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Zoom I ragazzi di padre X
Speciale
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Contiene I.P.
giu 2013 - n. 6
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C'era una cartolina per te
Kataboom
Contro le A.D.M. (Armi di Distrazione di Massa)
V
uoi mettere. “Mandami una cartolina” si diceva una volta agli amici e amiche che andavano in vacanza; ai figli che partivano per i campi scuola o campeggi; ai parenti che lasciavano casa e paese per andare a lavorare o studiare lontano. Vuoi mettere. La gioia nel ricevere la cartolina che ci impiegava 15 giorni ad arrivare dalla spiaggia distante appena 100 chilometri. Le frasi, belle e commoventi, scritte sulla parte sinistra del biglietto. Il tempo “perso” trascorso a cercare le espressioni più simpatiche e spiritose con cui farsi belli davanti agli amici, le fidanzate, i parenti, soprattutto nonni e zii che ricambiavano il ricordo con una bella mancetta. Vuoi mettere. Il ritrovamento di cartoline del passato, dimenticate per anni in armadi, cassetti, librerie e scatole di ogni forma e tipo. Il piacere di sfogliarle per ricordare, rivivere, collezionare indimenticabili momenti del cuore e della mente. Con le cartoline ammuffite e scolorite puoi fermare piacevolmente il tempo e immergerti nel “mare dei ricordi”. Qui vengono a galla luoghi, persone, emozioni che i più comodi messaggi dei social network cercano di eliminare in un istante. Le raffiche di foto digitali e gli sms che ci tengono perennemente connessi e rintracciabili svaniscono negli archivi di cellulari, mail, smartphone e pc, destinati ad occupare giga di memoria per niente. In questa estate che inizia – anche se oggi solo 1 viaggiatore su 20 usa la classica “postal card –, scrivi qualche cartolina in più e messaggi di Facebook in meno. Sarà più facile, tra qualche anno, ricreare l’atmosfera di quella vacanza indimenticabile, che ha bisogno di calma, lentezza, serenità e incontri per essere vissuta fino in fondo. Le cartoline servono a questo; per la frenesia di “tutta la vacanza minuto per minuto” bastano gli sms. Tanti saluti e baci a te e famiglia. Giu 2013
Attualità
a cura di Pablo Sartori
Quella tua magli ...c
he quando la indossi ti fa sentire “più fico e trendy” (alla moda). Prova a fare la prova. Apri l’armadio e guarda se nelle etichette delle tue magliette da 6,95 euro l’una c’è scritto: made in Bangladesh. Se la risposta è positiva, sappi che questo poverissimo paese asiatico è diventato il secondo esportatore al mondo di prodotti tessili, dopo la Cina. E che nell’industria tessile bengalese sono impiegati poco meno di 4 milioni di operai, soprattutto donne, con paghe da fame e in condizioni di lavoro di vera e propria schiavitù.
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GLI “ATELIER” DELLA MISERIA «I prodotti del mio paese vengono venduti a prezzi stracciati e la nostra manodopera è la più economica del mondo. Il governo e le leggi permettono che i lavoratori non vengano protetti. I compratori internazionali non si curano di quanto vengono pagati o delle condizioni di produzione». Così si esprime Taslima Akhter, 39nne fotografa bengalese e attivista dei diritti umani, a commento della foto da lei stessa scattata tra le macerie della fabbrica di vestiti del Rana Plaza. Nella foto si vedono i cadaveri di due operai
Lo sconvolgente crollo del Rana Plaza, a Savar Upazila, in Bangladesh
etta fina… sepolti dalle macerie, ritratti in un commovente ultimo abbraccio di dolore e morte. Il ragionamento di Taslima non fa una grinza. E i fatti le danno ragione. Perché le grandi marche europee e internazionali affidano la loro produzione di abbigliamento alle ragazze e alle donne del Bangladesh? Perché il salario che queste operaie ricevono è di 38 euro al mese. Calcolato che esse lavorano 12 ore al giorno, con soli quattro giorni di riposo al mese, il loro guadagno finale è di 1,40 € al giorno. Ossia 11 centesimi di euro all’ora!
