Cento anni con la Banca Popolare

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La COLLANA EDITORIALE della Banca Popolare Valconca (dal 1992)

Giuseppe Mosconi

valconca: cento ANNI CON LA BANCA POPOLARE

1) P.G. Pasini, Piero e i Malatesti. L’attività di Piero della Francesca per le corti romagnole (1992) 2) E. Grassi, Giustiniano Villa poeta dialettale, 1842-1919 (1993) 3) P.G. Pasini, Il crocifisso dell’Agina e la pittura riminese del Trecento in Valconca (1994) 4) A. Bernucci - P.G. Pasini, Francesco Rosaspina “incisor celebre” (1995) 5) P.G. Pasini, Arte in Valconca dal Medioevo al Rinascimento (1996) 6) P.G. Pasini, Arte in Valconca dal Barocco al Novecento (1997) 7) A. Fontemaggi - O. Piolanti, Archeologia in Valconca. Tracce del popolamento tra l’Età del Ferro e la Romanità (1998) 8) P.G. Pasini, Emilio Filippini pittore solitario 1870-1938 (1999) 9) E. Brigliadori - A. Pasquini, Religiosità in Valconca. Vicende e figure (2000) 10) P.G. Pasini (a cura), Arte ritrovata. Un anno di restauri in territorio riminese (2001) 11) L. Bagli, Natura e paesaggio nella Valle del Conca (2002) 12) A. Sistri, Cultura tradizionale nella Valle del Conca. Materiale e appunti etnografici tra Romagna e Montefeltro (2003) 13) O. Delucca, L’uomo e l’ambiente in Valconca (2004) 14) P. Meldini, La cultura del cibo tra Romagna e Marche (2005) 15) P.G. Pasini, Passeggiate incoerenti tra Romagna e Marche (2006) 16) C. Fanti, Pietre e terre malatestiane (2007) 17) P.G. Pasini, Atanasio da Coriano frate pittore (2008) 18) P.G. Pasini, Il tesoro di Sigismondo e le medaglie di Matteo de’ Pasti (2009) Sono in vendita nelle migliori librerie. Alcuni titoli sono esauriti.

MINERVA SOLUZIONI EDITORIALI

Giuseppe Mosconi

VALCONCA

cento ANNI CON LA BANCA POPOLARE

anni 1911 - 2011

BANCA POPOLARE VALCONCA

BANCA POPOLARE VALCONCA

Questa non è semplicemente la storia di un’azienda di credito, sia pure già avviata oltre il primo secolo di attività; ma, come suggerisce il titolo, è prima di tutto la storia della popolazione di un territorio orgoglioso della propria identità e fiducioso nelle proprie potenzialità di sviluppo. Qui, tra la fine dell’Ottocento e l’inizio del Novecento, persone animate da alti ideali hanno creato opere sociali, cooperative, associazioni in favore dei più bisognosi oppure volte a favorire la crescita economica, culturale e morale degli abitanti. In questo contesto di iniziative, nel 1910, è nata la Banca Cooperativa Morcianese che, grazie all’impegno appassionato e spesso gratuito di tante persone, è cresciuta nei decenni successivi fino a diventare banca del territorio, la Banca Popolare Valconca. La sua storia ha continuato ad intrecciarsi con le vicende sociali, economiche, con le iniziative culturali e caritative dei paesi della zona, così che ripercorrerla significa comprendere meglio i tanti aspetti (a volte solo superficialmente conosciuti) che compongono oggi l’identità di questa vallata.

Giuseppe Mosconi, insegnante di lettere nei licei, da molti anni si occupa di ricerche e studi di storia locale, con particolare attenzione all’associazionismo, alla storia religiosa, al movimento cooperativo in Emilia-Romagna. Tra i vari volumi pubblicati, spesso in collaborazione con altri autori, ricordiamo: La Rerum Novarum in Romagna; Storia di Savignano sul Rubicone (insieme con M. Tosi); Sala di Cesenatico. Il cammino di una comunità (insieme con C. Riva e G. Morigi); Valmarecchia. Cento anni di credito cooperativo e di sviluppo. Ha pubblicato numerosi saggi su riviste quali “Romagna Arte e Storia”, “Studi Romagnoli”, “Linea Tempo”, “Nuova Storia Contemporanea”.


VALCONCA: CeNtO ANNI CON LA BANCA POPOLARe

MINERVA SOLUZIONI EDITORIALI

anni 1911 - 2011



Giuseppe Mosconi

VALCONCA: CeNtO ANNI CON LA BANCA POPOLARe


Ogni riproduzione, anche parziale, è vietata Deroga a quanto sopra potrà essere fatta secondo le seguenti modalità di legge: • Fotocopie per uso personale del lettore possono essere effettuate nei limiti del 15% di ciascun volume dietro pagamento alla siae del compenso previsto dall’articolo 68, comma 4, della legge 22 aprile 1941 n. 633 ovvero dall’accordo stipulato tra siae, aie, sns e cna, confartigianato, casa, claai, confcommercio, confesercenti il 18 dicembre 2000 • Le riproduzioni per uso differente da quello personale potranno avvenire solo a seguito di specifica autorizzazione rilasciata dagli aventi diritto/dall’editore Direttore editoriale: Roberto Mugavero Editor: Paolo tassoni In copertina: Interno della Banca Cooperativa Morcianese da una fotografia del 1925 circa. Sono riconoscibili dietro lo sportello da sinistra Alfredo Grassi e Virginio Malavasi; tra il pubblico secondo da destra il direttore Cesare Rossi. Referenze fotografiche: Andrea testi, Studio effedueotto – Bologna: pagg. 8, 11-14, 16, 18-24, 27, 28, 31, 32, 34, 36, 38, 76, 83, 87, 88, 103, 111, 122, 139. Mario Polverelli, fotografo – Morciano: pagg. 80, 81, 97, 99, 106-108, 113-115, 117-121, 126, 128, 131, 133, 134, 146. Giuseppe Mosconi, autore del volume: pagg. 10, 35, 39, 49, 93, 110. Copyright © 2010 Minerva Soluzioni editoriali s.r.l., Bologna ISBN 978-88-7381-272-2 Minerva edizioni Via Due Ponti, 2 – 40050 Argelato (Bologna) tel. 051.6630557 – Fax 051.897420 info@minervaedizioni.com – www.minervaedizioni.com Copyright © 2010 Banca Popolare Valconca, Morciano di Romagna


L’anno è il 1910. Il luogo è un piccolo paese, quasi a confine fra Romagna e Marche che all’epoca contava poco più di duemila anime. Gli autori del fatto erano gente normale: dodici ardimentosi, tra cui cinque preti, tre agricoltori, tre commercianti ed un tabaccaio. Non si trattava certo di grandi esperti di finanza internazionale. Così è nata una Banca: da gente normale che si è messa in un’impresa eccezionale in virtù di quell’ideale legato alla loro appartenenza al solidarismo cattolico, ideale che ritenevano più importante di tutto il resto. Ma è altrettanto normale (e, quindi, assolutamente eccezionale) anche la prosecuzione della storia che, dal punto di vista operativo, inizia, in realtà, il primo febbraio del 1911. La Banca Cooperativa Morcianese attraversa, non senza difficoltà, la Prima guerra mondiale, la Grande crisi economica del 1929, il Ventennio fascista. Durante la Seconda guerra mondiale subisce, come tutti da queste parti, il passaggio del Fronte, le distruzioni, i bombardamenti. Eppure si va avanti. Miracolosamente (nei verbali della Banca si legge tantissime volte la parola Provvidenza) si trovano ogni volta le forze per ripartire, con nuovo slancio. Negli anni Cinquanta la Banca incorpora prima la Cooperativa Saludecese e, poi, la Cooperativa Mondainese. Viene aperta una filiale a Taverna di Monte Colombo, nel 1957 il nome diventa quello attuale: Banca Popolare Valconca. E poi, avanti con l’intelligente apertura delle filiali sulla Riviera: Cattolica, Misano, Riccione. E poi ancora avanti con il grande salto dell’apertura di uno sportello a Rimini nel 1983. E poi avanti ancora con l’incredibile crescita degli ultimi venti anni che vede da una parte l’apertura di tante filiali nel territorio della Provincia di Rimini ma, dall’altra, tante aperture di sportelli nelle Marche. Come scrive il poeta Mario Luzi non è stato un percorso inutile ed ogni passo di questa storia è importante: “Non fu vano, è questa l'opera che si compie ciascuno e tutti insieme i vivi i morti, penetrare il mondo opaco lungo vie chiare e cunicoli fitti d'incontri effimeri e di perdite o d'amore in amore o in uno solo di padre in figlio fino a che sia limpido”. Oggi la Banca Popolare Valconca conta trenta filiali, più di quattromila soci, una importante solidità patrimoniale che è frutto della lungimiranza di chi ci ha preceduto e del mantenimento degli ideali anche oggi in questi tempi così difficili.


Non solo: è stato preservato anche il grande dono della libertà e dell’autonomia. Qual è il segreto di tanta longevità? Forse la ricetta è molto semplice: stare lontani dalla “grande finanza” e puntare tutto sull’economia reale e sul capitale umano. Recentemente Benedetto XVI ha indicato come uno dei grandi mali contemporanei l’esistenza di “capitali anonimi che schiavizzano l’uomo, che sono un potere anonimo … dal quale sono tormentati gli uomini e perfino trucidati”. è esattamente ciò da cui vogliamo stare lontani. Se la Banca saprà continuare con questa umiltà (nel senso etimologico della parola e, cioè, terra-terra) e con questo slancio ideale, allora saremo in grado di andare oltre. Questo bel libro storico sulla nostra Banca ci consente di fare memoria del passato nella sicura convinzione, come scrive il poeta Nazim Hikmet che “i più belli dei nostri giorni/non li abbiamo ancora vissuti./ E quello che vorrei dirti di più bello/non te l’ho ancora detto”.

Avv. Massimo Lazzarini Presidente della Banca Popolare Valconca


indice

I. II. III. IV. V. VI. VII. VIII. IX.

La Valconca: l’ambiente e le risorse La fondazione della Banca Cooperativa Morcianese Le Banche Popolari in Italia e in emilia-Romagna Lo sviluppo della Banca Cooperativa Morcianese dal 1911 al 1945 Personaggi a Morciano nella prima metà del Novecento Da banca locale a banca del territorio: la trasformazione in Banca Popolare Valconca Dagli anni del boom economico agli anni Ottanta evoluzione dell’economia e prospettive di sviluppo. La BPV dal 1990 al 2010 Banca Popolare è...: iniziative - cultura - servizi - cariche sociali

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Note

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Appendice

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i. la valconca:

l’aMbiente e le risorse

Il fiume Conca si distende per circa 47 km tra la sorgente, situata a 1200 metri d’altezza sul monte Carpegna, nel territorio dell’omonimo comune (provincia di Pesaro-Urbino) a poca distanza dall’eremo della Madonna del Faggio, sino alla foce sul mare Adriatico, posta al confine tra i comuni di Misano Adriatico e Cattolica nei pressi della località di Porto Verde. La parte alta della vallata, piuttosto stretta e accidentata, con frequenti intersezioni di valli laterali e confluenza di torrenti, si sviluppa nel territorio della provincia di Pesaro-Urbino e interessa i centri abitati di Monte Cerignone, Montegrimano e Mercatino Conca. Dopo la località di Fratte, il fiume entra nella provincia di Rimini e qui la vallata diventa ampia, bordata da colline dai pendii dolci ed il corso si snoda tra meandri in un ampio letto ghiaioso, che per molti aspetti appare simile a quello del Marecchia. Nella parte bassa della vallata il Conca interessa il territorio di numerosi comuni, tra i quali spesso costituisce il confine naturale: Montescudo, Gemmano, Monte Colombo, Montefiore Conca, San Clemente, Morciano di Romagna, San Giovanni in Marignano, Misano Adriatico e Cattolica. In località Santa Monica nel comune di Misano Adriatico, immediatamente a monte dell’autostrada A14 è stata realizzata nel 1978 una diga sul fiume che ha creato un invaso artificiale, con lo scopo di fornire acqua per usi civili e anche per

l’irrigazione. Il lago, poco profondo, ha ben presto avuto problemi d’interramento dovuto ai detriti alluvionali; se ne sta tentando il recupero anche come ambiente d’interesse naturalistico e turistico.1 Una storia millenaria La Valconca è stata abitata fin dalla preistoria: proprio qui, nella bassa valle, nelle zone di San Clemente e Misano Adriatico, sono stati ritrovate alcune tracce di presenza umana (strumenti in pietra scheggiata) risalenti al Paleolitico (fra 200.000 e 150.000 anni fa). In epoca romana, la fondazione della colonia di Ariminum (Rimini) nel 268 a.C. segna l’inizio della sistemazione di un vasto territorio compreso tra il Rubicone e il Conca, col metodo della centuriazione. tracce dell’antica centuriazione romana possono ritrovarsi in particolare, secondo gli studi effettuati, a monte della via consolare Flaminia nel territorio comunale di Misano Adriatico, ed inoltre nelle località La tombaccia, Pianventena, Moscolo (comune di San Giovanni in Marignano) e Sant’Andrea in Casale ( comune di San Clemente). Inoltre un centro abitato di epoca romana era presente a Cattolica, che beneficiava sia della via Flaminia, strada di gran traffico, sia della presenza del porto naturale formato dall’estuario del fiume, allora adiacente alla città e riparato dal vicino promontorio di Gabicce. Probabilmente questo centro abitato, di cui sono stati

Foce del fiume Conca, località Porto Verde (comune di Misano Adriatico).

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La Valconca vista dal Monte Carpegna.

eremo Beata Vergine del Faggio, Monte Carpegna.

Nella pagina seguente, sopra: il sito archeologico di San Pietro in Cotto (al confine tra i territori comunali di Montefiore e Gemmano). Sotto: Morciano, Parco fluviale del Conca.

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trovati resti negli scavi effettuati durante gli anni Sessanta, si era costituito intorno ad una mansio, luogo di sosta per uomini e animali, situata esattamente a metà percorso tra Pisaurum (Pesaro) e Ariminum. Anche nella media ed alta valle del Conca (chiamato dai latini Crustumium) sono state trovate tracce di insediamenti romani collocati lungo la via detta Flaminia minor, una strada più interna che, partendo da Rimini, si congiungeva poi con la Flaminia vera e propria ad Acqualagna. Importanti e consistenti reperti di epoca romana sono venuti alla luce nella località di San Pietro in Cotto, posta oggi al confine tra il territorio comunale di Montefiore Conca e quello di Gemmano; qui, su un terrazzo naturale a breve distanza dal fiume, ma protetto dai rischi delle alluvioni, dovevano esistere uno o più centri abitati, alcune delle cui case mostrano un certo livello di qualità. La colonizzazione romana deve aver contribuito in maniera rilevante anche 11


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Ruderi dell’Abbazia di San Gregorio in Conca (Morciano), fondata nell’XI sec.

all’impostazione dell’economia agricola del territorio, con la diffusione delle culture della vite e dell’olivo, a quel tempo considerate particolarmente redditizie, oltre che del frumento; anche la coltivazione del fico, di cui la zona vanta una tradizione secolare, può con molta probabilità essere fatta risalire ai romani che, come sappiamo dalle fonti letterarie, apprezzavano in modo particolare questo frutto. Di questa epoca storica ci parlano i reperti visibili presso il Museo della Regina di Cattolica, il Museo del territorio di Riccione; mentre per lo studio dell’evoluzione geologica del territorio sono interessanti il Museo paleontologico di Mondaino e il Museo dei fossili e minerali di Montefiore Conca.2 Chiese e conventi Nei primi secoli dell’era cristiana assistiamo al sorgere delle pievi, chiese principali dotate del diritto di celebrare anche i battesimi e della giurisdizione dal punto di vista religioso su un certo territorio, da cui dipendono poi altre chiese minori. Nella quasi totale mancanza di una vera e propria organizzazione politica, quella ecclesiastica viene ad assumere spesso anche funzioni civili: attorno alle pievi si tengono mercati e feste, si costruiscono centri abitati; la figura dell’arciprete pievano

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spesso costituisce il riferimento principale per tutte le iniziative della comunità. Nella media e bassa valle del Conca troviamo le pievi di San Savino di Monte Colombo (documentata a partire dal 906), di Sant’Andrea in Casale (comune di San Clemente, ma più vicina a Morciano), di San Laudizio di Saludecio, di Santa Colomba a Onferno (comune di Gemmano), di Sant’erasmo di Misano e di San Giorgio in Conca (comune di Cattolica). Nell’alta valle avevano giurisdizione su varie chiese della Valconca le pievi di San Giovanni Battista di Carpegna, di Santa Maria di Corena (località situata poco ad est di San Leo) e di San Lorenzo di tavoleto. Un altro aspetto caratteristico dell’Alto Medioevo è il diffondersi dei monasteri ispirati alla regola di San Benedetto, e successivamente, anche di altri ordini religiosi. Risale alla metà dell’XI secolo la fondazione ad opera di San Pier Damiani del monastero benedettino di San Gregorio in Conca (comune di Morciano), sicuramente il più importante della valle per ampiezza (attualmente ridotto a ruderi, ha tuttavia l’estensione e la forma di un piccolo centro abitato), per durata (è rimasto attivo fino alla soppressione napoleonica nel 1798) e per influenza sociale. I monaci benedettini infatti, esempio di laboriosità e di intraprendenza, bonificarono i terreni, servendosi anche di coloni fatti venire appositamente per questo scopo; grazie a loro Morciano divenne un punto di riferimento per gli scambi commerciali tra le varie località della vallata. Nei pressi dell’abbazia si tenevano fin dal Medioevo mercati e fiere di merci e bestiame; sappiamo che anticamente le fiere avevano luogo nei primi martedì di ogni mese, mentre il mercato si teneva al giovedì di ogni settimana. La fiera annuale di San Gregorio (12 marzo) fu poi ufficialmente istituita dalla Repubblica Cisalpina nel 1798. Quanto al santo protettore, si tratta di San Gregorio detto Magno (540 cir-


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ca-604), monaco e papa, che lasciò un segno profondo nella storia e nella cultura. Risalgono agli inizi del XII secolo i più antichi documenti relativi al convento dei benedettini a San Giovanni in Marignano, in un primo tempo collocato sul colle di Montelupo, poi trasferito in pianura dopo la bonifica del territorio pianeggiante su entrambi i lati del fiume Ventena; anche in questo caso la bonifica era stata iniziata, verso il 1150, dagli stessi monaci con l’aiuto di coloni riminesi. Nel nuovo borgo furono costruiti il convento e la chiesa di San Pietro Apostolo, quest’ultima documentata a partire dalla metà del XIV secolo; anche qui la presenza dei benedettini si protrasse sino alla soppressione voluta da Napoleone nel 1798, dopo di che la chiesa di San Pietro passò al clero secolare ed è attualmente sede dell’omonima parrocchia. tra le chiese di interesse storico ed artistico della vallata la maggior parte di esse fu costruita, oppure rifatta su una precedente più piccola, nel Settecento, secolo caratterizzato in tutto il territorio della diocesi riminese dalla costruzione di edifici religiosi di notevoli dimensioni e con caratteristiche architettoniche abbastanza simili. La chiesa parrocchiale di San Michele Arcangelo di Morciano fu costruita nel 1794, dopo che una piena del Conca aveva distrutto quella preesistente, e successivamente ampliata nel 1840. La chiesa parrocchiale di San Pietro Apostolo a San Giovanni in Marignano fu ricostruita dalle fondamenta nel 1750 per iniziativa dei monaci benedettini del locale monastero; presenta decorazioni a stucco nell’interno e custodisce tele di artisti del Settecento. Pure dello stesso periodo è la chiesa parrocchiale di San Michele Arcangelo di Mondaino, ricostruita tra il 1740 e il 1749, nella quale si può ammirare la tela L’apparizione dell’Arcangelo Michele di Giorgio Picchi, dipinta nel 1592. Una delle più eleganti chiese della vallata è

quella di San Biagio a Saludecio, a pianta centrale, costruita fra il 1794 e il 1803 su progetto di Giuseppe Achilli; vi si trovano opere di grande valore artistico come la Madonna della Misericordia di Claudio Ridolfi (1620 circa) e San Sisto Papa di Guido Cagnacci (1627). Altre tele di grande valore artistico di pittori del Seicento e del Settecento, insieme a reliquiari, ex voto, candelabri e suppellettili religiose provenienti da oratori e confraternite, possono ammirarsi nel Museo di Saludecio e del Beato Amato annesso alla chiesa.

San Giovanni in Marignano: chiesa parrocchiale di San Pietro Apostolo.

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Ciò che resta di Castel Sismondo, il castelloreggia di Sigismondo Pandolfo Malatesta a Rimini.

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Infine non si può dimenticare in questa rapida ed incompleta rassegna, il santuario della Madonna di Bonora a Montefiore Conca, meta frequentatissima di pellegrinaggi da tutta la diocesi di Rimini e anche da altre parti d’Italia. Verso la fine del 1300, un certo Bonora Ondidei di Levola di Montefiore Conca si ritirò sul Monte Auro per dedicarsi alla preghiera in una casetta di tre stanze, una delle quali adibita a cappella, adornata di affreschi raffiguranti Gesù, la Madonna e i santi. Proprio uno di questi dipinti divenne oggetto di sentita devozione popolare: si tratta di un affresco che raffigura la Madonna, chiamata col titolo di Madre della Divina Grazia, seduta con il Bambino sulle ginocchia nell’atto (che ha anche un valore simbolico) di allattarlo. La Vergine indossa una veste di colore rosso, un manto azzurro e sul petto ha una stella raggiante. Lo stesso Bonora donò, con atto notarile, il 7 ottobre 1409, il terreno, la casa e la cappella al terzo Ordine di San Francesco. Passato poi dai francescani ad altri ordini religiosi, l’oratorio fu ristrutturato in forma di santuario nel 1835 in seguito ad un miracolo avvenuto due anni prima e nel 1837 fu fornito di un sacerdote (rettore) dal vescovo di Rimini. Nel 1910 papa Pio X dotò il santuario di privilegi e indulgenze speciali stabilendo nella seconda domenica d’agosto la festa di S. Maria Mater divinae gratiae, che ancor oggi attira numerosi fedeli non solo dai comuni della vallata, ma anche da Rimini e dalle città costiere.3

Saludecio: chiesa parrocchiale di San Biagio (XVIII sec.).

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Castelli Caratteristica della valle del Conca è la presenza di castelli situati nella zona mediana della valle, dove sono presenti colline di un’altitudine intorno ai 300-400 metri. Nel Basso Medioevo, dopo l’anno Mille, i piccoli centri abitati sulle alture si dotano di strutture difensive, di mura e di torri, assumendo la forma di castelli che diventano elementi di importanza militare, politica ed economica nel territorio. La successiva dominazione della potente famiglia dei Malatesta a partire dalla fine del Duecento fino a tutto il Quattrocento (dominazione però tutt’altro che consolidata e caratterizzata da frequenti scontri con le signorie vicine, in particolare quella dei Montefeltro) portò alla ricostruzione e all’ampliamento dei castelli, che costituivano altrettanti avamposti del potere politico della famiglia e punti strategici per il controllo e la difesa. Anche l’agricoltura in questo periodo aveva la sua massima intensità nella fascia della collina, ma la bassa redditività dovuta a tecniche di coltivazione poco redditizie, nonostante qualche innovazione introdotta, e l’aumento demografico tra il 1000 e il 1300 portarono alla messa a coltura anche di zone sempre più vaste della pianura su entrambe le rive del fiume. Qui, nella quasi assenza o lontananza dei castelli, si costituiscono delle particolari strutture difensive, le tombe, abitazioni fortificate dotate di solide mura, di finestre piccole ed elevate protette da robuste inferriate. Ne resta traccia in vari toponimi, tra cui ricordiamo la tombaccia (o tomba di Oradino) nei pressi di San Giovanni in Marignano. I castelli della valle del Conca costituiscono oggi una delle maggiori attrazioni turistiche della zona: generalmente ristrutturati in epoca recente e resi accessibili al pubblico, sono spesso sede di manifestazioni culturali o ospitano piccoli musei, mentre nella cornice dei borghi medievali si realizzano sagre, cortei in costume, feste e rievocazioni storiche come il Palio dell’uo-

Castello di Montefiore Conca.

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Nella pagina seguente, sopra: Monte Colombo, Castello malatestiano e torre Civica. Sotto: Saludecio, Porta Marina.

Monte Colombo: ingresso al Castello.

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vo a Monte Cerignone, il Palio del Daino a Mondaino, Rocca di Luna a Montefiore Conca, Ottocento Festival a Saludecio. Il castello di Montefiore domina dalla sua elevata posizione la bassa valle del Conca ed è visibile anche a grande distanza. Se ne ha notizia fin dal 1170, come possesso della chiesa riminese. Nel 1322 passò sotto la dominazione dei Malatesta, signori di Rimini. Galeotto Malatesta fece iniziare la costruzione della rocca e delle mura; i lavori furono continuati in più riprese da Pandolfo II, Malatesta Ungaro e Sigismondo Malatesta. Il paese conserva oggi le mura malatestiane e la rocca, costruzione massiccia che gode di un’eccezionale posizione geografica: da qui nelle giornate limpide è possibile osservare non solo tutta la parte bassa della vallata, ma anche un gran tratto della costa. Inoltre è collocato nella cornice di un borgo che conserva la struttura e il fascino dell’età medievale. Alla rocca si accede attraverso una porta con arco a sesto acuto in pietra. Nella sala a pianterreno sono parzialmente conservati gli affreschi di Jacopo Avanzi (XIV secolo). L’imponenza della rocca e i continui lavori di ampliamento e restauro effettuati dai Malatesta testimoniano dell’importanza strategica che i signori di Rimini attribuivano a questo castello, baluardo di difesa meridionale dei loro domini, ai confini con il potente ducato d’Urbino. A Montefiore nacque nel 1377 Galeotto Novello Malatesta, detto Belfiore dal nome di questa località, e successivamente diventato signore di Cervia. I Malatesta tennero il castello di Montefiore sino al 1458, quando se ne impadronì Guido da Montefeltro; seguirono alcuni decenni burrascosi di alterne vicende; poi dal 1509 il castello passò in modo stabile sotto il dominio dello Stato Pontificio, fino all’età napoleonica. Il castello di Monte Cerignone è posto su una collina argillosa a 513 metri s.l.m.;

conserva notevoli tratti della cinta muraria con l’arco dell’ingresso dalla parte sud. La rocca è un edificio tozzo e compatto, studiato per assolvere insieme le funzioni di difesa militare e di palazzo residenziale, strutturato su tre piani. Il castrum Montis Cerignonis, donato nel 962 dall’imperatore Ottone I a Ulderico di Carpegna, passò nel 1389 ai Montefeltro, nel 1448 fu assediato e conquistato da Sigismondo Malatesta che fece ampliare e restaurare la rocca; ritornato poi in possesso ai Montefeltro, nel 1478 Federico I d’Urbino fece ricostruire la rocca su progetto del celebre architetto senese Francesco di Giorgio Martini. La località merita una visita per aver conservato la struttura e il fascino del borgo medievale. Monte Colombo, castello originariamente appartenente alla chiesa ravennate, passò nel 1271 ai Malatesta i quali lo tennero fino al 1504, quando lo cedettero alla Repubblica di Venezia. Conserva gran parte della cinta muraria, soprattutto sui lati settentrionale ed orientale, i due


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ingressi entrambi con arco a sesto acuto: il primo nella cinta muraria, affiancato da un torrione a pianta circolare inserito nel perimetro delle mura; l’altro alla rocca. Quest’ultimo conserva anche le corsie per lo scorrimento delle travi che reggevano il ponte levatoio ed è sormontato da una torre quadrangolare costruita come torre comunale dell’orologio sugli avanzi di un preesistente torrione in pietra. Montescudo, anticamente chiamato Rio Alto e poi Mons Scutulus, assunse la denominazione attuale nel 1862. Il castello fu conteso per secoli tra i Malatesta e i Montefeltro. Conserva oggi la massiccia cinta muraria, un raro esempio di ghiacciaia di epoca malatestiana, la torre civica del trecento, i camminamenti e i cunicoli sotterranei che collegano la rocca con la torre di avvistamento. Saludecio è uno dei centri più interessanti della Valconca per storia, monumenti e opere d’arte. Il toponimo ha suscitato varie ipotesi interpretative tra cui quella che lo ricollegherebbe a una pieve non più esistente dedicata a San Laodicio o Laudezio martire. Il sito, abitato già in epoca preromana e romana, divenne nel Medioevo castello, dapprima di proprietà della chiesa riminese, poi dei Malatesta, dal 1334 fino alla fine del Quattrocento; alla dominazione malatestiana va attribuita la costruzione della rocca e della cinta muraria, in parte conservate. L’ingresso del paese è costituito dalla Porta Marina (con torre, beccatelli e merlatura a coda di rondine) affiancata da un bastione medievale in cui attualmente ha sede il Museo; dopo la porta si apre la piazza del Beato Amato sulla quale si affacciano la chiesa parrocchiale di San Biagio e il Municipio; la via principale del paese è la via Roma, che lo attraversa in senso longitudinale, sulla quale si affacciano palazzi e case con portali in pietra ornati da stemmi, testimoni di un periodo di splendore quando Saludecio, tra Cinquecento e Ottocento, fu il centro abitato più popoloso, ricco e politicamente importante 19


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della vallata. Al termine della via Roma si apre Porta Montanara, presso la quale si trovano la chiesa di San Girolamo e l’ex convento dei Gerolomini. Il castello di Mondaino (castrum Montis Daini) sorge su uno sperone roccioso a 420 metri s.l.m; appartenne all’Abbazia di San Gregorio sul Conca di Morciano fin

Mondaino: ingresso alla Rocca.

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dal 1069, poi nel trecento, come molte altre località della zona, fu conteso fra i Malatesta di Rimini e i Montefeltro di Urbino. L’aspetto attuale della rocca fu definito da Sigismondo Malatesta che la ornò anche, nella parte superiore, di una merlatura ghibellina. Si conserva quasi intatta la cinta muraria e si può ammirare la porta nord,


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con arco a tutto sesto, munita di cassero con le corsie di scorrimento delle travi che reggevano il ponte levatoio. La rocca è un edificio a forma grosso modo rettangolare, collegato a un altro edificio più basso e a un torrione esagonale; da qui si può osservare uno splendido panorama che spazia dalle colline del Montefeltro alla costa. Adiacente alla rocca è stata costruita nell’Ottocento Piazza Maggiore, dalla caratteristica forma semicircolare con uno splendido porticato in mattoni a vista ed archi a tutto sesto.4 Morciano tra Ottocento e Novecento All’inizio dell’Ottocento, Morciano era solo una parrocchia ed un piccolo borgo: il suo territorio era diviso fra i comuni di San Clemente e di Montefiore. La sua posizione centrale rispetto alle località poste sulle colline della vallata, a destra e a sinistra del Conca, ne aveva fatto da secoli un luogo di scambi e commerci, nei mercati e nelle fiere, tra cui quella annuale di San Gregorio.

La crescita demografica e quella economica fecero nascere l’esigenza di un’autonomia anche giuridica, così nel 1827 Morciano - per decreto di papa Leone XII - diventò “comune appodiato” di San Clemente (gli appodiati erano comuni minori, che si appoggiavano per alcuni servizi ad un altro comune, ma che avevano tuttavia propri rappresentanti ed un proprio bilancio). Popolazione di Morciano Anno 1701 1816 1861 1881 1901 1921

Abitanti 423 1000 1503 1732 2202 2573

Fonte: O. Delucca, L’uomo e l’ambiente in Valconca

Nel 1858 con decreto di Pio IX il comune di Morciano acquistò una completa autonomia; venuta l’unità d’Italia,

Panorama di Morciano con in evidenza il Pastificio Ghigi.

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valconca: cento anni con la banca popolare

Morciano: Piazza del Popolo e Palazzo Comunale.

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nel 1862 assunse la denominazione ufficiale di Morciano di Romagna. Con Regio Decreto 25 novembre 1869 fu aggiunta al territorio comunale la frazione di Moscolo, prima appartenente a San Clemente. Avvenimento di importanza determinante per lo sviluppo economico della località fu la costruzione del ponte sul Conca, realizzato nel 1869-1870, che fece di Morciano il punto di passaggio obbligato per i collegamenti tra l’alta Valconca, il

Montefeltro e il riminese; questo diede un impulso notevole allo sviluppo di Morciano come centro commerciale. Il mercato settimanale del giovedì si svolgeva sulla Piazza del Popolo, allora più vasta perché non esistevano ancora il palazzo comunale costruito nel 1929, né i giardini antistanti. tra i principali prodotti venduti quelli agricoli, le sementi (per il commercio delle quali fu costruito agli inizi del Novecento un apposito porticato) e i bozzoli della seta.


l'aMbiente e le risorse

Il primo martedì di ogni mese e ogni martedì di settembre vi era la fiera di merci e bestiame: il bestiame grosso e minuto, per motivi soprattutto di igiene era esposto in luogo diverso dalla Piazza del Popolo, nell’apposito Foro Boario. Buoi e cavalli erano merce pregiata e costosa, indispensabile per il lavoro nei campi e come mezzo di trasporto; la loro compravendita esigeva prudenza e oculatezza, e richiedeva l’intervento di specialisti del settore, i “sensali”.

La Fiera di San Gregorio (12 marzo) si protraeva per tre giorni ed era caratterizzata dall’affluenza di venditori e compratori anche da località più lontane. Anticamente si teneva presso l’Abbazia di San Gregorio, ma dopo la soppressione napoleonica di questa (1798) fu trasferita nel paese. Nella seconda metà dell’Ottocento, accanto ai tradizionali mercati e fiere si registrò l’aumento di negozi di commercianti, di botteghe di artigiani, di osterie e trattorie; si verificò un sensibile incremento demografico per l’affluire di abitanti delle zone collinari, attirati dalle possibilità di lavoro che Morciano offriva. Il paese veniva ad assumere sempre più le caratteristiche di centro dei commerci, anche se l’agricoltura continuava ad essere un’importante risorsa del territorio; come in genere accadeva in gran parte della Romagna a quei tempi, si trattava però di un’agricoltura concentrata su pochi prodotti di base: cereali (soprattutto grano, in secondo luogo mais), vite e foraggio. Più limitata la produzione di legumi, scarsa o quasi inesistente la frutticultura. L’allevamento era quasi esclusivamente concentrato sul settore dei bovini, ed in misura molto minore sui cavalli, animali comunque a quel tempo necessari come mezzo di trasporto. Le amministrazioni pubbliche degli ultimi decenni dell’Ottocento, provenienti dalle classi della piccola borghesia emergente e non più da quella dei proprietari terrieri, compresero le esigenze di sviluppo del paese e cercarono di darvi risposta con la realizzazione di servizi pubblici moderni: furono realizzati l’acquedotto, l’ampliamento del Foro Boario, il nuovo cimitero e un servizio di raccolta e smaltimento dei rifiuti. Strumento essenziale di tale politica di sviluppo fu il piano regolatore del 1887, opera del geometra Diomede Forlani (1846-1902). Si tratta di un progetto decisamente innovativo per quei tempi, che prevedeva ampie strade larghe 15-20 metri con incroci ad angolo retto, marciapiedi spaziosi, una nuova piazza

Morciano: statua del Mercurio (1901).

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valconca: 100 anni con la banca popolare Diomede Forlani (1846-1902).

(oggi Piazza Risorgimento), un nuovo campo della fiera, lo stadio comunale, case popolari e una stazione ferroviaria per il collegamento con Cattolica. Per abbellire Piazza del Popolo si pensò di dotarla di alberi e di una fontana (1901) su cui fu posta una statua in bronzo del dio Mercurio alta 1 metro e 90 cm (co-

Morciano: teatro Ronci (1906). Nella pagina a fianco: locandina della Fiera di San Gregorio.

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pia di una famosa opera del Giambologna che si trova a Firenze al Museo del Bargello). Mercurio era nell’antichità il dio protettore dei commerci e la statua voleva quindi indicare la vocazione commerciale del paese, diventandone ben presto uno dei simboli più noti e caratteristici. Lo sviluppo di Morciano si realizzò anche attraverso la creazione di istituzioni, spesso innovative, che esprimevano la solidarietà e la collaborazione della popolazione alla realizzazione di obiettivi comuni. Nel 1861 si costituì la Congregazione di Carità, la quale aveva lo scopo di assistere le famiglie bisognose, gli anziani, gli ammalati, gli orfani. Nonostante l’opposizione del parroco, questa Congregazione riuscì successivamente a farsi assegnare il godimento dei beni posseduti dalla Confraternita del SS. Sacramento che era stata sciolta. Nel 1867 fu fondata la Società Operaia di Mutuo Soccorso, associazione che aveva lo scopo di fornire ai lavoratori assicurazione in caso di malattia, pensioni per inabili, assistenza alle vedove e agli orfani dei soci.


l'aMbiente e le risorse

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valconca: cento anni con la banca popolare

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l'aMbiente e le risorse

L’iniziativa ebbe subito larga e convinta adesione, così ad essa collegata nacque nel 1876 la Cassa Operaia di Prestiti e Risparmio, il primo istituto di credito sorto a Morciano. Ma più che come banca autonoma, la Cassa Operaia era concepita in funzione di supporto alla Società di Mutuo Soccorso, alle cui attività era tenuta per statuto a devolvere tutti gli utili realizzati. Il dibattito di idee e il senso di partecipazione agli interessi comuni trovò dal 1883 espressione nel periodico locale “L’Ape del Conca”: il nome, come era spiegato al primo numero, alludeva all’intenzione di “pungere” gli amministratori della cosa pubblica senza alcun intento di parte, ma facendosi interprete delle esigenze dei cittadini ed in particolare delle classi popolari. Anche in campo culturale i morcianesi si orientarono verso iniziative che potevano esprimere il senso di appartenenza alla propria comunità e la partecipazione collettiva: il Corpo Bandistico fu sempre guardato come simbolo di tutto il paese, l’amore per la lirica si espresse nella costituzione della Società dei Palchettisti la quale, nei primi anni del Novecento, provvide alla costruzione del teatro Ronci. La possibilità di avere a disposizione un teatro portò alla costituzione di una Compagnia Filodrammatica che ogni anno proponeva un proprio programma in occasione della Fiera di San Gregorio. tra la fine dell’Ottocento e i primi del Novecento Morciano, ormai ben affermata nel settore commerciale, si avviò anche a sviluppare un’economia di tipo industriale. La prima industria fu il Pastificio Ghigi. Nel 1870 il morcianese Nicola Ghigi, fornaio e commerciante in generi alimentari, si propose di ampliare la sua attività aprendo presso il proprio forno di via Ronci un piccolo laboratorio per la fabbricazione della pasta secca. Il laboratorio, attrezzato con macchine piuttosto rudimentali, produceva una quantità di pasta sufficiente per soddisfare la domanda di Morciano e di una ridotta clientela esterna al paese. Nei primi

Morciano: antico Pastificio Nicola Ghigi.

decenni del Novecento, i fratelli Angelo ed emilio Ghigi fecero del Pastificio un’industria di rilevanza nazionale, costruendo un nuovo stabilimento dotato di macchinari all’avanguardia. Altre industrie che nacquero successivamente furono: il Bachificio Valentinotti (produceva larve di bachi da seta); lo Stabilimento tipografico Gaspari, fondato nel 1913 da emilio Gaspari e specializzato nella produzione di materiale a stampa per le pubbliche amministrazioni; il Lanificio Fratelli Ceccolini (produzione di filati di lana), impiantato nel 1913 a Mercatino Conca e trasferito nel 1923 a Morciano. Nel campo dei servizi di pubblica utilità, per iniziativa del dottor ernesto Montanari sorse nel 1913 la Casa di cura che porta il nome del fondatore, destinata ad avere un grande sviluppo nei decenni successivi.5

In alto: pianta e piano regolatore di Morciano. Sotto a sinistra: Fiera di San Gregorio (1972). A destra: le donne del bachificio Valentinotti.

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ii. la fondazione della banca cooperativa Morcianese

L’ atto costitutivo A Morciano e nei dintorni, agli inizi del Novecento, si sentiva l’esigenza di avere una banca che facesse da supporto e da elemento propulsore dello sviluppo che la cittadina e la zona stavano avendo ormai da alcuni decenni. La Cassa Operaia di Prestiti e Risparmio, primo istituto di credito morcianese fondato nel 1876, nata in collegamento e a supporto della Società di Mutuo Soccorso, non era riuscita a realizzarsi come vera e propria banca (restò in vita fino al 1927, quando fu assorbita dalla Cassa di Risparmio di Rimini); altri istituti come la Cassa di Risparmio di Rimini o il Piccolo Credito Romagnolo erano restii ad aprire filiali nei paesi dell’entroterra perché la scarsa densità di popolazione e l’esiguità del movimento di capitali rischiava di rendere improduttiva, almeno nell’immediato, oppure troppo rischiosa, l’operazione. In tale situazione, nei piccoli centri si diffusero in quegli anni le Banche Popolari Cooperative e le Casse Rurali: iniziative che potevano far leva soprattutto sul fattore della solidarietà, sulla mutualità e sulla generosità di alcuni volenterosi che offrivano gratuitamente un po’ del loro tempo per un’opera considerata di utilità sociale. In questo modo si potevano ridurre al minimo le spese di gestione e offrire un servizio che, sia pur ridotto agli aspetti essenziali (di solito, il deposito su libretto e il credito in forma di sconto di cambiali, e sempre per importi limitati) mirava tuttavia a rivol-

gersi anche alle persone di condizioni economiche più modeste, che normalmente restavano al di fuori dell’ambito dell’attività bancaria. Banche Popolari Cooperative sorsero a Montescudo nel 1883, a Coriano nel 1886, a San Giovanni in Marignano nel 1889, a Misano in Villa Vittoria nel 1905, a Cattolica nel 1910, a Mondaino nel 1911, a Saludecio nel 1916. Contemporaneamente si diffondevano le Casse Rurali, anch’esse società cooperative, che però a quel tempo si rivolgevano esclusivamente ai lavoratori agricoli (coltivatori diretti, affittuari o mezzadri) in ambito strettamente locale: di solito la loro competenza territo-

A sinistra: Marino Vanni (1876-1936), primo presidente. Nella pagina a fianco: Atto costitutivo della Banca Cooperativa Morcianese, 13 agosto 1910.

