della Germania orientale.

«Un voto di protesta che non mi sorprende» commenta Emmott. «L’economia tedesca sta andando molto male, è una delle più deboli del continente, il costo della vita è aumentato e l’immigrazione è un problema serio». Chi un tempo votava a sinistra, i meno istruiti e i lavoratori dipendenti, oggi preferisce la destra. Il problema per Emmott non è la risposta data dalle sinistre alla globalizzazione: «L’Europa ne ha beneficiato molto. Questi partiti – spiega – hanno successo perché per molti sono gli unici capaci di rispondere alla crisi, alla mancanza di prospettive per le giovani generazioni».

In Germania tiene l’Unione di centro Cdu-Csu: «Se si votasse domani, sarebbero loro la guida. La domanda è con chi formerebbero una coalizione: Afd? Oppure un altro partito di centro, come i liberaldemocratici della Fdp?», si chiede. Ma una cosa è certa: «Il prossimo cancelliere sarà il loro leader, Friedrich Merz».

«In Germania un voto di protesta. L'economia è una delle più deboli d'Europa»

La guerra e l’esperienza al governo penalizzano i Verdi, all’11,9%: quasi dimezzati i voti del 2019. Una tendenza diffusa in Europa, gli ambientalisti scivolano al sesto posto fra i gruppi parlamentari a Strasburgo, superati da Conservatori e Identità e Democrazia. «La battaglia per la salvaguardia del pianeta non è conclusa – ragiona Emmott – ma la guerra in Ucraina e gli elevati costi dell’energia negli ultimi due anni hanno fatto calare il tema del cambiamento climatico nella lista delle priorità. Il nuovo Parlamento allenterà le misure considerate costose, come il Green Deal».

Anche le elezioni politiche in Austria a settembre si annunciano incerte. Il Partito della Libertà (Fpö) è cresciuto fino al 26%, sull’onda di una campagna populista, nazionalista e xenofoba. La forza di ultradestra, che negli anni Novanta fu di Jörg Haider, si lascia alle spalle sia i socialisti di Spoe che i popolari di Övp. Il candidato cancelliere, Herbert Kickl, sostiene la remigration, l’espulsione di massa degli immigrati che non si sono integrati, mentre il capolista Harald Vilimsky considera «insostenibili» i costi per la difesa dell’Ucraina dall’invasione russa. La carica antisistema è impetuosa in Belgio e fa scivolare i liberaldemocratici del primo ministro Alexander De Croo fino all’ottavo posto. I primi due partiti sono le destre di Nuova Alleanza Fiamminga e Vlaams Belang. «È frequente che le forze governative perdano voti alle Europee»,

nota Alessandro Chiaramonte, professore di Scienze Politiche all’Università di Firenze e fondatore del Centro italiano di studi elettorali (Cise).

«Sono considerate elezioni di secondo ordine, in cui si lanciano messaggi di critica agli esecutivi». In Italia, però, la coalizione di centrodestra ha retto bene, aumentando le percentuali delle politiche del 2022. «La premier Meloni aveva molto da perdere, perché si era candidata in tutte le circoscrizioni, ma questa mossa si è rivelata molto efficace», prosegue il politologo.

La risalita del Partito democratico, al 24%, non basta a rendere il centrosinistra competitivo: «Pd e Verdi valgono il 30%, ma Fratelli d’Italia, Forza Italia e Lega raggiungono insieme il 46%. Chi ha visto il ritorno al bipolarismo precorre i tempi e lo fa anche nelle elezioni sbagliate, perché si vota con sistema proporzionale: la corsa non è di schieramenti, ma di singoli partiti». La politica italiana viene da dieci anni di estrema volatilità elettorale, non è facile fare previsioni. Il Movimento 5 Stelle (M5s), sceso al di sotto del 10%, ha subìto un crollo repentino: «Può essere atteso da un recupero o da un ulteriore calo. I partiti populisti vivono di fiammate e di riflussi», afferma Chiaramonte.

Gli anni passati al governo, prima con la Lega, poi con il Pd e infine nella grande coalizione a sostegno del premier Mario Draghi hanno appannato l’energia e la novità di forza anticasta. «Formazioni come Alternative für Deutschland e Rassemblement National sono più attrezzate oggi a intercettare il voto contro – conclude – perché sono sempre state all’opposizione. In Italia, invece, tutti hanno governato». ■

1. Bill Emmott, direttore dell'Economist dal 1993 al 2006
2. I leader di destra: Marine Le Pen (Rn), Tino Chrupalla (Afd), Herbert Kickl (Fpö), Giorgia Meloni (FdI)

La lunga partita per la Commissione europea

Ursula von der Leyen è in corsa per un secondo mandato, ma i socialisti mettono il veto ad alleanze con i conservatori

«Chiunque voglia indebolire, dividere l'Europa o privarla dei suoi valori, troverà in me un fermo avversario», diceva Ursula von der Leyen nel primo discorso da presidente della Commissione europea. Oggi è lei a sfidare l’Europa, impegnata nelle complesse macchinazioni per ottenere un secondo mandato. La prima donna a ricoprire l’incarico resta favorita, mentre i nomi dei contendenti non hanno lo stesso peso. Il rischio, però, è che gli alleati abbandonino la nave.

Ursula ha perso il primo match point. Il 17 giugno i membri del Consiglio euro -

peo, che riunisce i leader dei ventisette Paesi, si sono incontrati a Bruxelles per una cena informale. Si cercava l’intesa sui ruoli chiave della nuova legislatura.

Il Partito popolare europeo (Ppe) punta alla guida di Commissione e Parlamento, con la maltese Roberta Metsola pronta a presiedere l’Aula di Strasburgo per altri cinque anni.

Antonio Costa, socialista ed ex primo ministro del Portogallo, è in vantaggio per la presidenza del Consiglio europeo. In quota liberale, la prima ministra esto -

ne Kaja Kallas è candidata al ruolo di Alto rappresentante per la sicurezza e gli affari esteri dell’Ue.

Sul pacchetto di nomi non si è raggiunto l’accordo. Per capitalizzare il successo elettorale, i popolari hanno chiesto di sostituire Costa con un loro esponente a metà mandato, circostanza mai verificatasi prima. L’ufficio di presidente del Consiglio europeo dura due anni e mezzo, ma è stato sempre rinnovato per dare continuità durante la legislatura. Lo scenario non è piaciuto ai socialisti, ago della bilancia imprescindibile per una

di Michelangelo Gennaro

maggioranza in Parlamento. Alla fine del vertice, l’ospite Charles Michel, presidente uscente del Consiglio, ha rassicurato: «Era assolutamente chiaro dall’inizio, e non è una sorpresa, che l’obiettivo di oggi non era prendere una decisione», ha spiegato. «È un momento speciale, perché c’è una linea di ciascun partito secondo i risultati delle elezioni».

Era presente la prima ministra italiana Giorgia Meloni, che vuole strappare una vicepresidenza con portafoglio per Fratelli d’Italia. Rafforzata dalla vittoria alle urne, la premier è leader del terzo gruppo parlamentare dell’Eurocamera. I Conservatori e Riformisti (Ecr) hanno superato i liberali di Renew Europe, orfani di 28 parlamentari anche per il flop del presidente francese Emmanuel Macron. Undici nuovi deputati hanno aderito a Ecr, che si attesta a 86 seggi.

Adesso il Ppe ragiona su un’alleanza con i conservatori. La maggioranza che ha sostenuto von der Leyen nel 2019 avrebbe ancora i numeri per correre da sola. Popolari, liberali e socialisti contano 399 seggi, ma si temono defezioni durante il voto a scrutinio segreto per la nuova Commissione. Le stime parlano di un 10% di franchi tiratori, che mettono a rischio la maggioranza assoluta di 361 favorevoli su 720. La presidente non può

permettersi di rischiare, perché se non passasse la prova in Parlamento, il diritto dell’Ue le impedirebbe di tentare una seconda volta.

Il buon rapporto tra von der Leyen e Meloni lascia spazio a ogni possibilità. Totale l’apertura di Manfred Weber, capogruppo del Ppe: «Le persone vogliono vedere il cambiamento, un altro volto dell'Europa: è un'Europa di centrodestra per la quale hanno votato. Liberali e verdi - ha detto in un punto stampa a Bruxelles - escono da perdenti dalle elezioni europee. Noi dobbiamo assicurarci che la direzione politica dei prossimi cinque anni e la scelta dei top jobs rifletta questo».

Il tedesco spinge da anni per normalizzare i rapporti con i conservatori, «ma la sua posizione non rispecchia la maggioranza dei popolari», dice il direttore del Centro italiano di studi elettorali Lorenzo De Sio. Nell’Unione Cdu/Csu, che unisce i cristiano-democratici tedeschi e i cristiano-sociali bavaresi, «Weber rappresenta una corrente conservatrice - prosegue - che non incarna neanche la posizione dell’intero partito nazionale, figuriamoci del gruppo europeo».

Intanto il centrosinistra mette il veto. La posizione ufficiale è nella Dichiarazione di Berlino sulla democrazia adotta-

ta dai Socialisti e democratici a maggio: «Nessuna collaborazione o alleanze con Ecr o Id nel Parlamento europeo. Allo stesso tempo - si legge - invitiamo tutti i partiti democratici europei a rifiutare decisamente qualsiasi normalizzazione, collaborazione o alleanza con le forze di estrema destra».

Il prossimo banco di prova sarà a fine giugno. Von der Leyen resta avanti, ma se i popolari dovessero metterla da parte sarebbe una sconfitta per l’intero Parlamento. È lei, infatti, la spitzenkandidat del Ppe, che già nel 2019 non riuscì a eleggere il candidato di punta Weber, virando sulla ex ministra della difesa tedesca. I nomi degli altri partiti, come Nicolas Schmit dei socialisti e Marie-Agnes Strack-Zimmermann dei liberali, restano marginali.

Il sistema degli spitzenkandidaten, (candidati guida) esiste dal 2014. Ogni gruppo europeo dichiara chi nominerà presidente della Commissione in caso di vittoria elettorale. «È un tentativo di politicizzare in modo più netto il rapporto tra Parlamento e Commissione - afferma Francesco Cherubini, professore di Diritto dell'Ue all’Università Luiss - il vantaggio è mettere i cittadini nella condizione di scegliere in base a chi potrebbe essere a capo dell’esecutivo. Lo svantaggio è ridurre le opzioni del gioco democratico». Quando venne eletto presidente JeanClaude Juncker, esponente del Ppe, fu una vittoria di Strasburgo, che riuscì a far accettare il candidato di un gruppo parlamentare al Consiglio europeo.

Se l’organo intergovernativo dovesse scegliere un outsider, l'espansione del potere dell’Aula subirebbe una battuta d'arresto. Si attende il verdetto del prossimo incontro tra i leader europei: se non ci sarà un accordo, la nuova Commissione non verrà eletta prima di settembre. ■

1. Palais Berlaymont, sede della Commissione europea a Bruxelles

2. Ursula von der Leyen, presidente uscente della Commissione europea 2

Afd vs Bsw, i guastafeste radicali della politica tedesca

Le elezioni europee

hanno premiato, a destra e a sinistra, i due estremi dell'arco parlamentare tedesco dove

ormai il populismo è alla ribalta

«Alternative für Deutschland e Bündnis Sahra Wagenknecht occupano due vuoti politici e storici che si sono creati in Germania a destra e a sinistra», riconosce Federico Niglia, professore di Storia delle Relazioni internazionali all’Università per stranieri di Perugia. «Ciò che li unisce è la volontà di cavalcare l’ondata populista e l’antieuropeismo», prosegue l’esperto dell’Istituto affari internazionali (Iai).

La notte delle elezioni europee ha consegnato un risultato significativo per il paese che ha vissuto, negli anni Trenta e Quaranta, l’epoca buia del nazionalsocialismo.

All’indomani del 9 giugno, «Il Blu al posto dell’arcobaleno» è lo slogan che campeggia sul profilo X di Alice Weidel, co-presidente, assieme all’ex verniciatore Tino Chrupalla, di Afd. Non stupisce il riferimento al contrasto tra il colore simbolo del partito tedesco di estrema destra e l’emblema della comunità Lgbtqia+. Afd lotta da sempre contro la presunta avanzata dell’ideologia gender, considerandola un pericolo per la crescita e lo sviluppo armonico dei bambini.

Il 16,5 % ottenuto è stato rivendicato dai vertici della compagine, festanti al comitato elettorale con i cittadini che hanno premiato la ricetta anti-immigrazione ed islamofoba di Afd. Il secondo posto davanti ai socialisti della Spd – il partito del cancelliere Olaf Scholz – dimostra che le accuse di spionaggio in favore della Cina, la vicinanza alla Russia, e le simpatie neonaziste non hanno fatto cambiare idea a molti tedeschi delusi dall’establishment e dalla coalizione semaforo al governo.

Il bacino di Afd è eterogeneo: composto da operai dell’industria manifatturiera, borghesi, ma anche adolescenti attratti dalla destra radicale, in un paese

GERMANIA

dove anche i sedicenni hanno il diritto di voto. Quanto al genere, secondo l’aggregatore indipendente di sondaggi e dati Europe Elects, Afd risulta il secondo partito tra gli uomini e il quarto tra le donne.

Per capire la parabola del fenomeno populista è opportuno guardare al governo ultradecennale di Angela Merkel, quando «Afd ha approfittato di un vuoto creato dal centrodestra tedesco, dal mondo Cdu/ Csu e dai liberali del Fdp» secondo Niglia. Nell’era della «cancelliera di ferro», i cristianodemocratici si spostano infatti su una posizione centrista rubando molti consensi alla Spd e proiettando la Germania sempre più al centro dell’Europa. «Ciò non rappresenta un problema nella prima fase dell’era Merkel ma lo diventerà negli anni Dieci» - continua lo storico – «quando negli altri paesi europei inizia il decennio populista, mentre in Germania la situazione resta cristallizzata perché la cancelliera lascia nel 2021».

A detta di Niglia, la Cdu non è il partito di centrodestra dell’ex cancelliere Konrad Adenauer, ma è molto swinging, ovvero oscillante. La conseguenza è un vuoto di consenso creato in un elettorato che comincia a sentire una serie di paure negli anni Dieci, «timori diversi da quelli che può percepire un greco o un italiano perché per loro c’è la crisi economica e finanziaria, mentre nei tedeschi esiste la paura dell’esterno, del terrorismo e la questione dei richiedenti asilo diventa un problema sempre più importante». Ciò si accentua quando Merkel fa scelte considerate da alcuni coraggiose, ma da altri insoddisfacenti, come l’apertura ai migranti siriani in fuga dalla guerra civile.

In questo contesto nasce nel 2013 Afd, soggetto «che ha cambiato pelle molte volte». Nato come partito di élite -su iniziativa di economisti e professori universitari- perde nel tempo quella vocazione, abbracciando populismo e iper-nazionalismo. Per Niglia «è dal 2017 al 2024 che la formazione conosce un’escalation»: nell’ex DDR (Deutsche Demokratische Republik), solo la Cittàstato di Berlino non ha visto primeggiare Afd alle europee, e anche ad ovest è evidente la crescita. Risultato significativo per il partito, che punta a confermarsi in autunno nei territori al voto dell’ex Germania dell’est: Turingia, Brandeburgo e Sassonia.

La popolarità tra gli under 30 è spiegata in parte con l’uso sapiente di TikTok, dove circolano simboli e codici dell’estrema destra. Secondo uno studio condotto dall’ Anne Frank Educational Center di Francoforte sul Meno, il social cinese di ByteDance è usato come se fosse un universo parallelo per diffondere l’ideologia di Afd. Ulrich Siegmund, esponente di Afd in Sassonia-Anhalt si colloca al primo posto delle personalità politiche più seguite, con più di 400mila follower e in top 5 compare anche Alice Weidel. In particolare, la leader ha spesso un’immagine spontanea e divertente, diversa rispetto a quella austera veicolata nei media tradizionali.

Appena espulso dal gruppo Identità e democrazia, Afd non è più l’unico partito tedesco che «gioca a radicalizzare la politica». Oggi c’è il suo «partner in crime Sahra Wagenknecht», che punta a rubare voti all’ultradestra. Il Bsw è un fenomeno più recente, ma con una storia diversa, «ancora da decifrare» e legata allo spostamento al centro del principale partito al governo: la Spd.

Il Bsw nasce l’8 gennaio 2024 «come sinistra più radicale perché la Linke, erede del Partito socialista unificato Sed, è diventata un ramo secco». Il 6,2% delle europee è un buon esordio per la cinquantaquattrenne Wagenknecht, intellettuale di origine iraniana con una lunga carriera politica, e autrice del volume «Contro la sinistra neoliberale». Al contrario della vecchia Linke, sprofondata al 2,8%, il Bsw ha superato la soglia di sbarramento tedesca del 5%, affermandosi come terzo partito ad est dietro la Cdu e l’Afd.

Guidato dalla moglie del fondatore di Die Linke Oskar Lafontaine, il Bsw ha disertato, assieme ad Afd, il discorso tenuto al Bundestag dal presidente ucraino Volodymyr Zelensky alimentando dubbi sull’orientamento filorusso.