RANA PLAZA: Il 24 aprile scorso, a Savar, periferia industriale della capitale Dacca, è crollato il palazzo Rana Plaza, un edificio di 8 piani che ospitava tre fabbriche tessili, in cui lavoravano 3mila operai, e un centro commerciale. Il numero dei morti finora accertati è salito a 1127. Le persone sopravvissute sono 2437; di queste più di mille sono rimaste ferite e molte in maniera grave GRANDI MARCHE EUROPEE: L’Unione europea acquista il 60% delle esportazioni del Bangladesh, facilitate da una clausola di “accesso” nel mercato dei 27 Paesi europei. Il giro d’affari è in aumento: 8 miliardi di euro nel 2011; 8,6 miliardi nel 2012. I principali acquirenti nel mercato europeo sono Germania, Regno Unito, Spagna e Francia.
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Per cifre simili Farida, 26 anni, rischia la vita ogni giorno. Taglia e cuce magliette in una trappola di cemento situata al quarto piano di un edificio pieno di crepe, dove non arriva l’acqua nei bagni, dove non c’è nessun tipo di ventilazione né estintori contro gli incendi né scala di emergenza. Lavora senza sosta, in stanze rumorose piene di polvere, casse e tela. «Meglio con le magliette che con i jeans. Stanno peggio le mie colleghe che “sparano” spruzzi di sabbia (sandblasting) contro i jeans per renderli più vecchi e consumati. Sai dove va a finire, alla fine, tutta quella sabbia? Nei nostri polmoni!». In Bangladesh, secondo Amirul Haque Amin, presidente del Sindacato Nazionale dei Lavoratori Tessili (NGWF), «quelle operaie sono le vittime “collaterali” dell’avidità di denaro delle multinazionali e dei governi. La loro vita è il vero prezzo dell’etichetta made in Bangladesh».
DIETRO L’ETICHETTA
Una nazione “tessile-dipendente” come il Bangladesh fa molto comodo alla corporation americana PVH, la più grande impresa di produzione di camicie (marchi Tommy Hilfiger, Calvin Klein); alla tedesca Tchibo; all’inglese Primark; alle italiane Yes-Zee e Benetton; alla spagnola Mango e alle varie fabbriche bengalesi produttrici per Carrefour, Walmart, Disney e C&A. Investire e “dare da lavorare” in Bangladesh alla fine conviene: sempre meglio del Marocco, dove i lavoratori si sono fatti “furbi” e adesso pretendono salari minimi a partire da 170 euro al mese. Esagerati! Ecco allora, secondo una denuncia della Campagna Abiti Puliti, cosa c’è “dietro” una maglietta o un jeans low cost: le vite distrutte degli schiavi “globali” bengalesi e la loro morte considerata un inevitabile “incidente sul lavoro”. Ma anche la vergogna del consumismo del ricco Nord del mondo che pur di possedere oggetti a basso costo è disposto a sacrificare la vita dei più deboli. Ma tanto, il Bangladesh è così lontano…
CAMPAGNA ABITI PULITI: La Campagna Abiti Puliti (sezione italiana della CCC, Clean Clothes Campaign) è nata per migliorare le condizioni di vita e di sicurezza delle donne e degli uomini che lavorano nel settore tessile e dell’abbigliamento. La CCC, presente in 14 Paesi europei, punta alla sensibilizzazione dei consumatori e a far pressione su imprese e governi, per salvaguardare i diritti di chi lavora “per vestire mezzo mondo”.
Un altro motivo per il quale le più importanti multinazionali dell’abbigliamento scelgono di produrre in Bangladesh è dovuto al fatto che il 40 per cento della manodopera industriale del paese lavora nel settore tessile. Le fabbriche di vestiti bengalesi – 4500 circa – rappresentano l’80% delle esportazioni nazionali e portano, ogni anno, nelle povere casse dello stato ben 15 miliardi di euro.
