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Fumetto Don Tonino Speciale
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ANNO 87 • n° 1006 • € 3,00 • Poste Italiane s.p.a. • sped. in a.p. • D.L. 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 n° 46) art.1, comma 1, DCB VERONA
na r o i s s i lo m o c c i p il
Contiene I.P.
apr 2013 - n. 4
nto x ...... tatanto per cominciare cominciare
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el pomeriggio del 20 aprile di vent’anni fa (1993) ci lasciava don Tonino Bello, vescovo di Molfetta, a nord di Bari. Figura di vescovo tra le più straordinarie e popolari della nostra Chiesa. Profeta della nonviolenza e della pace. Una sua visita lampo in redazione a Roma mi aveva lasciato commosso. Incontrare don Tonino non ti lasciava mai indifferente. Allora ero a Nigrizia e ogni mese pubblicavamo un suo articolo. Aveva appena scritto: «Si va radicando in me la convinzione che il cerimoniale liturgico della consacrazione dei vescovi dovrebbe prevedere, oltre all’anello, alla mitra e al pastorale, anche una brocca, un catino e un asciugamano... La Chiesa del grembiule è l’immagine che meglio esprime la regalità della Chiesa, per la quale, come per Cristo, regnare significa servire». Lo incontro ancora qui a Verona, per il 3° raduno dell’associazione Beati i costruttori di pace, in Arena, il 30 aprile 1989. «In piedi, costruttori di pace!», è il suo grido, perché «la pace oggi si declina con la giustizia e la salvaguardia del creato». Nell’estate del 1992 si trova a difendere i pacifisti derisi dai benpensanti. E ci dona
a cura di p. Elio Boscaini
una delle più esatte e vere sentenze sulla guerra, affermando che «i cannoni non tuonano mai amore di patria, ma sillabano sempre in lettere di piombo la suprema ragione dell’oro». Dall’Africa quindi non mi è stato difficile immaginare don Tonino, benché gravemente malato, alla testa di quei 500 che a dicembre dello stesso anno vanno a Sarajevo assediata dalla guerra. Allora scriveva: «A quest’Onu dei poveri,che scivola in silenzio nel cuore della guerra, sembra che il cielo voglia affidare un messaggio: che la pace va osata». La tua tomba ad Alessano (Lecce), dove eri nato, don Tonino, è un giardino di fiori e di luci. Resta con noi e continua a parlarci.
Un vescovo
che si fa
popolo
Apr 2013
Attualità
«Q
uando eri più giovane ti vestivi da solo e andavi dove volevi; ma quando sarai vecchio tenderai le tue mani, e un altro ti vestirà e ti porterà dove tu non vuoi» (Giovanni 21, 18). A queste parole di Gesù rivolte a Pietro ho subito pensato quando, sorpreso come tutti noi, ho saputo della rinuncia, lunedì 11 febbraio, di papa Benedetto XVI al ministero di vescovo di Roma. Un gesto coerente con la sua persona e con la parola che aveva scritto: «Quando un
papa giunge alla chiara consapevolezza di non essere più in grado fisicamente, psicologicamente e mentalmente di svolgere l’incarico affidatogli, allora ha il diritto ed in alcune circostanze anche il dovere di dimettersi». Importante è il ministero di Pietro (“petrino”) come si definisce normalmente il compito del vescovo di Roma, non tanto la persona del papa. Un gesto di grande umiltà e coraggio, fatto in piena libertà, quello compiuto da papa Benedetto XVI, che dice il suo amore per la Chiesa e la sua profonda umanità. Adesso che le sue forze sono divenute insufficienti, rimette tutto in mano alla Chiesa, mai ritenuta come qualcosa di suo, di cui potersi servire, bensì solo e sempre una proprietà del Signore.
Grazie, Benedetto!
