Data di prima immissione in edicola 2 aprile 2020
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C A N A P A E C U L T U R A - N. 16 - APRILE/GIUGNO 2020 - BELEAFMAGAZINE.IT
Ripartiamo Legalizzare la cannabis è un'opportunità. Ed è giusto farlo ora
CORSA ALL'ORO VERDE
Perché gli Usa sono molto più avanti rispetto all’Europa
BELEAF MEDICAL
Autocoltivazione, un sogno davvero realizzabile?
GREEN
Vestirsi con la canapa, dal fustagno ai denim
www.humboldtseeds.net
BeLeaf aprile-giugno 2020
CANNABIS MAGAZINE
Be Leaf Canapa e cultura Anno 5 – 2020 Be Leaf Magazine è una pubblicazione Mediapop Srls Via Siria, 24 – 00179 – Roma Registrazione al Tribunale di Roma N. 122 del 11-07-2016 Iscrizione nel Registro degli Operatori della Comunicazione n. 32686 Direttore Responsabile: Stefano Cagelli Direttore Editoriale: Stefano Minnucci Coordinatore editoriale: Agnese Rapicetta Redazione Elena Bittante, Daria Calandrelli Assistenza Legale: Avv. Aldo Baldaccini Collaboratori: Francesco Colonia, Riccardo Giorgio Frega, Leonardo Fiorentini, Maria Novella De Luca, Giancarlo Barbini, Matteo Mantovani, Marta Lispi, Emilio Vettori, Kail Bench, Claudio Miglio e Lorenzo Simonetti, Alessio Balducci, Teresa Della Pieve, Liza Binelli, Valeria Lorenzi, Andrea Vismara Progetto grafico: Patrizio Bagazzini Distribuzione edicole: ME.PE. distribuzione Stampato presso: CataPrint di Arti Grafiche Boccia Spa
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Copertina Legalizzare per ripartire
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Editoriale Non quando, ma come
Corsa all'oro verde “Vi spiego perché gli Stati Uniti sono così avanti rispetto all’Europa sulla cannabis”. Parla Francesco Costa
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Grow report Purple Afghan Kush: il sogno colorato dei mari del Sud
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Fiere ed eventi Canapa Mundi: più di 25mila presenze per una Fiera che non delude
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Carceri e diritti Cosa succederebbe alle carceri italiane se la cannabis fosse legale? Leggi e Parlamento “La canapa, un’eccellenza del Made In Italy” Intervista a Giuseppe L'Abbate
Grow report Auto Cinderella Jack, l’autofiorente con più del 25% di THC WhyNot? La vignetta di IvanArt
subito 18 Legalizzare Il supermercato del “dark
web”, un altro fallimento del proibizionismo
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40 Cannabiscienza Specializzazione:
Riclassificazione cannabis Cannabis e OMS. Quest’anno non basta una letterina a Babbo Natale La campionessa delle piante Sei buoni motivi (tra i tanti) per amare la canapa
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Consigli pratici per la coltivazione Diario di un grower italiano. Gli strumenti indispensabili per una perfetta coltivazione indoor
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Strain report Purple Punch, un sogno viola di resina
I volti della canapa “I pazienti non hanno tempo di aspettare”, lo Stato deve prenderne atto
endocannabinologia
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CANAPA MAGAZINE
Email: info@beleafmagazine.it Facebook: www.facebook.com/ BeLeafMagazine Instagram: www.Instagram.com/ beleafmagazine mondo dopo il Coronavirus 61 IlPerché non possiamo fare a meno della bicicletta per ripartire
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Cannabis medica Il rapporto tra cannabis e psicosi
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Cannabis medica Gli "altri" cannabinoidi: quali sono e cosa fanno
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Cannabis medica Autocoltivazione, un sogno realizzabile?
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Fotonotizia / 2 Nessun futuro senza rispetto
Distribuzione: distribuzione@beleafmagazine.it
Fotonotizia / 3 Battersi per chi ha di meno
Abbonamenti: abbonamenti@beleafmagazine.it
Ambiente Coronavirus, inquinamento e il nostro futuro sospeso
Ufficio stampa: ufficiostampa@beleafmagazine.it
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51 Green Magazine
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Territorio di cannabis Un Club con 800 soci nel cuore delle Alpi. La storia del CSC di Bolzano Cultura cannabica Tod Mikuriya, il “grandfather” della cannabis medica Cannabis medica Il diritto fondamentale dell’individuo alla libertà di cura non può e non deve essere violato. Due casi di tutela legale
Canapa alimentare È buona e fa bene: come puoi usare la farina di canapa Salute e benessere Cinque cose che devi sapere su cbd e meditazione Hempstory Vestirsi con la canapa: dal fustagno ai denim nella tradizione italiana Vivere con la canapa La casa dei sogni esiste già. Ed è fatta di canapa
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Bioedilizia “Costruire sostenibile con la canapa”. Una guida pratica per l'uso in edilizia
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Ambiente e inquinamento La canapa che cura la terra
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Italia Slow Tre libri per (non)perdersi fra i sentieri italiani
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Fotonotizia / 1 Bellezza da tutelare
Twitter: www.twitter.com/BeLeafMagazine
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Benessere e cultura Pellestrina, la Venezia che non ti aspetti
DISCLAIMER La redazione di BeLeaf e i suoi collaboratori non intendono in alcun modo incentivare nessuna condotta vietata dalla legge nei Paesi in cui la rivista viene distribuita. Tutte le informazioni contenute sono da intendersi solo ai fini di una più ampia cultura generale. La redazione non è in nessun modo responsabile di un eventuale uso improprio delle informazioni contenute nella rivista. Sia il possesso che la coltivazione di Cannabis in Italia sono vietati dalla legge. BeLeaf Magazine non è responsabile dei contenuti e dei prodotti presenti sulle pubblicità all’interno della rivista. COPYRIGHT I contenuti di questa pubblicazione possono essere liberamente riprodotti escludendo in qualsiasi modo i fini commerciali. In caso di riproduzione dei contenuti va obbligatoriamente citata la fonte completa di sito web: BeLeaf - Canapa e Cultura Beleafmagazine.it. SPONSOR 2 Humboldt - 4 Top Crop 6 Erba del Chianti - 12 Growerline 14 Hemphilia - 17 Centofuochi 19 Near The Dark - 21 Koppert 22, 23 Legal Weed - 30 Chacruna 33 Indoorline - 34 You Hemp 38, 39 Dinafem - 50 Barney’s 52 Ministry - 54 Monkey Soil 56 Dutch Trimming Company 60 Hemporium - 66 Why not 70 Buddha - 75 Dutch Passion 76 Canna
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Non quando, ma come Stefano Cagelli
i è capitato in questa lunga e, nel momento in cui scriviamo, ancora persistente quarantena forzata, di parlare con molte persone, di leggere un po’ di tutto, di ascoltare centinaia di voci autorevoli. Ma quella che mi ha più colpito è stata quella di un medico ultrasettantenne, di quelli che ne hanno viste tante. Un cardiologo alla vecchia maniera, che ha passato la vita a curare la gente e a riconoscere la malattia, le tante volte che l’ha vista, senza mai farsi prendere dall’ansia o dal panico. “Io una cosa del genere - mi ha detto il medico - non l’avevo mai vista né pensata. Non pensavo che nella mia carriera avrei dovuto assistere a una cosa così”. E invece è successo. Ciò che nessuno, davvero, si aspettava, è successo. Miliardi di persone chiuse in casa in tutto il mondo, una pandemia globale prima da tutti sottovalutata, poi giunta con violenza inaudita soprattutto in alcune zone e per determinate fasce di popolazione - e affrontata con l’istituzione di un vero e proprio regime di emergenza. Ovviamente in questa situazione ci sono Paesi che hanno reagito meglio e Paesi che hanno reagito peggio. Dentro gli stessi Paesi ci sono stati esempi virtuosi ed esempi disastrosi. Solo il tempo e un’analisi approfondita di ciò che è successo ci diranno chi ha fatto bene e chi ha sbagliato. Nel momento in cui scriviamo, in Italia, le vittime del Covid-19 sono 23mila. Tutte queste persone, queste vite spezzate, i loro parenti che il più delle volte non hanno nemmeno potuto salutarli, meritano di sapere come tutto ciò è potuto succedere. Ma ora si tratta anche di capire come uscire dall’emergenza. La “grande serrata”, lo dicono tutti gli addetti ai lavori (e non ci vuole un genio per capirlo), avrà conseguenze disastrose dal punto di vista economico. Il fatto che con ogni probabilità dovremo convivere con il virus ancora per parecchi mesi non agevolerà per niente le cose. Molti si chiedono,
comprensibilmente, quando si potrà tornare ad una vita normale. E’ ovvio che sia così, ci sono miliardi di persone nel mondo che hanno dovuto affrontare un cambiamento di stile di vita epocale nel giro di pochi giorni. Quello che bisognerebbe chiedersi con ancora più forza, però, è “come” ripartire e non solo “quando” farlo. Una settimana in più o in meno, in queste condizioni, sono importanti, ma non sono vitali. Ciò che è vitale è capire come creare una società nuova. Con nuove regole, nuove consuetudini, perché quelle che valevano fino a due mesi fa non sono più sufficienti. “Non torneremo alla normalità perché la normalità era il problema”, è la scritta che campeggia su un palazzo di Madrid, una delle città più colpite al mondo dall’epidemia. E’ il problema centrale. Come creare una nuova normalità? Una normalità rispettosa dell’ambiente in cui viviamo, rispettosa dei rapporti umani, degli equilibri naturali. Una normalità che faccia della cura delle persone e non solo del profitto e del progresso fine a se stesso un obiettivo da perseguire. Questo maledetto virus ci ha sbattuto in faccia una verità cruda. E’ arrivato dal nulla a dirci che così non si può più andare avanti. Quello che avremmo già dovuto capire da anni, con continenti interi che prendono fuoco, altri che si sciolgono, centinaia di milioni di persone in marcia alla ricerca di un futuro migliore, città collassate dal traffico, dall’aria irrespirabile, da cumuli di rifiuti. E l’elenco potrebbe continuare all’infinito. Ecco perché è importante il quando ma è ancora più importante il come. Solo così, solo con un cambiamento profondo, ragionato, consapevole, potremo dire che il sacrificio di vite umane, l’eroismo professionale del personale sanitario, lo stress fisico e psicologico a cui tutti sono stati sottoposti in questi mesi non sia del tutto inutile. Dipenderà da chi ci governa, certo. Ma dipenderà anche dalla scelte che tutti noi faremo ogni giorno.
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EDITORIALE
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COPERTINA
Legalizzare per ripartire Diamo una chance alla canapa per risollevare la nostra economia agnese rapicetta
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ipartiamo. Non sarà facile e non sarà indolore. Le conseguenze della pandemia da coronavirus nel mondo fanno davvero paura dal punto di vista economico. Il “Great Lockdown” - definizione del Fondo monetario internazionale - al quale è sottoposta l’economia mondiale - potrebbe portare alla più ampia contrazione del prodotto interno lordo dai tempi della Grande Depressione. Si tratta di una crisi globale, senza precedenti per dimensione, che si abbatte allo stesso modo sulle economie avanzate e sui paesi in via di sviluppo, ma che avrà effetti differenziati in base al periodo nel quale si è inizialmente diffuso il contagio e alle condizioni di partenza dei diversi sistemi economici. L'Italia, inutile dirlo, pagherà un prezzo molto alto. Per questo, chi pensa che ripartire voglia dire tornare al modello di sviluppo economico che abbiamo avuto finora, non ha capito niente. Il capitalismo e la globalizzazione hanno mostrato tutti i loro limiti e devono essere in qualche modo superati. Non è una questione ideologica, ma di sopravvivenza.
QUANTI POSTI DI LAVORO SI POTREBBERO CREARE IN ITALIA SE SI LEGALIZZASSE LA CANNABIS?
PIÙ DI 350MILA FONTE: MARCO ROSSI, UNA VALUTAZIONE ECONOMICA: LEGALIZZARE CONVIENE (CON QUALCHE ACCORGIMENTO), 2018
Come fare? Lo dicevamo, non è semplice. Si tratta di immaginare modelli alternativi e inediti, si tratta di superare pregiudizi e scommettere. E' in questo scenario che non può non diventare protagonista anche la canapa. Il mondo dell'antiproibizionismo - e non solo stima da anni le potenzialità del settore nel nostro Paese: secondo uno studio dell'Università degli studi di Messina, se si legalizzasse la cannabis lo stato potrebbe guadagnare ben 6 miliardi di euro l'anno (con innumerevoli benefici diretti e indiretti). Un 'tesoretto' davvero utile. Già dai primi giorni del lockdown è stato possibile vedere gli effetti sul mercato della cannabis attualmente consentita, quella light. Da un giorno all'altro, infatti, i servizi di delivery di cannabis a basso contenuto di Thc hanno incrementato
tre volte tanto i propri fatturati, mostrandoci un mercato sottostimato. Le restrizioni che hanno costretto gli italiani nelle loro case, hanno portato alle aziende che vendono cannabis molti nuovi clienti, che prima non consumavano questi prodotti ma che hanno deciso di fare ricorso alla cannabis light per superare lo stress del momento. Molto probabilmente questi clienti erano soliti rivolgersi al mercato nero. In questo modo si è fatto un doppio servizio: da un parte si è tolta linfa alla criminalità organizzata, dall'altra si è tutelata la salute dei consumatori con prodotti certificati. Facile pensare che cosa realisticamente potrebbe avvenire se si decidesse di legalizzare le droghe leggere. Per non rimanere solo nel mondo delle ipotesi basta dare un'occhiata ad uno dei paesi dove la legalizzazione è ormai una certezza: gli Usa. I profitti degli Stati che hanno autorizzato la legalizzazione, ci dice l’Eurispes nel suo rapporto annuale, hanno visto una rendita che ha raccolto circa un miliardo di dollari nel solo 2018, con un aumento del 57% degli introiti fiscali rispetto al 2017. Un incremento dovuto, in parte, proprio all’inizio delle vendite liberalizzate in California ed alla rapida crescita in altri Stati come Alaska, Colorado, Nevada, Washington ed Oregon. Le tasse riscosse dalla cannabis legale in questi Stati (1,04 miliardi nel 2018) sono già in competizione col livello di tasse provenienti da tutti i tipi di alcool, che si fermano a 1,16 miliardi. Anche in questo periodo di pandemia, la vendita di cannabis è stata salvaguardata e ritenuta un bene essenziale; i dispensari che la vendono sono rimasti aperti, soprattutto per non lasciare senza i pazienti che si curano con la terapeutica. Quali sono le categorie professionali che hanno beneficiato della legalizzazione della cannabis in Usa? Sono tante e variegate. Si parte dalle migliaia di piccole e piccolissime aziende agricole a conduzione familiare che coltivano piantine ma esiste anche tutto un mondo di servizi che gravita intorno alla cannabis e che sta diventando grande: prodotti per la coltivazione, derivati della canapa, cibo, cosmetica, accessori e strumenti per l'assunzione, tessuti e chi più ne ha più ne metta.
SE TUTTI GLI STATI MEMBRI DELL'UE LEGALIZZASSERO LA CANNABIS, QUALE MERCATO SI POTREBBE GENERARE?
CIRCA 123 MILIARDI DI EURO ENTRO IL 2028 FONTE: PROHIBITION PARTNERS
Queste attività commerciali producono un viavai di clienti che ha fatto beneficiare intere zone di grandi città americane. Da ghetti o quartieri malfamati a distretti ripuliti e riqualificati, tanto che i prezzi degli immobili si sono rivalutati anno dopo anno, per la gioia dei proprietari. Oggi vivere vicino ad un dispensario è considerato un valore aggiunto. Sono poi davvero tante anche le attività del terzo settore stimolate dalla legalizzazione. Prendiamo ad esempio il caso dell'Oregon. In questo Stato si applica un sistema di controllo qualità sulle infiorescenze pre-vendita: pertanto sono nati laboratori specifici per analizzare ed etichettare i prodotti ma anche agenzie assicurative. Da non sottovalutare il movimento di braccianti che si muovono nel periodo del raccolto portando indotto nelle città e riempiendo ristoranti, bar, negozi di alimentari, affitti brevi delle case o autonoleggi e così via. Insomma la realtà di chi ha fatto già questo passo non lascia dubbi: legalizzare conviene. Farlo oggi, nel mezzo di una crisi economica senza precedenti, diventa quasi un obbligo morale. Soprattutto per il nostro Paese. Si spera che, almeno questa, sia la volta buona per affrontare in modo serio e responsabile un tema che può fornire davvero opportunità, crescita e posti di lavoro (più di 350mila). Oltre, e non siamo noi a dirlo ma la Direzione nazionale antimafia, anche uno stop allo strapotere delle mafie nel nostro Paese.
QUANTO VALE IL MERCATO DELLA CANNABIS IN ITALIA?
CIRCA 30 MLD PARI AL 2% DEL PIL NAZIONALE FONTE: DIREZIONE NAZIONALE ANTIMAFIA
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COPERTINA
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CORSA ALL’ORO VERDE
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“VI SPIEGO PERCHÉ GLI STATI UNITI SONO COSÌ AVANTI RISPETTO ALL’EUROPA SULLA CANNABIS”. PARLA FRANCESCO COSTA Stefano Cagelli
M FRANCESCO COSTA
entre in Europa la politica arranca, si divide, si fa condizionare, al di là dell’Oceano ormai l’hanno capito: la cannabis è un’opportunità e quanto successo negli ultimi anni lo dimostra. Ne abbiamo parlato con Francesco Costa, vicedirettore de Il Post, uno dei massimi esperti di politica americana in Italia, autore del podcast di successo “Da Costa a Costa” e da qualche mese sbarcato in libreria con il libro “Questa è l’America. Storie per capire il presente degli Stati Uniti e il nostro futuro”, edito da Mondadori.
Undici Stati in cui la cannabis è legale per l’uso ricreativo (altri tre in rampa di lancio), la stragrande maggioranza che ha a vari livelli liberalizzato l’uso medico, il governo federale che ha approvato il cosiddetto Hemp Bill, che incentiva la coltivazione e la filiera della canapa. Tutti i sondaggi danno una netta maggioranza di persone a favore della legalizzazione. E’ sbocciato l’amore tra gli Stati Uniti e la cannabis? E se sì, perché? “Gli Stati Uniti sono un Paese grandissimo e federale, quindi è difficile fare un discorso generalizzato. Detto questo, è vero che c’è una progressione che va in quella direzione. E che sembra sul punto di scollinare quello che è stato il principale ostacolo fino ad ora: per quanto i singoli Stati abbiano approvato norme a vari livelli, il governo federale considera ancora la produzione, l’uso e il consumo di cannabis a scopo ludico e medico come un’attività illecita. Questo crea un sacco di problemi, ne cito uno: ci sono molte banche che si rifiutano di aprire conti correnti a chi lavora con la cannabis e questo fa sì che in molti Stati questa industria sia basata ancora sul contante”. Addirittura Trump, che durante la campagna elettorale del 2016 e nel corso dei primi anni della sua amministrazione aveva dichiarato guerra agli Stati che legalizzano, si è via via defilato e ha ammainato la bandiera del proibizionismo. Un segnale di intelligenza da parte del presidente americano?