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Una foto della campagna “Abiti Puliti” e la sua ideatrice Taslima Akhter
Speciale
a cura di Elio Boscaini
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n editto che ha cambiato il volto della cristianità. È l’Editto di Milano (meglio conosciuto come Editto di Costantino) con il quale, nel febbraio 313, quindi 1700 anni fa, gli imperatori dell’impero romano d’Occidente e d’Oriente, Costantino e Licinio, riconoscevano il diritto di ogni cittadino di professare in modo libero e pubblico la propria religione. L’arcivescovo di Milano Angelo Scola, nel settembre 2012, ha rivolto ai fedeli milanesi la lettera Alla scoperta del Dio vicino per spiegare che l’anniversario deve costituire «l’occasione non solo per riprendere il tema della libertà religiosa, ma anche una riflessione sulla rilevanza pubblica della religione». Non poteva, quell’editto, non essere anche un editto “politico”, nel senso che faceva gli interessi di chi governava, in primis Costantino, che intuiva nella crescita del cristianesimo lo strumento di cui necessitava per fondare l’unità dell’impero. La società romana, infatti, era in preda a continue lotte intestine per il potere, nelle quali l’appartenenza religiosa era un ulteriore motivo di divisione. Costantino e il suo collega Licinio, quest’ultimo convinto “pagano”,
Costant A 1700 anni dall’emanazione del famoso Editto di Milano
L'impero romano d'oriente e occidente ai tempi di Costantino
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Persecuzione dei cristiani ad opera degli imperatori Diocleziano e Massimiano nell'anno 301
tino 313 dopo aver sconfitto Massenzio nella battaglia di ponte Milvio, fecero quindi una scelta di grande significato politico, dichiarando che tutti i cittadini dell’impero, inclusi i cristiani fino allora perseguitati dai tempi di Nerone, potevano professare la religione in cui credevano, senza limitazione né ingerenza alcuna da parte dello stato. Ai cristiani sarebbero stati anche restituiti i beni che erano stati sottratti e messi in vendita durante le persecuzioni recenti. Tuttavia i due imperatori affermavano nello stesso editto che «la reverenza offerta alla divinità» era tra le cose che più portavano vantaggio all’umanità e che era un elemento importante per sicurezza pubblica. Invocando l’aiuto benigno di Dio, parlavano di una divinità superiore, ma senza specificare chi fosse questo dio, se il Dio dei cristiani o una divinità dell’Olimpo pagano. Ogni cittadino romano, comunque, poteva identificarsi nel Dio di cui era fedele. L’Editto, oltre a porre fine alle persecuzioni contro i cristiani, affermava il concetto che nessun potere poteva essere divinizzato, se non quello di Cristo. La fede cristiana, da religione repressa e oggetto di persecuzioni, fu dichiarata religione lecita. Dopo tre secoli di discriminazioni, nel 313 i cristiani uscirono dalle catacombe. Questo riconoscimento legale di tutti i cristiani avviava la progressiva e inarrestabile cristianizzazione dell’impero romano. Giu 2013
arrivando fino a proibire i culti pagani. Con il risultato che la speranza della libertà religiosa per tutti sparisce e questo per secoli. Non è forse superfluo ricordare che nel 393, interpretando i Giochi olimpici come una festa pagana, lo stesso Teodosio decise di porre fine a questa tradizione millenaria, ripresa solo nel 1896, oltre 1500 anni dopo. Oggi, la libertà religiosa è tornata a essere il cuore dei diritti della persona umana. Ma forse è anche giusto
A fianco: Nel quadro del pittore Van Dyck, l'incontro tra Teodosio e Sant'Ambrogio, ispiratori dell'Editto di Tessalonica. Sotto: Il celebre incontro di Assisi del 1986, organizzato da Giovanni Paolo II, per celebrare, insieme ai principali leader religiosi mondiali, la “Giornata Mondiale della Preghiera”. L’inedita iniziativa, che scavalcava pregiudizi e vecchie ostilità, rimane ancora oggi un bellissimo esempio di impegno ecumenico e di pace.
