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«Costruire un ponte tra i fedeli»

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I rapporti religiosi tra Kiev e Mosca dalla prospettiva di un parroco della comunità greco-cattolica ucraina, Don Taras Ostafiiv, che vive in Italia

«Le relazioni tra i capi spirituali della Chiesa greco-cattolica ucraina e i vertici del Patriarcato di Mosca storicamente non sono mai state buone: il dialogo ridotto ai minimi termini non ha dato vita a nessuna iniziativa comune». La ricostruzione di Don Taras Ostafiiv affonda le radici nel passato. Originario di Potik, un paesino nella regione di IvanoFrankivsk, fa servizio pastorale in Italia da dieci anni.

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La sua storia, come quella della Chiesa ucraina, parte da lontano. «In assenza di commissioni condivise, l’unica occasione di incontro tra le due parti è il Consiglio Pan-Ucraino delle Chiese e delle organizzazioni religiose che rappresenta il 95% delle confessioni presenti sul territorio ucraino. L’ultima riunione si è tenuta a Roma. Una tre giorni ospitata in Vaticano da Papa Francesco e conclusasi il 25 gennaio in cui tradizionalmente si chiude la settimana di preghiera per l’Unità dei Cristiani. Al di là di questo contesto, non ci sono mai stati rapporti di grande amicizia».

Sotto il dominio dell’Unione Sovietica, la Chiesa greco-cattolica ucraina ha dovuto lottare per la sua sopravvivenza. Messa fuorilegge da Stalin nel 1946, venne costretta a un’unione forzata con la Chiesa ortodossa russa. «Nel dopoguerra questa fusione venne imposta dai fucili che puntavano le teste dei nostri sacerdoti: non è stato un sinodo ma una farsa illegittima».

La Chiesa greco-cattolica ucraina, che oggi conta 5 milioni di membri, continuò ad esistere in clandestinità. Migliaia di fedeli e sacerdoti vennero arrestati e imprigionati nei gulag in Siberia. A partire dal 1989, con la caduta del regime comunista, iniziò a ricostruire le proprie strutture operative. Passo dopo passo sono riusciti a rialzarci.

Prima dello scoppio della guerra, l’80% dei fedeli che in Italia frequentavano le parrocchie ortodosse russe erano di nazionalità ucraina. Un dato che adesso andrebbe aggiornato. «Dopo l’invasione dell’esercito di Putin, in molti infatti hanno abbandonato le parrocchie perché non si sentivano più a loro agio. Ma c’è anche chi ha deciso di rimanere. All’interno della comunità ucraina questo fortunatamente non ha comportato ripercussioni: tra i nostri concittadini non ci sono dita puntate degli uni contro gli altri».

A fine novembre dello scorso anno, l’Esarca d’Italia della Chiesa greco-cattolica ucraina ha riunito all’interno del Duomo i fedeli di tutte le Chiese cristiane di Milano. «In occasione della preghiera per la pace, ci siamo ritrovati uniti nella stessa supplica contro gli orrori della guerra. Anche i fedeli della Chiesa ortodossa di Mosca hanno partecipato. Tra noi e loro non ci sono state accuse: dal basso abbiamo voluto costruire un ponte, tendendoci le mani. Speriamo ciò avvenga presto anche in cima alle rispettive gerarchie. I nostri rappresentanti sono pronti a in staurare un dialogo. Purtroppo da parte della Chiesa di Mosca non c’è ancora la volontà di normalizzare i rapporti ufficiali con noi: non ci riconoscono come pari, vogliono parlare soltanto con la Chiesa di Roma». ■

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