La rinuncia di papa Benedetto XVI. Un grande gesto per una Chiesa più vicina allo stile di Gesù
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a cura di padre Elio Boscaini
PIù UOMO, MENO RE Proprio lui, osa fare un gesto così raro e audace: rinunciare alla carica di papa, di fatto ri-umanizzando il suo ruolo. Uomo fra gli uomini, ha messo al primo posto quell’amore che è il vero alfabeto della vita. Come fece Pietro, così tanto “uomo” da aver persino rinnegato di essere seguace di Cristo, dopo avergli giurato che per lui era disposto a morire! Il papa è capo spirituale di più di un miliardo di credenti, ma è anche capo di stato, benché minuscolo come il Vaticano (meno di mezzo km quadrato!). Il suo potere si era sacralizzato perché durava fino alla morte. Per fortuna non sarà più così: si passa da una concezione dell’autori-
RINUNCIA: Roma, 11 febbraio 2013 “Nel mondo di oggi, soggetto a rapidi mutamenti e agitato da questioni di grande rilevanza per la vita della fede, è necessario anche il vigore sia del corpo, sia dell’animo, vigore che, negli ultimi mesi, in me è diminuito… Per questo, con piena libertà dichiaro di rinunciare al ministero di vescovo di Roma, successore di san Pietro, a me affidato per mano dei cardinali il 19 aprile 2005, in modo che, dal 28 febbraio 2013, alle ore 20.00, la sede di Roma, la sede di san Pietro, sarà vacante…” VATICANO: Lo Stato Città del Vaticano è il più piccolo stato indipendente al mondo, sia per territorio che per numero di abitanti. È sorto dal Trattato Lateranense, stipulato tra Santa Sede e Italia l’11 febbraio 1929. La Santa Sede è la sede del vescovo di Roma, il Papa, e la sede del suo governo sulla Chiesa Cattolica
tà come monarchia assoluta a quella di un servizio, seguendo la parabola umana delle proprie forze. Il servizio, dunque, come anima della Chiesa. Anzi, di ogni discepolo. Il discepolo autentico è quello che si mette il grembiule, servendo con amore disinteressato. Papa Benedetto ha voluto essere come il suo Maestro, venuto a servire, non a essere servito. Quel gesto di lavare i piedi lo troviamo nell’ultimo incontro del Maestro con i suoi discepoli. A papa Benedetto non deve essere stato facile scegliere di mettersi da parte. Soprattutto dopo aver constatato che la sua volontà di eliminare la “sporcizia” all’interno della Chiesa, fatta di interessi personali, disonestà e malaffare economico, si era scontrata con enormi e insuperabili macigni.
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Il romano Pontefice, quale successore di Pietro, è il perpetuo e visibile principio e fondamento dell’unità sia dei vescovi sia della moltitudine dei fedeli. Lumen Gentium, 23
IL SERVO DI TUTTI «E tu conferma nella fede i tuoi fratelli”, dice Gesù a Pietro. Anche con questo tuo gesto, papa Benedetto, ci confermi nella fede. Aiutandoci a capire meglio che il cuore stesso della Chiesa è Gesù Cristo e non le nostre fragilità personali. Che si può benissimo lasciare il posto al Signore, il quale ti donerà ancora giorni tranquilli segnati dalla tenerezza donata e ricevuta, come ogni uomo della tua età. Il tuo gesto vale più di tanti discorsi e dà ali alla storia più di mille documenti. Il tuo gesto ci conforta che stiamo camminando. Hai portato aria nuova in un immobilismo che spesso viene giustificato per salvare privilegi, per la paura di immettere dei cambiamenti, per mancanza di fiducia in un futuro difficile da controllare. Grazie perché consegni il ministero di Pietro al tuo successore in punta di piedi, senza quei faraonici funerali papali in cui sopravvivono simboli estranei allo spirito del vangelo e del “servo dei servi di Dio”. Ora riprendi il tuo posto tra i “servi inutili”, ma così necessari di cui ci parla Gesù nel vangelo. Dal tuo gesto non si torna più indietro. Tutto non sarà più come prima, non solo per te, papa di Roma, ma per tutti noi.