“Soprattutto è il segnale che opporsi alla produzione e al commercio della cannabis non è un tema che porta voti. Farne una battaglia di bandiera non conviene a coloro che si sono sempre dichiarati contrari e questo è un indice che fa essere molto ottimista l’industria in generale. Quando le cose sono così, negli Stati Uniti, di solito, quello che fa il governo federale è chiudere un occhio nei confronti delle iniziative dei singoli Stati. Washington, volendo, potrebbe trascinare in tribunale gli Stati che hanno legalizzato la marijuana a scopo ricreativo, ma non lo fa perché non ha senso che lo faccia. Ciò che potrebbe sbloccare la situazione è una decisione del governo federale oppure una mossa dei tribunali, della Corte Suprema per esempio, che potrebbe esprimersi dicendo che questo divieto non è argomentato da motivazioni razionali”.
Politica, economia, cultura: sono diverse le motivazioni alla base del pesante scarto che in questi anni ha contraddistinto le scelte da una parte all’altra dell’Oceano. Negli Usa si è capito che dietro la legalizzazione ci sono diverse opportunità
Tra I candidati alle primarie democratiche Bernie Sanders, poi ritiratosi dalla corsa, è stato l’unico che ha parlato esplicitamente di una legge per legalizzazione la cannabis in tutti gli Stati. Gli altri, a cominciare da Joe Biden, o non ne hanno parlato o si sono tenuti sul vago. E’ ancora rischioso affrontare la questione a viso aperto? “E’ un tema ancora percepito come rischioso, ma non credo realmente che lo sia. Tutti sono d’accordo sulla cannabis ad uso medico, su quello non ci sono divisioni, è una questione ampiamente sdoganata anche nei settori del partito democratico più moderati o conservatori dal punto di vista sociale. Sul piano dell’uso a scopo ricreativo, credo che stiano dando una grossa spinta in senso liberalizzatrice le esperienze degli Stati che hanno già attraversato questo ponte, su tutti la California, che è uno Stato che vale una potenza mondiale in termini di popolazione, di Pil e di rilevanza. Non credo che un eventuale presidente Biden si troverà timido in questo senso: sicuramente non metterà bastoni tra le ruote a nessuno e, perché no, potrebbe spingere il Congresso ad approvare una norma, magari all’interno di un pacchetto più ampio, per la legalizzazione della vendita ricreativa di cannabis a livello federale”. Il caso che fa scuola è quello del Colorado, il primo Stato a legalizzare nel 2014. I dati parlano di un calo drastico del mercato nero, di consumi che non sono cresciuti, di un tornaconto economico - sotto forma di introiti per lo Stato e creazione di posti di lavoro - di tutto rilievo. Tanto che,
appunto, l’esempio è stato seguito da altri Stati e anche dal Canada a livello nazionale. “Quello del Colorado è un caso molto interessante anche dal punto di vista anche politico. Il governatore all’epoca era John Hickenlooper - oggi ritiratosi prestissimo dalla corsa alla Casa Bianca e candidato sempre in Colorado per il Senato - e non è uno che si possa ricondurre all’area di Sanders, non è un socialista né un radicale. Anzi, è un uomo molto moderato, che viene dal mondo del business. Ma proprio per questo è un pragmatico e si è reso conto non solo che gli argomenti contro la legalizzazione erano deboli (lui all’inizio era contrario), ma che l’argomento forte era di tipo economico. Siamo negli anni dopo la crisi, quell’area del Paese nel 2014 faceva fatica a riprendersi e invece oggi il sud-ovest degli Stati Uniti è un’area che cresce a ritmi altissimi. Questo per dire che non serve essere un radicale per superare i pregiudizi e guardare alle cose con il giusto approccio”. Davanti a tutto questo, viene inevitabile chiedersi perché l’Europa sia così indietro da questo punto di vista. “Credo che il sistema politico americano, essendo incentrato su un legame diretto tra i politici e gli elettori, riduca molto l’influenza culturale che in Italia, per esempio, hanno le organizzazioni religiose e tutte le persone e gli enti che storicamente considerano la cannabis come una droga al pari delle altre sostanze stupefacenti, dalla cocaina all’eroina. Dall’altra parte dell’Oceano mi sembrano più pronti ad affrancarsi rispetto a queste convinzioni che risalgono a venti o trent’anni fa, mentre l’Europa appare molto meno dinamica anche nel rinnovare la sua classe politica. C’è ancora uno stigma in Italia sul consumo di cannabis ad uso ricreativo, mentre negli Stati Uniti il racconto è molto diverso e questo ha contribuito a superare un enorme massa di pregiudizi anche a livello di cultura popolare”. Che poi è il motivo per cui la destra e in particolare Salvini - che in molti aspetti prende esempio dal presidente Usa - continua invece a ritenere utile al consolidamento del suo consenso la lotta comunicativa alla cannabis, addirittura nella sua forma light. “Anche perché noi abbiamo un’idea che il consumo di droga vada combattuto esclusivamente con la repressione. Da questo punto di vista, invece, l’America ha fatto enormi passi avanti. Ha dovuto cambiare atteggiamento al modo in cui ci si rapporta con chi consuma sostanze stupefacenti, anche le più pesanti. Ha dovuto farlo di fronte al dramma dei farmaci antidolorifici che hanno portato all’abuso di eroina, ha dovuto mettere le mani dentro questi temi, andando oltre la retorica che invece viene ancora utilizzata in Italia”.
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COSA SUCCEDEREBBE ALLE CARCERI ITALIANE SE LA CANNABIS FOSSE LEGALE?
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Sofravvollamento carcerario e proibizionismo: quel legame fatale che dobbiamo tagliare Francesco Colonia
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on l'insorgere del Coronavirus sul nostro territorio è tornata alla luce un problema annoso e mai veramente affrontato e, soprattutto, risolto: il sovraffollamento delle carceri. Tutti concentrati su cosa fare e come affrontare 'fuori' il nemico invisibile che ha provocato tanti morti e dolore, non abbiamo pensato a quello che sarebbe potuto succedere dietro le sbarre. E così, da un giorno all'altro, i detenuti si sono ritrovati ancora più isolati. E soprattutto molto più preoccupati perché mettere in pratica le regole del distanziamento sociale in una condizione di sovraffollamento è praticamente impossibile. Ma non solo: anche garantire igiene personale, sanificazione e isolamento diventa una chimera, come ha detto Luigi Manconi, Presidente della commissione straordinaria per la tutela e la promozione dei diritti umani. I garanti delle persone private della libertà nominati dalle Regioni, dalle Province e dai Comuni italiani, insieme agli stessi detenuti, si sono affrettati a chiedere che fossero individuati mezzi e risorse necessari per l’accoglienza dei condannati ammissibili alla detenzione domiciliare affinché si portasse nel giro di pochi giorni la popolazione detenuta sotto la soglia della capienza regolamentare effettivamente disponibile di 50 mila unità, prevista dalla legge. Questa richiesta è stata accolta soltanto in parte dal 'Decreto Cura Italia' ma non ha ovviamente risolto il problema. Una volta superata l'emergenza Covid, ci renderemo conto che nulla è cambiato. Il problema è infatti strutturale e va affrontato con molta urgenza. Nel nostro Paese si deve partire necessariamente dalla revisione totale del Testo unico sulle droghe se si vuole incidere veramente. Solo così si potrà risolvere, non solo il sovraffollamento delle carceri, ma anche l’ingolfamento del sistema giudiziario, permettendo alle forze dell’ordine di concentrarsi su emergenze più serie e più pericolose. I dati parlano chiaro: un detenuto su tre è in carcere per reati legati alla droga. E quello che più sorprende è che la sostanza che viene più perseguita è la cannabis, la sostanza meno pericolosa. Riguardano la cannabis il 58% delle operazioni antidroga, il 96% dei sequestri e il 48% di tutte le denunce alle autorità giudiziarie. Insomma, i cannabinoidi costituiscono il principale impiego di energie e risorse dell’apparato di polizia e giudiziario impegnato nella repressione penale della circolazione di sostanze stupefacenti illegali. Possiamo dire, senza paura di essere smentiti, che è davvero un’assurdità.
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CARCERI E DIRITTI
Rivedere il Testo Unico 309 del 1990 non è quindi più rimandabile anche perché è un testo ormai obsoleto che cerca di risolvere il 'fenomeno droga' attraverso un approccio ideologico che inasprisce il trattamento sanzionatorio delle condotte legate al consumo e al traffico di sostanze stupefacenti. Certo la sua 'evoluzione, la legge Fini-Giovanardi, era riuscita a far peggio, avendo il demerito di aver riempito le carceri di giovani consumatori (si pensi che nel 2009 i detenuti per reati di droga erano il 41,56% del totale; con l’abrogazione per incostituzionalità della Fini-Giovanardi si è verificato un calo immediato al 35,3% del 2014, fino ad arrivare al 33,9% del 2015). In ogni caso si può dire che l’Italia ha sempre governato il fenomeno droga con leggi punitive e demagogiche. E i risultati si sono visti. E' questo il momento per cambiare totalmente approccio. Sappiamo che legalizzare le droghe leggere è uno strumento in mano allo Stato per contrastare la criminalità organizzata. Non siamo solo noi a dirlo, lo dice la Direzione distrettuale Antimafia, che la indica come “un metodo rilevante”. La regolamentazione di questo mercato porterebbe dei benefici diretti su molti fronti, non solo in termini di sovraffollamento ma anche in termini di riduzione delle spese di repressione e di ordine pubblico e sicurezza. Di quanto? Il professor Ferdindando Ofria, professore associato all’Università di Messina e il suo team, ha calcolato in 541,67 milioni la diminuzione per le spese di magistratura carceraria (calcolata sul numero di detenuti arrestati per possesso di droga leggera e detenuta in carcere) e 228,37 milioni di euro per spese legate ad operazioni di ordine pubblico e sicurezza.
“LA CANAPA, UN’ECCELLENZA DEL MADE IN ITALY” stefano minnucci
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a Cannabis sativa, a causa delle criticità della 242/2016, continua ancora ad essere vittima di grandi pregiudizi, considerata addirittura una droga e non una pianta industriale. Eppure, basterebbero un paio di integrazioni alle leggi esistenti per eliminare la minaccia del reato penale (il 73 del DPR 309/1990). C'è la volontà politica, oggi, di colmare quei vuoti normativi? A causa di più di un secolo di disinformazione e pregiudizi, tante persone ancora oggi fanno molta confusione tra Canapa Industriale (Sativa) e Cannabis (Indica). A dare una base giuridico-scientifica ad una distinzione totalmente arbitraria fu nel 1971 un ricercatore canadese, Ernest Small, che da una parte sosteneva che non esisteva alcun confine scientifico nel quale distinguere in base al contenuto di THC tra canapa e marijuana, ma che se questo confine doveva essere posto, poteva essere in una concentrazione di THC allo 0,3%. Successivamente, negli anni novanta, il limite fu innalzato allo 0,5% e questo limite è rimasto, anche in Italia, nella normativa a carattere penale. Con la legge n. 242/2016, che è una legge sulla canapa industriale (sativa), è stata resa legale in Italia coltivazione di canapa proveniente da varietà certificate, iscritte al Catalogo comune delle varietà delle specie di piante agricole, ai sensi dell’articolo 17 della direttiva 2002/53/CE del Consiglio, del 13 giugno 2002. Gli ambiti della 242 sono quelli leciti, la Canapa industriale è un prodotto agricolo come viene detto dalla normativa comunitaria. Quindi a chiarire la confusione tra stupefacenti e Canapa, interviene anche il Trattato sul Funzionamento dell’Unione europea, in cui la “canapa greggia, macerata, stigliata, pettinata o altrimenti preparata, ma non filata”, viene considerata prodotto agricolo. Nel 2015 il regolamento comunitario 220 ribadisce questo punto qualificando la Canapa come prodotto industriale, mentre il regolamento (CE) n. 1308/2013 sull’organizzazione del mercato comune dei mercati dei prodotti agricoli, all’art. 189, stabilisce le condizioni per l’importazione dei prodotti di canapa in UE e fissa nello 0,2% il limite di THC per l’importazione di canapa greggia, sementi destinate alla semina, nonché diversi da quelli destinati alla semina, tanto da prevedere precisi codici doganali. Tornando alla L.242/2016, il primo vulnus della normativa sta nel non aver altrettanto meglio specificato quale limite dello stesso principio attivo THC si doveva prevedere negli alimenti a base di canapa, lasciando l’onere della definizione dei limiti ad un decreto del Ministero della Salute. Questo DM 4/11/2019, pubblicato nella GU 11/2020, ha fissato, in via definitiva, i limiti di THC in 0,2 mg/kg per semi, farina e integratori e in 0,5 mg/kg per l’olio ottenuto dai semi di canapa. L’altro punto molto attenzionato è quello relativo alle infiorescenze che se detenute dall’agricoltore secondo i dettami della L.242/2016 sono perfetta-
“Non servono nuove leggi, serve chiarezza nelle norme”. Parla Giuseppe L’Abbate, sottosegretario per le Politiche Agricole mente lecite e diventano illegali nel momento in cui passa al negozio senza un puntuale accertamento del contenuto del principio attivo THC, che deve essere al disotto della soglia 0,6%. Considerato che il livello di THC varia a seconda del periodo, delle condizioni pedologiche e della varietà, l’intervento del Mipaaf sarà quello di supportare la filiera creando sinergie tra istituzioni e mondo della ricerca per aiutare a decollare anche questo segmento creando un’uniformità normativa anche con altri Paesi europei. L’impegno del Ministero delle Politiche Agricole e del Governo sarà massimo per consentire agli imprenditori agricoli italiani di svolgere un ruolo da protagonista nello sviluppo del mercato mondiale della canapa industriale. Personalmente sono disponibile per qualsiasi incontro e confronto. A causa di queste incertezze, molte aziende hanno dubbi ad investire nel nostro Paese. Un esempio su tutti è la multinazionale canadese Canapar che, dopo aver investito oltre 20 milioni di dollari in Sicilia per nuovi impianti di estrazione, ha annunciato che sarà costretta a guardare alla Bulgaria per reperire la materia prima di cui ha bisogno. Questo sta accadendo anche ad altre realtà, a chi giova perdere un treno così economicamente ghiotto come la quello della canapa? La normativa comunitaria e la legge n. 242/2016 permettono la coltivazione di canapa industriale proveniente da varietà certificate, ovvero quelle iscritte al Catalogo comune delle varietà delle specie di piante agricole e a basso contenuto di THC senza danni e pericoli per l’imprenditore agricolo, in quanto si tratta di un “prodotto agricolo” per espressa definizione del Trattato sul Funzionamento dell’Unione Europea. Tutto ciò che riguarda invece la trasformazione della canapa per uso medicale ha, invece, bisogno di maggiore attenzione. In tale direzione si sta anche procedendo con un’attività di approfondimento scientifico che oltre a dare le evidenze scientifiche può supportare l’estensore delle norme. Sicuramente la creazione di una Banca del seme che possa favorire la moltiplicazione del seme italiano nonché l’avvio di percorsi specifici per valorizzare i vari comparti di utilizzo della canapa sono fattori fondamentale per sviluppare una filiera italiana. Lei ha menzionato più volte l’esigenza di un tavolo tecnico composto da politici e addetti al settore che permetterebbe di ragionare
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seriamente sulle tante criticità ideologiche esistenti. È un'opzione fattibile e concreta? L’istituzione di un tavolo di filiera con competenze eterogenee che contribuiscano a chiarire quello che si deve fare e in che direzione andare per costruire una filiera completa e assicurare una buona redditività agli imprenditori agricoli che investono in tale coltivazione ritengo sia un passo fondamentale per il settore. Quindi non servono altre leggi, serve logica, buon senso, servono interpretazioni delle norme esistenti, perché avere chiarezza della norma permette agli imprenditori di essere sicuri e di non avere problemi se investono in questa produzione. Serve chiarezza perché la canapa è un prodotto innovativo che può contribuire a rafforzare il Made in Italy. Per questo, occorre maggiore preparazione tecnica da parte degli operatori del settore. Occorre alzare il livello delle competenze e del dibattito in modo da permettere di cogliere tutte le opportunità offerte da questa coltivazione. Vorrei avviare il tavolo canapa per approfondire tutte le questioni del settore separando le questioni di diretta competenza del dicastero alle Politiche agricole dalle altre che andranno esaminate con gli altri ministeri coinvolti. Il tavolo dovrebbe avere il compito di definire le attività da intraprendere per il sostegno del settore, a partire da un'analisi del comparto che ne metta in luce le potenzialità e i punti di debolezza, individuando le linee di ricerca che risulta più urgente perseguire, favorendo lo scambio di informazioni di natura tecnica e scientifica e indirizzando al contempo l'utilizzo delle risorse a disposizione. In particolare, l'attivazione della filiera alimentare, con la produzione di semi, farina e olio, particolarmente interessante per gli agricoltori che realizzerebbero a prezzi remunerativi un prodotto molto ricercato dal mercato e il cui approvvigionamento avviene attualmente principalmente attraverso l'importazione. In tale ottica, il tavolo potrebbe contribuire a fare chiarezza allo scopo di permettere, da un lato, al produttore di operare in piena sicurezza e, dall'altro lato, al consumatore di acquistare un prodotto salubre e sicuro. Entrando nello specifico su alcune criticità, durante un recente incontro organizzato da Federcanapa Lei ha parlato di possibili interventi sul Collegato Agricolo. Quali sono i tempi e che tipo di cambiamenti ritiene plausibili? Superata l’emergenza Coronavirus, avremo modo di poter
lavorare anche sul Collegato Agricolo dove dovrebbe essere prevista una parte dedicata alle singole filiere. A tempo debito, saranno fatte tutte le dovute valutazioni nell’interesse del settore. Parlando invece di canapulo, se venisse riconosciuto a livello ministeriale il settore ne gioverebbe molto. La certificazione delle materie prime o alcune linee guida permetterebbe, ad esempio, un utilizzo molto più semplice del mattone in canapa nel settore edile. Pensa sia un argomento che il ministero dell’Agricoltura potrebbe affrontare? Non sussistono limiti da parte della L. n. 242/2016 in quanto, anche volendo interpretare in maniera tassativa l’elenco di cui all’art. 2, appare di tutta evidenza come vi sia un elenco piuttosto ampio di prodotti che si possono ottenere con la canapa sativa L. coltivata. Si tratta di una legge che ha come fine principale di incentivare lo sviluppo di una filiera produttiva, incentivando la ricerca e lo sviluppo scientifico intrinsecamente volte a realizzare prodotti innovativi che ancora non esistono sul mercato. Sicuramente è opportuna una regolamentazione che consenta la commercializzazione dei prodotti rispettando tracciabilità ed etichettatura. In particolare, il canapulo o residuo legnoso, da lei citato, è già un prodotto agricolo che oggi ha diversi impieghi che vanno dall’edilizia alla trasformazione in pellet da riscaldamento. Il canapulo viene utilizzato per produrre un biocomposito costruttivo detto calce-canapa. La frazione del canapulo che rappresenta 2/3 della biomassa secca prodotta dalla coltivazione, che tradizionalmente era bruciata, oggi con riferimento proprio alle normative europee sull’isolamento acustico oltre che termico è divenuto un attore importante nella filiera della Canapa. La questione importante relativamente all’ottenimento di questo prodotto è che sono necessari investimenti consistenti in macchinari e strutture di trasformazione. L’impegno del Mipaaf sarà quello di inserire a pieno titolo la canapa industriale e i suoi derivati nella programmazione strategica della PAC 2021-2027 per consentire l’attuazione di interventi aziendali mirati. La crescita della filiera ha bisogno di molte risorse. Servono impianti, macchinari, essiccatori. Gli investimenti previsti dalla legge 242 per innovare il settore però sono bloccati, che futuro vede? Non ci sono ad oggi risorse destinate al settore della canapicoltura, nonostante siano previste dalla legge 242 all'articolo 6 per “favorire il miglioramento delle condizioni di produzio-
ne e trasformazione nonché il finanziamento di progetti di ricerca e sviluppo per la produzione e i processi di prima trasformazione, per la ricostituzione del patrimonio genetico e l'individuazione di corretti processi di meccanizzazione”. La previsione di risorse per incentivare la filiera rende prioritaria e necessaria una reale cognizione della concentrazione della produzione sui territori che ancora non abbiamo. Con il supporto del tavolo di filiera una delle cose che sicuramente dobbiamo fare è l’individuazione dei possibili beneficiari per i quali stanziare risorse. Le contribuzioni e le agevolazioni dovrebbero poter giungere anche agli imprenditori agricoli per la promozione della coltivazione e della filiera agroindustriale della canapa. Come ho già detto in altre occasioni, quello della Canapa è definito dagli statunitensi come settore domino in quanto in cascata crea delle economie in tanti comparti, alimentare, tessile e tanti altri ed è su questo che dobbiamo lavorare. Il settore sta attraversando un periodo davvero duro, condizionato da una caccia alle streghe e da un’ondata culturale che identifica la pianta come una droga. Pensa che i tempi siano maturi per cambiare questo atteggiamento? Una delle attività del ministero dovrebbe essere proprio la corretta informazione sulla realtà del settore e sulle produzioni, promuovendo l’intero comparto e mettendo in primo piano le nuove applicazioni a più alto valore aggiunto tra cui quello alimentare. Sicuramente il clamore mediatico e le strumentalizzazioni sulla commerciabilità della cd. cannabis light, non hanno
aiutato a comprendere la realtà e le differenze con i prodotti a base di cannabis sativa L, catturando l’attenzione dell’opinione pubblica sull’aspetto ludico della stessa ma non sull’importanza che le infiorescenze potrebbero rappresentare per l’estrazione di principi attivi molto utili in campo medicale e nutrizionale. Ora, anche alla luce della sentenza del 30.05.2019 che, ribadisce come non costituisca reato la commercializzazione al pubblico di prodotti derivati dalla coltivazione di cannabis sativa L. con valori di THC inferiori allo 0,5%, lo scenario appare indubbiamente più chiaro. È, quindi, la destinazione di utilizzo che rende lecita la Canapa. Le sei destinazioni dalla lettera A alla lettera G previste dalla legge 242 determinano la liceità dei prodotti. Tutto il resto dovrà essere valutato caso per caso sotto il principio dell’efficacia drogante. Ecco che siamo di fronte ad una interpretazione chiara per quanto riguarda le fasi post raccolta e, esclusa la rilevanza penale, nel nostro ordinamento non sussistano ulteriori divieti alla commerciabilità di tali prodotti. Svanito questo dubbio si può riprendere il discorso e andare nella giusta direzione. Credo che i tempi siano maturi dal punto di vista culturale per superare alcuni blocchi che, per forza di cose dopo cinquant’anni di disinformazione, hanno creato una barriera difficile da demolire. Grazie alla spinta di associazioni, delle imprese agricole, è arrivato il momento di fare passi avanti.
