John Greco
VOTI INFRANTI Il divorzio e la bontà di Dio
Apprezzo davvero tantissimo questo libro, perché è molto più grande di quanto non sembri. John ci aiuta a vedere e a vivere nella grazia inamovibile e nella guida sicura del Padre, di fronte alle prove apparentemente insormontabili della nostra vita reale. Scrive in modo avveduto, non sulla base di una teoria astratta, ma di un’esperienza provata con il fuoco. Glenn T. Stanton, autore, oratore e direttore di Family Formation Studies e Focus on the Family.
Mi sono sempre meravigliato della lungimiranza di Giuseppe in Genesi 50:20. Egli era consapevole della profonda sofferenza che i suoi fratelli gli avevano inflitto, ma riconobbe anche la capacità sovrana di Dio di trasformare la sua sofferenza personale in qualcosa di meraviglioso. Ho provato lo stesso sentimento leggendo Voti infranti. John Greco fa uno splendido lavoro, chiarendo come, anche se non abbia mai desiderato la fine del suo matrimonio, non rinuncerebbe mai all’intimità di cui ora gode con il suo Padre celeste. Questo libro è pieno di saggezza dalla prima all’ultima pagina. È l’esito di un sofferto travaglio personale sfociato in una vita piena di autenticità e di speranza. Phil Tuttle, presidente e amministratore delegato di Walk thru the Bible.
Tristemente, i cristiani divorziati sono spesso trattati come merce avariata, come credenti di serie B. Ho accu-
sato questo colpo perché anch’io, come John Greco, sono un membro del “club dei divorziati da additare a vista”. C’è, però, una buona notizia. Sì, anche per i divorziati. In Voti infranti, John ci mostra il sentiero evangelico del vero perdono, della guarigione personale e della vita dopo il divorzio. Quando il tradimento, l’abbandono e il risentimento hanno minacciato di fare di John Greco una vittima a vita, alla fine egli ha imparato a guardare oltre chi lo aveva ferito, al Dio sovrano che non cessa mai di amare. Se hai divorziato o se conosci un cristiano che l’ha fatto, questo libro fa al caso tuo! Bob Bevington, coautore con Jerry Bridges di The bookends of the christian life and the great exchange e coautore con Joe Coffey di Red like blood.
Pochi sono disposti a condividere in forma stampata la loro esperienza di divorzio. Il mio amico John Greco l’ha fatto e dobbiamo essergliene grati. Questo libro può essere utile a quanti si stanno riprendendo da un divorzio, non offrendo loro delle risposte superficiali o emotive per gestire la loro sofferenza, la loro rabbia e il loro senso di abbandono, ma riportandoli alla verità evangelica dell’amore disinteressato, dell’assoluta sovranità e della potenza trasformatrice di Dio. Può essere utile anche a quanti curano pastoralmente altri nella loro condizione abbattuta, mettendoli in guardia dal rischio di spiacevoli fraintendimenti e indirizzandoli alle verità bibliche, che aiutano e guariscono davvero. John ricorda a tutti noi –
celibi, sposati e divorziati – che Dio deve essere il nostro più profondo desiderio, che la nostra suprema gioia e il nostro sommo piacere si trovano solo in lui. William B. Barcley, pastore, Sovereign Grace Presbyterian Church (Charlotte, NC); professore associato presso il Reformed Theological Seminary; autore di The secret of contentment e di vari altri libri e articoli.
Il resoconto in prima persona di John Greco di come ha affrontato il trauma dei voti infranti offre una prospettiva biblica e chiara del complesso tema dei cristiani in rapporto al divorzio. Voti infranti offre una fune di salvataggio, legata con empatia, indicazioni pratiche e discernimento biblico non moralista. Greco rivela amorevolmente come Cristo possa guarire tutti dalla devastazione del divorzio e come comportarsi con quanti credono diversamente. Laura Petherbridge, conferenziera e autrice di When “I do” becomes “I don’t”.
Concisi Chiari Edificanti I VOLUMI DELLA COLLANA:
Rinaldo DIprose Per gli uomini Marcus Nodder Cosa accadrà quando morirò?