SUCCESSORE: Il Papa è il successore di Pietro, il fondamento dell’unità della Chiesa Cattolica. Benedetto XVI è stato il 265mo papa della storia. La Chiesa e il mondo sperano che il suo successore realizzi le riforme del Concilio Vaticano II: maggiore collegialità con i vescovi, più spazio ai laici e alle donne, apertura al mondo e ai poveri, più pulizia e trasparenza dentro la Chiesa
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San Pietro in un dipinto di Pieter Paul Rubens
Speciale
a cura di Pablo Sartori
Coraggio,
fratello Francesco
Un vescovo di Roma da “fine del mondo”
“F
ratelli e sorelle, buona sera”. È bastato questo saluto semplice e spontaneo per farmi capire, a pelle, di che pasta sei fatto. Un papa che alla sua prima apparizione saluta in questo modo la folla che lo acclama non si era mai visto. Stupisce e sorprende – soprattutto i seriosi cerimonieri vaticani – che un papa neo eletto si affacci al balcone solo vestito di bianco, senza quei preziosi paramenti da cerimonia che appesantiscono il corpo e lo spirito di chi li indossa. Apr 2013
Da come ti sei presentato ho capito subito che i titoli di “papa re” o di “pontefice” non ti si addicevano. Hai preferito usare la parola “vescovo” associandola ad un altro termine ultimamente un po’ in disuso da questi parti del mondo: “popolo”. Vescovo e popolo, hai ripetuto per due volte, ricordando una cosa ovvia che troppi hanno dimenticato: prima di essere “papa” sei il vescovo di Roma. E proprio perché sei innanzitutto il pastore della chiesa di Roma, hai chiesto che il tuo popolo pregasse su di te e ti benedicesse. Per la prima volta nella storia millenaria della Chiesa cattolica, il papa ha chinato la testa e ha chiesto che il silenzio e la preghiera del popolo scendessero su di lui. Solo dopo hai ricambiato tanto amore con la tua preghiera di benedizione per il popolo di Roma e di tutto il mondo.
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La gioia dei fedeli argentini per la nomina di papa Francesco
Desaparecidos, vittime della dittatura militare argentina (1976-1983)
Le "nonne" di Plaza de Mayo, coraggiose oppositrici del regime militare argentino Dal tuo modo di parlare e dal tuo accento ho capito che finalmente era arrivato per la chiesa il tempo di avere un pastore che “viene da lontano”. L’hai detto tu stesso: vieni da una terra, l’Argentina, situata quasi alla fine del mondo. Rappresenti la fede in Gesù di un continente in cui vive il 66% dei cristiani cattolici del pianeta. Sei il frutto della fede delle tantissime comunità di poveri che nel Vangelo del Signore hanno riposto le loro uniche speranze per una vita più giusta e meno pesante. Per questo hai pronunciato più volte la parola “cammino”, tipica dei popoli latinoamericani, da sempre in marcia con Gesù, sulle strade del mondo. A te stesso e a noi hai chiesto il coraggio di camminare insieme, sostenendoci a vicenda nella preghiera e nella fraternità, nell’amicizia e nella gioia. E nella semplicità. Semplice come la croce di ferro – quella che indossi da quando sei diventato vescovo – che porti sul petto. E umile come il nome che hai scelto come papa: Francesco. Paesaggi argentini Apr 2013