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valconca: cento anni con la banca popolare

Manifesto del gennaio 1911 che annuncia l’imminente apertura al pubblico della Banca Cooperativa Morcianese.

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riale era ristretta a una sola parrocchia e molto spesso facevano capo al parroco come una qualsiasi associazione. Le prime due Casse Rurali del circondario riminese sorsero proprio in questa zona, e furono quelle di tavoleto e di Saludecio, entrambe fondate nel 1896; seguirono nel 1908 quelle di Albereto (frazione di Montescudo) e di Monte Colombo.6 È evidente quindi che la decisione di fondare una banca cooperativa a Morciano nasceva in conseguenza di un movimento che si andava sviluppando e che mirava a render partecipi strati sociali sempre più larghi al piccolo credito e a forme moderne di risparmio, sia pure di modesta entità. Nello stesso tempo attraverso la diffusione delle società cooperative, che comportavano vari livelli di partecipazione alle decisioni comuni, dalle assemblee sociali alla elezione di tutte le cariche, si mirava a far crescere negli associati la coscienza civile e la responsabilità verso il bene comune, a renderli partecipi e responsabili del processo di sviluppo. Di questi obiettivi di progresso sociale e morale oltre che economico si erano fatti promotori negli ultimi decenni dell’Ottocento i cattolici organizzati nell’Opera dei Congressi, cui facevano capo una rete di circoli, società di mutuo soccorso, casse rurali, cooperative agricole, artigiane e di consumo; i repubblicani di ispirazione mazziniana avevano diffuso società operaie, società di mutuo soccorso, scuole popolari; i socialisti avevano privilegiato l’aspetto sindacale attraverso l’organizzazione di “leghe di resistenza”, ma andavano sviluppando anche un capillare sistema di società cooperative in vari settori. La “Banca Cooperativa Morcianese, società anonima cooperativa di credito” fu costituita con atto del notaio Alfredo Nanni di San Giovanni in Marignano.7 Presso lo studio di questi, posto in Morciano in via Borgo Mazzini n. 31, il giorno sabato 13 agosto 1910 si presentarono i dodici soci fondatori:

Marino Vanni, agricoltore possidente di San Giovanni in Marignano; Carlo Forlani, commerciante di cocci e terraglie di Morciano; Don Alessandro Ceccarelli, parroco di Morciano; Don Pietro Baffoni, nato a Monte Colombo, sacerdote a San Clemente (fu poi parroco di Morciano come successore di don Ceccarelli); Don Isidoro Ronci, sacerdote a San Clemente; Don Giuseppe Garuffi, morcianese, sacerdote a San Clemente; Donato Grassi, proprietario terriero di Morciano; Sante Garuffi, proprietario terriero di Morciano; Filippo Vannucci, commerciante di ferramenta di Morciano; Antonio Ciuffoli, commerciante di granaglie di Morciano; Don Angelo Cecchi, sacerdote a San Clemente; Giuseppe Mancini, tabaccaio di Morciano. La presenza di cinque sacerdoti tra i fondatori mostra chiaramente che l’iniziativa nasceva in ambito cattolico (infatti nello statuto allegato all’atto costitutivo la Banca Cooperativa Morcianese veniva definita “società cattolica anonima cooperativa di credito”); il principale promotore fu il parroco di Morciano don Alessandro Ceccarelli che assunse in un primo tempo gli incarichi di consigliere, direttore e segretario, prendendosi cura fra l’altro delle pratiche necessarie per il regolare inizio dell’attività. Un’altra caratteristica che emerge dall’atto costitutivo è la volontà dei fondatori di dar vita a un istituto che non fosse rivolto soltanto alla popolazione di Morciano, ma che interessasse pure quella dei comuni circostanti; nello statuto infatti non venivano posti vincoli di residenza né per la qualifica di socio, né per le funzioni amministrative e neppu-


la fondazione della banca cooperativa Morcianese

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valconca: cento anni con la banca popolare

In alto: Domenico Ghigi (1873-1961), consigliere. Sotto: Certificato azionario provvisorio n. 1 della Banca Cooperativa Morcianese, emesso il 1 febbraio 1911 e a fianco Alessandro tonti (1861-1927), consigliere.

re veniva definito un ambito territoriale per le operazioni di prestito, a differenza di quanto allora di solito avveniva nelle banche locali. emerge pure dall’atto costitutivo e dallo statuto la volontà di rivolgersi a tutte le categorie sociali (l’art. 2 dello statuto recita che la società svolge la sua attività a beneficio di “operai, agricoltori e commercianti”) ed è significativa la presenza fin tra i fondatori di quel ceto dei commercianti che tanta parte aveva ed ha avuto anche successivamente nello sviluppo e nel benessere economico di Morciano; questi erano autorevolmente rappresentati nel consiglio di ammi-

nistrazione da Carlo Forlani, nominato vicepresidente (e successivamente, dal 1915, presidente). Quanto alle caratteristiche di Banca Popolare di questo nuovo istituto, pur non essendo questa denominazione pre-

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la fondazione della banca cooperativa Morcianese

I primi amministratori (1910)

sente nei documenti di fondazione, lo si ricava dal fatto che il suo statuto è ricalcato sul modello di quello delle banche popolari preesistenti e che di conseguenza la società ne condivide le caratteristiche essenziali.

Vanni Marino

Presidente

Forlani Carlo

Vicepresidente

Ceccarelli don Alessandro

Consigliere effettivo

tonti Alessandro

Consigliere effettivo

Arduini enrico

Consigliere effettivo

Ghigi Domenico

Consigliere effettivo

Ciuffoli Antonio

Consigliere supplente

Rossi Gaspare

Consigliere supplente

Ceccarelli don Alessandro

Direttore

Il parroco don Alessandro Ceccarelli Il principale promotore e quindi quello che può essere considerato il fondatore della Banca Cooperativa Morcianese fu l’allora parroco di San Michele Arcangelo don Alessandro Ceccarelli. era nato a San Mauro di Romagna (oggi San Mauro Pascoli) il 27 febbraio 1856, figlio di Giuseppe. Aveva scelto la via del sacerdozio come i due fratelli don Mauro (parroco di Sant’ermete, frazione di Santarcangelo di Romagna, morto nel 1955) e don Federico; era stato nominato parroco di Morciano con bolla di papa Leone XIII in data 8 marzo 1887, in seguito al decesso del precedente parroco don Domenico Ghigi, avvenuto il 1° gennaio dello stesso anno.8 Nel nome di Dio Amen. Nell’anno 1887 dalla nascita di Cristo, il giorno 31 del mese di agosto. In forza della lettera apostolica datata Roma in San Pietro, nell’anno 1887 dall’Incarnazione del Signore, otto di marzo, il Reverendissimo Don Alessandro Ceccarelli sacerdote secolare di San Mauro in questa Diocesi di Rimini fu investito della chiesa parrocchiale di San Michele Arcangelo di Morciano di questa stessa Diocesi, resa vacante per la morte dell’ultimo parroco e legittimo possessore Molto Rev. Don Domenico Ghigi, deceduto il giorno primo gennaio del corrente anno. Volendo dunque il sopra nominato Molto Rev. Don Alessandro Ceccarelli prendere possesso

In alto: Carlo Forlani, socio fondatore e primo vicepresidente, poi presidente dal 1915 al 1928. Sotto: Antonio Ciuffoli (1841-1916), socio fondatore e consigliere.

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valconca: cento anni con la banca popolare

formale della predetta chiesa di San Michele Arcangelo, il Molto Rev. Sig. Vescovo Alessandro Chiaruzzi, insieme col Molto Rev. Don Alessandro Ceccarelli, con i testimoni sottoscritti e con me vice segretario vescovile, si recò alla chiesa parrocchiale di San Michele Arcangelo dove, dopo aver fatto una breve adorazione davanti all’altare maggiore, a voce alta e ben udibile lesse la sopra ricordata lettera apostolica. Terminata questa lettura, il suddetto Molto Rev. Sig. Vescovo Alessandro Chiaruzzi immise e investì del reale e materiale possesso della detta chiesa parrocchiale di San Michele Arcangelo di Morciano e di tutti i diritti e tutte le pertinenze il detto Molto Rev. Don Alessandro Ceccarelli il quale, in segno del ricevuto possesso, salito all’altare maggiore, lo baciò al centro, aprì e chiuse il tabernacolo, spostò le tovaglie e i candelabri, sedette in confessionale, aprì e chiuse il battistero, poi chiuse ed aprì la porta della chiesa e suonò la campana, come suole essere fatto per indicare e significare il reale e materiale possesso. Ed egli dichiarò di non voler mai lasciare il possesso ricevuto (della parrocchia) per suo allontanamento o rinuncia, ma di considerarla come sua sposa. E questo fu fatto a Morciano presenti i Molto Rev. Arciprete Luigi Renzi, e Arciprete Sante Rastelli, testimoni a me noti, che insieme col sopra ricordato Emin. Vescovo Alessandro, e me vice segretario episcopale si firmarono. + Alessandro Vescovo Alessandro Ceccarelli Arciprete Luigi Renzi Arciprete testimone Sante Rastelli Arciprete testimone ( firma illeggibile) vice segretario vescovile (Archivio vescovile di Rimini, b. 6.V.V.I.1, in latino nell’originale)

Lapide in memoria di don Alessandro Ceccarelli e dei suoi due fratelli sacerdoti. Cimitero comunale di Morciano.

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Dalla relazione presentata dal parroco stesso in occasione della visita pastorale del Vescovo di Rimini mons. Vincenzo Scozzoli datata 30 agosto 1910 ricaviamo altre notizie sia sui sacerdoti sia sulla vita della parrocchia in quegli anni.9 L’arciprete Alessandro Ceccarelli risiede nella canonica insieme con il fratello don Federico Ceccarelli, che ha l’incarico di cappellano; si assenta da Morciano una

volta all’anno, nel mese di ottobre, quando si reca a Sant’ermete ospite presso il fratello don Mauro. Ha fatto eseguire nel 1905 lavori di riparazione e restauro al campanile, danneggiato da un violento temporale, con la costruzione di una nuova cupola a piramide; ha fatto rifare l’intonaco della facciata della chiesa; nel 1907 ha fatto rifare il pavimento della chiesa e della sagrestia “a mattonelle di cemento di vari colori” e rifatto l’intonaco della canonica. tali lavori sono stati eseguiti a spese del parroco, con un esiguo contributo del Governo e di privati. Alla cura pastorale contribuiscono anche altri due sacerdoti residenti nel paese, don Carlo Mancini e don Callisto Mancini, che tuttavia prestano il loro servizio anche altrove. Il vescovo mons. Scozzoli dimostra soddisfazione ed apprezzamento per l’opera pastorale di don Ceccarelli. In una lettera in data 26 ottobre 1910 gli scrive: “In merito alla Visita pastorale compiuta da me a Morciano il giorno 12 ot-


la fondazione della banca cooperativa Morcianese

tobre scorso, non ho che da rallegrarmi del Suo zelo e dei lavori compiuti pel decoro della Chiesa parrocchiale. Particolarmente sono rimasto soddisfatto della preparazione ed istruzione dei fanciulli del catechismo. La ringrazio ancora della squisita accoglienza”.10 Quanto al contributo dato da don Ceccarelli all’attività della neonata Banca Cooperativa Morcianese, da un esame dei documenti questo appare molto intenso nei primissimi tempi, quando il parroco svolgeva insieme le funzioni di direttore, di membro del consiglio e di segretario (cioè colui che compilava i verbali delle riunioni); si occupò anche delle pratiche burocratiche per l’avvio dell’attività e per la ricerca di personale qualificato, intervenendo attivamente con proposte e osser-

Sopra: Bolla con cui papa Leone XIII nomina don Alessandro Ceccarelli parroco di San Michele Arcangelo in Morciano, 8 marzo 1887 (Archivio Vescovile di Rimini). Sotto: Regio exequatur per la nomina del parroco don Alessandro Ceccarelli, 14 luglio 1887 (Archivio Vescovile di Rimini).

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valconca: cento anni con la banca popolare

Chiesa parrocchiale di San Michele Arcangelo a Morciano.

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la fondazione della banca cooperativa Morcianese

vazioni nelle riunioni del Consiglio. Da quanto risulta dai documenti, svolse tale attività sempre gratuitamente rinunciando ad ogni compenso. Poi gradualmente si tirò in disparte dagli incarichi; dal marzo 1913 non fece più parte del Consiglio di amministrazione, pur conservando l’incarico di direttore; dal febbraio 1914 alla scadenza del suo mandato di durata triennale, avendo egli manifestato l’intenzione di non voler proseguire in tale funzione, il Consiglio provvide a nominare un altro direttore. Da quel momento non si trova più alcun cenno nei libri sociali a don Ceccarelli, che pure restò parroco di Morciano fino alla morte, avvenuta il 16 febbraio 1932. Nel cimitero comunale di Morciano si trovano due lapidi con il suo nome; una, nella cappella, che ricorda i parroci di San Michele Arcangelo; l’altra, sotto il porticato della parte più antica, in memoria dei tre fratelli don Alessandro, don Mauro e don Ferdinando Ceccarelli (si suppone che quest’ultimo nome sia un refuso, in luogo del don Federico citato nei documenti della Curia). La parrocchia di Morciano: un contesto di iniziative Nel 1910 la parrocchia comprendeva 1162 abitanti in paese, raggruppati in 282 famiglie e 854 abitanti nella campagna con 163 famiglie: in totale 2016 abitanti e 445 famiglie. Il catechismo ai fanciulli, suddivisi in tre classi, si insegnava nei giorni festivi e in tutti i giorni di quaresima; agli adulti alla sera della domenica, prima della benedizione. Nel paese, oltre alla chiesa parrocchiale, vi era in quel tempo solo un’altra chiesa aperta al pubblico (cui si deve aggiungere però la cappella del cimitero, di proprietà del Comune): l’oratorio della Beata Vergine delle Grazie, risalente alla fine del Settecento; in precedenza era affidato a un sacerdote, don Ferrante Frattini; dopo la sua morte, era stato

dato dal vescovo in custodia al parroco pro tempore. Quanto alle istituzioni cattoliche, esistevano due Società di Mutuo Soccorso (una maschile e una femminile); inoltre il parroco scrive che “tra breve verrà istituita una Banca Cattolica Agricola” che dovrebbe essere proprio la Banca Cooperativa Morcianese. esistevano inoltre tre confraternite con finalità religiose: quella dell’Addolorata (che curava in particolare le due feste dell’Addolorata, una nella domenica di Passione, l’altra nella terza domenica di settembre), quella della Buona Morte e quella del Rosario (festa nella prima domenica d’ottobre). La Confraternita del SS. Sacramento era stata sciolta nel 1908 e i suoi beni devoluti alla locale Congregazione di Carità. La Congregazione della Dottrina Cristiana riuniva e preparava i catechisti. Secondo il parroco, la popolazione si accostava ai sacramenti del battesimo e del matrimonio religioso in modo pressoché totale (nel paese risultavano solo tre matrimoni civili e due “concubinati”, cioè convivenze di fatto); appena tre o quattro fanciulli in età adatta non avevano fatto la Prima Comunione; i funerali civili avvenivano “rarissime volte”. Ciò non impediva che nel paese ci fossero “società sovversive” ed anche che circolassero “stampe immorali e irreligiose” ad opera di “società alleate”: dietro queste parole di condanna del sacerdote è facile intravedere l’allusione a gruppi socialisti o ispirati ad idee radicali ed anticlericali.11 Un’importante opera sociale cattolica fu aperta a Morciano poco tempo dopo: l’ Istituto Sacro Cuore per le Figlie del popolo”, inaugurato il 20 ottobre 1912 alla presenza del vescovo mons. Scozzoli. L’Istituto fu voluto da un sacerdote morcianese, don Carlo Ghigi, prendendo all’inizio in affitto una casa privata, e fu affidato in origine a quattro suore francescane provenienti dall’istituto Righi di Faenza. Lo scopo era essenzialmente 37


valconca: cento anni con la banca popolare

quello dell’assistenza a fanciulle orfane e bisognose, ma viva fu la soddisfazione nella popolazione per l’arrivo in paese delle suore, dal momento che nella località da tempo non erano più presenti né religiosi né religiose; infatti era intenzione del vescovo di affidare ad esse anche altri compiti, come quelli del catechismo ed eventualmente l’istituzione di “una scuola elementare”.12 Don Carlo Ghigi, morto nel 1918, fu uno dei primi sostenitori della Banca Cooperativa Morcianese di cui fu socio fin dal 1911, ricoprendo negli anni successivi l’incarico di sindaco revisore; e viceversa la Banca sostenne sempre assiduamente l’Istituto Figlie del popolo, che costituisce uno dei più ricorrenti destinatari della beneficenza erogata, a partire già dal 1913.13

Lapide in memoria dei parroci defunti. Cimitero comunale di Morciano.

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DAL RIMINeSe Morciano, 21 L’Istituto del S. Cuore per le figlie del popolo è stato ieri inaugurato solennemente col concorso di mons. Vescovo e di altre autorità del paese e di fuori nonché da un’immensa folla di visitatori. La festa, preceduta da un grande lavoro di preparazione fatto in pochi giorni, è riu-

scita imponente, tanto più se si riflette che questo paese è stato in questi ultimi anni considerato una rocca forte di avversari. Oggi siamo lieti di constatare che la bella e grandiosa manifestazione di ieri al Vescovo, alle suore francescane di Faenza, all’infaticabile concittadino don C. Ghigi promotore della novella istituzione, ha fatto cambiare opinione a parecchi: Monsignor Vescovo prese parte alle varie funzioni e dal balcone dell’Istituto nel pomeriggio indirizzò nobili e commoventi parole al popolo convenuto a dimostrare apertamente la propria soddisfazione per l’opera iniziata così felicemente. La sera poi la vasta piazza fu gremitissima per assistere all’illuminazione, ai fuochi e al servizio bandistico sotto la direzione del valente maestro Giunchi. Le suore francescane sono rimaste quasi confuse della solennità fatta in loro onore ed hanno aggradito assai l’omaggio dei morcianesi anche per mezzo di dediche a stampa per cura delle figlie del popolo, delle madri cristiane, della società femminile cattolica, della Banca Cooperativa Morcianese e di molti altri in iscritto, telegraficamente e in persona dalle autorità e da distinti signori del luogo. da “L’Avvenire d’Italia”, 22 ottobre 1912 Il fratello di don Carlo Ghigi, Domenico Ghigi, era titolare di una fabbrica di laterizi a San Clemente; fu socio della Banca Cooperativa Morcianese dal 1911 e per breve tempo anche consigliere. L’avvio dell’attività della Banca Cooperativa Morcianese Dopo la costituzione legale della Banca Cooperativa Morcianese si dovette attendere per alcuni mesi prima dell’effettivo avvio dell’attività, avvenuta il 1° febbraio 1911. Il 26 gennaio il settimanale cattolico “L’Ausa” di Rimini dava la notizia dell’imminente apertura con questo articolo:


la fondazione della banca cooperativa Morcianese

MORCIANO – A giorni aprirà gli sportelli al pubblico in Morciano di Romagna la Banca Cooperativa Morcianese, società anonima cooperativa costituita con rogito Dott. Alfredo Nanni 13 agosto 1910, approvato con Decreto del tribunale di Forlì 26 settembre 1910. essa compirà tutte le operazioni delle ordinarie banche di sconto e deposito e più specialmente: farà prestiti e sconterà cambiali, biglietti all’ordine e ogni altro effetto commerciale, riceverà depositi di denaro; accorderà sovvenzioni contro pegno di effetti pubblici; aprirà c.c. con malleveria di due o più persone; esigerà e pagherà per conto terzi. L’amministrazione e la direzione della Banca sono affidate rispettivamente a un Consiglio d’Amministrazione e ad un Direttore al quale è devoluta la firma per tutti gli atti e affari della Società: persone tutte di indiscusso e indiscutibile credito. in “L’Ausa”, 26 gennaio 1911 Fu anche pubblicato un manifesto nel quale, oltre a dare notizia dell’apertura imminente, si indicavano gli orari di apertura al pubblico: tutti i giorni, tranne i festivi, dalle 9 alle 13; anche al pomeriggio dalle 14 alle 16 nei giorni di fiera o mercato; il tasso sulle operazioni di deposito e prestito, la composizione del Consiglio di amministrazione, la ripartizione degli utili annuali. Il giorno stesso dell’apertura al pubblico si tenne anche la prima riunione ufficiale del Consiglio di amministrazione, riunito per approvare quanto compiuto nei mesi precedenti dal direttore don Ceccarelli e dai consiglieri sia sotto l’aspetto delle pratiche burocratiche da espletare (approvazione dello statuto, registrazione presso l’Albo delle società del tribunale di Forlì, ecc.) sia per la sistemazione del locale in affitto, in origine situato presso la casa parrocchiale di Morciano, nel quale era stata individuata la sede (lavori di muratura, acquisto di mobilio e di

una cassaforte, impianto di illuminazione a gas e allacciamento del telefono). Per l’organizzazione dell’attività contabile ci si era rivolti al ragionier Balboni della Banca Piccolo Credito Romagnolo di Rimini, il quale aveva fornito i moduli, i registri e gli stampati necessari per l’attività di sportello e per la tenuta della contabilità e si era assunto anche l’incarico di sorvegliare in questa fase iniziale la tenuta dei registri e di offrire consigli e assistenza agli impiegati.14 A differenza di quanto accadeva in alcune piccole banche locali, la Banca Cooperativa Morcianese infatti volle partire fin dall’inizio con una propria sede, un orario regolare di sportello e con i primi due impiegati, che furono Andrea Grassi con la qualifica di cassiere e Cesare Rossi con la qualifica di contabile (la differenza tra i due incarichi consisteva in pratica nel fatto che al primo era affidata la responsabilità del denari e della cassa, al secondo quella della tenuta dei libri contabili e della corrispondenza, poi in pratica entrambi intrattenevano anche il rapporto con la clientela per tutte le operazioni). Inoltre nella prima riunione del consiglio di amministrazione fu deciso che i consiglieri, gratuitamente e a turno settimanale, avrebbero prestato la loro opera “per le mansioni e le pratiche a loro deferite dallo statuto”, vale a dire

Sotto: biglietto con cui il Comitato locale ringrazia la Banca Cooperativa Morcianese per l’offerta in favore dei militari al fronte, 19 novembre 1915.

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per la raccolta delle domande di adesione a socio, di emissione di azioni e di concessione dei prestiti, i pagamenti di spesa corrente, affiancando in tal modo il ruolo del direttore che identificandosi all’inizio col parroco non poteva evidentemente essere presente in modo continuativo. Le principali iniziative del Consiglio di amministrazione nel primo anno di vita furono le seguenti. a) Fu creato un rapporto di collaborazione con la Banca Piccolo Credito Romagnolo, sede di Rimini, con l’apertura di un conto corrente attivo e passivo, la concessione di un fido fino ad un importo massimo di lire ventimila e la possibilità di emettere assegni di quell’Istituto. era questa una procedura abbastanza consolidata per le piccole banche in fase di avvio: appoggiarsi ad un istituto di maggiori dimensioni per depositare il denaro liquido in eccesso, ed avere contemporaneamente la possibilità di accedere a prestiti a tasso agevolato per far fronte ad eventuali necessità, ma anche per poter rispondere a un maggior numero di richieste di finanziamenti; usufruire inoltre di certi servizi come l’emissione di assegni (in origine la Banca Cooperativa Morcianese non emetteva assegni in proprio). Inoltre il direttore della Banca Piccolo Credito Romagnolo di Rimini, il ragionier Ageo Balboni, offrì un prezioso supporto di consulenza per l’avvio dell’attività amministrativa e contabile. Quanto alla scelta del Piccolo Credito Romagnolo, occorre notare che questa banca era stata fondata nel 1896 a Bologna da Giovanni Acquaderni (lo stesso che nel 1868 aveva dato vita alla Società della Gioventù Cattolica), ed aveva tra le sue finalità specifiche quella di offrire un supporto finanziario ad iniziative sociali quali le Casse Rurali, le cooperative ed altre istituzioni simili; nel 1903 venne aperta la filiale riminese che ebbe una notevole attività sia in città, sia in tutta la zona.15 b) Si cercarono dei validi impiegati, diplomati ed esperti, da assumere per

l’attività della Banca. Fu don Ceccarelli a ricevere l’incarico della ricerca di un “ragioniere patentato” che venne dapprima individuato in Alfonso Manuzzi di Bologna, mentre a Vittorio Forlani di San Clemente veniva affidato l’incarico di contabile. Già nel febbraio 1911 venne assunto un giovane impiegato, Cesare Rossi (aveva allora soltanto 17 anni) che già dal 1913 diventò contabile in sostituzione di Vittorio Forlani dimissionario; il Rossi ebbe un ruolo importante per lo sviluppo della Banca, di cui fu in seguito anche direttore. Un’altra figura importante fu il dottor Pompeo Grassi, farmacista, il cui rapporto di collaborazione con la Banca iniziò nel 1913 con la qualifica di cassiere. Dal 1914 fu nominato direttore in sostituzione di don Ceccarelli. c) Si cercarono anche rapporti con altre banche, come la sede di Pesaro della Banca d’Italia, alla ricerca di finanziamenti che consentissero di far fronte alle richieste di credito; a partire dal 1914 furono allacciate relazioni di affari con alcune Casse Rurali della collina, quelle di Saludecio, Levola (frazione di Montefiore) e tavoleto. d) Per aumentare il patrimonio si decise di rinunciare per i primi cinque anni di attività alla distribuzione di utili ai soci, destinandoli al fondo di riserva; non si rinunciò però alla concessione della beneficenza nella misura del 35% dell’utile netto, come stabilito dall’art. 39 dello statuto; fu inoltre deciso di ammortizzare su un periodo di dieci anni le spese sostenute per l’avvio dell’attività e la sistemazione degli uffici. Nel febbraio 1912 il Consiglio di amministrazione poteva predisporre per l’assemblea dei soci il resoconto del primo anno di attività. La raccolta del risparmio, al 31 dicembre 1911, vedeva un totale di lire 156.082; i depositi effettuati erano in grande prevalenza su libretti a risparmio libero (74% dell’importo totale della raccolta); il resto era suddiviso tra libretti

Campanile dell’Oratorio del Sacro Cuore (1928) - Morciano.

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vincolati a tempo, libretti vincolati nominativi e conti correnti. I prestiti in portafoglio ammontavano al 31 dicembre a lire 144.103, ma nel corso degli undici mesi di attività i finanziamenti erogati erano stati di importo notevolmente superiore, e per far fronte alle richieste il Consiglio di amministrazione aveva fatto ricorso in misura abbastanza consistente al credito da altre banche, in particolare dal Piccolo Credito Romagnolo. I prestiti erano in origine di due soli tipi: con rimborso unico o a rate, rispettivamente al 6,50 e al 7% di interesse annuo. Quindi il Consiglio di amministrazione si diceva soddisfatto dei risultati ottenuti, specie dell’affluenza della clientela e del movimento di denaro, rimarcando però come dati non ancora soddisfacenti il modesto utile netto conseguito (lire 538,24) e l’ancora esiguo capitale sociale, consistente in 50 azioni di lire 100 ciascuna (possedute da 48 soci).16 L’impostazione data dal Consiglio di amministrazione già nei primi mesi di vita si può considerare probabilmente come fattore decisivo del successo dell’iniziativa. La Banca Cooperativa

Il Direttore Rossi Cesare nel 1924.

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Morcianese aveva carattere locale, il che consentiva un rapporto di fiducia basato sulla conoscenza personale, ma nel contempo evitava di chiudersi in un abito troppo piccolo, aprendosi anche alla clientela dei vicini paesi che facevano riferimento a Morciano per le attività commerciali (la maggiore affluenza dei clienti avveniva infatti nel giorno di mercato settimanale, e a questo si cercava di rispondere assicurando un impiegato in più in quella giornata). Nel 1912 si dovette addirittura stabilire per regolamento che nei giorni di mercato non si sarebbero fatte operazioni di importo rilevante. Infatti uno dei problemi caratteristici delle piccole banche locali era la morte per asfissia, in quanto il piccolo giro dei depositi e dei crediti avviava una spirale negativa che portava a non riuscire più a sostenere le spese di gestione. Un’altra scelta importante fu quella di avvalersi sì, almeno nella prima fase, del gratuito supporto di alcuni “volontari” quali il direttore (anche gli amministratori nei primi tempi non ricevevano alcuna gratifica), ma di puntare da subito sull’as-


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sunzione di personale fisso, retribuito e qualificato: una scelta che dava garanzia di maggiore stabilità e professionalità. Altrettanto importante fu la scelta di avvalersi del rapporto con altri istituti più grandi, sia per garanzia dei clienti, sia per aver accesso a maggiori quantità di denaro (un grosso problema nell’economia di quel tempo), sia per poter usufruire di alcuni servizi accessori. Infine, l’erogazione della beneficenza, accuratamente devoluta ad istituzioni ed iniziative di utilità sociale per il territorio, specialmente quelle sorte in ambito cattolico e destinate a più poveri e svantaggiati, rafforzava nei soci e negli amministratori l’idea di costruire un’opera che contribuiva effettivamente al miglioramento economico e morale della popolazione. Il fondo per la beneficenza fu messo a disposizione del Consiglio a partire dall’approvazione del bilancio 1912, quindi nel marzo 1913, ed il primo destinatario di cui abbiamo notizia in quello stesso periodo fu l’Istituto Figlie del popolo di Morciano. Lo statuto e alcune caratteristiche della società Lo statuto allegato all’atto costitutivo fu approvato dal tribunale di Forlì il 26 settembre 1910; con la successiva iscrizione della Banca Cooperativa Morcianese con il numero d’ordine 894 presso il Registro delle società, allora presso il tribunale stesso, avvenuta il 23 ottobre dello stesso anno, la Banca era autorizzata a diventare operativa. Naturalmente per la stesura sia dell’atto costitutivo sia dello statuto ci si era basati sul modello delle Banche Popolari preesistenti, in particolare della Banca Popolare di Lodi, la prima ad essere stata fondata in Italia nel 1864. Nel 1910 poi esistevano da tempo vari libri e pubblicazioni, in particolare ad opera del professor Luigi Luzzatti, che riportavano in dettaglio istruzioni, esempi e modelli per costituire questo tipo di cooperative.

Lo statuto del 1910, composto di 90 articoli suddivisi in otto titoli, era molto dettagliato, e specificava in modo minuzioso anche tutte le operazioni della banca; questo se da un lato aveva il vantaggio di offrire un riferimento certo ed indiscutibile, d’altra parte obbligò presto a dover procedere a modifiche dello statuto stesso per adeguarsi a nuove esigenze o per far fronte a problemi riscontrati nello svolgimento delle attività. Vale la pena di esaminare un po’ più in dettaglio lo statuto originario che evidentemente esprimeva le intenzioni dei fondatori e le caratteristiche che la società doveva avere. Il titolo I indica che la Banca Cooperativa Morcianese è “una società anonima cooperativa di credito” che viene qualificata come “cattolica” in riferimento alle sue origini e agli ideali cui si ispira. Si rivolge ad “operai, agricoltori, commercianti” (quindi sostanzialmente alle classi popolari, senza alcuna particolare preferenza per un particolare ambito di attività, come accadeva ad esempio per le Casse Rurali, rivolte in origine in genere esclusivamente ai lavoratori dei campi). Le finalità erano quelle di “promuovere il miglioramento sociale ed economico” attraverso la raccolta dei risparmi e l’erogazioni di crediti, ma accanto a questa ci si proponeva anche “di costituire o coadiuvare nel tempo e forme che troverà più acconce le istituzioni di beneficenza e quelle che tendono allo sviluppo dell’industria, del lavoro e mutua associazione”. Cioè l’idea era quella di fare della società cooperativa un modello di relazioni sociali basate sul principio della mutua collaborazione e della solidarietà verso i più bisognosi. Il titolo II riguarda il capitale sociale e i soci. Il capitale sociale è formato dalle azioni sottoscritte dai soci, del valore di lire 100 ciascuna. Le azioni sono nominative, indivisibili e personali e vanno pagate in cinque rate mensili, a partire 43


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dalla data di sottoscrizione. Al capitale sociale si aggiunge il fondo di riserva, da costituirsi accantonando una parte degli utili annuali.17 Per quanto riguarda i soci, nessuna caratteristica di residenza territoriale o di stato professionale è richiesta per essere ammessi, ma solo l’impegno scritto a rispettare gli obblighi dello statuto, dei regolamenti e delle deliberazioni sociali. Si richiede inoltre la firma di altri due soci che attestino l’onestà e moralità del richiedente. Oltre alle persone fisiche, sono ammissibili come soci, nella persona di un loro rappresentante, “società cooperative, di mutuo soccorso e corpi (cioè enti) morali”; queste però non sono eleggibili per le cariche sociali. In pratica quindi l’accesso di enti e società è molto limitato e ristretto a quelli con finalità sociale o a carattere cooperativo. Il titolo III riguarda le operazioni della Banca. Quanto ai prestiti, l’art. 23 stabilisce che questi non sono riservati soltanto ai soci (tranne alcune particolari operazioni, come il credito agrario e il credito su pegno) ma aggiunge che “sarà cura del Consiglio d’amministrazione di dare la preferenza a parità di condizioni ai soci sugli estranei e preferire pure i prestiti, sovvenzioni e sconti più piccoli”. In sostanza si voleva dare la preferenza ai soci e ai ceti più modesti, evitando però di chiudere l’ambito di operatività al proprio interno. L’art. 26 stabilisce che i prestiti sono fatti in forma di cambiali a sei mesi; ma è lasciata facoltà al Consiglio di poter rinnovare le cambiali (e quindi la durata) e di concedere il rimborso a rate; per le cambiali è richiesta la garanzia di due firme di persone non necessariamente soci. Riguardo ai depositi, questi possono avere le seguenti tipologie: libretti al portatore, libretti vincolati (abbiamo visto che erano di due tipi, nominativi o a tempo), conti correnti con l’uso di assegni, buoni 44

fruttiferi a scadenza fissa. Inoltre la Banca poteva fare e o ricevere pagamenti per conto di soci e clienti. Si trattava di un complesso di operazioni certo molto ridotto rispetto a quello delle banche di oggi ma per quei tempi abbastanza diversificato e capace di stare al passo con istituti di dimensioni ben maggiori, mentre le piccole banche locali in genere offrivano servizi più limitati. I veri punti di forza che però potevano allora attirare maggiormente la clientela erano la buona redditività dei depositi (nel 1910 oscillava tra il 3% sui libretti al portatore fino al 3,75% su quelli vincolati a tempo) ed il moderato tasso dei prestiti (tra il 6% e il 6,50%). La forbice così ristretta tra tassi attivi e passivi poteva essere mantenuta grazie al limitato impiego di personale stipendiato, alla gratuità di tutte le cariche, all’utilizzo di prestazioni a titolo volontario, alla gestione dei servizi forse un po’ lenta ma poco costosa. Il titolo IV riguarda la ripartizione degli utili che viene così fissata: “15% ai soci in proporzione delle azioni da loro possedute, 40% al fondo di riserva, 10% per le eventuali perdite, 35% a disposizione del Consiglio di amministrazione onde formare un fondo da erogarsi in beneficenza e in premi a favore dell’industria, lavoro e mutua associazione”. Nonostante le buone intenzioni coltivate dai fondatori nel concedere una così larga parte degli utili alla beneficenza, tale articolo fu uno dei primi a subire modifiche, riducendo la quota destinata alla beneficenza sia per incrementare il patrimonio sociale, sia probabilmente anche per incoraggiare le adesioni alla società, piuttosto limitate nei primi tempi. Il titolo V stabilisce gli organi della società. L’assemblea sociale ordinaria si riunisce nel primo trimestre di ogni anno, elegge le cariche sociali, approva il bilancio, apporta eventuali modifiche allo


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statuto e si esprime sugli argomenti posti all’ordine del giorno. L’assemblea straordinaria può riunirsi in qualunque altro momento su richiesta del Consiglio di amministrazione, del Comitato dei sindaci o di almeno quindici soci. Ogni socio nell’assemblea ha diritto a un voto, qualunque sia il numero delle azioni possedute, e può farsi rappresentare da un altro socio per mezzo di un mandato scritto; per tutte le decisioni assembleari basta la maggioranza assoluta dei presenti (eccetto le modifiche allo statuto per cui viene richiesta una maggioranza qualificata dei tre quarti). Le votazioni riguardanti le persone (come l’elezione delle cariche sociali) devono essere fatte a scrutinio segreto. Il Consiglio di amministrazione è composto da un presidente, un vicepresidente, quattro consiglieri effettivi (tutti con durata triennale) e due supplenti (dei quali uno si rinnova ogni anno). tutti i soci possono essere eletti a far parte del Consiglio di amministrazione, tranne i rappresentanti di società. Gli amministratori non devono avere tra di loro un legame di stretta parentela o affinità. Il Comitato dei sindaci (tre effettivi e due supplenti) nominato dall’assemblea, ha il compito di sorvegliare “la stretta osservanza dello Statuto, dei regolamenti e delle deliberazioni sociali” e di controllare la regolarità della tenuta dei conti come stabilito dal Codice di Commercio. Il Comitato degli arbitri, composto da tre soci nominati dall’assemblea con carica triennale, ha il compito di dirimere eventuali controversie sia tra i soci e la Banca, sia nell’interpretazione dello Statuto, dei regolamenti e delle deliberazioni dell’assemblea. Altre funzioni sociali sono quelle del Direttore, nominato dal Consiglio di amministrazione, che rappresenta anche la società nei confronti di terzi, firma la corrispondenza e i pagamenti; il Segretario contabile che cura la tenuta dei libri

sociali e dei registri della contabilità e il Cassiere che ha la responsabilità della cassa e della registrazione quotidiana di tutte le entrate e le uscite. Infine i titoli VI, VII e VIII riguardano questioni più marginali a carattere per lo più tecnico. In generale si può osservare, riguardo all’organizzazione della società cooperativa, che essa intendeva avere una funzione educativa quale scuola di democrazia e partecipazione. La struttura sociale, pur conservando una certa agilità che limitava normalmente le assemblee a una volta all’anno, faceva perno però sulle decisioni di un Consiglio di amministrazione eletto da tutti i soci, senza alcuna differenza tra loro. Il Consiglio poi agiva sempre in forma collegiale, evitando forme di personalismo e restando sotto il controllo degli organismi di vigilanza.

Banca Cooperativa Morcianese, certificato di azione nominativa emesso il 16 novembre 1915.

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È coincidenza significativa che la Banca Cooperativa Morcianese sia stata costituita nello stesso anno, il 1910, nel quale Luigi Luzzatti, l’economista che era stato in Italia il principale sostenitore e propagandista delle Banche Popolari, diventò presidente del Consiglio dei ministri del Regno d’Italia, dopo aver ricoperto più volte la carica di ministro. Oltre al prestigio personale di Luzzatti, gli anni di fine Ottocento e di inizio Novecento avevano visto lo sviluppo impetuoso delle Banche Popolari, ed in generale delle diverse forme di cooperative di credito, tra cui l’imponente fenomeno delle Casse Rurali, piccole per dimensioni ma diffuse in modo capillare anche nei più piccoli centri. È vanto delle Banche Popolari di essere state, insieme con le società di Mutuo Soccorso e a pochi altri tipi di società, le prime associazioni in forme cooperativa in Italia, e quindi basate sui principi della collaborazione reciproca dei soci, della loro partecipazione sia alla formazione del capitale, sia alle decisioni aziendali e alla nomina degli amministratori. Schulze-Delitzsch padre delle Banche Popolari in europa Hermann Schulze nacque il 29 agosto 1808 a Delitzsch, cittadina della Sassonia, primo dei dieci figli del borgomastro. Studiò legge a Lipsia ed Halle, poi esercitò la professione di giudice nella città natale; qui ebbe modo di rendersi conto delle

difficoltà di agricoltori e artigiani di fronte all’emergere dell’economia industriale. Nel 1848 fu eletto come deputato della sinistra liberale all’Assemblea nazionale prussiana; da quel momento unì al suo cognome quello del paese d’origine, per distinguersi da un omonimo. Convinto della capacità dei cittadini di organizzarsi autonomamente e di sostenersi a vicenda, diede vita nel 1849 ad un primo esperimento cooperativo con la fondazione di un’associazione che riuniva 57 calzolai di Delitzch e dintorni. Nel 1850 iniziò la grande avventura delle Unioni di credito o Banche Popolari, cooperative di credito basate sull’acquisto di azioni da parte dei soci, sulla limitazione dei benefici degli azionisti e sullo scopo di offrire i propri servizi soprattutto alle classi popolari. Nel 1855 pubblicò il volume Delle Unioni di Credito ossia delle Banche Popolari, manifesto di un movimento in rapida diffusione che si estese presto anche oltre i confini della Germania. Lasciato l’incarico di deputato e anche quello di giudice, si dedicò al movimento cooperativo di cui fu un efficace propagandista e sostenitore, fondando anche cooperative di produzione e di distribuzione. Rieletto nel Parlamento prussiano nel 1859, fu il promotore delle leggi che davano riconoscimento giuridico e tutela alle società cooperative. Dopo la riunificazione della Germania, nel 1871 fu eletto deputato del Reichstag, il Parlamento tedesco, incarico che tenne fino alla morte avvenuta a Postdam il 29 aprile

Hermann SchulzeDelitzsch (1808-1883), padre fondatore delle Banche Popolari in europa.