E altre domande su paradiso, inferno e vita futura
Sam Allberry Dio odia i gay?
L’omosessualità, la Bibbia e l’attrazione per le persone dello stesso sesso
Jeramie Rinne Come finirà il mondo?
E altre domande sugli ultimi avvenimenti e la seconda venuta di Cristo
John Greco Voti infranti
Il divorzio e la bontà di Dio
John Greco
VOTI INFRANTI Il divorzio e la bontà di Dio
John Greco Voti infranti Il divorzio e la bontà di Dio Proprietà letteraria riservata: BE Edizioni di Monica Pires P.I. 06242080486 Via del Pignone 28 50142 Firenze Italia Copyright © 2013 by CruciformPress, John Greco. Translated and printed by permission. All rights reserved. Coordinamento editoriale: Filippo Pini Traduzione: Roberto Cappato Revisione: Irene Bitassi Porgetto grafico: Samuele Ciardelli Prima edizione: Dicembre 2015 Stampato in Italia Tutte le citazioni bibliche, salvo diversamente indicato, sono tratte dalla Nuova Riveduta, Società Biblica di Ginevra. ISBN 978-88-97963-36-3 Per ordini: www.beedizioni.it È vietata la riproduzione, anche parziale, con qualsiasi mezzo effettuata compresa la fotocopia, anche ad uso interno didattico. Per la legge italiana la fotocopia è lecita solo per uso personale purché non danneggi l’autore. Quindi ogni fotocopia che eviti l’acquisto di un libro è illecita e minaccia la sopravvivenza di un modo di trasmettere la conoscenza. Chi fotocopia un libro, chi mette a disposizione i mezzi per fotocopiare, chi comunque favorisce questa pratica commette un furto verso l’autore e gli editori e mette a rischio la sopravvivenza di questo modo di trasmettere le idee.
Indice Uno
Un barlume di bontà
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Due
Non è quello che mi aspettavo
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Tre
Che cosa ti risponderò?
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Quattro
Cristo, nostro esempio
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Cinque
Rialzarsi
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Postfazione
Perché ho scritto questo libro
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Uno
Un barlume di bontà Qualche anno fa il mio matrimonio è fallito e ne sono riconoscente. Mi rendo conto che questo non sembra giusto, perciò prima di giudicarmi troppo duramente lascia che mi spieghi. Non mi ha fatto piacere vedere il mio matrimonio finire o scoprire che mia moglie aveva commesso adulterio. Non vorrei provare mai più il dolore, quasi insopportabile, della separazione e del divorzio. Eppure, sono riconoscente. Sono riconoscente perché, dopo essere passato per tutto ciò che è successo, ora so (in un modo che prima non avrei potuto semplicemente sapere) che Dio è buono. Capisco che questo potrebbe sembrare scontato, una specie di luogo comune rispolverato quando il mondo si sta sgretolando. Ma è proprio così: il mio mondo si stava sgretolando. In alcun modo avrei potuto fingere altrimenti. Nessun “segreto di Pollyanna”1 avrebbe cambiato 1 Qui e nel successivo periodo, con un gioco di parole, l’autore si riferisce contemporaneamente a due tentativi umani di rispondere alla sofferenza: il trattamento medico specializzato e lo “sforzo” di pensare sempre in maniera ottimistica, usando tanto buon senso. Infatti, Pollyanna fa riferimento sia al Zygo
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qualcosa; anche se mi sarebbe piaciuto, non avrebbe ingannato nessuno. La sola cura per il mio cuore spezzato e il mio spirito a pezzi era (ed è) Gesù. Sto, però, spingendomi troppo in là. Anche se si suppone che il matrimonio debba durare tutta la vita, il mio non l’ha fatto. Il mio matrimonio è finito il giorno in cui mia moglie mi ha detto che aveva una storia, non n’era dispiaciuta, voleva il divorzio e non era interessata a cercare di salvare il nostro rapporto. Ufficialmente ci vollero altri otto mesi perché il mio matrimonio finisse anche sulla carta, ma ebbe comunque termine quella mattina, mentre andavo avanti e indietro per il nostro appartamento in California in mezzo a grida, preghiere e porte sbattute. Mi sentivo a pezzi, non più completo, come se un braccio o una gamba fossero stati strappati dal mio corpo. Se il matrimonio sono due persone che diventano una sola carne, come la Bibbia dice, allora il divorzio è come se quella carne fosse strappata in due senza anestesia. Pollyanna (un dispositivo elettronico utilizzato per i pazienti affetti da disartria) sia al celebre romanzo di Eleanor Hodgman Porter, Pollyanna, da cui sono stati tratti diversi adattamenti cinematografici, il più famoso dei quali è “Il segreto di Pollyanna” di David Swift (1960). La protagonista della storia, Pollyanna, è una bambina rimasta orfana, che viene mandata a vivere con una zia molto fredda. Tuttavia, la piccola reagisce con ottimismo alle difficoltà della vita, grazie al suo “segreto”: il “gioco della felicità”, insegnatole dal padre, che consiste nel trovare il lato positivo anche delle situazioni peggiori (ndt).