Stop delle armi a Kiev, un salario minimo più alto, chiusura sui diritti civili e il contrasto al «cieco eco-attivismo» e all’immigrazione illegale sono gli ingredienti della ricetta sovranista. La posizione sulla guerra scatenata dalla Russia lo accomuna al Movimento 5 Stelle, tanto che secondo Repubblica, il leader grillino Giuseppe Conte valuta l’ipotesi di creare un gruppo “rossobruno” con il Bsw e Smer, il partito del premier slovacco Robert Fico. La realtà Afd e il neonato Bsw: questi sono i due grattacapi del cancelliere Scholz e della Spd, reduce dal peggior risultato elettorale della sua storia, con più di 570mila voti che si sono spostati dai “rossi” all’ultradestra. Non solo la Francia, anche il suo vicino tedesco deve fare oggi i conti con una leadership debole, gli strascichi delle urne europee e il vento nazionalista alle porte. ■

1. Banchetto elettorale di Afd

2. Manifesto di Afd contro l'Unione europea

3. Sahra Wagenknecht (BSW) durante un comizio

L’estrema destra conquista la Francia

Le elezioni del 9 giugno hanno visto trionfare il Rassemblement National di Marine Le Pen. Per questo Macron ha sciolto il Parlamento e indetto nuove elezioni

Le Pen? Pas la Peine. È la scritta che campeggiava su uno dei cartelli branditi dai manifestanti radunatisi la sera del 9 giugno, dopo che i primi exit poll francesi hanno decretato il Rassemblement National (Rn), guidato da Jordan Bardella e Marine Le Pen, primo partito.

La manifestazione è seguita alla conferenza stampa indetta dal Presidente francese Emmanuel Macron dove ha annunciato lo scioglimento del Parlamento e indetto nuove tornate elettorali, per il prossimo 30 giugno e il 7 luglio.

Il risultato delle elezioni europee non era inaspettato: «c’è una relativa stabilità delle forze europeiste che siedono nei seggi francesi del Parlamento, un’avanzata vertiginosa del Rassemblement National»

spiega Jean Pierre Darnis, professore e ricercatore presso (forse meglio mettere l’Università) LUISS e Université Cote d’Azur.

Erano anni che si prospettava una vittoria del Rassemblement National- partito di estrema destra fondato nel 1972 da Jean Marie le Pen- che a partire dal 2008 ha compiuto un percorso di istituzionalizzazione.

Nel 2011, in occasione del sedicesimo congresso del partito, Marine Le Pen ha annunciato il cambio di nome del movimento, da Front National (Fn) a Rassemblement National, per segnare una cesura con la direzione paterna del partito. «Il tentativospiega il giornalista Eric Jozsef- del Rn è simile a quello di Fratelli d’Italia, entrambi si sono allontanati dai partiti di cui sono figliil Front National e l’Msi- e hanno abbrac-

di Matilda Ferraris
CAOS

ciato una visione meno antieuropeista, pur rimanendo entrambi due partiti di destra estrema».

Oggi la faccia “presentabile” del Rn si chiama Jordan Bardella: «un giovane di ventotto anni che viene dalla militanza politica ed è cresciuto nelle banlieue parigine. Non è un Le Pen e dunque non incarna una forma di nepotismo dinastico. Rompe questa cosa e normalizza il partito, ha tutte le carte per diventare un leader» spiega Darnis. Qualora il Rn dovesse vincere le elezioni sarebbe Bardella ad assumere la carica di primo ministro, non Le Pen.

Secondo Jozsef la strategia di Macron era volta a cogliere impreparato il Rn, secondo lui non ancora pronto per governare, «il Presidente però non aveva previsto l’alleanza a sinistra che per tanti anni si è presentata divisa alle tornate elettorali».

La France Insoumise, il partito di Jean Luc Mélenchon, che si contraddistingue per posizioni di sinistra radicale che passano dal no agli aiuti all’Ucraina alla risolutezza nel non considerare Hamas un’organizzazione terroristica, ha deciso di formare una coalizione con tutte le forze di sinistra, il Nouveau Front populaire.

«Sono riusciti a fare un’alleanza elettorale e governativa sotto la dicitura di Fronte Popolare che riprende la dizione storica dei fronti del ‘36» per Darnis il risultato è frutto di un compromesso inaspettato a cui Macron non avrebbe mai pensato.

I partiti che hanno risposto all’appello de la France Insoumise sono: i socialisti di François Ruffin, i Verdi di Marine Tonde-

lier, i comunisti guidati da Fabien Roussel, Picardie Debut di François Ruffin e infine, il più scettico, Raphael Gluckmann di Place Publique. «Hanno trovato un’intesa su punti programmatici non scontati come la condanna congiunta all’attacco terroristico del 7 ottobre, o il sostegno all’Ucraina» spiega il professor Darnis .

La posizione dei leader di la France Insoumise è più oltranzista, al contrario dei socialisti che sono più moderati: «ma Mélenchon ha deciso di mettersi da parte e far sì che fossero i suoi a trattare per formare la coalizione» continua lo studioso. Il compromesso, stando ai sondaggi più recenti, sembra aver pagato. Per i sondaggi più recenti il FnP è al secondo posto con una stima percentuale compresa tra il 25 e il 28%, superato solo dal partito di Le Pen che vola al 30%.

«Non è un Le Pen e dunque non incarna una forma di nepotismo dinastico»

Se la sinistra è riuscita a fare alleanze rimanendo compatta, lo stesso non si può dire della destra moderata: Eric Ciotti, presidente dei Républicains, ha annunciato un’alleanza con il partito di Le Pen. La risposta dei compagni gollisti non si è fatta attendere, l’ufficio politico del partito ha decretato all’unanimità l’espulsione di Ciotti, il quale non ne ha voluto sapere: «Io resto il presidente».

Secondo Darnis: «l’elettorato gaullista e quello del Rn sono porosi. Molte persone che nel secolo scorso avrebbero votato il

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generale de Gaulle oggi voterebbero il partito di Le Pen. Per i Républicains sarebbe il primo accordo con l’estrema destra, non è nel loro DNA storico». Per lo studioso il partito potrebbe spaccarsi e la sua rilevanza già scarsa potrebbe acuirsi.

È in grande crisi il partito di Emmanuel Macron, Renaissance. «I suoi deputati sono stati traumatizzati dallo scioglimento, Macron raccoglie critiche ed è osteggiato da una larga fetta di opinione pubblica» spiega Darnis, i sondaggi più recenti armano al 19% la fiducia che la popolazione francese ripone in lui ed è calata anche quella del suo elettorato, tant’è vero che il partito sta cercando di fare campagna elettorale senza fare riferimento al nome del presidente, proprio perché la sua politica «viene disegnata come la fonte del male». La larga coalizione potrebbe essere votata anche dall’elettorato di sinistra di Macron.

Gli scenari per il prossimo luglio sono molteplici, ma nessuno di questi vede un Macron forte ed egemone: «Se il Rassemblement National dovesse ottenere la maggioranza assoluta governeranno loro da soli, se non dovesse farcela il centro e la sinistra potrebbero allearsi ma in tal caso i marconisti sarebbero ancillari e suppletivi alla sinistra» conclude Darnis. ■

1. Proteste a Parigi dopo i risultati delle elezioni europee

2. Emmanuel Macron, presidente della Repubblica francese

3. Marine Le Pen, leader di Rassemblement National

Jordan Bardella, l'enfant prodige

ASCESA

Il ventottenne presidente dell’RN, figlioccio di Marine Le Pen, potrebbe governare la Francia

di Laura Pace

Oltre un milione di follower su Tik Tok e un sorriso studiato, Jordan Bardella, leader del Rassemblement National (RN), ha trasformato l'estrema destra francese, diventando l'astro nascente che minaccia di riscrivere le regole del potere a Parigi.

Con il 31,4% alle ultime elezioni europee ha ottenuto il risultato migliore nella storia del suo partito e costretto il presidente Emmanuel Macron a sciogliere l’Assemblea nazionale.

Nasce nel 1995 nelle case popolari di Saint Denis, un sobborgo povero a nord di Parigi, da Luisa Bertelli-Motta e Oliver Bardella, italiani immigrati in Francia.

Dopo il divorzio dei genitori, rimane nel quartiere natale con la madre. Ha solo 17 anni quando decide di cominciare la sua attività politica nelle fila del Front National. Il motivo sono le violente rivolte

avvenute nelle periferie francesi quando è ancora un bambino. Abbandonati gli studi in geografia, si dedica alla politica. Consigliere regionale, portavoce, vicepresidente e a soli 23 anni guida la lista del RN alle europee del 2019, diventandone il primo leader non appartenente alla famiglia Le Pen nel 2022.

Oggi Bardella è una figura centrale in grado di attrarre elettori più piccoli. È definito il "re dei selfie" per la sua capacità di conquistare il pubblico giovanile. Molti cittadini lo vedono come un influencer capace di avvicinare anche pensionati e classi medio-alte: ormai corrono ai suoi meeting per ascoltarlo e fare un selfie. Una sorpresa per molti: fino a pochi mesi fa il Rassemblement National era un partito di boomers.

Durante la campagna elettorale, ha portato avanti temi cari all'estrema destra, come la limitazione della libera circolazione dei migranti e il rafforzamento dei controlli alle frontiere, questioni tra le più delicate per i francesi.

Il giovane politico sta portando avanti la dédiabolisation (normalizzazione) del movimento. Sull'Ue dichiara: «Non sono contro l'Europa. Sono contro il modo in

cui l'Europa funziona». Nonostante la sua scarsa partecipazione ai lavori del Parlamento europeo, la sua capacità di attrarre l'attenzione mediatica e di influenzare l'opinione pubblica è indiscutibile.

Visti i risultati dell’ultima tornata elettorale, Bardella è ora considerato il candidato naturale per la carica di primo ministro, mentre Marine Le Pen punta la presidenza nel 2027.

La France revient, lo slogan per le europee 2024, riflette il desiderio di un ritorno alla grandezza nazionale, parallelo a L'Europe revit per rispondere alle critiche di Macron. Bardella si ispira anche a figure storiche come Jacques Chirac, sindaco di Parigi per 18 anni, politico gollista che si scontrò con Le Pen padre, e poi presidente della Repubblica; di lui ha ripreso alcune caratteristiche stilistiche.

Il ventottenne quest’anno è stato l’unico politico inserito nella lista delle 50 personalità più amate dai francesi, secondo il sondaggio Ifop per Le journal de dimanche. Personaggio complesso e capace di unire carisma e strategia politica, incarna una nuova visione per la destra francese. Il suo futuro sembra destinato a essere lungo e influente. ■

La doppia vita di Alice Weidel

AVANZATA

Nella Germania di Olaf Scholz, l'estrema destra si fa largo tra i giovani. Chi è la leader di Afd

di Francesco Esposito

Un gruppo di ragazze e ragazzi sembra divertirsi all’esterno di un locale sull’isola tedesca di Sylt, sul Mare del Nord. Sono tutti ben vestiti e biondissimi. Ballano al ritmo de L’amour toujours del dj italiano Gigi D’Agostino, ma ci cantano sopra un ritornello originale: «Deutschland den deutschen und ausländern raus»; tradotto: “la Germania ai tedeschi e gli stranieri fuori”. Uno di loro mette le dita sulla bocca ad imitare un famoso baffetto e accenna un saluto nazista.

La hit del Capitano, come lo chiamano i fan, è stata oggi vietata in Germania. Troppo diffusa l’usurpazione fatta dalle fasce più giovani della nuova ondata di estrema destra che sta travolgendo il paese. Alle ultime europee il partito Alternative für Deutschland, da molti definito “neonazista”, ha ottenuto il 16%. «Con il 17% siamo diventati, al pari di CDU (ndr Unione Cristiano-Democratica), la forza

più importante tra gli adolescenti e i giovani adulti», con un post su X Alice Weidel, quarantacinque anni, co-presidente dell’Afd e nel 2017 candidata del partito per la cancelleria, ha evidenziato il nuovo feeling dell’estrema destra tedesca con i giovani.

Weidel è un’economista, per un breve periodo lavora anche per la Goldman Sachs di Francoforte e poi Bank of China – parla fluentemente il cinese mandarino – e Allianz. Sarà l’ammirazione per Margaret Thatcher, neoliberista primo ministro britannico per tutti gli anni Ottanta, ma si è trovata a suo agio nel programma euroscettico del partito, fondato nel 2013 da ex membri del CDU.

Ha sposato la causa della formazione conservatrice nonostante un altro tratto della sua storia personale: Alice Weidel è omosessuale. Convive da tempo con Sarah Brossard, produttrice cinematografica svizzera ma originaria dello Sri Lanka. La coppia ha due figli adottivi, che vivono in Svizzera. Molti potrebbero pensare a un controsenso, ma la politica tedesca è piuttosto convinta di una cosa: «Non sono qui nonostante la mia omosessualità», ha detto parlando ad un evento elettorale in Baviera nel 2017, «ma per essa». Secondo

lei, conservatori e comunità Lgbtq+ hanno un nemico comune contro cui unire le forze: l’Islam. In un’intervista del 2017 ha dichiarato che «l’Afd è l'unica protezione reale per i gay e le lesbiche in Germania», minacciati dall’immigrazione musulmana ostile.

Weidel ha sempre risposto con forza a chi, fra opposizione e stampa, vedeva una contraddizione fra il suo orientamento sessuale e quello politico: come difendere la sacralità della famiglia tradizionale avendone una che di tradizionale non ha niente? Favorevole alle adozioni per le coppie omosessuali sì – a differenza di quanto dichiarato da altri esponenti del partito –, ma “ideologia gender” no.

Il contrasto fra la vita privata di Alice Weidel e le sue posizioni politiche è stato spesso motivo di discussione in Germania. Alcuni scandali hanno alimentato la polemica. Durante la campagna elettorale del 2017, contraddistinta da parte di Afd da feroci discorsi anti-immigrazione e xenofobi, il quotidiano Die Zeit riferì di aver scoperto che la politica aveva assunto una ragazza rifugiata siriana come collaboratrice domestica pagandola a nero. La vita è fatta di contraddizioni, quella di Alice Weidel non fa eccezioni. ■

Le sfide di Mette Frederiksen

La straordinaria carriera politica della prima ministra più giovane della storia danese

«Non ho dubbi che il colpo fosse diretto contro il primo ministro», ha dichiarato Mette Frederiksen a Danmark Radio. «In questo senso, diventa anche un attacco contro tutti noi».

Dopo l’aggressione fisica che ha subito il 7 giugno da parte di un uomo, mentre era in una piazza di Copenaghen, la premier danese è ancora sotto shock: «Sono molto triste perché siamo stati sempre così felici e orgogliosi di un Paese in cui la prima ministra va a lavorare in bicicletta».

La delusione è ancora più cocente se unita ai risultati delle recenti elezioni europee. Sebbene in Danimarca le destre non avanzino, il partito Socialdemocratico guidato dalla premier arriva solo secondo con il 15,57% delle preferenze.

Un esito deludente se paragonato al 27,5% ottenuto alle politiche del 2022. «Sono molto irritata da questo risultato», ha dichiarato in un’intervista, «è un campanello d’allarme, un messaggio da parte dei danesi che c’è qualcosa che non va in questo governo».

Recuperare il consenso non sarà facile, soprattutto quando a farle concorrenza c’è il Partito Popolare Socialista, che pesca i voti nel suo stesso bacino elettorale, ma Mette Frederiksen ha alle spalle una lunga e precoce carriera politica durante la quale ha affrontato situazioni ben più difficili.

All’età di 15 anni entra a far parte dell’ala giovanile del partito Socialdemocratico. A 24 viene eletta in Parlamento ed è nominata portavoce per la cultura, i media e l’uguaglianza di genere. Nel 2011, con la nascita del governo presieduto da Helle Thorning-Schmidt, diventa prima ministra del Lavoro e poi della Giustizia.

Dopo la sconfitta subita l’anno successivo alle elezioni politiche, viene scelta come leader dell'opposizione, ruolo che ricopre fino al 2019 quando, all’età di 41 anni, diventa la seconda donna e la persona più giovane nella storia danese a esercitare la carica di prima ministra. Sotto

la sua guida il partito Socialdemocratico cambia pelle, subendo un riposizionamento a sinistra sul piano economico e a destra su quello dell’immigrazione. Frederiksen critica con forza gli effetti negativi di una globalizzazione senza regole che, insieme all’immigrazione di massa e alla libertà di movimento dei lavoratori, ha danneggiato gli strati più vulnerabili della popolazione.

Sulla base di questa convinzione, appoggia buona parte della legislazione anti-immigrazione proposta dai partiti di destra, che trasforma la Danimarca in uno dei Paesi meno accoglienti d’Europa.

Durante la pandemia, viene contestata dai suoi stessi alleati di coalizione per le misure anti-Covid adottate. In particolare, la decisione di abbattere milioni di visoni scatena molte polemiche e fa crollare i consensi, soprattutto quando, nel giugno 2022 una commissione d’inchiesta parlamentare conclude che l’azione non aveva nessuna base legale.

I liberali di Venstre e la Sinistra Radicale le negano il loro appoggio costringendola ad indire elezioni anticipate. Ma Frederiksen sembra immune ai colpi bassi e ai rovesci del destino. Con la nuova tornata elettorale il suo partito ottiene il 27,5% dei consensi, il miglior risultato in 20 anni. Riconfermata come premier, questa volta è sostenuta da una maggioranza trasversale che comprende anche i liberali e i centristi – moderati. ■

di Lavinia E. Monaco

Magyar, il delfino ribelle, mette in crisi le certezze di Orban

OPPOSIZIONE

La storia del leader di Tisza raccoglie consensi. Le scorse elezioni europee hanno mostrato un cambiamento dell’opinione pubblica del Paese

di Nicoletta Sagliocco

Quarantenne, avvocato ma con una solida carriera dalla sua parte, Peter Magyar è l’uomo che ha scosso l’ordine costituito e monopolizzato per oltre dieci anni dal primo ministro Viktor Orban in Ungheria.