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Luigi Luzzatti (1841-1927).

1883. Oggi in Germania le banche cooperative che si ispirano al modello proposto da Schultze-Delitzch sono oltre 1200, con una rete di 14.000 filiali, 190.000 dipendenti e 16 milioni di soci.18 Luigi Luzzatti Nato a Venezia il 1° marzo 1841 da genitori di origine ebraica, dopo aver completato gli studi in giurisprudenza a Padova, fu costretto ad emigrare, essendosi attirato per le sue idee l’ostilità del governo austriaco. Dopo l’unificazione, nel 1863 ottenne una cattedra presso l’Istituto tecnico di Milano e fece di questa città la base per un’intensa attività pubblicistica e propagandistica sulla cooperazione, divulgando in Italia le teorie economiche di SchultzeDelitzsch ma introducendovi anche alcune

modifiche per adattarle alle particolari esigenze della situazione italiana. Dopo che nel 1864 era nata la Banca Popolare di Lodi per iniziativa del suo amico e collaboratore tiziano Zalli, nel 1865 Luigi Luzzatti fondò la Banca Popolare di Milano, di cui fu primo presidente fino al 1870, restandone poi presidente onorario fino alla morte. Nel 1867 fu nominato professore di diritto costituzionale all’Università di Padova, cattedra che tenne fino al 1896. Mentre il fenomeno delle Banche Popolari in Italia si andava diffondendo rapidamente grazie anche all’opera di pubblicista e alla fama di Luzzatti, questi fondò nel 1876 l’Associazione fra le Banche Popolari, organismo di categoria con lo scopo di fornire assistenza reciproca, studiare i problemi comuni e suggerire soluzioni per il miglioramento del servizio (a differenza di quanto avveniva in Germania, tale istituto federativo non aveva però compiti di vigilanza e ispezione). eletto deputato nel collegio di Oderzo, fu sottosegretario del governo Minghetti nel 1869. Contribuì in misura rilevante alla stesura di parti del Codice di Commercio del 1882, in particolare per gli articoli riguardanti le società cooperative. Fu ministro del tesoro nel governo Di Rudinì nel 1891 e successivamente ricoprì lo stesso incarico nel governo Giolitti dal 1903 al 1905. Dal marzo 1910 al marzo 1911 fu presidente del Consiglio dei ministri. Morì a Roma il 29 marzo 1927.19 La Banca Popolare di Lodi La prima Banca Popolare in Italia fu fondata a Lodi il 28 marzo 1864 per iniziativa di tiziano Zalli, amico e collaboratore di Luigi Luzzatti; quest’ultimo, allora ventitreenne, si trovava in quegli anni a Milano e stava facendo un’attiva propaganda in favore delle banche cooperative, già sperimentate con successo in Germania da Schulze-Delitzsch. Lo statuto di tale banca, che fece poi da modello per

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tante altre successive, si ispirava ai principi di base proposti da Luzzati: si trattava di una società cooperativa a responsabilità limitata; ogni socio era tenuto ad acquistare almeno un’azione, pagabile anche a rate, che restava di proprietà del socio stesso, il quale aveva diritto anche ad una parte degli utili; tutti i soci erano uguali ed avevano diritto ad un voto nell’assemblea. La Banca Popolare di Lodi, nata in un ambiente a prevalente vocazione agricola, si rivolgeva in particolare ai piccoli e medi agricoltori per contribuire attraverso finanziamenti allo sviluppo delle loro attività. Le Banche Popolari in emilia-Romagna La Banca Popolare di Bologna fu una delle prime in Italia: fondata nel 1865, seguì di poco la Banca Popolare di Milano. L’anno successivo, fu la volta della Banca Popolare di Piacenza, che per la sua rapida e fiorente crescita fu guardata come un modello da imitare. Non meno importante fu la Banca Popolare di Modena, fondata nel 1867.20 Le Banche Popolari si diffusero dapprima nelle regioni del Nord e in alcune del Centro (Romagna, toscana, Marche) e a partire dal 1872 anche in quelle nel Sud, tra cui in particolare la Sicilia e la Campania. L’emilia-Romagna fu una delle prime zone interessate e con maggior consistenza dal fenomeno di diffusione di questi istituti: le Banche Popolari nella regione erano già 8 nel 1880, 43 nel 1895, 71 nel 1908. In Romagna la Banca Popolare di Cesena, fondata nel 1873 diventò nel corso degli anni una realtà di consistente importanza e ben radicata sul territorio. A Rimini la Banca Popolare Cooperativa iniziò la sua attività il 2 gennaio 1900; era una banca di piccole dimensioni che si rivolgeva soprattutto al piccolo commercio e alla piccola industria. Altre Banche Popolari o con denominazioni simili sorsero nel territorio rimi-

nese tra la fine dell’Ottocento e gli inizi del Novecento: a Coriano, Misano, Cattolica, Montescudo, Mondaino, Saludecio, San Clemente e San Giovanni in Marignano: erano tutti piccoli istituti a carattere strettamente locale.21 Le ragioni del successo e della diffusione delle Banche Popolari Le Banche Popolari, come ha scritto l’economista Pietro Cafaro, “accomunavano in un’unica esperienza i vantaggi

Il libro di SchulzeDelitzsch sulle Banche Popolari con introduzione di Luigi Luzzatti, pubblicato in italiano nel 1871.

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Statuto della Banca Popolare di Modena, 12 giugno 1867.

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dell’azienda di piccole e medie dimensioni con quelli del grande movimento”. In un’Italia fortemente diversificata nelle sue regioni e città, offrivano le caratteristiche della piccola cooperativa tra soci che ben si conoscevano, e con amministratori che erano ben consapevoli delle esigenze del loro territorio, unico modo per mediare in modo efficace tra risparmiatori e investitori in uno scambio che avveniva essenzialmente a livello locale. L’attività di intermediazione tra chi depositava il denaro e chi richiedeva il prestito era facilitata dalla conoscenza reciproca, dai rapporti di fiducia, dal fatto che gli azionisti erano allo stesso tempo anche clienti e una buona parte dei clienti erano anche azionisti. A bilanciare questo carattere locale c’era però tutta l’esperienza e la conoscenza delle leggi di grandi economisti come Schulze-Delitzsch e Luzzatti, che avevano saputo creare un modello di società cooperativa efficiente e facilmente riproducibile; c’era poi tutta l’esperienza di un vasto movimento a livello internazionale che continuamente offriva nuove soluzioni per affrontare i cambiamenti dei tempi. tre possono essere considerate le caratteristiche fondamentali delle Banche Popolari, che sono state altrettante ragioni del loro successo. a) La struttura cooperativa, basata su una concezione della persona umana che ne esalta l’attitudine alla collaborazione e all’associazione per il raggiungimento di obiettivi condivisi. È un’idea che dà valore allo spirito di iniziativa, che rifiuta il principio dell’organizzazione economica gestita dalle classi dominanti o dallo Stato e si appella ai principi di sussidiarietà, di libera organizzazione dei cittadini e che riconosce ad ognuno, indipendentemente dalla propria forza economica, il diritto a partecipare alle decisioni comuni; b) Il principio di solidarietà, per cui la ricerca del profitto, cui pure è riconosciuta la funzione di incentivo, è limitata

allo scopo di favorire il più possibile l’accesso al credito anche delle classi popolari; inoltre una buona parte degli utili deve essere utilizzata come beneficenza per il sostegno di iniziative sociali, assistenziali, culturali. c) Il localismo, cioè un rapporto diretto, stretto e duraturo con la clientela, in un’ottica di crescita diffusa di tutta la comunità locale, valorizzando le risorse del territorio e rispondendo alle sue esigenze.22 Dopo essere state in Italia tra la fine dell’800 e gli inizi del ’900 un valido supporto per la crescita dell’imprenditoria borghese cittadina, ma anche per lo sviluppo di contesti rurali e commerciali, dopo un periodo di crisi nel periodo tra le due guerre mondiali, quando lo Stato privilegiò il ruolo delle grandi aziende di credito, dagli anni Cinquanta in poi le Banche Popolari hanno ripreso un costante percorso di sviluppo, grazie agli stretti legami col territorio e soprattutto con quella


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rete di piccole imprese che è stata la vera protagonista del miracolo economico, vedendo crescere sia la quota di mercato che il numero di associati. Oggi il sistema delle Banche Popolari in Italia è costituito da un centinaio di istituti con oltre 9.400 sportelli distribuiti

in quasi tutte le regioni d’Italia, 83.000 dipendenti, oltre 1 milione di soci e una quota di mercato che si aggira intorno al 25% dell’intero sistema bancario italiano, sia per quanto riguarda la raccolta, che per quanto riguarda gli impieghi.23

Palazzo Corio-Casati di Milano, prima sede dal 1876 dell’Associazione fra le Banche Popolari.

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Iv. lo sviluppo della banca cooperativa Morcianese (1911-1945) I primi quattro anni L’avvio della Banca Cooperativa Morcianese era stato caratterizzato nel primo anno da varie difficoltà ben superate, da un buon interesse e affluenza della clientela ma da risultati piuttosto modesti (il Presidente nell’assemblea del 1 marzo 1913 accennò anche a “dicerie e cattiverie” che avevano accompagnato i primi passi). La scarsità di denaro in circolazione era uno dei principali ostacoli. Un notevole progresso si poté registrare già a partire dal secondo anno di esercizio, il 1912, che vide raddoppiato il numero dei soci e delle azioni sottoscritte (queste ultime passate da 50 a 95), un aumento del 20% dei depositi e del 27% dei prestiti, mentre l’utile netto era salito a 1640 lire rispetto alle 538 dell’anno precedente.24 Al problema della disponibilità di denaro per far fronte alle numerose richieste di prestiti si era cercato di rispondere facendo ricorso anche a finanziamenti del Piccolo Credito Romagnolo e anche della sede di Pesaro della Banca d’Italia; il Consiglio di amministrazione tuttavia in questa fase cercava di limitare il ricorso a prestiti di altre banche, che comportavano una notevole riduzione dei margini di utile; per fortuna l’aumento dei depositi venne almeno in parte a risolvere il problema del reperimento del denaro. Va notato che la Banca Cooperativa Morcianese (come facevano allora tante altre piccole cooperative di credito a ca-

rattere locale) tendeva, spinta dalla scarsa disponibilità di raccolta, a impiegare quasi completamente i depositi raccolti sotto forma di prestiti; questo procedimento, esponeva la Banca stessa a dei rischi ma soprattutto a una certa lentezza e rigidità nelle operazioni (per esempio i titolari di depositi nel 1913 per ritirare somme di importo superiore a lire 50 dovevano dare un preavviso di almeno 8 giorni, che potevano arrivare fino a 30 giorni per importi di una certa entità).25 Lo sviluppo positivo continuò negli anni successivi 1913 e 1914; presentando i risultati del bilancio 1913 il Consiglio di amministrazione scriveva: “Siamo orgogliosi di affermare che al nostro istituto è riserbato un lusinghiero avvenire, il quale è di soddisfazione a quanti cooperano alla sua grandezza, e la prova chiara del benessere, l’abbiamo appunto dai risultati finali messi a confronto con quelli dei precedenti esercizi”. In particolare gli elementi di soddisfazione venivano individuati in quattro fattori: il numero dei crediti erogati, la possibilità di funzionare in gran parte con fondi propri, cioè quelli provenienti dalla raccolta, la scarsità delle cambiali in sofferenza (0,5% del portafoglio), l’aumento dei soci e delle azioni sottoscritte. 26 Nel novembre del 1914 un periodico economico di Milano, “Il Mondo Moderno economico Finanziario” pubblicò un articolo dal titolo Banca Cooperativa Morcianese in Morciano di Romagna. 53


valconca: cento anni con la banca popolare

Vigoroso sviluppo di un piccolo istituto romagnolo, nel quale veniva fatto un elogio dei brillanti risultati raggiunti in pochi anni dalla Banca che, si diceva, in breve tempo aveva visto un rapido e significativo incremento del capitale sociale, una rivalutazione del valore delle azioni, aveva raccolto una consistente massa di depositi e intratteneva un intenso rapporto di collaborazione con altri istituti.

filiali gli assegni emessi dalla Banca Cooperativa Morcianese) e fece approvare al Consiglio la proposta di stipulare una polizza di assicurazione contro i furti e i danneggiamenti. In quello stesso anno gli uffici della banca furono dotati di illuminazione elettrica in sostituzione della vecchia illuminazione a gas acetilene, furono anche acquistate due bandiere e la prima macchina per ufficio, una macchina da scrivere. Si

Banca Cooperativa Morcianese. Lo sviluppo dei primi anni (1911-1914) 300.000 250.000 200.000 lire 150.000

DEPOSITI

100.000

PRESTITI

50.000 -

1911

1912

1913

1914

anni

Diversi furono anche i cambiamenti intervenuti nei primi anni nelle cariche sociali: uscirono quasi subito i consiglieri enrico Arduini e Domenico Ghigi e dal 1913 don Alessandro Ceccarelli; tra il 1912 e il 1913 entrarono Filippo Vannucci, Gaspare Rossi e Giuseppe Mancini. Nel 1914 si lavorava con un buon ritmo; cresceva la richiesta dei prestiti soprattutto da parte della categoria dei commercianti. Il nuovo direttore Pompeo Grassi diede prova di un notevole attivismo e di idee nuove: allacciò rapporti economici con altre banche (Piccolo Credito Pesarese, Credito Italiano, Casse Rurali di Saludecio, Levola e tavoleto), sviluppò i già esistenti rapporti col Credito Romagnolo (in particolare questo ultimo si impegnava ad accettare presso tutte le proprie sedi e 54

cercava insomma di assumere l’immagine di un’azienda moderna ed efficiente, e ne è segno anche la decisione di dare per la prima volta alle stampe con un “apposito libretto”, nel gennaio 1915, il bilancio dell’anno precedente, le relazioni del Consiglio e dei sindaci, e un quadro complessivo dello sviluppo della società nei quattro anni di vita. Grande attenzione veniva posta nell’assegnazione della beneficenza, che a partire dal 1913 cominciò ad essere distribuita nella misura del 35% dell’utile netto, come disposto dall’art. 39 dello Statuto. Gli amministratori erano giustamente convinti che un oculato impiego del fondo per la beneficenza fosse un importante strumento per aumentare il consenso sociale e per rafforzare nei soci e nei clienti la stima per la


lo sviluppo della Banca Cooperativa Morcianese

loro banca. Nel 1914 i destinatari della beneficenza furono il Comitato per le cucine economiche (una sorta di mensa che offriva un pasto caldo a bisognosi e disoccupati nei mesi invernali), l’orfanotrofio Figlie del popolo di don Carlo Ghigi ed i concittadini emigranti rimpatriati a causa dello scoppio della guerra. In quell’anno troviamo la prima sovvenzione data ad una gara di sport: un premio per la corsa ciclistica MorcianoCesena organizzata dal locale Circolo Sportivo27. La prima guerra mondiale Lo scoppio della prima guerra mondiale, che si abbatté come un fulmine sulla società italiana dopo lo sviluppo dell’età giolittiana, provocò ovunque una grave crisi dell’economia e delle condizioni di vita di gran parte della popolazione. L’entrata in guerra dell’Italia nel maggio 1915 impose a tutta la nazione enormi costi economici ed umani, che diventavano sempre più pesanti man mano che il conflitto si prolungava ed si aggravava con la sconfitta di Caporetto. La Romagna, poco industrializzata ed essenzialmente agricola, soffrì moltissimo per l’allontanamento dei contadini e dei più validi lavoratori chiamati alle armi, per i numerosi caduti, per il ritorno dei tanti emigranti, spesso in condizioni disagiate, che rimpatriavano dal Belgio e dalla Germania, per il ristagno dei commerci e degli investimenti dovuto all’incertezza del futuro. Le conseguenze di tale situazione sono evidenti anche sull’andamento della Banca Cooperativa Morcianese, che vide interrompersi quel processo di crescita così promettente che aveva caratterizzato i primi anni. Già nell’agosto 1914 il governo italiano, di fronte agli eventi in europa, aveva emanato un decreto di moratoria dei depositi in conto corrente, che non poteva mancare di avere effetti negativi sulla raccolta dei

risparmi. Gli effetti della guerra nell’andamento economico della Banca si notano però soprattutto nella forte diminuzione dei prestiti e dell’utile netto, che fino a tutto il 1918 restarono inferiori ai valori del 1914; un calo che risulta ancor più sensibile se si tiene conto del notevole tasso di inflazione. Un altro effetto negativo della guerra fu per la Banca il richiamo alle armi dei propri impiegati: Cesare Rossi, contabile, e Alfredo Grassi, cassiere, i quali non poterono tornare al lavoro che al termine del conflitto, nei primi mesi del 1919; la banca si vide costretta ad assumere un nuovo impiegato, Virginio Malavasi, in loro sostituzione e contemporaneamente si impegnò non solo a mantenere il posto di lavoro dei richiamati, ma a corrispondere ad essi anche un parziale stipendio per il periodo del servizio militare. era evidentemente un aggravio dei costi, oltre che una perdita, sia pur temporanea, di un prezioso bagaglio di esperienza e di competenza. Del clima di quegli anni sono testimonianza le parole d’esordio della relazione del Consiglio di amministrazione

Pompeo Grassi (18761933), direttore dal 1914 al 1932 della Banca Cooperativa Morcianese.

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valconca: cento anni con la banca popolare

Banca Cooperativa Morcianese. Prestiti 1911-1920

lire 1.400.000 1.200.000 1.000.000 800.000 600.000 400.000 200.000 -

1911

1912

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1914

1915

1916

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1919

1920

1919

1920

anni

Banca Cooperativa Morcianese. Prestiti 1911-1920 (rivalutati ad euro 2008)* migliaia di euro 1.400 1.200 1.000 800 600 400 200 1911

1912

1913

1914

1915

1916

1917

1918

anni

*secondo i coefficienti di rivalutazione ISTAT

all’assemblea dei soci del 25 febbraio 1916: “Avremmo voluto festeggiare con maggiore solennità questo primo quinquennio di vita del nostro Istituto, il quale continua ad accaparrarsi le simpatie di sempre più numerosa clientela e va bene affermandosi; ma non sono ora tempi di festa”. La relazione continuava dicendo che le ripercussioni del conflitto europeo non erano state senza conse56

guenze anche a livello locale, tuttavia non era venuta a mancare la fiducia dei soci e dei clienti. In questa situazione difficile il Consiglio di amministrazione si prodigò per sostenere le iniziative di solidarietà che sorsero numerose anche a Morciano e dintorni in quegli anni; nel dicembre 1914, a favore degli emigranti rimpatriati; nel gennaio 1915, per le popolazioni colpi-


lo sviluppo della Banca Cooperativa Morcianese

te dal terremoto in Abruzzo (il disastro naturale aveva quasi completamente raso al suolo Avezzano causando migliaia di vittime); nel novembre 1915 in favore del Comitato femminile che si proponeva di “preparare un indumento di lana per ogni nostro concittadino che trovasi al fronte”; nel gennaio 1916 in favore del locale Comitato per le cucine economiche; e nel 1917 contribuì all’ospitalità offerta dai cittadini di Morciano alle famiglie dei profughi del Veneto, sfuggiti all’infuriare della guerra e all’occupazione degli austriaci. Altre iniziative videro coinvolta la Banca insieme al Comune di Morciano, e fu l’inizio di un rapporto di collaborazione destinato a svilupparsi in futuro, come l’apertura di un prestito di 4.000 lire a tasso agevolato per lavori pubblici che l’amministrazione intendeva avviare con urgenza “onde provvedere alla disoccupazione degli operai residenti in paese”, e l’acquisto in estate di una partita di grano, in collaborazione col Comune e la Cassa Operaia, per rivenderlo poi a prezzi calmierati nei mesi invernali “per il fabbisogno della classe indigente”.28 Negli anni della guerra furono apportate alcune importanti variazioni dello statuto. L’assemblea ordinaria dei soci del 25 febbraio 1916 approvò la modifica dell’articolo 39, riguardante la ripartizione dell’utile netto; era questa un’esigenza avvertita da tempo, e cioè si era vista l’opportunità di aumentare la quota destinata agli azionisti, in origine limitata al 15%, allo scopo di incentivare l’adesione alla società con la prospettiva di un guadagno, sia pur modesto, derivante dal possesso delle azioni. A partire dal 1916, la ripartizione degli utili venne così stabilita: 40% alla riserva ordinaria 40% agli azionisti in proporzione alle azioni possedute 10% al fondo di riserva straordinario 10% a disposizione del Consiglio per il fondo di beneficenza

In quella stessa assemblea fu modificato l’articolo 59 dello statuto, portando a tre (anziché quattro) i consiglieri effettivi. Il Consiglio di amministrazione risultava perciò composto da un presidente, un vicepresidente, tre consiglieri effettivi e due supplenti. Di conseguenza variava anche la modalità di elezione dei consiglieri: ogni anno si sarebbero rinnovati un effettivo e un supplente.29 Fu accolta, con una certa riluttanza, la richiesta del primo presidente Marino Vanni di essere sostituito nella carica, in quanto trovava difficile essere sempre presente alle riunioni del Consiglio, data la sua residenza a San Giovanni in Marignano. Non essendo andati a buon fine i tentativi di persuaderlo a restare, nell’assemblea del 6 marzo 1915 fu nominato al suo posto Carlo Forlani, commerciante di Morciano, già consigliere e vicepresidente, mentre Alessandro tonti fu nominato vicepresidente. Un’altra perdita dolorosa avvenne nel 1918: la morte di don Carlo Ghigi che fin dalla fondazione aveva sostenuto la Banca di cui era stato uno dei primi soci e sindaco revisore: il Consiglio di amministrazione lo ricordò con queste parole: “Uomo di fervide iniziative e sentimenti generosissimi, seppe non solo rendersi benemerito a noi ma all’intero paese”.30 La ripresa nel dopoguerra (1919-1922) Il dopoguerra si apriva con molte speranze ma anche con enormi problemi. Il gran numero di soldati smobilitati faticava a trovare un’immediata collocazione nel lavoro e la disoccupazione aveva raggiunto livelli preoccupanti; l’agricoltura aveva ricevuto un pesante danno dall’allontanamento prolungato della forza lavoro; l’inflazione, fenomeno fino allora praticamente sconosciuto, aveva portato un aumento generale dei prezzi e una perdita del potere di acquisto dei salari, con pesanti ripercussioni sulle classi popolari. Le insoddisfazioni e le attese trovavano 57


valconca: cento anni con la banca popolare

Banca Cooperativa Morcianese. Utile netto 1911-1922 lire 35.000 30.000 25.000 20.000 15.000 10.000 5.000 0 1911 1912 1913 1914 1915 1916 1917 1918 1919 1920 1921 1922 anni

espressione nelle agitazioni e scioperi di operai, mezzadri e braccianti agricoli tra l’estate e l’autunno del 1919, e nell’emergere di formazioni politiche che miravano a cambiare radicalmente l’ordinamento della società, quali il Partito socialista (affermatosi come primo partito nelle elezioni per il parlamento del 1919) ed i Fasci di combattimento, fondati in quello stesso anno da Benito Mussolini. Nell’assemblea della Banca Cooperativa Morcianese del 12 aprile 1919, il Consiglio si faceva interprete delle speranze e delle attese di tutti con queste parole: “È precipuo dovere nostro mettere fin d’ora tutta la buona volontà e tutta l’energia nostra onde affrettare anche in questa zona tutti i benefici che ci aspettiamo dalla nuova era di tranquillità e di lavoro. e fin d’ora dunque ci proponiamo di proteggere e sovvenzionare nel possibile qualunque iniziativa che sorgerà con serie finalità ponendo soprattutto ogni nostra cura affinché abbiano maggiore incremento i nostri commerci e la nostra agricoltura, da cui il paese potrà assicurarsi un non lontano risollevamento economico e morale”.31 Dopo un lungo servizio sotto le armi, nei primi mesi del 1919 ripresero il lavoro d’ufficio Cesare Rossi con l’incarico di 58

contabile e Alfredo Grassi con l’incarico di cassiere, fu mantenuto in servizio però anche Virginio Malavasi, assunto temporaneamente nel periodo della guerra, in considerazione dello sviluppo delle attività; ai tre impiegati effettivi va aggiunta la figura del direttore, il dottor Pompeo Grassi, sempre molto attivo e spesso promotore delle principali decisioni. tra i finanziamenti erogati in quegli anni dalla Banca Cooperativa Morcianese vanno segnalati quelli alle Cooperative agricole e di consumo di Croce di Monte Colombo e di Montefiore Conca (1920) e alla Cooperativa di consumo di Morciano; si trattava di iniziative che miravano a calmierare l’aumento dei generi alimentari, particolarmente forte nel dopoguerra, e che facevano riferimento ai principi dell’organizzazione cooperativa.32 Una novità per la Banca furono anche i consistenti prestiti erogati nel 1920 ai comuni di Morciano, Montefiore Conca, Saludecio e San Clemente. L’operazione, secondo gli amministratori, era da approvare soprattutto in considerazione dell’utilità sociale, in quanto i comuni se ne sarebbero serviti per pagare i lavori pubblici che in quel momento costituivano un sia pur temporaneo rimedio alla disoccupazione (e molto spesso in


lo sviluppo della Banca Cooperativa Morcianese

quei tempi erano promossi apposta per cercare di calmare le agitazioni popolari e dietro pressione dei dimostranti). tuttavia è fuori di dubbio che questi investimenti di una certa consistenza, che non erano a tasso agevolato, apportarono un vantaggio economico alla Banca Cooperativa Morcianese ed aprirono la strada a future collaborazioni. Questi ed altri investimenti, la ripresa economica e dell’attività finanziaria portarono a un notevole aumento dell’utile netto di bilancio, salito dalle 3.539 lire del 1918 a 12.168 lire nel 1919 e a 28.444 lire nel 1920; pur tenendo conto dell’inflazione che aveva ridotto il valore della lira a non più di un terzo rispetto a prima della guerra, si tratta di un notevole balzo, cui corrisponde una considerevole crescita sia dei depositi, sia dei prestiti. Una cosa abbastanza curiosa è che la ripartizione degli utili venne fatta in quegli anni in modo significativamente diverso da quanto stabilito dallo statuto; ad esempio nell’assemblea del 1921 si decise di destinare alla riserva ordinaria il 35% degli utili dell’esercizio precedente (anziché il 40%), alla riserva straordinaria il 14% (anziché il 10%), alla beneficenza il 21% (anziché il 10%), agli azionisti il 10% (anziché il 40%); il rimanente 20% venne impiegato per l’ammortamento delle spese d’impianto, per il pagamento di tasse e per il fondo di previdenza per gli impiegati. Si può ipotizzare che la riduzione della quota per gli azionisti sia da collegare all’aumento di valore delle azioni stesse. D’altra parte il numero dei soci e delle azioni sottoscritte, dopo il ristagno del periodo bellico, fece registrare un rapido sviluppo: i soci, che erano 163 nel 1916, erano diventati 195 nel 1921, e 218 nel 1923; il numero delle azioni dalle 215 del 1919 era salito a 500 nel 1922, anno in cui fu ripartito un dividendo in ragione di lire 10 per azione.33

Il fallimento della Banca Italiana di Sconto Osservando l’andamento economico dei bilanci della Banca Cooperativa Morcianese, si nota che la rapida crescita segna una battuta d’arresto nel 1922, con una diminuzione dei prestiti ed una, ancor più rilevante, dell’utile netto. A livello nazionale, infatti, si stavano avvertendo i segni di una crisi che minacciava la ripresa; soprattutto in campo finanziario si era fatto sentire pesantemente il fallimento di una delle allora principali banche italiane, la Banca Italiana di Sconto (BIS), chiusa e liquidata nel 1921 in seguito alla crisi del proprio principale azionista, il gruppo industriale Ansaldo. Il fallimento della Banca Italiana di Sconto ebbe ripercussione su altri istituti, come il Banco di Roma che si salvò con difficoltà, grazie anche all’intervento del governo, preoccupato dei possibili effetti del fallimento di istituti bancari di importanza nazionale. La Banca Cooperativa Morcianese aveva purtroppo importanti relazioni d’affari con tale banca, tra cui titoli depositati come garanzia che

Cesare Rossi (18941976), direttore dal 1939 al 1948.

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valconca: cento anni con la banca popolare

si temeva non dovessero rientrare. Il Consiglio di amministrazione si impegnò a far fronte alla situazione sia partecipando alla causa giudiziaria intentata dai creditori della Banca Italiana di Sconto, sia con vari accorgimenti di gestione dell’attività bancaria, tra cui l’innalzamento di mezzo punto del tasso sui prestiti.34 L’espansione dell’attività e l’afflusso di denaro negli anni del dopoguerra fecero nascere l’idea di trasferire gli uffici in una nuova e più ampia sede. Non si cercava una posizione migliore, perché gli uffici di via Marconi erano già in zona centrale, ma piuttosto spazi più ampi e più idonei. L’idea originaria era quella di una costruzione da realizzare in accordo con un privato e su terreno di proprietà di questo, “in via XX Settembre quasi dirimpetto agli attuali uffici”; quindi un edificio non di proprietà della Banca, realizzato con un suo finanziamento da scontare poi in lungo periodo di tempo a titolo d’affitto. Questa idea dovette essere abbandonata per il mancato raggiungimento dell’accordo, ma il Consiglio di amministrazione non cessò di proseguire nel suo intento, finché si giunse nel luglio 1921 all’acquisto di “un’area di terreno di mq. 373 formante l’angolo delle vie Ferrari e Colombari”(via Ferrari è l’attuale via Bucci). Il 22 settembre 1921 fu convocata un’assemblea straordinaria dei soci, nella quale fu presentato il progetto di costruzione della nuova sede, elaborato dall’ingegner Alberto Quartara di Rimini, con un preventivo di spesa di 235.400 lire. Per ammortizzare l’ingente spesa si prevedeva di ricavare dal nuovo stabile anche alcuni negozi da concedere in affitto. Ottenuta l’approvazione dell’assemblea, furono iniziati i lavori, appaltati alla Cooperativa Muratori di Morciano.35 Un’altra assemblea straordinaria si tenne il 25 settembre 1922 per modificare alcuni articoli dello statuto; in particolare con la modifica dell’art. 22 venne amplia60

ta la serie dei servizi erogati, aggiungendo l’emissione di assegni circolari (sempre però per conto di istituti di credito maggiori), la possibilità di svolgere servizi esattoriali per comuni e province, l’acquisto e la vendita di valuta estera.36 Il ventennio fascista: un difficile equilibrio Con la marcia su Roma e il conferimento da parte di Vittorio emanuele III dell’incarico di formare il governo a Benito Mussolini ebbe inizio il regime fascista, che si indirizzò fin dall’inizio, anche se con una certa gradualità, verso l’organizzazione di uno stato autoritario, non solo in campo politico con la repressione dei partiti di opposizione, ma anche in campo sociale con l’ostilità più o meno aperta a cooperative, sindacati, organizzazioni sociali che non facessero capo al Partito Nazionale Fascista. In campo economico e finanziario si accentuò, specialmente in seguito alla grande crisi mondiale del 1929, un forte dirigismo statale che pur lasciando libertà d’impresa, mirava ad affermare il predominio di grandi enti pubblici come l’IMI (Istituto Mobiliare Italiano) e l’IRI (Istituto per la Ricostruzione Industriale), che controllavano di fatto alcune delle maggiori industrie e delle principali banche nazionali. Migliaia di cooperative agricole e di consumo, di Casse Rurali, di piccole banche locali in tutta Italia dovettero chiudere o furono rilevate da società ed istituti maggiori, non per costrizione diretta, ma per difficoltà ad operare in un contesto diventato molto difficile e per la concorrenza dei grandi gruppi. La modifica dell’imposizione fiscale varata da Mussolini col R.D. 30 dicembre 1923, che aboliva le esenzioni fiscali per le cooperative, non poteva avere altro effetto che quello di rendere la vita difficile alle cooperative esistenti e di scoraggiare la fondazione di nuove società di questo tipo.


lo sviluppo della Banca Cooperativa Morcianese

La politica di direzione e controllo fatta sia di provvedimenti legislativi, sia di direttive dell’Associazione Bancaria Italiana e della Banca d’Italia (quest’ultima investita di sempre maggiori poteri di vigilanza sulle banche locali), venne di fatto ad esautorare i consigli di amministrazione di queste di quasi tutte le loro prerogative, in quanto tutte le decisioni dovevano uniformarsi a direttive prese a livello centrale, molto minuziose su ogni aspetto dell’attività bancaria. Per esempio, all’inizio degli anni trenta, la determinazione delle varie forme di deposito a risparmio e dei relativi tassi di interesse, delle commissioni da applicare per ogni singola operazione bancaria, era tutto determinato da circolari inviate dall’Associazione Bancaria Italiana. Se un istituto aveva fondate ragioni per chiedere una deroga da tali direttive, doveva inviare richiesta di autorizzazione alla Banca d’Italia. Un esempio può essere significativo. Nel 1926 la Banca Cooperativa Morcianese distribuì delle “cassettine di risparmio a domicilio”, in metallo, destinate principalmente ai ragazzi e ai giovani per educarli al risparmio; l’iniziativa ebbe successo anche perché collegata a un libretto che offriva un tasso d’interesse del 4% a condizione che ci fosse un deposito minimo di 20 lire, e all’estrazione a sorte di tre premi annuali, uno di 100 lire e due da 50 lire. Anche altre banche avevano le cassettine di risparmio, ma non l’estrazione di premi, perciò nel 1933 la Banca d’Italia impose la sospensione di questi ultimi, rilevandovi un tipo di iniziativa non prevista dalle disposizioni emanate riguardo alla raccolta dei depositi.37 In questa situazione è da ritenersi un caso fortunato il fatto che la Banca Cooperativa Morcianese, pur operando in un centro di dimensioni abbastanza piccole, a differenza di quanto accadde ad altre banche locali della Valconca, abbia potuto restare in vita e conservare la propria

autonomia. evidentemente non si tratta però di casualità, ma di un complesso di fattori tra cui probabilmente possiamo annoverare il notevole sviluppo e rafforzamento della Banca nei primi anni del dopoguerra, l’aver mantenuto fin dai primi tempi un rapporto con vari istituti di credito maggiori senza legarsi troppo strettamente a nessuno, e infine una politica di estrema prudenza messa in atto durante il regime fascista dal Consiglio di amministrazione, una politica che si può definire mirante più a conservare l’esistente che ad ingrandirsi correndo grossi rischi. L’apertura della nuova sede (1924) Quanto all’immagine rafforzata che la Banca Cooperativa Morcianese negli anni Venti seppe dare di sé presso la popolazione, bisogna ricordare in primo luogo l’apertura della nuova sede, dalle linee architettoniche eleganti, inaugurata il 29 marzo 1924 alla presenza di varie autorità. Prima dell’inizio dell’assemblea sociale che si svolse nei nuovi locali, vi fu la cerimonia della benedizione, ad opera di don Primo

Don Primo Guidi (1887-1963).

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valconca: cento anni con la banca popolare

acquistati, attraverso una partecipazione a vendita all’asta indetta dal Comune, alcuni locali facenti parte dell’edificio del municipio ed affacciati sulla piazza, allo scopo di collocarvi gli uffici, come effettivamente fu fatto in quello stesso anno, lasciando lo sportello al pubblico nella sede situata all’angolo delle vie Colombari e Ferrari (oggi via Bucci) dove ancora si trova.

La sede della Banca Cooperativa Morcianese inaugurata il 29 marzo 1924, in una fotografia del 1925 circa.

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Guidi (un sacerdote originario di Savignano sul Rubicone che trascorse a Morciano quasi l’intera sua vita, guadagnandosi la stima della popolazione nelle sue funzioni di coadiutore del parroco, di assistente dell’Azione Cattolica, di insegnante di religione e di cappellano della Beata Vergine della Misericordia). Prese poi la parola il presidente Carlo Forlani, il quale ricordò in breve la storia della Banca, i principi a cui si erano ispirati i fondatori, lodò l’opera svolta dal direttore Pompeo Grassi ed espresse auguri per gli sviluppi futuri. La nuova sede venne poi aperta al pubblico il 15 maggio 1924; in quell’occasione vi fu anche per la prima volta una riunione conviviale per i soci, ma “per non gravare la spesa da sostenersi a carico della Banca” fu dato mandato al Consiglio di detrarre lire tre sul dividendo di ciascuna azione.38 Una caratteristica della nuova sede era il grande “bussolone”, cioè il banco con sportelli al pubblico, tutto in legno e vetro, sormontato da elementi decorativi; aveva tre sportelli e due porte di accesso ad ognuno dei lati. L’opera di sistemazione della nuova sede fu completata nel 1925 con la costruzione dei marciapiedi su entrambi i lati, con concorso di spesa al 50% del Comune di Morciano. Nel 1928 furono

Il tentativo di incorporazione da parte del Credito Romagnolo La politica di concentrazione, portata avanti dai grossi istituti bancari ed appoggiata dal governo, si concretizzò anche per la Banca Cooperativa Morcianese nel 1923 nel tentativo di incorporazione messo in atto dal Credito Romagnolo, banca con sede centrale a Bologna ma che aveva allora un’importante filiale a Rimini. Il tentativo era accattivante poiché il Piccolo Credito Romagnolo aveva avuto un ruolo importante nel sostenere i primi passi della Banca Cooperativa Morcianese e aveva mantenuto con essa una stretta relazione d’affari; ma sotto il governo fascista, mutato il nome in Credito Romagnolo e sposata la politica di concentrazione bancaria del governo, aveva del tutto abbandonato l’originaria funzione di supporto alle piccole cooperative di credito a carattere locale.39 La trattativa fu condotta con una certa durezza dal Credito Romagnolo, che manifestò la propria intenzione a voler comunque aprire una propria filiale a Morciano; ma il Consiglio di amministrazione si mosse con atteggiamento improntato a tutta la prudenza e l’intelligenza necessaria in quei tempi: da un lato tergiversò e rinviò nei confronti della direzione bolognese del Credito Romagnolo (probabilmente in considerazione del fatto che l’imminente inaugurazione della nuova sede avrebbe consolidato la propria immagine ed aumentato la clientela); d’altro lato contemporaneamente


lo sviluppo della Banca Cooperativa Morcianese

Banca Cooperativa Morcianese. Depositi e prestiti 1922-1940 PRESTITI

Migliaia di lire

DEPOSITI

3.000 2.500 2.000 1.500 1.000 500 -

1922

Banca1926 Cooperativa Utile1934 netto 1911-1922 1924 1928 Morcianese. 1930 1932 1936 1938

lire 35.000

incrementò le relazioni d’affari con altre banche di dimensione nazionale, come la Banca Nazionale di Credito (sede di Rimini) che affidò alla Banca morcianese la propria rappresentanza sulla piazza e il servizio di emissione dei suoi assegni circolari. Alla fine il Credito Romagnolo, vista l’opposizione dimostrata, dovette rinunciare al proposito di incorporare la Banca Cooperativa Morcianese.40 I nuovi amministratori (1928) Non fu questo l’unico attacco alla propria autonomia ed esistenza in vita che la Banca Cooperativa Morcianese dovette affrontare in quegli anni; non meno pesanti furono le pressioni politiche. Leggiamo nei verbali che la lista dei candidati per il rinnovo delle cariche del consiglio di amministrazione nel 1928 fu presentata all’assemblea dopo aver sentito preventivamente “le autorità locali e il vicesegretario federale” (del Partito Nazionale Fascista): una chiara ammissione delle pressioni ricevute per far entrare nel Consiglio persone gradite al fascismo, e forse anche per allontanarne altre meno gradite.41 tra il 1927 e il 1928 uscirono dal Consiglio di amministrazione (per vari motivi, tra cui quelli di età, salute o perché deceduti), quasi tutti i protagonisti

1940

anni

della prima fase pionieristica: il presidente Carlo Forlani, il vicepresidente Alessandro tonti, i consiglieri Gaspare Rossi, Giuseppe Mancini e Giovanni Gnesi. A svolgere le funzioni di presidente fu chiamato il dottor Giuseppe Vanni, già in passato sindaco di Monte Colombo. Alcuni esponenti in vista del locale Partito Nazionale Fascista ricevettero incarichi, sia pur non di primaria importanza, negli organi della Banca: tra questi il podestà di Morciano Mario Vannoni (tra i sindaci revisori) e il vicesegretario federale, l’ufficiale Claudio Brunelli (nel collegio arbitrale). Il Consiglio di amministrazione dopo l’assemblea del 31 marzo 1928 appariva completamente rinnovato e così composto:

Banca Cooperativa Morcianese. Consiglio di amministrazione 1928 Presidente

Vanni Giuseppe

Vicepresidente

Mancini Battista

Consiglieri effettivi

Berretta Ambrogio Garuffi Sante Vanni Antonio

Consiglieri supplenti

Forlani Lorenzo Mancini Annovario

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Il fondo di beneficenza La Banca Cooperativa Morcianese cercò di esprimere in quegli anni difficili la propria identità e il legame con gli ideali dei fondatori soprattutto nell’utilizzo della quota degli utili destinata alla beneficenza. tra le destinazioni della beneficenza degli anni Venti e trenta erano al primo posto quelle destinate ad opere sociali cattoliche a livello locale, come l’Istituto Figlie del Popolo (o del Sacro Cuore), l’Asilo infantile delle Maestre Pie, le opere parrocchiali, o talvolta a quelle a livello nazionale, come l’Università Cattolica del Sacro Cuore o le missioni estere. Seguono nell’ordine le opere assistenziali laiche, sempre a livello locale, quali il Ricovero (per anziani) “G. Antonio Ferri”, il Patronato scolastico, la “Colonia fluviale” a pro dei bambini bisognosi di cure di Morciano (istituita nel 1930) e le colonie marine destinate a bambini e bambine. Ancora piuttosto limitati e più saltuari, ma non assenti, erano i contributi ad iniziative di carattere culturale e sportivo, tra cui ricordiamo quelli al teatro Ronci di Morciano per la realizzazione dell’annuale stagione lirica, le manifestazioni in occasione della Fiera di San Gregorio, le gare ciclistiche. A partire dal 1934, un costante destinatario della beneficenza divenne l’Istituto tecnico “Francesco Baracca” di Morciano, aperto nel 1932: oltre a ricevere sovvenzioni per il funzionamento, furono create borse di studio per gli alunni più meritevoli in base a una graduatoria predisposta dall’Istituto. tra le iniziative destinate alle scuole, ricordiamo poi quella attuata nel 1936 in occasione della celebrazione del 25° anniversario di fondazione della Banca: la distribuzione di un libretto di piccolo risparmio con la somma di dieci lire a ciascuno degli alunni delle scuole dei comuni di Morciano, San Clemente, Montefiore e Gemmano.