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Un barlume di bontà
Un amore che non mi lascerà Sette anni prima, senza gridare, pregare o sbattere porte, la mia ex-moglie e io abbiamo avuto una piccola discussione, mentre pianificavamo la nostra festa di matrimonio. Durante la cerimonia, io volevo cantare un inno con i nostri amici e parenti. Secondo lei, era una cosa troppo all’antica. Grazie alle nuove tecniche di risoluzione dei conflitti, che avevamo appreso durante i corsi di preparazione al matrimonio, giungemmo a un compromesso. Stabilimmo di far cantare un inno in stile contemporaneo ad alcuni nostri amici, durante l’entrata in chiesa della sposa. Scelsi l’inno “O love that will not let me go”, 2 originariamente composto da George Matheson nel 1882.3 Pensavo che fosse indicato per un matrimonio. Naturalmente, l’amore di cui Matheson scriveva era quello di Dio per il suo popolo, ma si presume che anche l’amore in un matrimonio non finisca. Si suppone che duri per sempre o almeno fino alla morte. Ecco perché quando il mio matrimonio finì, non sapevo che cosa mi aspettasse. Non avrebbe mai dovuto esserci un periodo post-matrimoniale nella mia vita. Invece, all’età di trentaquattro anni, sedevo sul divano del nostro appartamento così abbattuto da non riuscire quasi a muovermi. Con le lacrime che mi 2 “Oh, amore che non mi lascerai” (ndt).
3 “O love that will not let me go”, parole di George Matheson (1882), musica di Christopher Miner (1997).
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rigavano il volto, con quel poco di forza che riuscii a raccogliere, chiesi a Dio: Perché? Per un po’ di giorni successivi, feci delle telefonate in cui spiegai ad amici e parenti quello che era successo. Feci del mio meglio per rispondere alle loro domande. Piangevo e ascoltavo ogni volta che qualcuno offriva un tentativo di consolazione, qualche parola di esortazione o un luogo comune ben intenzionato. Per diverse notti, mi girai e rigirai nel letto. Pregavo ad alta voce: a volte la mia voce si avvicinava a un grido. Facevo del mio meglio per dormire, ma per quanti tentativi facessi, non ci riuscivo per più di cinque minuti. Prendevo ogni momento come veniva e non mi aspettavo nulla per il futuro. Le settimane che seguirono portarono anche altri cambiamenti nella mia vita. Persi il lavoro dei miei sogni: l’opportunità di ministero per cui avevo pregato per anni. La mia ex-moglie e io avevamo deciso di trasferirci dalla California all’Ohio, in modo che io potessi accettare un posto di aiutante pastore in una chiesa. Era quel tipo di chiesa dove il buon profumo dell’amore di Gesù riempiva l’atmosfera all’interno dell’edificio. Fin dalla mia prima visita mi ero sentito come a casa. In qualche modo, speravo che l’appartenenza a una comunità incentrata sul vangelo avesse un effetto terapeutico sul nostro matrimonio e sul cuore di mia moglie, ma non ebbi mai la possibilità di appurarlo. Alcuni giorni dopo essere stato lasciato da mia moglie, l’offerta di lavoro fu ritirata. Ascoltai quello che avrebbe dovuto es-