Cresciuto in un ambiente giuridico, la lotta alla corruzione è diventata il centro dell’ideologia promossa dal suo partito, Tisza, fondato nel 2021 con l’obiettivo di difendere la libertà. Nel 2024 ha partecipato per la prima volta alle elezioni europee dell’8 giugno, ma la carriera di Magyar non è stata così lineare. Il suo impegno parte da Fidesz, formazione politica guidata da Orban.

La decisione di abbandonare la militanza nel partito ultraconservatore nasce dalla storia personale. Il divorzio dalla moglie, l’ex ministra della giustizia Judit Varga, ha rappresentato uno shock per l’intera popolazione ungherese, che ha seguito la sua vicenda personale e professionale come fosse un romanzo.

La coppia, assieme ai figli, era vista da tutti come il simbolo della famiglia tradi-

zionale a difesa degli ideali del partito di Orban, gli stessi contro cui Tisza si batte oggi.

A spingere Magyar verso un percorso d’opposizione è stato lo scandalo che ha visto come protagonista Varga e l’ex presidente della Repubblica Katalin Novak. Entrambe hanno rinunciato alle loro cariche istituzionali dopo aver assolto il vicedirettore dell’orfanotrofio di Bicske, incriminato per aver insabbiato gli abusi sessuali del suo capo ai danni dei minori ospitati nella struttura.

È in quest’occasione che Magyar ha reso pubbliche, durante un’intervista, dei file audio in cui l’ex ministra lascia intendere che alcuni membri del governo di Orban avessero nascosto le prove di vari documenti giudiziari che testimonierebbero il loro coinvolgimento in un giro di corruzione.

Dopo questi avvenimenti la carriera politica dell’avvocato è stata minata dalle accuse di Varga, che ha tentato, invano, di stroncare la sua ascesa con false denunce di violenza domestica. Il successo di

Tisza è stato inarrestabile. Con l’attività sui social e la vicinanza al suo elettorato, Magyar ha radunato in questi mesi decine di migliaia di cittadini nelle piazze delle città ungheresi, come Budapest e Debrecen.

I risultati delle elezioni europee hanno dato prova della sua rilevanza politica in un Paese già colpito dall’alta inflazione e da una crisi economica che persiste da tempo. Fidesz, battendo le opposizioni, ha guadagnato il 44,8% dei voti, perdendo circa otto punti percentuali rispetto a cinque anni fa. Allo stesso tempo Magyar, con una proposta di centrodestra, ha portato il suo partito a conquistare circa il 30% dei consensi e sette seggi all'eurocamera. Anche se ad oggi non ci sono certezze, si vocifera di un possibile ingresso di Tisza nel Partito popolare europeo.

Il risultato ottenuto è stato motivo di orgoglio e, secondo quanto affermato dal leader, è la dimostrazione della mancanza di stabilità del governo di Orban e dà speranza e fiducia per le prossime elezioni nazionali del 2026. ■

Il centrodestra supera il test la Lega si aggrappa a Vannacci

ALLEATI

Fratelli d’Italia vola

alto, Salvini perde il Nord, Forza Italia sorride anche

senza Silvio

Ogni cinque anni oltre 370 milioni di elettori sono chiamati a rinnovare il Parlamento europeo. In Italia, però, come da tradizione, l’appuntamento si trasforma in una partita politica tutta interna, occasione per pesare i voti e confermare o rivedere i rapporti di forza, anche in vista del braccio di ferro sulle riforme costituzionali. Colpa del proporzionale, che obbliga gli alleati di governo al tutti contro tutti in una lotta all’ultimo scranno. I Fratelli d’Italia della premier Giorgia Meloni riescono a quadruplicare la rappresentanza a Bruxelles, aumentando di quasi tre punti percentuali i consensi delle politiche, ma non sono l’unica sorpresa nel centrodestra.

Appena un anno fa, alla morte del suo fondatore, analisti e commentatori la davano per spacciata: oggi Forza Italia (FI), in tandem con Noi Moderati, si attesta seconda forza della maggioranza, con il 9,6% dei voti e la doppia cifra al sud. Il capogruppo al Senato Maurizio Gasparri al telefono non nasconde la soddisfazione:

«Abbiamo dimostrato che i valori del berlusconismo sono attuali. Non era scontato che le cose sarebbero andate così», un risultato che «dedichiamo commossi al nostro presidente». Complice la candidatura del segretario Antonio Tajani, capolista in quattro circoscrizioni su cinque, gli azzurri staccano la Lega di oltre mezzo punto. Per il governo «non ci sono rischi di nessun tipo», assicura Gasparri, il sorpasso non è «il tema» e non scompagina gli equilibri. I numeri cambiano: «Fdi un tempo alle europee non riusciva a raggiungere il quorum e oggi guida il governo, noi avevamo di più, siamo andati indietro e ora stiamo risalendo. Gli elettori si possono anche spostare», spiega, «ma sono omogenei con la nostra area». Nessun pericolo in vista, dunque, per la «tenuta complessiva» della coalizione.

Intanto, la Lega di Salvini, che ospitava in lista pure alcuni candidati dell’Unione del Centro (UdC), lascia sul campo ben 14 eurodeputati: 7 milioni di voti. Il risultato migliore lo fa in Molise, 17%, con

di Luca Graziani
ALLEATI

Fdi oltre il 30% in tutto il Centro Nord. L’ancora è Roberto Vannacci, su cui in via Bellerio scommettono tutto. Il generale, corteggiato da Salvini e inviso a mezzo partito, porta in dote più di 530 mila preferenze. Quel margine di uno o due punti senza il quale la Lega sarebbe scivolata sotto i risultati delle ultime politiche.

I numeri di oggi non sono certo quelli del 2019, quando il Carroccio viaggiava intorno al 34%. Un’idea del perché la doppia cifra sia ormai soltanto un ricordo, ce l’ha Paolo Grimoldi, ex segretario della Lega Lombarda, per 16 anni in parlamento: «Se non è ben chiaro il progetto politico, diventi un cartello elettorale ed è probabile perdere consensi. Prendi un voto d'opinione, ma fai una lista con tutto e il contrario di tutto».

Grimoldi è tra le voci più critiche nei confronti del nuovo corso salviniano. Vicinissimo a Umberto Bossi, è stato lui a diffonderne le parole ad urne aperte. «Ha detto che avrebbe votato Marco Reguzzoni, un uomo da trent'anni sinceramente federalista. Che poi Reguzzoni si sia candidato come indipendente in Forza Italia è un dato di fatto». Piuttosto, «bisognerebbe interrogarsi sul perché» della scelta, prosegue, è un modo «per dare un segnale, io la interpreto così. FI ha un programma, la Lega non si capisce più su cosa punta. Sulla destra estrema, sui democristiani, su chi cambia partito dopo aver ap -

poggiato von der Leyen per cinque anni». Non usa mezzi termini l’ex deputato coordinatore del “Comitato Nord”, corrente interna voluta dallo stesso Bossi: «Il problema sono le contraddizioni, non Vannacci che ha preso tante preferenze. Si può condividere o meno la sua linea, ma se lo candidi con l'UdC di Cesa e con Patriciello», ex eurodeputato azzurro, «vuol dire che ti sta a cuore soltanto prendere i voti. Sono tutti in lista sotto il nostro simbolo».

Insomma, il «sogno» non c’è più e il Senatùr, che non è nuovo ad attacchi a Salvini, avrebbe deciso di non restare in silenzio. Quando «un partito che fa il sindacato del territorio a 360 gradi cambia DNA, chi l'ha fondato lo percepisce», tant’è che “l’Umberto" non sarebbe neppure tesserato con la nuova Lega. «Se è vero? Dovete chiederlo a lui. A me non risulta che lui abbia la tessera della Salvini Premier, ha la tessera della Lega (Nord)», formalmente non ancora estinta.

Sull’autonomia differenziata, appena approvata alla Camera, Grimoldi ritrova il buon umore. È «una buona notizia», spiega, ma attenzione a cantar vittoria: «nel 2010 passò una legge analoga sul federalismo fiscale, approvata da entrambi i rami del parlamento. Si arenò perché poi non fecero i decreti attuativi. Questo è solo l'inizio di un percorso», che si preannuncia a ostacoli.

Dopo quello al Senato, il secondo definitivo via libera al ddl Calderoli, infatti, arriva con la defezione dei deputati calabresi di Forza Italia. Contesta il metodo Roberto Occhiuto, vicesegretario forzista e presidente della Calabria, che in un’intervista a Repubblica parla di “boomerang elettorale”: «occorreva un ulteriore momento di riflessione. È stata votata di notte e in fretta per dare un contentino a una forza politica di maggioranza». Dichiarazioni che fanno il paio con quelle di Vito Bardi, governatore della Basilicata, che fa sapere di «condividere le perplessità espresse da alcuni esponenti» del partito.

A sgombrare il campo dalle polemiche ci pensa Gasparri: «La linea di Forza Italia è molto chiara, appoggiamo l’autonomia. In Senato la dichiarazione a favore l’ha fatta il nostro senatore calabrese Mario Occhiuto», fratello di Roberto, «dando un contributo importante per migliorare il provvedimento a garanzia delle regioni del sud che hanno norme di salvaguardia e garanzia con i famosi Lep», i livelli essenziali di prestazioni. «Tutti abbiamo nel programma tutto», puntualizza, «poi ci sono delle priorità. Noi siamo presidenzialisti e siamo per il premierato, così come siamo fautori della riforma della giustizia, ma non consideriamo irrilevanti» gli altri temi. ■

Schlein conquista il Pd ma il campo largo resta nel limbo

Il voto europeo premia il centrosinistra a trazione dem, Conte perde milioni di voti

«La leader del Partito democratico, Elly Schlein, è senza dubbio uscita più forte dal voto europeo, ma per assumere il ruolo di federatrice del centrosinistra bisogna ancora aspettare», spiega Massimiliano Panarari, politologo e professore di comunicazione politica all’Università Luiss Guido Carli.

Alle elezioni europee dell’8 e 9 giugno, il Pd ha raggiunto il 24% confermandosi come seconda forza politica del Paese e aumentando non solo i voti percentuali, ma anche in termini assoluti rispetto alle politiche del 25 settembre 2022, quando al Nazareno c’era ancora Enrico Letta.

«Abbiamo raggiunto l’obiettivo di tenere in minoranza in Ue i nazionalisti. Questi sono i frutti di anni di lavoro», aveva dichiarato il senatore Francesco Boccia, tra i primi esponenti dem a rilasciare dichiarazioni nella notte elettorale. Schlein ha rafforzato la propria leadership grazie alla capacità di mediare tra le diverse anime del partito, come quella riformista incarnata da Stefano Bonaccini, presidente

del partito. Dopo un anno di segreteria, il successo nelle urne da nuova linfa alla sua linea progressista, che dimostra di godere di largo seguito tra gli elettori.

Uno degli elementi chiave è stata l'attenzione posta sui temi sociali durante la campagna elettorale. Oltre ai diritti civili, il Pd ha scelto di mettere in primo piano questioni come il lavoro, la giustizia sociale e la lotta alle disuguaglianze. Questo approccio ha permesso ai dem di riconnettersi con un elettorato più ampio, includendo fasce della popolazione che si sentivano trascurate.

Nonostante il buon risultato, a mancare è l’exploit di preferenze nelle circoscrizioni in cui Schlein era capolista. Il Pd riconquista terreno soprattutto nel Meridione, dove un fattore decisivo sono state le candidature dei cosiddetti "cacicchi" locali, figure politiche che continuano a esercitare una forte influenza sul territorio. Un esempio emblematico di questo fenomeno è il grande successo ottenuto dall'ex sindaco di Bari, Antonio Decaro,

RIVALI
di Alessio Matta

campione di preferenze, che tanto ha contribuito alla performance dem nel Sud Italia. Se la leadership di Schlein ha portato a un consolidamento a livello nazionale, Decaro, con la sua popolarità e il radicamento nel territorio, ha saputo attrarre consenso, dimostrando come le influenze locali continuino a giocare un ruolo cruciale nelle elezioni.

Se il Pd ha raggiunto un discreto traguardo, lo stesso non si può dire per il Movimento 5 Stelle. «Prendiamo atto del risultato deludente», ha dichiarato il leader Giuseppe Conte in conferenza stampa. La creazione di una coalizione di centrosinistra con la formula del "campo largo" tra le due forze affronterà notevoli difficoltà di qui in avanti. La debacle pentastellata mette tutto in discussione, non soltanto l'alleanza con i dem, ma anche la stessa leadership dell’avvocato.

Fino al voto, i sondaggi davano il movimento fondato da Beppe Grillo non troppo distante dal Pd, ma i 5 Stelle sono riusciti a ottenere solo il 10%, meno della metà del partito guidato da Elly Schlein. Questo drastico calo di consensi ha sollevato dubbi sulla capacità del movimento di attrarre elettori, mettendo in discussione la credibilità di Conte come leader. L'insuccesso dei 5 Stelle complica ancor di più i tentativi di costruire un'alleanza stabile e coesa. Il Pd, pur desideroso di ampliare la propria coalizione per fronteggiare la destra, deve ora riconsiderare l'efficacia di un'alleanza con un partner indebolito.

Giuseppe Conte sembrava addirittura pronto a lasciare, con l’ex sindaca di Torino Chiara Appendino già in pole per prendere il suo posto alla guida del Movimento. Una candidatura non troppo felice, spiega il professor Panarari: «Appendino ha un problema perché la Cassazione ha confermato in via definitiva la condanna per i tragici fatti di piazza San Carlo a Torino. Questo crea imbarazzo per il M5s, che è nato giustizialista e si è sempre dichiarato molto fedele rispetto alle decisioni della magistratura».

Dopo le indiscrezioni, l’avvocato ha confermato il suo ruolo di capo politico, rimanendo al timone nonostante l'inasprirsi del contrasto con il fondatore Beppe Grillo, che preferirebbe un ritorno "alle origini". Una diatriba che sottolinea le tensioni esistenti tra il nuovo corso di Conte e la nostalgia di Grillo per i principi fondativi del Movimento.

Alleanza Verdi e Sinistra, terza forza del “campo largo” guidata dai leader Nicola Fratoianni e Angelo Bonelli, ha ottenuto un notevole successo con il 6,8%. Fondamentale è stata la candidatura di Ilaria Salis, attivista monzese nota per la sua detenzione carceraria nell'Ungheria di Orban. Questo ha suscitato nuovo interesse e sostegno da parte dell'elettorato. Il suo impegno per i diritti umani e la sua testimonianza personale hanno contribuito a rendere la campagna elettorale di Avs molto incisiva. A confermare questa tesi, Massimiliano Panarari evidenzia la «radi-

calizzazione di una parte delle giovani generazioni a sinistra: il 40% degli studenti fuori sede ha premiato Avs, molti ragazzi e ragazze credono in questa forza politica».

Durante la campagna elettorale si è concentrata sulle battaglie sociali, approfondendo tematiche come la sanità pubblica, il no all’autonomia differenziata e la tutela dei diritti civili. Questo approccio ha attratto un bacino di voti importante, inclusi giovani e attivisti che vedono in Fratoianni e Bonelli un punto di riferimento per le loro aspirazioni di cambiamento. Di grande importanza anche il posizionamento assunto dal partito contro i bombardamenti di Israele a Gaza, che ha ulteriormente consolidato questo sostegno.

Dopo un voto proporzionale che ha messo da parte ogni esperimento di campo largo, Conte e Schlein si ritrovano sullo stesso palco. La piazza del 19 giugno indetta dalla segretaria dem contro il premierato e l’autonomia differenziata, freschi di approvazione alla Camera, dopo mesi di campagna elettorale sembra capace di mettere d’accordo tutte le opposizioni, o quasi (mancano all’appello Matteo Renzi e Carlo Calenda). La battaglia sulle riforme della destra promette di fornire al centrosinistra una piattaforma per nuove convergenze. ■

La sconfitta delle forze liberali

In Italia e in Europa i partiti di centro perdono elettori e seggi

«Era la miglior lista di candidati mai fatta, questo però non è stato sufficiente», inizia così Carlo Calenda, segretario di Azione, nel discorso in conferenza stampa, subito dopo il voto per le elezioni europee 2024. Numeri poco confortanti già dopo i primi exit poll.

Non è riuscito a superare il quorum del 4% neanche il suo ex alleato politico, Matteo Renzi, leader di Italia Viva che per l’occasione era candidato nella lista Stati Uniti d’Europa, insieme al partito +Europa di Emma Bonino e Riccardo Magi.

È passato più di un anno dalla rottura del vecchio Terzo Polo, ma gli scontri non si fermano nemmeno di fronte a una sconfitta. La coalizione tra i due leader era nata come «un’alternativa al bipopulismo di destra e sinistra», scriveva Calenda sui social durante la campagna elettorale per le parlamentari nazioni. Nell’aprile 2023 però, dopo i continui dissidi tra i due leader, decidono di dividersi e continuare la corsa politica con due formazione separate.

I risultati parlano chiaro: Calenda ha ottenuto il 3,3%, mentre Renzi si è fermato al 3,8%, dopo una campagna elettorale sottotono, con candidati che non hanno convinto del tutto gli italiani. Al contrario, quella del leader di Azione ha punta-

to molto sui giovani, con una copertura di eventi e contenuti social che hanno cercato di coinvolgere il più alto numero possibile di persone, ottenendo il 10,2% di consensi nei voti degli studenti fuori sede.

Calenda parla di un’onda potentissima di polarizzazione che «prescinde da ogni altra considerazione, fatta di programmi poveri e contradditori, e noi nasciamo per contrastare questa politica». Il riferimento è all’ascesa dei movimenti populisti e sovranisti: il gruppo di centrodestra del Ppe resta la forza politica dominante nel Parlamento europeo, guadagnando 13 seggi rispetto al 2019, mentre Renew Europe, gruppo liberale, ha perso 20 seggi rispetto alle ultime elezioni.