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La stretta sul credito e la crisi del ’29 La politica economica del fascismo, nonostante il proclamato impegno in favore dell’agricoltura, con iniziative quali il dazio sui cereali e la “battaglia del grano” (1925) per raggiungere l’autosufficienza nella produzione dei cereali, le grandi bonifiche come quella dell’Agro Pontino (19311934), se potevano avere effetti positivi per le grandi aziende, finirono per avere conseguenze negative per le piccole imprese agricole caratterizzate da coltivazioni intensive e specializzate. L’ altra “battaglia” promossa da Mussolini in campo economico nel 1926, quella per la “quota novanta”, ossia per la rivalutazione della lira (l’obiettivo era quello di portare il cambio a 90 lire per una sterlina), fu attuata attraverso provvedimenti che restringevano fortemente il credito, mentre le banche erano obbligate ad investire una parte del loro patrimonio in titoli di Stato e ad abbassare i tassi d’interesse sui depositi, rendendo praticamente nulla la possibilità di concorrenza in questo campo. Ai provvedimenti del governo in campo economico vennero poi ad aggiungersi gli effetti della crisi economica mondiale del 1929, originata dal crollo della borsa americana di Wall Street, anche se in Italia le conseguenze furono meno disastrose che in altri paesi europei. Per la Banca Popolare Morcianese, una netta diminuzione dei crediti cominciò a verificarsi già fin dal 1927, e si aggravò nel periodo successivo all’ondata della crisi mondiale, cioè nel 1930-1932, con una conseguente diminuzione anche degli utili di bilancio. Vi furono tra i clienti della Banca alcuni fallimenti di singoli ed imprese, che ebbero ripercussioni piuttosto marginali dato che i prestiti erano in genere ben garantiti. La relazione del Consiglio di amministrazione sul bilancio dell’anno precedente, letta nell’assemblea dei soci del 1931, abbandona apertamente i toni ottimistici e parla di “un peggioramento generale del movimento di tutti gli affari”; afferma che


lo sviluppo della Banca Cooperativa Morcianese

Banca Coop. Morcianese. Utile netto 1922-1940 (rivalutato ad euro 2008)* 30.000 25.000 20.000 euro 15.000 10.000 5.000 -

1922

1924

1926

1928

1930

1932

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1938

1940

anni *in base ai coefficienti di rivalutazione monetaria ISTAT

Banca Cooperativa Morcianese. Depositi e prestiti 1940-1944 PRESTITI DEPOSITI

6.000.000 5.000.000 4.000.000 lire 3.000.000 2.000.000 1.000.000 -

1940

1941

1942

1943

1944

anni

nella zona di Morciano e dintorni il settore agricolo è quello più duramente colpito, ma anche le attività commerciali ne hanno risentito; per quanto riguarda la Banca, diverse voci del bilancio sono in diminuzione rispetto all’anno precedente.42

Non molto diverso era il quadro della situazione presentato nella relazione sul bilancio dell’anno successivo: “L’avvenire si presenta alquanto difficoltoso per il disagio economico fra cui si svolgono oggi gli affari e per le aumentate concor65


valconca: cento anni con la banca popolare

renze bancarie, ma facendo tesoro delle esperienze passate affronteremo qualunque ostacolo pur di non venire meno alla sana attività spiegata dal nostro istituto a vantaggio del commercio, dell’agricoltura e dell’industria della nostra zona”. In particolare era sensibilmente diminuito il portafoglio dei prestiti, ma erano diminuiti anche i depositi perché la crisi aveva indotto molti risparmiatori a far ricorso a quanto messo da parte negli anni precedenti. Di conseguenza anche l’utile dell’esercizio era in notevole calo sull’anno precedente, con una diminuzione di 5.787 lire.43 Negli esercizi finanziari 1933 e 1934 cominciarono a vedersi segni di una leggera ripresa dei depositi e dei prestiti, ma in generale la situazione degli anni trenta rimase piuttosto precaria, mentre la diminuzione del prezzo dei prodotti agricoli ed alcuni eventi naturali (come le grandinate del 1934) colpivano l’agricoltura e i commerci ristagnavano. Una stagione di lutti: la scomparsa dei fondatori tra la fine degli anni Venti e l’inizio degli anni trenta morirono molti dei fondatori della Banca Cooperativa Morcianese e dei protagonisti della prima fase: nel 1927 il consigliere e vicepresidente Alessandro tonti, nel 1928 il secondo presidente, Carlo Forlani; nel 1931 il consigliere Annovario Mancini; nel 1932 il fondatore e primo direttore, don Alessandro Ceccarelli; nel 1936 il primo presidente Marino Vanni, che aveva guidato la Banca attraverso le difficoltà degli inizi. Grande cordoglio suscitò la morte del direttore Pompeo Grassi, avvenuta a 57 anni di età in seguito a grave malattia nel 1933. Aveva portato nella Banca la sua esperienza maturata nella professione di farmacista, in quella parallela di imprenditore agricolo e negli incarichi ricoperti nelle Congregazioni di Carità di Morciano e di San Clemente. Il Consiglio di ammi66

nistrazione ricordò ai soci le doti di “passione e rettitudine” con cui aveva svolto “la sua impareggiabile attività di onesto e scrupoloso amministratore”. Chiamò a sostituirlo il consigliere Battista Mancini; una nomina che avrebbe dovuto essere provvisoria ma che si protrasse fino al settembre 1939, quando fu nominato per tale incarico il contabile Cesare Rossi, che era stato dal 1911 uno dei primi impiegati della Banca. Nuove iniziative in favore degli agricoltori Per cercare di venire incontro ai problemi degli agricoltori della zona, la Banca Cooperativa Morcianese promosse nel 1936 due iniziative. Nel mese di luglio, ottenne l’autorizzazione per l’emissione di assegni circolari della Banca Nazionale dell’Agricoltura dietro deposito a garanzia di 50.000 lire in Buoni del tesoro. In ottobre, avendo appreso che la società “Silos Granari Riminesi” presieduta dall’avvocato Antonio Orlandi aveva intenzione di costruire anche a Morciano un silos per la conservazione del grano che avrebbe potuto servire tutti gli agricoltori della Valconca, la Banca Cooperativa Morcianese si impegnò a sottoscrivere 10 azioni della Società Silos Granari per sostenere l’iniziativa.44 Un’altra iniziativa fu sostenuta con un contributo di 500 lire nel 1937: la “Mostra-concorso del bue da lavoro”, realizzata dal Comune di Morciano e dall’Ispettorato all’agricoltura in occasione della Fiera di San Gregorio di quell’anno. Le leggi bancarie del 1936-1938 Nel 1936 il governo pose mano ad una complessiva riforma della legislazione bancaria, attuata da prima con decreti poi convertiti in legge nel 1938. tale riforma ebbe effetti importanti e di lunga durata sul sistema finanziario, ben oltre la fine del fascismo. Ne ricordiamo alcuni aspetti: il ruolo fondamentale della Ban-


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ca d’Italia, custode delle riserve auree ed unico ente di emissione del denaro; l’istituzione dell’“Ispettorato per la difesa del risparmio e per l’esercizio del credito”, organismo statale che faceva capo alla Banca d’Italia e al quale spettavano, tra l’altro, le autorizzazioni per aprire filiali, sportelli o per modificare l’ambito di operatività, oltre che le funzioni di vigilanza sulla attività delle singole banche; la definizione di quattro categorie di aziende di credito, ciascuna con una propria disciplina, da quelle di interesse nazionale fino al gradino più basso, gli istituti che agivano soltanto nell’ambito comunale (a questo ruolo erano assegnate le Casse Rurali). era una riforma che, pur con qualche aspetto positivo di razionalizzazione, conservava ed anzi accentuava quella concezione fortemente dirigistica e statalistica propria del fascismo: tutto era posto sotto il controllo di un organismo statale, i grandi gruppi bancari erano favoriti, l’Ispettorato vigilava che le aziende locali non si espandessero, la concorrenza era praticamente quasi vanificata da rigide direttive. tuttavia la riforma offriva alla Banca Cooperativa Morcianese anche delle opportunità di cui gli amministratori si accorsero, pur non potendo avvalersene immediatamente. Innanzi tutto, sul piano teorico, riconosceva il ruolo delle banche locali, anche quelle di competenza territoriale più limitata, cosa che era stata osteggiata spesso non solo dai grandi gruppi bancari, ma anche dallo stesso governo fascista; in secondo luogo, le Banche Popolari si trovavano incluse nella terza categoria, quella delle aziende autorizzate ad operare in ambito provinciale o interprovinciale. La Banca Cooperativa Morcianese, che si trovava in una zona di confine tra le province di Forlì e Pesaro, poteva avvalersi di queste disposizioni di legge per estendere il proprio ambito di operatività, anche se nei primi tempi l’Ispettorato si mostrò molto cauto e contrario a concedere tale possibilità.45

La situazione alla fine degli anni trenta Analizzando la situazione della Banca Cooperativa Morcianese alla fine degli anni trenta si possono riscontrare dei problemi che finiranno per aggravarsi con l’inizio della Seconda guerra mondiale, ponendo in gravi difficoltà la società. Il volume dei depositi e dei prestiti si era ripreso con molta lentezza dopo la grande crisi del 1929, e tendeva a stagnare con momenti di ribasso, che colpivano in particolare l’attività di prestito. Di conseguenza anche gli utili, dopo un primo momento di ripresa, dalla metà degli anni trenta avevano segnato il passo o addirittura erano andati verso una diminuzione, soprattutto se si tiene conto del fatto che la lira si stava nuovamente svalutando e le spese aumentavano.

Momenti di guerra, passaggio degli alleati

L’investimento di una buona parte del patrimonio sociale, ma anche della liquidità, in titoli di Stato o in obbligazioni di società statali (in particolare quelle dell’IRI) era stata certamente fatta su pressione del governo e delle circolari della Banca d’Italia, ma non era assente anche la volontà degli amministratori di mostrare un certo spirito “patriottico” gradito alle autorità

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valconca: cento anni con la banca popolare

politiche. Inoltre pure nella raccolta del risparmio dei clienti la vendita e la custodia di titoli di Stato aveva coperto una percentuale sempre più consistente del totale. Questa scarsa diversificazione (infatti molto limitato era l’acquisto di azioni ed obbligazioni di imprese quotate in Borsa) esponeva la Banca, ma anche i risparmiatori, agli effetti negativi legati alla progressiva diminuzione dei rendimenti dei titoli di Stato. La meccanizzazione era ancora di là da venire: per molto tempo l’unico strumento meccanico a disposizione degli impiegati fu una macchina per scrivere “Remington” acquistata nel 1914. Nonostante la tecnologia fosse disponibile da decenni, solo nel 1932 fu acquistata una macchina calcolatrice meccanica “Underwood Sundstrand” con capacità fino a numeri di dieci cifre “per rendere il lavoro contabile sempre più esatto e all’altezza dei tempi”. Ma l’Italia era in grave ritardo in questo campo, le macchine per ufficio venivano dall’estero ed erano carissime, e l’italiana Olivetti cominciò a produrre calcolatrici solo negli anni Quaranta. Quella acquistata nel 1932 fu pagata la cifra non indifferente di 3.420 lire, quando lo stipendio mensile di un impiegato era intorno alle 500 lire.46 Un altro fattore di debolezza che caratterizza la Banca Cooperativa Morcianese nei primi decenni di vita è il sostanziale isolamento e lo scarso rapporto con istituti dello stesso gruppo e con organismi federativi (che avevano avuto invece un’importante funzione di supporto per

la rete delle Casse Rurali, almeno fino a che il fascismo non aveva imposto anche su di questi il suo controllo). Questo isolamento non aiutava a mantenere la propria identità d’origine ed esponeva al rischio di essere assorbiti da istituti maggiori con cui si intrattenevano i più stretti rapporti d’affari; cosa che effettivamente accadde per numerose Banche Popolari Cooperative della Romagna ed anche del riminese. L’esigenza di un collegamento e di un coordinamento era però avvertita dagli amministratori della Banca Popolare Morcianese, e quando il 17 novembre 1929 si tenne per iniziativa della Banca Popolare di Bologna una riunione per costituire un “Gruppo emiliano-romagnolo degli istituti cooperativi di credito”, inviarono un proprio rappresentante nella persona del direttore Pompeo Grassi con l’incarico di portare l’adesione al Gruppo. L’iniziativa non fu senza effetti anche sul piano delle relazioni d’affari; infatti almeno a partire dall’inizio del 1935 sono documentati rapporti intercorsi tra la Banca Cooperativa Morcianese e la Banca Popolare Cooperativa di Bologna, con la concessione di un fido di 50.000 lire da parte di quest’ultima.47 Anche i rapporti con l’Associazione Nazionale fra le Banche Popolari, fondata nel 1876, furono fino alla Seconda guerra mondiale superficiali; l’Associazione durante il ventennio era stata, come altri organismi, “fascistizzata” e denominata “Federazione nazionale fascista delle Banche Popolari” svolgendo funzioni piuttosto marginali, soprattutto di tipo sin-

Banca Popolare Morcianese. Consiglio di amministrazione 1940 Presidente

Vanni Giuseppe

Vicepresidente

Berretta Ambrogio Cenni Giovanni Masi Gregorio Mancini Battista tonti Giuseppe Gennari Pio

Consiglieri effettivi Consiglieri supplenti

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lo sviluppo della Banca Cooperativa Morcianese

dacale in rapporto alla contrattazione degli stipendi dei dipendenti e all’attribuzione ad essi di contributi previdenziali ed indennità. Solo nel clima di ritrovata libertà del dopoguerra gli organismi di categoria poterono contare su una maggiore libertà di iniziativa e di azione e quindi diventare di vero supporto agli istituti locali. In mezzo al disastro. Gli anni della Seconda guerra mondiale Preparata dalla politica militarista messa in atto da Mussolini con la conquista dell’etiopia e la partecipazione alla guerra civile spagnola e dall’alleanza con la Germania nazista, per l’Italia arrivò nuovamente nel 1940 l’esperienza di una guerra disastrosa. Ma già da qualche anno, sul piano economico, la politica di autarchia voluta dal regime, il rigido protezionismo e le sanzioni imposte all’Italia dalla Società delle Nazioni dopo l’aggressione all’etiopia avevano fatto lievitare i costi dei beni di consumo, riavviato l’inflazione e causato un generale peggioramento delle condizioni di vita delle classi popolari. Per la Banca Cooperativa Morcianese gli anni 1940-1945 furono quelli di maggiore difficoltà della sua storia secolare, quelli nei quali le prospettive dell’impossibilità a procedere e della chiusura si fecero incombenti. Le ragioni della crisi venivano così individuate nel 1942 dal Consiglio di amministrazione: “Da una parte si continua a rilevare una progressiva diminuzione degli investimenti più redditizi, quelli del portafoglio, e si pensa che questa diminuzione non potrà che accentuarsi; già un dato preciso si ha poi al riguardo degli investimenti in titoli statali per la diminuzione dell’1% sui Buoni del tesoro”.48 erano in crisi due fondamenti dell’attività della Banca: il portafoglio dei prestiti era passato dal 66% dei depositi del 1939 al 18% dei depositi del 1942; gli investi-

menti in Buoni del tesoro avevano visto scendere il loro rendimento. Ma c’erano anche altre ragioni: gli amministratori lamentavano la ristrettezza della zona di operatività imposta dall’Ispettorato ed il limite massimo imposto per ogni singolo prestito. Lamentavano anche che le segnalazioni e le richieste inviate all’Ispettorato erano rimaste senza alcun esito. La gestione era diventata più onerosa; con l’inflazione erano anche aumentati gli stipendi dei dipendenti; dall’inizio del 1938 si era iniziato a corrispondere un “gettone di presenza” a presidente, consiglieri e direttore per le riunioni del Consiglio di amministrazione. L’ipotesi di fusione con la Banca Popolare di Bologna Per far fronte alla situazione di crisi, si fece strada l’ipotesi, presentata al Consiglio nell’ottobre 1942 dal presidente dottor Giuseppe Vanni, di fusione mediante incorporazione con la Banca Popolare di Credito di Bologna, con la quale la Banca Cooperativa Morcianese aveva già relazioni di affari. Secondo il Presidente, questa soluzione avrebbe avuto il vantaggio di mantenere a Morciano un istituto dello stesso genere, animato dagli stessi principi cooperativi e con gli stessi criteri nella concessione del credito; inoltre questa soluzione avrebbe potuto estendere e rafforzare anche nei comuni limitrofi l’azione cooperativa: si pensava cioè di superare così quelle restrizioni di competenza territoriale che l’Ispettorato aveva fino allora imposto.49 Il Consiglio approvò in linea di massima la proposta; venne dato mandato a due consiglieri di trattare sia con la Banca Popolare di Bologna sia con la Federazione Banche Popolari di Roma le modalità dell’operazione. I risultati delle trattative furono soddisfacenti: la Banca Popolare di Bologna si dichiarava disposta ad assumersi tutte le voci attive e passive del bilancio, a mantenere in servizio tutti i dipenden69


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ti, a rimborsare gli azionisti o attraverso un’adeguata valutazione del valore delle azioni in rapporto al capitale e alle riserve oppure attraverso sostituzione delle azioni con quelle della banca incorporante. Ottenuti i chiarimenti necessari, la proposta della fusione fu sottoposta all’assemblea sociale del 31 marzo 1943 ed approvata all’unanimità. Fu inoltrata richiesta di autorizzazione all’Ispettorato del credito di Roma, ma a questo punto, probabilmente contro le attese degli amministratori, il progetto venne bloccato. Il 13 luglio 1943 giunse infatti la lettera di risposta, firmata dal governatore della Banca d’Italia Azzolini: “Il Comitato dei Ministri, nella tornata del 21 giugno u.s.(....) ha deliberato che non sia consentita alla suddetta azienda di attuare la progettata combinazione per ragioni di competenza territoriale. In particolare nei confronti di codesta azienda il Comitato dei Ministri ha espresso il parere che possa continuare a svolgere la propria attività data la discreta massa dei mezzi amministrati e il corrispondente volume degli impieghi e degli investimenti”.50 La lettera aveva un carattere perentorio; il Consiglio di amministrazione decise pertanto di accantonare, almeno per il momento, il progetto. Gli eventi storici della guerra e del dopoguerra imposero dapprima altre urgenze e offrirono poi nuove possibilità. Il passaggio del fronte L’armistizio dell’8 settembre 1943 gettò ovunque nel caos le banche: la gente correva a ritirare i depositi o prevedendo l’imminenza di eventi peggiori o perché propensa a trasferirsi in luoghi ritenuti più sicuri; ma gli istituti di credito già messi a dura prova dall’economia di guerra non potevano far fronte alle richieste; la soluzione generalmente adottata era quella di porre un limite alle somme ritirabili (o una quota fissa o una percentuale del deposito) e di dare un po’ di soldi a tutti quelli che li richiedevano; davanti agli sportelli si formavano lunghe file. 70

La situazione a fine settembre 1943 così viene descritta in un verbale di riunione del Consiglio della Banca Cooperativa Morcianese: “Causa i continui bombardamenti aerei delle città e dei paesi che hanno provocato ingenti danni e l’esodo di gran parte delle popolazioni dai luoghi colpiti, il pubblico fin dai primi di luglio aveva manifestato sintomi di sfiducia negli organi finanziari. Difatti mentre gli altri anni gli incassi dei raccolti venivano accantonati nelle diverse forme di deposito fiduciario, quest’anno invece non solo è mancato tale nuovo afflusso, ma i risparmiatori hanno in generale ritirato somme precedentemente versate. L’amministrazione della Banca che ha seguito l’andamento delle operazioni, si è resa conto che nonostante tutto la nostra clientela è rimasta tranquilla e soddisfacentemente fedele; ma i nuovi eventi politici e bellici dell’8 settembre hanno portato un rincrudimento della situazione, tanto che in una riunione degli istituti di credito di Rimini presso quella filiale della Banca d’Italia hanno concordato forme di intesa e di accordo per disciplinare i prelevamenti dei depositi e dei conti correnti. La nostra Banca ha fronteggiato e fronteggia per ora agevolmente la situazione attingendo liquidi precostituiti presso gli istituti corrispondenti e prelevando somme dal conto corrente anticipazioni presso la spett. Banca d’Italia di Rimini, nonché esplicando opera di comprensione e di tranquillizzazione verso la clientela”.51 L’accordo interbancario stabilito nella riunione di Rimini presso la Banca d’Italia prevedeva che i depositanti non potessero ritirare dai libretti mensilmente più di 500 lire oppure più del 5% dell’intero deposito, mentre era possibile ritirare cifre maggiori dai conti correnti. Ma il peggio per la popolazione morcianese doveva ancora arrivare, con l’occupazione da parte delle truppe tedesche, i bombardamenti degli aerei alleati, il moltiplicarsi del numero degli sfollati, ed infi-


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ne il passaggio del fronte. Fra il 31 agosto e il 1 settembre 1944 i soldati canadesi sfondarono le difese tedesche a tavullia, mentre alla loro sinistra gli inglesi presero Mondaino e Montegridolfo, giungendo al fiume Conca. Nella notte fra il 2 e il 3 settembre truppe canadesi passarono il Conca; la battaglia sul Conca si concluse il 6 settembre dopo l’arretramento dei tedeschi sul crinale di Coriano su cui avevano disposto una nuova linea difensiva.52 Nel giugno 1944 il direttore Cesare Rossi informò il Consiglio che i soldati tedeschi avevano occupato la sede di via Bucci della Banca Cooperativa Morcianese; egli stesso all’ultimo momento, con l’aiuto dei famigliari e del consigliere Gregorio Masi aveva prelevato dalla cassaforte tutto il contante, gli assegni, le cambiali e i documenti più importanti trasferendoli presso “le Scuole di Santa Maria Maddalena” e riponendoli “in luogo sicuro”. Poi “in un locale a piano terra messo a disposizione dal sig. Bilancioni tommaso”, in via S. Maria Maddalena n. 113, si era cercato di continuare in modo provvisorio il servizio al pubblico, anche se l’interruzione delle linee telefoniche, telegrafiche e del servizio postale rendeva tutto molto difficile e l’attività era ridotta al minimo.53 Un altro drammatico resoconto viene fatto dallo stesso direttore Cesare Rossi il giorno 27 ottobre, dopo la fine dei combattimenti nella zona del Conca e l’occupazione del territorio da parte delle truppe alleate. Durante la loro ritirata i tedeschi avevano fatto saltare la cassaforte con l’esplosivo; avevano potuto asportare però “soltanto le monete di acmonital per lire 181,25, le buste degli stipendi di agosto degli impiegati Grassi e Malavasi nonché quella della gratifica di lire 100 dell’impiegato Ghigi Primo”. Se la sottrazione di denaro era stata modesta, ingenti erano stati però i danni riportati dalla sede: “lo scoppio aveva peraltro determinato il crollo del pavimento del piano superiore della casa e danneggiato sensibilmente lo stabile e tutto il mobilio posto nell’ufficio”.

Durante i giorni della battaglia il Rossi era dovuto rimanere nel rifugio per il rischio delle granate, ma anche perché “indisposto con febbre” e aveva appreso solo in seguito sia del danno provocato dai tedeschi, sia del fatto che soldati inglesi della divisione “Gatto” erano penetrati nei locali diroccati asportando le due macchine da scrivere. Inoltre “elementi militari non precisati” avevano tentato di aprire l’altra cassaforte, senza però riuscirvi ma danneggiandola e rendendola inservibile. Oltre a ciò l’edificio della Banca aveva subìto danni “al tetto, ai soffitti, alle finestre, alle serrande e bussole” per lo scoppio di bombe e per l’effetto di proiettili e granate; le scrivanie, le cassettiere e i tavo-

Rendiconto della Banca Cooperativa Morcianese del 1935.

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Certificato azionario del 1951.

Al centro e sotto assegni del 1946 e 1948.

Nella pagina a fianco Via Roma a Mondaino negli anni trenta.

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li erano devastati. Anche su sollecitazione del Governo Alleato, si era provveduto subito a una sommaria riparazione del tetto e delle finestre in modo che dai primi di ottobre si era potuta riprendere l’apertura dello sportello al pubblico. Il Consiglio fece un preciso inventario di tutti i danni subiti, delle perdite di denaro (complessivamente 2.697 lire), lodò l’opera del direttore che in un momento così critico era riuscito a mettere in salvo i valori della Banca e ad assicurare la continuità del funzionamento e dispose di mettere a disposizione del Consiglio una somma di 5.697 lire sia per ammortizzare le perdite di denaro, sia per il pagamento degli stipendi e delle prime spese di riparazione.54

Il presidente Aldo Gaspari (a destra) premia il ragionier Cesare Rossi, già direttore della banca.

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Inizia la ricostruzione (1945) La relazione del Consiglio per l’assemblea del 1945 portava i toni del dolore per le vicende recenti ma anche della speranza per il futuro: “Sentiamo profondo il nostro dovere di rivolgere un caldo ringraziamento alla Divina Provvidenza che si è degnata di assisterci anche in questa gestione e formuliamo i più fervidi voti per il migliore progresso della nostra Istituzione la quale, mercé anche la particolare attività vigile e amorevole del Direttore e degli impiegati, trovasi ora in piena efficienza per portare, sia pur modestamente, il suo contributo all’opera di ricostruzione della nostra amata Patria”.55 La prima preoccupazione era quella della riparazione dei danni subiti dalla sede; per questo scopo furono attuati vari interventi nell’estate di quell’anno, poi si dovette procedere all’acquisto di una nuova cassaforte per la somma di 43.000 lire, poiché le due preesistenti erano state danneggiate dagli eventi bellici. Con la conclusione definitiva della guerra ci fu una ripresa dell’afflusso dei depositi e anche della domanda di prestiti, date le spese che in tanti dovevano affrontare per la riparazione delle case e dei negozi e per la ripresa delle proprie attività. Ma l’enor-

me svalutazione della lira che era avvenuta negli anni della guerra rendeva di fatto piuttosto modeste come valore effettivo le cifre della raccolta e dei prestiti. Questi erano anche ostacolati dalle vecchie norme e limiti che non erano più rispondenti alla nuova situazione; per la Banca Cooperativa Morcianese era necessario rivalutare le azioni, aumentare il capitale, fissare nuovi limiti massimi per l’erogazione dei crediti. La situazione economico-finanziaria dell’immediato dopoguerra La situazione economico-finanziaria in Italia negli ultimi anni della guerra e in quelli del primo dopoguerra si era fatta gravissima: fin dal 1940 iniziò il razionamento dei generi alimentari, che si inasprì ulteriormente nel periodo 1942-45. Pane, pasta, riso, olio, burro, zucchero e altri generi essenziali erano razionati e distribuiti con un apposito sistema di tesseramento; la carne era ancor più limitata e in genere accessibile con molta difficoltà; l’acquisto di vestiario era pure esso limitato e comunque i prezzi erano proibitivi. Accanto al mercato regolare, soggetto a pesantissime restrizioni, si era sviluppato un mercato nero che offriva i prodotti più richiesti a prezzi elevatissimi: un litro d’olio d’oliva o un chilo di zucchero potevano costare l’equivalente della paga settimanale di un operaio. Ai rincari e alla difficoltà del reperimento delle merci si erano aggiunti gli effetti della rapida perdita del valore d’acquisto della moneta (inflazione): occorrevano ben 2000 lire del 1945 per eguagliare il potere d’acquisto di 100 lire del 1940. In questo contesto non stupisce che tra le prime iniziative di beneficenza della Banca troviamo il contributo per la “Giornata della solidarietà popolare”, iniziativa promossa dai cattolici per fornire assistenza ai bisognosi nei mesi invernali e il contributo di 1000 lire alla locale sezione dell’Associazione reduci di guerra: entrambe le iniziative sono sintomi dell’esistenza nel paese di gravi situazioni di difficoltà.56


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v. personaggi a Morciano nella priMa Metà del novecento

Morciano nella prima metà del Novecento fu patria di personaggi la cui importanza va ben al di là dell’ambito locale; essi costituiscono un vanto del territorio e una memoria da conservare. Inoltre per molti di loro le vicende della vita si intrecciano in qualche modo, direttamente o indirettamente, con la Banca Cooperativa Morcianese. Umberto Boccioni pittore e scultore (1882-1916). È considerato uno dei principali rappresentanti della corrente artistica del Futurismo. I genitori, Raffaele Boccioni e Cecilia Forlani, erano entrambi di Morciano; la famiglia seguiva il padre, impiegato di prefettura, nei suoi spostamenti per l’Italia. Umberto Boccioni nasce così a Reggio Calabria il 19 ottobre 1882. Dopo vari trasferimenti, tra cui un soggiorno in Romagna, dal 1897 è a Catania, dove si diploma presso l’Istituto tecnico. In questa città nel 1900 presenta ad un editore un romanzo, Pene dell’anima, che non viene pubblicato. Dal 1901, seguendo il trasferimento del padre, vive a Roma; qui frequenta lo studio del pittore divisionista Giacomo Balla di cui diventa discepolo, insieme all’amico Gino Severini. Il Balla inizia Boccioni all’interesse per i paesaggi della periferia urbana; infatti Campagna romana è il titolo della sua prima opera sicuramente datata. Nel 1906, con l’aiuto dei genitori, Boccioni si reca all’estero; dapprima a Parigi,

poi in Russia; sul finire di quello stesso anno si iscrive all’Accademia di Belle Arti di Venezia. Nel 1907 si trasferisce a Milano, con l’idea di affermarsi come artista in quella città; qui apre un piccolo studio pittorico proprio e si avvicina agli artisti del Futurismo, tra cui Gaetano Previati e Filippo tommaso Marinetti. Nel 1910 insieme a Carrà, Russolo, Balla e Severini sottoscrive il Manifesto dei pittori futuristi, che segue il Manifesto del Futurismo lanciato l’anno precedente da Marinetti. La città con la sua vita quotidiana frenetica, le macchine, i quartieri industriali con le loro ciminiere fumanti ed il fervore di attività sono i soggetti preferiti dell’artista, che a Milano si occupa anche di grafica, e tiene esposizioni e mostre personali. Nel 1911 gira per varie città italiane tenendo conferenze sul Futurismo e partecipando ad eventi culturali; in quello stesso anno insieme a Carrà va a Parigi per organizzare la prima esposizione d’arte futurista, poi replicata in alcune delle principali capitali europee. Dal 1911 comincia ad occuparsi anche di scultura, sempre con caratteri innovativi e disprezzando i materiali nobili tradizionali, cioè il marmo e il bronzo, e preferendo il ferro, il legno e il vetro. Nel 1913 collabora con vari articoli e anche con disegni a “Lacerba”, rivista vicina al movimento futurista; su questa rivista appare in quello stesso anno il Programma politico futurista, firmato da

Copia dell’opera di Umberto Boccioni, Sviluppo di una bottiglia nello spazio, Piazza Umberto I, Morciano.

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Nel 1997 il Comune di Morciano ha acquistato col significativo contributo della Banca Popolare Valconca l’antica casa dei Boccioni in piazza Umberto I, per ricavarne uno spazio espositivo dedicato all’artista e all’arte futurista. Sempre in piazza Umberto I è esposta la copia di una delle più celebri sculture di Boccioni, “Sviluppo di una bottiglia nello spazio”.57

Umberto Boccioni, Autoritratto (1908), tela, Milano, Pinacoteca di Brera.

Don Carlo Ghigi (18691919).

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Marinetti, Boccioni, Carrà e Russolo. Nel 1914 pubblica un saggio intitolato Pittura, scultura futurista. Dinamismo plastico. Nel 1914 partecipa a Milano alle manifestazioni interventiste per sollecitare il governo ad entrare in guerra contro l’Austria. Quando questo avviene poi nel 1915, si arruola come volontario, ma l’esperienza militare attenua il suo fervore precedente a favore della guerra. Il 16 agosto 1916 durante un’esercitazione militare in zona non operativa, a Chievo presso Verona, muore in seguito a un’accidentale caduta da cavallo.

Don Carlo Ghigi sacerdote (1869-1919) Nasce a Morciano il 3 ottobre 1869 da Pietro ed Angela Forlani. Ancora bambino, stando vicino al cugino don Domenico Ghigi, allora parroco di Morciano, che lo impiega come chierichetto, mostra devozione e interesse per le funzioni religiose: primi segni di quella vocazione che lo porta ad entrare nel Seminario di Rimini. Viene consacrato sacerdote il 22 settembre 1894 dal vescovo di Rimini, mons. Fegatelli, e comincia a svolgere la sua attività pastorale come cappellano nella parrocchia di Casalecchio di Rimini e poi dal 1897 in quella di San Giuliano in Borgo. Successivamente, sempre come cappellano, passa nella parrocchia di San Giovanni Battista di Rimini. Qui prende a cuore la sacra immagine della Madonna del Carmine, retaggio dei padri carmelitani che avevano lasciato Rimini dopo la soppressione napoleonica, e nel 1906 fonda la “Pia Opera del Carmine”, con l’approvazione del vescovo mons. Scozzoli; l’associazione conosce in breve tempo una grande diffusione. A Rimini istituisce il Circolo studentesco “Alessandro Manzoni” e apre una tipografia per la stampa periodica cattolica. Mentre è impegnato in queste opere a Rimini, non dimentica la sua nativa Morciano. È uno dei primi soci della Banca Cooperativa Morcianese, iniziativa che sostiene insieme al fratello Domenico e nella quale ricopre per qualche tempo l’incarico di sindaco revisore.


personaggi a Morciano nella priMa Metà del '900

Sempre con la collaborazione del fratello Domenico, proprietario di una fornace di laterizi a San Clemente, realizza l’Istituto Figlie del popolo, inaugurato il 20 ottobre 1912 da mons. Vincenzo Scozzoli, vescovo di Rimini. L’Istituto, destinato originariamente ad accogliere le orfane e le bambine abbandonate, viene affidato alle suore francescane della Congregazione della Sacra Famiglia di Faenza. Accanto all’Istituto fa poi costruire un oratorio (chiesetta) dedicato al Sacro Cuore, cui nel 1928 viene aggiunto il campanile (ancora visibile, mentre la chiesetta fu demolita nel 1955 e sostituita poi dall’attuale cappella della Beata Vergine di Lourdes). Don Carlo Ghigi muore, dopo breve malattia, a 60 anni d’età, il 23 novembre 1919.58 Luciano Bigi ammiraglio (1898-1988) Nato a Morciano il 13 dicembre del 1898, a 13 anni entra come allievo all’Accademia navale di Livorno. Volontario nella Prima guerra mondiale, nel ’18 è nominato sottotenente di vascello. Nel ’21 si imbarca sul Vespucci; vi resta per tre anni e mezzo come istruttore. Nel ’24 diventa comandante in seconda del sommergibile Micca. Nel ’30, entra al ministero della Marina nell’ufficio di gabinetto del ministro Sirianni ed è promosso capitano di corvetta. Nel ’35, è capitano di fregata e poi capitano in seconda della corazzata Caio Duilio. Nel ’36, per tre anni, è addetto navale presso l’ambasciata italiana in Iran. Nel ’40, è capitano di vascello. Nel ’43 capo di stato maggiore di “Mariprotezione” (le forze navali a difesa del traffico di rifornimento in guerra). Nel ’43, dopo l’8 settembre, fedele al re, si dà alla macchia. Nel ’45 è a Madrid come addetto navale, militare ed aeronautico all’ambasciata. Nel 1947, è contrammiraglio. Nel ’57, diventa consigliere militare del presidente della Repubblica Giovanni Gronchi. Nel ’59 è comandante Nato del Mediterraneo Centrale. Nel 1961 va in pensione.

L’ammiraglio Luciano Bigi (1898-1988).

Muore a Riccione, novantenne, il 1° luglio del 1988. L’ammiraglio Bigi fu socio della Banca Cooperativa Morcianese, nella quale ricoprì anche qualche incarico ma di tipo marginale, dato che per motivi di lavoro era per lo più lontano dalla città natale.59 ernesto Montanari (1878-1961) Giuseppe Montanari (1920-2000), medici chirurghi. ernesto Montanari, nato a San Pietro in Casale (BO) il 3 maggio 1878, si laurea in medicina e chirurgia all’Università di Bologna nel 1904. Negli anni immediatamente successivi è assistente presso gli ospedali di Cento e di Pesaro. Nel 1907, a soli 27 anni, viene chiamato alla direzione dell’Ospedale di Saludecio dove rimane per circa sei anni. Nel 1913 è nominato medico condotto del Comune di Morciano di Romagna. In quello stesso anno, mosso dalla preoccupazione che in Morciano e in vari comuni limitrofi non esista un ospedale, fonda la Casa di cura che ancor oggi porta il suo nome e che risulta essere la più antica 79


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Il professor ernesto Montanari, fondatore della Casa di Cura che porta il suo nome.

ancora in attività dell’emilia-Romagna. Questo istituto per decenni ha svolto la funzione di ospedale civile della zona del Conca, in una situazione ancora caratterizzata, almeno per la prima metà del

Il Concerto Bandistico Morcianese (al centro senza divisa il dottor Giuseppe Montanari) in una foto pubblicata su “L’Ape del Conca” del 12 marzo 1968.

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Novecento, da scarsità e difficoltà di vie stradali di comunicazione. Alla professione di chirurgo il professor ernesto Montanari accompagna lo studio e la ricerca; nel 1923 consegue la libera docenza in medicina operatoria presso l’Università di Genova; pubblica presso l’editore Cappelli il volume “La chirurgia del cuore”; tiene relazioni ai Congressi della Società italiana di Chirurgia e pubblica una trentina di articoli scientifici su riviste specializzate. Contemporaneamente segue con passione gli sviluppi della sua Casa di cura, che dopo la Seconda guerra mondiale viene ampliata con la sopraelevazione dell’edificio e la costruzione di una nuova ala; dai 16 posti letto del 1913 si passa ai 45 posti del 1959. Comprendendo che la medicina moderna evolve verso la specializzazione il professor Montanari mira in quegli anni a trasformare la sua Casa di cura in un piccolo policlinico, affiancandosi di collaboratori specializzati in vari settori.


personaggi a Morciano nella priMa Metà del '900

Giuseppe Montanari, figlio di ernesto, dopo la laurea in medicina e chirurgia collabora col padre nell’attività presso la Casa di cura e nel 1961, dopo la scomparsa del fondatore, lo sostituisce nella direzione dell’Istituto, valendosi anche della collaborazione del fratello Giorgio, anche lui laureato in medicina, libero docente in Patologia e Clinica chirurgica. Giuseppe Montanari, specialista in radiologia, chirurgia generale, anestesia e rianimazione, si fa ben volere dalla popolazione per le doti di grande umanità e per la passione con cui si dedica alla sua professione. Sotto la sua direzione prosegue l’opera di ampliamento della Casa di cura già avviata dal padre, con successivi interventi nel 1967 e nel 1975. essendo inoltre grande appassionato di musica, fu per anni presidente e valente direttore del Concerto bandistico morcianese. Fu socio della Banca Popolare Valconca in cui ricoprì l’incarico di membro del collegio dei probiviri. Oggi la Casa di cura “e. Montanari”, dopo ulteriori lavori terminati nel 2005, si estende su circa 6000 mq. di superficie distribuiti su cinque piani; è suddivisa nei reparti di Medicina e di Chirurgia ed è dotata di poliambulatori e dei reparti di Analisi cliniche e di Radiologia.60

Il dottor Giuseppe Montanari (19202000).

in seguito è attrice in varie opere cinematografiche per lo più dei generi comico e della commedia; recita con Vittorio De Sica in Maddalena zero in condotta (1941) e insieme a totò in I tre ladri (1954). È una delle prime donne italiane a cimentarsi come regista con Cercasi

L’attrice Pina Renzi in una foto pubblicata su “Morciano in posa”.