COME SAN FRANCESCO Vedi, caro papa Francesco, per noi tutti è un segno di speranza il fatto che tu abbia fatto tuo il nome del grande santo Francesco d’ Assisi. Siamo infatti sicuri che la sua vita sarà la bussola che orienterà la tua missione a servizio del mondo e della chiesa. Sull’esempio di san Francesco, anche tu: • “ripara la casa” del Signore che è “tutta in rovina”. Purifica la chiesa al suo interno dagli scandali, le divisioni, l’attaccamento ai soldi e al potere. Come san Francesco, comincia a spogliarla da banche, guardie, “sacri” ministeri, diplomazie, affari poco chiari, silenzi e interessi. • ricorda a tutti che “c’è più gioia nel donare che nel ricevere”. Abolisci i privilegi che ti derivano dall’essere considerato il “sovrano assoluto” di uno Stato come tanti altri. Non farti più chiamare “santità”, “beatissimo padre” ma semplicemente fratello (frate) Francesco. Governa la chiesa con la carità e con l'autorità che nasce dal servizio. Fatti aiutare e consigliare dai tuoi fratelli vescovi e ascolta di più la voce delle donne e dei giovani. • parla al mondo senza paura. Non temere i “lupi” che non la pensano come te: dialoga con loro e mettiti in ascolto. Mantieni una visione moderna del mondo e dei suoi problemi. Non giudicare né condannare nessuno: solo proponi la gioia del Vangelo di Gesù. Credi sempre nella forza dello Spirito “che soffia dove vuole” (Giovanni 3,8) ed opera ovunque, anche nelle comunità di chi non crede in Dio o di chi professa altre religioni. • a nnuncia il vangelo dell’ecologia e del rispetto dell’ambiente. Impegnati a salvaguardare la Terra e a chiamare col nome di “fratelli e sorelle” tutti gli esseri viventi. Canta con loro le bellezze del creato. • non dimenticare mai che il tuo è un servizio e non un onore. Quando arriveranno stanchezza e malattia, goditi il riposo e le soddisfazioni di una serena vecchiaia. • mostrati solidale con tutti i poveri del mondo, con gli ultimi e gli umili che hai conosciuto nelle periferie di Buenos Aires e di tutta l’America Latina. Vivi in mezzo a loro, parla la loro lingua – non il latino delle persone colte – e aiutali a liberarsi da tutte le schiavitù e le paure, perché “di essi è il regno dei cieli” (Luca 6,20). E sarà la nuova primavera della chiesa e del mondo, la stessa che è iniziata 50 anni fa con il Concilio ma che non ha ancora portato i frutti sperati.
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Periferia di Buenos Aires
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Chasqui
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n questi tempi di conclave per l’elezione del papa, io on t o c c posso dire di essere stato a r Il v it a molto fortunato. Si è infatti avvedel l a rata una “profezia” che un prete mi fece nel lontano 1949, quando ero ancora un giovane seminarista. Quel prete mi chiese: “Qual è il tuo nome?”. Io risposi: “Chierico Gallo”. “Non sarai mai papa, Papa Gallo – disse allora – sarebbe disdicevole per la chiesa”. Di sicuro “papa Gallo” non sarebbe piaciuto neanche a me. Io preferisco che la gente mi chiami per quello che veramente sono: un prete di strada. In senso buono, ovviamente, dove “strada” rappresenta il luogo dove vivono i più poveri – non i più cattivi – della nostra società benpensante. Tra questi, i ragazzi della nave scuola della Garaventa, un riformatorio di rieducazione per minori che avevano commesso dei reati. Nel 1959 venni nominato loro cappellano, incarico che accettai volentieri ma che ben presto dovetti lasciare perché i miei metodi educativi, tutti impostati sulla libertà, la responsabilità e la fiducia nelle persone, non furono ben accetti dai miei superiori.
Prete di strada
La mia parrocchia di strada per più di 40 anni sono stati i vicoli, le vie e le piazze di Genova, soprattutto nella zona del porto. Un vero “porto di mare” anche per le persone più povere, che in quei posti “difficili” conducevano una vita di emarginazione e sofferenza. Vite perdute di barboni, prostitute, tossicodipendenti anziani abbandonati, giovani disoccupati, immigrati allo sbando.Vite da buttare e da tenere in nessuna considerazione, secondo l’opinione di tanta gente perbene, inclusi molti cristiani, incapaci di vedere in quei poveri il Cristo sofferente da servire ed aiutare.
Parlane con ...
