Un pasto con Gesù

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Tutti sappiamo che digiunare può essere una disciplina spirituale, ma Gesù ha mangiato più che digiunato. In questo libro, Chester ci fa notare che il cristianesimo era inteso per essere veicolato a tavola nell’atmosfera intima di un pasto condiviso. La chiesa non è mai stata concepita come liturgia da svolgersi in edifici sacri, officiati da uomini pii vestiti di lunghe tuniche che distribuiscono ostie sottili e un bicchierino di vino, lontani dalla via reale. Chester ci riporta giustamente alle nostre origini... a una tavola, davanti a un pasto, a un banchetto in verità. Questo libro è un eccellente trattato su un soggetto di grande importanza che da molto tempo era andato perduto nella palude dei rituali sacri. È tempo di ritornare a tavola e di goderci la vita che ci è stata data. Neil Cole, fondatore e direttore di Church Multiplication Associates; autore di Organic Church.

Ho sempre detto alle congregazioni che ho servito che se si tolgono le montagne e i pasti dalla Bibbia, essa diventa un libro molto corto. In un mondo dove esistono tanti modelli di chiesa e strategie spesso in competizione tra di loro, Tim ci mostra che Gesù fece uso di una pratica più di ogni altra: condividere un pasto con le persone. Questo libro ci ricorda che i metodi migliori per rappresentare la grazia, la missione e la comunità non sono i programmi e la propaganda, ma piuttosto la parità e l’accettazione vissute attorno ad una tavola comune. Che le nostre vite non siano mai troppo occupate da escludere questo aspetto. Mike Breen, Global Leader, 3DM; autore di Building a Discipleship Culture.

Penso di non riuscire a elencare tutti i titoli dei libri che Tim ha scritto finora. Ne ho scritto uno o due con lui, ma questo, per adesso, è di gran lunga il migliore! Esso ha nutrito la mia anima,


e attraverso la sua lettura ho potuto gustare la grazia in un modo nuovo. In effetti, il libro è in sé un pasto sontuoso. Acquistatelo, non solo per leggerlo, ma per banchettare sul suo contenuto.

Steve Timmis, cofondatóre di The Crowded House; coautore di Chiesa totale.

Tim Chester ha una spiccata capacità di riflessione sul vangelo, sulla comunità e sulla missione, rendendo questi temi accessibili alla persona comune alle prese con i problemi e il trambusto della vita quotidiana. Sicuramente Tim c’è riuscito un’altra volta con Un pasto con Gesù. A ogni pasto, le mie convinzioni su come il vangelo influenza tutti gli aspetti della vita e i rapporti con le altre persone sono diventate più profonde, e il mio amore per Gesù si è rafforzato. Vorrei che tutti nella mia chiesa leggessero questo libro. Jeff Vanderstelt, pastore di Soma Communities; vice presidente di Acts 29.



Tim Chester Un pasto con Gesù Scoprire la grazia, la comunità e la missione attorno alla tavola Proprietà letteraria riservata: BE Edizioni di Monica Pires P.I. 06242080486 Via del Pignone 28 50142 Firenze Italia A Meal with Jesus: Discovering Grace, Community, and Mission around the Table Copyright © 2011 by Tim Chester Published by Crossway 1300 Crescent Street Wheaton, Illinois 60187, USA. This edition published by arrangement with Crossway. All rights reserved. Coordinamento editoriale: Filippo Pini Traduzione e revisione a cura di Impatto Print Copertina: Alan David Orozco Impaginazione: Samuele Ciardelli Prima edizione: Aprile 2016 Stampato in Italia Volume pubblicato in collaborazione con Impatto Print, pubblicazioni di Impatto (Act 29 in Italia) network per la fondazione di chiese, www.impatto.org. Tutte le citazioni bibliche, salvo diversamente indicato, sono tratte dalla Nuova Riveduta, Società Biblica di Ginevra. ISBN 978-88-97963-55-4 Per ordini: www.beedizioni.it È vietata la riproduzione, anche parziale, con qualsiasi mezzo effettuata compresa la fotocopia, anche ad uso interno didattico. Per la legge italiana la fotocopia è lecita solo per uso personale purché non danneggi l’autore. Quindi ogni fotocopia che eviti l’acquisto di un libro è illecita e minaccia la sopravvivenza di un modo di trasmettere la conoscenza. Chi fotocopia un libro, chi mette a disposizione i mezzi per fotocopiare, chi comunque favorisce questa pratica commette un furto verso l’autore e gli editori e mette a rischio la sopravvivenza di questo modo di trasmettere le idee.