Non sono mancate le polemiche davanti alle domande dei giornalisti: «Il problema è che la Bonino non fa partiti con nessuno, Renzi invece li fa per poi sfasciarli», sottolinea l’ex ministro Calenda. Nonostante il tempo e la decisione di percorrere due strade diverse, la percezione è che le reciproche provocazioni tolgano spazio e tempo alla ricerca di una struttura politica che sia riconoscibile e definita, e non ricondotta ad un nome.

Le europee hanno riaperto un momento di crisi, mai concluso, per una fetta di elettori che si trovano in balia di una

guerra che si inasprisce a colpi di accuse e si fortifica con numeri elettorali insufficienti.

Nonostante le dichiarazioni di antipatia reciproca, i due leader però sembrano essere uniti da un destino comune che potrebbe segnare la fine di un'era per il liberalismo democratico in Italia.

A complicare la situazione è la presenza di +Europa. Dopo la delusione alle ultime parlamentari, quando non riuscì a superare per poco la soglia del 3%, necessaria per eleggere deputati alla Camera nella parte proporzionale, il partito subisce i colpi di una politica incerta e frammentata.

Gli sforzi di mediazione tra le varie anime della coalizione si sono rivelati inutili, lasciando una porzione significativa di elettori senza rappresentanza nell’Unione. Emma Bonino e i radicali si trovano di nuovo esclusi dalle istituzioni, una situazione che solleva interrogativi sul futuro di +Europa e sul destino di quei cittadini che vedono nel partito l'unica voce in grado di rappresentare le loro istanze liberali e progressiste. ■

1. Maria Elena Boschi, capogruppo di Italia Viva alla Camera dei deputati, Matteo Renzi, leader di Italia Viva e Carlo Calenda, segretario di Azione

di Federica Carlino
ELEZIONI

Ilaria Salis finalmente libera

GIUSTIZIA

Le parole di Eugenio Losco, l'avvocato dell'antifascista eletta al Parlamento europeo

di Asia Buconi

«Ho sentito Ilaria, è molto felice». L’entusiasmo dell’avvocato di Salis, Eugenio Losco, è palpabile. Il lungo cammino della maestra antifascista milanese, cominciato nel febbraio 2023 nel carcere di Budapest, si è concluso – tra udienze e polemiche – con un lieto fine al Parlamento europeo. Ilaria, che si trovava agli arresti domiciliari in Ungheria, è stata liberata il 14 giugno ed è tornata in Italia, nella casa della sua famiglia a Monza, nella serata di sabato 15 giugno.

La Polizia ungherese le ha tolto il braccialetto elettronico alla caviglia per effetto della sua nomina ad europarlamentare: da capolista di Alleanza Verdi-Sinistra in Italia nord-occidentale e nelle Isole ha superato la soglia dei 176mila voti e ha ottenuto un risultato al di sopra di ogni aspettativa, trascinando il suo partito verso un più che soddisfacente 6,7%.

La liberazione di Salis è avvenuta con tempi più rapidi di quanto ci si aspettasse:

si pensava che fosse necessario attendere la proclamazione ufficiale da parlamentare europea, che avverrà i primi di luglio, ma non è stato così. Gli uffici dell’eurocamera avevano già inviato una comunicazione ufficiale al tribunale di Budapest, che quindi subito dopo ha approvato la scarcerazione di Salis.

«La scesa in campo di Ilaria in Europa sarà rilevante, è una nuova forma di fare politica che dal basso l’ha portata fino al Parlamento europeo», il commento di Eugenio Losco. «Un numero così alto di voti non era prevedibile» e, per il legale, a motivarlo è stata «l’intera vicenda di Ilaria, quello che le è successo nel corso del processo e ciò che ha subito, ovvero 15 mesi di detenzione preventiva in condizioni inumane». Tutti elementi, questi, che secondo l’avvocato hanno scosso «la solidarietà dell’elettorato».

Dopo la vittoria alle elezioni, Ilaria Salis ha potuto godere dell’immunità parlamentare europea. «Questa prevede l’esenzione da ogni forma di detenzione, quindi anche dagli arresti domiciliari, e la sospensione dei procedimenti penali», spiega Losco. La conseguenza, aggiunge l’avvocato, è che «il processo verrà sospeso, perché l’immunità è prevista proprio per garantire al parlamentare la massima indipendenza e libertà di movimento per esercitare la sua funzione, quindi anche

quella di partecipare alle sedute dell’eurocamera». Salis, per l’effetto dell’immunità, per i prossimi 5 anni non dovrebbe quindi preoccuparsi del processo, che riprenderebbe a fine mandato, a meno di una riconferma a Bruxelles.

Ciò che l’Ungheria può fare adesso, sottolinea Losco, è «attivare un procedimento di richiesta di revoca dell’immunità di Ilaria al Parlamento europeo», anche se questa scelta avrebbe «una tempistica lunga» e dovrebbe essere presa «dal nuovo Parlamento, che si insedierà il 16 luglio. Ci vorranno dei mesi per fare una valutazione sulla revoca». Budapest si è già mossa e ha fatto sentire la sua voce attraverso Gergely Gulyas, il capo di gabinetto del presidente Viktor Orban, che ha dichiarato che «l'autorità ungherese competente dovrebbe chiedere la revoca dell'immunità» perché l'elezione di Salis rappresenta «un'immagine poco positiva della democrazia italiana», ma anche di «una parte degli elettori che ha voluto mandare in Europa una criminale».

Anche in Italia continuano le polemiche della maggioranza sull’elezione a parlamentare europea della maestra antifascista. Il presidente del Senato Ignazio La Russa, pur riconoscendo il diritto di Salis di partecipare alle sedute dell’eurocamera, ha definito la candidatura volta a scarcerare una persona come «qualcosa che non appartiene alla democrazia». Senza contare quanto rimanga vivo il caso dei 90mila euro di debiti che Salis avrebbe accumulato per l’occupazione abusiva di un immobile Ater che – se dovesse essere confermato – porterebbe alla richiesta di pignoramento di una parte dello stesso.

Durante la notte dello spoglio, l’avvocato ha parlato anche con Roberto, il padre di Ilaria: «L’ho sentito solo per messaggi attorno alle tre, era molto contento. Come ha dichiarato lui stesso, quello alle Europee è stato il voto più importante della sua vita».

Ora il pensiero va al lavoro di europarlamentare: «Ilaria si batterà per il riconoscimento dei diritti fondamentali che in molti stati dell’Ue vengono negati – conclude Losco – lei non vuole solo diventare un simbolo, ma fare in modo che quello che le è successo ponga l’attenzione sulle condizioni detentive in Europa e in Italia, che sono sempre peggiori». ■

1. Ilaria Salis per la prima volta a Monza dopo la scarcerazione

Rimandato al prossimo appello

STUDENTI

Il primo esperimento di voto a distanza per gli universitari fuorisede ha avuto un numero limitato di richieste, complici ritardi, inefficienze e procedure non chiare

di Gennaro Tortorelli

Il vagone del Frecciarossa Milano-Taranto è gremito. È venerdì e molti studenti trasferitisi al Nord stanno tornando nelle loro città di origine. È la transumanza dei fuorisede. Succede ad ogni tornata elettorale, ma quest’anno, per molti di loro, il diritto al voto era garantito anche senza spostarsi.

Dopo una lunga battaglia civica, con un decreto-legge last minute il governo ha deciso di introdurre la possibilità per gli studenti di votare alle elezioni europee nella regione in cui frequentano l’università.

«Lo so, si poteva chiedere di votare a distanza – dice Francesco, tarantino, studente universitario a Roma – ma alla fine a me piace rientrare. Rivedo amici e parenti, mi confronto con loro sulle elezioni, è un bel rituale».

Secondo le ultime stime del Ministero dell’Università e della Ricerca, gli studenti fuorisede sarebbero circa 830mila, di cui soltanto 23.734 hanno fatto richiesta per votare. Meno del 3% ha deciso dunque di usufruire di un diritto per cui molte realtà giovanili, associazioni e forze poltiche si erano spese. Tra queste c’è The Good Lobby, organizzazione non-profit impegnata nell’influenzare decisioni pubbliche.

«Poteva andare meglio – commenta Fabio Rotondo, Policy Officer e Campai-

gner di The Good Lobby – siamo contenti, per carità, 24mila iscrizioni per noi non sono poche in tre settimane e con una scarsa comunicazione istituzionale. Tutte le innovazioni sul voto a distanza soffrono un po’ di inerzia iniziale, ma poi prendono piede, lo abbiamo visto in Estonia o in Spagna. Negli ultimi giorni, poi, stiamo ricevendo un sacco di segnalazioni di persone che non hanno mai ricevuto risposta dal proprio comune».

La scadenza per presentare la domanda di iscrizione era il 4 maggio, soltanto pochi giorni dopo la circolare di chiarimento del Ministero dell’Interno. «Quando l’ho scoperto ero quasi fuori tempo, ma mi sono affrettata a fare richiesta. Il comune di Ariano Irpino non mi ha mai dato risposta e ora è troppo tardi per tornare a votare», testimonia Camilla, studentessa fuorisede a Milano.

Il Ministero ha delegato la gestione delle richieste ai comuni e le procedure non sono state uniformi. «Ognuno fa per sé, alcuni comuni hanno richiesto la PEC, altri l’iscrizione su dei siti appositi di cui quasi nessuno era a conoscenza, altri ancora si sono trovati impreparati a gestire le richieste e non hanno risposto in tempo», aggiunge Rotondo.

La sperimentazione in vigore limita il dispositivo ai soli universitari, lasciando fuori circa quattro milioni di lavoratori

fuorisede. Le università potevano offrire un grande supporto, ma The Good Lobby segnala inefficienze: «Il mese scorso abbiamo girato dodici università in tutto lo stivale e quasi nessuno in quel momento aveva informato gli studenti».

C’è poi il problema degli affitti: «Trovare casa con un contratto regolare è sempre più difficile – denuncia Teresa (nome di fantasia), che studia all’Università di Torino – chi è in affitto in nero non poteva fare richiesta. Mi fanno ridere quelli che dicono che per votare basterebbe spostare la residenza. Non tutti i locatori lo permettono».

La legge per dare un quadro normativo chiaro al voto a distanza è ancora ferma al Senato e queste elezioni europee sono state un esperimento dell’ultimo minuto. I votanti fuorisede alla fine sono stati oltre 17mila, con un’affluenza superiore all’80%. Il primo partito è stato Alleanza Verdi e Sinistra con più del 40% delle preferenze. Sorprendente è anche il risultato di Fratelli d’Italia, che ha ottenuto appena il 3,4%.

Si tratta di un campione statistico selezionato tramite le numerose barriere all’ingresso e dunque non rappresentativo. Senza una legge completa, però, si rischia di non dare voce alle idee di un’Italia (forse) diversa. ■

Come cambia l'Italia

di Pietro Angelo Gangi
La cartina del voto alle amministrative

Il Pnrr cambia ma il ritardo resta

FONDI

A che punto è il Piano nazionale di ripresa e resilienza. C'è chi fa meglio di noi

In questa Europa che sembra cambiare dopo le elezioni, una cosa è certa: il Next Generation Eu (NgEu), il più grande piano di investimento dell’Unione Europea, non si ferma. Sono oltre 700 miliardi di euro quelli inseriti all’interno del bilancio europeo 20212027. Il piano è figlio della crisi sanitaria da Covid-19 e i soldi sono destinati a tutti gli stati membri, anche se in misure diverse. Ognuno di loro ha presentato un piano nazionale.

A beneficiarne maggiormente è stata l’Italia, che con il Piano nazionale di Ripresa e Resilienza (Pnrr) ha preso in prestito oltre 122 miliardi e a cui sono stati destinati oltre 68 miliardi di euro a fondo perduto. La Spagna è l’unico paese a cui erano destinati più soldi a fondo perduto dell’Italia (69,5 miliardi), ma senza alcun prestito. Ad averne stipulato uno, soltanto sei paesi oltre al nostro. I numeri però non sono paragonabili. Tra questi ultimi paesi il prestito più alto è andato alla Romania (15 miliardi), solo il 12% di quello italiano. Per un totale di risorse di circa 190 miliardi, quindi, l’Italia si è impegnata ad attuare importanti riforme

strutturali. Quasi 72 miliardi, il 37,5 % dei fondi, sono stati destinati alla transizione verde. 48 miliardi, il 25 %, alla transizione digitale. Il restante 37% è diviso tra salute, istruzione, infrastrutture e welfare.

Al momento, dei soldi arrivati al nostro paese dall’Unione europea - 102 miliardi, più della metà del Piano - ne sono stati spesi 45 miliardi, ossia il 44%. Il Piano non è però lo stesso di quattro anni fa.

Facendo un confronto con la Spagna, anch'essa ampiamente colpita dalla crisi economica a seguito della pandemia, si nota che la gestione dei due piani è stata molto diversa. Se con le ultime modifiche, il governo italiano ha chiesto all’Unione di ridurre i suoi fondi, spostandoli sul nuovo progetto per la transizione verde RepowerEu, Madrid ne ha invece richiesto un incremento: 84 miliardi di prestiti che, con altri trasferimenti addizionali che comprendono quelli del RePowerEu, fanno lievitare i finanziamenti riservati alla Spagna a 160 miliardi, quasi al pari di quelli italiani. Un’altra conferma della migliore capacità

spagnola di dare attuazione al Piano è la lunghezza dell’intervallo di tempo che intercorre tra la richiesta di pagamento e l’effettiva erogazione della rata. In caso di difformità questo periodo si allunga, per dare la possibilità alle istituzioni europee di fare ulteriori valutazioni.

Ad esempio, per la prima rata la Spagna ha ricevuto l’erogazione dei fondi dopo appena 45 giorni dalla richiesta, l’Italia dopo 104; per la seconda ne sono passati solo 90 per Madrid e 132 per Roma; per la terza, l’intervallo di tempo nel primo caso è stato di 140 giorni, quasi la metà dei 272 attesi dal governo italiano.

Dal 21 Luglio 2020, giorno in cui il Consiglio europeo ha deliberato l’istituzione del NgEu, sono trascorsi quasi quattro anni e il Pnrr italiano arranca. Secondo le valutazioni del portale OpenPnrr, della fondazione indipendente Openpolis, la percentuale di completamento delle riforme previste nel Piano è del 79%, dieci punti percentuali in meno rispetto a quanto era preventivato per questo trimestre.

La percentuale effettiva ad oggi è del 40% a fronte di un previsto 64%. Le due istituzioni con il maggior numero di misure in ritardo sono il Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti (41) e la Presidenza del Consiglio (15).

Lo scorso dicembre la Commissione europea ha approvato le modifiche che l’attuale governo ha richiesto. Nel nuovo Piano sono 36 gli interventi definanziati del tutto o in parte, per un totale di 22,2 milioni di euro. Si tratta di misure che foraggiavano progetti non in linea con i

criteri del Pnrr, in particolare ambientali, oppure opere che rischiavano di non essere ultimate entro il 2026.

Queste saranno lo stesso completate grazie a nuova spesa pubblica. Il decreto legge 19/2024 autorizza uscite per 3,44 miliardi di euro al fine della loro realizzazione. Dispone poi di recuperare risorse aggiuntive da altre voci del bilancio pubblico o da altri fondi europei come quello per lo sviluppo e la coesione. Se l’attuazione del Piano fosse stata regolare, le risorse previste dal decreto sarebbero state utilizzate per finanziare altre iniziative. Inoltre, i soldi recuperati dai progetti stralciati non saranno utilizzati per finanziare ulteriori interventi pubblici, ma saranno in gran parte utilizzati per incentivi alle imprese.

Dopo le modifiche al Piano, tra le dieci misure più finanziate spicca al primo posto, con 14 miliardi di euro, l’Ecobonus, il contributo messo a disposizione dal Ministero delle Imprese e del Made

in Italy per l’acquisto di veicoli non inquinanti, seguito dal credito d’imposta per i beni strumentali 4.0, con 8,9 miliardi di euro allocati e la transizione 5.0 a cui sono destinati 6,3 miliardi. Le prime tre misure più finanziate dal nuovo Pnrr, che corrispondono al 15% di tutto il Piano, sono crediti d’imposta: dipendono solo dalle domande, dalle spese effettuate da privati e i Ministeri si limitano a rimborsare cittadini ed imprese dei soldi spesi.

Con questo metodo si presuppone che persone e aziende abbiano i soldi per attuare gli investimenti per cui verranno rimborsati solo in futuro. Il governo potrebbe aver preferito adottare questo sistema perché rende più semplice spendere i fondi del Pnrr. Molte istituzioni sono indietro su questo fronte, in particolare il Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti che deve ancora spendere 33,8 miliardi di euro. Molti dei cantieri delle grandi opere, infatti, non sono ancora partiti oppure sono ai primi stadi di sviluppo.

I dati sulla spesa sono fermi al 31 dicembre 2023. Prima dello scorso maggio non si avevano informazioni pubbliche riguardo al rinnovo del Piano. Nuovi dataset sono stati pubblicato a fine aprile dal governo sul sito Italia Domani, dopo la richiesta di accesso agli atti (Foia) operata da Openpolis, ma nessuna novità per i dati sulla spesa. I numeri esistono e sono presenti sul portale Regis, la piattaforma di monitoraggio, rendicontazione e controllo dei progetti finanziati dal Piano. A febbraio il ministro per il Pnrr, Raffaele Fitto, ha affermato che i dati sulla spesa sono sottostimati, perché gli enti locali non aggiornano con sufficiente puntualità i dati su Regis. ■

L'altra faccia del lobbismo

Una professione non ancora regolamentata ma in grado di influenzare il parlamento italiano

ed

europeo. Chi sono

e

cosa fanno i "gruppi di interesse"

Cos’è il lobbying? Ponendo questa domanda a dieci persone di età compresa tra i 18 e i 30 anni la risposta più frequente è stata: «Non ne ho idea ma ha a che fare con l’economia». Altri immaginano i lobbisti come una setta di magnati che influenzano le sorti della politica con oscure manovre di corruzione. «Il pregiudizio sulla categoria dipende in larga parte da una mancanza di cultura sulla professione nel nostro Paese», commenta Angelo Ficarra, un lobbista in carne ed ossa che a poco meno di trent’anni gestisce già una propria società di consulenza.