Pina Renzi attrice (1902-1984) Compie gli studi a Rimini nel collegio delle Maestre Pie; la passione per la recitazione le nasce da ragazzina partecipando alla Filodrammatica Morcianese, diretta da suo padre. Inizia la sua carriera nel teatro nel 1926 nella compagnia di Luigi e Nora Carini. Nel 1930 è scritturata dalla compagnia “Za Bum” di Mario Mattoli nella quale rimane fino al 1934, ottenendo un buon successo e mettendo in evidenza le sue doti recitative. esordisce nel cinema nel 1933 nel film Non sono gelosa di C. Ludovico Bragaglia; 81


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bionda bella presenza del 1942. Negli anni Cinquanta prende parte ad almeno una decina di film accanto agli attori più in voga dell’epoca; negli anni Sessanta lavora anche per la tV con Romolo Siena. Muore a Riccione il 13 luglio 1984.61 Aldo Gaspari imprenditore (1911-1967) Nel 1913 emilio Gaspari, segretario comunale, fonda l’azienda tipografica “Grafiche Gaspari”; mettendo a frutto l’esperienza maturata nel lavoro, comincia a progettare e stampare moduli per gli uffici pubblici e soprattutto per le esigenze dei Comuni. Dopo la Seconda guerra mondiale il figlio Aldo raccoglie l’eredità del padre; dà impulso allo stabilimento tipografico e lo fa diventare un fornitore noto e prestigioso di servizi tipografici per i comuni di ogni parte d’Italia. Aldo Gaspari rilancia inoltre il periodico “L’Ape del Conca”, lo storico giornale le cui origini risalgono alla fine dell’Ot-

Aldo Gaspari in una foto pubblicata su "L’Ape del Conca" del 12 marzo 1967.

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tocento ma che per molti anni era stato pubblicato in un solo numero annuale in occasione della Fiera di San Gregorio: ne è l’editore, e vuole dargli una veste grafica moderna ed elegante, curandone la stampa presso il suo stabilimento tipografico. Il 2 aprile 1949, in seguito alla rinuncia del dottor Giuseppe Vanni, è chiamato alla presidenza della Banca Cooperativa Morcianese, diventata poi Banca Popolare Valconca, incarico che svolge con passione e spirito imprenditoriale, dando un contributo non indifferente allo sviluppo della società e alla sua espansione fuori dall’ambito strettamente morcianese per diventare banca del territorio della vallata. Proprio poco dopo aver presieduto l’assemblea annuale dei soci della Banca Popolare nel 1967 muore improvvisamente a soli 56 anni. La moglie Paola e poi la figlia teresa prendono dopo di lui la guida dell’azienda, che continua il suo sviluppo diventando, a partire dagli anni Ottanta, un gruppo di imprese distribuite su diverse sedi e accomunate dall’obiettivo di fornire servizi a stampa per i comuni e le amministrazioni pubbliche in genere. Un brano del discorso che tenne nel 1951 per l’inaugurazione a Saludecio della prima filiale della Banca Cooperativa Morcianese esprime bene il carattere del personaggio: “Nessuna gioia è più bella di chi può lavorare e rendersi artefice della prosperità del proprio paese; può, risparmiando, provvedere all’avvenire e rendersi utile alla società mettendo a disposizione di essa i frutti della propria attività”.62 Alfredo Nanni notaio (1871-1940) È il notaio che nel 1910 stila l’atto costitutivo della Banca Cooperativa Morcianese. Cattolico convinto, ha lasciato un profondo segno a Morciano per la carità verso i poveri, per le iniziative a favore della parrocchia e della popolazione.


personaggi a Morciano nella priMa Metà del '900

Nel 1932 per i suoi meriti papa Pio XI lo nomina Cavaliere Commendatore dell’Ordine di San Silvestro, concedendogli la pergamena e la croce d’oro dell’onorificenza. Nel 1929 insieme alle sorelle ester e Lina acquista e dona alla parrocchia una casa situata in via della Misericordia, nei pressi della chiesa parrocchiale, allo scopo di farne sede delle associazioni giovanili di Azione Cattolica e luogo di ritrovo ed educazione per gli adolescenti e i giovani. Fa poi costruire all’interno della chiesa parrocchiale di San Michele, in fondo alla navata sinistra, la Cappella della Beata Vergine della Misericordia, inaugurata il 26 agosto 1931 con solenne funzione officiata dal Card. Nasalli Rocca, arcivescovo di Bologna, assistito dal vescovo di Rimini mons. Vincenzo Scozzoli. A dotazione della Cappella della Beata Vergine della Misericordia il dottor Alfredo Nanni istituisce, con approvazione del vescovo, un beneficio ecclesiastico consistente in una casa d’abitazione in via del-

Alfredo Nanni (18711940).

la Misericordia ed un podere in via Santa Maria Maddalena. Lo scopo di tale istituzione è di assicurare la presenza di un terzo sacerdote in parrocchia, con l’obbligo di celebrare la messa la domenica e tutti i giorni festivi e di assistere il parroco nelle sue funzioni, tra cui quella dell’istruzione religiosa e della formazione dei fanciulli e dei ragazzi. titolare del beneficio viene nominato don Primo Guidi, già cappellano della parrocchia, che vi rimane fino a pochi mesi prima della morte, avvenuta nel 1963 (nei suoi ultimi giorni, ormai gravemente ammalato, ritornerà presso i parenti nella nativa Savignano). Negli anni successivi il notaio Nanni si assume le spese di altri lavori nella chiesa parrocchiale: il nuovo abside, l’altare maggiore, la balaustra di marmo (1933) ed il restauro del vecchio organo. Nel 1935, con l’acquisto di due case tra le vie Pascoli e Colombari, opportunamente riadattate, istituisce il “Giardino d’infanzia” (scuola materna), la cui gestione viene affidata alle suore Maestre Pie dell’Addolorata. L’“Asilo” diventa subito un’istitu-

Cappella della Beata Vergine della Misericordia nella chiesa di San Michele Arcangelo.

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valconca: cento anni con la banca popolare

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personaggi a Morciano nella priMa MetĂ del '900

Morciano di Romagna: Sede Scuole elementari e R. Corso d’Avviamento "U. Boccioni" (1935).

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valconca: cento anni con la banca popolare

Fiorenzo Mancini ed Arnaldo Pomodoro davanti a Colpo d'ala a Boccioni. Sotto: Arnaldo Pomodoro e il dottor Luigi Sartoni, direttore della Banca Popolare Valconca nell’atélier dell’artista.

zione molto importante per i morcianesi e anche per gli abitanti dei comuni vicini, ancora sprovvisti di tale servizio. Muore nella sua abitazione di Borgo Mazzini il 23 ottobre 1940 suscitando grande commozione e rimpianto nella popolazione morcianese che lo considera uno dei suoi principali benefattori.63 Arnaldo Pomodoro scultore (1926-vivente) È considerato tra i più importanti scultori del XX secolo; le sue opere ornano le piazze di città quali Roma, New York, Copenaghen, Dublino, Los Angeles. Nasce il 23 giugno 1926 a Morciano di Romagna: pochi mesi dopo la sua nascita

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la famiglia si sposta a Orciano di Pesaro, dove Arnaldo trascorre l’infanzia. Nel 1937 si trasferisce a Rimini per proseguire gli studi; frequenta l’Istituto tecnico per Geometri di quella città. Nel 1944, durante il passaggio del fronte, torna ad Orciano; conclusa la guerra, ottiene il diploma di geometra e si iscrive alla Facoltà di economia e Commercio a Bologna. Lavora al Genio Civile di Pesaro con incarico di consulenza per la ricostruzione di edifici pubblici distrutti o danneggiati dalla guerra. tra il 1949 e il 1952 frequenta l’Istituto d’Arte di Pesaro, precisando il suo interesse per la scenografia; intanto con il fratello Giò e con Giorgio Perfetti realizza gioielli e monili artistici. Nel 1954 si trasferisce a Milano dove progetta scenografie per il teatro; nel 195455 a Milano, Firenze e Venezia espone le prime sculture, che suscitano l’interesse della critica e del pubblico per la novità delle forme. Nel 1958 si lancia sulla scena internazionale con una serie di mostre in varie città europee; nel 1959 con una borsa di studio del Ministero degli esteri si reca negli Stati Uniti e a San Francisco realizza una mostra di artisti italiani. Nel 1960 si forma il Gruppo Continuità, del quale fanno parte, oltre ad Arnaldo Pomodoro, artisti come Bemporad, Consagra, Fontana. Nel 1963 realizza la prima delle sue celebri “sfere” e riceve il “Premio internazionale per la scultura” alla Biennale di San Paolo del Brasile. Nel 1967 la sua Sfera grande viene collocata di fronte al Ministero degli esteri a Roma. Ricordiamo qualcuna delle altre opere poste in varie città del mondo: il Disco solare davanti al Palazzo della Gioventù di Mosca; la Sfera con sfera sul piazzale delle Nazioni Unite a New York; la tomba monumentale di Federico Fellini a Rimini. Le sculture di Pomodoro hanno la forma di grandi solidi geometrici (sfe-


personaggi a Morciano nella priMa Metà del '900

ra, cubo, cilindro ecc.) le cui superfici si rompono qua e là per svelare al loro interno una complessa struttura o meccanismo, quasi simbolo della complessità del reale al di là dell’apparenza più superficiale. Nel 1982 l’Amministrazione comunale di Morciano e la Banca Popolare Valconca, in occasione del centenario della nascita di Boccioni, commissiona-

no ad Arnaldo Pomodoro la realizzazione di una scultura in omaggio dell’artista del Futurismo. Nasce così Colpo d’ala a Boccioni, opera esposta per la prima volta nel 1984 in una grande mostra antologica dell’artista a Firenze e poi collocata in una piazza della cittadina romagnola (Piazza Boccioni) appositamente creata su progetto dell’architetto Vittorio Gregotti.64

Colpo d’ala a Boccioni, opera di Arnaldo Pomodoro, Piazza Boccioni a Morciano.

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vi. da banca locale a banca del territorio la trasforMazione in

banca popolare valconca (1945-1960)

Gli anni della ricostruzione Nell’immediato dopoguerra la situazione economico-finanziaria in Italia rimase molto difficile; per alcuni anni ancora, almeno fino al 1948-49, l’inflazione continuò a correre con ritmo galoppante. Il governo De Gasperi, attraverso il ministro del Bilancio Luigi einaudi, varò provvedimenti drastici per rilanciare l’economia, attraverso disposizioni che ottennero successivamente risultati positivi, ma che in un primo momento imposero ulteriori sacrifici: svalutazione della lira rispetto al dollaro, per favorire le esportazioni e gli investimenti di capitali stranieri, energica restrizione del credito per costringere imprenditori e commercianti a vendere immediatamente i prodotti. La ricostruzione e la ripresa economica, strette dalle esigenze essenziali (riparazione delle case danneggiate, acqua potabile, ripristino delle linee ferroviarie e delle strade, approvvigionamento di generi alimentari), pur potendo giovarsi dell’ingente contributo americano dei fondi del “Piano Marshall”, procedevano a rilento: ancora nel 1948 né la produzione agricola né quella industriale in Italia avevano raggiunto i livelli degli anni prima della guerra. Anche per la Banca Cooperativa Morcianese la situazione all’uscita dalla guerra era tutt’altro che rosea; nel 1945 il numero dei soci era diminuito rispetto al 1940, e per quanto riguarda i bilanci, i 3 milioni di prestiti erogati nel 1945 erano

ben poca cosa rispetto ai livelli di prima della guerra, se si tiene conto della notevole svalutazione della moneta. Inoltre c’erano da riparare i danni subiti per gli eventi bellici e da ammortizzare le spese sostenute per ripristinare le condizioni di normale attività, quali il rifacimento degli arredi e l’acquisto della nuova cassaforte. tuttavia negli amministratori prevaleva la fiducia, perché la guerra era finita, perché c’era tutto intorno un clima di attesa di un futuro di libertà e sviluppo, e soprattutto perché c’era un costante progresso dell’attività e dei depositi, in un primo momento, e poi anche dei prestiti e degli utili. Abbandonate le preoccupazioni che avevano fatto prospettare la fusione con un altro istituto, ci si concentrava invece sulle possibilità di crescita che la nuova situazione offriva. Se l’inflazione correva, l’attività della Banca correva ad un ritmo più veloce. Già nella relazione sul bilancio 1946 gli amministratori esprimevano la loro soddisfazione perché i depositi erano raddoppiati rispetto all’anno precedente, più che triplicati i prestiti; anche il numero dei soci aveva ripreso ad aumentare dopo anni di stagnazione ed erano state sottoscritte numerose nuove azioni. Insomma, la Banca Popolare si trovò a essere partecipe ed insieme beneficiaria del processo di ricostruzione e di ripresa economica della zona; ed i risultati si facevano più consistenti man mano che, sul finire degli anni Quaranta, la corsa dell’inflazione rallentava.65

Panorama di Saludecio. Nel 1951, fondendosi con la Banca Operaia Cooperativa di Saludecio, la Banca Cooperativa Morcianese si avviava a diventare “banca del territorio”.

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valconca: cento anni con la banca popolare

Non possiamo dimenticare che la Banca Cooperativa Morcianese e altri enti svolsero talvolta un ruolo quasi suppletivo delle istituzioni pubbliche, alle prese con gravissimi problemi di lavori pubblici. Abbiamo già ricordato i contributi anche consistenti per l’assistenza ai poveri, per i reduci di guerra; basti pensare che nel 1946 la Banca stanziò in occasione della Fiera di San Gregorio 500 lire “per la sistemazione del campo boario” e 1000 lire per la lotteria omonima. L’aumento del capitale sociale Uno dei primi problemi che gli amministratori dovettero affrontare fu quello della necessità di aumentare il capitale sociale. Infatti la notevole perdita di valore della lira aveva di fatto ridotto il valore del capitale sociale e delle riserve; questo non solo indeboliva un elemento di garanzia in caso di necessità, ma rischiava di ridurre o compromettere l’attività della Banca, in quanto le leggi bancarie imponevano un preciso rapporto tra il capitale sociale e l’entità, da una parte dei depositi raccolti, dall’altra del massimo dei prestiti erogabili ad un singolo richiedente. Per ovviare a questo problema furono presi vari provvedimenti: all’inizio del 1946 fu aumentato a 300 lire il valore delle nuove azioni emesse (prima era di 200 lire); nell’agosto di quello stesso anno fu attuato uno scambio di azioni con le Banche Popolari consorelle di Bologna, Pesaro, Cesena e Mondaino; in pratica la Banca Cooperativa Morcianese vendette a questi istituti 500 nuove azioni acquistando loro azioni per un valore corrispondente. Questa operazione fu resa possibile dai più intensi rapporti di collaborazione con l’Associazione Nazionale fra le Banche Popolari e con le altre banche di categoria che si vennero a creare nel dopoguerra. In tal modo, nel corso del 1946 il capitale sociale fu raddoppiato e il numero delle azioni salì a 2584, rispetto alle 982 dell’anno precedente. 90

Il percorso positivo di ripresa negli anni del dopoguerra è visibile comunque anche nell’aumento progressivo degli associati, che era rimasto piuttosto stagnante durante tutto il ventennio fascista. Un fattore decisivo: il rapporto con l’Associazione Nazionale fra le Banche Popolari Il ritrovato e più stretto rapporto che negli anni del dopoguerra la Banca Cooperativa Morcianese riuscì a stabilire con l’Associazione Nazionale fra le Banche Popolari, liberatasi dalla forzata “fascistizzazione” degli anni precedenti la guerra che ne aveva ridotta e compromessa l’attività, come pure la collaborazione con il più recente Istituto Centrale delle Banche Popolari, furono senza dubbio un fattore di primaria importanza per il maturare di alcune scelte decisive negli anni del dopoguerra, ed offrirono notevoli possibilità di sviluppo. L’Istituto Centrale delle Banche Popolari Italiane (ICBPI), Società per azioni, nacque nel 1939 su iniziativa di sei Banche Popolari della Lombardia e del Veneto allo scopo di potenziare e coordinare la loro attività. Negli anni del dopoguerra estese ed ampliò la sua attività dalla originale sede in Milano; trovò inizialmente uno strumento finanziario di grande efficacia nell’emissione, affidata alle singole Banche Popolari, di assegni circolari intestati all’Istituto Centrale, e svolse funzioni di consulenza tecnica, di revisione e controllo dei bilanci a cui nei decenni successivi si aggiunsero altre funzioni, in particolare quelle dell’assunzione di alcuni servizi centralizzati. Nel 1946 la Banca Cooperativa Morcianese aderì all’Istituto Centrale mediante l’acquisto di 28 azioni; il Consiglio motivava tale decisione osservando che per troppo tempo “le banche locali sono state abbandonate a se stesse, costrette a vivere e ad agire in una forma troppo isolata”; all’inizio dell’anno successivo, nella re-


da banca locale a banca del territorio

lazione sull’esercizio 1946, il Consiglio osservava che si era fatta sentire positivamente nell’anno trascorso la collaborazione con l’Istituto Centrale e con l’Associazione Nazionale. tra i primi frutti di tale collaborazione figurano l’acquisizione del servizio di emissione di assegni circolari dell’Istituto Centrale (dall’aprile 1946) ed il reciproco acquisto di azioni con alcune banche consorelle al fine di aumentare il capitale sociale.66 La collaborazione fu ancora più intensa negli anni successivi: nel gennaio 1948 il dottor Demetrio Martini, direttore generale dell’Istituto Centrale, venne a Morciano e parlò con gli amministratori e il direttore della Banca Popolare Morcianese sui problemi della Banca; nell’aprile 1948 Oddone Fantini, presidente dell’Istituto centrale, intervenne all’assemblea dei soci a Morciano; nel giugno 1948 il ragionier enzo Sabbatini dell’Istituto Centrale di Milano fu presente per 20 giorni presso gli uffici della Banca Cooperativa Morcianese per osservarne l’andamento ed offrire assistenza. Frutto di tale rapporto fu la decisione, caldeggiata dall’Istituto Centrale, di dotarsi di “un direttore di alta competenza”; decisione che fu presa non senza qualche discussione ed esitazione, perché comportò la rinuncia a tale incarico di Cesare Rossi, che rimase in servizio con la qualifica di capo ufficio ed il contemporaneo licenziamento di un cassiere, per evitare un aumento del personale. Alla funzione di direttore fu nominato nell’agosto 1948, in via provvisoria, il ragionier enzo Sabbatini, sostituito poi dal 7 luglio 1949 dal ragionier Umberto Petit, anche lui nominato su indicazione dell’Istituto Centrale; quest’ultimo rimase in carica fino alla morte avvenuta nel 1956 ed ebbe sicuramente un ruolo essenziale nella complessa gestione delle scelte strategiche, essenziali per il rilancio della Banca, che avvennero negli anni della sua gestione: la fusio-

ne con la Banca Operaia Cooperativa di Saludecio, con la Banca Operaia Cooperativa Mondainese e l’espansione al di fuori del territorio comunale. L’Istituto Centrale intervenne anche riguardo a tali operazioni di fusione, anche se non ne fu il promotore, perché la proposta partì da esigenze locali; tuttavia in generale la politica dell’Istituto Centrale in caso di situazioni di difficoltà di singole Banche Popolari fu quella di favorire accorpamenti e fusioni tra banche della stessa categoria. Nuove figure di amministratori Negli anni del dopoguerra vi fu un quasi totale cambiamento del Consiglio di amministrazione, iniziato già nella primavera del 1945 con le dimissioni di Ambrogio Berretta di San Giovanni in Marignano dall’incarico di vicepresidente (fu sostituito da Battista Mancini) e da quelle del consigliere Ulderico Arcangeli. Il presidente, dottor Giuseppe Vanni, riconfermato per un triennio nell’assemblea del 30 marzo 1946, al termine del mandato manifestò con una lettera al Consiglio l’intenzione di non continuare nell’incarico. L’assemblea del 2 aprile 1949 elesse un Consiglio profondamente rinnovato e così composto. Banca Popolare Morcianese. Consiglio di amministrazione 1949 Presidente

Gaspari Aldo

Vicepresidente

Mancini Battista

Consiglieri effettivi

Barogi Angelo Broccoli Arrigo

Consiglieri supplenti

Bilancioni Alberto Grassi Archimede

Non si può non notare che tale cambiamento coincise con un periodo di scelte importanti di cui i nuovi amministratori furono protagonisti e che portarono allo sviluppo della banca anche fuori del territorio morcianese. 91


valconca: cento anni con la banca popolare

Certificato azionario della Banca Operaia Cooperativa di Saludecio emesso il 2 novembre 1930.

In particolare il nuovo presidente Aldo Gaspari, titolare di un’azienda tipografica in fase di crescita e di affermazione in quegli anni, e il nuovo direttore Umberto Petit, portarono nella Banca Cooperativa Morcianese una gestione manageriale e una mentalità d’impresa che, contrastando con quella di conservazione dell’esistente fino allora attuata, mirava apertamente ad un’espansione sia del volume di attività, sia dell’ambito di operatività, assumendosi la responsabilità delle spese e dei rischi da affrontare per raggiungere questi obiettivi. Inoltre il presidente Gaspari credeva molto nel rapporto con l’organizzazione nazionale delle Banche Popolari e si adoperò per portare l’istituto a collegarsi con gli organismi di categoria e ad usufruire dei supporti e dei suggerimenti che da questi provenivano. L’acquisizione della Banca Operaia Cooperativa di Saludecio Nel Consiglio di amministrazione della Banca Cooperativa Morcianese si cominciò a parlare dell’ipotesi di acquisire la Banca Operaia Cooperativa di Saludecio nell’ottobre del 1948, in seguito ad una richiesta pervenuta da quella banca che chiedeva alla consorella morcianese di effettuare una fusione per incorporazione; tale richiesta era motivata dalla “impossibilità di fare utili tali da fronteggiare le normali spese di gestione”. La Banca Operaia Cooperativa di Saludecio, società anonima a capitale illimitato, era stata costituita con atto notarile il 26 ottobre 1919 ed aveva cominciato ad operare al pubblico il 12 luglio 1921, con sede in piazza Beato Amato n. 1.67 Da parte del dottor Martini dell’Istituto Centrale delle Banche Popolari Italiane giunse la raccomandazione a prendere in considerazione il caso di Saludecio, per evitare che lo sportello fosse ceduto ad un istituto di tipo diverso. Il Consiglio di amministrazione della Banca Cooperativa Morcianese, senza aver potuto esaminare

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ancora in modo approfondito la situazione economica dell’altra banca, si espresse in linea di principio in senso favorevole. Nei mesi successivi e soprattutto nel 1949, con l’opera dei nuovi esponenti quali il presidente Gaspari e il direttore Petit, furono condotte le trattative, che furono piuttosto lunghe anche perché nel frattempo erano sorte delle perplessità all’interno del Consiglio di amministrazione stesso circa l’opportunità di acquisire uno sportello che presentava un’attività modesta e che non sembrava offrire consistenti prospettive di sviluppo; si faceva presente ad esempio che sulla stessa piazza era attiva da tempo anche una filiale del Credito Romagnolo.68 Alla fine prevalse l’ipotesi formulata con lettera dal dottor Martini dell’Istituto Centrale delle Banche Popolari di scartare l’idea dell’incorporazione, perché la procedura appariva troppo lunga e complessa; piuttosto la Banca Operaia Cooperativa di Saludecio si sarebbe posta in liquidazione


da banca locale a banca del territorio

e contemporaneamente la Banca Cooperativa Morcianese avrebbe richiesto alla Banca d’Italia l’autorizzazione ad aprire un proprio sportello in sostituzione dell’istituto liquidato. Ottenute le autorizzazioni, l’operazione fu completata nel 1951; il 7 gennaio di quell’anno un’assemblea straordinaria della Banca Operaia Cooperativa di Saludecio deliberò la messa in liquidazione della società. Nel mese di maggio si cominciò a dare attuazione agli accordi che prevedevano: l’acquisizione dell’intero portafoglio dei prestiti della Banca di Saludecio da parte di quella di Morciano; la possibilità per i depositanti di trasformare i loro depositi in corrispondenti libretti dell’altra banca o di vedersi rimborsati; l’assunzione di tutte le passività da parte della Banca Morcianese; la possibilità per gli ex azionisti della società liquidata di diventare soci della Banca di Morciano, pagando un’integrazione di valore per ogni azione trasformata. Inoltre nel Consiglio di amministrazione entrò l’ex presidente della Banca di Saludecio, il geometra Guglielmo Albini. Lo sportello di Saludecio venne aperto al pubblico il 21 ottobre 1951 con una breve cerimonia nel pomeriggio; parlò il presidente Aldo Gaspari che annunciò per l’occasione l’erogazione di una beneficenza per complessive 12.000 lire ad alcune opere caritative e religiose: l’Ospizio “Beato Amato”, l’Orfanotrofio “Don Masi” e la parrocchia di San Biagio.69 In breve tempo risultò evidente che, nonostante le perplessità che aveva suscitato all’inizio, l’acquisizione della Banca Operaia Cooperativa di Saludecio era stata proficua per la Banca Cooperativa Morcianese; le perdite complessive da fronteggiare erano state modeste (circa 20.000 lire), mentre erano aumentati con questa operazione i soci, il capitale sociale, la clientela e il giro di attività, ma soprattutto per la prima volta la Banca

era uscita a tutti gli effetti, con una vera e propria filiale, dal ristretto territorio comunale di Morciano.

La chiesa parrocchiale di taverna di Monte Colombo.

La filiale a taverna di Monte Colombo La proposta di apertura di uno sportello della Banca Cooperativa Morcianese a taverna, frazione di Monte Colombo, si affacciò per la prima volta alla discussione del Consiglio di amministrazione il 5 aprile 1949, e va collocata nel contesto dell’attivismo dimostrato dal nuovo presidente Aldo Gaspari e dal Consiglio quasi completamente rinnovato uscito dall’assemblea del 2 aprile 1949, i quali miravano all’espansione dell’attività dell’istituto anche nelle località limitrofe.70

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emilio Ghigi (primo a sinistra) e il presidente Aldo Gaspari (in piedi) 1958.

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Per alcuni mesi poi i dirigenti furono impegnati prevalentemente nella trattativa per l’acquisizione della Banca Operaia Cooperativa di Saludecio, ma nell’ottobre del 1949 si decise di avviare le pratiche per richiedere le autorizzazioni all’apertura di uno sportello a taverna. La scelta della piccola frazione era dovuta soprattutto alla sua posizione strategica: è situata a soli 7 km da Morciano lungo l’asse della provinciale del Conca, ed è posta a breve distanza dalle località di Monte Colombo, Montescudo e Gemmano. Un altro argomento a favore era il basso costo degli immobili nella zona: si prevedeva di prendere in affitto un locale da adibire ad ufficio con un canone veramente modesto. Così, secondo alcuni consiglieri, l’apertura della filiale a taverna sarebbe stata più redditizia che quella di Saludecio, anche se quest’ultima località aveva maggiore prestigio. La risposta della Banca d’Italia alla richiesta di autorizzazione ad aprire la filiale a taverna fu in un primo tempo negativa, anche se non in senso assoluto, ma collegata alle condizioni economicofinanziarie della Banca Cooperativa Morcianese in quel momento; il che lasciava intravvedere la possibilità di una successiva revisione della decisione in un prossimo futuro. La Banca accantonò al momento il progetto e si concentrò sull’acquisizione della Banca di Saludecio. La richiesta di autorizzazione per l’apertura di una filiale a taverna fu nuovamente ripresentata nel dicembre del 1956, quando in seguito a un colloquio tra il direttore Giorgio Vanni e quello della sede di Rimini della Banca d’Italia si apprese che c’erano buone possibilità per l’accoglimento della domanda. In data 30 marzo 1957 giunse l’autorizzazione della Banca d’Italia; il mese successivo, grazie anche all’interessamento del sindaco di Monte Colombo, fu stipulato un contratto d’affitto quinquen-

nale per un ufficio da adibire a filiale, posto a taverna sulla strada provinciale; dopo alcuni lavori di adattamento lo sportello fu inaugurato e aperto al pubblico con cerimonia e benedizione il 9 giugno, ed iniziò a funzionare con regolare orario giornaliero.71 L’incorporazione della Banca Operaia Cooperativa Mondainese Il processo che portò la Banca Cooperativa Morcianese ad incorporare la consorella di Mondaino per molti aspetti ricalca quanto era avvenuto nei confronti della Banca Operaia Cooperativa di Saludecio, ma per altri aspetti se ne discosta, soprattutto per gli effetti più profondi di trasformazione apportati, a cominciare dallo stesso mutamento della ragione sociale, per assumere quella attuale di Banca Popolare Valconca. La Banca Operaia Cooperativa Mondainese fu costituita il 24 gennaio 1910 da 19 soci fondatori; ne fu primo direttore e contabile Bettino Galeotti, direttore didattico; primo presidente Bruno Perazzini, possidente. Al momento della fusione con la Banca Cooperativa Morcianese (anno 1957) aveva un patrimonio di circa 2 milioni di lire, circa 200 soci, circa 500 clienti con libretti di deposito o conto corrente; il Consiglio di amministrazione era presieduto dal dottor Giuseppe Bianconi, mentre il direttore era il ragionier Antonio Catolfi. Il 12 novembre 1952 il ragionier Petit, direttore della Banca Cooperativa Morcianese, scrisse al dottor Demetrio Martini direttore dell’Istituto Centrale delle Banche Popolari per informarlo di aver appreso della difficile situazione in cui versava la Banca Operaia Cooperativa Mondainese, e di aver saputo che la Banca d’Italia era favorevole ad un intervento di salvataggio da parte dell’istituto morcianese. Il dottor Martini rispose che l’Istituto Centrale era sempre favorevole all’assorbimento di una Banca Popolare in difficoltà da parte di una


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L'atto costitutivo della Banca Operaia Cooperativa Mondainese (24 gennaio 1910).

consorella, al fine di conservare le stesse caratteristiche di società cooperativa. Furono perciò avviate le trattative con la Banca Operaia Cooperativa Mondainese, che si rivelarono però piuttosto difficili, perché una parte del Consiglio di amministrazione dell’istituto mondainese era contrario all’idea di fusione. Intanto si erano fatti avanti anche il Credito Romagnolo prima, e la Cassa di Risparmio di Rimini poi, prospettando l’idea dell’apertura di un loro sportello dopo l’eventuale liquidazione della società. La fusione poté attuarsi grazie anche all’assistenza e alle pressioni in tal senso fatte dall’Istituto Centrale delle Banche Popolari, che si interessò anche delle pratiche necessarie per l’autorizzazione. Il 10 maggio 1957 fu redatto l’accordo tra le due banche per giungere alla fusione, con le seguenti condizioni: a) mutamento della ragione sociale in “Banca Popolare Valconca”; b) mantenimento in servizio del personale dipendente della Banca Cooperativa Mondainese con stipendi come da contratto sindacale; 96

c) costituzione presso lo sportello di Mondaino di un “comitato di sconto” con facoltà di concedere prestiti fino ad un importo da definire; d) immissione nel nuovo Consiglio di amministrazione di almeno un rappresentante di Mondaino; e) equiparazione del valore delle azioni della Banca Cooperativa Mondainese a quello delle azioni della Banca Cooperativa Morcianese; ogni ex socio di Mondaino avrebbe così ricevuto lo stesso numero di azioni che deteneva precedentemente; f) impegno della nuova società a mantenere aperto a tempo indefinito lo sportello di Mondaino. L’assemblea straordinaria della Banca Operaia Cooperativa Mondainese convocata il 20 ottobre 1957 nella sala parrocchiale, presenti 93 soci in persona più 48 per delega, su un totale di circa 200, deliberò la “fusione per incorporazione nella Banca Cooperativa Morcianese”; quest’ultima si assumeva l’intero patrimonio attivo e passivo dell’altra, mentre i soci dell’ex istituto mondainese potevano entrare nella nuova società per un numero di azioni equivalente a quello precedentemente detenuto. Va notato che il voto non fu unanime: 84 sì, 53 no, 4 schede nulle; le opposizioni erano soprattutto inclini all’idea di fusione con un altro istituto. Quasi contemporaneamente, il 19 ottobre dello stesso anno, si tenne l’assemblea straordinaria della Banca Cooperativa Morcianese, che deliberò a voto unanime la fusione con la Banca Operaia Cooperativa Mondainese, il mutamento della denominazione in “Banca Popolare Valconca, società cooperativa a responsabilità limitata” e diede mandato al Presidente per sottoscrivere gli atti pubblici di attuazione di quanto deliberato e per attuare le condizioni per la fusione già in precedenza definite con reciproco accordo tra le due banche. tuttavia, anche nell’assemblea di Morciano ci fu una sia


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pur pacata discussione; qualcuno dei soci intervenne per sostenere che, pur approvando la fusione, avrebbe preferito che si mantenesse la storica denominazione della Banca. Il presidente Gaspari rispose con parole di sano realismo, che oggi appaiono anche quasi una profezia dei futuri sviluppi: “L’attività della Banca si è estesa al di fuori del territorio di Morciano, e quindi anche per evitare eventuali dissapori di carattere campanilistico è bene che il nominativo abbracci tutta la valle del Conca, dove la Banca opera”.72 L’agenzia di Mondaino della Banca Popolare Valconca, situata in via Borgo n. 13, compiute tutte le pratiche, fu ufficialmente aperta nel nuovo ruolo di filiale il 13 marzo 1958; il 29 marzo di quello stesso anno, come era già avvenuto nel caso della fusione con la Banca di Saludecio, entrò a far parte del

Consiglio di amministrazione un rappresentante di Mondaino, nella persona del dottor Giuseppe Bianconi, già presidente dell’istituto incorporato.73

Il parco automezzi del Pastificio Ghigi nei primi anni Sessanta.

La Banca Popolare Valconca e lo sviluppo degli anni Cinquanta Le fusioni avvenute con le banche di Saludecio e Mondaino, l’attivismo degli amministratori, l’espansione dell’attività oltre l’ambito territoriale tradizionale portarono la Banca Popolare Valconca, già alla fine degli anni Cinquanta, a raggiungere uno sviluppo che era assolutamente impensabile pochi anni prima, quando l’istituto aveva attraversato una grave crisi ed aveva rischiato addirittura la chiusura o la cessione ad altra banca. tale sviluppo va quindi esaminato attentamente, in quanto collocato in un contesto economico ancora piuttosto difficile.

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Se è vero che ancora nei primi anni Cinquanta gli amministratori lamentavano una certa scarsità di afflusso dei depositi, che imponeva indirettamente di limitare anche la concessione dei prestiti, possiamo osservare che proprio in quegli anni la Banca Popolare comincia ad erogare massicci finanziamenti ad alcuni (ancor poco numerosi) stabilimenti industriali locali, quali il Pastificio Ghigi, le Grafiche Gaspari, il Lanificio Ceccolini; continua a finanziare il Comune di Morciano per l’esecuzione di lavori pubblici; ma soprattutto si avvale dei fondi messi a disposizione dal Governo per il rilancio dell’economia, destinati a particolari categorie produttive. Ad esempio per il “credito agrario di miglioramento”, istituito con legge 27 ottobre 1951, la Banca Cooperativa MorciaBanca Coop. Morcianese - Banca Popolare Valconca. Depositi e prestiti 1950-1960 milioni di lire

PReStItI DePOSItI

700 600 500 400 300 200 100 -

1950 1951 1952 1953 1954 1955 1956 1957 1958 1959 1960 anni

Banca Coop.Morcianese - Banca Pop. Valconca Numero dei soci 1950-1960 700 600 500 n. soci

400 300 200 100 0

1950 1951 1952 1953 1954 1955 1956 1957 1958 1959 1960 anni

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nese ottiene l’autorizzazione ad erogare i finanziamenti a tasso agevolato per le aziende agricole dei comuni di Morciano, Mondaino, Saludecio, Montefiore, Montegridolfo, Monte Colombo, Gemmano, San Clemente e Misano Adriatico; seguono nel 1958 il “prestito artigiano” e il “fondo per la zootecnia” (legge 2 agosto 1957). Si tratta di opportunità che la Banca riesce a cogliere e utilizzare per accrescere il giro della propria attività.74 A partire dal 1953, mentre il tasso di inflazione generale rallenta, il volume dei prestiti erogati dalla Banca Cooperativa Morcianese cresce con grande rapidità; aumentano anche notevolmente, seppur in misura percentualmente minore ed in modo meno costante, i depositi e gli utili netti. tra le cause dello sviluppo dell’istituto non va inoltre dimenticata la migliorata funzione di supporto dell’Associazione Nazionale fra le Banche Popolari e dell’Istituto Centrale che portò, tra l’altro, ad un aumento del capitale sociale mediante l’acquisto di pacchetti di azioni da parte di altre banche consorelle; all’aumento del numero di soci e di clienti conseguente all’acquisizione delle due banche di Saludecio e Mondaino e all’apertura della filiale di taverna. Il numero delle azioni sottoscritte salì dalle 1.501 azioni del 1951 alle 16.110 del 1960; nello stesso arco di tempo il numero dei soci passò da 415 a 692. Nuove iniziative e prospettive alla fine degli anni Cinquanta Lo sviluppo della Banca Popolare Valconca negli anni Cinquanta e il desiderio di presentarsi come un istituto moderno, efficiente e ben ancorato al territorio risulta evidente da alcune iniziative intraprese in quegli anni. Fu introdotta una prima meccanizzazione (seppur modesta, data la scarsa diffusione dei prodotti sul mercato ed il rilevante costo) con l’acquisto di macchine calcolatrici elettriche Olivetti (1956); le prime macchine


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contabili vere e proprie capaci di eseguire i calcoli e di registrare le operazioni effettuate furono le Olivetti Audit 202 e Olivetti Audit 403 acquistate nel 1959. I costi di questi macchinari allora all’avanguardia erano elevatissimi: l’Audit 403 costò oltre 400 mila lire, corrispondenti all’incirca a 3-4 anni di stipendio di un dipendente. Negli anni Cinquanta la Banca Popolare Valconca si impegnò a sostenere con varie iniziative l’agricoltura della zona che si avviava ad una situazione di crisi, dovuta anche alla migrazione di lavoratori dei campi verso le più attraenti attività turistiche della zona costiera e le attività industriali delle città. Oltre alle operazioni di “credito agrario” che usufruivano dei fondi statali stabiliti per legge già a partire dal 1951, la Banca si trovò a poter accedere al “fondo per la zootecnia” istituito con legge 8 agosto 1957. Inoltre, in collaborazione con l’Ispettorato Agrario provinciale e con le associazioni di categoria, la Banca Popolare Valconca istituì premi per le aziende agricole che avessero conseguito la maggiore produzione di grano (dal 1950) e di foraggio (dal 1958) e furono anche sponsorizzati cicli di conferenze destinate agli agricoltori, tenute da esperti e finalizzate alla conoscenza di tecniche per il miglioramento della produzione agricola. Nel tentativo di sostenere e rilanciare la produzione vinicola fu istituita a Morciano, e sostenuta economicamente dalla Banca Popolare, la “Sagra dell’uva” nel mese di ottobre: la prima edizione si svolse nel 1956. In quegli anni, furono introdotte alcune (per la verità assai limitate) forme di pubblicità, come la distribuzione ai clienti di calendari con logo della Banca (dal 1952), di agende, la pubblicazione dei bilanci e dei resoconti delle assemblee annuali sul quotidiano “Il Resto del Carlino”. Per migliorare il clima di collaborazione e la conoscenza tra amministratori e dipendenti fu istituita la “gita sociale”, riservata ai componenti del Consiglio, ai sindaci e ai dipendenti: la prima si svolse il 10 maggio

Bilancio della Banca Popolare Morcianese dell’anno 1952.

1953 con meta Padova e Abano terme. Ma la composizione del personale restava ancora estremamente ridotta ed impostata sostanzialmente sul sistema dell’impiegato generico senza una mansione specializzata: al 31 dicembre 1959 la Banca Popolare Valconca aveva complessivamente, distribuiti sulle quattro filiali, undici impiegati (ivi compreso il direttore Giorgio Vanni). Di questi due erano donne: Irma Lazzari e Giuseppina Donati.

Giorgio Vanni, direttore dal 1956 al 1968, in una foto del 1961.

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Certificato da 25 azioni della Banca Cooperativa Mondainese.

titolo nominativo della Banca Cooperativa Mondainese.

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Libretto di Risparmio giĂ della Banca Cooperativa Mondainese, poi Banca Popolare Valconca.