INDICE Introduzione: Il Figlio dell’uomo venne mangiando e bevendo

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1. I pasti come rappresentazione della grazia

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2. I pasti come rappresentazione della comunitĂ

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3. I pasti come rappresentazione della speranza

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4. I pasti come rappresentazione della missione

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5. I pasti come rappresentazione della salvezza

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6. I pasti come rappresentazione della promessa

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Luca 5

Luca 7

Luca 9

Luca 14

Luca 22

Luca 24



INTRODUZIONE

IL FIGLIO DELL’UOMO VENNE MANGIANDO E BEVENDO Mi innamorai di mia moglie mentre mi stava preparando un toast al formaggio. La conoscevo soltanto da poche settimane. Per me fu “amore” a prima vista, oltre al fatto ovviamente che il mio “amore” all’inizio era semplice attrazione. Fu il formaggio messo sopra il toast che conquistò il mio cuore. Non era tanto il fatto che lei era capace di preparare dei toast al formaggio (cercavo qualcosa di più di questo in una moglie), ma quel semplice gesto di servizio fatto senza pensare a sé (oltre alle sue splendide mani) catturò il mio cuore. La mia risposta quella volta non fu proprio così meditata. Sapevo soltanto che lei era quella giusta per me. In questo momento, mentre sto scrivendo, ho trascorso più della metà della mia vita con la ragazza che quella volta mi fece un toast al formaggio. Metà di tutta una vita fatta di pasti condivisi. Considero tuttora ogni pasto che lei cucina come un dono. Credo di averle espresso il mio apprezzamento ogni volta. Non costa molta fatica. È più un’espressione spontanea di delizia che una fredda disciplina. Ma non si tratta soltanto del cibo. Ogni

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UN PASTO CON GESÙ

pasto è una rappresentazione concreta del suo amore per me e per le due nostre figlie. E per i nostri numerosi ospiti. Il suo amore non consiste soltanto nel cucinare, ma il suo cucinare è una forma tangibile (e commestibile) del suo amore. Il cibo è importante. I pasti sono importanti e carichi di significato. “Pochi gesti esprimono di più il senso dello stare insieme che un pasto condiviso [...] Colui con il quale condividiamo il cibo è probabilmente un nostro amico, oppure si appresta a diventare tale”.1 La parola “compagno” deriva dal latino cumpànis (cum=con; panis=pane, ovvero partecipe dello stesso vitto). Tutti noi abbiamo le nostre immagini preferite quando pensiamo ad una buona ospitalità. Io ho quella dei miei amici Andy e Josie e della cucina del loro casale: verdure fresche dell’orto, panini caldi glassati, riscaldati nella vecchia stufa, e il tranquillo scorrere delle conversazioni dalle quali Dio non è mai assente per troppo tempo. “La nostra vita a tavola, per quanto mondana, è sacramentale, un mezzo con cui incontriamo il mistero di Dio”.2 Pensa alla tua sala da pranzo o al tavolo della cucina. Quali situazioni sono state vissute attorno a questo semplice mobile? Giorno dopo giorno hai chiacchierato con la tua famiglia, hai condiviso notizie, raccontato delle storie e preso in giro qualcuno. Valori sono stati assorbiti. Ospiti sono stati accolti. Persone hanno trovato una casa. L’amore è sbocciato. Forse ti sei allungato sul tavolo per prendere la mano della persona che ami per la prima volta. Forse ricordi decisioni importanti che hai preso stando seduto a tavola. Forse ti sei riconciliato con qualcuno durante un pasto. Forse la tua famiglia si unisce in una risata ricordando quella volta in cui hai dimenticato di mettere lo zucchero nella torta. Nella sua autobiografia Nigel Slater, il mio autore di libri culinari preferito, scrive che da ragazzo una volta disse che i baci di 1 Carolyn Steel, Hungry City: How Food Shapes Our Lives (London: Chatto & Windus, 2008), 212.

2 Simon Carey Holt, “Dinner with the Family: A Sacramental Table, Luke 22:7-30” (sermone predicato alla Collins Street Baptist Church di Melbourne il 24 agosto 2008).