Secondo l’enciclopedia Treccani la lobby è un “gruppo o movimento di cittadini che si ritrovano concordi nel sostenere una causa, attraverso le forme proprie della partecipazione democratica”. In termini pratici questo si traduce nella rappresentanza e difesa degli

interessi di un’azienda, una categoria o un’associazione davanti agli organi decisori. «Quando si parla di interessi molti pensano subito a quelli speculativi, che entrano in conflitto con i bisogni della collettività. Non è assolutamente così, quando l’attività è svolta in modo etico».

Per Ficarra i tre valori del lobbista sono trasparenza, professionalità e grande rispetto delle istituzioni. Tutte le comunicazioni con i politici devono essere tracciabili tramite e-mail e gli incontri con i parlamentari vanno prenotati solo attraverso i canali ufficiali.

Ma chi sono i soggetti rappresentati dai lobbisti? «Il pregiudizio è che si difendano sempre e solo gli interessi miliardari delle multinazionali cattive», ma non esiste solo Big Pharma. La società di Angelo, ad esempio, rappresenta organizza-

zioni medico-scientifiche o associazioni di pazienti affetti da determinate patologie. L’obiettivo non è necessariamente quello di spingere il Parlamento a legiferare: il fine ultimo, spesso, è il semplice posizionamento o la sensibilizzazione su un tema. «È emblematico l’esempio del diabete mellito di tipo 1: qualche anno fa era un perfetto sconosciuto. Se adesso c’è grande attenzione sulla malattia è anche merito dei lobbisti».

Nel caso specifico delle questioni sanitarie le società di consulenza interagiscono con la XII Commissione permanente della Camera, Affari sociali. Prima di fissare un incontro e accompagnare i clienti è importante costruire un dossier approfondito, basato su ricerche scientifiche e pareri di esperti. «È vitale che il lobbista sia preparatissimo prima di fare informazione a sua volta».

RAPPORTI

Esistono in Italia associazioni di cittadini che si occupano di fare «lobbying per buone cause», come The Good Lobby, che si definisce «un’organizzazione non profit impegnata a rendere più democratica, unita ed equa la società in cui viviamo». La loro mission è fare pressione su politici e funzionari per proteggere il bene comune e i diritti di tutti, compresi i più deboli ed emarginati. Le loro ultime campagne riguardano il voto fuori sede, la lotta all’evasione e il conflitto di interessi.

I membri di The Good Lobby prendono le distanze dalle “lobbies corrotte”: «Oggi in Italia vige il Far West, in cui il più forte, il più scorretto, il più spregiudicato ha la possibilità di essere ascoltato dai politici». Di recente è stata lanciata una petizione online per richiedere una nuova legge che regolamenti, una volta per tutte, la professione: «Le istituzioni devono rendere i processi decisionali molto più inclusivi, mettendo tutti nelle stesse condizioni di influire sulle decisioni pubbliche: dagli ambientalisti alle industrie energetiche, dalle aziende alle associazioni di consumatori».

Oltre un centinaio di disegni di legge sono naufragati negli ultimi cinquant’anni. L’ultima proposta, approvata dalla Camera nel gennaio 2022, non è mai andata in porto a causa della caduta del Governo. «Una regolamentazione è necessaria non perché ci sia il pericolo che “persone cattive” vogliano impossessarsi della Cosa Pubblica», spiega Ficarra, «ma

perché è dalla normativa che noi lobbisti partiamo per fare cultura di questa professione. Per spiegare là fuori che, quando il sistema è virtuoso, la rappresentanza di interessi non è una minaccia ma un valore aggiunto per la democrazia».

Anche a livello comunitario si avverte l’esigenza di una maggiore standardizzazione: dal 2011 esiste un registro per la trasparenza dell’UE, che al momento è in grado di intercettare solo una piccola parte delle operazioni di lobbying svolte presso il Parlamento europeo.

Multinazionali dei settori hi-tech, petrolifero e farmaceutico investono milioni di euro all’anno per indirizzare le politiche dell’Unione, ma l’attività di rappresentanza riguarda anche migliaia di ONG, società scientifiche e associazioni di cittadini. Degli oltre 48.000 “portatori di interesse” operativi a Bruxelles solo dodicimila sono iscritti nel registro ufficiale (Fonte: Transparency International).

Le comunicazioni, inoltre, non sempre avvengono attraverso i canali ufficiali: la stessa presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen è stata indagata dalla magistratura belga per uno scambio di messaggi privati, poi cancellati, con l’amministratore delegato del colosso farmaceutico Pfizer.

La Corte dei Conti europei ha emanato tre raccomandazioni cui le istituzioni dovranno adeguarsi entro il 2025. L’o -

biettivo è quello di «limitare le influenze indebite, la concorrenza sleale o persino i casi di corruzione». La relazione arriva a due anni di distanza dallo scandalo del Qatargate, in cui un gruppo di europarlamentari era stato accusato di ricevere tangenti da Doha in cambio di favori politici. «Bruxelles è un ecosistema più complesso rispetto a quello italiano», commenta Ficarra, «Esistono gli interessi e le regole di 27 Paesi che in qualche modo devono convergere. Una normativa a livello comunitario è auspicabile per trovare un denominatore comune».

Per il lobbista non è indispensabile che la regolamentazione della professione preveda la definizione di un percorso accademico ad hoc. «Non credo ci sia bisogno di un titolo di studio specifico. È importante, però, avere un solido background umanistico e conoscere il diritto in modo approfondito. Anche le lingue sono fondamentali. Un giovane consulente che inizia la sua carriera a Roma punterà, un giorno, ad affacciarsi a Bruxelles, in un contesto internazionale».

Ultimo consiglio a chi vuole intraprendere questo mestiere è quello di «lavorare duro, studiare e mantenersi sempre aggiornati», perché per difendere delle istanze bisogna prima conoscerle a fondo. ■

1. Parlamento europeo, sede di Strasburgo

Il martedì più atteso in Europa, Washington sceglie il futuro

AMERICA

Il 5 novembre si concluderà l’anno con più elezioni di sempre. Joe Biden e Donald Trump si sfidano negli Stati Uniti: l’analisi della giornalista Anna Lombardi sul futuro dell’asse atlantico

Ogni quattro anni, nei primi giorni di novembre, c’è un martedì in cui il mondo guarda più del solito agli Stati Uniti d’America. È l’Election Day. Le prossime presidenziali si svolgeranno, per la terza volta nella storia, a cinque mesi da quelle che hanno ridisegnato il Parlamento europeo. Un ciclo iniziato nel 1984 e ripetutosi ogni vent’anni. Mai, però, è stato decisivo come adesso, al termine della stagione più “elettorale” di sempre che ha coinvolto - tra le altre - anche Regno Unito, Russia e India.

«È la tornata più importante che ci sia mai stata», non ha dubbi Anna Lombardi, giornalista giramondo e americanista per Repubblica. L’avvicendamento alle urne lascerebbe pensare a uno scambio politico a distanza: l’Europa batte un colpo, gli Stati Uniti osservano e rispondono. «In realtà l’America è una bolla, un Paese autoreferenziale. Non pensano a ciò che succede nell’Unione come a qualcosa che possa influenzarli. Vale anche per le figure istituzionali».

predecessore repubblicano. «L’America si era già divisa durante il mandato del tycoon, adesso è più spaccata che mai», continua Lombardi. «Al pensiero di una sua rielezione c’è una parte del Paese terrorizzata e un’altra esaltata. Comunque vada, io mi aspetto disordini importanti».

L’ambito geopolitico è tra quelli che potrebbero subire più squilibri in caso di una nuova vittoria di Trump, «vero nemico dell’Ue», secondo Lombardi. Una visione affine a quella del saggista Timothy Snyder, autore del best seller Venti lezioni. Per salvare la democrazia dalle malattie della politica, secondo cui uno dei mali citati sarebbe proprio l’imprenditore newyorkese.

Lo stesso testa a testa di quattro anni fa si ripeterà il prossimo 5 novembre. Joe Biden e Donald Trump, il presidente democratico uscente contro il suo

Dopo i risultati delle elezioni di giugno, con lui «quest’onda nera europea si estremizzerebbe». Fino ad arrivare a toccare l’Italia e le strategie di politica estera della sua presidente del Consiglio: «Giorgia Meloni gioca al momento la sua partita atlantista, ma con Trump si ribalterebbe la frittata e lei potrebbe tornare alle origini. Gli anti-europeisti guardano con grande interesse a queste elezioni».

Le ombre sul blocco atlantico rischiano di allargarsi fino a toccare il piano economico. «Un ritorno del repubblicano risveglierebbe tensioni commerciali. Vuole fare accordi vantaggiosi solo per l’America, legandosi ai singoli Stati. Il suo sogno è vedere l’Unione andare in frantumi».

Le eventuali mosse di Trump restano comunque indecifrabili, «ma i politologi sono tutti d’accordo su una questione: vuole cambiare davvero la Nato, definire più fasce fino a crearne una di serie B». Uno dei piani annunciati è determinare una soglia minima di investimenti nella difesa all’interno dell’Alleanza atlantica, pari al 2% del Pil di ogni singolo Paese. «Se non paghi e la Russia ti attacca, io la incoraggio a fare quello che diavolo vuole», ha detto in un’intervista all’emittente britannica Gb News.

Le volontà dei candidati in ambito militare non sembrano però avere un peso sulle schede elettorali. «Al cittadino che vota importa poco della guerra in Ucraina», Lombardi ha imparato ad analizzare situazioni del genere in America. «Per quanto riguarda il Medio Oriente è un discorso diverso. Gli ebrei americani si sono separati: da una parte c’è un ramo più progressista che si è avvicinato a Israele, mentre un altro dopo il 7 ottobre è più indignato per quanto accade a Gaza». Le accuse riguardano soprattutto l’operato dell’attuale presidente. «È sbagliato pensare che Biden sia un burattinaio della guerra, però

a lui vengono imputate colpe per questo conflitto sia da una fazione che dall’altra. Di sicuro ha delle responsabilità sulla gestione, ma se dovesse arrivare Trump per i pro-Palestina sarebbe ancora peggio».

Negli ultimi sondaggi i due candidati fluttuano intorno a quotazioni quasi alla pari (44-45%). Il gap si è ridotto dopo la sentenza sulla colpevolezza del tycoon nel processo penale sui pagamenti alla pornostar Stormy Daniels. L’udienza per l’entità della condanna sarà l’11 luglio, «ma gli americani hanno la memoria cortissima», ribatte sicura Lombardi. «C’è ancora tutta l’estate e le convention, può succedere di tutto».

A cambiare ancora lo scenario da qui al 5 novembre sarà la comunicazione, soprattutto in merito ai temi chiave per l’elettorato. «Le posizioni estremiste sull’aborto stanno facendo male ai repubblicani. Trump ha fatto dichiarazioni ambigue in passato, adesso ha capito che se l’Alabama considera gli embrioni come bambini è un problema, perché le donne conservatrici non lo votano. Loro rappresentano il segmento popolare più avverso nei suoi confronti».

Diventeranno così decisivi anche gli altri personaggi politici di cui si circonderà. «Nikki Haley, che lo ha sfidato alle primarie, è più apprezzata dai moderati». Lo stesso vale per i possibili vicepresidenti: «Marco Rubio, di origine cubana, è uno dei papabili nomi. I latini

tendono a essere conservatori, ma rappresentano uno dei segmenti meno coinvolti nelle elezioni. Potrebbe fare leva anche su un nome di questo calibro per riconquistarli. Tanti dicono che vincerebbe al 100% se si unisse a uno di questi personaggi, ma lui è imprevedibile. Una volta uno dei suoi biografi, Davy Cay Johnston, mi disse che ha la mentalità “da padrino mafioso”: se gli fai uno sgarbo, non lo dimentica».

A cinque mesi dalla corsa alle urne, i presagi possono essere diversi dalla realtà. «Non escluderei che la forza di Trump sia solo una percezione mediatica. Il “cattivo” di solito attira a livello comunicativo, quindi si tende a parlarne di più. Vedremo se quest’immagine avrà successo». Di sicuro non l’ha avuto il suo mandato, almeno per Lombardi. «Dopo aver visto l’America di Barack Obama, un Paese che progrediva, durante gli anni successivi sono stata letteralmente male. Dal 2016 tutti hanno iniziato a dire: “Abbiamo sbagliato qualcosa”. La società era spaccata, l’odio diventava virale». Sui legami con l’Europa, l’ultimo monito posa lo sguardo sul Vecchio Continente: «Non siamo ancora a quel livello di polarizzazione, ma un Trump-bis farebbe paura anche a noi». ■

1. Capitol Hill

2 e 3 Joe Biden e Donald Trump, candidati alla presidenza della Casa Bianca

Bandiere Ue in Georgia

come a Kiev

La proposta di legge sugli "agenti stranieri" del governo georgiano, che limiterebbe la libertà di espressione, ha provocato proteste. I simboli nazionali accompagnati da quelli europei, come già accaduto in Ucraina nel 2013

a cura di Massimo De Laurentiis

Cambio in vista a Westminster la grande rimonta del Labour

Dopo 14 anni di governo conservatore il Regno Unito potrebbe andare a sinistra. Comincia la campagna elettorale in vista delle elezioni anticipate del 4 luglio

Things can only get better, con questo sottofondo della band D-Ream proveniente da alcuni dimostranti vicino a Downing Street, Rishi Sunak attuale Primo Ministro inglese ha annunciato, sotto la pioggia di fine maggio, la chiamata a elezioni anticipate.

Il Regno Unito si ritroverà il 4 Luglio, due mesi prima dalla data prevista, a fare una scelta: votare per i conservatori, al governo da oltre 14 anni o virare verso un nuovo orizzonte di sinistra, quello dei laburisti.

La scelta di convocare in anticipo le urne sembra strategica: Sunak, diventato primo ministro nell’ottobre del 2022, aveva promesso di contenere l'inflazione,

principale problema che stava affliggendo l’Inghilterra. A maggio, nel momento della chiamata al voto, i dati segnavano l’inizio di un andamento positivo dell’economia, con una diminuzione di un punto percentuale dell’inflazione al 2,3%, il livello più basso degli ultimi tre anni. È stato questo progresso che ha offerto a Rishi Sunak l'opportunità di cavalcare l’onda del momento, prima che l’autunno presenti sorprese.

Nonostante questa mossa tattica dei conservatori, gli exit poll indicano come il popolo inglese sembri pronto a prendere una decisione che cambierà la guida conservatrice di Westminster. I pronostici parlano di una "estinzione elettorale" del partito di Rishi Sunak e lo distanziano

di 20 punti sotto quello dei laburisti che, nonostante la sorpresa del voto anticipato, sono pronti a scendere in campo da tempo.

La sinistra candidata a prendere la guida del popolo inglese in alternativa alla destra storica è guidata da Keir Starmer, il candidato premier ex avvocato e procuratore generale della Corona conosciuto per rimanere fuori dai riflettori, patito di calcio e tifoso dell’Arsenal, figlio di un attrezzista e madre infermiera e, entrato in politica solo nove anni fa.

Il suo punto di forza? Aver dato un nuovo volto ad un partito che pare volersi lasciare alle spalle l’ideologia laburista e improntato ad abbracciare una posizione

VOTO

pro-business e pro-crescita. Con la sua formazione Starmer promette di dedicarsi alla crescita economica del paese che ha sofferto negli ultimi anni a causa di una forte recessione.

La volontà di presentarsi come fiscalmente responsabile, senza sorprese, è stata annunciata nel programma del partito, che ha promesso di non aumentare le tasse personali allontanando così i timori dell’elettorato. «Il fatto che i cittadini vadano a sinistra è un puro caso: si spostano nella direzione opposta a quella dell'attuale Governo. È una scelta puramente a danno dei conservatori e non a favore della sinistra. Questo te lo dirà qualunque elettore in questo Paese» afferma una fonte del Parlamento Europeo in rappresentanza nel Regno Unito.

Questa deviazione a sinistra è motivata da un profondo scontento fra i cittadini. Dopo quattordici anni di governo conservatore, il lascito è quello di un paese mediamente più povero con un’economia indebolita dove le tasse sono più alte. La credibilità del partito di Sunak è usurata da un lato dagli scandali degli ultimi anni, come quello del “party gate” che ha coinvolto l’ex Primo Ministro Boris Johnson, che durante la pandemia violò le restrizioni partecipando ad un evento sociale portando alle sue dimissioni e a una decaduta dell’immagine “retta” dei conservatori.

Dall’altro, le promesse disattese come quelle relative alla Brexit e alla gestione del numero di immigrati nel paese hanno contribuito a generare amarezza: «La fiducia del popolo è culturalmente molto forte nel Regno Unito, dove il rap -

porto tra eletti ed elettori è storicamente personale, quasi come un'amicizia. Questo legame diretto è una grande differenza rispetto alle democrazie continentali, dove i partiti e altre forme di associazionismo rendono il rapporto più distaccato. I parlamentari britannici dedicano due o tre giorni alla settimana alle loro circoscrizioni, incontrando direttamente gli elettori, cosa impensabile in altri paesi», spiega la fonte Ue.