www.centofuochi.it
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LEGALIZZARE SUBITO
IL SUPERMERCATO DEL “DARK WEB”, UN ALTRO FALLIMENTO DEL PROIBIZIONISMO Riccardo Giorgio Frega
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i credereste se vi dicessi che chiunque può acquistare cannabis e hashish sul dark web, in maniera totalmente anonima e sicura, e che è talmente facile che anche un ragazzino di 14 anni ne sarebbe in grado? È quanto abbiamo dimostrato nel decimo episodio del podcast antiproibizionista “Stupefatti”, intitolato “Il lato oscuro”, ed è il frutto delle nostre ricerche sulle nuove tecnologie applicate al traffico illegale di stupefacenti. Il dark web è una porzione di internet che non viene indicizzata dai comuni motori di ricerca, non è possibile quindi accedervi partendo da Google. Al suo interno si trovano centinaia di siti specializzati che vendono e recapitano in tutto il mondo ogni sorta di sostanza illegale. Ciò che in molti ignorano è quanto sia facile e sicuro accedervi e fare acquisti. Per farlo occorre dotarsi di un programma per mimetizzare e occultare la propria navigazione in internet chiamato VPN. È un servizio in abbonamento che chiunque può sottoscrivere al costo di poche decine di euro l’anno. Inoltre si deve utilizzare un software gratuito chiamato TOR, che permette di comunicare con internet in maniera assolutamente anonima. È importante precisare che né TOR né le VPN sono strumenti
illegali, sono anzi risorse preziosissime che servono per tutelare la libertà e la privacy di milioni di persone nel mondo e vengono comunemente usati, a titolo esemplificativo, da dissidenti e giornalisti per difendersi dalla repressione politica e dalla censura nei Paesi soggiogati da regimi autoritari. Usando queste tecnologie chiunque può quindi navigare senza correre il rischio di venire spiato o controllato. A questo punto tutto quello che resta da fare è trovare il sito di un venditore. Su internet sono facilmente reperibili centinaia di elenchi, sempre aggiornati, di indirizzi dark web suddivisi per vere e proprie categorie merceologiche. Ciò che colpisce di questi negozi online illegali è la facilita di utilizzo e l’immediatezza dell’interfaccia utente: sono del tutto equiparabili ad eBay o Amazon. C’è la possibilità di filtrare le ricerche per tipologia di sostanza, per categoria di prezzo, per affidabilità del venditore o per Paese di provenienza della merce. Con un piccolo sovrapprezzo si può addirittura avere un servizio di consegna rapida. I pagamenti sul dark web avvengono attraverso i Bitcoin, monete digitali che consentono di rimunerare ovunque nel mondo garantendo un ottimo livello di anonimato perchè sfuggono al
controllo della finanza tradizionale. Si possono acquistare e scambiare facilmente (e legalmente) online in appositi forum e siti. La sostanza ordinata viene recapitata sottovuoto ed all’interno di una speciale confezione ermetica anti-odore. I pacchi sono anonimi e schermati da particolari pellicole plastiche che risultano impenetrabili agli scanner doganali e che ingannano ogni tecnologia ispettiva frontaliera. Tutti questi accorgimenti mettono gli acquirenti completamente al sicuro? I dati in nostro possesso ci consentono di poter rispondere affermativamente a questa domanda, soprattutto per gli acquisti di modiche quantità. Grazie alle tecnologie appena descritte infatti, l’unica possibilità per le forze dell’ordine di intercettare il pacco incriminato sono i controlli a campione, metodologia che però consente di ispezionare solo una percentuale infinitesimale delle spedizioni postali. Inoltre per la giurisprudenza italiana, qualora
vengano intercettate sostanze illecite in dogana, il destinatario del pacco può essere incriminato solo se è possibile provare che ci sia stato un accordo col mittente/venditore. Tale evidenza si ottiene investigando l’esistenza di un accordo online o tracciando i pagamenti della merce, ma grazie al dark web e pagando in Bitcoin la possibilità di avere lasciato tracce è prossima allo zero. È statisticamente più probabile venire perquisiti acquistando nella piazza di spaccio sotto casa. Sia chiaro che l’obiettivo di questa nostra inchiesta non è invogliare chi legge o ascolta il podcast a commettere illeciti online, ma dimostrare una semplice ed ineluttabile verità: il proibizionismo ha fallito perché proibire è impossibile. Se questo era vero trent’anni fa, all’inizio della cosiddetta “guerra alla droga”, è ancor più vero oggi con le nuove tecnologie a disposizione del crimine. L’unico approccio politicamente sensato è legalizzare e regolamentare. Per avere più dettagli e seguire gli sviluppi della nostra indagine potete ascoltare Stupefatti gratuitamente su Spotify, Youtube, Apple e Google podcasts.
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RICLASSIFICAZIONE CANNABIS
CANNABIS E OMS. QUEST’ANNO NON BASTA UNA LETTERINA A BABBO NATALE Leonardo Fiorentini Direttore di Fuoriluogo
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ulla da fare. La riclassificazione della cannabis nelle tabelle delle convenzioni internazionali ha saltato un altro giro. Se ne riparlerà a Dicembre, anche se secondo le normali procedure ONU, si sarebbe dovuto decidere già a marzo 2019. Fu infatti solo un “provvidenziale” ritardo nella trasmissione della raccomandazione dall’Organizzazione Mondiale della Sanità alla Commission on Narcotic Drugs (CND) ad evitare il voto. Del resto il Canada aveva poche settimane prima avviato la regolamentazione legale dell’uso ricreativo, ed era questione politicamente molto sensibile allora. Ritardo tanto provvidenziale quanto irrituale, anche se l’attenzione e la pressione della Società Civile ha impedito l’insabbiamento. A differenza di quanto successo quasi 20 anni fa, quando la raccomandazione sulla declassificazione del dronabinolo, una variante sintetica
Oggi non è cambiata solo l’attenzione della Società Civile, ma sono cambiati anche gli schieramenti. La più fiera oppositrice della raccomandazione che sposta la cannabis nella Tabella I (quella delle sostanze pur pericolose, ma con valenza terapeutica) è la Russia, seguita dalla Cina e da alcuni paesi asiatici e africani. Dall’altra parte USA, Canada, Uruguay e l’intera Unione Europa. Ma anche molti stati africani che vedono nel riconoscimento del valore terapeutico un possibile sviluppo per le economie locali. Come nel passato l’opposizione è basata esclusivamente su motivi ideologici. Come ha più volte ribadito la Russia durante i negoziati, si ritiene una eventuale decisione di accoglimento della raccomandazione dell’OMS come un “via libera” alle esperienze di legalizzazione dell’uso ricreativo, che fermamente osteggia. Una posizione rigida che ha sfruttato il metodo del “consensus” di Vienna per ingessare il processo decisionale. Per venirne fuori in qualche modo, senza delegittimare una consolidata procedura di aggiornamento delle tabelle internazionali, il voto è stato rinviato al 3 e 4 dicembre, in occasione della riconvocazione di questa 63esima sessione della CND. Questo darà modo alla diplomazia di continuare l’opera di ricomposizione, ma da più parti si è pronti ad un muro contro muro che sfocerà in un voto contrapposto, o addirittura ad un nuovo rinvio. Non si tratta certo della migliore raccomandazione possibile. Le ONG hanno sottolineato come sia incongruo il mantenimento nella tabella I delle sostanze più pericolose. La stessa motivazione dell’OMS, ovvero il fatto che la cannabis sia la sostanza più usata nel mondo fra quelle tabellate, sembra avere più a che fare con valutazioni politiche che con le evidenze scientifiche sulla pericolosità della sostanza in quanto tale. In questi mesi è previsto un approfondimento della raccomandazione, che pure è sotto esame da oltre un anno. Ed è stato ipotizzato anche un nuovo passaggio all’interno del Comitato dell’OMS demandato alla valutazione delle sostanze controllate dalle convenzioni. Questo, pur rappresentando una pericolosa porta aperta alle forti pressioni politiche in atto, potrebbe essere l’occasione per risolvere qualcuna delle incongruenze presenti.
[1] Cfr. Grazia Zuffa, Tabelle e coltelli. Le nebbie di Vienna. – Fuoriluogo, Gennaio 2005 [2] Vedi Cannabis. L'OMS avvia la revisione delle proprietà terapeutiche https://www.fuoriluogo. it/mappamondo/ cannabis-oms-avviala-revisione-delleproprieta-terapeutiche/ [3] Cfr. Giancarlo Arnao, Cannabis Uso e Abuso – Stampa alternativa
del THC, fu fatta tenere in un cassetto dall’allora capo dell’UNODC Antonio Maria Costa[1]. Questa volta l’OMS è stata seguita passo passo dalle ONG, che sono intervenute anche nella fase istruttoria (Forum Droghe, Associazione Luca Coscioni e Società della Ragione inviarono una nota[2]). Si è trattato del primo processo di revisione complessiva della letteratura scientifica sulla cannabis da parte della massima autorità medica mondiale. Una revisione che non vi era stata nel 1961, quando la cannabis fu inserita nella tabella IV (quella delle sostanze più pericolose e con valenza terapeutica residuale) per puri motivi ideologici sotto la pressione della delegazione USA guidata da Aslinger e l’accusa di essere pianta criminogena lanciata dall’Interpol[3].
La partita è dunque aperta, ed è importante che l’attenzione dell’opinione pubblica resti vigile su questo processo che potrebbe essere, con tutti i suoi limiti, un passo importante nel processo di riforma delle politiche sulle droghe mondiali. Quest’anno non basta quindi scrivere una letterina a Babbo Natale. Occorre attivarsi e sostenere l’azione di chi cerca di porre fine a 60 anni di “war on drugs”. 60 anni di ingiustizie, morti, danni ambientali, sanitari e sociali, oltre che di proibizionismo scientifico sull’uso terapeutico delle sostanze proibite, a partire dalla cannabis. Materiali e approfondimenti nello speciale di Fuoriluogo.it Cannabis e OMS https://www.fuoriluogo.it/oms
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6 BUONI MOTIVI (TRA I TANTI) PER AMARE LA CANAPA
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PERCHÉ PUÒ NUTRIRE IL MONDO Grazie alle sue proprietà, i semi di canapa sono un’ottima alternativa alla carne. Sono ricchi di ferro, magnesio e zinco. L’olio derivato dai semi di canapa contiene alti livelli di omega-3 e può svolgere un ruolo essenziale nel prevenire malattie.
PERCHÉ È LA FIBRA NATURALE PIÙ FORTE E RESISTENTE Le fibre in canapa sono più forti e durature di quelle ricavate dal cotone o da materiali sintetici. E’ sicuramente la più resistente ed elastica fibra naturale in circolazione. Basti pensare che i tessuti in canapa diventano con gli anni e con i lavaggi sempre più morbidi, senza perdere mai la propria forma.
PERCHÉ PUÒ RENDERE GLI EDIFICI MIGLIORI Il materiale edile ricavato dalla canapa è straordinario. Le case costruite con questo materiale sono straordinariamente isolate, sia dal punto di vista climatico, sia al punto di vista acustico. Necessitano di un livello di consumo di energia infinitamente più basso dei materiali tradizionali.
PERCHÉ PULISCE IL SUOLO IN CUI CRESCE La canapa rimuove tossine e reagenti chimici dal terreno. E’ molto efficace nella fitodepurazione dei suoli, bonificandoli e ristabilendone gli equilibri dove sono stati stravolti. Basti pensare che è stata piantata a Chernobyl per ridurre la tossicità del terreno dopo il disastro nucleare.
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PERCHÉ HA BISOGNO DI POCA ACQUA I coltivatori di canapa sprecano pochissima acqua. Si calcola che la quantità di acqua necessaria per coltivare la canapa sia meno della metà di quella che richiede il cotone, che per di più viene coltivato in aree del mondo con molti problemi di approvvigionamento.
PARASSITA
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PERCHÉ È UN’ALTERNATIVA AL PETROLIO L’elemento base di un blocco di plastica è la cellulosa ricavata dal petrolio, ma questa tossica composizione non è l’unica soluzione. La plastica può essere ricavata anche dalla cellulosa delle piante e siccome la canapa è la più grande produttrice di cellulosa sulla Terra, potrebbe diventare la base per la produzione di massa di plastica biodegradabile e non inquinante.
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LA CAMPIONESSA DELLE PIANTE
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CONSIGLI PRATICI PER LA COLTIVAZIONE
DIARIO DI UN GROWER ITALIANO. GLI STRUMENTI INDISPENSABILI PER UNA PERFETTA COLTIVAZIONE INDOOR Funkyo
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opo la prima puntata del nostro "grow diary" avete finalmente acquistato la vostra growbox (o selezionato il vostro spazio di coltivazione)? Vediamo adesso come ottimizzarlo al meglio per poter crescere le nostre bimbe nel miglior modo possibile. Gli strumenti indispensabili per la coltivazione indoor (parleremo di outdoor con uno speciale dedicato alla guerrilla visto il periodo dell'anno e serra più avanti) sono tutte quelle cose che ci permettono di mantenere parametri stabili ed ottimali: lampade, materiali riflettenti, estrattore-intrattore con tubi di raccordo, termoigrometro, ventilatori, reti e strumenti di supporto, misuratori di EC e PH, timer, prolunghe e ciabatte elettriche, forbici da pota. Tra gli strumenti non necessari per le piante, ma spesso necessari per la nostra incolumità, annoveriamo il filtro ai carboni attivi, che ha la funzione di rendere il nostro giardino segreto il più "stealth" possibile, evitando che il profumo dei nostri fiori succulenti arrivi a nasi "sgraditi". Tra i non indispensabili (perché necessari solo in determinati casi) abbiamo invece riscaldatori, climatizzatori, umidificatori e deumidificatori. Se abbiamo scelto un luogo ideale, non ne avremo bisogno nella maggioranza dei casi. Le lampade sono di fondamentale importanza, in quanto la cannabis è una grande "divoratrice"
di luce ed è quindi importante fornirgliene a sufficienza e della giusta intensità. Esistono diversi sistemi di illuminazione, dalle vecchie ma sempre efficaci HPS, fino alle nuove e performanti quantum board LED, passando per neon, CFL, CMH, MH, LEC, plasma… Dedicheremo un capitolo apposito alla scelta della lampada migliore (se siete nel momento del doverne acquistare una, scrivete e sarà mio piacere rispondere e dare supporto immediato per guidarvi nella scelta). Per il momento il consiglio è quello di affidarsi a marchi conosciuti e di evitare improbabili "cinesate" su siti di e-commerce a prezzi troppo bassi, soprattutto ora che è possibile trovare buone lampade a prezzi concorrenziali da fornitori seri. L'estrattore è molto importante nelle growbox in quanto permette di svolgere una tripla funzione: l'immissione di aria nuova (e quindi di ossigeno e CO2) e controllare umidità e temperatura. Genera anche una pressione "negativa" che favorisce lo sviluppo delle piante. In commercio ne esistono molti, ma ricordate la sacra regola: chi più spende meno spende, acquistate prodotti di qualità perché non c'è cosa peggiore che trovarsi a dover cambiare qualcosa nel momento sbagliato. Gli estrattori si differenziano per tipologia (tra i più utilizzati ci sono gli elicoidali), ma il fattore più importante è la portata, espressa in metri cubi. Fornire aria "fresca" eviterà la formazione di ristagni,
DISCLAIMER LE FOTO PROVENGONO DA COLTIVAZIONI DI GENETICHE CERTIFICATE. IN QUESTO ARTICOLO NON SI VUOLE IN ALCUN MODO INCENTIVARE E/O PROMUOVERE CONDOTTE VIETATE DALLE ATTUALI LEGGI VIGENTI. IN ITALIA LA COLTIVAZIONE DI PIANTE DI CANNABIS CON TENORE DI THC SUPERIORE ALLO 0,6 È VIETATA. I CONTENUTI SONO DA INTENDERSI ESCLUSIVAMENTE AI FINI DI UNA PIÙ COMPLETA INFORMAZIONE PERSONALE E DI CULTURA GENERALE.