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sua madre assomigliavano ai marshmallows. All’età di nove anni, sua madre morì, e suo padre iniziò a lasciare qualche marshmallow accanto al suo letto ogni sera.3 Il cibo connette. Ci connette con la famiglia. Trasforma gli estranei in amici, e ci collega con persone di altre parti del mondo. Pensa a quello che hai mangiato a colazione stamattina. Tè. Caffè. Zucchero. Cereali. Pompelmo. Gran parte di essi è stato prodotto in un’altra nazione. Il cibo ci permette di essere benedetti da persone di altre parti del mondo, e di benedire loro a nostra volta. Ma l’ospitalità può anche avere un lato oscuro. Una volta mi capitò di partecipare ad un incontro presso gli uffici della Banca Mondiale a Londra. Mi fu offerto del caffè (una delle poche cose che non mi piacciono), così chiesi se avevano del tè. “Non serviamo tè al mattino”, mi fu detto con un tono grondante di sufficienza. Ero stato messo in riga per bene. Gente come me non era la benvenuta. Ma questo è soltanto un esempio banale se paragonato al pregiudizio razziale o classista che si manifesta attraverso l’ospitalità o la sua assenza. Nulla rivelava lo stato in cui si trovava il mondo prima che sorgesse il movimento per i diritti civili più del cartello “niente neri” sulle porte dei ristoranti. O i cartelli “niente neri, niente irlandesi, niente cani” sulle porte degli appartamenti in affitto nel Regno Unito. L’ospitalità era altrettanto importante nell’antichità. John Koenig, studioso del Nuovo Testamento, afferma: “Quando gli ospiti o gli ospitanti violano i loro obblighi reciproci, il mondo intero vacilla e un castigo segue”.4 Anche le ramificazioni del commercio mondiale hanno il loro lato oscuro, visto che i potenti usano la loro forza per sfruttare i deboli. Nel diciottesimo e nel diciannovesimo secolo era lo zucchero e la schiavitù. Oggi lo sfruttamento si trova tra i lavoratori emigrati, agricoltori di sussistenza che devono vendere a prezzi 3 Nigel Slater, Toast: The Story of a Boy’s Hunger (New York: Gotham, 2005), 97.

4 John Koenig, New Testament Hospitality: Partnership with Strangers as Promise and Mission (Philadelphia: Fortress, 1974), 2.

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inferiori a causa del dumping causato dalle esportazioni sovvenzionate, e gli operai di stabilimenti agro-alimentari che lavorano in stati in via di sviluppo ancora privi di leggi sul lavoro. “Il campo lavorato dal povero dà cibo in abbondanza, ma c’è chi perisce per mancanza di equità” (Proverbi 13:23). Il cibo che compriamo può benedire altri, o maledirli. Il nostro rapporto con il cibo è ambiguo. Gli chef della televisione sono diventati delle celebrità, e i libri di cucina si trovano regolarmente nella classifica dei bestseller. Eppure cuciniamo sempre di meno rispetto al passato. Gli americani spendono più di 50 miliardi di dollari ogni anno per seguire una dieta, 50 miliardi per risolvere il problema del cibo usato male. In ogni momento il 25 per cento degli uomini americani e il 45 per cento delle donne americane è a dieta. Solo il 9 per cento delle donne in età da college non ha mai provato a tenere sotto controllo il proprio peso con una dieta. I cristiani americani spendono più soldi per diete che per le missioni nel mondo.5 Spendiamo di più per curare i nostri consumi di troppo che per nutrire fisicamente e spiritualmente gli affamati del mondo. Esprimiamo chi vogliamo essere attraverso il cibo. E quando le cose vanno male, il cibo diventa un posto dove rifugiarsi. Chi ha il cuore spezzato si consola sul divano con una vaschetta di gelato. Sei quello che mangi, si dice. Il cibo è molto di più che semplice carburante. Come completeresti la frase: “Il Figlio dell’uomo è venuto...”? Il Figlio dell’uomo è venuto: “per predicare la Parola”; “per instaurare il regno di Dio”; “per morire sulla croce”. Forse la domanda è più rivelatrice se posta così: “Dovremmo andare…”? Dovremmo andare a: “manifestare per un cambi mento politico”; “predicare per strada”; “sfruttare meglio i social media”; “adattarci alla cultura che vogliamo raggiungere”. Il Nuovo Testamento completa la frase “Il Figlio dell’uomo è venuto...” in tre modi. “Il Figlio dell’uomo non è venuto per essere servito, ma per servire, e per dare la sua vita come prezzo 5 Tim Chester, Good News to the Poor (Nottingham, UK: IVP, 2004), 101.