Mentre la Brexit, che era stata il tema chiave delle elezioni del 2019 e che aveva dettato la vittoria dei Conservatori con cui Boris Johnson raggiunse una mostruosa maggioranza, «è oggi completamente assente dal dibattito politico», commenta la fonte Ue. L’uscita dall’Unione europea, che aveva promesso una crescita economica derivante dall’indipendenza dagli Stati europei, percepiti come un ostacolo e un peso, si è dimostrata un insuccesso: «Il pubblico inglese è profondamente depresso dal fatto che è stato un fallimento sostanziale sia a livello socioeconomico che commerciale».

Il distacco dalle posizioni europee si riflette ora anche nelle preferenze di voto: se le recenti elezioni del parlamento europeo sono state caratterizzate da uno spostamento verso destra dei cittadini votanti, il Regno Unito sembra invece pronto a dare fiducia alla sinistra.

A determinare la scelta dell’elettorato inglese c’è anche l’immigrazione, mai stata così alta come dopo la Brexit, che aveva previsto e promesso una sua diminuzione. La scelta del 4 luglio sarà legata anche a questa disattesa promessa dei conservatori che, pur di arginare

il problema hanno cercato senza risultati di attuare il “Piano Ruanda”, una controversa proposta di politica migratoria in base alla quale le persone identificate nel paese d’oltremanica come immigrati clandestini o richiedenti asilo verrebbero trasferite nel paese africano. Il piano aveva avvicinato Rishi Sunak a Giorgia Meloni, presidente del Consiglio italiano, sul tema delle politiche migratorie fortificando i rapporti tra i due paesi. Ad oggi, nessuno è stato ancora espulso secondo il Piano Ruanda, a causa delle difficoltà legali della proposta.

La mossa di Rishi Sunak non ha poi tenuto conto degli altri partiti politici in corsa come quello di Nigel Farage, politico soprannominato “Mr Brexit”, figura controversa e amico e sostenitore dell’ex Presidente americano Donald Trump, che ha deciso di assumere la leadership di Reform Uk, partito di destra che promette una dura lotta all’immigrazione e tasse per chi assume lavoratori stranieri. Il partito nell’ultimo mese si è posizionato solo un punto percentuale dietro al partito conservatore di Sunak. Farage, nonostante sia consapevole della vittoria dei laburisti di Starmer, afferma di essere la futura vera opposizione al governo. ■

La Locanda dei Girasoli orgoglio nell'inclusione sociale

INTEGRAZIONE

La direttrice Stefania Scarduzio racconta l'inserimento lavorativo di persone con disabilità cognitive di Nicole Saitta

Luce, vita, gratitudine, orgoglio. Significa questo il girasole che è diventato il simbolo della Locanda. Non è solo un’esperienza professionale, ma un cammino di vita che permette a ragazzi con disabilità cognitive di percorrere una strada verso l’inclusione sociale lavorativa.

La Locanda dei Girasoli nasceva a Roma nel 2000 come ristorante gestito da persone con sindrome di down. Dopo 22 anni di attività non ha resistito alla morsa delle restrizioni che si sono rese necessarie a causa della pandemia da Covid-19. «I genitori mi chiamavano dicendo che i figli stavano davanti alla televisione a non fare niente e allora abbiamo avviato questo servizio di catering in cui i ragazzi sono soci lavoratori», spiega la direttrice Stefania Scarduzio che per questo ha reinventato la Locanda, una cooperativa sociale di tipo B, finalizzata cioè all’inserimento lavorativo di persone svantaggiate in ragione di condizioni fisiche, psichiche, economiche, sociali o familiari.

«Lavoriamo in collaborazione con dei grandissimi nomi della ristorazione, loro si occupano della trasformazione del cibo

e noi organizziamo l’evento portando i nostri ragazzi a lavorare. Possono supportare in cucina, fare accoglienza, servire il cibo al buffet», continua Stefania.

Le difficoltà non mancano, senza sarebbe impossibile pensare a una realtà lavorativa. «Ci sono attimi di tensione fra i ragazzi a volte, anche la stanchezza ha il suo ruolo», ma anche in quei casi ci si comporta non solo da colleghi, ma da amici. «Abbiamo dei tutor che affiancano i ragazzi, ma comunque non serve perché i nostri dipendenti hanno fatto dei corsi di formazione e quindi sono loro stessi che fanno da tutor per le new entry».

Ci si aiuta a vicenda, come racconta Moira: «Ho fatto amicizia con tante persone, anche con Stefania, la direttrice. Mi piace tantissimo lavorare qua, a casa mi annoio. Stare insieme agli altri è più bello, lavoriamo e ci supportiamo».

La Locanda dei Girasoli non è esclusivamente un posto in cui trovare lavoro ma è un luogo dove si instaurano dinamiche fondamentali per la crescita personale. Si costruisce un ambiente in cui vengono ab-

battute tutte le barriere sociali e si creano relazioni speciali con i clienti, ma non solo. Moira racconta che nove anni fa si è innamorata dell’aiuto cuoco e che, da allora, si sono fidanzati e sono sempre l’uno al fianco dell’altra.

Ci sono i veterani come Emanuele, che ha iniziato a lavorare alla Locanda a 25 anni e adesso ne compie 35: «Lavoro anche da Leroy Merlin, ma non mi diverto come quando sono qui con i miei amici». Il clima è lo stesso anche per i nuovi acquisti come Roberto: «Sono amico di tutti, ma al contrario di Moira non ho bisogno della fidanzata». Lavora con la direttrice Scarduzio e gli altri ragazzi da pochi mesi ma ha già fatto tante esperienze, non solo professionali: «Siamo andati all’Apple store e ci hanno insegnato come si usa un iPhone. Ci hanno anche fatto scattare qualche foto».

Non c’è, in effetti, qualcosa che non possano fare, nonostante questa verità sia ben lontana dall’immaginario comune. «Un esercito di invisibili vive tra noi», scrive il neuropsichiatra italo-americano Mark Palermo. Invisibili perché sono spesso discriminati e isolati, si pensa a loro come a eterni

bambini che non sono in grado di compiere attività normali e adulte.

Secondo un'indagine del Censis (Centro Studi Investimenti Sociali), l’Italia è uno dei paesi europei a destinare meno risorse per la protezione sociale delle persone disabili. Emerge un’importante carenza nella preparazione delle istituzioni scolastiche e del terzo settore, che spesso non riescono a gestire adeguatamente le esigenze specifiche delle persone con disabilità psichiche.

Già a partire dall’età scolare, infatti, non sempre sono seguite adeguatamente. Gli insegnanti di sostegno hanno bisogno di una preparazione specifica, «non possono essere assegnati casualmente ai bambini», sottolinea la psicologa della fondazione Ortus di Giarre Cati Furnari. Solo dopo studi adeguati queste figure possono essere d’aiuto sia alle persone con disabilità psichiche che alle famiglie. Secondo la specialista, infatti, uno dei problemi principali riguarda l’accettazione: «Non è banale, ma soprattutto non è facile».

Per questo, chiarisce la direttrice Scarduzio, a volte succede che siano gli stessi

genitori a porre dei limiti ai propri figli in maniera involontaria: «Mi dicono “non pensavo che mio figlio fosse così bravo e che sapesse fare così tante cose”. Capita che per troppo amore li blocchino e gli impediscano tutte quelle che sono dinamiche interne spontanee». Nel documentario Invisibili, Pierluigi Frassineti, padre di un ragazzo autistico, sottolinea le sfide della malattia tra le quali appunto la diagnosi: «Vostro figlio è autistico. Immaginate di sentire questa frase».

In un mondo che corre sempre più veloce, le persone con disabilità psichiche e fisiche affrontano ardue sfide ogni giorno e in ogni contesto. È per questo che realtà come la Locanda dei Girasoli risultano fondamentali, non solo per l’inserimento nel mondo del lavoro e nella socialità, ma anche per accompagnare intere famiglie attraverso un percorso di crescita comune. Le disabilità cognitive non sono una limitazione insormontabile. Come citava l’attore Sean Penn nel film Mi chiamo Sam in cui interpretava un uomo con ritardo cognitivo: «A volte Dio mette alla prova la gente speciale». ■

Roma Pride, trent'anni tra amore e rivoluzione

L'orgoglio Lgbtq+ dal 1969 con le rivolte a New York, passando per il 1994 con il primo corteo italiano ufficiale, fino al giorno d'oggi

«Amo come amo, Ich liebe wie ich liebe, Amo como amo» è lo slogan che compare sul carro rosso delle ambasciate tedesca e messicana, che partecipano alla parata.

Il Roma Pride del 15 giugno 2024 è tutto una festa: ci sono colori dappertutto, voci che si mischiano tra le strade della capitale, persone che sventolano bandiere arcobaleno, danze e canzoni interpretate, sentite, vissute.

Identità spezzate e vite ritrovate, lotte perse e battaglie ancora da vincere, emozioni e sentimenti che si intrecciano in un’unica grande parola: comunità. C’è chi partecipa alla manifestazione che celebra l’orgoglio Lgbtq+ per la prima volta, misurando ogni passo e affrontando la paura, e chi invece è un veterano ed espri-

me con fierezza se stesso, senza remore.

«Abbiamo scelto questo slogan per il nostro carro per diffondere il messaggio che ognuno è libero di amare chi e come vuole in italiano, tedesco e spagnolo. Con questa frase si vuole inviare un segnale semplice: il Messico e la Germania riconoscono il diritto di tutti a una vita piena. Tre parole che hanno un valore universale, non escludono nessuno, perché abbracciano ogni forma di identità e/o sessualità», spiega Rodrigo Zepeda, collaboratore dell’Ambasciata del Messico.

Colori, costumi, trucchi e musica non sono lasciati al caso: «Il tema del carro è il rosso perché in primis è emblema dell’amore e poi è l’unico colore ad essere presente nelle bandiere della Germania, del Messico e dell’Italia. Come sappiamo, in queste occasioni la creatività e l’estro ar-

di Giulia Rugolo

tistico sono sempre accolti con entusiasmo, per cui invitiamo i nostri colleghi ad usare trucchi e abiti stravaganti. Ad occuparsi della musica un dj italo-tedesco queer, famoso per i suoi remix culturali» dice Isaura Portillo, capo ufficio politico dell’Ambasciata.

Oggi più che mai, in un periodo storico in cui correnti politiche di estrema destra che si oppongono ai diritti Lgbtq+ stanno ricevendo sempre più consensocome dimostrato anche dai risultati delle ultime elezioni europee - è essenziale alzare la voce e scendere in piazza per esprimersi in favore della libertà. «Ogni anno onoriamo il mese del Pride con iniziative diverse e creative», aggiunge Zepeda.

Giugno è infatti conosciuto come il “Pride Month”, mese in cui si organizzano eventi rivolti a sensibilizzare i cittadini sulle “tematiche arcobaleno” e si festeggiano i Pride a livello globale. Per trenta giorni la comunità queer è al centro dei riflettori di un palco dal quale si discute di parità, uguaglianza e diversità. È importante ricordarsi, però, che il Gay Pride prima di essere una festa e una marcia pacifica è stato una protesta e una rivoluzione simbolica.

«Say it clear, say it loud. Gay is good, gay is proud» («Dillo in modo chiaro, urlalo. Essere gay è giusto, essere gay è motivo d’orgoglio»). Questo è uno degli slogan utilizzati durante i Moti di Stonewall. Tutto ebbe inizio nella notte tra il 27 e il 28 giugno 1969 a New York, quando un gruppo di persone Lgbtq+ si ribellò in seguito a un’irruzione violenta della polizia allo Stonewall Inn, un bar situato in Christopher Street nel Greenwich Village. Negli anni Sessanta, infatti, le forze dell’ordine erano solite pianificare retate

nei locali gay americani picchiando, arrestando e minacciando gli avventori. Per la prima volta, i membri della comunità decisero di scendere in strada mostrandosi per quello che erano: diversi, liberi e fieri, rivendicando il loro diritto ad esistere in quanto esseri umani e non più come estromessi ai margini della società.

«Amo come amo, Ich liebe wie ich liebe, Amo como amo»

In Italia questo vento di cambiamento arrivò qualche anno più tardi. Il 2 luglio 1994, Roma ospitò il primo Gay Pride nazionale ufficiale, organizzato dal Circolo di Cultura Omosessuale Mario Mieli.

un Paese in cui il governo Meloni vota in Europa contro una direzione pro-Lgbtq+, insieme a Nazioni come la Repubblica Ceca. Ma l’Italia fa peggio. Nella lista Ilga (International Lesbian and Gay Association), che mappa la violazione dei diritti della comunità in Europa sulla base di politiche che hanno un impatto diretto su di essa, siamo scesi al trentacinquesimo posto, dietro l’Ungheria di Orbán.

Questo corteo è un modo per far sentire la nostra voce. Per far capire che ci siamo e non vogliamo nasconderci, come qualcuno vorrebbe, soprattutto chi ci governa in questo momento», continua il portavoce.

Erano in più di diecimila a marciare da piazza Santi Apostoli a Campo de’ Fiori. Oggi, nel 2024, sono passati trent’anni dal punto di svolta: «È fondamentale rievocare questo periodo perché ha dato inizio a una storia, la nostra storia. Senza il coraggio di quelle persone che sono scese in piazza sfidando i tempi, molto di quello che abbiamo conquistato oggi non ci sarebbe. Quest’anno, celebriamo quelle persone e il nostro orgoglio. È un trentennale significativo», dice Mario Colamarino, portavoce del Roma Pride e presidente del Circolo Mario Mieli.

Come scrive Mark A. Roeder, autore statunitense, «il mondo intero continua a parlare di amore» e i «poeti passano la vita a scriverne», eppure ancora si fatica a non giudicare quello degli altri. Dante Alighieri ci aveva visto lungo quando concludeva la Divina Commedia con la frase: «L’amor che move il sole e l’altre stelle». Non esiste sentimento più forte e meno mutabile di esso, l’unico in grado di continuare la rivoluzione iniziata quasi sessant’anni fa a New York. La soluzione risiede nelle parole comparse su un muro esposto a Trastevere nel 2023, dipinto dall’artista romano Mirko Leuzzi: «All’amor si sta in silenzio». ■

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Ma i dati non delineano una realtà inclusiva. Secondo Amnesty International, 63 Stati nel mondo criminalizzano gli atti sessuali tra persone dello stesso sesso. Tra questi, 8 prevedono la pena di morte e 9 la reclusione a vita. «Viviamo in

1. Il carro messicano e tedesco

2.

Roma Pride 2024 3. «All'amor si sta in silenzio» di Mirko Leuzzi

Schiavi invisibili, la piaga del lavoro minorile

ULTIMI

Romania, Bulgaria, Italia. Siamo nell'Unione Europea, ma tutt’ora i dati sullo sfruttamento dei bambini sono allarmanti

Dietro la macchina di una fabbrica o nella terra dei campi coltivati ci sono ancora troppe piccole mani strappate alla spensieratezza dell’infanzia. Sono quelle dei bambini costretti a lavorare pur di sopravvivere, per i quali non esiste il diritto all’istruzione e al gioco.

Secondo l’Organizzazione Mondiale del Lavoro (Oil), si parla di manodopera infantile quando sono coinvolte le fasce più giovani della popolazione, che vedono compromessi salute e sviluppo. Secondo le ultime stime dell’Oil, nel mondo sono 160 milioni i minori che lavorano pur non avendo l’età minima legale per farlo, 97 milioni sono maschi, mentre 63 milioni

sono femmine, tra questi quasi la metà svolge mansioni pericolose. Non parliamo solo delle nazioni del Terzo Mondo, ma anche dell’Unione Europea: secondo l’ultimo rapporto Unicef, un bambino su quattro – circa venti milioni - è a rischio di povertà o esclusione sociale, un aumento di quasi un milione dal 2019.

Il fenomeno sembra essere più diffuso in Bulgaria e Romania, dove i più piccoli vengono sfruttati soprattutto nei villaggi rurali dove la povertà è dilagante. Qui vengono impiegati nell’agricoltura e nella produzione di giocattoli, a contatto giornaliero con lacche e colle tossiche. La Romania, in particolare, è tra i primi

posti nell’Unione per abbandono scolastico, che secondo Eurostat nel 2021 è aumentato di tre punti percentuali rispetto all’anno precedente.

Dal 2011, quando il Paese ha varato l’attuale legge sull’istruzione, si stima che circa 450mila minori abbiano abbandonato lo studio prima di finire la scuola media; infatti, più del 15% dei giovani di età tra i diciotto e i ventiquattro anni non ha il diploma.

Il 12 giugno, in occasione della Giornata mondiale contro il lavoro minorile, l’organizzazione Save the Children ha pubblicato “Non è un gioco”, indagi-

ne sul lavoro minorile: nel nostro Paese sono circa 336mila i minorenni tra i sette e i quindici anni con esperienze lavorative, quasi uno su quindici. Dunque, un quindicenne su cinque svolge o ha svolto un’attività lavorativa prima dell’età legale consentita, ovvero sedici anni.

Il problema è che in Italia manca ancora una rilevazione statistica sistematica, che rende difficile delineare con certezza la portata del problema, come spiega Antonella Inverno, giurista specializzata nella tutela internazionale dei diritti umani, dell’infanzia e dell’adolescenza, impegnata dal 2001 nella lotta allo sfruttamento minorile: «Dal 2005 collaboro con Save the Children Italia, inizialmente sono entrata con un progetto operativo sui minori stranieri non accompagnati, poi negli anni ho cambiato ambito e adesso sono a capo dell'area Ricerca, Dati e Politiche. Ho un ruolo attivo nella costruzione dei report, io e i miei colleghi stabiliamo i media line, cioè i messaggi chiave. Attraverso la raccolta dei dati, cerchiamo il cuore del problema per capire come tutelare i bambini dalle disuguaglianze sociali».