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vii. dagli anni del booM econoMico agli anni ottanta

Miracolo economico, ma per chi? tra la fine degli anni Cinquanta e i primi anni Sessanta l’Italia riuscì a ridurre sensibilmente il divario che la separava dagli Stati europei economicamente più sviluppati. Furono gli anni del “miracolo economico”, reso possibile dai salari ancora relativamente bassi, dalla diffusione capillare di piccole industrie a carattere artigianale, dal libero scambio di merci derivante dall’adesione dell’Italia alla Comunità economica europea, che consentiva di esportare i prodotti italiani all’estero. Furono gli anni del benessere e del consumismo, i cui simboli erano il televisore, la lavatrice, il frigorifero, la “Vespa” e l’auto utilitaria, che provocarono una vera e propria rivoluzione nel modo di vivere delle famiglie italiane; la diffusione di questi prodotti e la propensione ad assumere nuovi stili di vita furono a loro volta un ulteriore incentivo alla produzione. Purtroppo però la valle del Conca e Morciano in particolare risentirono solo in parte degli effetti benefici del “boom economico”: si impiantarono alcuni stabilimenti artigianali o piccole industrie (settori del legno, dell’arredamento, dell’abbigliamento); ma l’economia industriale della zona sembrava ormai completamente accentrata sul colosso del Pastificio Ghigi che negli anni Cinquanta era stato ulteriormente ingrandito e rafforzato, affiancato da un mangimificio per la produzione di alimenti per animali utilizzando i prodotti

di scarto della produzione. All’inizio degli anni Sessanta il Pastificio Ghigi toccò il suo massimo sviluppo, arrivando ad avere 330 dipendenti e a produrre giornalmente 220 quintali di pasta, collocandosi così al terzo posto a livello nazionale dopo le aziende Barilla e Buitoni. Poi alcune divergenze intervenute tra i fratelli emilio ed Angelo Ghigi, la morte di emilio nel 1964 e l’uscita di Angelo dalla società in quello stesso anno per fondare una nuova azienda, avviarono un periodo di crisi del pastificio che ebbe profonde ripercussioni sull’economia della zona. Il settore dell’agricoltura continuava a versare in difficili condizioni: non aveva fatto quel salto di qualità verso un’agricoltura specializzata (ad esempio nella produzione di frutta e ortaggi per l’esportazione) che era avvenuta in altre zone della Romagna; soprattutto, dalla zona collinare continuava l’esodo dei contadini che abbandonavano i poderi alla ricerca di migliori condizioni di lavoro e di guadagno. Secondo una relazione presentata dal direttore della Banca Popolare Valconca nel gennaio 1961, nei dieci comuni della media vallata del Conca si contavano 45 poderi (per 383 ettari) completamente incolti e altri 128 poderi (per 961 ettari) abbandonati dai coloni ed in qualche modo coltivati dai proprietari “con mezzi di fortuna”. La produzione di cereali e vino era notevolmente diminuita rispetto agli anni precedenti.75

San Giovanni in Marignano. In primo piano il centro storico, sullo sfondo i capannoni della zona industriale e Montalbano.

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La nuova sede della Banca Popolare Valconca in via Bucci, inaugurata nel 1981.

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Le mete preferite dei lavoratori che abbandonavano i campi erano i vicini centri costieri, dove l’attività turistica continuava ad avere un buon ritmo di sviluppo, favorita dal costante apporto di valuta straniera di tedeschi e francesi, dall’ancor basso costo dei terreni edificabili che consentivano un rapido e non sempre ordinato sviluppo edilizio. Verso la costa si dirigeva anche l’impiego di capitali, attirato dall’ancor basso costo delle abitazioni, dalla possibilità di investimenti redditizi in alberghi, bar e negozi, dalla richiesta di nuove costruzioni. Il vero boom economico degli anni Sessanta per questo estremo lembo della Romagna fu quindi quello delle località della costa che videro aumentare rapidamente le abitazioni, gli alberghi, i negozi e anche la popolazione residente: in particolare Cattolica tra il 1951 e il 1971 quasi raddoppiò la popolazione residente (da 8.686 abitanti nel 1951 a 15.623 nel 1971) e triplicò il numero degli alberghi (da 131 alberghi nel 1951 a 393 nel 1971); ancor più consistente fu lo sviluppo di Riccione e notevole anche quello di Misano.76 L’imponente sviluppo dell’economia sulle località costiere segnò però la crisi di Morciano come centro commerciale della Valconca: cominciarono a chiudere i negozi all’ingrosso, poi entrarono in difficoltà le industrie, in breve tutta la zona dell’entroterra andò in crisi.

Banca Popolare Valconca: una strategia per gli anni Sessanta La scelta strategica della Banca Popolare Valconca di fronte ai cambiamenti degli anni Sessanta fu sostanzialmente basata su un punto fondamentale: cercare di aprire nuove filiali nelle località, ed in primo luogo quelle costiere, dove si assisteva a un rapido sviluppo economico e dove si poteva prevedere una crescita per gli anni a venire, anche a costo di sacrifici e difficoltà nell’immediato. A distanza di tempo si può dire che fu una mossa strategicamente indovinata, che faceva leva sulle obiettive esigenze di località che per la rapida crescita edilizia erano ancora abbastanza carenti di sportelli bancari, ma contemporaneamente manteneva la sede storica di Morciano come punto centrale di coordinamento, attingendo a un prezioso patrimonio di esperienza, di organizzazione e di servizi. Il percorso verso questo obiettivo però fu tutt’ altro che facile, soprattutto perché la Banca d’Italia, che esercitava le funzioni di Istituto di vigilanza, era molto restia, in quei tempi, a concedere l’apertura di nuovi sportelli in comuni già serviti da altre banche. Si tendeva ad evitare un’eccessiva concorrenza sulla stessa piazza e normalmente non si concedeva l’apertura di filiali su un territorio diverso da quello “storicamente” di competenza. Ma gli amministratori avevano qualche speranza, perché la legge bancaria del 1936 riconosceva il ruolo intercomunale o addirittura interprovinciale delle Banche Popolari; perché questa caratteristica si era già realizzata mediante la fusione con gli istituti di Saludecio e Mondaino; infine perché l’espansione tumultuosa dell’attività turistica nella fascia costiera faceva apparire insufficienti i servizi bancari nella zona, soprattutto per quanto riguardava il cambio della valuta straniera e le esigenze quasi quotidiane di attività alberghiere e commerciali.


dagli anni del booM econoMico agli anni ottanta

Dell’apertura di nuovi sportelli nelle località della costa si cominciò a parlare nel Consiglio di amministrazione della Banca Popolare Valconca già nel gennaio 1959, ma una richiesta formale e dettagliata, relativa all’apertura di filiali a Cattolica, Misano Adriatico e Riccione, fu presentata alla Banca d’Italia nel febbraio 1961. Nel luglio di quello stesso anno il presidente Aldo Gaspari e il direttore Vanni si recarono a Roma dove incontrarono il direttore della Banca d’Italia, Guido Carli, e i dirigenti dell’Associazione Nazionale fra le Banche Popolari al fine di spiegare le ragioni che avevano portato la Banca Popolare Valconca ad orientarsi verso l’apertura di nuovi sportelli nelle località turistiche costiere. I dirigenti morcianesi tornarono da Roma con la convinzione che la loro richiesta avrebbe trovato favorevole accoglienza, ma in realtà non fu così: la risposta ufficiale della Banca d’Italia, giunta per lettera parecchi mesi dopo, concedeva la possibilità di espandere l’attività solo a quella parte del Comune di Misano Adriatico che comprendeva il vecchio centro abitato (Misano Monte), pertanto escludendo tutte le zone costiere.77 L’obiettivo che la Banca Popolare Valconca si proponeva era stato quindi in questa fase completamente mancato. Nel 1963 però si trovò una nuova strada per raggiungere questo scopo: la richiesta di poter aprire degli “sportelli stagionali estivi”, anziché delle vere e proprie filiali, a Misano e Cattolica fu inoltrata nei primi mesi di quell’anno e trovò risposta positiva da parte della Banca d’Italia che con lettera del 16 aprile autorizzò la Banca Popolare Valconca a svolgere tale attività limitatamente al periodo 1° maggio-30 settembre di ogni anno.78 L’apertura degli sportelli di Cattolica e Misano Grande fu la soddisfazione del Consiglio di amministrazione per il risultato ottenuto. A tempo di record, nel giro di

appena un mese, furono affittati i locali, fu approntato l’arredamento, ivi comprese due casseforti, e furono assunti con contratto temporaneo 3 nuovi impiegati; il 20 maggio 1963 fu possibile aprire contemporaneamente i due “sportelli estivi” di Cattolica e Misano. Nei mesi successivi, valutando l’attività svolta dagli “sportelli stagionali”, fu subito evidente che quello di Cattolica, situato accanto ad alcuni alberghi molto attivi, aveva svolto un discreto lavoro, mentre quello di Misano Adriatico, per la sua collocazione nella frazione Brasile - turisticamente meno sviluppata - aveva un profilo ben più modesto. Gli utili maggiori in queste agenzie venivano dalle numerose operazioni di cambio della valuta estera, mentre fino a tutto il 1964 non vi era ancora stata avviata nessuna operazione di prestito. Nonostante le spese sostenute e i risultati iniziali non eccezionali, il Consiglio di amministrazione era ben deciso a proseguire sulla linea strategica intrapresa dell’espansione della propria attività nelle località della costa. Il primo obiettivo a cui si mirava era quello di trasformare l’agenzia di Cattolica da stagionale a permanente; ed a tale scopo nell’ottobre 1964 fu deliberato l’acquisto di tre negozi a piano terra, all’angolo tra le vie Modena e Carducci, per una superficie di 130 mq complessivi, per adattarli a sede di proprietà in sostituzione di quella in affitto. Nel marzo 1965 fu inoltrata domanda alla Banca d’Italia per ottenere sia l’autorizzazione a trasformare lo sportello stagionale di Cattolica in agenzia permanente, sia per l’apertura di un nuovo sportello stagionale a Riccione. La richiesta fu accolta dall’Istituto di vigilanza solo per la prima parte e così a partire dall’ottobre 1965 la filiale di Cattolica restò aperta in tutti i mesi dell’anno. Per quanto riguarda la filiale di Misano Adriatico, invece, si provvide nel 1968 a trovare una nuova sede in via dei Platani, sempre in locale d’affitto e a carattere stagionale, ritenendo poco idonea la collocazione precedente. 105


valconca: cento anni con la banca popolare

Il ragionier Vasco turci, vice-direttore generale della Banca Popolare Valconca dal 1995 al 2009.

Intervista al ragionier Vasco turci, ex vicedirettore generale Banca Popolare Valconca

D: Come è iniziato il suo rapporto con la Banca Popolare Valconca? R.: Io sono originario di Cesena e sono venuto a Morciano appositamente per questo lavoro; ho abitato presso mio fratello dal 1966 fino al 1970, quando mi sono sposato e mi sono trasferito definitivamente qui. Ho iniziato nel 1964 come impiegato stagionale presso l’agenzia di Misano Brasile, uno sportello estivo aperto solo da maggio a settembre; era un contratto temporaneo ed ho lavorato dal 2 di maggio al 30 settembre, poi ho fatto il servizio militare negli alpini, dato che allora la Romagna era una zona di reclutamento per questo corpo. Sono rientrato alle dipendenze della banca il 2 maggio 1966, mi hanno richiamato per lo sportello stagionale poco tempo dopo che avevo terminato il servizio militare, anche se non avevano l’obbligo di mantenermi il posto, perché quello del 1964 era solo un contratto temporaneo per la stagione estiva. Nel 1966 sono ritornato durante l’estate nell’agenzia di Misano, che era stata aperta dal 1963 e il cui direttore era Pancini; terminata la stagione estiva da Misano sono andato a Cattolica, uno sportello che inizialmente era solo estivo ma che dal 1965 era diventato permanente. Sono rimasto a Cattolica fino al 1969, quando sono passato alla sede centrale di Morciano nell’ufficio di contabilità generale, diventando funzionario e responsabile della contabilità e del bilancio fino al 1995 quando sono diventato vice-direttore generale. D: Mi può raccontare qualcosa riguardo all’apertura di questi sportelli periferici? R.: Vista la peculiarità della zona, era consentito aprire degli sportelli temporaneamente solo per la stagione estiva (ci sono ancor oggi alcune banche che lo fanno). La Banca Popolare Valconca aprì gli sportelli di Misano e di Cattolica. entrambe queste agenzie sono passate poi da stagionali a permanenti, anche se con un cambiamento di sede: da Misano Brasile a Misano centro, in via della Repubblica, e a Cattolica dove adesso è l’agenzia di Cattolica Mare. La seconda filiale di Cattolica è stata aperta quando si è presentata l’opportunità della chiusura della

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filiale locale della Banca Nazionale del Lavoro. Per quanto riguarda i rapporti stabiliti con la clientela negli sportelli stagionali, i relativi conti alla chiusura di queste agenzie venivano trasferiti presso la sede centrale. Si trattava comunque di filiali che lavoravano bene, perché in quegli anni c’erano moltissimi turisti stranieri e girava una quantità enorme di valuta estera. Basti ricordare, per far capire la domanda che c’era, che gli albergatori stessi il sabato e la domenica, quando le banche erano chiuse, cambiavano la valuta straniera ai loro clienti, poi al lunedì la portavano a noi; e poi c’erano tra i nostri clienti i negozianti, i titolari di ristoranti e bar, i bagnini... Allora però l’attività in queste zone di mare era quasi esclusivamente nei mesi estivi, d’inverno era praticamente un deserto. D.: Quindi gli amministratori della Banca Popolare Valconca in quegli anni hanno puntato molto sulle nuove filiali al mare? R.: Sì, anche per rispondere a una certa crisi dell’entroterra; poi lo sviluppo economico nella vallata è arrivato, ma in ritardo rispetto ad altre zone. In realtà comunque questa apertura di filiali al mare negli anni Sessanta è stata limitata solo a Misano e Cattolica; la grande espansione degli sportelli è venuta parecchio tempo dopo; l’apertura della filiale di Riccione infatti è del 1979 e venne come contropartita alla chiusura di un’altra filiale, quella di Saludecio; mentre bisogna arrivare fino al 1984 per la filiale di Rimini in via euterpe. Ma era chiaro che questa espansione sul territorio era necessaria per trovare nuova clientela, nuove risorse e quindi poter favorire gli investimenti.


dagli anni del booM econoMico agli anni ottanta

La scomparsa di alcune figure di riferimento e la crisi del 1968 Il 19 febbraio 1967, poche ore dopo aver presieduto l’annuale assemblea ordinaria dei soci della Banca Popolare Valconca, morì improvvisamente a Bologna a soli 56 anni Aldo Gaspari, presidente dal 1949, che aveva guidato la società alla ripresa e allo sviluppo negli anni Cinquanta e Sessanta: indubbiamente uno dei protagonisti della lunga storia della Banca. Un’altra assemblea sociale convocata nel settembre 1967 elesse il nuovo presidente, il ragionier Carlo Bianchini Massoni di Misano, di professione agricoltore e industriale, rinnovando anche parzialmente la composizione del Consiglio d’amministrazione.79 Il 4 febbraio 1968 a Riccione morì in seguito a grave malattia il ragionier Giorgio Vanni, che per dodici anni era stato direttore; aveva sempre sostenuto la politica dell’espansione della Banca Popolare Valconca sul territorio e aveva personalmente condotto tutte le trattative e le pratiche per l’apertura delle nuove filiali. Con la scomparsa di queste due figure anche l’espansione della Banca Popolare subì una battuta d’arresto; negli anni successivi il Consiglio di amministrazione seguì una politica di cautela mirante a consolidare l’esistente più che ad allargare ulteriormente il proprio ambito di influenza. Ne sono esempi i rifiuti opposti dal Consiglio alla richiesta di apertura di una filiale a Montegridolfo (avanzata da un gruppo di cittadini di quella località, tra cui il sindaco); alla richiesta di incorporazione fatta dalla Cassa Rurale e Artigiana di Montefiore e di fusione fatta dalla Banca Popolare del Montefeltro. Particolarmente sofferta fu la questione di Montefiore, per la vicinanza e i secolari rapporti che questo centro aveva con Morciano; ma prevalse l’opinione che le ingenti spese di ristrutturazione non sarebbero state compensate da un adeguato giro economico dell’eventuale sportello in

Il ragioniere Carlo Bianchini Massoni, Presidente dal 1967 al 1976.

quella località; quanto alla Banca Popolare del Montefeltro, negli anni Ottanta si fuse con la consorella di Ancona80. Il momento più grave della crisi fu probabilmente il “fattaccio” avvenuto presso l’agenzia di taverna di Monte Colombo della Banca Popolare Valconca. Qui nel settembre 1968 un’ispezione interna rilevò una serie di irregolarità commesse dal responsabile dello sportello, che portavano a un ammanco complessivo di parecchi milioni di lire. Il dipendente fu licenziato e contro di lui la Banca intraprese azioni legali per il recupero delle somme mancanti; ma l’episodio ebbe ripercussioni negative sulla clientela, provocò ripetute ispezioni sulla contabilità dell’intera società da parte della Banca d’Italia e probabilmente spinse quest’ultima ad un atteggiamento ancor più cauto nel concedere l’autorizzazione ad aprire nuovi sportelli.81 Banca Popolare Valconca. Consiglio di amministrazione 1967 Presidente

Bianchini Massoni Carlo

Vicepresidente

Mancini Battista

Consiglieri effettivi

Bianconi Giuseppe Barogi Angelo Del Magno Renato

Consiglieri supplenti

Forlani Domenico Fuzzi Stefano

107


valconca: cento anni con la banca popolare

L’incidente contribuì però a migliorare i rapporti con l’Associazione Nazionale fra le Banche Popolari, grazie al contributo da questa ricevuto per venti milioni di lire, a parziale recupero del danno subìto; la somma fu poi restituita all’Associazione senza interessi qualche anno dopo. Il rapporto con la Cantina Sociale Valconca Un fattore positivo di sviluppo per l’economia agricola della zona fu il rapporto di collaborazione che a partire dalla metà degli anni Sessanta si venne a stabilire tra la Banca Popolare Valconca e la Cantina Sociale Valconca, società cooperativa a responsabilità limitata con sede in Morciano. Quest’ultima era stata fondata nel 1959 da una settantina di soci coordinati da Nazario Battistini, responsabile della Associazione Coltivatori Diretti. La collaborazione si basava sul fatto che la Banca Popolare Valconca anticipava agli agricoltori che conferivano le loro uve alla Cantina Sociale il pagamento del prodotto; la Cantina rifondeva poi le somme

La Cantina Sociale Valconca di Morciano in una foto del 1985.

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anticipate dopo la vendita del vino. Si trattava di un giro economico che nel corso degli anni assunse una certa rilevanza. Dal 1964 Angelo Barogi, presidente della Cantina Sociale, entrò nel Consiglio di amministrazione della Banca Popolare Valconca, incarico che mantenne anche con la successiva presidenza di Bianchini Massoni. Furono anni di stretto rapporto tra le due cooperative che si vedevano unite da molti tratti comuni sia nella struttura sia nelle finalità. La Cantina Sociale Valconca entrò in crisi all’inizio degli anni Novanta, fondendosi nel 1994 con la Cantina Sociale Riminese, ma perdendo lo stabilimento a Morciano che fu successivamente demolito.82 La situazione economica alla fine degli anni Sessanta Il boom economico degli anni Sessanta si fece sentire nel territorio della Valconca con un certo ritardo; tuttavia verso la fine del decennio la maggiore circolazione di denaro e di merci fece avvertire i suoi effetti anche nella zona. esaminando i bi-


dagli anni del booM econoMico agli anni ottanta

lanci della Banca Popolare Valconca in quegli anni, si può vedere che nonostante i problemi che si dovettero affrontare, vi fu nel periodo 1960-1970 una crescita importante in tutte le voci. Pur tenendo conto del tasso di inflazione che si mantenne sul 3% annuo, vediamo che l’andamento della raccolta è decuplicato, così come la crescita dei prestiti e degli utili, anche se di un fattore più moderato. Due sono gli elementi essenziali che emergono dall’osservazione dei bilanci del decennio: a) vi è una netta differenza tra una lenta crescita dei primi anni Sessanta e quella ben più rapida dal 1966 in poi; b) la voce che conosce un aumento nettamente superiore alle altre è quella della raccolta (depositi); questo può essere interpretato come il sintomo di migliorate condizioni di vita, di un più diffuso benessere e quindi di una maggiore propensione al risparmio. Gli anni Settanta fra luci ed ombre Gli anni Settanta per un verso vedono realizzarsi anche per la valle del Conca, se pur con un certo ritardo, un processo di sviluppo che altrove si era già avviato da tempo.

tra i fattori di sviluppo della zona non può essere dimenticata l’apertura del casello di Cattolica-San Giovanni in Marignano sull’Autostrada Adriatica, avvenuta il 22 luglio 1968: attraverso l’autostrada e il casello, la valle si dotava di un facile e rapido collegamento, a nord con il resto della Romagna, a sud con le Marche.83 Qua e là nascono e si diffondono aziende a carattere artigianale, con un numero di dipendenti che in genere non supera le 25 unità ma che sono caratterizzate da una grande vitalità, spesso da buone possibilità di smercio dei propri prodotti anche su larga scala. Sono aziende che operano nel settore del legno, come mobilifici, della meccanica, della trasformazione dei prodotti agricoli; numerose sono anche le imprese edili, mentre i settori del vestiario e delle calzature sono ancor poco rappresentati. I dati del censimento 1971 ci dicono che a Morciano il 47% della popolazione attiva è occupata nell’industria-artigianato e solo l’8 % nell’agricoltura, il 44% nel commercio e nei servizi; mentre nel vicino territorio di San Clemente la percentuale degli addetti all’agricoltura (40%) supera quella di ciascuno degli altri due settori.

Banca Popolare Valconca. Depositi 1960-1970 Milioni di lire 7.000 6.000 5.000 4.000 3.000 2.000 1.000 -

1960

1961

1962

1963

1964

1965

1966

1967

1968

1969

1970

anni

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valconca: cento anni con la banca popolare

Matteo de’ Pasti, medaglia per Leon Battista Alberti (bronzo, diametro mm. 92, Hill 161). Washington, National Gallery of Art, Samuel H. Kress Collection.

Darsena di Portoverde. Costruita negli anni Settanta, è un simbolo delle potenzialità di sviluppo ma anche delle contraddizioni dell’industria turistica della zona costiera.

Panorama di San Giovanni in Marignano.

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Sono soprattutto i comuni della pianura e della bassa valle ad essere interessati da questo sviluppo di aziende a carattere di piccola industria e di artigianato. Va segnalato in particolare il caso di San Giovanni in Marignano, nel cui territorio nel 1973 risultavano 5 imprese con oltre 25 dipendenti ciascuna, 16 aziende con un numero di operai tra 11 e 25 e oltre 40 piccole imprese artigiane con meno di 10 dipendenti. La popolazione di questo comune segna una rapida crescita: da 4.856 abitanti nel 1961 a 5.509 nel 1971 a 6.564 nel 1981.84 Da questo processo di sviluppo restano purtroppo ancora esclusi i comuni della collina: Gemmano, Montefiore, Saludecio, Mondaino, Montegridolfo, Montescudo, Monte Colombo nel periodo 1961-1981 accusano una sensibile di-

minuzione della popolazione. Penalizzati da malagevoli vie di collegamento stradale, da scarsi servizi e dalla configurazione del terreno poco adatta ad impianti industriali, sono principalmente legati ad un’agricoltura estensiva, spesso di buona qualità; ma in queste zone rimangono molto scarsi quegli insediamenti industriali ed artigianali di piccole dimensioni che nella pianura hanno supportato in gran parte, insieme alle attività turistiche della costa, lo sviluppo economico della Romagna in quegli anni. La crescita complessiva della zona negli anni Settanta conosce però, oltre a queste differenze, altri punti d’ombra. Uno è la crisi petrolifera iniziata nel 1973 in seguito alla guerra arabo-israeliana e alla chiusura del Canale di Suez: il prezzo del petrolio quadruplicò e continuò a salire, la produzione industriale fece registrare un brusco calo, l’aumentato costo dei trasporti e delle materie prime andò ad incidere in misura notevole sul costo finale dei prodotti. Le conseguenze si fecero sentire per tutti anche in questa parte della Romagna, con l’aumento del costo della vita e in particolare di tutto ciò che era legato alla mobilità e ai trasporti; più gravemente per qualcuno, con i licenziamenti da parte di aziende in crisi e il calo dell’occupazione. Nella valle del Conca ne risentirono maggiormente le piccole aziende industriali e artigianali, ma anche il turismo vide una diminuzione dell’afflusso degli stranieri.


dagli anni del booM econoMico agli anni ottanta

Anche in conseguenza della crisi petrolifera e dei fenomeni sopra descritti, soprattutto tra il 1973 e il 1975 l’inflazione prese un ritmo galoppante che arrivò a toccare il 20% annuo. Questa situazione, dal punto di vista finanziario, portava a una ridotta capacità di risparmio delle famiglie; d’altra parte il lievitare dei tassi d’interesse rendeva assai costoso e problematico l’accesso al credito. Banca Popolare Valconca: le riforme dello statuto e la nuova organizzazione Dopo un lungo processo di riflessione e di discussione interna (già dal 1968 infatti era stata costituita una commissione apposita) negli anni Settanta fu attuata una profonda revisione dello statuto sociale e dell’organizzazione della Banca Popolare Valconca. Le due tappe fondamentali furono l’assemblea sociale del 25 aprile 1970 e quella del 22 aprile 1978; in entrambe le date venne approvato un nuovo statuto, che apportava profonde modifiche rispetto a quello precedente adottato nel 1957, anno in cui si era cambiata la denominazione sociale, ma non si erano fatti sostanziali cambiamenti nell’organizzazione interna. Il nuovo statuto emerso da queste successive modifiche invece: a) pur ribadendo che la società era ispirata a principi di mutualità e cooperazione, aboliva la priorità accordata ai soci e alle imprese cooperative nell’erogazione dei crediti; riaffermava invece il principio, già esistente in precedenza, della priorità

“alle operazioni di minore entità ed a quelle più frazionate” (art. 5); b) ampliava enormemente il ventaglio delle operazioni bancarie che potevano essere eseguite; a titolo di esempio, tra quelle che erano aggiunte vi erano: l’emissione di propri assegni; il credito agevolato per l’agricoltura e l’artigianato, le operazioni di cambio e interscambio con l’estero, la locazione di cassette di sicurezza, l’acquisto di beni immobili anche come forma di investimento; c) regolava in maniera più dettagliata le operazioni di acquisto, cessione e rimborso delle azioni della società; d) per le assemblee straordinarie, dotate del potere di modificare lo Statuto, richiedeva la presenza di almeno un quinto dei soci (prima bastava un ottavo); e) il Consiglio di amministrazione era aumentato nel numero dei componenti: si passava da sette nel 1970 (presidente, vicepresidente più cinque consiglieri) ad un numero variabile tra sette e undici nel 1978; all’assemblea spettava il compito di indicare entro tali limiti il numero degli amministratori; f) il presidente e il vicepresidente non erano più eletti direttamente dall’assemblea, ma scelti al proprio interno dal Consiglio di amministrazione; g) il collegio sindacale era composto da un presidente, due sindaci effettivi e due supplenti; h) stabiliva la ripartizione dell’utile di bilancio nel seguente modo: 20% alla riserva ordinaria (diminuibile al 10% se questa rag-

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valconca: cento anni con la banca popolare

Ripartizioni degli utili di bilancio. Confronto tra 1963 e 1970

Alla riserva ordinaria

Agli azionisti Ad iniziative locali e di beneficenza

1970

Agli amministratori come indennità

1963

Al fondo acquisto azioni proprie

0%

5%

10%

15%

giungeva la metà del capitale sociale); 40% come dividendo ai soci in base alle azioni possedute; 8% come indennità di carica ai membri del consiglio di amministrazione; una quota sino al 10% per l’acquisto o il rimborso di azioni della società; infine la quota residua (22%) poteva, su decisione dell’assemblea, essere destinata o ad opere di assistenza, beneficenza, cultura o interesse sociale, oppure alla riserva straordinaria. Merita un’osservazione l’evoluzione della ripartizione degli utili. Il nuovo statuto segnava una notevole diminuzione della quota degli utili destinata alla riserva ordinaria: tale quota era stata per decenni intorno al 40%, ora scendeva al 20%; restava sostanzialmente stabile la quota assegnata come dividendo ai soci, attestata intorno al 40% degli utili; cresceva la quota assegnata alla beneficenza e alle iniziative locali. La ripresa dell’economia nella seconda metà degli anni Settanta Nella seconda metà degli anni Settanta assistiamo a una ripresa dell’economia. 112

20%

25%

30%

35%

40%

45%

Per quanto riguarda la realtà locale, pur con la presenza ancora di elementi di incertezza e instabilità, i segni della ripresa sono evidenti in vari settori, dall’artigianato alla piccola industria, al commercio. Il superamento della crisi petrolifera ridona fiato alla produzione e ai trasporti e spinge a diversificare le fonti energetiche. Dopo anni di stallo, il processo di integrazione europea riprende a camminare con l’allargamento della Comunità europea a nove paesi (aderiscono Gran Bretagna, Irlanda e Danimarca tra il 1973 e il 1975) e si accelera verso la fine del decennio con l’introduzione dell’eCU (la moneta unica virtuale, antenata dell’euro) e con l’elezione a suffragio universale del Parlamento europeo (1979). Per la Valconca il mercato unico europeo significa la possibilità di incrementare le esportazioni: ormai anche le piccole industrie possono contare su uno smercio dei prodotti all’estero. L’agricoltura, almeno quella che si è maggiormente diversificata e qualificata, dopo un lungo periodo di crisi, trova nei paesi


dagli anni del booM econoMico agli anni ottanta

dell’europa centro-settentrionale un interessante mercato. Sono gli anni in cui nella zona entra in crisi quello che è stato definito “il modello edile-balneare” cioè concentrato attorno all’edilizia alberghiera e alle strutture ricettive della fascia adiacente alle spiagge. La diminuzione della presenza di stranieri, la comparsa sul mercato del turismo balneare di nuovi competitori come la Spagna e la Jugoslavia, la crisi del modello alberghiero tradizionale basato sulla pensione a gestione familiare, determinarono una diminuzione dell’occupazione nei due settori del turismo e dell’edilizia. La forza lavoro resasi disponibile fu in gran parte assorbita dalle piccole industrie, sorte numerose in quegli anni nei comuni dell’entroterra riminese e della prima fascia della collina (Santarcangelo, Coriano, San Giovanni in Marignano, Morciano, San Clemente). Questo frenò il precedente movimento migratorio della popolazione verso la costa e diede l’avvio a un movimento inverso, chiaramente rilevabile anche dal censimento del 1981 che registra un aumento significativo della popolazione in località del primo entroterra, quali Coriano (+19%), San Giovanni in Marignano (+19%), Morciano (+14%), Verucchio (+36%), mentre si ferma o diminuisce sensibilmente l’aumento demografico, così forte nei decenni precedenti, nelle località della costa: Rimini, Riccione e Cattolica.85 Nelle relazioni degli amministratori della Banca Popolare Valconca, tenute all’assemblea annuale dei soci, si notano segnali di ottimismo negli anni 19781979: si è allentata un poco la tensione inflazionistica (ma il tasso d’inflazione nel 1979 è ancora sul 12% su base annua), sono in ripresa le attività produttive e la banca è tornata ad avere un buon giro di erogazione di prestiti alle piccole imprese, agli artigiani ed agli agricoltori. Il commercio con l’estero e il cambio di valuta straniera hanno fatto registrare un aumento, anche perché l’attività turistica si va gradualmente risollevando dopo un

periodo difficile, dovuto alla minore affluenza degli stranieri, e si sta avviando a una nuova fase positiva.86

Nazzareno Urbini, direttore generale dal 1977 al 1986.

Le iniziative di sviluppo della società e della rete delle filiali Negli anni Settanta la Banca Popolare Valconca proseguì nella strategia di mirare al rafforzamento della presenza nella zona costiera, già avviata, ma nei primi anni si puntò soprattutto al consolidamento dei risultati conseguiti nel periodo immediatamente precedente. Nel 1971 si compì la trasformazione degli sportelli stagionali estivi in filiali a carattere permanente: dopo la sede di Cattolica anche quella di Misano Adriatico ottenne di poter restare aperta al pubblico tutto l’anno. Nel 1973 fu acquistata una porzione di immobile in quest’ultima località, in viale della Repubblica 1, allo scopo di dotare la filiale di una sede di proprietà in sostituzione di quella precedente in affitto. Nel 1972 la Banca acquistò lo stabile che era già di proprietà della Banca Nazionale del Lavoro a Cattolica, al prezzo di 70 milioni di lire; dopo lavori di sistemazione diventò la seconda filiale della località, quella situata nella zona centrale di via XXIV Maggio, in aggiunta a quella della zona mare in via Carducci.

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valconca: cento anni con la banca popolare

Nel 1977 la Banca, dopo lunghe trattative, acquistò un fabbricato a Morciano all’angolo tra le vie Bucci e XXV Luglio, per una superficie di 1200 mq., allo scopo di costruirvi la nuova sede degli uffici e della direzione, mentre nel fabbricato storico all’angolo delle vie Bucci e Colombari restarono gli sportelli al pubblico. Nel 1975 furono assunti dieci nuovi dipendenti e fu ristrutturata l’organizzazione interna. Il ragionier Nazzareno Urbini fu nominato direttore generale; accanto a lui erano il vicedirettore Aldo Olivieri e il procuratore della sede centrale Vasco turci; furono poi nominati direttori per le varie località sede di filiali, tranne che per Saludecio e taverna, sottoposte rispettivamente alle direzioni di Mondaino e Morciano. Gli anni Settanta furono il tempo di un passaggio epocale, anche se graduale, a sistemi di tenuta della contabilità me-

diante macchine elettroniche: nel 1971 fu acquistato un “Centro elettronico IBM sistema 3” e fu assunto un impiegato con le funzioni specifiche di “programmatore ed operatore del centro IBM”; un centro elettronico più avanzato, che costò la notevole cifra di 154 milioni di lire, fu acquistato nel 1977, mentre in quello stesso anno gli sportelli venivano dotati delle macchine operatrici “Olivetti Audit 5”. Nel 1978 la Banca Popolare Valconca ottenne finalmente dalla Banca d’Italia l’autorizzazione ad operare nel comune di Riccione, invano richiesta fin dal 1960. Si trattava però della più controversa e difficile apertura di filiale della storia della Banca Popolare Valconca, in quanto l’autorizzazione fu data come contropartita della chiusura della filiale di Saludecio. Questa operazione causò qualche malumore e perplessità, perché sacrificava ciò che rimaneva dell’antica e gloriosa Banca Operaia Cooperativa fondata nel 1919; ma prevalse la considerazione della vicinanza dell’altra filiale di Mondaino, che si riteneva idonea ad assumere anche la clientela dell’altro comune. Nel 1979 la filiale di Riccione fu temporaneamente aperta in un locale d’affitto di dimensioni modeste, ma contemporaneamente si avviarono le trattative per l’acquisto un terreno con sovrastante fabbricato di 600 mq. in via di costruzione; l’operazione di acquisto fu perfezionata nel gennaio 1982.

Banca Popolare Valconca. Consiglio di amministrazione 1977

Inaugurazione della filiale di San Lorenzo di Riccione, nel 1979. Da sinistra: elios Speroni, Stefano Fuzzi, Costante Mancini.

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Presidente

Fuzzi Stefano

Vicepresidente

Paci Arcangelo

Consiglieri

Speroni elios Galanti Matteo Amadei Vittorio Ghigi Primo


dagli anni del booM econoMico agli anni ottanta

La beneficenza negli anni Settanta Le riforme statutarie del 1970 e del 1978 prevedevano che una più ampia parte degli utili fosse destinata ad iniziative di beneficenza, di cultura o di interesse sociale. Osservando le numerose attività che negli anni Settanta furono sostenute con contributo economico dalla Banca Popolare Valconca, notiamo in primo luogo che si era ormai attuata una distinzione tra beneficenza vera e propria e funzione di sponsor (che poteva avvenire anche in cambio di pubblicità all’azienda) in occasione di manifestazioni sportive o culturali. Per quanto riguarda la beneficenza vera e propria, l’ampliamento dell’ambito territoriale aveva portato ad una distribuzione “a pioggia” di sovvenzioni per lo più di importo modesto, tradizionalmente concentrate nel periodo natalizio. Ne erano destinatari in particolare enti ed associazioni con finalità caritative ed assistenziali operanti nei comuni dove la Banca Popolare Valconca aveva proprie sedi e filiali. La maggior parte di questi enti ed associazioni erano di ispirazione cattolica ed erano prevalentemente legati alle parrocchie oppure ad istituti religiosi. Accanto a quella che può essere considerata la forma più tradizionale di beneficenza, la Banca Popolare Valconca negli anni Settanta mantenne e consolidò il rapporto con le scuole, in particolare con finanziamenti a tutti i Patronati scolastici dei comuni della media valle; furono inoltre fornite attrezzature didattiche secondo le esigenze espresse dagli operatori scolastici. Nel campo dell’attività sportiva, la Banca sosteneva con un finanziamento annuale la Polisportiva Morciano Calcio e sponsorizzava alcune manifestazioni della zona, ad esempio gare ciclistiche. Un’occasione che vedeva il contributo ormai tradizionale della Banca Popolare Valconca era la Fiera di San Gregorio a

Morciano; ma l’ampliamento dell’ambito territoriale portò ad allargare il contributo anche ad altre sagre della zona, tra cui ricordiamo la festa del patrono a San Giovanni in Marignano. Un settore di iniziative che negli anni Settanta vide da parte della Banca una presenza ben maggiore che in passato fu quello delle manifestazioni di carattere culturale: mostre di pittura, concerti musicali (in particolare della Banda musicale di Morciano e di quella di Mondaino), il Festival delle Voci nuove di Mondaino. Si incominciò in questo periodo a dare un contributo a pubblicazioni relative alla storia e al patrimonio artistico della valle. Inoltre la Banca dava un sostegno (in cambio di pubblicità) al periodico locale “L’Ape del Conca” e al Bollettino della Diocesi di Rimini. Iniziative straordinarie di beneficenza furono realizzate in occasione di calamità naturali di portata nazionale (per il terremoto dell’Umbria nel 1979 e per quello della Campania nel 1980), in particolare aderendo all’iniziativa, promossa dall’Associazione Nazionale fra le Banche Popolari, che prevedeva sia aiuti immediati, sia prestiti senza interesse a breve termine per le popolazioni delle zone terremotate.

Agosto 1986. Arcangelo Paci, presidente della Banca, e Atos Berardi, sindaco di Morciano, premiano il vincitore di una gara ciclistica.