rendendo più difficile il proliferare di muffe, patogeni e rendendo la vita meno facile ad alcuni parassiti. Necessitiamo di almeno 70 ricambi ogni ora per apportare la giusta quantità di aria, pertanto dobbiamo calcolare i metri cubi del nostro ambiente e moltiplicarli per 70 per avere la portata del nostro estrattore ideale. Ad esempio, per una growbox di 1x1mt e alta 2mt, faremo 1x1x2 ed otteniamo 2m³ che moltiplicati per 70 fanno 140m³ e quella dovrà essere la portata minima del nostro estrattore. Per 80x80x180cm avremo 1,15m³ e quindi basterà un estrattore da 81m³. Oltre che la portata, nella scelta bisogna valutare anche la silenziosità (su alcuni modelli è espressa in db), non è bello avere il rumore di un aereo nella propria camera da letto! Comprarne uno potente il doppio e farlo lavorare a metà potenza, potrebbe essere una buona soluzione per ridurre la rumorosità. Importante utilizzare tubi di raccordo di qualità, per garantire durata e assenza di contaminazioni luminose. Consiglio di posizionare una rete anti insetti nei tubi di ingresso e di uscita. Il termoigrometro serve a monitorare che temperatura e umidità siano ottimali, un modello digitale, con sonda e memoria, svolgerà egregiamente il suo lavoro per anni a fronte di una spesa modesta. Inserire uno o più ventilatori (meglio se oscillanti) è importante in quanto oltre a garantire una movimentazione interna di aria, stimola le piante ad irrobustirsi. Attenti però! Se troppo potente potrebbe creare bruciature da vento e stressare le nostre bimbe! Il vento deve accarezzare le foglie e far leggermente ondeggiare i fusti, non serve creare un tornado! Su reti e strumenti di supporto dedicherò un capitolo a parte quando parlerò di scrog e altre tecniche, per il momento posso dire che sono utili in caso di genetiche iper produttive o con struttura debole, che tendono a piegarsi (e a volte a spezzarsi) in fioritura, quando il peso delle cime diventa eccessivo. I misuratori di EC e PH sono presi sottogamba e ritenuti non necessari dagli hobbysti… Gli stessi hobbysti che però poi mi contattano perché non riescono a spiegarsi come mai le loro pian-
te siano improvvisamente tutte ingiallite e sofferenti! :) :) Avere un PH corretto significa fare in modo che le piante possano assorbire correttamente tutti gli elementi. L'EC invece permette di verificare che i fluidi che stiamo fornendo siano giusti, evitando pericolosi overfert o carenze. Il timer ci servirà per fornire le giuste ore di luce e di buio. Collegato all'estrattore, invece, può servire per programmare i cicli di immissione aria. Collegato ad una fonte di riscaldamento (barre riscaldanti, stufetta ecc ecc) può aiutare ad avere temperature corrette. Un buon timer analogico costa pochissimo ed è più che sufficiente per la maggior parte delle installazioni. Sulla cavetteria elettrica è importante capire che non è qualcosa dove si deve andare a risparmio. Con l'elettricità non si scherza e troppo spesso si leggono notizie di growbox e case incendiate a causa di impianti elettrici sottodimensionati o fatti male. Questo non deve succedere! Utilizzate solo cavi di sezione adeguata, eliminate qualsiasi cavo spellato o presa rovinata e comprate materiale di qualità con le apposite certificazioni. Quindi, oltre a posizionare la growbox più vicino possibile alla presa di corrente, controllate la portata in watt scritta sulla presa (generalmente 1500w nelle abitazioni) ed assicuratevi che sia sufficiente per la portata della vostra grow a pieno carico. A quel punto collegate la prolunga della giusta lunghezza (evitate arrotolamenti o piegamenti di cavo) e terminate con una ciabatta che abbia anche prese schuko. Evitate ciabatte con interruttori illuminati perché possono causare stress nelle ore di buio. Le forbici da pota sono necessarie per effettuare eventuali tagli durante il ciclo. Bene...abbiamo installato la nostra lampada, collegato correttamente tutto a delle prese e prolunghe elettriche di qualità e abbiamo acceso tutto per verificare che ogni strumento funzioni correttamente. Non ci resta ora che scegliere vasi, tipologia di coltivazione (terra, cocco, hydroponica, aeroponica, acquaponica) e linea di fertilizzanti e siamo pronti per germinare il nostro primo seme! Ma questo lo scopriremo nella prossima puntata! Stay green!
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CONSIGLI PRATICI PER LA COLTIVAZIONE
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STRAIN REPORT
PURPLE PUNCH, UN SOGNO VIOLA DI RESINA
26 Testo e immagini di Green Born Identity – G.B.I. Dati di coltivazione: • Genetiche •
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Purple Punch (Larry OG x Granddaddy Purple) Fase Vegetativa Cinque settimane (dalla germinazione) Fase di fioritura 58 + 60 giorni / 56-63 giorni totali Substrato Plagron Grow Mix soil, vasi da 11 litri pH 6.2-6.6 EC 1.2–1.8 mS Illuminazione Fino a 12 x SANlight S4W = 1680 watt Temperatura 19-28°C Umidità aria 40-60% Irrigazione manuale Fertilizzanti Organic Bloom Liquid di Green Buzz Liquids Additivi/stimolanti Living Organics, More Roots, Humin Säure Plus, Big Fruits, Fast Buds and Clean Fruits di Green Buzz Liquids Strumenti CleanLight Pro per la prevenzione della muffa Altezza 59 + 64 cm Resa 83 + 86 grammi
S
ono davvero poche le varietà di cannabis le cui cime diventano viola se coltivate indoor con temperature regolari e calde. Ecco perché è caso piuttosto raro osservare questa varietà molto attraente in indoor. Alcuni coltivatori sono disposti ad abbassare parecchio le temperature notturne – al di sotto del livello ottimale – per permettere alle loro piante di produrre abbondanti quantità di pigmenti antociani viola, e chi può dargli torto? Le antocianine agiscono come una sorta di agenti anti-freddo e anti-congelamento per le piante. Esiste però una manciata di varietà con uno speciale corredo genetico che permette un’ampia produzione di antocianine con regolari temperature di coltivazione indoor. Uno strain di questo tipo è Purple Punch di Barney’s Farm, che deve la sua veste viola alla nobile madre Granddaddy Purple, un popolare incrocio californiano di Purple Urkle e Big Bud presentato nel 2003. Il padre invece è Larry OG, tanto potente quanto famoso, anch’esso originato in California. Quindi, Purple Punch costituisce la discendenza d’elite di questi due ceppi e rappresenta l’ennesimo caso di genetiche topshelf della West Coast californiana. Le caratteristiche di base di questa varietà, Indica al 90%, sono altrettanto promettenti: richiede soli 50-60 giorni di fioritura per produrre sontuosi raccolti indoor (fino a 600-700g/m). Le piante, cespugliose e con numerosi rami, trasudano enormi quantità di resina e arrivano ad altezze medie in indoor, fino a 90 cm.
Purple Punch risulta molto adatta anche per la coltivazione outdoor: termina il proprio ciclo di vita sotto la luce del sole nella seconda o terza settimana di settembre ed è dotata di una grande resistenza a tutti i tipi di muffa. Se l’ambiente di coltivazione è ottimale può offrire raccolti favolosi fino a 2 kg per pianta, con gli esemplari che non superano il metro e mezzo di altezza. Barney’s descrive Purple Punch come una pianta facile da coltivare sia indoor che outdoor e ne valuta 1 su 5 il livello di difficoltà. Essa risulta notevole anche in termini di potenza – le infiorescenze di questo strain racchiudono un livello misurato di THC del 25%. L’effetto rispecchia la netta dominanza Indica del 90%. A seconda del dosaggio offre effetti che vanno da quelli rilassanti e anti-stress, a quelli più narcotici o fortemente sedativi. Dal punto di vista aromatico, Barney’s ha creato qualcosa di squisito: Purple Punch profuma e sa di “torta di mele al forno con chiodi di garofano e con una glassa caramellata di mirtillo e ciliege” – se questo non stimola i vostri sensi nient’altro potrà farlo! Crescita Indica molto cespugliosa e uniforme Infatti, Purple Punch ha molto stimolato l’immaginazione di The Doc che, quando ne ha letto la descrizione, l’ha subito voluta coltivare. Quando ha rimediato una confezione di semi femminizzati si è messo di ottimo umore. I due semini sono stati subito piantati e sono germinati senza problemi. Dopo due settimane di crescita The Doc ha scritto sul suo diario:
“Proprio come ci si aspettava stanno crescendo chiaramente come un’Indica, con foglie larghe e spazio internodale ristretto.” Data la loro dominanza Indica al 90%, lui ha lasciato le due Purple Punch in fase vegetativa per 5 settimane, molto a lungo. Alla fine di questo periodo The Doc ha riportato: “Le ho indotte ora alla fase di fioritura. Continuano a mostrare una struttura cespugliosa e hanno un aspetto 100% Indica con altezze molto omogenee di 40 e 45 cm. Calici viola e rivestimento precoce di tricomi Una volta cambiato il ciclo di luce a 12/12 le due piante sono rapidamente entrate in fioritura, hanno impiegato appena sei giorni per mostrare i primi prefiori. Ciò che è seguito è stato l’inizio di un’operosa missione per creare cime – dopo sole tre settimane di fioritura c’erano ammassi di fiori dai pistilli bianchi ovunque. L’allungamento dei rami è stato piuttosto contenuto, per cui le piante hanno mantenuto la loro forma densa e compatta. Dopo quattro settimane di fioritura The Doc ha annotato: “progrediscono rapidamente, sempre con un alto grado di uniformità. Le cime stanno diventando notevolmente più spesse, con i calici che hanno cominciato a diventare viola, evviva! Per mia gioia Purple Punch è all’altezza del suo nome. Ma c’è un’altra ragione per essere contenti: è assolutamente stupefacente quanto sia abbondante la sua produzione di resina in questa fase iniziale, quei calici viola sono già ricoperti da un sacco di tricomi, sembra che stiano sul punto di scoppiare di resina...” Indica viola iper-resinosa con un aroma per veri conoscitori della cannabis Alla fine della sesta settimana The Doc ha così continuato il suo resoconto: “Sono alquanto gasato da queste cime dense e paffute con un’intensa colorazione purple e con ghiandole di resina a profusione – che bella visione! Già adesso le infiorescenze hanno un bell’aspetto paffuto e iper-resinoso tale che molti occhi inesperti sarebbero tentati già di fare il raccolto. Ma necessitano certamente di una o due settimane in più. E la loro fragranza non è da meno del loro fantastico aspetto – di fatto, è tanto inusuale quanto squisita. Ovviamente, sebbene io non possa rilevare tutte quelle caratteristiche specifiche descritte da Barney’s, l’aroma si muove in quella direzione: ricorda per davvero i dolci appena sfornati, con un odore molto dolce tipo caramello, con un tocco fruttato che può ricordare la mela. C’è però un altro aspetto aggiuntivo; una nota di lavanda, come se la torta di mele fosse guarnita con qualche fiore di lavanda.” Fabbriche di resina viola con rese abbondanti Alla fine dell’ottava settimana di fioritura – proprio secondo i tempi – le due Purple Punch erano
pienamente mature e quindi The Doc le ha raccolte, dicendo: “Si sono evolute diventando vere e proprie fabbriche di resina, addirittura con le foglie superiori talmente tempestate di cristalli da far sembrare Purple Punch un ‘white strain’, una varietà bianca dal cuore viola, davvero splendida! Inoltre sono rimaste abbastanza uniformi fino alla fine: La pesature delle cime essiccate, poche settimane dopo, ha mostrato un altro dei suoi punti di forza visto che pesavano 83 e 86 grammi – considerate le altezze finali delle piante di soli 59 e 64 centimetri, ciò è davvero impressionante! Fortunatamente, le cimette di Purple Punch hanno mantenuto quella colorazione violacea per tutto il processo di essiccazione, il che le ha rese molto appetibili agli occhi con un fascino è accresciuto da uno sfarzoso strato di resina. Inoltre, l’aroma, che ricorda una pasticceria, è stato preservato incluse le sfumature di mela e di lavanda, adesso ancora più dolci e delicate grazie all’assenza di clorofilla e alla leggera fermentazione. The Doc viene asfaltato da un pesante sballo di tipo Indica e canta “Purple Brain” Con un fare quasi festoso ha messo nel grinder la prima cima di Purple Punch – emozionato all’idea di esplorare gli aspetti psicoattivi di questa varietà. Ha caricato il suo vaporizzatore “Mighty”e aspirato profondamente una prima grande nuvola di vapore che ha poi tenuto dentro ai polmoni per molto tempo. Sono seguite altre tre nuvole, e subito dopo è si è fatta largo un’intensa fattanza di tipo Indica! “Mi ha proprio rivoltato come un calzino”, ha detto ridacchiando The Doc. “Tutto il corpo è diventato molle come gelatina, la rigidità della schiena è presto svanita lasciando spazio a un gradevole senso di profondo rilassamento. Stessa cosa è successa con la mia testa che ha scalato marcia per rallentare donandomi il massimo del sollievo, di nuovo provavo quella sensazione leggera di totale serenità e gioia”. Ad altri avrebbe potuto causare una sensazione di pesantezza e di sonnolenza, ma quel vecchio esperto fattone di The Doc si è sentito meravigliosamente sballato ed è rimasto sveglio, forse anche grazie al fatto di essersi già fatto un pisolino pomeridiano. Con un grande sorriso, ha dichiarato: “Ho pensato: ehi! Purple Punch è dentro la mia testa, quindi ora ho un cervello purple, per così dire”, il che mi ha fatto pensare alla canzone di Prince ‘Purple Rain’… quindi con questa melodia in testa ho iniziato a canticchiare ‘Purple Brain’. Poi, The Doc ne ha anche cantato le lodi, concludendo: “Purple Punch è davvero un altro miracolo di Barney’s Farm. Una meraviglia color viola dalle grandi rese e dalle abbondanti ghiandole di resina, con un gusto squisito da intenditori e un potente sballo Indica – per me è un grandissimo sì!
DISCLAIMER QUESTO ARTICOLO CONTIENE INFORMAZIONI PROVENIENTI DIRETTAMENTE DALL’AZIENDA PRODUTTRICE O FORNITRICE DEL PRODOTTO O DEL SERVIZIO PUBBLICIZZATO. LA REDAZIONE DI BELEAF MAGAZINE E I SUOI COLLABORATORI NON SONO RESPONSABILI DEL CONTENUTO E NON VOGLIONO IN ALCUN MODO INCENTIVARE E/O PROMUOVERE CONDOTTE VIETATE DALLE ATTUALI LEGGI VIGENTI. IN ITALIA LA COLTIVAZIONE DI PIANTE DI CANNABIS CON TENORE DI THC SUPERIORE ALLO 0,6% È VIETATA. I CONTENUTI SONO DA INTENDERSI ESCLUSIVAMENTE AI FINI DI UNA PIÙ COMPLETA INFORMAZIONE PERSONALE E DI CULTURA GENERALE
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Tra i molteplici tesori di genetiche possedute dall’azienda di semi spagnola Dinafem, c’è anche una vasta gamma di ceppi insoliti, che si allontano dagli standard, e che sono per questo particolarmente entusiasmanti per più di un cliente. Il loro Purple Afghan Kush è un ceppo davvero speciale.
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Purple Afghan Kush (Purple Kush x Pre'98 Bubba Kush) Fase vegetativa Qui quattro settimane (dopo la germogliazione) Fase di fioritura Qui 55 / 60 giorni in generale Mezzo Misto per la crescita Plagron, vasi da 11 litri pH 6,0-6,5 EC 1,2–1,6 mS Luce Fino a 2x 600 W MH + 1x 400 W HPS nella fase vegetativa, 2x 600 W HPS + 1x 400 W HPS nella fase di fioritura Temperatura 18-27°C Umidità dell'aria 40-60% Irrigazione Manual Fertilizzanti Organic Grow Liquid e Organic Bloom Liquid della Green Buzz Liquids Additivi/stimolanti More Roots, Humin Säure Plus, Big Fruits, Fast Buds e Clean Fruits della Green Buzz Liquids Altezza 61 e 72 cm Resa 57 e 64g
Le deliziose genetiche che sono alla base di questo ceppo provengono dagli Stati Uniti, e non sono altro se non le varietà Purple Kush e Bubba Kush (nella sua versione pre-'98), famose in tutto il mondo. Quindi la creazione di Purple Afghan Kush da parte della Dinafem è il risultato di un epico incontro tra gli apici delle genetiche di due giganti Kush! E la descrizione ufficiale di questo ceppo rivela che esso appartiene ai preferiti assoluti degli stessi allevatori Dinafem, visto che la vantano come “la pianta di cannabis più sorprendente e bella esteticamente che abbiamo mai creato" – il che sicuramente significa molto.
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aratteristiche di Purple Afghan Kush E osservando le foto della Purple Afghan Kush, si può facilmente comprendere il loro entusiasmo: questa varietà reale indica cattura lo sguardo e il cuore grazie ai suoi splendidi colori viola e lavanda, che vengono fuori durante la fioritura (non solo se fa freddo, ma anche con le normali temperature all'interno). La caratteristica più incredibile di questa pianta indica puro sangue, però, è il suo odore davvero eccezionale. I ceppi Kush hanno di solito una fragranza speziata con note di terra, pino e note oleose, di benzina, mentre la Purple Afghan Kush emana un odore completamente diverso, dolcemente esotico e fruttato, incredibilmente profumato, come di ananas appena tagliato. Ecco perché alla Dinafem questa bellezza la si chiama anche "Piña Colada" ... Il fatto che il Purple Afghan Kush sia un ceppo in grado di produrre colori viola rende questo aroma ancora più speciale e ammirevole, poiché tali ceppi in genere hanno un sapore pungente e penetrante, per niente dolce e fruttato. Quando si annusano i boccioli della Purple Afghan Kush si pensa più a un bel sogno ambientato nei Mari del Sud di Tahiti, e non a un viaggio nelle regioni montuose dell'Hindu Kush. Per quanto riguarda la morfologia, di nuovo, la Purple Afghan Kush corrisponde completamente al modello di crescita standard di una indica, con la sua struttura compatta e robusta e i rami spessi e corti. Questo aspetto, simile a quello di un piccolo
PURPLE AFGHAN KUSH: IL SOGNO COLORATO DEI MARI DEL SUD cespuglio, la rende una buona scelta discreta per la coltivazione cittadina in balcone, per esempio. Cresce anche abbastanza lentamente rispetto ad altre piante, per cui la Dinafem consiglia di mantenerla in fase vegetativa un po' più a lungo del solito. Alla Dinafem sottolineano anche che le piante di Purple Afghan Kush richiedono un livello di umidità leggermente inferiore per ottenere delle prestazioni ottimali: la quantità di irrigazione deve essere ridotta di circa il 10%, le piante devono essere annaffiate in modo regolare e frequente come le altre, solo con una quantità leggermente ridotta di acqua. Questo è una conseguenza delle loro origini afghane, che danno loro anche la capacità di resistere a temperature calde e a periodi di siccità: i coltivatori in California hanno riferito alla Dinafem che la Purple Afghan Kush si è classificata tra i ceppi che sono stati in grado di affrontare in modo eccellente con il calore estremo e la carenza di acqua durante l'estate scorsa. Il che rende questa varietà una scelta molto azzeccata per le coltivazioni all'esterno in zone molto calde e secche, ma garantirà una prestazione perfetta, ad esempio, anche in una serra nelle zone climatiche del nord, proprio in virtù della sua versatilità e resistenza. Sotto la luce naturale, lo maturazione avviene alla fine di settembre fino a inizio ottobre. All'interno, la Purple Afghan Kush ha bisogno di 60 giorni per maturare, e produce formazioni di fiori dense e molto resinose con una resa potenziale di 500g/m2. Proprio quello che ci si aspetta da un ceppo Kush di indica ricco di THC. Questo ceppo esotico ha un effetto profondamente rilassante e calmante, per il corpo e per la mente. Che è di lunga durata, ma non devastante, non manda il fumatore dritto sul divano strisciando. Anche i pazienti che fanno uso di cannabis medicinale potranno godere degli effetti della Purple Afghan Kush, che è conosciuta e apprezzata da molti in qualità di elemento di sollievo terapeutico contro le tensioni muscolari dolorose, per esempio. Il Doc e la PAK In occasione della Expogrow Cup 2015, la Purple Afghan Kush è stata premiata come migliore va-
cinque giorni in meno rispetto a quanto ufficialmente dichiarato. Nelle ultime due settimane, la resina sembrava essere uscito a secchiate su calici e foglie, coprendoli abbondantemente con dei densi strati di tricomi appiccicosi, modellando un aspetto bianco argenteo maestoso, in contrasto con quelle tonalità blu viola e lavanda. Continua con gli elogi The Doc: "queste sono davvero piante altamente estetiche e appetitose, con quell'odore delizioso ed esotico di ananas in aggiunta alla loro super-intensa sensualità… indubbiamente una varietà di cui innamorarsi!"