Una situazione che attraversa tutta Italia, da Nord a Sud: «Tramite la ricerca abbiamo constatato che è una problematica molto trasversale, che per ragioni differenti coinvolge minorenni di diversa estrazione sociale e territoriale. Al Nord lo sfruttamento si consuma di più nel lavoro agricolo e nelle imprese familiari, mentre al Sud anche nei servizi turistici,

soprattutto d’estate. Lì abbiamo trovato più elementi di svantaggio e abuso».

Si tratta di bambini in situazioni di disagio economico, spesso emarginati dai contesti sociali, che abbandonano la scuola troppo presto: «Di solito dal punto di vista giudico si parte con la denuncia verso il datore di lavoro, ma non è abbastanza. Servirebbero dei percorsi di presa in carico del minore e della sua famiglia, perché chiaramente se ci sono condizioni di sfruttamento vuol dire che tutto il nucleo familiare si trova in una situazione di bisogno, che rimane inascoltata».

«Questi lavori svolti senza alcuna tutela e protezione
hanno

gravi ripercussioni

sullo sviluppo psico-fisico del bambino»

Andrebbe, inoltre, rafforzato il ruolo dell’insegnamento scolastico: «Rispetto a quello che abbiamo visto noi, questi bambini interrompono con più frequenza la scuola per periodi prolungati, dato che incide sulla dispersione scolastica», conclude l’esperta.

A giugno dello scorso anno, l’Unicef ha presentato il primo rapporto statistico

Lavoro minorile in Italia: rischi, infortuni e sicurezza sui luoghi di lavoro: tra il 2017 e il 2021 le denunce di infortunio di minorenni sotto i diciannove anni, presentate dall’Istituto nazionale Assicurazione Infortuni sul Lavoro (Inail), a livello nazionale ammontano a 352.140mila, di cui 223.262mila per i minorenni fino a quattordici anni e 128.878mila nella fascia di età quindici-diciannove anni.

«Questi lavori svolti senza alcuna tutela e protezione hanno gravi ripercussioni sullo sviluppo psico-fisico del bambino, oltre alla totale violazione del diritto alla salute, stabilito dall’articolo 32 della nostra Costituzione», afferma Nicola Cocco, medico della rete Mai più lager-no ai Cpr, a stretto contatto con le difficoltà che vivono ogni giorno i minori non accompagnati in Italia, più esposti ad ogni tipo di sfruttamento, anche sessuale.

L’articolo 32 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea sancisce il divieto del lavoro minorile e garantisce la protezione dei giovani sul luogo di lavoro, ma è una tutela che esiste solo a livello formale. Ad oggi l’Ue, attraverso il piano d’azione per i diritti umani e la democrazia, si impegna a eliminare tutte le forme di lavoro minorile forzato entro il 2025. Obiettivo che appare sempre più lontano: tra guerre e crisi economiche l’ascensore sociale resta bloccato. ■

Il re delle figurine racconta la storia del pallone

Gianni Bellini, il più importante collezionista del mondo, ha inaugurato il torneo 2024 con una mostra in Germania di Isabella Di Natale

«Le figurine di calcio non sono solo sport: dietro c’è storia, cultura e racconti dei tempi che cambiano», Gianni Bellini ne è convinto. Lui, modenese, tipografo in pensione, dal 1970 ad oggi ne ha raccolte più di due milioni e mezzo, «ma ne mancano ancora ottocento mila da incollare, sono un po’ indietro», racconta.

A maggio, in vista degli Europei di calcio 2024, ha presentato la sua collezione in Germania, Paese che fino al 14 luglio ospiterà il campionato: «A Stoccarda ho portato trenta album e alcuni pannelli per ripercorrere le vicende del torneo dal 1970 al 2021», dice Gianni. La buona riuscita della prima tappa ha portato i tedeschi a chiedere altre due mostre, prima a Monaco e poi ad Amburgo.

Un successo inaspettato, ma anche una grande soddisfazione. «Sentivo i nonni che dicevano ai nipoti: “Questo calciatore l'ho visto giocare dal vivo, questo portiere invece era scarsissimo”. Davvero emozionante». Gli occhi dei più piccoli si soffermano a guardare Cristiano Ronaldo o Lionel Messi, idoli dei tempi moderni, mentre tra gli adulti le attenzioni sono per Van Basten

e Beckenbauer. «Le figurine uniscono tutti. Non esiste qualcuno che non abbia mai aperto un pacco», dice il collezionista con orgoglio.

A stampare gli iconici album è sempre stata l’azienda Panini. Cinquantotto anni di produzione senza stop, almeno fino agli europei del 2024, quando ad interrompere il binomio storico è arrivata una compagnia americana. «L’azienda Topps ha acquistato dalla Uefa i diritti per quest’anno e per il 2028», spiega Gianni, «il problema è che la Panini li aveva già comprati per cinque nazioni specifiche, direttamente dalle Federazioni».

Il risultato è una guerra giudiziaria in corso e un album incompleto, anzi due. Nella raccolta americana saranno rappresentati i volti dei giocatori di Italia, Francia, Inghilterra, Spagna e Germania, ma senza maglia, che è invece esclusiva Panini, unica titolata a mostrarla.

Del tutto mancanti, invece, il francese Kylian Mbappé e gli inglesi Rashford, Saka, Foden e Stones. Tra gli italiani compaiono Verratti e Spinazzola, assenti da anni in Na-

zionale. Per colmare questi vuoti, Topps ha stampato figurine di Israele, Islanda e Lussemburgo, squadre già eliminate durante i playoff. Così anche il Galles, uscito alle qualificazioni.

Una situazione paradossale che non è bastata a fermare la passione di Gianni: «Comprerò entrambi gli album, il collezionismo è anche questo». Preferisce non parlare di cifre spese, «con gli stessi soldi avrei comprato una casa al mare, una in montagna e anche una al lago», dice scherzando. Tutto è compensato dalle soddisfazioni, come quella di essere un riferimento per la Panini, la sua “Casa Bianca”: «In diverse occasioni sono stati loro a chiedermi delle campionature che non avevano, soprattutto per gli album stampati all’estero», racconta Gianni.

La prima visita nel tempio delle figurine, non molto lontano dalla sua abitazione, è arrivata a 15 anni e ogni volta è sempre la stessa emozione. «Quando ho iniziato a collezionare andavo alle elementari. Non c'era Internet, l'unico modo per riconoscere i calciatori che nominavano in radio era vederli stampati. Crescendo ho avuto più disponibilità economica e ho iniziato ad investire in questo mondo».

Ricorda ancora l’odore della bustina di carta adesiva, unico e inconfondibile, che tutti abbiamo sentito almeno una volta nella vita. Spacchettare è come fare una caccia al tesoro, sperando di trovare la figurina mancante: «Quando succede sei felice, ma devi esserlo anche se trovi la doppia perché ti servirà per gli scambi», specifica Gianni con ottimismo.

Come quando a lui mancava solo Ivano Bordon, portiere dell’Inter e campione del mondo con l’Italia nel 1982: «Un compagno di classe per consegnarmela voleva cinque-

cento figurine doppie. A casa ne avevo 495, così sono andato subito in edicola a comprare un pacchetto». Dentro quella bustina Gianni trova proprio Bordon, ma la sua correttezza lo porta a concludere lo stesso l’affare: «Era giusto così, però questo mi ha insegnato che si può avere tutto, basta avere la pazienza di cercare».

L’ora della ricreazione a scuola rappresentava il momento ideale per gli scambi. Oggi è il web il nuovo cortile. Bastano pochi click per conoscere collezionisti di tutto il mondo. «È un grande vantaggio. In due minuti riesci a fare quello che prima si faceva in sei mesi, però si è perso il romanticismo della socializzazione». Gli annunci che faceva sui giornali li conserva ancora, così come le lettere ricevute in risposta da Francia, Spagna e Brasile: «Le ho messe in ordine fino a riempire sette casse della frutta», racconta il collezionista col sorriso e un

po’ di nostalgia, «Adesso ho trecento corrispondenti, tutti online».

Alle figurine Gianni riconosce un ruolo educativo e sociale. La geografia l’ha imparata così, leggendo le città di nascita dei calciatori, «invece mio nipote ha preso dimestichezza con i numeri mettendole una dietro l’altra». Nel 2014 ha organizzato un evento di beneficenza in riviera romagnola con diversi ex calciatori, tra cui Massimo Bonini, Eraldo Pecci e Lorenzo Minotti: «Ho fatto fare la loro figurina e chiesto di autografarla per metterla all’asta». Il ricavo è andato ad una società calcistica colpita dal terremoto del 2012 in Emilia-Romagna.

I suoi quattro mila album sono sparpagliati per tutta la casa, eccetto bagno e cucina, «ma solo per una questione di umidità», chiarisce. Dentro quelle pagine ci sono quarant’anni di lavoro certosino. Per questo quando un imprenditore gli dà un assegno in bianco per acquistare tutto non ha dubbi: «Mi dispiace, ma il valore sentimentale non ha prezzo».

Tra i suoi sogni c’è aprire un museo che conservi il suo patrimonio di colla e carta. Nell’attesa di realizzarlo, si gode dal vivo le partite della Nazionale agli europei in Germania: «Sono scaramantico quindi non farò pronostici. Dico solo che nel 2006 sono andato a Berlino per seguire le partite dell’Italia e sappiamo tutti com’è finita…». ■ 2

1. Figurine Panini della nazionale italiana

2 e 3. Gianni Bellinni, il più grande collezionista di figurine del mondo

Gli eroi azzurri degli Europei ora cercano il podio a Parigi

Grande successo a Roma per l'Italia. Si è imposta sui 27 paesi partecipanti con talenti e nuove leve, pronti per i giochi olimpici nella capitale francese

Marcell Jacobs, Filippo Tortu, Nadia Battocletti e Gianmarco Tamberi. Sono alcuni dei campioni che hanno infiammato lo stadio Olimpico per i sei giorni degli europei di atletica di Roma 2024. Di giorno e di notte, sotto il sole e le stelle, gli atleti hanno regalato uno spettacolo memorabile al pubblico di casa facendo quello per cui si preparano ogni giorno: lo sport, la loro passione più grande.

La nazionale azzurra si è imposta come forza dominante nel panorama europeo. È un’Italia vincente: ventiquattro medaglie di cui undici ori, nove argenti e quattro bronzi, il doppio rispetto a Spalato 1990, che fino a poco fa contava la rassegna di maggior successo per gli atleti azzurri.

Tanto è l’orgoglio che l’atletica ha suscitato negli italiani in una parabola

ascendente che è cominciata alle Olimpiadi di Tokyo nel 2021.

Tra gli eroi di Roma, Marcell Jacobs ha confermato il suo status di re della velocità vincendo l’oro nei 100 metri, con un tempo di 10.02, e nella staffetta maschile 4x100. Il velocista italiano di recente ha siglato un altro risultato storico nella sua specialità: nella tappa finlandese del Continental Tour Gold di atletica ha vinto la finale con un cronometro di 9.92, dopo quasi due anni che non scendeva sotto il muro dei dieci secondi. Subito dopo di lui un altro italiano, Chituru Ali, che chiude in 9.96. Doppietta come agli europei. Questo risultato si traduce nel pass olimpico individuale per Parigi.

Grande protagonista è anche Filippo Tortu. È stato il primo italiano in grado di correre sotto i dieci secondi nei 100

metri, con un tempo di 9.99, mantenendo il record dal 2018 al 2021, quando Jacobs l’ha battuto. Il corridore brianzolo è anche il secondo italiano più veloce nei 200 metri, alle spalle di Pietro Mennea. È proprio in questa gara che agli europei, nonostante fosse il favorito, ha vinto un argento «amaro ma prezioso». Si è riscattato dopo due giorni chiudendo l’ultima frazione della 4x100 che è valsa la medaglia d’oro a lui, Jacobs, Lorenzo Patta e Matteo Melluzzo.

Questa vittoria ha confermato il primato olimpico di Tokyo 2021 e lascia ben sperare per Parigi 2024, anche se in quell’occasione la concorrenza sarà più alta. Per prepararsi al meglio Tortu e altri italiani si sono di recente allenati in Florida: «Lì c’è un gruppo di atleti canadesi e statunitensi che conosco ormai da qualche anno, sono miei avversari molto

ATLETICA

bravi e ho chiesto se potessi allenarmi con loro per confrontarmi con chi è più forte e provare a migliorare». Il “bello de nonna”, come lo chiama nonna Titta, ha dichiarato che, dopo gli europei, «si pensa solo alle Olimpiadi».

Una donna in particolare ha lasciato tutti senza fiato: Nadia Battocletti. La mezzofondista trentina ha vinto la prima medaglia d’oro della sua rassegna nella capitale nei cinquemila metri, realizzando il record dei campionati europei. È poi arrivato il secondo oro nei diecimila con il primato italiano di 30’51’’32, battendo quello che già le apparteneva. L’atleta ha dichiarato: «Sono cresciuta sempre di più, gara dopo gara. Senza sacrificio, sudore e fatica non si arriva da nessuna parte». Lei ce l’ha fatta.

Ricordando i grandi campioni, non si può non citare Gianmarco Tamberi. L’altista di Civitanova Marche, già vincitore olimpico a Tokyo e ai mondiali di Budapest 2023, si aggiudica l’oro a Roma, tra scherzi e abbracci al presidente Sergio Mattarella, presente all’Olimpico per sostenere gli atleti italiani. Dopo aver finto un infortunio durante la gara e aver lasciato il pubblico col fiato sospeso, l’atleta si è lasciato andare a grida liberatorie creando un vero e proprio show.

Il presidente nel suo discorso al Quirinale, dove ha ricevuto la delegazione della squadra italiana olimpica e paralimpica, ha detto: «A Gianmarco Tamberi dico che più penso alla serata del suo trionfo europeo, più nutro il dubbio che abbia volutamente messo in campo un

thriller alla Hitchcock». Una personalità imprevedibile e istrionica amata dai tifosi.

Nella corsa altri atleti si sono fatti valere. Antonella Palmisano, dopo l’oro olimpico di Tokyo, si è aggiudicata la medaglia più alta anche a Roma nei 20 km di marcia. Rivelazioni anche Luca Sito e Pietro Arese.

Il primo vince due medaglie d’argento, nella 4x400 maschile e in quella mista. Nella sua specialità, i 400 metri, arriva quinto dopo aver stabilito durante la semifinale il nuovo record italiano in 44.75. I cinque cerchi lo attendono per la prima volta.

Pietro Arese, mezzofondista, vince la medaglia di bronzo nei 1500 metri con il tempo di 3’33’’34’, dopo aver siglato a Oslo il nuovo record italiano nella disciplina correndo in 3’32’’13.

A completare il quadro dei migliori atleti azzurri c’è poi Larissa Iapichino. La lunghista, figlia di Fiona May, pratica la stessa disciplina della madre e a Roma diventa vicecampionessa europea con un salto di 6.94 metri. Pronta a spiccare il volo verso Parigi.

L’atletica italiana sta vivendo un momento di grande successo. La passione del pubblico non è mai stata così viva. Il sostegno è stato un fattore determinante nella motivazione degli atleti: «Senza questo tifo che mi dà carica dagli spalti non so se sarei riuscito a vincere la medaglia d’oro», ha dichiarato il lanciatore

del peso Leonardo Fabbri, commentando il suo trionfo nella capitale.

L’atletica sta rinascendo. Poco prima di Tokyo è stato nominato presidente della Federazione italiana di atletica leggera (Fidal) Stefano Mei che, da ex campione, ha sempre saputo come rivolgersi agli atleti. La scintilla è scoccata con Jacobs e Tamberi in Giappone: l’Italia ha vinto la gara più seguita al mondo, i 100 metri, e ha saltato più in alto di tutti.

Le Olimpiadi giapponesi rimarranno nella storia per aver generato un ciclo virtuoso. Secondo i dati Fidal proprio nel 2021 c’è stato un ingente incremento di iscritti, da 198mila a 228mila tesserati. Il contributo maggiore è stato apportato da esordienti under 14, passati da 54.000 a 90.000, ispirati dai propri idoli. Questa ondata di entusiasmo rappresenta una sfida per la Federazione che, se ben gestita, potrebbe portare l’atletica italiana verso un futuro radioso nei prossimi anni. Intanto le luci sono puntate su Parigi, banco di prova che promette tante soddisfazioni. ■

1. Foto: Fidal

L’Osservatore di Strada il giornale degli ultimi

EDITORIA

Andrea Monda e Piero Di Domenicantonio raccontano come è nato il periodico dell’Osservatore Romano che dà una voce a chi non ce l’ha

Sotto il bianco marmoreo del colonnato di Piazza San Pietro, migliaia di persone camminano verso l’entrata della Basilica. L’acqua delle fontane scroscia, riflettendo un cielo estivo azzurro. I locali intorno accolgono i turisti, pronti a gustare qualche delizia romana. Spunta il Cupolone, maestoso e sacro.

Qui, alle porte della Città del Vaticano, due realtà si incontrano alla luce del sole. Sotto le famose colonne del Bernini, le tende sono diventate la dimora di chi una casa non ce l’ha. Sono l’immagine degli ultimi, degli emarginati, che qui trovano un rifugio sicuro.

coordinatore Piero Di Domenicantonio. «È vero che gli ultimi sono protagonisti, ma è un giornale non solamente per loro, è un giornale che si fa con loro».

Un gruppo di professionisti, a titolo di volontariato partecipa aiutando le persone che non hanno competenza o facilità nella scrittura. Il ruolo dei mediatori consente di ricostruire in una forma più accessibile ai lettori le tematiche e i pensieri espressi dagli amici più in difficoltà.