UN DIRITTO PER TUTTI Che senso ha ricordare e celebrare, a 1700 anni di distanza, l’Editto di Milano? La risposta è nell’occasione offerta a tutti di riflettere sul rapporto che esiste tra realtà di fede e istituzioni pubbliche. Un rapporto problematico oggi in tanti paesi del mondo, sia islamici che cristiani. Con Costantino il cristianesimo finì per diventare la religione dell’impero, rimpiazzando la religio dei romani. Ciò favorì, nel 380, l’Editto di Tessalonica dell’imperatore Teodosio, che contraddicendo quello di Costantino, farà del cristianesimo la religione di stato,
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Zoom
a cura di Pablo Sartori
R. ZORDAN
I ragazzi di pa La storia di un missionario “accarezzato” dall’amore di Dio e dei ragazzi che incontra nelle strade e nelle carceri
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Padre Xavier e un gruppo di “suoi ragazzi”
dre Xavier
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bbiamo incontrato padre Saverio Paolillo (Xavier), per i suoi molti amici brasiliani, un missionario comboniano che da 13 anni si occupa di ragazzi e giovani incontrati sulle strade e nelle carceri di Vitória, città dello stato brasiliano di Espírito Santo. Xavier lavora assieme ad altre persone in coraggiosi progetti “di strada” tendenti a ridare dignità a migliaia di giovani e adolescenti delle zone marginali della città o appartenenti a famiglie in grandi difficoltà. La sua è una “missione” particolare, in linea con il vangelo di Gesù e dei suoi discepoli: condividere la vita, i problemi e le speranze dei più deboli ed emarginati. Ecco la sua testimonianza in questa breve intervista. D. Xavier, quando e come hai cominciato a lavorare con quelli che oggi sono i “tuoi” ragazzi di Vitória? Facciamo un passo indietro. Tutto nasce nel 1997, a partire dalla situazione che viveva la parrocchia comboniana di san Giuseppe Lavoratore. C’erano tanti bambini per la strada, specie nel quartiere di san Sebastiano dove si concentrava il maggior numero di casi di prostituzione. Molti bambini nascevano, o meglio venivano “messi al mondo”, senza nessun rapporto di amore e di affetto con i loro genitori. Le comunità cristiane della zona decisero allora di fare qualcosa. Si trattava di fare in modo che questi bambini-ragazzi prendessero poco a poco piena coscienza del loro valore e dei propri diritti. Volevano essere considerati “persone”, in grado di lottare per conquistare ciò che apparteneva loro. Giu 2013
D. Qual è stato il vostro primo progetto? Il primo progetto si chiama “Lasciami essere cittadino”. Non si tratta, ripeto, soltanto di dare un piatto di minestra, ma di far loro aprire gli occhi sulla propria realtà, farli diventare protagonisti della propria trasformazione in cittadini. All’inizio il progetto accoglie piccoli gruppi di ragazzi che frequentano la scuola, quindi il centro “Lasciami essere cittadino”. La sera tornano in famiglia perché si punta a salvare i pur fragili rapporti familiari, soprattutto con le mamme, le quali sono invitate a riconoscere i figli con un certificato di nascita e soprattutto a svolgere il loro ruolo di madri.