rietà Indica, e ha anche ottenuto il secondo e il terzo posto in altre due competizioni spagnole. The Doc, che ama moltissimo le Indica, non vedeva l'ora di coltivare questa varietà straordinaria e di portare due semi femminilizzati alla germinazione. Hanno germogliato con facilità e nelle prime settimane è cresciuta proprio in modo compatto e robusto, come descritto dalla Dinafem. The Doc, dopo quattro settimane di crescita, ha detto che "queste bellezze sembrano quei piccoli cespugli tozzi di cannabis indica che ho visto nelle foto dell'Afghanistan degli anni '70, quindi sono perfettamente autentiche!" Avrebbe voluto seguire il consiglio di Dinafem e dare alle due piante una fase vegetativa più lunga di quattro settimane, ma la presenza di altri ceppi dalla crescita più veloce nella sua stanza delle coltivazioni non gli hanno permesso di farlo. Così le due Purple Kush sono entrate nella fase di fioritura, con le altezze di soli 37 e 44 cm. Ma, per la gioia di The Doc, hanno rivelato un allungamento della fase di fioritura rispetto al previsto. E la fioritura è entrata velocemente a pieno regime, dopo tre settimane le due piante si sono riempite di fiori spessi che, grazie alla produzione precoce di resina erano già splendidamente scintillante. Dopo la quinta settimana di fioritura The Doc ha riferito "che hanno nel frattempo messo su molto peso, con i germogli che hanno la forma tipica dei grossi bulbi di indica". E sono anche rivestiti da delle ghiandole di resina, yuppi! La proporzione foglia-fiori è maggiore di quanto mi aspettassi. Qua e là, infatti, i calici e le foglie mostrano quelle belle tonalità di colore viola e lavanda, in particolare sulle cime o nelle vicinanze, molto gradevoli da vedee. E c'è davvero, quell'esotico odore di ananas, davvero incredibile. Sembra quasi che questa fragranza sia stata anche leggermente in infusione con un po' di spray 4711. Realmente unica e deliziosa, questa è una combinazione di aromi che non ho mai sentito prima in vita mia". The Doc è stato sorpreso dal fatto che le sue due piante di Purple Afghan Kush siano maturate completamente già dopo 55 giorni di fioritura,
Le due piante hanno raggiunto 61 e 72 cm di altezza alla fine, cariche di fantastici germogli in stile indica. Dopo che i germogli sono stati essiccati, The Doc ha ricevuto un'altra grande sorpresa: le tonalità lavanda e blu presenti nelle foglie ora sono ancora più nette, lasciando in modo evidente nei germogli un aspetto complessivo bluastro, che hanno generato la battuta di The Doc "anche da secca, la colorazione della Purple Afghan Kush si distingue tra la folla ... credo che tutti in città impazziranno presto per quella 'roba blu sensazionale' - proprio come in "Breaking Bad", hahaha!" Era anche molto felice del fatto che questo aroma "ananas 4711" non solo era sopravvissuto al processo di essiccazione senza subire danni, ma ci aveva anche guadagnato in intensità. "Jeeez, potrei diventare dipendente da questa fragranza esotica unica e annusare questi germogli tutto il giorno!", ha detto entusiasta. Con rese di 57 e 64 grammi, la Purple Afghan Kush è scesa sotto gli standard di The Doc, ma considerando le sue piccole dimensioni, è stato comunque un risultato di tutto rispetto, e comunque, secondo The Doc, "con sei settimane al posto di quattro nella fase vegetativa, le piante avrebbero dato un bel raccolto abbondante. Ma non è importante, perché penso che questo ceppo aficionado sia davvero di una qualità favolosa e non debba per forza avere una resa eccezionale. E dopo aver provato la Purple Afghan Kush per la prima volta, ha potuto confermare pienamente la sua affermazione ... perché quel sapore dolce di ananas ha accarezzato il suo palato così deliziosamente e intensamente che The Doc ha immaginato subito di essere sdraiato su una delle spiagge bianche dei Mari del Sud, con una piña colada cocktail nella mano sinistra e uno spinello di Purple Afghan Kush nella destra ... e sentiva tutto questo così reale mentalmente che gli sembrava di volare, proprio come con la sua mongolfiera Volcano: "Questo ceppo mi ha dato un effetto da indica davvero piacevole e caldo, mi sono sentito totalmente felice e super rilassato, come se stessi riposando su di un'amaca tesa tra due palme nei Mari del Sud. Che bella giornata da sogno esotico! Questa erba è perfetta per un momento di diversione, per concedersi di tanto in tanto una vacanza mentale, alla deriva in spettacolari spiagge lontane. "Il rilassamento mentale sotto le palme è durato più di due ore. The Doc ha concluso dicendo "semplicemente stupefacente e unico, questo fruttato tesoro esotico. Con le sue qualità davvero speciali, farà facilmente girare la testa degli amanti delle indica. Non c'è da stupirsi che la Purple Afghan Kush sia una delle preferite della Dinafem! "
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FIERE ED EVENTI IN EUROPA
CANAPA MUNDI: PIÙ DI 25MILA PRESENZE PER UNA FIERA CHE NON DELUDE
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lla fine il salto di qualità c'è stato. Canapa Mundi a Fiera di Roma, arrivata alla sua sesta edizione, ha superato la sua prova di maturità. Non era un'esame facile e le condizioni esterne non hanno davvero aiutato. Da una parte, infatti, il settore, dopo il boom della cannabis light, si è stabilizzato in attesa di nuove di-
rettive e certezze che tardano ad arrivare, dall'altra il diffondersi del Coronavirus sulla nostra Penisola, a cui si è aggiunto il blocco delle macchine nella giornata di domenica a Roma, non hanno davvero aiutato. Eppure, ancora una volta, i visitatori sono stati tanti. Curiosi, esperti o alle prime armi, famiglie e ragazzi, in 25mila hanno deciso di rispondere alla chiamata degli organizzatori che, ancora una volta, si possono dire soddisfatti. Il trend continua ad essere positivo. Dal 2015 ad oggi, Canapa Mundi è diventato un punto di riferimento, in Italia e all'estero, per tutti i professionisti del settore. E quest'anno ha potuto dimostrare tutta la sua professionalità. Più di 220 brand provenienti da ogni parte del mondo hanno caratterizzato, ancora una volta, una grande fiera dal tratto marcatamente internazionale. Tantissimi stand a disposizione dei visitatori ed imprenditori che hanno trovato terreno fertile per il proprio business.E poi grande risposta di pubblico per i workshop e la Conferenza sulla canapa, fiore all'occhiello anche di questa edizione, con ben 95 relatori. Il mondo della canapa, insomma, non è morto, come qualcuno vorrebbe farci credere. E' un mondo che lotta con grande fermezza per essere riconosciuto come parte integrante del tessuto economico del Paese, oggi più che mai in questo momento di crisi. Verde, pulita e giovane, dalla canapa si può ripartire con curiosità e senza pregiudizi. A dimostrarlo anche l'enorme seguito sui social, oltre 800mila visitatori hanno interagito sui canali dedicati e sul sito, animando non solo i giorni di Fiera ma anche il periodo precedente. Perché Canapa Mundi è una grande comunità, anche virtuale. L’appuntamento è già fissato per il 2021: ci vediamo a Roma il 12-13-14 febbraio.
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AUTO CINDERELLA JACK, L’AUTOFIORENTE CON PIÙ DEL 25% DI THC Dutch Passion team
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lcuni test recenti sul THC, verificati da due laboratori separati e indipendenti, hanno mostrato un valore di THC del 26% nelle cime dell’ Auto Cinderella Jack. Si tratta del valore di THC in un autofiorente più alto mai visto da Dutch Passion in moltissimi anni di ricerca e di sviluppo sui semi autofiorenti. Dopo le prime analisi, utilizzando il metodo HPLC (Cromatografia liquida ad alta pressione), effettuate su 3 diversi campioni derivanti da 3 piante differenti, il Team Dutch Passion è rimasto particolarmente sorpreso dai risultati, che mostravano una media del 25% di THC, quindi hanno deciso di effettuare delle contro analisi in un altro laboratorio, in modo da essere sicuri sulla validità dei risultati. E la correttezza dei valori ottenuti nelle prime analisi è stata confermata anche dal secondo laboratorio*
modo le piante ricevono solo lunghezze d'onda di luce blu negli ultimi 2-3 giorni, tutti i diodi rossi sono spenti. Questo serve ad aumentare sostanzialmente la produzione di terpeni prima del raccolto, ed è una tecnica utilizzata da alcuni coltivatori per caricarne prepotentemente il sapore. Antonio ha aggiunto inoltre delle lampade UV supplementari per aumentare il THC nelle ultime settimane. Fa parte del costante impegno di Dutch Passion fornire ai propri clienti i migliori semi di cannabis, per cui, vengono effettuati regolarmente test sia sui ceppi esistenti che sui progetti di ricerca. I test di laboratorio sono obbligatori per ogni nuova varietà di ricerca, e vanno fatti generazione dopo generazione. Senza test di laboratorio che mostrano i profili dei terpeni ed il contenuto di cannabinoidi non sarebbe possibile identificare e creare in maniera professionale le migliori varietà madri per creare nuovi ceppi. I semi dei ceppi esistenti di Dutch Passion vengono regolarmente prelevati, coltivati e testati per vari motivi, dalla garanzia del mantenimento degli standard di qualità, all'inserimento di campioni per le cannabis cup.
Questo lotto di Auto Cinderella Jack è stato coltivato da uno dei master grower di Dutch Passion (Antonio), in maniera biologica con la linea di nutrimenti Bio Tabs, utilizzando vasi da 7 litri con un rapporto 4:1 Cocco e Light Mix in indoor con luce a LED della California Lightworks (il Solar System 550, che consuma 400W). Alla fine del ciclo, la luce di coltivazione a spettro regolabile è stata impostata per il trattamento "Blue Light". In questo
Con questo ultimo strabiliante risultato ottenuto dall’Auto Cinderella Jack possiamo notare come le autofiorenti abbiano fatto molta strada e siano migliorate sia dal punto di vista dei cannabinoidi che di quello dei terpeni. Dutch Passion fin dall’inizio dei primi progetti della creazione delle autofiorenti ha investito moltissimo nello studio e nello sviluppo, riuscendo a creare le varietà auto tra le più produttive, stabili ed apprezzate dai growers di tutto il mondo. E con questo nuovo risultato siamo riusciti a creare l’autofiorente più potente della terra! * Sono stati usati i laboratori di Sativanalisis & Canna Fundación, scarica i risultati originali su www.dutch-passion.com
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NEWS PRODOTTI
CANNA ACQUA, RENDIMENTI ELEVATI E RISULTATO GARANTITO
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I coltivatori che si avvalgono dell’idroponica con sistemi a ricircolo e desiderano davvero il meglio scelgono CANNA AQUA. Grazie ad un meticoloso controllo della fornitura di sostanze nutritive durante la fase della crescita e della fioritura delle piante, le sostanze nutritive presenti in CANNA AQUA garantiscono un rendimento strabiliante.
La linea CANNA AQUA è composta da sali minerali di altissima qualità perfettamente bilanciati e sono direttamente assorbibili dalle radici della pianta. La formula di CANNA AQUA è a pH perfect: questo significa che una volta impostato il pH iniziale a 5,2 non è necessario apportare ulteriori correzioni.
MEDICAL La scienza e la ricerca Tod Mikuriya, il "nonno" della per formare medici marijuana medica e pazienti
Csc di Bolzano, un social club al centro delle Alpi
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I VOLTI DELLA CANAPA
“I PAZIENTI NON HANNO TEMPO DI ASPETTARE”, LO STATO DEVE PRENDERNE ATTO
@PH. MARIA NOVELLA DE LUCA
Prosegue il mio racconto legato alle difficoltà, al dolore e alle speranze di persone che hanno deciso di inserire la cannabis nel loro piano terapeutico, nonostante gli ostacoli nell’utilizzarla “legalmente” in Italia. La speranza è che testimonianze così dirette possano aiutare a fare chiarezza su una materia ancora controversa. In questa nuova puntata dei “I volti della canapa” ho scelto di dare voce alle storie di Andrea e Alberico.
ANDREA TRISCIUGLIO 39 ANNI - FOGGIA SCLEROSI MULTIPLA
L
a diagnosi di “sclerosi multipla” raggiunge Andrea il 20 Febbraio 2006, lo stesso giorno della morte di Luca Coscioni, mentre in televisione sta guardando Marco Pannella in lacrime per quella
perdita. Due brutte notizie nello stesso momento, le emozioni si accavallano, si mescolano.
Ma la vita va avanti, “quel che non uccide fortifica”, si ripete e quella diagnosi diventa, da quel momento qualcosa da conoscere, accogliere e affrontare. Inizia ad assumere interferone come tutti i malati di sclerosi multipla, chemioterapici, immunosoppressori e immunomodulanti. Ma Andrea è un radicale convinto, non si ferma, non si accontenta di restare su una sedia a rotelle, imbottito di farmaci e sopravvivere. Reagisce.
E’ così che scopre la cannabis come possibile terapia e quando anche un medico gli consiglia di provarla, si convince. Vince le paure iniziali e da quel momento torna a camminare, diventa attivista e consigliere generale dell’Associazione Luca Coscioni, fonda insieme a Lucia SpiMaria novella ri l’Associazione no profit LaPiantiamo per inforde luca mare i cittadini e difendere il diritto dei pazienti autrice del libro ad accedere alle cure con cannabinoidi. I volti della canapa
I farmaci tradizionali lo fiaccano, restituendo al suo stato psicofisico pochi benefici e allora non resta che guardare oltre: esistono alternative a questa cura? Ci sono studi o casi da poter seguire anche fuori dal confine italiano?
“I malati non hanno tempo di aspettare” è il grido che associo da anni al volto di Andrea; lui è stato la prima persona che ho contattato per il mio viaggio, il primo “volto” ad accogliermi, informarmi e aprirmi la strada. Non è più solo un’immagine di questo libro, è il volto amico con cui continuare a camminare in una battaglia che è diventata anche mia. Oggi Andrea continua ad assumere 10 grammi di cannabis (Bedrocan e Bediol) al giorno, fumandola o vaporizzandola, facendo biscotti o tisane. Ha una regolare ricetta medica che gli permette di ricevere ogni tre mesi dall’ospedale di Foggia il quantitativo prescritto. Ma sa bene che non è così ancora per molti pazienti italia-
Va tutto bene inizialmente fin quando, un bel giorno, gli perquisiscono casa e viene arrestato per detenzione di 6 piantine. Etichettato come uno spacciatore, il giorno dopo vede le foto della sua stanza su alcuni quotidiani locali e su Facebook. In seguito al processo, che lo assolve perché il caso non sussiste, riesce ad avere la prescrizione medica per la cannabis. Risolto un problema, se ne presenta un altro: ora che ha finalmente la ricetta con cui andare in farmacia a chiedere la sua cura, non ha i soldi per comprarla, almeno non tutti i mesi. La storia torna al punto di partenza, senza soluzione di continuità. Nella Regione Lazio sono tre le categorie di pazienti a cui può essere prescritto il medicinale a base di cannabis in maniera del tutto gratuita, e sono tutte patologie che hanno a che fare con il dolore cronico. I disturbi di cui soffre Michele, purtroppo, non sono tra queste.
ALBERICO NOBILE 38 ANNI - TARANTO TETRAPLEGICO
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a prima cosa che mi rimase in mente di Alberico, quando lo incontrai a Foggia, fu la serenità del suo volto e l’eleganza. Alberico si muove su una sedia a rotelle che deve essere spinta da qualcuno, perché lui non ha una normale mobilità delle mani e delle braccia, eppure ogni volta che lo incontro ho l’impressione che danzi con quella sedia. E il suo sorriso gentile lo conferma. Alberico ha 37 anni ed è tetraplegico dall’età di 15, dal giorno in cui un grave incidente stradale gli ha causato una frattura della terza, quarta e quinta vertebra cervicale con lesione midollare. L’anno successivo all’incidente, dopo molti ricoveri ospedalieri in diverse città italiane e cure sia con miorilassanti che farmaci oppioidi fortissimi per alleviare i dolori e gli spasmi, si reca in una clinica a Heidelberg in Germania, una delle migliori in Europa per la riabilitazione e il reinserimento in società di pazienti con questo tipo di disabilità. E’ nel parco di quella clinica che un giorno prova, per la prima volta, a fumare cannabis con altri pazienti. Scettico e impaurito di perdere conoscenza, è inizialmente riluttante a provarla, ma si convince quando quei ragazzi, che soffrono di danni fisici simili ai suoi, gli spiegano che la utilizzano da tempo in sostituzione del “Lioresal”, lo stesso che prende anche lui, quattro pasticche al giorno da 25 mg. Approfondendo ulteriormente la conoscenza della pianta di cannabis e delle proprietà
terapeutiche dei cannabinoidi, Alberico decide di provare e, riscontrando dei benefici sul suo stato psicofisico, inizia a scalare le dosi dei miorilassanti e a sostituirli con la cannabis che si procura a caro prezzo al mercato nero, spesso proveniente dall’Olanda. Resta in Germania dieci mesi. Tornato in Italia trova difficoltà nel reperire la cannabis e dopo sole due settimane deve ricorrere di nuovo al “Lioresal”. Con questo farmaco tornano tutti quegli effetti collaterali che Alberico conosce bene: problemi renali, vescicali, allo stomaco e alle mucose e continuo stato di sonnolenza. Non potendo sopportare di nuovo tutto questo, si affida alla cannabis italiana del mercato nero. Per diciannove anni la acquista per strada o da amici o quando può, coltiva la sua piantina, fino a quando nel 2015 ottiene l’accesso gratuito al Bedrocan grazie alla legge regionale pugliese. Da allora la farmacia ospedaliera di Taranto gli fornisce il Bedrocan con regolare ricetta medica. Ne assume 5 grammi al giorno vaporizzandolo o fumandolo e questo lo aiuta principalmente a ridurre la spasticità e i dolori che ne conseguono, lo aiuta nella postura e quindi nella qualità della sua vita. “Il segreto è non correre dietro alle farfalle, ma è curare il tuo giardino affinché esse vengano da te”, è una delle mie frasi preferite (di Mario Quintana); un giorno, scorrendo le foto di Instagram di Alberico, la leggo e un sorriso mi riempie il volto. Alberico è la prova vivente di questo aforisma, è la prova che curando noi stessi possiamo imparare a stare meglio, con noi e con gli altri. Nonostante la vita lo abbia messo di fronte a prove durissime, lui non molla e continua a vivere una vita avvincente con le persone che lo amano. @PH. MARIA NOVELLA DE LUCA
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ni, per questo continua, con la sua stampella come spada, a viaggiare per l’Italia a portare la sua testimonianza.