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sere il mio pastore e datore di lavoro, mentre mi spiegava gentilmente che ora quel posto non era probabilmente più adatto per me. Il cuore mi si spezzò un po’ di più. Un paio di settimane dopo quella telefonata, alla fine del giugno del 2011, mi trasferii, ma non nell’Ohio. Senza lavoro, in ristrettezze economiche e con mia moglie che era inflessibile nella sua determinazione di porre legalmente termine al nostro matrimonio, raccolsi tutti gli effetti personali che potevo stipare nella mia Subaru del 2002 priva di aria condizionata e incominciai il lungo e caldo viaggio attraverso gli Stati Uniti, fino in Georgia, dove abitava la maggior parte dei miei familiari. Mentre viaggiavo, piansi di più. Pregai di più. Lottai con Dio di più. Però, non cambiò nulla nella mia situazione. Dio non diede alcuna risposta al mio cuore in pena. Non mi disse perché le cose avessero preso quella piega. Non mi offrì una sola spiegazione. Non ero più un marito, non ero più un pastore. Non sapevo come sarebbero stati i mesi e gli anni a venire. La mia vita era sbandata, fuori da ogni controllo. In quel viaggio attraverso tutti gli Stati Uniti, a volte deviavo troppo dalla strada principale, in cerca di un pasto o di un luogo per dormire. Prendevo a vagare nel buio e dimenticavo come tornare sulla strada interstatale. Ecco come potrei descrivere la mia vita di quei giorni: ero al buio, mi ero perso e non avevo idea di quale fosse la direzione che mi avrebbe portato a casa. Solo che, a dif-
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ferenza di quelle strade secondarie deserte a notte fonda, io non sono mai stato davvero al buio. Non mi sono mai davvero perso. Quando mi fermavo abbastanza a lungo da vederla, c’era una luce scintillante in lontananza, un barlume della bontà divina che era sempre stato lì. Una scintilla di bontà che, tutto sommato, non era poi così lontana. Gesù non mi aveva mai lasciato e non si era rimangiato la promessa di far cooperare tutte le cose al mio bene. Nei momenti di maggiore debolezza, egli mi ha dato la forza di aggrapparmi a quella promessa, di sperare che avrei potuto trovare una via d’uscita dall’oppressione del peso mortale che stavo portando, di sperare che la mia vita potesse essere rinnovata. Quando toccai il fondo, Gesù mi ricordò gentilmente che nulla avrebbe potuto separarmi dal suo amore, che la mia vita sarebbe andata avanti e non mi sarei sempre sentito in quel modo. Quando non riuscivo a dormire, egli portava la mia mente in un luogo di riposo, verso immagini incoraggianti di momenti di vita dimenticati, tempi in cui le cose erano più promettenti. Giorno per giorno, il mio spirito riprendeva forza. La tristezza e l’angoscia permasero a lungo naturalmente, non si trattò di una soluzione rapida, ma in quei giorni fu fondamentale sapere che il mio Creatore era con me. Il terzo giorno di viaggio, dagli altoparlanti del mio stereo risuonò un canto familiare: “O love that will not let
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me go”, il vecchio inno di George Matheson, cantato da Sandra McCracken; proprio l’inno che la mia ex-moglie e io avevamo incluso nella nostra festa di matrimonio; solo che ora toccava una corda diversa del mio cuore. Pensai a come era incominciato il mio matrimonio, con delle promesse fatte per sempre e con un canto su un amore che non mi avrebbe lasciato. Ecco che ora, invece, mi aveva lasciato e non mi sentivo solo lasciato: mi sentivo scaricato, buttato via come un rifiuto. Poco dopo essere arrivato in Georgia, scoprii per caso la storia che stava dietro quell’inno. George Matheson era vissuto in Scozia nel corso del XIX secolo. Da giovane aveva due passioni. Una era quella d’insegnare alle persone la Parola di Dio, l’altra era quella per una giovane donna con cui era fidanzato. Tutto preso dalla sua prima passione, Matheson passò il suo tempo a prepararsi per