ARCHIVIO NIGRIZIA
D. E gli altri ragazzi, che non avevano una famiglia alle spalle? In breve tempo, oltre a questi ragazzi che avevano un minimo di rapporto con la loro famiglia, cominciarono ad arrivare anche bambini e adolescenti che vivevano completamente sulla strada. La notte, molti di questi bambini dormivano nel cortile e nel garage della nostra parrocchia, vicina ad una grande arteria stradale molto trafficata. Era l’Anno santo 2000, vicino alla parrocchia c’era la canonica: vuota perché considerata poco sicura. Giovanni Paolo II invitava ad aprire le porte a Cristo e quindi decidemmo, con il parere positivo del consiglio pastorale
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UNA RETE PER LA CITTADINANZA
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adre Xavier è impegnato nel coordinamento dei progetti della rete Aica (Accompagnamento integrato di bambini e adolescenti) che si occupa di ragazzi e giovani che sono sulla strada o legati alla criminalità. Il principio che guida il lavoro dell’Aica è il rispetto della dignità e dei diritti di ogni persona. La rete sostiene nove progetti. Quattro che accolgono i ragazzi nel doposcuola (prevenzione); tre case di accoglienza, di cui due case-famiglia e una comunità di “passaggio”); un programma di libertà assistita comunitaria; un programma di formazione professionale; il progetto chiamato “Giovani urbani”, che ha lo scopo di favorire l’inserimento di giovani tra i 15 e i 20 anni nel territorio dove vivono.
parrocchiale, di fare della canonica un luogo di accoglienza dei bambini di strada. Nacque così il secondo progetto, denominato “Nostra casa”. Un punto di riferimento, un ambiente dove questi
bambini potessero mangiare qualcosa, lavarsi, fare il bucato, dormire. Un punto di passaggio, ma che, nel tempo, è diventato anche un punto di partenza per ricostruire la vita e i legami affettivi di questi ragazzi e ragazze che vivevano per strada, che bevevano e usavano vari tipi droga, comprese le micidiali colle da sniffare. D. Ma cosa c’entra la missione in tutto questo lavoro “sociale”? Per me una Chiesa missionaria è quella che esce da sé stessa e che non sta lì ad aspettare. Questo farmi prossimo dell’altro – bambini di strada, famiglie distrutte, barboni, gente che non viene in chiesa e quindi tu vai loro incontro – significa mettersi a servizio della vita, della dignità umana. Ecco il senso della missione. Quindi se l’uomo si riscopre come essere umano con i suoi diritti rispettati, si sentirà amato da Dio. Questo
ARCHIVIO NIGRIZIA
Via Crucis dei bambini di strada
incontrare, questo avvicinarsi è, secondo me, il più grande strumento di evangelizzazione. Per me il senso della missione è questo mettersi a servizio della vita. In questo mi sento amato, accarezzato da Dio per il bene che questi ragazzi, questa gente mi vuole. Un amore che io chiamo “la carezza di Dio”, e che non posso tenere tutto e solo per me.
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Chasqui
I scarp dE Enzo N
ella mia vita ho visto di tutto. Ho visto un re. Un re che piangeva, seduto sulla sella, piangeva tante lacrime, ma tante che bagnava anche il cavallo! Povero re! E povero anche il cavallo! Ho visto Bobo Merenda, operaio in una fabbrica di bombe a mano, innamorarsi di Blanca, una bella lente a contatto “che da sé si applicò”. Ho visto Gigi Lamera, operaio alla catena di montaggio, che indossava una cravatta comperata all’Upim e si vergognava di dire che andava al lavoro in bici. Per non esser da meno della bella signorina della quale si era innamorato, prendeva anche lui il treno per andare a lavorare. Prendeva il treno per non essere da meno, anche quando aveva perso il lavoro. Ho visto un ragazzo-padre, abbandonato dalla moglie e sbattuto fuori di casa assieme al figlio. Un ragazzo-padre che non sa più dove andare, che chiede la carità, che non lo fanno neanche entrare in comune, perché considerato “un peccatore di questa società”. Ho visto Vincenzina, giovane immigrata del sud, sostare davanti al cancello della fabbrica. Vincenzina non mette più il foulard e guarda la fabbrica come se al mondo non ci fosse altro che quella. Vincenzina che sente l’odore di pulito anche là dove c’è solo fatica e lavoro.
c on t o I l r a c v it a del l a
Ho visto Messico e nuvole, la faccia triste dell’America. Il vento che suona l’armonica e la voglia di piangere che ho. Ho visto una chitarra che risuona intorno ad una ragazza: suona il mio amore per lei, per accompagnare i suoi passi “nel bene e nel dolor”. Ho visto che, tutto sommato, “la vita l’è bela”. Basta saperla prendere nel verso giusto, nel senso dell’amore per gli altri.