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valconca: cento anni con la banca popolare

Gli anni Ottanta: 0 trasformazioni e nuovi scenari Gli anni Ottanta furono anni difficili per l’economia e la società italiana. Il sistema della spesa pubblica era gravato dall’enorme debito accumulato. La grande impresa di Stato o a partecipazione pubblica nei settori siderurgico, meccanico, chimico e dei trasporti era in crisi, avendo accumulato perdite gravissime negli anni precedenti a causa di una gestione antieconomica, e aveva bisogno di una profonda ristrutturazione. La spesa statale nei settori della previdenza, della sanità e dell’istruzione era enormemente cresciuta senza guadagnare in efficienza. L’aumento notevole del costo del lavoro portò a un dibattito ed a uno scontro che si radicalizzò nel 1984 quando il governo Craxi con un decreto legge tagliò alcuni punti della “scala mobile”: in realtà il ruolo dei sindacati, protagonisti di alcune delle grandi trasformazioni sociali degli anni precedenti, si andava ridimensionando. era più in generale tutto il settore dell’industria tradizionale ad entrare in crisi insieme col ruolo anche politico della “classe operaia”. Le grandi aziende industriali perdevano competitività sul mercato internazionale. Gli anni Ottanta furono gli anni dell’“economia sommersa”, delle piccole aziende disseminate nella provincia e caratterizzate da alta efficienza e capacità di adattamento ai mutamenti rapidi, da intensi ritmi di lavoro e da mobilità della manodopera. Furono gli anni, soprattutto, in cui si vide chiaramente che l’espansione del settore terziario segnava ormai una svolta decisiva nell’economia italiana, che nei decenni precedenti aveva poggiato il suo sviluppo principalmente sulla produzione industriale e ora vedeva invece le possibilità di impiego, di ripresa e di crescita del benessere soprattutto nei settori del turismo, del commercio e dei servizi. Gli anni Ottanta videro la ripresa del processo di integrazione dell’europa; in campo economico e finanziario ebbe peso 116

l’entrata in funzione dal 1979 dello SMe (sistema monetario europeo) al quale l’Italia aderì, tappa essenziale verso il raggiungimento della moneta unica e importante strumento di equilibrio del cambio. La lotta all’inflazione cominciò a dare i suoi risultati verso la fine del decennio, quando si registrarono tassi annui del 5-6%, che erano pur sempre abbastanza rilevanti, ma comunque corrispondenti a meno della metà di quanto avveniva dieci anni prima. Furono gli anni in cui si diffuse in Italia una partecipazione di massa a forme di risparmio più elaborato: le aste dei BOt (Buoni Ordinari del tesoro) divennero più efficienti e meglio articolate, e anche i piccoli risparmiatori cominciarono ad investire sul mercato azionario soprattutto attraverso lo strumento dei fondi comuni d’investimento, istituiti nel 1983. Le banche dovettero attrezzarsi per questo settore di attività in gran parte nuovo, sicuramente in forte espansione, che veniva almeno in parte a correggere l’anomalia tutta italiana della scarsa partecipazione dei risparmiatori al mercato delle azioni ed obbligazioni di imprese che aveva fino allora caratterizzato il sistema finanziario del paese. Gli anni Ottanta furono gli anni del crollo del muro di Berlino (1989), che spezzò la lunga separazione dell’europa occidentale da quella orientale; l’avvenimento, di importanza epocale, oltre alle conseguenze politiche aprì all’economia scenari nuovi e prospettive di rapporti e scambi impensati fino a pochi anni prima, dato che per decenni i paesi dell’est erano rimasti isolati dal resto del continente.87 Gli anni Ottanta: la ripresa dell’entroterra I processi di ripresa economica della fascia dell’entroterra riminese, avviati nel decennio precedente, giungono a maturazione negli anni Ottanta. I movimenti demografici che avevano portato


dagli anni del booM econoMico agli anni ottanta

ad un rapido e quasi tumultuoso aumento dei residenti delle città costiere si arrestano e gli insediamenti abitativi si collocano preferibilmente nei centri dell’entroterra provinciale. Dopo aver raggiunto una densità abitativa paragonabile a quella delle più affollate aree metropolitane d’Italia, l’urbanizzazione costiera si arresta e crescono gli insediamenti periferici, specialmente nelle due vallate principali del Marecchia e del Conca, lungo la strada provinciale Coriano-Montescudo e nella zona nord tra Viserba Monte e Bellaria. Un fatto caratteristico di questo sviluppo periferico è che gli insediamenti produttivi e commerciali di solito precedono e trascinano lo sviluppo degli insediamenti residenziali nella stessa zona.88 San Giovanni in Marignano, Cattolica e Morciano si saldano in un unico esteso polo artigianale; nella valle del Marecchia cresce a dismisura l’insediamento industriale e residenziale di Villa Verucchio; lungo la superstrada Rimini-San Mari-

no si espande rapidamente il grande polo commerciale di Cerasolo Ausa. Prosegue invece la sua corsa inarrestabile la decadenza dell’attività agricola che diventa nell’economia della provincia sempre più marginale: diminuiscono sia il numero delle aziende agricole (da 9002 nel 1982 a 8752 nel 1990), sia la superficie dei terreni coltivati (da 32.200 ettari nel 1982 a 31.600 ettari nel 1990), sia il numero degli addetti al settore. Molto sensibile è anche il calo del settore dell’allevamento dei bovini, dei caprini e degli ovini nella provincia, solo parzialmente compensato dall’aumento del settore avicolo.89 L’industria manifatturiera nel circondario riminese negli anni Ottanta trae occasioni di sviluppo dal processo di integrazione europea e dalla maggiore stabilità monetaria, orientandosi sempre più verso l’esportazione dei prodotti all’estero; beneficia anche della disponibilità di manodopera dovuta alla crisi di altri settori, tra cui quelli dell’edilizia e dell’attività turistica balneare. È questo il decennio in cui si af-

L’ingegner elios Speroni e il dottor Simeone Piccari Ricci premiano Gaudenzio Crescentini vincitore con il toro Bergamonti del concorso "Bovini di razza Romagnola" del 1995.

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valconca: cento anni con la banca popolare

Banca Popolare Valconca. Consiglio di amministrazione 1981 Presidente

Galanti Matteo

Vicepresidente

Paci Arcangelo

Consiglieri

fermano anche nella zona della Valconca e della parte sud dell’attuale provincia di Rimini industrie nate per lo più negli anni ’60-’70, ma rimaste fino ad allora a livello di piccola azienda famigliare a carattere locale. Ricordiamo a titolo di esempio la Ferretti Spa di Cattolica (imbarcazioni da diporto, nata nel 1968), la AeFFe Spa e la GILMAR Divisione Industria Spa entrambe a San Giovanni in Marignano (articoli di abbigliamento), il Calzaturificio Valleverde di Coriano (nato nel 1970 e poi costituitosi in Spa negli anni Ottanta), la Fuzzi Spa di San Giovanni in Marignano (confezioni e maglieria), la Ceramiche Del Conca Spa di San Clemente (sorta nel

Il presidente Matteo Galanti in una foto del 1981.

118

Fuzzi Stefano Amadei Vittorio Ghigi Primo Mancini Costante Speroni elios

1979), l’Antonelli Srl di San Giovanni in Marignano (bracci snodati idraulici per la posa del calcestruzzo, fondata nel 1979), la MeC3 di San Clemente (attrezzature per gelaterie, pasticcerie ecc., fondata nel 1984) e parecchie altre.90 La Banca Popolare Valconca all’inizio degli anni Ottanta Agli inizi degli anni Ottanta la Banca Popolare Valconca da un lato colse i risultati della politica di espansione attuata negli anni precedenti, dall’altro lato colse le opportunità che erano offerte dalla fase di sviluppo delle attività artigianali e di piccola industria nell’entroterra riminese. Il 21 marzo 1981 l’ingegner Matteo Galanti, dal 1978 presidente della Banca, inaugurò la nuova sede amministrativa di Morciano all’angolo tra le vie Bucci e XXV luglio, finalmente completata dopo anni di lavori: un edificio ampio, moderno e attrezzato anche per rispondere ai futuri sviluppi. L’ingegner Matteo Galanti, nato a Mondaino il 6 novembre1933, si è sempre dedicato all’attività imprenditoriale della famiglia, la General Music S.p.a, azienda produttrice di strumenti musicali e di impianti per l’amplificazione, a Mondaino e San Giovanni in Marignano. Nel periodo della sua presidenza della Banca Popolare Valconca, dal 1978 al 1986, ne ha sostenuto con convinzione lo sforzo di espansione nelle località della


dagli anni del booM econoMico agli anni ottanta

costa e soprattutto ha seguito direttamente le vicende che hanno portato all’apertura della filiale riminese. Nel 1982 fu perfezionato l’acquisto di un terreno con soprastante fabbricato ancora allo stato grezzo a San Lorenzo di Riccione per dotare quella filiale, aperta nel 1979, di una sede idonea in locali di proprietà; il nuovo edificio era ampio, ma richiese notevoli lavori e spese per il completamento. Il 3 aprile 1982 all’assemblea dei soci il presidente Galanti poteva annunciare ufficialmente che la Banca d’Italia aveva finalmente dato risposta positiva alla richiesta, già da molto tempo inutilmente avanzata, di apertura di uno sportello nel territorio del comune di Rimini. La Banca Popolare Valconca era ben consapevole dell’importanza che aveva il fatto di avere una sede nella città costiera che, pur essendo a quel tempo ancora inclusa nella provincia di Forlì (la provincia di Rimini fu istituita nel 1992) era già di fatto il naturale punto di riferimento per l’entroterra, in particolare per le due vallate del Marecchia e del Conca, oltre ad essere considerata il maggiore centro del turismo balneare in Italia. era intenzione della Banca investire su questa opportunità da cui ci si aspettavano importanti prospettive, e così dopo mesi di contatti e di valutazioni la scelta cadde sull’acquisto di un immobile situato in via euterpe a Rimini: una zona della città in rapida espansione nel campo soprattutto degli uffici e delle attività commerciali, e vicinissima all’importante quartiere dell’ente Fiera, costruito nel 1968 e successivamente ampliato, che sempre più stava affermandosi come uno dei maggiori centri per esposizioni e convegni a livello nazionale. La Banca decise di intervenire acquistando nel gennaio 1983 l’intero pacchetto azionario della società immobiliare “Consorzio euterpe s.r.l.” proprietaria dell’immobile per un valore di 427 milioni di lire. Per far fronte all’investimento,

cui si aggiungevano ingenti spese di completamento, sistemazione e arredamento, fu stipulato un accordo con la consorella Banca Popolare di Modena come garanzia e per un eventuale finanziamento in caso di necessità. Completati i lavori, la nuova filiale di Rimini–euterpe fu aperta al pubblico il 12 marzo 1983 (festa di San Gregorio) e ufficialmente inaugurata il 31 marzo con una cerimonia cui intervennero il presidente Galanti, il parroco don Domenico Valgimigli della parrocchia della Riconciliazione e un rappresentante dell’Associazione Nazionale fra le Banche Popolari.91 La presenza della Banca Popolare Valconca nella città di Rimini segnava praticamente la chiusura di una fase, quella di una banca a carattere locale la cui competenza era limita alla media-bassa valle del Conca, per passare all’aspetto di banca di un territorio più vasto ed articolato, che si avviava ad assumere dimensioni provinciali e che vedeva in Rimini il proprio capoluogo dal punto di vista economico, culturale e, di lì a poco, anche amministrativo. Per affrontare queste sfide era necessario aumentare la compagine sociale, ed infatti nel corso del 1982 entrarono ben 124 nuove soci, portando anche ad un notevole aumento del capitale.

Inaugurazione della nuova sede di Morciano, 21 marzo 1981. Da sinistra: Nazzareno Urbini, direttore generale, Arcangelo Paci e Stefano Fuzzi, consiglieri, Giuseppe Parini e Sergio Forlani, sindaci revisori.

119


valconca: cento anni con la banca popolare

Il dottor Giovanni Leone, consigliere dal 1986 al 2001.

La destinazione dei prestiti negli anni Ottanta Su piano dell’attività finanziaria, la Banca Popolare Valconca seppe cogliere la fase di sviluppo dell’artigianato e della piccola industria nella fascia dell’entroterra che caratterizza quegli anni. I dati relativi alla destinazione degli impieghi, prendendo a riferimento il bilancio del 1986, mostrano che l’industria e l’artigianato sono i settori che beneficiano della maggiore quantità dei prestiti, per una percentuale che è pari al 40% circa del totale. Commercio, turismo e servizi seguono a breve distanza con il 38%, con un incremento notevole rispetto ai dati del 1983; viene inoltre precisato che Banca Popolare Valconca. Destinazione dei prestiti nell'esercizio 1986

privati per esigenze personali ; 18,60%

pubbliche ammin., enti finanziari e assicurativi; 1,30%

agricoltura; 0,8% altri impieghi; 1,20%

industria e artigianato; 40,1 %

commercio, turismo e servizi; 38%

120

di questo dato complessivo il 22% spetta al commercio vero e proprio. Se ne ricava per differenza che i finanziamenti all’attività turistica dovrebbe coprire invece una percentuale piuttosto limitata. Un dato ugualmente interessante è anche la quasi scomparsa di due settori che storicamente avevano fatto riferimento alla Banca Popolare Valconca: l’agricoltura (soltanto 0,8% dei prestiti nel 1986) e le pubbliche amministrazioni (poco più dell’1%). Si può dire che questi dati riflettono in gran parte l’evoluzione dell’economia della zona in quegli anni, con lo sviluppo della piccola industria, del commercio (supermercati, centri commerciali) e dei servizi, con la contrazione invece dei settori dell’agricoltura e del turismo.92 La crisi interna del 1986 e la “battaglia per l’autonomia” La tendenza, presente a livello nazionale, delle banche ad accorparsi per affrontare le crescenti esigenze del mercato e gli ingenti investimenti richiesti dalle nuove tecnologie e dalla crescente gamma di tipologie di servizi offerti alla clientela, hanno cominciato ad avere negli anni Settanta e Ottanta i loro effetti anche sulle Banche Popolari. Il loro numero, che era rimasto intorno alle 200-220 aziende in Italia nel periodo compreso fra il 1946 e il 1970, cominciò a scendere per effetto soprattutto di fusioni, fino alle 126 unità del 1988, pur aumentando il numero degli sportelli e, soprattutto, la quota di mercato nel campo delle operazioni finanziarie.93 Fu così che anche la Banca Popolare Valconca si trovò nel novembre 1985 a discutere la proposta di fusione avanzata da un istituto dello stesso gruppo, la Banca Popolare Pesarese. La discussione che nacque in Consiglio di amministrazione provocò una vera e propria spaccatura che rischiò di mettere in grave crisi l’azienda. Il presidente ingegner Galanti sosteneva infatti l’opportunità della fusione motivandola soprattutto con le notevoli spese sostenute e da sostenere per l’automazione e


dagli anni del booM econoMico agli anni ottanta

l’adeguamento ai servizi bancari elettronici (bancomat, reti interbancarie, ecc.). Ma il Consiglio di amministrazione si dichiarò contrario alla proposta di fusione votando un ordine del giorno che sosteneva la necessità di mantenere la propria autonomia, con una duplice motivazione: a) di ordine economico, visti i positivi risultati conseguiti negli anni precedenti e la legittima aspettativa di ritorno degli ingenti investimenti realizzati nelle zone di recente presenza, a Riccione e a Rimini; b) di ordine morale, per conservare l’identità e la fisionomia della Banca, il suo rapporto col territorio e col contesto economico e sociale. In alternativa alla fusione, per reggere la concorrenza il Consiglio proponeva un aggiornamento delle strutture e l’utilizzo di tecnologie avanzate. Anche l’assemblea sociale nei primi mesi del 1986 bocciò la proposta di fusione; sull’esito della votazione furono determinanti i voti dei soci morcianesi e dei dipendenti soci, che votarono compatti per l’autonomia e nominarono come consiglieri il dottor Giovanni Leone ed il dottor Gianfranco Vanzini, fautori dell’autonomia. In seguito alle decisioni dell’assemblea, il presidente Matteo Galanti inviò al Consiglio una lettera con la quale dichiarava di volersi dimettere dalla carica di presidente, pur rimanendo membro del Consiglio stesso ma come semplice amministratore. In sostituzione dell’ingegner Galanti fu nominato presidente il dottor Arcangelo Paci (nato a Montefiore Conca il 3/8/1922, residente a Morciano e di professione medico veterinario), mentre all’incarico di vicepresidente già da lui ricoperto fu nominato il consigliere Primo Ghigi.94 La presidenza di Paci ebbe breve durata concludendosi nel 1989; pure breve (19891990) fu quella del suo successore, il dottor Gianfranco Vanzini. Nato a Cattolica il 17 settembre 1938, Vanzini era stato per un ventennio, dal 1961 al 1981, impiegato presso il Credito Romagnolo raggiungendo la qualifica di dirigente; aveva poi lasciato l’attività

Il dottor Gianfranco Vanzini, presidente negli anni 1989-1990.

bancaria per assumere il ruolo di funzionario e direttore in una nota industria di abbigliamento di San Giovanni in Marignano. I “fusionisti” riprovarono a presentare la medesima proposta nel 1992, ma pure questa volta, avversati anche dal nuovo presidente ingegner elios Speroni (in carica dal maggio 1990) e dal nuovo direttore generale dottor Luigi Sartoni (assunto nel novembre 1990), videro bocciata definitivamente l’ipotesi da parte di una partecipata e determinata assemblea. Nell’assemblea dell’anno successivo non fu rieletto il consigliere Vittorio Amadei (sostituito da Adriano Ferrari) e in quella del 1° maggio 1994 anche l’ingegner Galanti fu sostituito dal dottor Simeone Piccari Ricci.

Primo Ghigi, già dipendente della banca, poi consigliere e vicepresidente fino al 1994.

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viii. evoluzione dell’econoMia e prospettive di sviluppo: la

banca popolare valconca dal 1990 al 2010

L’evoluzione del sistema bancario italiano negli ultimi due decenni Negli ultimi vent’anni il sistema bancario italiano in generale ha subìto una profonda trasformazione: è a tutti evidente che non solo ci sono stati fenomeni di accorpamento e di modificazione di importanti istituti a diffusione nazionale, ma che anche nei piccoli centri si è registrato un proliferare di filiali talvolta tumultuoso e quasi imprevedibile, specie se confrontato con la sostanziale stabilità delle banche e delle loro aree territoriali di insediamento fino agli anni Ottanta.94 Si possono così sintetizzare alcune delle principali linee di tendenza di tale evoluzione: a) privatizzazione: con la legge Amato-Carli del 1990 e con l’approvazione del testo Unico bancario del 1993 si è avviato un processo di liberalizzazione dell’attività bancaria, che sempre più si è sganciata dalla rigida tutela della Banca d’Italia, ed in definitiva dello Stato; b) concentrazione: per fronteggiare la maggiore concorrenza, ma an-

che per rispondere alle sfide delle nuove tecnologie e dell’offerta di nuovi servizi, si sono attuati soprattutto nel decennio 1995-2005 fusioni ed incorporazioni che hanno portato ad una diminuzione del numero complessivo delle banche presenti in Italia (ad esempio, dalle 921 banche del 1998 si è passati alle 784 del 2005). Si sono inoltre creati grandi gruppi, dovuti alla fusione di banche già di rilevanti dimensioni e di diffusione nazionale, quali Intesa Sanpaolo, (gruppo nato dalla fusione di Sanpaolo-IMI e di Banca Intesa, quest’ultima a sua volta originata da Cariplo e Banca Commerciale Italiana) e Unicredit (gruppo nato da Credito Italiano, Unicredito e Capitalia). c) proliferazione degli sportelli: alla riduzione del numero delle banche si contrappone nello stesso periodo il vistoso fenomeno dell’aumento degli sportelli, indotto in primo luogo dalla liberalizzazione sul piano normativo, che ha consentito agli istituti bancari di aprire filiali anche là dove prima non era loro concesso; in secondo luogo dalla ricerca di nuo-

Banche e sportelli in Italia 31 dicembre 1998

31 dicembre 2005

n. banche

921

784

n. sportelli

26.348

31.501

Fonte: Banca d’Italia

La Sfera Grande di Arnaldo Pomodoro a Pesaro in Piazzale della Libertà. Negli anni Novanta la Banca Popolare Valconca ha avviato la sua presenza nel territorio della provincia di Pesaro-Urbino, contiguo all’area precedentemente servita e ad essa economicamente affine.

123


valconca: cento anni con la banca popolare

va clientela allo scopo di incrementare la propria attività e poter meglio distribuire le spese (si consideri il fatto che le tecnologie informatiche hanno permesso di centralizzare gran parte degli uffici e creare sportelli “leggeri” anche con un solo operatore fisicamente presente). d) apertura internazionale: non solo le banche italiane si sono collegate, e talvolta anche fuse, con alcuni grandi gruppi europei, ma anche il quadro della normativa e degli standard di servizi offerti si è andato sempre più adeguando a modelli europei; altro fenomeno in crescita è stata l’apertura di sportelli all’estero. e) allargamento dello spettro delle attività e dei servizi: negli ultimi decenni le banche hanno mostrato una propensione ad adattarsi alle più svariate esigenze dei clienti, sconosciuta nel passato quando le tipologie di servizi erogati era piuttosto standardizzata. Si è diffusa la tendenza a non rivolgersi a una clientela indeterminata, ma a creare prodotti su misura per ciascuna categoria (ad esempio le donne, i giovani, gli anziani, le famiglie, etc.). Le banche inoltre non si sono limitate ad offrire ai risparmiatori prodotti per l’investimento presenti sul mercato (azioni, obbligazioni, etc.) ma ne hanno creati di nuovi adattandoli alle esigenze dei propri clienti. f) nuove forme di contatto con i clienti: mentre un tempo lo sportello o l’ufficio erano quasi l’unica modalità di rapporto con la clientela, le nuove tecnologie hanno permesso di sviluppare una pluralità di canali e di strumenti: si è cominciato con la diffusione degli sportelli automatici (bancomat) per proseguire con la rete dei pagamenti POS (point of sale) mediante carte bancomat, di credito o prepagate, con l’home banking che consente di effettuare mediante la rete Internet tutte o quasi le operazioni connesse con un conto bancario.

124

Il testo Unico del 1993 e l’applicazione delle nuove normative All’inizio degli anni Novanta si è attuata una profonda riforma delle leggi che regolano il sistema bancario in Italia. Sotto l’impulso di direttive che venivano dalla Comunità europea e che si facevano sempre più pressanti, sono stati emanati due testi fondamentali, la legge Amato del 1990 e il nuovo testo Unico del 1993. La legge Amato (legge n. 218 del 1990 del 30 luglio 1990) tendeva a svincolare il sistema bancario italiano dalla rilevante presenza dello Stato e degli enti pubblici ereditata dall’epoca fascista (banche di diritto pubblico, banche di interesse nazionale, ecc.); attraverso questa legge si mirava a trasformare le banche di diritto pubblico in società per azioni, trasferendo poi a fondazioni ad esse collegate quelle attività che non rientrassero nella tipicità dell’attività d’impresa (ad esempio attività culturali, sociali, formative, etc.); tutto questo, nell’ambito di una visione europea e globale e in accordo con le direttive comunitarie, ed anche per dare alle aziende di credito italiane la possibilità di competere alla pari con quelle degli altri paesi. Il testo Unico bancario (legge 385 del 1993), abrogando la precedente legge bancaria del 1936 e semplificando tutto un complesso di norme posteriori, prevede per le banche due forme giuridiche: la società per azioni oppure la società cooperativa a responsabilità limitata con capitale suddiviso in azioni (è il caso delle Banche Popolari e delle Banche di Credito Cooperativo). Sono state abolite non solo tutte le altre tipologie di società, ma anche e soprattutto le diverse categorie preesistenti di banche a breve e a medio-lungo termine. Di conseguenza tutte le banche possono fare qualsiasi tipo di operazione che rientri nella loro attività, ed anche qualsiasi tipo di attività finanziaria anche non strettamente bancaria (ad esempio emettere obbligazioni o prodotti assicurativi).


evoluzione dell’econoMia e prospettive di sviluppo: la banca popolare valconca dal 1990 al 2010

La legge bancaria mantiene tuttavia forme di controllo e vigilanza sull’operato delle banche; impone norme per la trasparenza delle operazioni bancarie e recepisce la normativa anti-riciclaggio già emanata in precedenza; semplifica le operazioni di fusione e incorporazione tra aziende bancarie, agevolando quel processo di formazione di gruppi bancari che si è di fatto realizzato negli anni successivi. Le Banche Popolari in Italia oggi I profondi cambiamenti intervenuti nel sistema bancario italiano dopo il 1990 hanno avuto profonde ripercussioni sulla categoria delle Banche Popolari in Italia. Sul piano normativo le disposizioni del testo Unico e anche la successiva riforma del diritto societario non hanno apportato grandi modifiche all’organizzazione interna delle Banche Popolari, che vengono classificate oggi come appartenenti alla tipologia delle “cooperative a mutualità non prevalente” e quindi non beneficiano di privilegi fiscali. Sono stati confermati tutti i principi base di queste società, ed in particolare: - il voto capitario (ogni socio ha diritto a un voto indipendentemente dal numero di azioni possedute); - il limite al possesso azionario, attualmente fissato allo 0,5% per ogni socio, con deroga per gli organismi collettivi di risparmio; - la clausola di gradimento all’ingresso di un nuovi soci. I cambiamenti avvenuti nell’economia e in particolare nel sistema bancario negli ultimi 20 anni hanno posto tuttavia le Banche Popolari di fronte a grandi sfide, a cui hanno saputo rispondere dimostrando che i valori fondanti (quali la cooperazione, la sussidiarietà, il localismo, l’attenzione privilegiata alle piccole e medie imprese che costituiscono parte integrale della loro storia), sono ancor oggi attuali ed in grado di favorire un modello di sviluppo a misura d’uomo, efficace e tale da

ottenere ampi consensi e la soddisfazione della clientela. Sul piano operativo, da un lato vi è stata una riduzione del numero complessivo delle Banche Popolari, soprattutto per il verificarsi di fenomeni di fusione ed incorporazione e per la creazione di gruppi bancari, ma dall’altro lato vi è stata una consistente crescita della categoria, sia per quanto riguarda il numero degli sportelli, sia per quanto riguarda la quota di mercato rispetto al totale delle banche, che mediamente si aggira intorno al 25% a livello nazionale, con un aumento di circa dieci punti rispetto alla metà degli anni Novanta. Banche Popolari: numero sportelli e quote di mercato Anno

1996

2009

Numero sportelli Banche Popolari

4.632

9.512

Percentuale sul totale degli sportelli bancari

19%

28%

Quota di mercato della raccolta (Rapporto Banche Popolari /totale banche)

16,2%

25,8%

Quota di mercato degli impieghi (Rapporto Banche Popolari /totale banche)

11,2%

23,8%

Fonte: Associazione Nazionale fra le Banche Popolari

Oggi alla categoria delle Banche Popolari in Italia fanno capo 102 istituti, di cui 23 sono “indipendenti”, e 17 “banche capogruppo” cui fanno capo 62 banche controllate. Banche Popolari in Italia. evoluzione dal 1990 al 2009

158

Popolari Capogruppo -

Banche Controllate -

Popolari Indipendenti 158

1990

108

-

-

108

2000

97

17

40

40

2009

102

17

62

23

Anno

tot. Banche

1980

Fonte: Associazione Nazionale fra le Banche Popolari

125


valconca: cento anni con la banca popolare

In primo piano il presidente elios Speroni all'inaugurazione della filiale di San Giovanni in Marignano (settembre 1992). Dietro il Vicepresidente Primo Ghigi ed il Direttore Generale Luigi Sartoni.

L’espansione delle Banche Popolari negli ultimi anni è avvenuta sia attraverso l’ampliamento della rete degli sportelli, reso possibile dalla liberalizzazione, sia attraverso operazioni di acquisizione ed incorporazione di banche, di carattere locale, interne ma spesso anche esterne alla categoria, per formare gruppi bancari nei quali frequentemente ciascun istituto mantiene il rapporto col suo territorio originario ed anche la propria denominazione. Questi fattori da soli però non bastano a spiegare la crescita, se non si tiene conto anche del fatto che le Banche Popolari hanno saputo integrarsi efficacemente, grazie allo stretto rapporto col territorio, con l’evoluzione della struttura economica, ad esempio sostenendo lo sviluppo dei distretti industriali ed artigianali anche presso piccoli centri; favorendo poi il processo di espansione delle aziende italiane sul mercato estero, anche attraverso l’apertura di sportelli in quei paesi dell’europa dell’est dove le aziende italiane sono più presenti; studiando specifici prodotti per le categorie sociali di tradizionale riferimento e per le famiglie; offrendo infine ai soci, molti dei quali sono anche clienti, un’ampia gamma di agevolazioni e benefici.96 La Banca Popolare Valconca dal 1990: l’evoluzione della società L’inizio degli anni Novanta fu ancora caratterizzato dagli strascichi del lungo dibattito tra “fusionisti” (coloro che sostenevano l’opportunità di una fusione con un’altra o con più altre Banche Popolari, allo scopo di creare un “gruppo” con competenze in un vasto territorio) e gli “autonomisti”, coloro che sostenevano che la Banca doveva conservare la propria autonomia. Col 1990, dopo alcuni anni in cui si erano succeduti presidenti e direttori generali rimasti in carica per breve tempo, iniziò un periodo di maggiore stabilità nella gestione. Il nuovo presidente, ingegner elios Speroni (1990-2000) e il nuovo direttore generale,

126

Elios Speroni, nato a Cadelbosco di Sopra (Reggio Emilia) il 9 marzo 1923, residente a Riccione, negli anni precedenti la guerra mondiale aveva frequentato l’Accademia Aeronautica di Caserta ottenendo la qualifica di ufficiale pilota. Dopo la guerra conseguì la laurea in ingegneria ed esercitò la libera professione a Riccione. Tra il 1956 e il 1961 fu consigliere dell’Azienda autonoma di soggiorno di quella città e poi dal 1964 consigliere comunale, incarico che lasciò nel 1990 all’atto di assumere la presidenza della Banca Popolare Valconca con l’intento di mostrarsi al di fuori di ogni parte politica nell’esercitare tale importante funzione. Continuò a coltivare la giovanile passione per il volo e fu per lungo tempo presidente dell’Aereo Club di Rimini e membro del consiglio di amministrazione di Aeradria Spa, società che dal 1962 gestisce i servizi dell’Aeroporto di Rimini. Tenne la presidenza della Banca Popolare Valconca fino alla morte avvenuta improvvisamente l’8 febbraio 2000. dottor Luigi Sartoni (1990-in carica), decisamente favorevoli all’autonomia, avviarono una politica di rilancio aziendale tendente a dimostrare che la Banca Popolare Valconca poteva consolidarsi e crescere senza l’apporto di aiuti esterni.


evoluzione dell’econoMia e prospettive di sviluppo: la banca popolare valconca dal 1990 al 2010

Alla morte dell’ingegner Speroni fu chiamato a succedergli nella carica di presidente l’avvocato Massimo Lazzarini, già consigliere dal 1989 e tutt’ora in carica.

Luigi Sartoni, originario di Misano, laureato in Giurisprudenza all’Università di Bologna, proviene dalla Banca Commerciale Italiana ove ha lavorato per oltre 16 anni, con esperienza di direzione di importanti filiali e uffici centrali fino a ricoprire l’incarico di direttore generale di Comit Leasing Spa – Milano. Assunta la direzione della Banca Popolare Valconca nel novembre 1990, ha saputo accompagnare con successo la Banca fino alla data attuale attraverso i numerosi cambiamenti strutturali e di mercato descritti. Dal 1995 è presidente del CSE di San Lazzaro e dal 1996 è vicepresidente dell’Associazione Nazionale tra le Banche Popolari; molto attivo sul piano sociale ha fondato associazioni (Centro Elisabetta Renzi a Riccione; Cooperativa sociale MPDA a Rimini; Accademia d’Arme Gustavo Voltolini a Rimini) ed ancora partecipa a diverse iniziative di volontariato.

Massimo Lazzarini è nato a Morciano di Romagna il 5 ottobre 1954 da una storica famiglia morcianese. Dopo avere brillantemente effettuato studi classici al Liceo Ginnasio “Giulio Cesare” di Rimini, si è laureato nel 1979 in Giurisprudenza presso l’Università degli Studi di Bologna con il massimo dei voti. Nel periodo in cui ha frequentato l’Università bolognese è stato membro del Consiglio di Amministrazione dell’Opera Universitaria. Si è sposato nel 1979 con Emanuela Ricci ed è padre di due figlie, Sara e Giuditta. Molto attivo nel mondo cattolico e sempre attento alle esigenze della società civile, è stato Consigliere Comunale del Comune di Morciano di Romagna dal 1980 al 1985 e, dal 1990 al 1995, ricoprendo in quest’ultimo periodo la carica di Assessore alla Cultura. è nel Consiglio di Amministrazione della Banca Popolare Valconca dal 1989, ricoprendo dal 1995 la carica di Vice Presidente e dal 2000 quella di Presidente. Svolge la professione di avvocato a Morciano di Romagna e Rimini.

Il dottor Luigi Sartoni, direttore generale della Banca Popolare Valconca. Sotto: l’avvocato Massimo Lazzarini, presidente.

Dopo l’ultimo tentativo di fusione, seccamente bocciato nell’assemblea dei soci del 1992, negli anni successivi i consiglieri “fusionisti” non furono più rieletti e la linea strategica della società rimase chiaramente definita in coerenza con la linea dell’autonomia, mentre il Consiglio di amministrazione si mosse dal 1994 in poi con notevole coesione interna. 127


valconca: cento anni con la banca popolare

A destra il dottor Francesco Coppola, Presidente del Collegio Sindacale, e il ragionier Romano del Bianco, che lo ha sostituito nel 2000. A lato la sede del CSe a San Lazzaro di Savena.

128


evoluzione dell’econoMia e prospettive di sviluppo: la banca popolare valconca dal 1990 al 2010

129


valconca: cento anni con la banca popolare

La politica di rilancio aziendale si attuò attraverso una serie di azioni. La prima fu l’aumento del numero dei soci, passati dai 3370 dal 1990 ai 3675 del 1994, con un conseguente aumento del capitale sociale.

Il CSe

Banca Popolare Valconca. Numero soci 1990-2009 n. soci 4500

4245 3660

4000 3500

3370

3000 2500 2000

1990 1992 1994 1996 1998 2000 2002 2004 2006 2008 anni

In secondo luogo, fu attuato il contenimento delle spese per il personale, grazie a una più razionale distribuzione delle funzioni e al ricorso a soluzioni tecnologiche, evitando però drastiche riduzioni e licenziamenti: nonostante l'apertura di nuove filiali, il personale passò gradualmente dalle 154 unità del 1990 alle 142 unità del 1995, con lievi aumenti negli anni successivi; una crescita abbastanza consistente c’è stata invece nel periodo 2004-2009, fino alle attuali 169 unità, a seguito soprattutto dell’apertura di numerose filiali, passate dalle 9 del 1990 alle 17 del 2000, fino alle 30 del 2010. Per raggiungere l’obiettivo del contenimento della spesa, fu deliberato nel 1991 di avvalersi del CSe s.r.l. di Bologna, azienda consortile sorta nell’ambito delle Banche Popolari dell’emiliaRomagna, nella convinzione che questo significasse migliori servizi a costi più contenuti; di questo Consorzio la Banca Popolare Valconca detiene una significativa quota di partecipazione. 130

Il CSE (Consorzio Servizi Bancari) è nato nel 1970 da cinque istituti bancari associati allo scopo di dotarsi di servizi informatici e contabili di alta qualità, con un contenimento dei costi per le singole aziende. Si è rivelata nel tempo una scelta anticipatoria e lungimirante che ha saputo accompagnare le banche nella rapida evoluzione delle soluzioni tecnologiche sempre più avanzate che i tempi richiedevano. Nel tempo, il CSE ha ampliato la gamma dei servizi offerti che comprendono anche, per esempio, la gestione delle reti POS e ATM, la consulenza tecnologica e organizzativa, la formazione del personale. Oggi sono oltre 70 le realtà bancarie che fanno riferimento ai servizi del CSE, il quale impiega attualmente 470 persone avvalendosi inoltre di circa 300 collaboratori esterni. Una terza mossa strategica degli anni Novanta fu la ripresa della politica di apertura di nuove filiali sul territorio, in una triplice prospettiva: a) consolidamento della presenza nei centri della costa, anche con il raddoppio degli sportelli nei centri più popolosi come Rimini e Riccione e con l’apertura di filiali a Gabicce (1996) e successivamente a Viserba (2001) e Bellaria (2005); b) apertura di nuove filiali nei centri del primo entroterra caratterizzati da notevole sviluppo di attività industriali, artigianali e commerciali, quali Santarcangelo di Romagna (1990), San Giovanni in


evoluzione dell’econoMia e prospettive di sviluppo: la banca popolare valconca dal 1990 al 2010

Marignano (1992), Sant’Andrea in Casale (Comune di San Clemente, 2000), Coriano (2005) e infine Savignano sul Rubicone e Villa Verucchio (2008); c) espansione verso il territorio della provincia di Pesaro Urbino, con le filiali di Montecchio (1991), quella già ricordata di Gabicce e successivamente in altre località, fino ad arrivare alla stessa città di Pesaro nel 2003 ed a complessivi 9 sportelli nella provincia. Nel 1992 la Banca Popolare Valconca salutò con favore la costituzione della nuova Provincia di Rimini. Con una modifica dell’art. 1 dello statuto, approvata nel 1994, assunse la nuova denominazione ufficiale di “Banca Popolare Valconca della Provincia di Rimini”, pur conservando nella forma abbreviata quella vecchia. era un modo per sottolineare il proprio legame col territorio della neonata provincia; contemporaneamente infatti furono posti in atto sforzi per consolidare la propria presenza nel capoluogo, sia con l’apertura di nuove filiali nell’area urbana riminese, sia con l’attivazioni di iniziative di interesse culturale nella città.97 Fra l’altro finanziò il bando concorso per lo stemma della nuova provincia nonché il confezionamento del Gonfalone. Contemporaneamente però la Banca Popolare Valconca non tralasciò la propria espansione nella provincia di Pesaro Urbino, il cui territorio in parte confina con la Valconca, in parte comprende quello della valle stessa. L’espansione avvenne sia nei centri della costa, sia in quelli della prima fascia collinare caratterizzata da insediamenti produttivi affini a quelli della Valconca (filiali di Montecchio, Gallo di Petriano, Fermignano) e fu dettata principalmente da due ordini di ragioni. In primo luogo si erano già creati da anni rapporti con alcune piccole e medie industrie ed aziende del settore turistico nel vicino territorio pesarese. In secondo luogo le vicende della Banca Popolare Pesarese, che dal 1984 ave-

La banda musicale sfila per l’inaugurazione della filiale di Gabicce Mare ( giugno 1996) Al centro: presentazione del volume Piero e i Malatesti, Rimini 18 dicembre 1992. Da sinistra: il professor Federico Zeri con il professor Pier Giorgio Pasini. Sotto: lo stemma della Provincia di Rimini

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valconca: cento anni con la banca popolare

Banca Popolare Valconca. Raccolta diretta e impieghi 2000-2009 milioni di euro 900 800 700 600 500 400 300 200 100 0 2000

2001

2002

2003

2004

2005

Raccolta diretta

2006

Impieghi

2007

2008

2009 anni

va scelto la strada di una serie di fusioni ed aggregazioni da cui nacque la Banca dell’Adriatico (poi confluita nel gruppo Intesa-Sanpaolo), diedero l’opportunità di offrire in questa area le caratteristiche proprie di una Banca Popolare legata alle specifiche esigenze locali. L’espansione territoriale è stata accompagnata da una crescita costante anche nel volume delle operazioni, crescita che nonostante le alterne vicende del quadro economico generale non ha conosciuto praticamente variazioni; negli ultimi anni si segnala in particolare lo sviluppo dei finanziamenti (prestiti, mutui, etc.) che hanno superato nettamente la raccolta diretta, pure in crescita, la quale rappresenta circa i 2/3 della raccolta complessiva. La Banca Popolare Valconca dal 1990: la politica aziendale e il rapporto col territorio Dal 1991 in poi in tutto il territorio della provincia di Rimini e anche nella Valconca vi è stata una proliferazione delle filiali di vari istituti di credito. Per mantenere la posizione di leadership nella zona, la Banca Popolare Valconca: - ha puntato sull’ efficienza dei servizi. È stata sempre in prima linea nell’innovazione tecnologica: è stata ad esempio fra le prime ad offrire l’internet banking; ad installare una rete di punti bancomat 132

che, a partire dal 1993, sono situati non solo presso le filiali, ma anche in prossimità di importanti uffici pubblici e di rilevanti complessi aziendali o commerciali; a sviluppare la rete dei pagamenti POS; ad offrire carte di credito personalizzate e collegate ai principali circuiti internazionali. - ha creato una rete capillare di sportelli Grazie alla scelta di costruire strutture molto leggere dal punto di vista del personale, è stato possibile realizzare una rete di filiali anche in centri di piccole dimensioni, che assicurano un rapporto diretto con la clientela e col territorio, demandando alla struttura centrale e al Centro Servizi tutto ciò che è possibile gestire in modo centralizzato. - ha diversificato ed ampliato la gamma dei prodotti offerti A partire dal 1991, la Banca Popolare Valconca ha attuato una politica aziendale volta ad offrire, sia nel risparmio sia nel credito, prodotti ampiamente diversificati e specifici per le varie categorie. Sono stati creati così i “conti personalizzati”, ad esempio il Conto donna (per casalinghe e lavoratrici), il Conto Mongolfiera (per pensionati), i Libretti Jeans (per giovani fino a 14 anni), il Conto Corrente World (per i lavoratori stranieri), etc. Ogni tipologia di conto ha particolari offerte e servizi che vengono incontro alle esigenze dei destinatari. Così pure nel campo del credito, i finanziamenti sono sempre più diversificati per le diverse categorie. Per i privati, sono state create dal 1992 forme di credito al consumo secondo scopi specifici (es.: Linea auto, Linea casa, Linea estate, Linea personale). Per le aziende, esistono forme specifiche di finanziamento per le varie categorie: Credito agrario, destinato alla conduzione o al miglioramento di aziende agricole, Credito artigiano e Finanziamenti assistiti da consorzi di garanzia per imprese a carattere artigianale, etc. Ci sono inoltre tutta una serie di servizi e di garanzie destinate alle aziende che opera-


evoluzione dell’econoMia e prospettive di sviluppo: la banca popolare valconca dal 1990 al 2010

no in rapporto con l’estero per la vendita o l’acquisto di merci. Notevole è stato anche lo sviluppo del settore del risparmio gestito, con l’offerta, oltre ai Fondi comuni, anche di obbligazioni e certificati di deposito emessi dalla Banca Popolare Valconca stessa, oltre naturalmente all’acquisto e alla custodia di titoli di aziende quotate in Borsa o di titoli di Stato. tra le finalità di investimento e l’offerta di servizi si colloca tutto il settore delle polizze, dalla RC auto fino a quelle che assicurano le stesse operazioni bancarie di prestito e di mutuo, ed infine l’offerta dei fondi pensione per realizzare con contributi diluiti nel tempo una pensione integrativa. Uno dei principali strumenti per mantenere uno stretto rapporto col territorio è stato ed è quello di privilegiare i soci, i quali tutti vivono o operano nella zona, con una serie di agevolazioni e benefici. In primo luogo occorre ricordare che con le modifiche statutarie del 1994 e del 1996, è stato tolto il rigido vincolo stabilito in precedenza alla quota degli utili destinata ai soci; questa viene stabilita di anno in anno, fatte salve le altre destinazioni stabilite dallo sta-

tuto, e ciò si è tradotto in pratica in un maggior beneficio per gli interessati. Il socio può usufruire inoltre di condizioni agevolate in vari servizi bancari, tra cui segnaliamo il finanziamento Linea socio, il cui importo massimo è proporzionale al numero delle azioni detenute. In conformità alla propria tradizione, il denaro raccolto viene reinvestito sull’economia della zona, contribuendo così allo sviluppo dell’area servita e rafforzando i legami col territorio. Infine, negli ultimi anni hanno avuto notevole incremento le iniziative che, oltre alla beneficenza, mirano alla promozione di attività culturali, artistiche, sportive e di pubblico interesse; ad esse, a norma dello Statuto, viene destinato complessivamente fino al 5% degli utili. Si è venuta così a creare nel tempo una trama di rapporti, sia con enti pubblici sia con istituzioni di cultura, che hanno da un lato rafforzato manifestazioni già esistenti, dall’altro ne hanno create di nuove. Di alcune di quelle realizzate negli ultimi anni, senza alcuna pretesa di completezza, si dà un quadro sommario nel prossimo capitolo.