il ministero, leggendo e studiando avidamente. Lesse tanti libri che lo sforzo indebolì i suoi occhi. I medici gli dissero che il danno era irreversibile e in poco tempo sarebbe diventato completamente cieco. Quando l’altra sua passione venne a conoscere la diagnosi che era stata fatta al suo fidanzato, annullò il matrimonio, lasciando Matheson con il cuore spezzato. Nonostante la sua cecità, Matheson divenne pastore e predicatore e poi un accreditato studioso. Ogni settimana predicava a delle folle di più di millecinquecento persone senza poter vedere nessuna di loro. Si diceva predicasse
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così bene che la maggior parte di quanti lo ascoltavano non realizzasse che era cieco. La vita, però, non è priva di sfide per un predicatore cieco. Per la maggior parte della sua vita adulta, la sorella di Matheson, Jane, che non era sposata, si prese cura di lui. Si occupava della casa, cucinava i pasti e lo aiutava nella preparazione dei suoi sermoni. Fu anche una splendida amica e compagna. Fu la sera in cui Jane si sposò che George Matheson vergò le parole di “O love that will not let me go”. La scena del matrimonio aveva riacceso i sentimenti che aveva provato anni prima, quando era stato lasciato dalla sua amata fidanzata. A quanto pareva, ora stava per essere lasciato solo ancora una volta. La ferita del cuore infranto di George fu riaperta, ma stavolta egli riconobbe un amore che non l’avrebbe mai deluso, un amore che era stato lì tutto il tempo. Provò così intensamente la certezza dell’amore di Dio che gli ci vollero appena cinque minuti per vergare le parole dell’inno. Più tardi avrebbe ricordato che era anche il solo inno scritto da lui a non richiedere alcuna correzione. Quando scelsi il canto per la nostra festa di matrimonio, non avevo idea che avesse qualcosa a che fare con i matrimoni o i cuori spezzati. Se avessi conosciuto la triste storia che stava dietro l’inno, probabilmente ne avrei scelto un altro. Penso però che Gesù sapesse quello che stava facendo anni prima, quando guidò la mia mente a scegliere proprio questo canto.
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C’è una strofa, nell’inno di Matheson, che è diventata la mia preferita: Oh gioia che mi cerchi in mezzo al dolore, non posso chiuderti il mio cuore; inseguo l’arcobaleno in mezzo alla pioggia e sento che la promessa non è vana, che il mattino sarà privo di lacrime.4
L’arcobaleno nella pioggia, una promessa bellissima manifestata nel pieno di una stagione dolorosa, è più di una semplice figura retorica intensa. È un’allusione a Genesi 9, dove Dio pone un arcobaleno nel cielo dopo il ritiro delle acque del diluvio. Noè è in piedi che fissa il cielo su un lembo di terra asciutta appena riemersa. Ha perso molto. È tempo di ricominciare, tempo di ricostruire. Poi ascolta la promessa di Dio simboleggiata dall’arcobaleno: “Non ci sarà più diluvio per distruggere la terra” (Genesi 9:11). Tuttavia, l’arcobaleno non è soltanto un elemento decorativo; è molto più significativo di questo. Era un arco, come quello usato per scagliare le frecce, un simbolo e un’arma di guerra. Abbastanza stranamente, il Dio che aveva appena giudicato il mondo per il peccato con un diluvio globale, ora sta puntando quell’arma contro di sé. La promessa di Dio era un’embrionale proclamazione del vangelo. Il diluvio non aveva fatto nulla per ribalta 4 La traduzione presente in questo testo è una versione liberamente adattata dal traduttore (ndr).