Parlane con ...
PA DOVA fr. Alberto : alber titomccj@ gmail.co m sr. Lorena : ortiza.l o2 012@ gmail.co m VE NEGONO SU PE RIOR E (VA) p. Massimo: max6 8rob @yahoo.it NA POLI sr. Betty: elisabe ttapompei@ hotm ail.com p. Domenico: dome nico@ gmail.com PE SA RO p. Renzo: p.ren zo pi @yahoo.fr ROMA sr Tarcisia: tarcy sud@yahoo.it PA LE RMO sr. Rosmary: rosm arypaza_ herrera @yahoo.fr Danila: laici- comb oniani.pa@ liber o.it BR ESCI A p. Enea : cantomi ssio@ gmail.com
I l m ag a z d e l le id z i n o ee Vengo anch’io? No tu no Vengo Vengo anch’io? anch’io? No tu no No tu no. Ma Perc hé? Perché no El purtava i scar p de tennis, el pa rincorreva già da rlava de per lu tempo un bel so gno d’amore. El purtava i scar p de tennis, el g’ aveva du occ de l’era il prim a m bun ena via, perché l’era un barbon. (Portava le scarpe da tennis…, parla aveva gli occhi va da solo…, di una persona buona…, era il pr un barbone…) imo ad essere po rtato via perché Fu quando gli zi era ngari arrivarono al presentano loro, mare che la gent loro, loro gli zinga e li vide, che la ge ri, come un grup nte li vide come negli occhi impo po cencioso, così si ssibile, impossib disuguale e negl ile poterli guarda Sì, perché il vecc i occhi, re (…) hio, proprio lui, il mare, parlò a qu di stragi, di mor ella gente ridotta ti, di incendi, di , sfinita, parlò ma guerra, d’amore, solo tutti di quel non disse di bene e di mal loro muto guarda e, non disse lui. li re La musica e la po ringraziò esia di Enzo rest ano una lezione capacità di vede umana per tutti re, e farci vedere . La lezione dei , ciò che abbiam non vediamo. Il poeti: la o sempre davant merito di Jannac i agli occhi e ch ci è quello di av “periferia” intesa e er spesso ci fa tto vedere prima come luogo di po di tanti, il concet vertà però anch (don Virginio Co to di e di umanità lmegna, presiden te della Casa de Tu, Enzo, hai dato lla Ca rit à di Milano) voce a quelli ch e la voce non ce gli anonimi, gli sc l’hanno, onfitti della stor ia (don Roberto Da vanzo, nell’omelia al funerale di En Enzo non era un zo Jannacci) tipo da malinconi a: guardava sem mo che era un ja pre avanti, non di zzista, viveva lo mentichiaswing (Cochi Ponzoni, co mico, cantante, at tore) Enzo era un geni o delle cose com uni (Giuliano Pisa Milano e amico di pia, sindaco di Jannacci)
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Enzo Jannacci, oh yes. Quello che il giorno 29 marzo 2013, a 77 anni di età, se n’è andato a cantare lassù, con Giorgio Gaber, Lucio Dalla, Fabrizio De Andrè e tanti altri amici musicisti. Quello che, nel corso della sua vita, ha tanto “cantato nei dischi”, riso, scherzato, fatto divertire ma anche pensare. Quello che ha studiato tanti anni “da medico”. Che ha fatto parte dell’equipe del cardiochirurgo Barnard ma che il mal di schiena lo ha fatto allontanare dalle sale operatorie. Quello che per anni ha visitato e curato gratis tutti i poer crist (“i poveri cristi”) delle periferie abbandonate di Milano. Quello che era “uno di noi” ed è stato capace di scrivere centinaia di canzoni, raccontando le storie degli ultimi, degli sfigati, dei vinti e degli emarginati, senza mai perdere il sorriso e la comicità. Quello che diceva cose serie e profonde, senza prendere mai troppo sul serio sé stesso ma sempre rispettando gli altri, anche quando non era d’accordo con le loro idee. Quello che “era un genio perché ha inventato cose che prima non esistevano” (Fabio Fazio).