Una affollata assemblea dei soci della Banca Popolare Valconca.

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valconca: cento anni con la banca popolare

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iX. banca popolare valconca è... iniziative, cultura, servizi, cariche sociali

Sportello Arte

materiale artistico e storico si è inteso offrire un ulteriore servizio, di tipo culturale, ai clienti e a tutti i cittadini. Questo l’elenco delle dieci mostre realizzate: “Il mondo illustrato”. Atlanti e libri geografici dal XV al XVIII secolo della Biblioteca Gambalunghiana “Le Medaglie dei Malatesta” dei Musei Comunali “Il Crocifisso d’oro” della città di Rimini “Sotto buona stella”. Libri a stampa e manoscritti di astronomia e astrologia della Biblioteca Gambalunghiana “Il campo del tesoro”. Una necropoli villanoviana di Verucchio nei Musei Comunali “Il gallo ritrovato”. L’antica monetazione di Ariminum nei Musei Comunali “Istantanee di pietra”. Ritratti e altre sculture di Ariminum nei Musei Comunali

trattasi di un ciclo di dieci mostre di materiali artistici e storici provenienti dalla Biblioteca Gambalunghiana di Rimini e dai Musei comunali, realizzate tra il 1986 e il 1987 ed ospitate nella sede espositiva della filiale della Banca Popolare Valconca di via euterpe a Rimini. Si è trattato di un primo e interessante esperimento di collaborazione “alla pari” e non di semplice sponsorizzazione fra ente pubblico e Banca; mettendo a disposizione i propri spazi per l’esposizione di

“Dottore illustrissimo”. Diplomi di laurea dei secoli XVI-XIX della Biblioteca Gambalunghiana “Le scritture di Babele”. Scritture e materiali scrittori di tutto il mondo della Biblioteca Gambalunghiana “Passeggiate riminesi”. Vedute dei dintorni di Rimini nei disegni e nelle incisioni della Biblioteca Gambalunghiana

Presentazone del libro Giustiniano Villa poeta dialettale a cura del professor ennio Grassi, 17 dicembre 1993. Da sinistra: tonino Guerra e Carlo Bo.

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valconca: cento anni con la banca popolare

Cristina Battistin. Opera vincitrice della borsa di studio “Alida Premian” 2006.

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BORSe DI StUDIO VALCONCA Si tratta di borse di studio, istituite nel 1990, riservate a neolaureati in qualsiasi università italiana residenti nei comuni delle province di Rimini e Pesaro-Urbino, nonché nei Comuni di Savignano sul Rubicone, San Mauro Pascoli e Gatteo della provincia di Forlì-Cesena, i quali abbiano conseguito la tesi o diploma di laurea su argomenti riguardanti aspetti del territorio del circondario riminese. Lo scopo è quello di promuovere lo studio e la ricerca su tali argomenti. Borsa di studio “Dr. Aldo Gaspari” per tesi o diploma di laurea riguardante studi e ricerche sugli aspetti storici, artistici e letterari del territorio. Borsa di studio “Prof. ernesto Montanari” per tesi o diploma di laurea riguardante studi e ricerche sugli aspetti naturalistici, ambientali e scientifici del territorio. Borsa di studio “Rag. Giorgio Vanni” per tesi o diploma di laurea riguardante studi e ricerche sugli aspetti economici, giuridici turistici e sociologici del nostro territorio. Sono inoltre istituiti due Premi Speciali per studi e ricerche di già laureati residenti in Italia per studi e ricerche aventi rispettivamente per oggetto. - problematiche del credito e del risparmio nella provincia di Rimini; - arte, cultura, storia e ambiente nella provincia di Rimini; Le tesi di laurea partecipanti alle borse di studio, raccolte e catalogate dalla Ban-

ca, hanno raggiunto le 300 unità, costituendo così un importante archivio di documentazione su vari aspetti della cultura e dell’economia locali. BORSA DI StUDIO ALIDA ePReMIAN È dedicata alla memoria di una giovane pittrice, studentessa della facoltà di Medicina e Chirurgia dell’Università di Roma, prematuramente scomparsa (torino 1965Roma 1992). La borsa di studio, istituita nel 1997, è riservata a giovani pittrici residenti in Italia, di età compresa tra i 18 e i 27 anni. L’opera vincitrice viene scelta da una Commissione giudicatrice di esperti e autorità nominati dalla Banca. Le opere premiate, acquisite dalla Banca, costituiscono un interessante fondo di arte contemporanea, ed in più casi sono esposte come arredo delle varie filiali. CIAO LIRA (2001-2002) In occasione del passaggio definitivo dalla lira all’euro, avvenuto il 1 gennaio 2002, la Banca Popolare Valconca ha organizzato a Rimini, presso il Palazzo del Podestà in Piazza Cavour, un’esposizione di monete e banconote italiane dall’Unità d’Italia all’euro. La mostra, inaugurata il 6 aprile 2001, è rimasta aperta sino al 31 marzo 2002. Contemporaneamente si è svolto un ciclo di conferenze per approfondire


banca popolare valconca è...

iniziative, cultura, servizi, cariche sociali

Chiesa di Ripa Massana Dipinto raffigurante Sant’Antonio Abate Autore: Sante Braschi (pittore originario di Saludecio). Datata 1667 Chiesa parrocchiale di San Biagio e Santuario del Beato Amato - Saludecio

gli aspetti economici del passaggio alla moneta europea. OPeRe D’ARte ReStAURAte (dal 1990 al 2009) Crocifisso dell’ Agina Autore: Maestro della Beata Chiara da Rimini.tempera su tavola. Secolo XIV Chiesa parrocchiale Immacolata Concezione di Misano Adriatico Statua di Santa Lucia Statua in alabastro a tutto tondo Autore ignoto. Sec. XVII Chiesa della Collegiata di Santa Lucia Savignano sul Rubicone Dipinto raffigurante Beato Pietro da Pisa (in estasi) Autore ignoto. Il restauro ha evidenziato una firma: “Cortesius”. Datato 1695. Chiesa di San Girolamo (Convento) di Misano Adriatico Dipinto raffigurante San Girolamo Autore ignoto, secolo XVII Chiesa di San Girolamo (Convento) di Misano Adriatico Dipinto raffigurante il Battesimo di Gesù Autore ignoto: Secolo XVII Chiesa parrocchiale di San Pietro di San Giovanni in Marignano Dipinto raffigurante Madonna con Bambino e Santi Autore ignoto. Secolo XVII

Mostra Ciao lira, Rimini 2001-2002.

Dipinto raffigurante il Beato Amato: “Orante beato Amato apparet Virgo Maria” Autore ignoto. Secolo XIX Chiesa parrocchiale di San Biagio e Santuario del Beato Amato - Saludecio Cornice del dipinto raffigurante la Madonna del Rosario Autore del dipinto: Soleri Brancaleoni. Secolo XVII Chiesa parrocchiale di San Michele Arcangelo – Mondaino Statua del Beato Amato Statua in bronzo e rame Autore: Sante Braschi. Secolo XVII Museo del Beato Amato - Saludecio

OPeRe D’ARte DI PROPRIetà DeLLA BANCA POPOLARe VALCONCA (acquisti dal 2001 al 2009) Alcuni anni fa la Banca Popolare Valconca, attraverso l’incontro con uno dei figli di un pittore romagnolo del primo Novecento, tommaso Molari, ha avuto l’opportunità di acquistare uno splendido quadro dell’artista, intitolato I poveri del Duomo, raffigurante due popolani in atteggiamento di preghiera nel Duomo di Rimini. Fu questo l’inizio di una attività volta al reperimento di opere d’arte di autori locali che avessero attinenza con il territorio. Negli anni successivi la Banca ha acquistato altri quadri e disegni del Molari (per complessive 19 opere). Nel 2007 in occasione dell’apertura della filiale di Fano alla Banca si presenta l’opportunità di acquistare una Natura 137


valconca: cento anni con la banca popolare

Crocifisso dell’Agina, Misano Adriatico (sec. XIV), restaurato col contributo della Banca Popolare Valconca.

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morta del pittore fanese Sebastiano Ceccarini (1703-1783). Altri quadri sono stati acquistati successivamente, tra cui due nature morte del pittore riminese Nicola Levoli (1728-1801), una Santa Cecilia di Giovan Francesco Nagli detto il Centino (1670 circa), e un olio

del pittore tommaso Minardi (1787-1871) raffigurante Omero e il pastore Glauco. Parimenti, è stato dato impulso ad una collezione di opere di artisti contemporanei, tra i quali citiamo Arnaldo Pomodoro, Guerrino Bardeggia, Mario Magnanelli, Aldo Astolfi e Franco Azzinari.

tommaso Molari, I poveri in Duomo, olio su tela, 1932. Sotto: Sebastiano Ceccarini (1703-1783): Natura morta.

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tommaso Minardi, Omero e il pastore Glauco, olio su tela.

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COLLANA eDItORIALe Partendo dall’idea di offrire un proprio libro strenna natalizio, nel 1992 la Banca Popolare Valconca decise di inaugurare una autonoma collana editoriale curata dal professor Pier Giorgio Pasini. Si trattava di mettere a fuoco argomenti riguardanti il territorio, ma di interesse culturale nazionale, attraverso libri scritti da autori locali di provata competenza. Vennero fatte alcune scelte vincenti: il libro doveva essere agile, divulgativo, riccamente illustrato, stampato da editori che potessero garantire una diffusione nazionale; inoltre, non da ultimo, i libri dovevano avere tutti lo stesso formato ed altre caratteristiche di omogeneità. In tal modo si è venuta a creare nel tempo una collana che offre una panoramica di grande spessore culturale sull’archeologia, la storia, l’arte, le tradizioni, l’ambiente naturale e l’economia del territorio. ecco il catalogo in ordine cronologico: P.G. Pasini, Piero e i Malatesti. L’attività di Piero della Francesca per le corti romagnole (1992) e. Grassi, Giustiniano Villa poeta dialettale, 1842-1919 (1993) P.G. Pasini, Il crocifisso dell’Agina e la pittura riminese del Trecento in Valconca (1994) A. Bernucci-P.G. Pasini, Francesco Rosaspina “incisor celebre” (1995) P.G. Pasini, Arte in Valconca dal Medioevo al Rinascimento (1996) P.G. Pasini, Arte in Valconca dal Barocco al Novecento (1997) A. Fontemaggi-O. Piolanti, Archeologia in Valconca. Tracce del popolamento tra l’Età del Ferro e la Romanità (1998.) A lato uno scorcio di Piazza del Popolo (Morciano 1930).

142

P.G. Pasini, Emilio Filippini pittore solitario 1870-1938 (1999)

e. Brigliadori-A. Pasquini, Religiosità in Valconca. Vicende e figure (2000) P.G. Pasini (a cura), Arte ritrovata. Un anno di restauri in territorio riminese (2001) Loris Bagli, Natura e paesaggio nella Valle del Conca (2002) A. Sistri, Cultura tradizionale nella Valle del Conca. Materiale e appunti etnografici tra Romagna e Montefeltro (2003) O. Delucca, L’uomo e l’ambiente in Valconca (2004) P. Meldini, La cultura del cibo tra Romagna e Marche (2005) P.G. Pasini, Passeggiate incoerenti tra Romagna e Marche (2006) C. Fanti, Pietre e terre malatestiane (2007) P.G. Pasini, Atanasio da Coriano frate pittore (2008) P.G. Pasini, Il tesoro di Sigismondo e le medaglie di Matteo de’ Pasti (2009)


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iniziative, cultura, servizi, cariche sociali

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le nostre 30 filiali

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banca popolare valconca è...

iniziative, cultura, servizi, cariche sociali

Banca Popolare Valconca, filiale di Cattolica Centro (1965).

Banca Popolare Valconca, filiale di Santarcangelo di Romagna (1990).

Banca Popolare Valconca, filiale di Lucrezia di Cartoceto (aprile 2010).

145


CariChe SoCiali (2010) Consiglio di Amministrazione Presidente

Lazzarini avv. Massimo

Vicepresidente

Piccari Ricci dott. Simeone

Consiglieri

Arcangeli p.a. Andrea Fesani dott. Pierfrancesco Buongiorno avv. Marisa Ricci dott. Filippo Piccioni ing. Pier Giovanni

Collegio Sindacale Presidente Sindaci effettivi Sindaci supplenti

Del Bianco rag. Romano Palazzi dott. Carlo Brilli rag. Remo Giunta rag. Luciano Baldovini dott. Paola

Collegio dei Probiviri Presidente Membri effettivi Membri supplenti

Attuale Consiglio di Amministrazione Seduti da sinistra: Luigi Sartoni (Direttore Generale); Massimo Lazzarini (Presidente); Marisa Buongiorno; Pierfrancesco Fesani. In piedi da sinistra: Simeone Piccari Ricci (Vice Presidente); Pier Giovanni Piccioni; Filippo Ricci; Andrea Arcangeli.

146

Barletta avv. Francesco Antonio Bianchini dott. Giuseppe Bonini avv. Luciano Colella avv. Antonio Sebastiani dott. Alfredo Guidi dott. Stefano


note


valconca: cento anni con la banca popolare

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note

NOte Abbreviazioni AVR= Archivio Vescovile di Rimini AVRC =Archivio Vescovile di Rimini - Archivio corrente (presso la Cancelleria) ASR= Archivio di Stato di Rimini ABPV= Archivio Banca Popolare Valconca - sede di Morciano di Romagna

cianese esistono due tesi di laurea: C. BALDOVINI, La Banca Cooperativa Morcianese 1910-1940, Università degli Studi di Urbino, Facoltà di Scienze Politiche, a.a. 1993-1994 ed e. ALBINI, La Banca Popolare Valconca dall’età giolittiana al miracolo economico, Università di Bologna, Facoltà di economia, a.a. 2002-2003. AVR, b. 6.V.V.I.15, Bolla di Leone XIII in data 8 marzo 1887 (nomina del parroco don Alessandro Ceccarelli); Exequatur per la stessa nomina, a firma di re Umberto I, 14 luglio 1887. 8

AVCR, Vicariato di Morciano, Relazione per la visita pastorale, firmata don Alessandro Ceccarelli, Morciano 30 agosto 1910.

9

Sugli aspetti geografici e antropici della Valconca si rinvia al volume di O. DeLUCCA, L’uomo e l’ambiente in Valconca, Bologna 2004, della collana editoriale della Banca Popolare Valconca. 1

AVRC, Vicariato di Morciano, Lettera di mons. Vincenzo Scozzoli a don Alessandro Ceccarelli, 26 ottobre 1910. 10

Per l’approfondimento della storia antica della Valconca v.: A. FONteMAGGI, O. PIOLANtI, Archeologia in Valconca. Tracce di popolamento tra l’età della pietra e la romanità, Cinisello Balsamo1998 (collana editoriale della Banca Popolare Valconca).

11

Per la vasta bibliografia sulla storia di pievi, conventi e chiese della Valconca v.: e. BRIGLIADORI - A. PASQUINI, Religiosità in Valconca. Vicende e figure, Milano 2000 (collana editoriale della Banca Popolare Valconca); P.G. PASINI, Arte e storia della Chiesa riminese, Milano 1999.

13

2

3

Le notizie storiche sui castelli della Valconca riportate in questa sezione sono per lo più tratte da AA.VV. Rocche e castelli di Romagna, 3 voll., Imola 1999-2001.

4

Sulla storia di Morciano tra ’800 e ’900 e per le notizie contenute in questo paragrafo v.: P. CORBUCCI, Morciano di Romagna, Morciano 1913; A. GASPARI, Il Comune di Morciano di Romagna. Studio di geografia economica, Bologna 1929; G. DeL MAGNO, Storia di Morciano, Morciano s.d.; Morciano in posa (a cura di S. PARMeGGIANI), vol. I, Morciano 2003; F. MANCINI, Piazza del Popolo e la Fontana del Mercurio, Morciano 2001; e. MONtANARI, Preludio alla celebrazione del primo centenario del Comune di Morciano di Romagna, in “L’Ape del Conca”, 10-12 marzo 1957; Diomede Forlani, l’uomo che “inventò” Morciano, in “L’Ape del Conca”, 12 marzo 1965. 5

O. DeLUCCA, Il credito e le banche, in Storia illustrata di Rimini, vol. 2, Milano 1990, G. MOSCONI, Origini del movimento delle Casse Rurali nel Riminese, in Valmarecchia. Cento anni di credito cooperativo e di sviluppo (a cura di G. Mosconi), Verucchio 2006.

6

ABPV, Atto costitutivo della Banca Cooperativa Morcianese, Morciano di Romagna 13 agosto 1910, ms.. Sulle origini della Banca Cooperativa Mor-

7

Relazione per la visita pastorale, cit.

AVRC, Memoria della fondazione della casa delle suorine francescane in Morciano, Rimini 21 ottobre 1912; Per le Figlie del Popolo in Morciano, in "L’Ausa", 26 ottobre 1912. 12

ABPV, Libro verbali del Consiglio di Amministrazione, vol. 01, (19111916), 8 agosto 1913. 14

ivi, 1 febbraio 1911.

ivi, 16 febbraio 1911; sul Piccolo Credito Romagnolo cfr. G. VeNtURI, Storia del Credito Romagnolo, Bari 1996. 15

16

ivi, 15 febbraio 1912.

Secondo i coefficienti di rivalutazione IStAt 100 lire del 1910 corrisponderebbero a 373 euro del 2008; ma in pratica va considerato che tale importo corrispondeva allora allo stipendio mensile di un operaio o un modesto impiegato. 17

cfr.: SCHULZe-DeLItZSCH, Delle Unioni di Credito ossia delle Banche Popolari, Venezia 1871; Hermann Schulze- Delitzsch, padre delle Popolari europee, in “Banca e cooperazione”, n.6, luglio 2008; A. AIRò, SchulzeDelitzsch, il padre delle “popolari”, in “Avvenire”, 28 agosto 2008. 18

cfr.: L. LUZZAttI, La diffusione del credito e le Banche Popolari, Padova 1863;; ID., Il credito popolare in Italia e le condizioni delle Banche Popolari al 31 dicembre 1879, Milano 1880; ID., Le Banche Popolari: considerazioni e tavole statistiche, Roma 1900; P. PeCORARI, Luigi Luzzatti: economista e politico della nuova Italia, Napoli 2003; F. CAtALANO, Luigi Luzzatti: la figura e l’opera, Milano 1965. 19

cfr. L.CONte, G. PILUSO, G. tONIOLO, Credito e cooperazione. La singolare storia della Banca Popolare dell’Emilia-Romagna, Bologna 2009.

20

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valconca: cento anni con la banca popolare

cfr.: Le Banche Popolari nella storia d’Italia (a cura di P. PeCORARI), Venezia 1999; Ministero di agricoltura, industria e commercio, Statistica delle Banche popolari 1880-1910, Roma 1911; Banche e reti di banche nell’Italia post unitaria (a cura di S. LA FRANCeSCA e G. CONtI), Bologna, 2000; O. De LUCCA, Il credito e le banche, cit.; Associazione fra le Banche Popolari italiane, Bilancio sociale 2008 del credito popolare, Roma 2008.

21

cfr.: P. CAFARO, Banche popolari e casse rurali tra ’800 e ’900: radici e ragioni di un successo, in Le Banche Popolari nella storia d’Italia,cit.; G. De LUCIA LUMeNO, Banche Popolari. Un boom nato dalla fiducia, in “economy”, 28 agosto 2008. 22

Dati statistici dell’Associazione fra le Banche Popolari Italiane aggiornati a giugno 2009. 23

ABPV, Libro verbali del Consiglio di Amministrazione, vol. 01, (19111916), 6 febbraio 1913. 24

ABPV, Libro verbali del Consiglio di Amministrazione, vol. 04 (19231935), 3 aprile 1932. 46

47

ivi, 8 novembre 1929 e 29 marzo 1935.

ABPV, Libro verbali del Consiglio di Amministrazione, vol.05 (19351948), 30 ottobre 1942. 48

49

ibidem.

50

ivi, 16 luglio 1943.

51

ivi, 24 settembre 1943.

cfr. A. MONteMAGGI, Offensiva della linea gotica, Bologna 1980; ID., Rimini –San Marino ’44. La battaglia della linea gialla, San Marino 1983. 52

ABPV, Libro verbali del Consiglio di Amministrazione, vol. 05 (19351948), 23 giugno 1944. 53

54

ivi, 27 ottobre 1944.

ivi, 20 giugno 1913.

55

ivi, 26 gennaio 1945.

26

ivi, 6 febbraio 1913.

56

ivi, 19 ottobre 1945 e 2 novembre 1945.

27

ivi, 5 luglio 1914.

28

ivi, 2 aprile 1915 e 27 agosto 1915.

25

ABPV, Libro verbali assemblee soci, vol. A1 (1916-1929), assemblea 25 febbraio 1916. 29

30 31

ivi, assemblea 12 aprile 1919. ibidem.

ABPV, Libro verbali del Consiglio di Amministrazione, vol. 03 (19191922), 21 maggio 1920 e 1 aprile 1921. 32

ABPV, Libro verbali del Consiglio di Amministrazione, vol. 04 (19231935), 26 gennaio 1923. 33

34 ABPV, Libro verbali del Consiglio di Amministrazione, vol. 03 (19191922), 13 gennaio 1922 e 27 gennaio 1922.

ABPV, Libro verbali assemblee soci, vol. A1 (1916-1929), assemblea 22 settembre 1921. 35

ABPV, Libro verbali assemblee soci, vol. A1 (1916-1929), assemblea 25 settembre 1922. 36

37 ABPV, Libro verbali del Consiglio di Amministrazione, vol. 04 (19231935), 15 gennaio 1926 e 25 febbraio 1933

ABPV, Libro verbali assemblee soci, vol. A1 (1916-1929), assemblea 29 marzo 1924. 38

39

cfr. G. VeNtURI, op.cit. p. 243.

ABPV, Libro verbali del Consiglio di Amministrazione, vol. 04 (19231935), 26 gennaio 1923- 12 giugno 1925. 40

41

ivi, 27 marzo 1928.

42

ivi, 16 gennaio 1931.

43

ivi, 30 gennaio 1932

ABPV, Libro verbali del Consiglio di Amministrazione, vol. 05 (19351948), 10 luglio 1936 e 16 ottobre 1936. 44

cfr.: S. LA FRANCeSCA, Storia del sistema bancario italiano, Bologna 2004; R. PetRI, Storia economica d’Italia. dalla grande guerra al miracolo economico (1918-1963), Bologna 2002. 45

150

cfr.: G. AGNeSe, Boccioni da vicino. Pensieri e passioni del grande futurista, Napoli 2008; G. BALLO, Le origini romagnole di Boccioni e la scultura omaggio di Arnaldo Pomodoro, Milano 1984; F. MANCINI, Riferimenti storici per un progetto d’arte, Morciano 2002. 57

58

cfr. F. MANCINI, Morceani Ecclesiae, Morciano 1994.

cfr. D. QUeReL, Un morcianese: Luciano Bigi, in “L’Ape del Conca”, 1 dicembre 1967; L. BIGI, Una vita in Marina: dal primo al secondo dopoguerra, Milano 2003. 59

cfr.: Nel cinquantenario della Casa di cura “Prof. E. Montanari”, in “L’Ape del Conca”, 11-12 marzo 1964; G. MONtANARI, Casa di Cura Ernesto Montanari: 80° (1913-1993), Morciano 1994; Casa di cura: la storia, in “Morciano forum”, 5 novembre 2005. 60

cfr.: R. RUSSO, 25 domande a Pina Renzi, in “L’Ape del Conca”, 11-12 marzo 1956. 61

62

cfr.: A. GASPARI, Il Comune di Morciano di Romagna, cit.

63

cfr.: F. MANCINI, Morceani ecclesiae, cit.; AVR, b. 6.V.V.I.15, Cappel-

lania ecclesiastica B.V. della Misericordia. cfr.: Arnaldo Pomodoro: opere 1960-2005, a cura di S. Parmiggiani, Milano 2006; A. POMODORO, F. LeONettI, L’arte lunga, Milano 1992; F. MANCINI, Riferimenti storici per un progetto d’arte, cit. 64

ABPV, Libro verbali del Consiglio di Amministrazione, vol. 05 (19351948), 24 gennaio 1947. 65

66

ivi, 15 febbraio 1946, 5 aprile 1946, 26 agosto 1946.

67

ABPV, fasc. 1, Banca Operaia Cooperativa di Saludecio.

La filiale del Credito Romagnolo a Saludecio era stata aperta nel 1930; cfr. G.VeNtURI, op. cit., p. 275. 68

ABPV, fasc. 3, Incorporazione Banca Operaia Coop. di Saludecio e Banca Coop. Mondainese. 69

ABPV, Libro verbali del Consiglio di Amministrazione, vol .06 (19481964), 5 aprile 1949. 70

71

ivi, 31 maggio 1957.


note ABPV, Libro verbali assemblee dei soci, vol. A2 (1930-1961), assemblea 19 ottobre 1957. 72

ABPV, fasc. 3, Incorporazione Banca Operaia Coop. di Saludecio e Banca Coop. Mondainese, Lettera alla Banca d’Italia in data 16 marzo 1964. 73

ABPV, Libro verbali del Consiglio di Amministrazione, vol. 06 (19481964), 2 maggio 1958; 18 luglio 1958; 9 gennaio 1959. 74

75

ivi, 20 gennaio 1961.

O. DeLUCCA, cit. p.87; Regione emilia-Romagna, Censimenti dal 1951 al 2001, s.d.

76

ABPV, Libro verbali del Consiglio di Amministrazione, vol .06 (19481964), 9 gennaio 1959, 25 febbraio e 14 luglio 1961. 77

78

ivi, 17 gennaio 14 febbraio e 26 aprile 1963.

ABPV, Libro verbali assemblee soci, vol. A3 (1961-1984), assemblea 2 settembre 1967. 79

ABPV, Libro verbali del Consiglio di Amministrazione, vol .08 (1969), 30 ottobre 1969. 80

ABPV, Libro verbali del Consiglio di Amministrazione, vol .07 (19641969), 5 settembre 1968. 81

testimonianza sig. Vasco turci; Chiusura cantina Sociale, in “La piazza della provincia”, 4 agosto 2004.

82

C.G. VANNI, L’estremo lembo della terra di Romagna. San Giovanni in Marignano e la valle del Conca, Firenze 1970.

83

Ist. Nazionale Previdenza Sociale di Forlì, Situazione socio economica della provincia di Forlì, Forlì 1974; Regione emilia-Romagna, Le imprese artigiane dell’Emilia-Romagna nel 1975, Bologna 1977; IStAt, Censimenti generali della popolazione, anni indicati.

84

F. SILARI, I bagni ed altro. L’evoluzione dell’industria e dei servizi nel riminese, in Economia e società a Rimini tra ’800 e ’900, Rimini 1992; IStAt, Censimenti generali della popolazione, anni indicati. 85

ABPV, Libro verbali assemblee soci, vol. A3 (1961-1984), assemblee 22 aprile 1978 e 21 aprile 1979. 86

Per un approfondimento su questi fenomeni qui necessariamente solo accennati si vedano: V. ZAMAGNI, Introduzione alla storia economica

87

d’Italia, Bologna 2007; L. LeNtI, L’economia negli anni Ottanta, Milano 1988; Le trasformazioni dell’industria in Emilia-Romagna negli anni Settanta e nei primi anni Ottanta (a cura di R. LUNGAReLLA), Bologna 1989. cfr. C. CAtOLFI, La popolazione. Mutamenti strutturali e dinamiche sociali, in Sviluppo economico e trasformazione sociale a Rimini nel secondo Novecento ( a cura di V. ZAMAGNI), Rimini 2002. 88

IStAt, 3° Censimento generale dell’agricoltura, 24 ottobre 1982; 4° Censimento generale dell’agricoltura, 21 ottobre 1990. 89

cfr. F. FAURI, Dal turismo all’industria, in Sviluppo economico e trasformazioni, cit. 90

ABPV, Libro verbali assemblee soci, vol. A3 (1961-1984), assemblea 3 aprile 1982; Libro verbali del Consiglio di Amministrazione, vol .11 (19821987), 27 gennaio 1983, 16 giugno 1983, 7 luglio 1983. 91

ABPV, Libro verbali assemblee soci, vol. A4 (1985-1995), assemblea 18 aprile 1987. 92

F. BReSOLIN, Le Banche Popolari nell’Italia repubblicana, in Le Banche Popolari nella storia d’Italia, op. cit. 93

ABPV, Libro verbali del Consiglio di Amministrazione, vol.11 (19821987), 14 novembre 1985, 29 maggio 1986, 5 giugno 1986. 94

95 Su questi aspetti, qui solo accennati, si vedano: F. PANettA (a cura di) Il sistema bancario italiano negli anni Novanta. Gli effetti di una trasformazione, Bologna 2004; Associazione Bancaria Italiana, Banche italiane: un decennio di cambiamenti, Roma 2003; F. CeSARINI, Il sistema bancario nell’ultimo decennio: i nuovi assetti, in Storia d’Italia, Annali vol. 23, torino 2008.

Associazione Nazionale fra le Banche Popolari, Bilancio sociale 2008 del Credito Popolare, Roma 2008; N. GALASSI, Le Banche Popolari di credito nella cooperazione, Imola 2009; R. De BRUYN, G. FeRRI, Le Banche Popolari nel localismo dell’economia italiana, Roma 2005; P. BONGINI, Governance, diversification and performance of Italy’s Banche Popolari, Milano 2008; Le Banche Popolari cooperative. Profili italiani ed europei (a cura di A. QUADRIO CURZIO), Milano 2009. 96

ABPV, Libro verbali assemblee soci, vol. A4 (1985-1995), assemblea 16 ottobre 1994 ; Statuto 1994. 97

Nella pagina seguente: Gian Francesco Nagli, detto "il centino" Santa Cecilia Coll. Banca Popolare Valconca.

151



appendice



appendice

organi amministrativi ed esecutivi della banca cooperativa morcianese alla fondazione (13 agosto 1910) Marino Vanni Carlo Forlani Don Alessandro Ceccarelli Alessandro tonti enrico Arduini Domenico Ghigi Antonio Ciuffoli Gaspare Rossi Valentino Valentinotti Don Carlo Ghigi Donato Grassi Sante Garuffi Oreste Baffoni Don Alessandro Ceccarelli

Presidente Vicepresidente Consigliere effettivo Consigliere effettivo Consigliere effettivo Consigliere effettivo Consigliere supplente Consigliere supplente Sindaco revisore effettivo Sindaco revisore effettivo Sindaco revisore effettivo Sindaco revisore supplente Sindaco revisore supplente Direttore

organi amministrativi ed esecutivi della banca cooperativa morcianese nell’esercizio sociale 1911 Consiglio d’Amministrazione Marino Vanni Carlo Forlani D. Alessandro Ceccarelli Alessandro tonti Gaspare Rossi Antonio Ciuffoli

Presidente Vicepresidente Consigliere effettivo Consigliere effettivo Consigliere supplente Conssigliere supplente

Sindaci Revisori Valentino Valentinotti Donato Grassi Oreste Baffoni Sante Garuffi

Revisore effettivo Revisore effettivo Revisore supplente Revisore supplente

Direttore D. Alessandro Ceccarelli

Mondaino, Rocca Malatestiana.

155


valconca: cento anni con la banca popolare

Amministratori dalla fondazione al 2010 Albini Guglielmo 1952-1961

Gennari Pio 1939-1949

Amadei Vittorio 1975-1993

Ghigi Primo 1976-1994

Arcangeli Andrea 2005 - in carica

Gnesi Giovanni 1915-1926

Arcangeli Ulderico 1945-1946

Grassi Archimede 1946-1958

Barogi Angelo 1946-1967

Lazzarini Massimo 1989 - in carica

Bernabe’ Giuseppe 1995-2004

Leone Giovanni 1986-2001

Bianchini Massoni Carlo 1962-1975

Mancini Annovario 1927-1931

Bianconi Giuseppe 1958-1973

Mancini Battista 1915-1967

Bilancioni Alberto 1949-1952

Mancini Costante 1977-1985

Broccoli Arrigo 1946-1975

Mancini Giuseppe 1915-1928

Buongiorno Marisa 2010 - in carica

Masi Gregorio 1940-1946

Ceccarelli Alessandro 1910-1915

Paci Arcangelo 1968-1988

Cenni Giovanni 1940-1960

Paci Gabriele 2000-2010

Ciuffoli Antonio 1910-1915

Piccari Ricci Simone 1994 - in carica

Del Magno Renato 1967-1970

Piccioni Piergiovanni 2004 - in carica

Ferrari Adriano 1993-1994

Ricci Filippo 2010 - in carica

Fesani Pier Francesco 1995 - in carica

Rossi Gaspare 1910-1928

Forlani Carlo 1915-1928

Salvadori Bartolomeo 1995-2005

Forlani Domenico 1958-1976

Speroni elios 1972-2000

Forlani edmondo 2001-2010

tonti Alessandro 1915-1927

Forlani Lorenzo 1920-1934

tonti Giuseppe 1934-1946

Fuzzi Stefano 1967-1985

Vanni Marino 1910-1915

Galanti Matteo 1976-1994

Vanni Antonio 1915-1940

Garuffi Sante 1928-1940

Vanzini Gianfranco 1986-1995

Gaspari Aldo 1949-1966

156


appendice

Presidenti dalla fondazione al 2010 Marino Vanni 1910-1915

Matteo Galanti 1978-1986

Carlo Forlani 1915-1928

Arcangelo Paci 1986-1989

Giuseppe Vanni 1928-1949

Gianfranco Vanzini 1989-1990

Aldo Gaspari 1949-1967

elios Speroni 1990-2000

Carlo Bianchini Massoni 1967-1976

Massimo Lazzarini 2000 - in carica

Stefano Fuzzi 1976-1978

Direttori generali dalla fondazione al 2010 Don Alessandro Ceccarelli 1911-1914

Mario Sacilotto 1968-1970

Pompeo Grassi 1914-1932

Antonio Giovanni Pedroni 1970-1977

Battista Mancini 1932-1939

Nazzareno Urbini 1977-1986

Cesare Rossi 1939-1948

Roberto trecarichi 1987

enzo Sabbattini 1948

Claudio Andrighetti 1988-1990

Umberto Petit 1948-1956

Luigi Sartoni 1990 - in carica

Giorgio Vanni 1956-1968

157


Ringraziamenti L’autore sente il dovere di ringraziare Fiorenzo Mancini per il materiale e la consulenza forniti riguardo a vicende e personaggi della storia di Morciano; Mons. Agostino Pasquini e Federica Giovannini per la ricerca di documenti nell’Archivio e nella Cancelleria vescovile di Rimini; Mario Polverelli per la documentazione fotografica, Vasco Turci, Luigi Sartoni e Massimo Lazzarini per la consulenza storica e fotografica sull’archivio della Banca.

158



finito di stampare nel mese di Novembre 2010 per i tipi della Tecnostampa srl, Loreto


I libri della Valconca P.G. Pasini, Piero e i Malatesti. L’attività di Piero della Francesca per le corti romagnole (1992)

Pier Giorgio

Pier Giorgio Pasini

Pasini

IL TESORO DI SIGISMONDO

E. Grassi, Giustiniano Villa poeta dialettale, 1842-1919 (1993) P.G. Pasini, Il crocifisso dell’Agina e la pittura riminese del Trecento in Valconca (1994)

e le medaglie di Matteo de’ Pasti

A. Bernucci – P.G. Pasini, Francesco Rosaspina “incisor celebre” (1995)

P.G. Pasini, Arte in Valconca dal Barocco al Novecento (1997) A. Fontemaggi - O. Piolanti, Archeologia in Valconca. Tracce del popolamento tra l’Età del Ferro e la Romanità (1998) P.G. Pasini, Emilio Filippini pittore solitario 1870-1938 (1999) E. Brigliadori – A. Pasquini, Religiosità in Valconca. Vicende e figure (2000) P.G. Pasini (a cura), Arte ritrovata. Un anno di restauri in territorio riminese (2001) Loris Bagli, Natura e paesaggio nella Valle del Conca (2002) A. Sistri, Cultura tradizionale nella Valle del Conca. Materiale e appunti etnografici tra Romagna e Montefeltro (2003) Oreste Delucca, L’uomo e l’ambiente in Valconca (2004) P. Meldini, La cultura del cibo tra Romagna e Marche (2005) P.G. Pasini, Passeggiate incoerenti tra Romagna e Marche (2006) C. Fanti, Pietre e terre malatestiane (2007) P.G. Pasini, Atanasio da Coriano frate pittore (2008)

Sono in vendita nelle migliori librerie; alcuni titoli sono esauriti

IL TESORO DI SIGISMONDO

P.G. Pasini, Arte in Valconca dal Medioevo al Rinascimento (1996)

BANCA POPOLARE VALCONCA

BANCA POPOLARE VALCONCA

Sigismondo Pandolfo Malatesta, uno dei più importanti signori italiani del Quattrocento, è stato capitano generale degli eserciti della Chiesa, di Firenze, di Napoli e di Venezia, guadagnandosi una grande fama di condottiero ed enormi ricchezze, che gli permisero di costituire a Rimini una importante corte letteraria e artistica. Ancora viveva, quando correva voce di un suo favoloso “tesoro” nascosto nelle mura di alcune rocche del territorio riminese: un tesoro cercato per secoli, e mai trovato. Effettivamente Sigismondo faceva nascondere qualcosa di strano nelle mura dei suoi edifici: ma non si trattava di tesori nel senso classico del termine, bensì di medaglie con la sua effigie, ritrovate, e in grande quantità, soprattutto nei restauri del dopoguerra. Medaglie in bronzo e in argento, squisite e preziose, tra le prime del Rinascimento, dovute al veronese Matteo de’ Pasti, stabilmente attivo alla corte riminese fino alla morte, che precedette di pochi mesi quella di Sigismondo (1468). Dopo aver fornito notizie sul presunto tesoro di Sigismondo, e sui vani tentativi di ritrovarlo, questo volume passa ad illustrare il vero tesoro: le medaglie di Matteo de’ Pasti, annoverate fra i capolavori della medaglistica rinascimentale; e si sofferma sul loro autore, sui loro ritrovamenti, sulla loro datazione, sul loro stile, sulla funzione loro affidata di diffondere la fama del signore presso i contemporanei e presso i posteri. L’apparato illustrativo offerto dal volume – frutto di una campagna fotografica appositamente condotta - permette di esaminare esemplari sicuramente autentici di medaglie pastiane e di approfondirne la conoscenza; e inoltre invita a riflettere su alcuni problematici risvolti dell’attività artistica del grande medaglista veronese e dell’arte alla corte di Sigismondo Malatesta, grande condottiero e grande quanto tirannico mecenate, vissuto in un momento di crisi e di trapasso tra l’autunno del Medioevo e la primavera del Rinascimento. Pier Giorgio Pasini si occupa di storia dell’arte rinascimentale fin dagli anni settanta, quando diresse la mostra “Sigismondo Pandolfo Malatesta e il suo tempo”, Rimini, Sala dell’Arengo, 1970. Già nel catalogo di tale mostra (edit. Neri Pozza, Vicenza) figurano i suoi primi studi su Matteo de’ Pasti, che poco dopo lo indussero a proporre una completa revisione della cronologia delle medaglie pastiane. Per questa si vedano i contributi portati al primo convegno internazionale di studio su “La medaglia d’arte” di Udine (10-12 ottobre 1970) e al symposium su “Italian Medals” della National Gallery of Art di Washington (29-31 marzo 1984), riproposti nel presente volume. Allo studio dell’attività di Matteo de’ Pasti l’autore si è dedicato anche in numerosi altri lavori riguardanti la civiltà umanistica fiorita alla corte malatestiana, e soprattuto nei seguenti: I Malatesti e l’arte, Silvana ed., Milano 1983; Piero e i Malatesti, L’attività di Piero della Francesca per le corti romagnole, Silvana ed., Milano 1992; Piero e Urbino, Piero e le corti rinascimentali, Marsilio ed., Venezia 1992; Cortesia e Geometria. Arte malatestiana fra Pisanello e Piero della Francesca, Luisè ed., Rimini 1992; Il Tempio Malatestiano. Splendore cortese e classicismo umanistico, Skira, Milano 2000. Infine ha scritto, con altre, la “voce” Matteo de’ Pasti per il Dictionary of Art, Macmillan Publishers Ltd, London, 2004.


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