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di riscatto per molti” (Marco 10:45); “Il Figlio dell’uomo è venuto per cercare e salvare ciò che era perduto” (Luca 19:10); “Il Figlio dell’uomo che mangia e beve” (Luca 7:34). Le prime due sono affermazioni di scopo. Perché è venuto Gesù? È venuto per servire, per dare la sua vita come riscatto, per salvare quello che era perduto. La terza è un’affermazione di metodo. Come è venuto Gesù? È venuto mangiando e bevendo. “Figlio dell’uomo” è il nome dato da Daniele a colui che si presenta davanti a Dio per ricevere autorità sulle nazioni (Daniele 7). E adesso Gesù, il Figlio dell’uomo, è venuto. Ma come è venuto? È venuto con un esercito celeste? È venuto sulle nuvole del cielo? È venuto risplendente di gloria? No, egli è venuto “mangiando e bevendo”. Gli ebrei al tempo di Gesù avrebbero detto che il Figlio dell’uomo sarebbe venuto per vendicare i giusti e sconfiggere i nemici di Dio. Non si aspettavano che egli venisse per cercare e salvare i perduti. Avrebbero anche detto che il Figlio dell’uomo sarebbe venuto nella sua gloria e potenza. Non avrebbero mai detto che sarebbe venuto per mangiare e per bere. Luca non sta parlando del mangiare e del bere come puro mezzo di sostentamento. Gesù dice: “È venuto il Figlio dell’uomo [che] mangia e beve, e voi dite: «Ecco un mangione e un beone, amico dei pubblicani e dei peccatori!»” (7:34). Un mangione, ovviamente, è uno che mangia troppo, e un beone è uno che beve troppo. Gesù prendeva sul serio il mangiare e il bere, così tanto che i suoi nemici lo accusarono di farlo in eccesso. Poco prima nel Vangelo di Luca i farisei e gli scribi gli dissero: “I discepoli di Giovanni digiunano spesso e pregano; così pure i discepoli dei farisei; i tuoi invece mangiano e bevono” (5:33). Gesù passò il suo tempo a mangiare e a bere. Molto del suo tempo. Era un “festaiolo”. La sua strategia missionaria consisteva in lungo pasto, che si protraeva fino a sera. Egli evangelizzava e discepolava intorno ad un tavolo con del pesce alla griglia, qualche pagnotta e una brocca di vino. Il Vangelo di Luca è pieno di racconti in cui Gesù mangia insieme ad altre persone.

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• In Luca 5 Gesù mangia con dei pubblicani e dei peccatori a casa di Levi. • In Luca 7 Gesù viene unto con olio a casa di Simone il fariseo durante un pranzo. • In Luca 9 Gesù sfama i cinquemila. • In Luca 10 Gesù mangia a casa di Marta e di Maria. • In Luca 11 Gesù condanna i farisei e i dottori della legge durante un pranzo. • In Luca 14 Gesù si trova a casa di un fariseo per prendere cibo quando incoraggia le persone a invitare i poveri ai loro pranzi o cene invece di invitare i loro amici. • In Luca 19 Gesù si autoinvita a mangiare in casa di Zaccheo. • In Luca 22 troviamo il racconto dell’Ultima Cena. • In Luca 24 il Cristo risorto mangia con i due discepoli ad Emmaus, e poi più tardi mangia del pesce con i discepoli a Gerusalemme. Robert Karris conclude: “Nel Vangelo di Luca, Gesù o sta andando a mangiare, o sta mangiando o viene da un posto dove ha mangiato”.6 Anche quando Gesù non mangia, i riferimenti al cibo abbondano in tutto il Vangelo. In Luca 14 Gesù racconta la parabola di un grande banchetto. In Luca 15 Gesù racconta la parabola del figlio prodigo, che termina con una gran festa. In Luca 16 egli mette in contrasto un uomo ricco “che ogni giorno si divertiva splendidamente” (v. 19) con un mendicante “bramoso di sfamarsi con quello che cadeva dalla tavola del ricco”. Luca parla delle donne che provvedevano il cibo per Gesù (8:2-3). Quando gli fu chiesto se sono pochi i salvati, Gesù avverte la folla di badare affinché entrassero loro stessi nel regno, perché nell’ultimo giorno molti diranno “noi abbiamo mangiato e bevuto in tua presenza” ma “il padrone di casa” dirà “io non so da dove venite, allontanatevi da me”. Al loro posto, “ne verranno da oriente e da occidente, da set 6 Robert J. Karris, Eating Your Way through Luke’s Gospel (Collegeville, MN: Liturgical Press, 2006), 14.