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I VOLTI DELLA CANAPA
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SPECIALIZZAZIONE: ENDOCANNABINOLOGIA
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oiché la modulazione del Sistema Endocannabinoide risulta importante nel migliorare i sintomi e la qualità della vita delle persone che soffrono di patologie anche molto diverse tra di loro, (dal glaucoma all’epilessia, dal dolore cronico all’Alzheimer, ..) si stima che un terzo della popolazione Italiana potrebbe trovare beneficio da terapie a base di cannabinoidi. Stiamo parlando di circa 20 Milioni di persone. E’ evidente che per far fronte a questi numeri è necessario instaurare un percorso solido che abiliti i professionisti medico-sanitari ad aggiornare le proprie conoscenze, con un aumento sinergico di professionisti formati nell’applicazione e utilizzo di terapie a base di cannabinoidi, contestualmente ad una ottimizzazione dell’erogazione nazionale della Cannabis Medica, (che ad oggi esula ancora la logica del libero mercato, con collaterale offerta inferiore alla domanda, e costi medio-alti). Come i lettori di Beleaf sanno, le leggi italiane da circa un lustro hanno legiferato in tema Cannabis Medica, permettendo a qualsiasi medico, sia esso specialista, pediatra o di base, di prescrivere cannabinoidi e loro derivati per qualunque condizione di salute per la quale esistano sufficienti evidenze scientifiche a supporto. Attualmente, solo alcune università italiane di Chimica e Tecnologie Farmaceutiche, Farmacia e Agraria erogano qualche lezione sui cannabinoidi e/o Sistema Endocannabinoide, ma nessuna facoltà di Medicina ha allestito corsi, classi o esami sul tema, di fatto lasciando privi degli strumenti chiave i professionisti medici che si ritrovano a dover affrontare scelte per le quali non sono stati adeguatamente preparati. Un vuoto che si esplica nei numeri dei medici prescrittori in Italia: poco più di un centinaio, a fronte dei 258.200 medici della Penisola.
cannabis medica
LA NATURALE EVOLUZIONE PER LE FACOLTÀ DI MEDICINA E SCIENZE DELLA VITA
La Cannabis Medica viene distribuita nelle farmacie galeniche, tramite la formulazione di preparazioni magistrali. Da ciò ne consegue che non solo i medici, ma anche i farmacisti preparatori necessitano di un training specializzato sulle normative e metodiche di preparazione. Attualmente, delle 19,000 farmacie a disposizione in Italia, circa 600 stanno allestendo medicinali a base di cannabinoidi, lasciando molte aree geografiche scoperte, con gli inevitabili disagi per la popolazione di pazienti che ne richiede accesso. Per i
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fronteggiare questa problematica nell’anno Accademico 2017/2018 Dipartimento di Neuroscienze dell’Università di Padova ha aperto un so di perfezionamento residenziale della durata di un anno sugli aspetti medicinali, botanici e legali della cannabis. Le lezioni sono tenute da un ampio gruppo di medici e ricercatori di vari settori e gli studenti completano l’anno con la discussione di una tesina finale. Dall’anno 2018/2019 alcune delle lezioni sono accreditate ECM. Sempre dall’anno Accademico 2018/2019 sono
Unendo i risultati degli sforzi di queste due realtà, UniPD e Cannabiscienza, centinaia di professionisti sono ora stati formati sul sistema endocannabinoide e sulla pianta di cannabis, diventando capaci di prescrivere il farmaco (medici) e allestire farmaci (farmacisti). Sono infatti circa il 40% degli iscritti infermieri, operatori socio-sanitari e medici, mentre il 31% tra farmacisti e biologi. Oltre a loro molte altre figure professionali stanno giovando dalla formazione, dai chimici e farmacologi per laboratori di estrazione e di analisi (circa 12% degli iscritti), a sociologi, psicoterapeuti e avvocati (il 17%), fino ad erboristi e nutrizionisti. Insieme, queste due piattaforme stanno letteralmente cambiando lo stato di conoscenza dei professionisti medico- scientifici nel panorama italiano. Ma rimane ancora molto da fare affinché endocannabinologia venga riconosciuta e integrata come specializzazione. L’utilizzo dell’apprendimento a distanza, come anche questo periodo di emergenza Covid-19 ci ha confermato, è cruciale per garantire l’ampliamento di distribuzione delle conoscenze scientifiche in maniera capillare su tutto il Territorio. L’auspicio è che sempre più realtà accademiche riconoscano il valore delle conoscenze divulgate da queste due istituzioni, integrandone gli insegnamenti e permettendo una diminuzione del gap conoscitivo che ancora sta affliggendo il Paese. Per tutta la durata della quarantena in Italia, cannabiscienza. it ha attivato un codice sconto del 30% su tutta l’offerta formativa: CS30
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accessibili in modalità formazione a distanza (FAD) i corsi erogati dalla società scientifica Cannabiscienza, una azienda privata a vocazione sociale, sviluppata da alcuni degli stessi scienziati coinvolti nel corso residenziale di UniPD e che offre un sistema integrato e localizzato di divulgazione scientifica che combina e-learning, simposi (sia residenziali che webinar) e pubblicazioni contestualizzate alle possibilità e necessità delle diverse figure professionali coinvolte con la cannabis. I corsi di Cannabiscienza sono patrocinati da diversi atenei italiani, come l’Università Statale di Milano, l’Università della Campania Vanvitelli, l’Università del Piemonte Orientale e il CNR (Consiglio Nazionale per la Ricerca), oltre che da associazioni collegate al mondo medico (Ordine Provinciale dei Medici e Chirurgi e degli Odontoiatri di Milano, Federazione Italiana dei Medici di Famiglia Lombardia) e alla ricerca scientifica (Associazione Luca Coscioni, Multidisciplinary Association for Psychedelic Studies). A differenza del corso di perfezionamento dell’Università di Padova, Cannabiscienza offre corsi disegnati ad hoc sia per le diverse professioni, che per il semplice interessato, e sono corredati di test di apprendimento, esami finali, bibliografia, materiali extra e video-lezioni pratiche di galenica. Nell’anno Accademico 2020/2021 due dei corsi erogati provvederanno crediti ECM.
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CANNABIS E PSICOSI? NESSUN ALLARMISMO Giancarlo Barbini Cannabismedicaroma.it
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er decenni, gli scienziati hanno cercato di capire il puzzle apparentemente insormontabile che è il rapporto tra sostanze sintetiche (ad esempio le benzodiazepine) ed il rischio di insorgenza di psicosi.
Tranquillizziamo subito i consumatori: questo rapporto non è affatto provato per la cannabis da alcuno studio scientifico controllato. Chi tenta di stabilire una relazione lo fa ad uso propagandistico per supportare una ideologia repressiva.
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Sicuramente un abuso di qualsiasi sostanza che vada ad interferire con il Sistema Nervoso Centrale (cervello) può determinare l’insorgere di una crisi dissociativa nella persona, (basti pensare all’alcool riferendosi al detto dei latini “in vino veritas” , dove l’individuo assume un comportamento bizzarro dopo essersi ubriacato). Quindi nessun allarme va lanciato circa il rapporto tra cannabis e salute mentale specialmente nell’adulto. Semmai si possono ulteriormente sensibilizzare i consumatori circa l’abuso o l’uso smodato, ma questo è valido in mille situazioni di vita. Ancora oggi quindi, sebbene il paesaggio sia meno confuso, è praticamente impossibile trarre una conclusione decisiva sulla relazione causale (causa-effetto) tra i cannabis e psicosi.Molta confusione ha a che fare con un numero limitato di studi metodologicamente validi condotti negli anni ’80, ’90 e nei primi anni ’00. La maggior parte di questi studi, in un modo o nell’altro, ha concluso che la cannabis può o aumentare la probabilità di sviluppare un disturbo psicotico (tra gli individui vulnerabili) o addirittura causarlo. Tuttavia, poiché è altamente implausibile che condurremo mai un esperimento “perfetto” che richiederebbe un campione molto ampio (problema pratico) e la manipolazione dell’uso di cannabis tra i partecipanti (problema etico), dobbiamo essere critici delle inferenze tratte da ricercatori in passato. Per dirla semplicemente, la maggior parte degli studi che ricercano il legame tra cannabis e psicosi sono e saranno imperfetti. Ecco perché, di recente, abbiamo assistito a un’ondata di recensioni critiche che sottolineano proprio questo. Tra i più importanti c’è un articolo scritto da Ian Hamilton e Mark Monaghan, pubblicato su Current Psychiatry Reports nel 2019.
IL PROBLEMA CHE ALCUNI IPOTIZZANO Secondo Hamilton e Monaghan, nella letteratura contemporanea, ci sono tre diverse ipotesi che delineano il possibile legame tra cannabis e psicosi: 1. La cannabis può essere responsabile di innescare disturbi psicotici tra individui non vulnerabili; 2. Ipotesi di causalità inversa, che afferma che individui predisposti potrebbero usare la cannabis come mezzo per mitigare i sintomi prodromici (il periodo tra i primi sintomi e l’insorgenza della condizione); 3. La relazione tra cannabis e psicosi è causata da altri fattori come la genetica o il trauma infantile. Gli autori sostengono che ognuna di queste ipotesi ha difficoltà a sopravvivere da sola a causa di una serie di carenze metodologiche di cui soffrono questi studi.
Ad esempio, uno dei maggiori problemi nel sostenere che la cannabis può scatenare la schizofrenia è che i ricercatori di solito si basano su metodi osservativi. Inoltre, poiché la dose di cannabis svolge un ruolo cruciale nell’amplificare il rischio di psicosi, i ricercatori non hanno un consenso su quale possa essere tale dose (per alcuni è più di 50 esposizioni, mentre altri si basano sull’uso del mese scorso). L’ipotesi di causalità inversa insiste sul fatto che gli individui predisposti alla schizofrenia usano la cannabis per annullare i primi effetti negativi delle loro condizioni di sviluppo. Tuttavia, la maggior parte di questi individui afferma che la loro principale motivazione dietro l’uso di cannabis è il piacere e la ricreazione, non la mitigazione dei sintomi avversi. Infine, mentre molti altri fattori confondono la relazione tra cannabis e psicosi, oggettivamente parlando, è importante sottolineare che la ricerca genetica da sola non ha fatto molto per contribuire alla nostra comprensione di questa intricata relazione. Affidarsi esclusivamente alla biologia e alla genetica semplificherebbe in qualche modo la questione perché la cultura e altri fattori ambientali influenzano enormemente la nostra salute e le nostre abitudini. Ma non è tutto. Sia gli studi iniziali che quelli successivi si sono occupati quasi esclusivamente di campioni interamente maschili. Se uno degli obiettivi della comprensione della relazione tra cannabis e psicosi è migliorare o creare migliori interventi sulla salute pubblica, è necessario conoscere meglio le differenze tra i sessi, in relazione ai rischi di sviluppare condizioni di salute mentale. Inoltre, l’egemonia occidentale è un’altra questione seria che offusca in modo significativo la nostra comprensione della questione. In parole povere, i campioni di questi studi sono stati per lo più estratti dai paesi occidentali. Questo problema non è piccolo perché la cultura ha un impatto drastico non solo sul nostro consumo di droghe ma anche sulle sue conseguenze.
A CHE PUNTO SIAMO CON GLI STUDI? Sarebbe pericoloso dire che il legame tra cannabis e psicosi sia causale. La verità è che non abbiamo prove sufficienti per sostenere tale affermazione. Molti fattori influenzano lo stato del nostro benessere e della nostra salute mentale, rendendo estremamente difficile cancellarli sperimentalmente tranne uno. Se il nostro obiettivo è quello di essere il più obiettivo possibile, accontentarci di una semplificazione eccessiva attraverso spiegazioni biologiche, genetiche o persino sociali non lo taglierà. La realtà è che tutte queste influenze si intrecciano e creano una complessa rete di fattori che contribuiscono al nostro modo di essere. Fino a quando non verrà condotto un esperimento perfetto, dovremo semplicemente accontentarci di “non lo sappiamo”. L’abuso di droghe è solo uno dei comportamenti rischiosi che si trovano comunemente tra le persone con condizioni di salute mentale. Ma i comportamenti rischiosi e le loro ripercussioni non possono essere ritenuti responsabili dell’inizio delle condizioni di salute mentale. Trauma infantile, possibili predisposizioni genetiche, cultura e molti altri fattori contribuiscono in modo massiccio alla questione. Dopotutto, al giorno d’oggi, più persone consumano cannabis che mai. Ma non abbiamo assistito a un picco nell’incidenza della psicosi. Se la relazione tra i due fosse causale, non sarebbe così?
GLI "ALTRI" CANNABINOIDI: QUALI SONO E COSA FANNO
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CANNABIS E SALUTE
PER INFORMAZIONE E DUBBI INVIATE LE VOSTRE DOMANDE AL DOTT. MATTEO MANTOVANI A REDAZIONE@BELEAFMAGAZINE.IT
Matteo Mantovani Farmacia San Carlo Ferrara
CNG: IL CANNABIGEROLO Iniziamo il nostro viaggio nei cannabinoidi con la molecola madre per la maggior parte di molti cannabinoidi. Il CBG, noto come cannabigerolo, inizia la sua vita come acido cannabigerolico (CBGA). Da lì, gli enzimi all’interno della pianta lo trasformano in uno dei tre altri cannabinoidi, THCA, CBDA e CBCA. Queste molecole perdono il loro gruppo acido e diventano decarbossilati diventando THC, CBD e CBC. Poiché il CBG è “esaurito” quando convertito in altri stati, le piante ad alto contenuto di CBG tendono ad avere un basso contenuto di THCA o CBDA e viceversa. Il CBGA è la molecola genitrice di molti cannabinoidi trovati nella cannabis. A differenza del suo derivato THC, il CBG non è psicoattivo. Ha mostrato interessanti proprietà anti-infiammatorie, così come la capacità di protezione nei confronti dei neuroni. Alcuni studi avrebbero dimostrato la sua capacità di inibire la crescita delle cellule cancerose; inoltre è un efficace stimolante antibatterico, anti-spasmodico e stimola dell’appetito. Molti dei suoi benefici sono simili a THCA e CBDA, il che ha senso, in quanto sono chimicamente simili. Prima di trasformarsi in THCA, CBDA e CBCA, CBGA può intraprendere un altro percorso attraverso cambiamenti enzimatici e diventare CBGVA, che è il precursore di un’altra tipologia di cannabinoidi: THCVA, CBDVA e CBCVA. La V in questo set di cannabinoidi si riferisce al Cannabivarin, classificato come propil cannabinoide; questo gruppo contiene una catena propilica invece di una catena pentilica all’interno della molecola. Sebbene questa distinzione possa offrire alcune modifiche agli effetti di questi cannabinoidi, la maggior parte agisce in modo simile ai loro cugini pentili. L’eccezione a questa regola è THCV, o tetrahyrdocannabivarina.
THCV: TETRAIDROCANNABIVARINA Come accennato, il THCV inizia la vita come CBGVA, e viene quindi modificato attraverso gli enzimi. Possiede una capacità differente rispetto gli altri cannabinoidi che è quella di sopprimere l’appetito invece di stimolarlo. Nessun altro cannabinoide conosciuto funziona in questo modo ed è proprio per questo che il THCV sta riscuotendo enorme interesse in ambito scientifico. Oltre alla soppressione dell’appetito, il THCV possiede la capacità di promuovere la crescita e la riparazione delle ossa.
CBC: CANNABICHROMENE Un altro cannabinoide promettente è CBC o Cannabichromene. Il secondo cannabinoide più comune, CBC è un prodotto di CBGA proprio come il THC e il CBD. Tuttavia, il CBC non interagisce con i recettori CB1 o CB2 come fanno il THC e il CBD. Il CBC sembra attivare altri recettori secondari e per questo motivo funziona bene nei preparati topici. Grazie a ciò potrebbe essere inserito come molecola nei trattamenti contro l’acne, riducendo notevolmente la sovrapproduzione di sebo nella pelle. Il CBC ha dimostrato di essere più efficace nelle applicazioni topiche. Combinato con le sue proprietà antibatteriche, antinfiammatorie e analgesiche, può essere ideale per un elevato numero di patologie della pelle. Infine il CBC stimola con la motilità spastica dello stomaco senza causare stitichezza, effetto secondario di un gran numero di farmaci tradizionali.
CBN: CANNABINOLO A differenza di altri cannabinoidi che provengono da cambiamenti enzimatici all’interno della pianta, il THC si trasforma in CBN dopo prolungata esposizione solare in natura. Era tradizionalmente associato ad una ”cannabis di cattiva qualità”, poiché alti livelli di CBN tendono a causare mal di testa e aumentano il senso di stanchezza una volta fumata. Tuttavia, ora sappiamo che è necessario poco CBN per avere un pronunciato effetto soporifero e 5 mg possono essere efficaci quanto una dose da 10 mg di diazepam, un comune farmaco utilizzato anche per indurre il sonno. Come detto, tutti i cannabinoidi condividono il precursore CBGA. La pianta quindi ”dirige” il CBGA a diventare altri cannabinoidi per tutto il suo ciclo vitale tramite sintesi, enzimi che convertono chimicamente i cannabinoidi in altri cannabinoidi. Questo è determinato dalle esigenze della pianta e dalle quantità disponibili di precursori cannabinoidi. Stiamo ancora scoprendo i ruoli che ciascuno di questi cannabinoidi gioca all’interno della pianta, ma possiamo tranquillamente presumere che THCA, CBCA e CBDA avvantaggino la pianta in qualche modo perché appaiono in maggiore concentrazione all’interno di essa. La maggior parte degli altri cannabinoidi, sebbene potenti e utili per scopi medici, non sembrano offrire alla pianta tanto. Ricordiamo che il THC è effettivamente presente in quantità veramente basse nella pianta di cannabis, differentemente dal THCA presente in abbondanza (in relazione alle specie e genitiche di Cannabis). Solo con più ricerche, selezione, studio di determinate genetiche e comprensione della pianta di cannabis e dei suoi meccanismi naturali potremo imparare a svelare i segreti di queste sostanze non comuni, ”i cannabinoidi non comuni”.
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on solo THC e CBD. A svolgere un ruolo nella cannabis ci sono anche dei cannabinoidi meno conosciuti: vediamo quali sono e che ruolo hanno.
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Cannabiservice Teleassistenza Cannabiservice è riuscito a portare nelle case di centinaia di italiani la cannabis terapeutica a prezzi mai visti finora, riducendo e annullando al 100% tutte le speculazioni dei medici e delle farmacie, consentendo a tutti i pazienti di ottenere tutela diretta e indiretta.