L’ogg
Wow!
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ramai è una celebrità. È una star del web e dei social network, con tanto di profilo Twitter (@lilisdog) personale. Si chiama Lilica ed è una cagnolina brasiliana di São Carlos, un quartiere nelle vicinanze dell’immensa metropoli di São Paulo. Lilica è stata “adottata” quattro anni fa dalla signora Neile, madre di tre bambini, una donna coraggiosa che sostiene la famiglia grazie al lavoro di raccolta del ferrovecchio. Neile si è sempre occupata del benessere dei suoi cari ma anche degli animali che spesso venivano abbandonati davanti alla sua porta di casa. Lilica ancora oggi condivide il poco cibo con altri cani, gatti, galline e un mulo. Tutti – umani e animali – uniti nella povertà ma soprattutto nella compagnia e nell’affetto reciproco.
Ti vogliamo bene,
Lilica La commovente storia di una cagnolotta solidale
«Dar da mangiare a così tante bocche è sempre stata un’impresa difficile» afferma Neile. «Tuttavia ho sempre mantenuto la speranza che prima o poi le cose sarebbero cambiate. Ma mai avrei pensato che ciò avvenisse in questo modo. Tutto merito di Lilica, che per noi è stata un vero regalo di Dio».
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Lilica con Neile in una apparizione televisiva
a cura di Antonio Romero
Il miracolo a cui si riferisce la padrona di Lilica è l’appuntamento serale che la cagnetta ha con la professoressa Luzia, un’altra protettrice di animali abbandonati. «Lilica viene a trovarmi tutte le sere, alle 21.30. Abbiamo un appuntamento lungo la strada. Io porto un sacchetto di plastica contenente del cibo che io stessa preparo. Appena mi vede Lilica mi fa le feste. Poi, senza fretta, si mette a mangiare con gusto qualche boccone di cibo. Quando alza la testa dal sacchetto, capisco che è arrivato il momento di salutarci. Chiudo il sacchetto e lei lo afferra con i denti, per portarselo via nell’oscurità della notte». Dove andrà Lilica, nel cuore della notte, con il sacchetto di riso, fagioli e salsiccia, camminando per vari chilometri lungo una strada trafficata e piena di pericoli? E ce la farà ad attraversare le vie oscure di periferia senza problemi? Lilica ritorna a casa da Neile e dai suoi amici animali, ai quali offre, in spirito di solidarietà, gran parte del cibo che lei ha conservato per loro. Una cagnetta che, dopo aver vissuto per anni nell’immondizia, ricompensa con affetto per i suoi simili l’amore che ha ricevuto. Una lezione di generosità che, come ricorda Neile, poche persone riescono a mettere in pratica: «Gli esseri umani quasi mai condividono le loro cose con noi. Un animale invece sì...».
Lilica e il sacchetto-regalo di Luzia
Lilica ha cambiato la vita di Luzia e Neile. Soprattutto di quest’ultima, dato che, grazie alla diffusione su Internet dell’altruismo della cagnetta, la famiglia di Neile ha ricevuto una generosa somma di denaro raccolta in trasmissioni televisive e via web. I soldi serviranno per costruire una baracca nuova e pagare gli studi ai figli di Neile. La celebrità a livello internazionale che ha investito Lilica non ha cambiato il suo stile di vita. La cagnetta continua imperterrita la sua missione di fare da mamma agli animali abbandonati; di proteggere la casa della sua padrona; di fare compagnia a chi soffre la solitudine della vita. E di insegnare agli uomini, con grande umiltà, che la generosità è il vero motore che fa girare il mondo e l’unica speranza per il futuro di tutti noi. Uomini e animali.