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re la maledizione. Il mondo era ancora in rovina, i cuori delle persone ancora miserevolmente malvagi. Con quel colorato arco da guerra nel cielo, però, Dio promise di prendere sopra di sé la punizione per il peccato. Promise di occuparsi del peccato una volta per tutte. Ora possiamo guardarci alle spalle e vedere come questa promessa sia stata adempiuta nella morte in croce di Gesù. La rovina di questo mondo ha trovato la sua corretta soluzione. Le sofferenze che proviamo non sono più occasioni di disperazione. Sono soltanto le ultime frecce rimaste di un regno in declino. La croce proclama a gran voce che Dio è per noi, non contro di noi. Egli ci ama tanto da avere mandato il proprio Figlio a morire. Quando la vita giunge a un punto morto e le nostre peggiori paure sembrano avverarsi, possiamo incominciare a credere alla menzogna che Dio non è davvero poi tanto buono o che non ha davvero il controllo sull’universo. La croce, però, ci ricorda che in realtà Dio è così buono da essersi fatto carico al posto nostro dell’intero peso della sua stessa giusta ira. Grazie alla battaglia decisiva che è stata vinta al Calvario, possiamo avere la certezza che la guerra è già stata vinta, che la fine della storia è già stata scritta. Attenzione! Vi svelo il finale della storia: Dio vince. Il bene trionfa sul male. È il più lieto dei finali, quello che più di ogni altro dura per sempre. Dio è sempre sul suo trono e le nostre storie (non importa quanto possano esse-
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re dure da attraversare) sono intessute con delicata grazia nel mosaico della sua storia più grande. Oggi, quando ascolto “O love that will not let me go”, non penso al mio matrimonio o alle promesse infrante e neppure alla mia ex-moglie. Penso invece a Gesù e alla sua promessa di non lasciarmi e non abbandonarmi. Penso all’arcobaleno che Dio ha mostrato a Noè. Penso a ciò che ho perduto, ma poi penso al vangelo e alla croce. Aspetto impazientemente un futuro in cui la bontà di Dio avrà l’ultima parola. Sono pieno di speranza e posso anche volgermi a guardare il periodo più buio della mia vita e la sua mano benevola in azione.5
L’autoinganno mortale Nel futuro non vi sarà bisogno di un libro come questo. La stessa idea sembrerà strana. La Bibbia promette che verrà un giorno in cui Dio asciugherà ogni lacrima da ogni occhio. Non vi saranno più né lutto né sofferenza. Il mondo sarà rinnovato. Tragedie innominabili saranno redente. L’angoscia sarà un lontano ricordo. Pensa al dolore più grande che tu abbia sopportato: sarà completamente ripulito. Non posso spiegare in che modo esattamente questo avverrà, ma Dio trasformerà e rimodellerà il tuo 5 La frase idiomatica, utilizzata qui dall’autore in inglese, fa riferimento a Daniele 5:5-30 e quindi a un diretto intervento miracoloso di Dio, attraverso una mano che scrive su un muro una profezia inizialmente difficile da interpretare (ndr).