PA DOVA m titomccj@ gmail.co fr. Alberto : alber m .co ail gm 2@ o2 01 sr. Lorena : ortiza.l A) (V E OR RI VE NEGONO SU PE 8rob @yahoo.it p. Massimo: max6 NA POLI .com pompei@ hotmail tta be sa eli : sr. Betty ail.com gm o@ nic me do p. Domenico: PE SA RO pi @yahoo.fr p. Renzo: p.ren zo
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a z z i no Il mage idee del l A me l’unico titolo che piace è: “prete di strada”. Tanto è vero che quando vado ai dibattit ie si presentano i relatori delle univ ersità di Bologna, Genova, Cambridge.. . a me piace quando dicono: “don And rea Gallo dell’università della strada”. La strada mi arricchisce, continu amente. Lì avvengono gli incontri più sign ificativi, l’incontro della vera sofferenza, l’incontr o di chi però ha ancora tanta spe ranza e allora guarda, attende. Per la strada nas cono le alternative, nasce il vole r conquistare dei diritti. I miei vangeli non sono quattro. .. Noi seguiamo da anni e anni il vangelo secondo Fabrizio De Andrè, un cammino cioè in direzione ostinata e con traria. E possiamo confermarlo: dai diamanti non nasce niente, dal letame sbocciano i fior i. Chi riconosce l’appartenenza alla famiglia umana, come fa a non aprire le porte? Poi io, come cristiano, come facc io a non essere accogliente? E io ti acc olgo come sei, come persona, perché ancora prim a di essere maschio, femmina o straniero, uno è una persona. I cristiani, se non sono accoglienti, non dicano che sono cristiani. Chiunque incontri è tuo fratello, figlio, figlia; non ci sono fratelli e sorelle di serie B, C e D. “Se don Gallo fosse Papa, tornere i in chiesa. Che finalmente sarebbe la Chiesa di Cristo e non degli alti prelati. Con don Gallo la Chiesa farebbe un balzo in avanti di alm eno 200 anni”.
Un prete di strada ma anche molto “scomodo”. Don Andrea Gallo, ri classe 1928, è l’anima della Comunità di san Benedetto al Porto a Gei d i ie nova. Una comunità di fratelli e sorelle che ha sempre mantenuto la g g o ’ L porta aperta e dove l’accoglienza è la regola principale. Anche oggi, in questi tempi difficili e complessi, don Andrea continua a seminare la speranza in una nuova vita a tutti coloro che vivono ai margini della società. Per questo suo atteggiamento di grande libertà e sincerità, spesso viene etichettato come prete “comunista”, disobbediente, troppo amico di gente che si comporta male, commette peccati e non crede in Dio. La verità è che don Gallo è un prete fedele alla Chiesa, innamorato del Signore e a costante servizio dei poveri. A loro ha deciso di donare la sua vita inquieta e a volte bizzarra. Al loro fianco ha scelto di “camminare domandando”, senza la pretesa che spesso hanno molti preti e vescovi di avere “la verità in tasca” per imporla agli altri. E sempre per i poveri il “prete da marciapiede” di Genova e del mondo ha messo in gioco artisti, cantanti, comici e gente di spettacolo, atei e credenti, per annunciare il Vangelo di Gesù ovunque, “così in terra, come in cielo” (è il titolo di uno dei numerosi libri scritti da don Andrea…) per il bene di tutti. Soprattutto per gli “ultimi”, che alla fine sanno far rifiorire la vita. “Dai diamanti non nasce niente, dal letame sbocciano i fiori”.