È in questo contesto che nasce L'Osservatore di Strada, il giornale che, con occhio attento e cuore aperto, vede e racconta le storie di chi vive ai margini, rivelando le verità nascoste sotto la superficie di questa città eterna. La visione distintiva del progetto è permettere agli emarginati di «raccontarsi e dire la propria, è un momento di ricostruzione della persona, di restituzione di dignità», dice il

«Il mensile è nato all'interno della comunità di lavoro dell'Osservatore Romano da un’idea di Paolo Ruffini, prefetto del Dicastero della Comunicazione, poco prima della pandemia. Durante quel periodo, mentre cercavamo di riprogettare il quotidiano, abbiamo pensato di creare un giornale più popolare, una sorta di free press», raccontano Piero, in passato caporedattore, e Andrea Monda, direttore dell’Osservatore Romano. Con l’arrivo della pandemia, però, il progetto è rimasto nel cassetto.

Quando Piero è andato in pensione alla fine del 2021, ha deciso di realizzare quel sogno. Così, ha preso vita l'Osservatore di Strada. Il primo numero è uscito il 29 giugno 2022, per la festa dei Santi Pietro e Paolo, e Papa Francesco ha annunciato la pubblicazione del periodico, sottolineandone il significato: «Questo è un giornale in cui gli ultimi diventano protagonisti».

L’Osservatore di Strada non si limita a trattare temi di carattere sociale o di difficoltà, ma offre uno spazio dove le persone che vivono queste condizioni possono esprimersi e raccontare la propria storia. «Possono scrivere, illustrare il giornale, diventando partecipanti attivi del progetto», spiega Piero, che è in costante contatto con la Comunità di Sant’Egidio, la Caritas e il Centro Astalli. L’obiettivo è coinvolgere nel progetto le realtà che si occupano di assistenza, creando una rete «soprattutto tra le persone». La redazione è delocalizzata e diffusa. Gli autori sono persone che vivono in strada o in strutture di accoglienza, si incontrano spesso in piazza San Pietro la domenica mattina per distribuire il periodico, gratuito sia nella versione cartacea che online. Le

offerte raccolte vanno direttamente a chi consegna il giornale, senza alcun ritorno economico per l'organizzazione.

«Ogni mese scegliamo un tema e vogliamo capire cosa ne pensano le persone che vivono situazioni di disagio o che hanno una prospettiva diversa», prosegue Di Domenicantonio. Il numero di giugno è intitolato “La pace dei poveri”, perché i meno fortunati hanno tanto da dire su questo argomento. Sono le principali vittime di ogni conflitto e hanno esperienze di amicizia e solidarietà che possono insegnare molto.

A livello stilistico, ogni autore è chiamato a raccontarsi in prima persona. C’è poi un momento di scambio tra intervistatore e intervistato: «In questo modo si crea quello che sta scritto sotto la testata: “L'amicizia sociale e la fraternità”, i due capisaldi di una società più giusta. La fraternità la crei nel momento in cui ti metti sullo stesso piano, quando ti apri e racconti le tue emozioni all’altro», spiega Piero con commozione.

Una delle storie che gli è rimasta nel cuore è quella di Mimmo, un uomo di quasi cinquant’anni che vive per strada

arrivato a Roma dal Piemonte. «L’ho conosciuto all’Aventino quando lavoravo da poco al giornale», racconta Piero. «Aveva quest'idea di creare un ponte tra i senzatetto e gli abitanti del quartiere». Mimmo è diventato uno dei primi autori dell'Osservatore di Strada. Dopo un anno, ha deciso di rimettersi in cammino, ma continua ad inviare periodicamente i suoi racconti di viaggio.

Il giornale non si esaurisce nelle sue pagine. L'ex caporedattore chiarisce che «non è giusto parlare di redazione, ma di compagnia, fatta di persone che credono in questo progetto e ci mettono quello che hanno». Tra le tante forme di povertà che esistono, quella di relazione è la più grave, dolorosa e trasversale.

Fra le iniziative, Di Domenicantonio ricorda il Capodanno passato al Teatro dell’Opera: «Ci hanno invitato il primo gennaio per animare una bella festa». Non sono mancate le visite culturali alla Cappella Sistina e alla basilica di San Giovanni in Laterano, sempre con il fine di dar vita a una comunità. «I senzatetto di questa zona la bellezza l'hanno sotto gli occhi, ma spesso non riescono a coglierla perché non hanno mai avuto la possibilità di capirla».

«Questo è un giornale in cui gli ultimi diventano protagonisti»

Oggi a Roma sono 25.000 le persone che vivono in strada. La fame, il lavoro, la casa e la salute sia fisica che mentale sono i problemi più urgenti da affrontare. Anche se sono una percentuale minore, le donne vivono la condizione del senza dimora con maggiore durezza rispetto agli uomini. Non solo a livello di sicurezza, ma anche per lo stigma nei loro riguardi. «È necessario creare una società che sia capace di accogliere e gestire le fragilità», concludono il direttore Monda e Di Domenicantonio, e l’Osservatore di Strada vuole proprio questo: dare voce a chi non ce l’ha, con un giornalismo dove «non si parla tanto, ma si ascolta». ■

All’avventura, una volta ancora

VIAGGIO

Il passaggio di consegne da Pratt a Steiner avviene in Corto Maltese e Irene da Boston, storia di un appuntamento quasi impossibile

Una lametta per incidersi sulla mano una linea della fortuna lunga e profonda e decidere da solo il destino della propria storia. Corto Maltese ha 14 anni quando stabilisce che solo lui avrebbe potuto scegliere come sarebbe andata la sua vita. Con la libertà come ideale, la solitudine come compagna di viaggio, i bordi del mondo come meta e un amore che prima o poi arriverà.

Figlio di una gitana di Siviglia con la passione per l'esoterismo, detta la niña di Gibilterra, e di Roland, un marinaio di Tintagel, villaggio della Cornovaglia, nasce il 10 luglio a Malta, nella città de La Valletta.

È il 1967 quando per la prima volta questo Ulisse moderno, che alla ricchezza preferisce il vento, fa il suo esordio in Una ballata del mare salato sulla rivista Sgt. Kirk. Da quel giorno ne vive oltre 30, a ogni latitudine e longitudine del globo. Da Buenos Aires alle Antille, dal Brasile alle Indie. Da Venezia alla Cina e ancora, Mongolia, Caraibi e il Pacifico, lì dove si trova Escondida, l’isola nella quale incontra la bella Pandora.

Guascone, marinaio, pirata, corsaro, apolide, sognatore e in tanti altri modi è stato chiamato ma la definizione che più gli appartiene è gentiluomo di fortuna, prima di tutto e nonostante tutto. Perché, per lui, ben vengano il perdersi per i sette mari, gli assalti ai velieri nemici e le scorribande nelle isole ma se le storie da raccontare non hanno due occhi da ricordare o un segreto da confidare al mare non varrà mai la pena viverle.

«Il re degli imbecilli, l'ultimo rappresentante di una dinastia estinta che credeva nell'eroismo»

Se fosse una canzone sarebbe il lato A di quel 45 giri pubblicato da Lucio Dalla e Francesco De Gregori nel 1978: Ma come fanno i marinai.

Questi, come Rasputin o Jack London, che a volte sono amici, altre avversari. Ma che in fondo, come cantano il bolognese e il romano, vivono tutti allo

stesso modo: «Con la vita nei calzoni, col destino in mezzo ai denti, sotto la luna puttana e il cielo che sorride».

Dopo anni è pronto a vivere una nuova avventura, non più in un fumetto ma in un romanzo. «Senza mappe, bagagli, né obblighi» direbbe il protagonista. In Corto Maltese e Irene di Boston, storia di un appuntamento quasi impossibile, torna in Italia e dopo una tempesta finisce su una spiaggia della Sicilia. Sulle coste incontra questo veliero arenato e abbandonato alla salsedine con nome di donna desideroso di tornare a solcare i mari ed essere di nuovo felice. Un dialogo continuo che tanto lo farà riflettere. Ritrova il corvo Puck, Bocca Dorata e una misteriosa ragazza dai capelli rossi lunghissimi. Come dice lo stesso Corto: «Le meraviglie del mondo sono tre: un cavallo che corre, una ballerina che danza e una vela sul mare».

Oltre a una nuova avventura c’è un passaggio di consegne. I disegni ad acquarello restano di Hugo Pratt ma la storia la racconta Marco Steiner, pseudonimo di Gianluigi Gasparini, chirurgo dentista che dopo l’incontro con il primo abbandona la sua professione per dedicarsi alla scrittura. Steiner comincia la sua collaborazione con Pratt alla fine degli anni Ottanta «come un garzone di bottega», che «vuol dire entrare nel meccanismo di creazione di una storia».

Questo Corto Maltese è descritto seguendo due linee direttrici: l’ereditarietà e gli incontri che fa. Il tutto senza snaturarne il mito, mantenendo la cronologia e scrivendo senza Intelligenza Artificiale ma con la penna e le emozioni per continuare a rendere viva l’immaginazione. La storia comincia con

il protagonista spaesato, non perché non abbia ben chiaro dove si trovi, d’altronde non è la prima volta che accade, ma per la scomparsa del padre d’inchiostro, che verrà descritto in tutto il libro come “un gabbiano dagli occhi azzurri come il mare” e per il fatto che c’è un nuovo autore a raccontarne le gesta.

Anche questo dimostra la volontà assoluta di non fare trasformazioni inutili: «Perché se lo tocchi in maniera volgare lo rovini, mentre questo personaggio, –spiega Steiner - che non esiste, risveglia in ognuno di noi un lato libertario e un lato immaginativo».

Pietro Melati, vicecaporedattore del Venerdì di Repubblica, afferma: «È come se si fosse chiuso il cerchio, adesso può rinascere nell'immaginario di altre persone». Per raccontare ancora lui che non è un supereroe Marvel, non ha una forza invincibile, non diventa trasparente e non ha neanche un mantello che svolazza mentre guarda il mondo dall’alto ma che al massimo ha un cappello da capitano e un trench fino al ginocchio se le onde sono troppo alte.

Lui che, secondo Steiner, è «l’antieroe delle scommesse vinte e non riscosse» perché «non serve riscuotere la scommessa quando hai vinto». La frase che meglio descrive il perché continui a piacere dopo 57 anni dalla prima uscita è scritta nel libro L’uomo senza qualità di Roberto Musil: «Abbiamo conquistato la realtà e abbiamo perso il sogno». Perché, continua Steiner: «Lui ti aiuta a risvegliare il sogno che questa società e questo eccesso di realtà soffocano».

In altre parole, è l’umano più umano di tutti che ha come rotta una galante irriverenza composta da risposte fulminanti e voglia di far arrabbiare chi gli vorrebbe fare la morale.

«Non sono nessuno per giudicare. So solamente che ho un'antipatia innata per i censori, i probiviri»

Non potrebbe essere altrimenti e non vorrebbe essere nessun altro. «E allora continua a essere te stesso, zingaro, figlio del vento...», è l’invito che gli fa Irene da Boston. Questo, in fondo, è il messaggio della linea della fortuna che si era intagliato sulla mano da bambino. ■

In un mare di libri

LETTURE

Divertimento, famiglia e tanto tempo libero. L'estate è il momento in cui tra un bagno al mare e una cena tra amici si cerca un attimo di relax. Leggere è il miglior modo per evadere dallo stress quotidiano e viaggiare con la fantasia

Un racconto novecentesco di ambientazione medievale che indaga su un mistero classico. Adso da Melk e Guglielmo da Baskerville entrano in un monastero benedettino dove avvengono fatti misteriosi, legati al secondo libro della Poetica di Aristotele sulla commedia e sul riso.

Fantasmi, incubi e cospirazioni indirizzano il dibattito pubblico statunitense. Partendo dalla violenza verbale del candidato repubblicano Barry Goldwater alle elezioni del 1964, l’autore traccia una genealogia cercando di risalire ai caratteri dello stile paranoide.

a cura di Alessandro Villari
“IL NOME DELLA ROSA” DI UMBERTO ECO
“LO STILE PARANOIDE NELLA POLITICA AMERICANA” DI RICHARD HOFSTADTER

“MALOMBRA” DI ANTONIO FOGAZZARO

Una donna angelo, una femme fatale e un giovane scrittore in cerca di ispirazione. La storia di Corrado Silla si intreccia con quella di donna Marina tra amore e misticismo. Lei crede di essere la reincarnazione di un’antenata e cerca vendetta, ma la realtà non è quello che sembra.

“PSICOLOGIA DELLE FOLLE” DI GUSTAVE LE BON

Masse e società, reciprocamente influenzabili, sono alla base della ricerca di Le Bon. Quando il singolo diventa moltitudine perde i propri valori e diventa altro: irrazionalità e istintività dominano. Un saggio che consente di capire il meccanismo fondante dei regimi totalitari novecenteschi.

“IL

CONTE DI MONTECRISTO” DI ALEXANDRE DUMAS

Edmond Dantès, ingiustamente accusato di essere un sostenitore di Napoleone Bonaparte che sta tornando in Francia dopo l’esilio all’isola d’Elba. Imprigionato riesce a evadere e scappare sull’isola di Montecristo dove trova un tesoro che gli permette di mettere in atto la sua vendetta. La pietà verso il nemico vinto trionferà sulla rabbia.

Anniversari

UNHCR: «Bisogna integrare i rifugiati attraverso il lavoro»

Il portavoce dell’organizzazione, Filippo Ungaro, racconta che i numeri di persone in fuga sono ogni anno in aumento

«È il momento di cambiare narrazione sulle persone che fuggono dal proprio paese. Troppo spesso c'è un racconto negativo che li accompagna, alimentato da una descrizione sbagliata, legata alla propaganda politica e quindi semplificata», così Filippo Ungaro, responsabile della comunicazione dell’UNHCR, l’agenzia delle Nazioni Unite specializzata nella gestione dei rifugiati.

All’università LUISS di Roma è stato realizzato, alla vigilia della Giornata mondiale del rifugiato che si ricorda ogni 20 giugno, un incontro dedicato all’organizzazione: «Il messaggio di fondo è la forza dell’inclusione: far capire attraverso gli ospiti quanto sia importante e strategico integrare i rifugiati in tutte le società. Il lavoro gioca un ruolo fondamentale per il proseguo della vita di un rifugiato, la cui realtà è stata stravolta dalla fuga in condizioni drammatiche e dall’impatto con una nuova realtà.

L’inclusione lavorativa significa ridare dignità a queste persone ma anche andare incontro alle esigenze del mondo economico e imprenditoriale italiano. In Italia c’è una documentata carenza della forza lavoro e questa è una soluzione che fa vincere tutti», spiega Ungaro, raccontando Working for refugee integration

Il progetto mette in contatto le aziende con le associazioni di rifugiati per

promuovere dei percorsi di integrazione lavorativa: «Quest’anno abbiamo premiato 220 aziende che hanno promosso oltre 11mila percorsi. Dal 2017, anno di inizio del programma, sono state più di 700 imprese che hanno aderito, per un totale di 34mila percorsi».

L’agenzia ha stimato che le persone in fuga da conflitti, guerre e violenze in tutto il mondo ad oggi sono circa 120 milioni: «Ogni anno si supera il precedente. Nell’arco di 10 anni il numero dei rifugiati nel mondo è raddoppiato. Questo è il risultato di una conflittualità in aumento a livello mondiale, che non fa altro che alimentare il numero di persone evacuate dal mondo».

Nonostante la continua scarsità di fondi, UNHCR pensa a nuove iniziative umanitarie: «Per ora è un

progetto pilota, l'Italia è un'avanguardia in questo. È stata fatta una legge specifica (50/2023, ndr) per promuovere i corridoi lavorativi. Attraverso il sostegno delle aziende garantiremo formazione professionale e corsi di lingua italiana a circa 150 rifugiati che sono in Uganda, in Giordania e in Egitto.

Una preparazione per vari mestieri: dall’information tecnology alla cantieristica navale. In questo modo porteremo in Italia queste persone. È rivoluzionario perché permette ai rifugiati di non intraprendere dei viaggi molto pericolosi e di affidarsi ai trafficanti di esseri umani», afferma Ungaro, che da circa 23 anni lavora per la comunicazione di questo settore.

UNHCR è impegnata per la protezione delle persone in tutto il mondo, solo l’anno

scorso l’organizzazione ha risposto a 43 situazioni di emergenza. Le storie di vite stravolte sono state raccontate durante l’evento, nel quale erano presenti anche Hadi Tiranvalipour e Iman Mahdavi, i due atleti che risiedono in Italia e che faranno parte della squadra dei rifugiati delle Olimpiadi di Parigi 2024.

Ungaro ha parlato di Alina, diventata rifugiata ucraina dopo l’invasione russa avvenuta nel suo Paese a febbraio 2022: «È anche un’artista che lavora il legno. In Italia è presidente di una comunità di appassionati d’arte ma i suoi familiari sono tutt'ora nel paese. La sua vita è stata stravolta, lei testimonia l’estraneità di pensare alla sua identità esclusivamente come quella di un rifugiato».

di Silvia Della Penna

Luiss Data Lab

Centro di ricerca specializzato in social media, data science, digital humanities, intelligenza artificiale, narrativa digitale e lotta alla disinformazione

Partners: ZetaLuiss, MediaFutures, Leveraging Argument Technology for Impartial Fact-checking, Catchy, CNR, Commissione Europea, Social Observatory for Disinformation and Social Media Analysis, Adapt, T6 Ecosystems, Harvard Kennedy School, Parlamento europeo

Master in Journalism and Multimedia Communication Show, don’t tell

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