L'assegno che permetterà ai figli di Neile di studiare Giu 2013
Spazzascienza
a cura di Beniamino Danese
All’opera Passiamo a costruire la versione di Spazzascienza del diavoletto Cartesio! tiCi ser vono: una bottiglia di plas tap(con litri 1,5 da ente ca traspar o po); un piccolo flaconcino di vetr di etro (di altezza circa 4 cm e diam ato circa 1 cm, senza tappo, recuper i rant colo o ici met da medicine o cos vo“dia tro nos il o alimentari). Ecc letto di cartesio”; un bicchiere.
L’
esperimento che proponiamo in questo numero è un vero e proprio classico della storia della scienza. Può diventare anche un’occasione per rinfrescarsi in giardino dato che è necessaria una bottiglia piena d’acqua. L’esperimento è noto come Diavoletto di Cartesio, anche se non fu inventato dal pensatore francese, ma da un allievo di Galileo, don Raffaello Magiotti.
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Un idraulico speciale Roma 1648. È qui che il Magiotti, oramai 51enne, dopo aver lavorato per vari anni insieme ad altri due scienziati allievi di Galileo (Benedetto Castelli e Evangelista Torricelli), presenta il trattato “Renitenza certissima dell’acqua alla compressione”, un’opera in cui raccoglie tutti i suoi studi di idraulica. Tra le tante cose, presenta anche un esperimento sui fluidi e la pressione, che ha avuto un grande successo ed è stato sempre riportato negli anni a venire: dallo stesso Cartesio (che lo chiamava ludion ossia “giocoliere”) ai libri di ricreazioni scientifiche ed esperimenti.
Diavolo
Costruzione Riempiamo circa a metà il flaconcino con dell’acqua, lo mettiamo a testa in giù e notiamo che l’acqua non esce (per tensione superficiale, dato che l’apertura è piccola). Poi procediamo al “varo” del flaconcino, mettendo il flaconcino a testa in giù nel bicchiere (pieno d’acqua). Se l’acqua nel flaconcino è troppa, esso affonderà! Se troppo poca, il flaconcino svetterà fuori dall’acqua o starà orizzontale. L’obiettivo è che il flaconcino stia “a pelo d’acqua”, tutto immerso ma senza affondare. E dunque togliamo o aggiungiamo acqua nel flaconcino fino a che non otteniamo questo equilibrio.
Esperimento
fino iamo la bottiglia quasi A questo punto, riemp rie ch o nd pe concino (sa all’orlo, inseriamo il fla iuch e , rà) de on e non aff marrà a pelo d’acqua tappo. il n co lia ttig diamo la bo (con bottiglia con le mani Ora comprimendo la ita er ins conda dell’acqua più o meno forza a se mo tia no ), e nel flaconcino sia nella bottiglia ch cie scende a nostro pia e sal che il flaconcino mento. del flaconcino anche con Possiamo riempire il un otetere l’esperimento: liquido colorato e rip che to il funzionamento da timo modo per capire resp te spieghiamo! Dovre questa volta non ve lo ! sio rte Ca ogitare” come mervi le meningi e “c con ino, si può costruire, nc co fla Infine, oltre al cia uc nn ca di zzo n un pe l’aiuto di un adulto, co a un te ien ffic su (è ldato” flessibile, piegato e “sa i for li ), e con due picco pinza e una candelina in e ch altro “diavoletto”, come nella foto, un per a ballerina… provare un questo caso è come credere!
d'un flaconcino
Cartesio
Giu 2013