AMICO VESCOVO Ciao. Mi chiamo Tonino Bello. Ma per tutti sono semplicemente don Tonino. Sono nato ad Alessano, una bella cittadina in provincia di Lecce, nella mia amata regione della Puglia, il 18 marzo 1935. Nella vita ho fatto di tutto: studente, insegnante, calciatore, appassionato di nuoto e di mare, suonatore di fisarmonica, prete, parroco e vescovo. Sì, hai capito bene, la mia vera passione è stata mettermi al servizio della Chiesa e dei cristiani delle diocesi di Molfetta, Giovinazzo, Terlizzi e Ruvo (Bari), come vescovo, dal 1982 al 1993. Proprio in quell’anno, il 20 aprile, Gesù mi ha chiamato a fargli compagnia per sempre, mandando “sorella morte” a prendermi, sotto le sembianze di una brutta malattia che non perdona. Nel fumetto che segue, leggerai un breve riassunto della mia vita di uomo e di vescovo. Ogni pagina ha un titolo che deriva dagli incontri che ho avuto con tantissime persone che mi hanno amato e alle quali anch’io ho voluto tanto bene. Assieme a loro ho camminato per i sentieri del dialogo, l’ascolto, la solidarietà con i poveri, la pace, il rispetto verso tutti e la gioia. Ti lascio questo piccolo messaggio d’amore a fumetti, in segno di amicizia. Questa è la mia piccola storia, che parla di ciò che ho detto e fatto. È il seme che riposa nella terra di casa mia, trasformata in un giardino di fiori e alberi di ulivo. Ti voglio bene. tuo don Tonino Apr 2013
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Spazzascienza
a cura di Beniamino Danese
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raz, estate del 1600. Johannes Kepler, ventinovenne insegnante di matematica e astronomia, costruisce nella Piazza del Mercato un grande strumento di legno e tendaggi neri, per osservare e misurare una imminente eclissi di sole. Le esperienze fatte, studiando e contemplando le immagini in questo “scatolone”, gli stimolano domande su tante questioni: la prospettiva, la matematica, il funzionamento dell’occhio, la rifrazione della luce, la storia delle eclissi... Da alcune brevi note che prende in questo periodo, Johannes scrive in quattro anni uno dei più importanti lavori di ottica di sempre, La parte ottica dell’astronomia. In questo spazzascienza, recuperiamo uno scatolone e con esso costruiamo una versione semplice dello strumento di Keplero.
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Ci servono: Un grande scatolone (per esempio: a forma di cubo con spigoli di 50 cm, o simile), due fogli di carta bianchi, un paio di forbici, alcuni piccoli ritagli di alluminio da cucina, nastro adesivo, uno stuzzicadenti.
All'opera!
Attacchiamo i due fogli di carta su una parete interna dello scatolone, col nastro adesivo. Questo sarà lo schermo su cui si formerà l’immagine. Chiudiamo lo scatolone. Ritagliamo un’apertura nello scatolone, grande abbastanza da entrare con la testa nello scatolone, per guardare lo schermo. Copriamo ogni buco (soprattutto quelli ai vertici dello scatolone) con alluminio e nastro adesivo, in modo che quando entriamo nello scatolone sia buio pesto. A questo scopo possiamo tappare con una sciarpa gli spiragli che si formano nell’apertura attraverso cui entriamo con la testa. Apriamo una finestrella di qualche centimetro sulla parete opposta ai due fogli, in modo che la luce che entra da lì vada a sbattere sullo schermo di fronte. Copriamo questa finestrella con l’alluminio e il nastro adesivo, e vi apriamo un piccolo forellino (la “pupilla”) con lo stuzzicadenti. Sullo schermo, quando entriamo per vedere, si forma la “pittura” di ciò che c’è all’esterno, ben visibile soprattutto se siamo all’aperto, e la “pupilla” è rivolta verso il cielo e gli alberi e il profilo delle case, o fuori dalla finestra.
È basandosi su un’esperienza di questo tipo che Keplero risolve il problema della formazione dell’immagine nell’occhio, cominciando così a spiegare il suo funzionamento. “...e così la visione avviene attraverso una pittura della cosa visibile sulla superficie bianca e concava della retina. E ciò che è a destra all’esterno è ritratto sul lato sinistro della retina; ciò che è a sinistra è ritratto sulla destra; ciò che è sopra è ritratto sotto; e ciò che è sotto è ritratto sopra...” Come l’immagine sullo schermo nello scatolone si forma ricevendo i raggi di luce che entrano attraverso la pupilla, così si formano le immagini nel nostro occhio. “Allora, vedere è ricevere, e ricevere avviene attraverso un contatto. E mi sembra che il contatto sia tra le superfici interne dell’occhio e l’immagine, formata dai raggi che fluiscono dagli oggetti.” Apr 2013