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CANNABIS MEDICA
AUTOCOLTIVAZIONE, UN SOGNO REALIZZABILE? Marta Lispi responsabile Cannabiservice
Il “The European Cannabis Report” (2019), a cura della Prohibition Partners, elesse l’Italia uno dei mercati più promettenti per la cannabis in Europa: “L’Italia è un precursore per quanto riguarda la legislazione progressiva sulla cannabis” sia medica che per la produzione industriale. Dal 2007, dopo che l'allora ministro della salute Livia Turco riconobbe tramite decreto ministeriale l'efficacia terapeutica del THC, è consentita l’importazione di cannabis medica dall’Olanda e dal Canada. Ma ad oggi non è per nulla sufficiente: avviene con scarse quantità, le varietà sono troppo simili tra loro e non adatte a tutte le patologie, mettendo così a repentaglio la continuità terapeutica con costi onerosi per il paziente e l’irreperibilità in alcuni periodi dell’anno. L’offerta insomma non soddisfa la domanda. Anche per questo è nata l’associazione Cannabiservice, per soddisfare al meglio l’incontro tra domanda e offerta, visto che si occupa in prima linea di rivendicazione, analisi e linee guida in base alle norme che condizionano e legittimano la cannabis terapeutica. Le normative, infatti, non sono chiare nemmeno agli stessi operatori e vanno in contraddizione tra loro se si valutano i regolamenti regionali. L’assistenza al paziente cannabico non si dovrebbe limitare alla distribuzione del farmaco tramite le farmacie, ma dovrebbe essere complementare all’autoproduzione. Anche perché la cannabis è molto più sicura dell’alcol, non sono stati convalidati danni oggettivi, è meno dannosa per il corpo e non causa comportamenti violenti o sconsiderati nel consumatore. E quindi come è consentita la coltivazione di tabacco, la produzione di birra a domicilio, è questione di logica permettere di coltivare quantità limitate di cannabis a casa. In Italia alcune realtà di Social Club iniziano finalmente a muoversi e a crescere, sopperendo alle carenze delle disponibilità in farmacia con escamotage che non eludono la tolleranza dell’esecutivo, facendosi forza del riconoscimento dei diritti del paziente cannabico. È vero che la soluzione dell’autoproduzione è la più allettante, ma è altrettanto vero che il privato è in grande difficoltà senza una normativa che riconosca le libertà individuali, soprattutto quando ci sono necessità oggettive. Per questo ci rivolgiamo spesso all’os-
servazione delle affascinanti realtà extranazionali: Spagna, Francia, Paesi Bassi, Belgio, Germania, Austria, Slovenia, Nuova Zelanda e 33 distretti degli USA. Quest'ultima è il prototipo che all’interno del Cannabiservice proponiamo come soluzione legislativa alle istituzioni, fusa e collimata con i diritti di libertà alla cura del cittadino italiano, anche alla luce della sentenza della Cassazione del 19 dicembre 2019, le cui recenti motivazioni hanno confermato che “devono ritenersi escluse, in quanto non riconducibili all’ambito di applicazione della norma penale, le attività di coltivazione di minime dimensioni svolte in forma domestica”.
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Anche se la Spagna propone il modello più conosciuto per vicinanze, dovremmo avere la consapevolezza che i controlli sono inesistenti, e non legando la produzione alla risoluzione di una patologia specifica i prodotti sono scadenti e l’immagine della cannabis continua ad essere legata ad un uso improprio escludendo l’automedicazione. California Dreamin’ or Trimmin’? Le leggi della California che regolano uso e produzione di cannabis sono state unificate nel 2017 in un unico documento: Regolamento sulla Cannabis per uso medicinale e per adulti e legge sulla sicurezza (MAUCRSA), composto da due distinti disegni di legge MCRSA (ex MMRSA), applicato solo alla cannabis medica e la Adult Use of Marijuana Act (AUMA). Il MAUCRSA rilascia licenze a cittadini maggiorenni (21anni) per coltivare fino a sei piante in casa e possedere un oncia (28gr ca) per uso personale ai giardini collettivi, escludendo quelli con un massimo di cinque pazienti, soggetti alla legge statale e il controllo locale. Il nuovo ordinamento è stato depositato per ridurre le sanzioni penali e imporre un aumento fiscale sulla vendita della cannabis medica, permettere ai controlli locali di supervisionare “ragionevolmente” e ai tribunali di vietare la coltivazione di marijuana medica personale, là dove superi la quantità di cui un paziente ha bisogno. Un sogno realizzabile? Un diritto rivendicabile, per cui dovremmo impegnarci come massa critica, attuando quelli che sono prototipi di realtà associative come il Cannabis Cura Sicilia SC, The Hemp Club, Canapantica SC e avviando una campagna informativa sull’autoproduzione e il legame stretto tra il fitocomplesso e le potenzialità terapeutiche dell’infiorescenza. I luoghi culturali, con gli Info Point, sono strumento utile per il paziente intenzionato ad avviare un percorso di autoproduzione ma non di autocura, poiché le figure medico-scientifiche sono sempre di più e diffondono sempre meglio l’informazione reale che evidenzia un discostamento tra efficienza terapeutica e opportunità farmaceutiche.
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Italia annovera primati cannabici, ad esempio nonostante sia stata riconosciuta come medicina in Cina nel 2.500a.C., i ritrovamenti fossili più antichi sono laziali e risalgono a 13.5000 anni fa.
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TERRITORIO DI CANNABIS
UN CLUB CON 800 SOCI NEL CUORE DELLE ALPI. LA STORIA DEL CSC DI BOLZANO Emilio Vettori
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PETER GRÜNFELDER, PRESIDENTE, INCARICATO CON L'AMMINISTRAZIONE DEBORAH ZANOLLI, CONSIGLIERA, INCARICATA PREPOSTA PER LA VENDITA ANDREA ZANETTINI, CONSIGLIERE, INCARICATO PER MANUTENZIONE E SERVIZIO TECNICO
n questo periodo la maggior parte degli Shop sono stati chiusi al pubblico. Alcuni però hanno potuto riaprire i battenti prima degli altri, come ad esempio il Cannabis Social Club di Bolzano. Ne abbiamo approfittato per una chiacchierata con Peter Grünfelder, presidente dell’Associazione. Ecco cosa ci ha detto. Come nasce il Cannabis Social Club di Bolzano? CSC nasce come associazione nel 2015, su iniziativa mia e di Stefano Balbo. All'inizio era difficile coinvolgere persone in questo progetto, e ce lo aspettavamo. Chi va in giro a promuovere questa tematica in una realtà conservatrice come l’Alto Adige? Nel 2015 abbiamo iniziato a trovarci una volta a settimana e nel settembre 2015 abbiamo fondato questa associazione, che oggi conta più di 800 soci. Quali sono state le motivazioni alla base della scelta di fondare il CSC? Io personalmente ho sempre fatto progetti per promuovere informazione dal basso (ad esempio portale kultur.bz.it e salto.bz, ndr). Questa volta volevo fare qualcosa per promuovere sul territorio il tema della legalizzazione della cannabis. Una volta iniziato a lavorare ed entrando sempre più in contatto
con le persone mi sono accorto però dell’importanza degli aspetti terapeutici e dell’uso medicinale della cannabis. Lì è diventato chiaro che dovevamo lavorare con i pazienti, capire cosa c’è dietro e raccontare il disagio che vivono queste persone per superare la poca informazione, sia tra noi cittadini che tra i medici. Anche perché in un certo senso la marijuana è già legale… Se ci pensi è così. Oggi è possibile avere accesso in modo legale a questa sostanza, ma l'accesso ai trattamenti con questo farmaco è soggetto a molti impedimenti e ostacoli e ci sono ancora troppi pregiudizi. Il modello Cannabis Social Club prevede la possibilità di associarsi per l’autoproduzione, come già accade in Spagna. Quali sono le prospettive per voi in questo ambito? Noi aderiamo al modello ENCOD e vorremmo coltivare Cannabis Medica per i nostri pazienti, ma al momento non ci sono le condizioni. In questa fase, come associazione di pazienti, facciamo soprattutto attività di sensibilizzazione, consulenza e informazione. Concretamente? Il CSC nasce per accompagnare i pazien-
ti e aiutarli ad avere accesso legalmente alla cannabis. Noi li mettiamo in contatto con i medici e li aiutiamo ad effettuare tutte le pratiche. Oltre a ciò creiamo momenti di informazione, confronto approfondimento, per essere un punto di riferimento positivo per i nostri soci, e contribuire a costruire una comunità, dove prima ognuno affrontava questi problemi da solo. Come CSC operate per sensibilizzare i medici. In cosa consiste la vostra attività? Noi lavoriamo con un comitato scientifico e ci siamo impegnati molto per creare una formazione per medici e farmacisti. Abbiamo strutturato un corso online, accreditato a livello provinciale in collaborazione con l’Azienda sanitaria locale. Nel novembre 2019 abbiamo organizzato una conferenza in collaborazione con l’Università di Bolzano a cui hanno partecipato medici da tutta Italia. Allo stesso tempo però abbiamo lavorato molto con la politica e le istituzioni e siamo riusciti a promuovere l’adozione di una delibera per regolamentare il settore. Non è stato facile. È stato un processo durato due anni, in cui abbiamo rotto le scatole, ma a fine maggio 2018 è uscita questa delibera, che prevede l’accesso gratuito a questo farmaco (solo le infiorescenze, non olio, ndr.) e in cui si stabilisce che 7 servizi dell’ospedale possono adottare questo piano terapeutico. Quale è il segreto dei risultati che avete ottenuto? Noi cerchiamo di promuovere consapevolezza. Allo stesso tempo sappiamo che è importante avere un buon rapporto con le autorità. Ma tutto parte da una stretta collaborazione con i medici locali, perché il cambiamento viene dal basso. Ci muoviamo a più livelli, perché nonostante i risultati ottenuti, che ci danno grande soddisfazione, sappiamo che c’è ancora molto da fare. Basta pensare che in Alto Adige sono solo due i reparti che hanno dimostrato apertura a questa tematica e promuovono piani terapeutici con l’utilizzo di Cannabis Medica, cioè il reparto cure palliative e terapia del dolore. Per quale motivo, secondo te? Entrambi i reparti sono relativamente nuovi anche in Alto Adige e subiscono un po’ gli stessi pregiudizi che ci sono per la cannabis. Allo stesso tempo si tratta di un settore quasi di frontiera, aperto alle novità che possono contribuire a migliorare la qualità della vita dei pazienti. Per questo è stato possibile collaborare bene con questi medici, in particolare con il primario dell’ospedale di Bolzano, in quanto loro si rendono conto direttamente degli effetti positivi
che può avere la cannabis per migliorare la qualità della vita dei pazienti. Per il disagio psichico invece? In questo settore la situazione è tragica perché non è prevista nessuna regolamentazione in materia. Ogni medico può però prescrivere la cannabis come medicinale per la cura del disagio psichico, sotto la sua responsabilità professionale e sulla base della letteratura scientifica esistente. Il problema è che la maggior parte dei medici non si assume questa responsabilità e non va oltre le direttive del ministero. E questo mi fa molto arrabbiare.
Che ruolo possono avere i pazienti in questo processo, in particolare nel rapporto con i medici? I pazienti sono i primi che devono mostrare responsabilità. Troppo spesso come pazienti non siamo consapevoli o non vogliamo pensare agli effetti collaterali delle medicine che ci prescrivono. I pazienti devono chiedere al medico di valutare la possibilità di avere una cura alternativa con la cannabis. Se non c’è l’interesse nei pazienti, allora non possiamo pretendere che i medici vadano in questa direzione. Nel 2016 siete stati molto attivi quando è stata presentato il disegno di legge di iniziativa popolare per la regolamentazione legale della produzione, del consumo e della commercializzazione della cannabis e dei suoi derivati. Cosa ci puoi raccontare di quella esperienza? Come associazione abbiamo raccolto in Alto Adige oltre 5.000 firme e sono stato più volte a Roma per confrontarmi con alcuni parlamentari e anche con l’allora ministro della Sanità. Come sappiamo tutti, il disegno di legge è rimasto in un cassetto. Purtroppo, ho imparato che raccolte di firme e iniziative di legge dal basso in Italia non valgono niente. Una grande delusione verso la politica e verso le procedure della democrazia. Però ci sono state una serie di sentenze che hanno fatto giurisprudenza… Ma le sentenze della Cassazione non hanno lo stesso valore di una legge organica e non hanno contribuito a fare
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chiarezza, anzi. La sentenza del 2019 sulla coltivazione della Cannabis Sativa L. e la commercializzazione dei prodotti derivati faceva proprio schifo (sentenza n. 30475/2019, ndr.). Si contraddiceva, ha fatto casino. E oggi tutta la filiera dipende dalla discrezionalità dei questori. E il ruolo dei media? Anche loro hanno fatto casino perché hanno riportato solo il primo paragrafo della sentenza. Non parlo delle riviste specializzate come BeLeaf, ma tutti gli altri hanno fatto passare il messaggio che la Cannabis Light era vietata, con effetti devastanti per tutti i Cannabis Shop e la filiera produttiva. Ricorda poi che in quel periodo c’era Salvini che faceva una fortissima propaganda contro il settore, e si è parlato addirittura di guerra del bene contro il male. Parliamo di oggi. Da settimane stiamo tutti affrontando l’emergenza Coronavirus. Negozi chiusi e molti pazienti temono il problema dell’approvvigionamento. Cosa sta succedendo in questa fase? L’approvvigionamento è sempre stato un problema e in questo senso i pazienti hanno sempre vissuto una crisi. Nel gennaio 2018, in Alto Adige come in tutta Italia, la Cannabis Medica era introvabile. Anche lo scorso novembre ci sono stati problemi, con la conseguenza che molti pazienti dovevano rivolgersi al mercato nero. In questa fase ci aspettavamo problemi, però abbiamo notato, stranamente, che al momento non è così. Per la cannabis light non è cambiato molto. I corrieri continuano a lavorare e riceviamo regolarmente dai nostri fornitori. Anzi abbiamo registrato un aumento della richiesta. La maggior parte degli shop in Italia sono stati chiusi al pubblico, ma il
CSC ha potuto riaprire prima. Come mai? CSC è in primo luogo una associazione di pazienti operativa nell’ambito sociosanitario. Inoltre, fin dall’inizio dell’attività abbiamo trattato i prodotti edibili a base di canapa. Per questo ci è venuto naturale chiedere fin dall’inizio la licenza per vendere prodotti alimentari. Siamo poi autorizzati a vendere prodotti igienizzanti per la casa. Anche questo ci ha fatto rientrare tra le categorie autorizzate a riaprire. È stato difficile orientarsi in questa situazione? All’inizio non si capiva niente, anche se sapevamo che le attività di vendita al dettaglio di alimentari potevano restare aperte. Naturalmente non volevamo ricevere sanzioni e prima di riaprire abbiamo chiesto a tutti gli enti possibili, dalla camera di commercio alla questura, dal Comune al Pubblico Ministero. Ci hanno risposto in tanti, ma mai in modo formale. Fino a quando non abbiamo ricevuto una comunicazione ufficiale dal Comando provinciale dei Carabinieri che confermava che la nostra attività era autorizzata a riaprire. Come shop abbiamo rispettato naturalmente tutte le condizioni di sicurezza e abbiamo tolto le confezioni da 1g per evitare che le persone vengano tutti i giorni. Si può trarre qualcosa di positivo da questa crisi? Abbiamo notato che ad avere problemi è stato il mercato nero. Questa crisi ci dimostra che una gestione legale del settore è possibile. Prospettive per il futuro? Promuovere la nostra conferenza e la formazione per i medici in tutta Italia, in collaborazione con altre realtà come la nostra. E fare nascere un Canapa Cafè aperto al pubblico in centro a Bolzano. Sarebbe fantastico.
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Dopo cinque anni di attività dell’associazione sono cambiate le cose? Abbiamo visto che rispetto a cinque anni fa c’è più apertura, ma ancora molto resta da fare. Sono aumentati i medici che prescrivono cannabis terapeutica ma molti sono ancora contrari e il processo è ancora troppo lento.
BeLeaf aprile-giugno 2020
TERRITORIO DI CANNABIS
BeLeaf aprile-giugno 2020
CULTURA CANNABICA
TOD MIKURIYA, IL “GRANDFATHER” DELLA CANNABIS MEDICA
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Fu inviato in California per osservare le abitudini degli hippy che stavano esplodendo sulla scena proprio in quegli anni. E come scrive Martin Lee nel suo libro "Smoke Signals: A Social History of Marijuana", "Mikuriya capì che, per quanto riguarda la cannabis, aveva più in comune con i ribelli del nord della California che con i burocrati repressi con cui aveva lavorato fino a quei giorni”. Nel 1968, Mikuriya si dimise dalla sua posizione NIMH e si trasferì a Berkeley, dove iniziò una pratica psichiatrica privata. Il momento più importante della sua vita stava per iniziare.
FORZA INTELLETTUALE DIETRO LA SPINTA DELLA MARIJUANA MEDICA Nel 1972, Mikuriya pubblicò i “Marijuana Medical Papers: 1869-1972”, un'opera che fu determinante nel lancio del movimento moderno per la marijuana medica.
Kail Bench
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e c’è un nome che è stato decisivo nel processo innovativo legato alla legalizzazione della marijuana medica in California negli anni ‘90, questo risponde sicuramente a quello del dottor Tod Mikuriya. Lo psichiatra di Berkeley, morto nel 2007, è considerato a tutti gli effetti il “nonno” del movimento, capace di trasformare la rabbia degli attivisti in una serie di istanze che portarono alla liberalizzazione della cannabis terapeutica.
UN "ATTACCO INAPPROPRIATO DI CURIOSITÀ" Mikuriya è nato in una zona rurale della Contea di Bucks, in Pennsylvania, nel 1933, da immigrati tedeschi e giapponesi. Questo ovviamente lo ha reso il bersaglio del pregiudizio durante la sua infanzia nella seconda guerra mondiale, un'esperienza a cui in seguito avrebbe attribuito la sua storia da ribelle. Ha conseguito la laurea in psicologia presso il Reed College in Oregon nel 1956. Ha poi frequentato la facoltà di medicina alla Temple University di Philadelphia, il vero punto di svolta nella sua vita. Come avrebbe riferito anni dopo al giornalista Ruby Dunes a margine di una conferenza sulla cannabis a Santa Barbara, nel 1959 Mikuriya fu "colpito da un attacco inappropriato di curiosità", dopo aver letto un capitolo di un libro di farmacologia che menzionava il diffuso medicinale uso della cannabis negli Stati Uniti prima che fosse bandita nel 1937. Niente sarebbe mai più come prima per lui. Nel 1966, Mikuriya iniziò a dirigere il centro di trattamento della tossicodipendenza dell'Istituto neuropsichiatrico del New Jersey, a Princeton. Ma accanto all’attività accademica e di ricerca, viaggiò in tutto il mondo, soprattutto in Marocco, alla ricerca di informazioni preziose. Nel 1967, Mikuriya divenne ricercatore presso il Center for Narcotics & Drug Abuse Studies del National Institute of Mental Health (NIMH), a sua volta una divisione del National Institutes of Health. Questa agenzia era il predecessore del National Institute on Drug Abuse (NIDA) di oggi.
Quando questo movimento iniziò a decollare in California durante la crisi dell'AIDS degli anni '80, Mikuriya divenne il fuoriclasse scientifico che alimentava le istanze del movimento. Se Dennis Peron è considerato il padre della cannabis medica, l'architetto chiave della Proposition 215, che 1996 che ha reso legale la marijuana medica in California, Mikuriya era sicuramente il nonno, con il suo instancabile lavoro dietro le quinte che ha portato al punto a cui siamo arrivati oggi. Ha fondato Mikuriya Medical Practice, che vive ancora oggi e si autoproclama come "il servizio di consulenza sulla marijuana medica originale in California". Ha prescritto un’infinità di ricette mediche a base di marijuana per i suoi pazienti. Era affettuosamente conosciuto come "Dr. Tod.” Negli anni seguenti, fondò il California Cannabis Research Medical Group e il suo ultimo ramo, la Society of Cannabis Clinicians. A causa di ciò che ha fatto nella sua vita personale e professionale, Mukuriya ha attirato su di sé le attenzioni di politica e giustizia. Il guru anti-droga del presidente Bill Clinton, Barry McCaffrey, lo mise nel mirino, non perdendo mai occasione per metterlo in ridicolo. Alla fine, nel 2000, il Medical Board of California ha accusato Mikuriya di condotta non professionale per presunta mancata conduzione di adeguati esami fisici su 16 pazienti per i quali aveva prescritto la cannabis. Il caso si basava sulla testimonianza di agenti di polizia sotto copertura. Ma nessuno dei suoi pazienti legittimi si è mai lamentato della sua condotta. Nel 2004, la Commissione medica ha inflitto a Mikuriya cinque anni di libertà vigilata e una multa di 75.000 dollari.