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tentrione e da mezzogiorno, e staranno a tavola nel regno di Dio” (cfr. Luca 13:22-30). In Luca 22 Gesù dice ai suoi discepoli: “Io dispongo che vi sia dato un regno, come il Padre mio ha disposto che fosse dato a me, affinché mangiate e beviate alla mia tavola nel mio regno” (vv. 29-30a). Il cibo è adoperato per descrivere la salvezza e il giudizio (1:53; 6:21,25), e le persone sono raffigurate in termini di cibo buono e cibo cattivo (3:17; 6:43-46; 12:1). Gesù è chiamato “mangione e beone, amico dei pubblicani e dei peccatori”. Questo spiega perché mangiare e bere erano così importanti nella missione di Gesù: erano un segno della sua amicizia con i pubblicani e con i peccatori. I suoi “eccessi” di cibo ed “eccessi” di grazia sono collegati. Nel ministero di Gesù i pasti raffiguravano grazia, comunità e missione. I pasti di Gesù rappresentano perciò qualcosa di più grande. Essi rappresentano un nuovo mondo, un nuovo regno, una nuova prospettiva, dando sostanza a quella nuova realtà. I pasti di Gesù non sono solo simboli; sono anche applicazioni. Non sono soltanto immagini; sono la cosa concreta in miniatura. Il cibo è materia. Non sono idee, non sono teorie. Il cibo è, per l’appunto, cibo, e uno lo porta alla sua bocca, lo assaggia, e lo mangia. E i pasti vanno oltre il cibo: sono eventi sociali. Rappresentano amicizia, comunità ed accoglienza. Non voglio ridurre la chiesa e la missione a pasti, ma voglio sostenere che i pasti dovrebbero costituire una parte integrale e significativa della nostra vita condivisa. Essi rappresentano il significato della missione, ma vanno oltre: incarnano e mettono in scena la nostra missione. La comunità e la missione sono più che pasti, ma è difficile pensare a comunità e a missione senza pasti. Peter Leihart afferma: Per Gesù “festa” non è solo una metafora del regno. Annunciando il banchetto del regno, egli lo ha altresì reso reale attraverso il suo stesso banchettare. Diversamente da molti teologi, egli non è venuto a predicare un’ideologia, a sostenere delle idee o a insegnare delle massime

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morali. Egli venne a insegnare sul banchetto del regno, e venne banchettando nel regno. Gesù non se ne andò in giro semplicemente per parlare sul mangiare e sul bere; egli se ne andò in giro a mangiare e a bere. E pure molto.7

Questo è un libro sui pasti. I pasti di Gesù sono però una finestra sul suo messaggio di grazia e il modo di definire la sua comunità e la sua missione. Questo libro perciò parla della grazia, della chiesa e della missione. Ma i pasti sono più di una metafora. Essi incarnano la grazia di Dio, dando così forma alla comunità e alla missione. Non possiamo sbarazzarci dei pasti. Se tiro giù dai miei scaffali libri sulla missione e sulla fondazione di chiese, potrei leggere di contestualizzazione, contesti evangelistici, apologetica postmoderna ed ermeneutica della cultura. Potrei osservare diagrammi che mi dicono come è possibile convertire le persone o scoprire i passi necessari per fondare una chiesa. Il tutto ha una parvenza convincente, innovativa e sofisticata. Ma Luca descrive la strategia missionaria di Gesù in questi termini: “Il Figlio dell’uomo mangia e beve”. Possiamo far apparire la comunità e la missione come delle attività specialistiche prerogativa di esperti. Alcuni hanno un interesse personale nel fare questo, perché ciò le fa sentire delle persone “straordinarie”. Oppure ci concentriamo su personalità dinamiche che riescono a farsi un pubblico e guidare un movimento. Alcuni fanno passare la missione come qualcosa che va oltre la portata dei cristiani “normali”. Ma il Figlio dell’uomo “mangia e beve”. Non è complicato. È vero, non è sempre facile perché significa avere delle persone che invadono il tuo spazio o andare in posti dove non ti senti a tuo agio. Ma non è complicato. Se condividi un pasto tre o quattro volte a settimana e hai una passione per Gesù, allora edificherai la comunità cristiana e ti aprirai alla missione. Vediamo in che modo Gesù lo ha fatto. 7 Peter Leithart, Blessed Are the Hungry: Meditations on the Lord’s Supper (Moscow, ID: Canon Press, 2000), 115.

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