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dolore in qualcosa di bellissimo. Oggi, però, non è ancora quel giorno. Al momento, la creazione conosce soltanto i sospiri dell’attesa. Il mondo, che i figli di Dio un giorno abiteranno, non ha ancora visto la luce. Il peccato e il dolore sono ancora vivi e vegeti, forieri di oscuri presagi all’orizzonte. Delusioni e disastri sono all’ordine del giorno, irrompono e colgono di sorpresa anche il più saldo di noi. Nessuno è immune; nessuno è al sicuro. Naturalmente, in questo non c’è nulla di realmente nuovo. Sappiamo istintivamente che questo mondo è stato rovinato, che le cose non sono come dovrebbero essere. Ci confrontiamo con questa realtà ogniqualvolta qualcuno che amiamo muore, oppure quando veniamo a sapere che a un nostro amico è stato diagnosticato un tumore, oppure quando passiamo accanto a un senzatetto che chiede l’elemosina sul marciapiede. Nei recessi più profondi del nostro essere, sappiamo come sarebbero dovute andare le cose prima del peccato, prima della morte, prima della maledizione; così, quando veniamo a confrontarci con qualcosa che non va bene, indietreggiamo o alziamo la voce. Diventiamo consapevoli dello stato rovinoso di quanto ci circonda, anche quando sperimentiamo ciò che è davvero buono e bello. Lo sperimentiamo nell’amore e nell’allegria, nella buona musica e nel buon cibo. Come il canto di un uccello che echeggia fra le mura di una prigione, queste cose animano un desiderio sopito dentro
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di noi per un altro luogo, un luogo in cui non siamo mai stati. Questo però non c’impedisce di fingere di avere tutto quanto. Fra il tragico e il sublime c’è abbastanza vita da illuderci di non essere stati influenzati dal peccato. Forse è solo un metodo per reagire, una specie di tentativo di rimanere allegri, ma ci piace immaginare di avere scoperto il segreto per elevarci al di sopra di tutto questo. Persino nelle chiese (luoghi che dovrebbero essere noti come comunità di grazia) spesso le persone trovano più discreto nascondere il proprio dolore e mantenere le lotte con il peccato e la rovina ben celate nel più oscuro degli sgabuzzini. Se recitiamo abbastanza a lungo, possiamo ingannare perfino noi stessi. Possiamo incominciare a credere di avere trovato un modo per fuggire al dolore, per vivere senza desiderare che le cose siano rimesse in ordine. Naturalmente, nella nostra teologia, nulla cambia. Riconosciamo ancora che “tutti hanno peccato e sono privi della gloria di Dio” (Romani 3:23). Continuiamo a credere nella Bibbia e manteniamo una buona e solida dottrina evangelica. Nel nostro cuore, però, non sentiamo più il bisogno di un Salvatore. Raramente chiediamo misericordia e ci dimentichiamo il pentimento. Non prendiamo mai una consapevole decisione di vivere in questo modo, però a poco a poco ci discostiamo da Cristo, a piccolissimi passi, ma ogni volta sempre più lontano.
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In periodi come questi, la grazia più grande che possiamo ricevere è un colpo al cuore, una scossa capace di defibrillare l’anima e di riorientarla verso il nostro primo amore. È questo il motivo per cui ora ripenso al più stressante e doloroso periodo della mia vita e vedo all’opera la mano di Dio, che ha sapientemente gestito il peccato e i casi della vita, per il mio bene e per la sua gloria. E gliene sono riconoscente.
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Non era previsto un periodo post-matrimoniale nella vita di John Greco. Aveva appena accettato il lavoro dei suoi sogni come aiutante pastore, quando sua moglie gli annunciò che avrebbe divorziato. Nel giro di poche settimane, terminò il suo matrimonio e di conseguenza anche la sua carriera di pastore. Si sentiva ferito, arrabbiato e abbandonato da Dio. Come può un cristiano riconciliare la realtà del divorzio con la visione biblica del matrimonio? Come può un coniuge ferito perdonare? Dio è ancora buono, anche quando ci accade qualcosa di male? Ricordandosi le imbarazzanti conversazioni con le persone, i loro consigli benintenzionati, ma incapaci di consolare e il disperato senso di solitudine provato, Greco ha infine deciso di scrivere questo libro, nella speranza di fornire un aiuto pastorale a quanti conoscono il dolore acuto del divorzio e allo stesso tempo d’invitare tutti i cristiani a pensare biblicamente a quest’argomento. Per molto tempo dopo la fine del suo matrimonio, la domenica è stata il giorno più difficile della settimana. È sua speranza che pastori, leader di chiesa e altri cristiani possano trovare parole nuove e migliori da dire a chi soffre. Soprattutto, con questo libro ha voluto parlare agli altri della bontà di Dio. Il vangelo si applica davvero a ogni ambito della vita. Voti infranti unisce la storia personale di Greco con una visione biblica della sofferenza, per mostrare che Dio fa davvero nuove tutte le cose. John Greco vive ad Atlanta (Georgia) dove lavora come scrittore e redattore. Ha studiato presso il Gordon College e il Gordon-Conwell Theological Seminary. Scrive regolarmente sul suo blog BlogInMyOwnEye.com.
beedizioni.it