"FARMACI DI PRIMA LINEA" Mikuriya morì di cancro nel maggio 2007. Nel suo necrologio, comparso sul New York Times, si fa riferimento ai 9mila pazienti a cui ha prescritto cure a base di cannabis nel suo lungo esercizio medico. Come disse sempre a Ruby Dunes nell'intervista rilasciata un anno prima che morisse, “la cannabis è molto meno pericolosa della maggior parte delle altre medicine a cui puoi pensare, specialmente quando si tratta di condizioni croniche. La cannabis dovrebbe essere considerata come un farmaco di prima linea, anziché essere qualcosa che provi quando rinunci a tutti i trattamenti convenzionali".
Avv. Claudio Miglio e Avv. Lorenzo Simonetti di www.tutelalegalestupefacenti.it
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l presente contributo ha un chiaro obiettivo: condividere con i lettori l’esperienza professionale che ci ha portato, in un caso, a risolvere il problema di approvvigionamento di cannabis per un paziente affetto da grave patologia; in un altro, ad intervenire per tutelare il diritto ad iniziare la cura. Prima di entrare nel merito, però, ci teniamo a scusarci con il Collega Nicomede Di Michele per un nostro articolo pubblicato su BeLeaf Magazine nel quale, per una nostra grave svista, pur riprendendo il suo scritto intitolato “IL DIRITTO A NON SOFFRIRE CHE LO STATO NON GARANTISCE” non è stato citato.
IL CASO DI LUIGI DI PASQUALE Dal 1993 è afflitto da una grave forma del morbo di Chron e da un nodulo polmonare di origine infiammatoria associato ad una grave forma di neuropatia brachiale con il riconoscimento di invalidità all’80%. Stante l’inefficacia dei trattamenti con farmaci antinfiammatori cortisonici ovvero oppioidi, a partire dal 2017 l’ospedale ha prescritto al nostro Assistito cannabis per uso terapeutico per un dosaggio di 10.000 mg al giorno (farmaco Pedanios/Bedrocan). In particolare, come chiaramente attestato dai medici che lo hanno in cura da molti anni, Luigi è costretto ad assumere la cannabis terapeutica “ad alte dosi” (principio attivo pari al 20%22% di THC). In verità, proprio grazie ai farmaci a base di cannabis, il paziente ha ridotto i ricoveri ospedalieri ed ha notevolmente migliorato il trattamento del morbo di Crohn. Nonostante la cura di cannabis abbia conferito beneficio al paziente ed assicurato allo stesso uno stile di vita consono e dignitoso, la farmacia ospedaliera ha cominciato a ridurre arbitrariamente la prescritta dose giornaliera e, addirittura, a non somministrargli il farmaco per lunghi periodi di tempo per carenza di approvvigionamento. L’omissione in questione stava causando una duplice conseguenza: da un lato, la progressiva paralisi delle funzioni biologiche di Luigi, nonché la causazione di dolori ormai cronicizzati ad esclusiva causa del difetto di assunzione dei farmaci sopra
detti; dall’altro, lo ha costretto ad indirizzarsi al mercato nero per approvvigionarsi di marijuana al fine di lenire i suoi lancinanti dolori. Successivamente alla nostra diffida, lamentando la lesione del diritto alle cure, l’azienda ospedaliera ha ripristinato la somministrazione comunicandoci, allo stesso tempo, che «Tuttavia a livello nazionale la tipologia di cannabis ad alto tiolo (THC 17-26%, CBD 1%), in quanto di importazione, risulta esaurita da mesi per cause non imputabili all’Azienda scrivente».
CANNABIS CURA SICILIA L’associazione, nata nel 2013 e costituita da pazienti che soffrono di differenti patologie, si è rivolta al nostro studio legale al fine di supportarli giuridicamente nella battaglia avente ad oggetto i seguenti obiettivi: 1. ottenere la disponibilità di un medico specialista che abbia in cura i pazienti, iscritti all’Associazione, che possa certificare i benefici ed il bisogno della cannabis ad uso terapeutico; 2. presentazione delle istanze alle aziende ospedaliere di competenza al fine di ottenere la somministrazione di cannabis, per le patologie indicate dal Decreto Ministeriale del 9 novembre 2015, il cui costo è a carico del Sistema Sanitario Regionale; 3. tutela legale nel caso in cui le aziende ospedaliere si dimostrino impreparate alla somministrazione della cannabis, sì da costringere i pazienti a rivolgersi al mercato nero gestito dalle criminalità organizzate. 4. presentazione di un’istanza indirizzata al Ministero della Salute al fine di ottenere l’autorizzazione alla coltivazione previa individuazione, come prevede l’art. 18 quater D.L. 148/2017, di uno o più enti o imprese idonee alla coltivazione di cannabis. Conclusioni Come noto, in Italia la cannabis medica sconta un triplice gap: -- la disciplina sanitaria è di competenza regionale: da ciò, quindi, la disorganicità della disciplina per l’adozione di una politica unitaria di sensibilizzazione all’utilizzo della cannabis medica anche in tema di rimborsabilità del farmaco (attualmente le Regioni che hanno emanato leggi regionali in materia di erogazione di “farmaci cannabinoidi” sono: Puglia, Toscana, Liguria, Veneto, Friuli Venezia Giulia, Marche, Abruzzo, Umbria, Sicilia, Basilicata, Emilia Romagna, Piemonte, Campania, Lazio); -- nonostante il monito di aggiornamento biennale delle evidenze scientifiche al fine di ampliare la gamma delle malattie curabili con la cannabis, i derivati della cannabis sono riconosciuti come prodotti curativi soltanto per alcune gravissime patologie indicate nel Decreto Ministeriale del 9 novembre 2015 (spasticità associate al dolore, analgesia per il dolore neurogeno, etc.) ed il cui costo è a carico del Sistema Sanitario delle Regioni che possono discrezionalmente decidere di non prevedere il rimborso per alcune patologie; -- i farmaci in questione non godono di autonomia terapeutica ma sono intesi soltanto quali prodotti fitoterapici ad azione sintomatica di supporto ai trattamenti standard, «quando questi ultimi non hanno prodotto gli effetti desiderati ovvero hanno provocato effetti secondari non tollerabili, o necessitano di incrementi posologici che potrebbero determinare la comparsa di effetti collaterali». A fronte di tale quadro legislativo e sanitario, il nostro obiettivo è agire nella massima collaborazione con gli istituti sanitari, tenendo, però, il pugno fermo affinché il discorso moralistico proibizionista (“è cannabis quindi non è farmaco”) non si traduca – come purtroppo spesso accade – nella violazione del diritto fondamentale dell’individuo alla libertà di cura.
BeLeaf aprile-giugno 2020
IL DIRITTO FONDAMENTALE DELL’INDIVIDUO ALLA LIBERTÀ DI CURA NON PUÒ E NON DEVE ESSERE VIOLATO. DUE CASI DI TUTELA LEGALE
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GREEN MAGAZINE Ambiente e coronavirus, una relazione studiare
La cura verde per i terreni contaminati da metalli e diossina
La casa dei sogni esiste già . Ed è fatta di canapa
BELLEZZA DA TUTELARE La forza di un’immagine. La fotografia come strumento potentissimo per valorizzare la natura e mostrarne la fragilità ecologica. L’impatto su chi guarda l’immagine può stimolare o cambiare in modo straordinario l’opinione pubblica. Questa foto, scattata dal fotografo francese Florian Ledoux, 30 anni, che ritrae un gruppo di foche che si riposano su una lastra di ghiaccio in Antartide, ha vinto il primo premio “Photographer of the Year” di Nature TTL, la più importante community online di fotografi naturalisti.
BeLeaf aprile-giugno 2020
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NESSUN FUTURO SENZA RISPETTO Se l’umanità non riuscirà a controllare la sua crescita demografica esponenziale e al contempo non cambierà modello economico, la fauna selvatica sparirà nel giro di pochi decenni. Senza l’abolizione dello sfruttamento degli animali, concordano gli esperti, il pianeta non ha futuro.
BeLeaf aprile-giugno 2020
FOTONOTIZIA
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BATTERSI PER CHI HA DI MENO Circa 820 milioni di persone vivono quotidianamente il dramma cronico della fame. Di queste, 113 milioni hanno una tale grave carenza di alimentazione che le loro vite sono a rischio: le difficoltà ulteriori di accesso al cibo che il Coronavirus potrebbe portare, li condannano alla morte. In particolare ci sono 44 Paesi che necessitano di continui aiuti umanitari e forniture alimentari, e i loro sistemi sanitari non reggeranno l’impatto della pandemia.
BeLeaf aprile-giugno 2020
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CORONAVIRUS, INQUINAMENTO E IL NOSTRO FUTURO SOSPESO LA GLOBALIZZAZIONE HA FALLITO ED È FINITA. ORA È IL TEMPO DI PRENDERSI LE PROPRIE RESPONSABILITÀ Agnese Rapicetta
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o abbiamo sentito e letto un po’ ovunque in questi giorni di emergenza: la natura, con il coronavirus, si è ripresa i suoi spazi. Dall'acqua cristallina di Venezia, alle anatre di Roma, passando per i delfini nel golfo di Napoli e in quello di Cagliari, i cinghiali a Bergamo o le lepri a Milano: gli animali, nel silenzio e nella tranquillità delle nostre città deserte, hanno ritrovato la loro pace. Con il lockdown si è fermato tutto, la nostra produzione gira al minimo e con essa anche i livelli di biossido di azoto nell'aria sono calati drasticamente. Sono rimbalzate sui giornali le foto dai satelliti sulla Cina, e poi anche sulla nostra Pianura Padana, per dimostrarci quanto l'uomo, costantemente ed impunemente, violenti la terra in cui vive, inquinando. E così abbiamo guardato, almeno per un attimo, alla pandemia con uno sguardo positivo. Se non per il presente, almeno per il futuro. Ma quanto rimarrà di tutto questo?
Papa Francesco, in un'intervista al settimanale cattolico britannico The Tablet, ha dichiarato, citando un detto spagnolo: ‘Dio perdona sempre, noi qualche volta, la natura mai’. Non so se questa crisi sia la vendetta della natura, ma di certo è la sua risposta". Una riflessione che non può lasciarci indifferenti e su cui si stanno interrogando molti scienziati. Perché un dubbio ci assale: esiste una correlazione tra coronavirus e inquinamento? La pericolosa relazione tra Covid-19 e inquinamento atmosferico Un team composto da dodici ricercatori italiani (delle Università di Bologna, di Bari, di Milano, di Trieste e della Società italiana medicina ambientale), ha pubblicato un position paper nel merito. Si legge nel testo che "il particolato atmosferico (PM10, PM2.5) costituisce un efficace vettore per il trasporto, la diffusione e la proliferazione delle infezioni virali". Questa forma di inquinamento atmosferico funziona infatti da "carrier, ovvero da vettore di trasporto" per molti contaminanti e anche per i virus che "si “attaccano” (con un processo di coagulazione) al particolato atmosferico, costituito da particelle solide e/o liquide in grado di rimanere in atmosfera anche per ore, giorni o settimane, e che possono diffondere ed essere trasportate anche per lunghe distanze". Lo studio appena pubblicato sembra dimostrare che "in relazione al periodo 10-29 febbraio, concentrazioni elevate superiori al limite di PM10 in alcune Province del Nord Italia possano aver esercitato un’azione di boost, cioè di impulso alla diffusione virulenta dell’epidemia in Pianura Padana che non si è osservata in altre zone d’Italia che presentavano casi di contagi nello stesso periodo". Il gruppo di ricercatori sta continuando ad approfondire il tema per contribuire ad una comprensione del fenomeno più approfondita, ma nel frattempo le conclusioni sono nette: "La specificità della velocità di incremento dei casi di contagio che ha interessato in particolare alcune zone del Nord Italia potrebbe essere legata alle condizioni di inquinamento da particolato atmosferico, che ha esercitato un’azione di carrier e di boost". Come è noto in Pianura Padana vive il 40% della popolazione italiana (oltre 23 milioni di persone) e lì si concentra oltre il 50% del Pil nazionale. I problemi ambientali sono ben conosciuti e spesso sono stati affrontati con troppa timidezza. L’esposizione alle particelle sottili può aver reso la popolazione che vi risiede più sensibile a patologie del sistema cardio-respiratorio, e dunque più fragile una volta colpita dal virus. Se l'inquinamento ha giocato da protagonista in questa partita, cosa si può fare per il futuro? In Italia le persone morte prematuramente per inquinamento dell’aria sono state stimate in 70mila unità ogni anno e tra i 7 e gli 8 milioni nel mondo. Possiamo rendere 'utile' la pandemia cambiando il nostro approccio alla sostenibilità ambientale? Purtroppo la storia ci ha insegnato che non possiamo farci
troppe illusioni. Come scrive Glen Peters, del Center for International Climate and Environment Research, le crisi economiche sono stati gli unici motivi per cui la crescita delle emissioni si è interrotta. E' successo con la crisi del petrolio del ’73, la fine dell’Unione Sovietica, la crisi finanziaria del 2008 etc. Il problema è che il calo è sempre temporaneo. Una volta superate le crisi, le emissioni tornano ad aumentare sempre più velocemente (anche per cercare di compensare i danni) e gli effetti positivi vengono superati addirittura con una diminuzione dei progetti ecologici nelle fasi di ricostruzione dell’economia. Questa volta sarà diverso? Diversi commentatori, da Jeremy Rifkin a Romano Prodi si sono già affrettati a sancire la morte della globalizzazione così come l’abbiamo conosciuta finora, ma quali caratteristiche avrà in futuro? Manterremo l'abitudine allo smart working, limitando gli spostamenti e quindi le emissioni, soprattutto nei grandi centri abitati? Ci ricorderemo della nostra meraviglia nel vedere gli animali in posti inusuali o del silenzio delle nostre città incentivando politiche ambientali sostenibili basate sulle energie rinnovabili, magari votando con più cognizione di causa i partiti attenti al green? Continueremo a comprare dai piccoli artigiani evitando di farlo nelle grandi catene che sfruttano gli allevamenti intensivi? E soprattutto sapremo riconoscere i nostri errori? La virologa di fama internazionale Ilaria Capua in un'intervista a La Nuova Ecologia dice: "Abbiamo creato un sistema che è stato poco rispettoso dell’ambiente. Tutto il problema dell’emergenza Covid-19 nasce in una foresta dell’Asia al cui interno vivono dei pipistrelli. Questi pipistrelli sarebbero dovuti rimanere nel loro spazio, nella loro nicchia ecologica. E invece è accaduto il contrario. Sono stati cacciati, per essere poi venduti nei mercati. Oppure il loro habitat naturale è stato invaso dall’uomo e sono stati costretti a fuggire. Ciò ha fatto sì che il virus presente nel mezzo di una foresta, e che lì doveva rimanere, si è trovato catapultato in una megalopoli". Un errore umano, quindi, che deve modificare il nostro modo di agire e soprattutto di interagire. Continua Capua, "il primo passo da compiere è guardare alla salute come a un sistema che interagisce con gli altri sistemi del pianeta, comprese le sue componenti inanimate". E sottolinea: "Non credo che non ci siano modi alternativi rispetto a quelli su cui si è puntato finora. Il problema è che i modelli che ci sono adesso sono ormai consolidati e si fa molta fatica a cambiarli". Eppure cambiare si deve. La sensazione è quella di trovarsi ad un bivio: da un parte c'è una strada nuova dall'altra una strada davvero vecchia, già conosciuta e fallimentare. Questa pandemia può mettere finalmente il mondo di fronte alle proprie responsabilità e può rappresentare per i governi, l’occasione per fermarsi, riflettere e rivedere l’approccio globale in questo ambito. Una crisi che apre un solco fra il passato, il presente ed il futuro.
BeLeaf aprile-giugno 2020
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BeLeaf aprile-giugno 2020
IL MONDO DOPO IL CORONAVIRUS
Agnese Rapicetta
lzi la mano chi, in questa quarantena, ha mai sentito nostalgia per le code interminabili di macchine che hanno caratterizzato l'arredo urbano delle nostre grandi città oppure il parcheggio selvaggio e la puzza di smog che ci circondava. Di sicuro nessuno! Non sappiamo come sarà il futuro ma sappiamo bene che cosa non vogliamo portarci dietro: una mobilità fatta solo di automobili. Eppure il rischio che il prossimo futuro sia caratterizzato da un incremento dell'uso dei mezzi privati c'è. E' qui che entra in nostro soccorso la bicicletta: pulita, economica, salutare e 'naturalmente distanziata' la due ruote sembrano essere il mezzo di locomozione più adatto per entrare nella tanto agognata 'fase due'. E soprattutto per restarci anche nelle fasi successive. Cosa manca alle nostre città per incentivarne l'uso? Da sempre il problema principale è la presenza di troppe macchine che rende pericoloso guidare in sicurezza e la mancanza di piste ciclabili. Entrambi i problemi, ora, sembrano davvero risolvibili. Ma bisogna agire subito per instaurare immediatamente un circolo virtuoso. Una delle grandi paure è, infatti, la possibilità che, con il contingentamento degli accessi ai mezzi pubblici e la paura di potersi contagiare, i cittadini siano più predisposti a utilizzare un mezzo privato per spostarsi in città. In questo modo, non solo torneremo ad ingolfare le strade, ma potremo addirittura peggiorare la situazione delle polveri sottili e dell'inquinamento atmosferico. Alcuni studi hanno ipotizzato che l'inquinamento sia il veicolo che fa muovere più velocemente il virus e, di certo, un apparato respiratorio compromesso può rendere più grave l'effetto del Covid sulla salute. A prescindere dal Coronavirus ciò che vogliamo è vivere in armonia con l'ambiente che ci circonda.
Come agire velocemente allora? Legambiente ha presentato ai sindaci italiani un piano in cinque punti per riorganizzare la mobilità: in primo luogo bisogna rendere sicuri i mezzi pubblici, con tornelli e controlli per evitare gli affollamenti, poi sanificare bene e spesso, rendere le mascherine obbligatorie e rimodulare gli orari. Ma è importante anche realizzare piste ciclabili (inizialmente anche) provvisorie su tutte le arterie principali, restringendo le carreggiate delle auto con strisce o barriere. Gli esempi dal mondo ci indicano la strada per interventi praticamente a costo zero. Da Montepellier che ha inserito una striscia di vernice e cordoli di protezione con conetti provvisori, a Berlino che ha allargato le piste ciclabili con nuove strisce laterali. Passando per Bogotà, capitale della Colombia, che ha messo in piedi 76 chilometri di ciclabili in più per permettere ai cittadini di non accalcarsi sui mezzi pubblici. Anche a New York gli spostamenti in bici da marzo sono raddoppiati dopo l'invito del sindaco Bill De Blasio ad andare a piedi o pedalare, per evitare di contagiarsi su treni e metro. Per non parlare di Londra dove le compagnie di bike sharing hanno messo a disposizione biciclette gratis per far spostare medici ed infermieri evitando di prendere i mezzi pubblici. E così la bici è diventata un'alleata nella lotta al Coronavirus. Un obiettivo da seguire anche in Italia per mantenere l'aria pulita che abbiamo 'riscoperto' in questo periodo di quarantena e a cui non vogliamo più rinunciare.
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CANAPA ALIMENTARE
È buona e fa bene: come puoi usare la farina di canapa alessio balducci
COMPOSIZIONE NUTRIZIONALE DELLA FARINA DI CANAPA ENERGIA 303KCAL/1253KJ
GRASSI 8,10G
PROTEINE 29,90G
DI CUI SATURI 0,87G
CARBOIDRATI 3,10G
FIBRE ALIMENTARI 49,00G
DI CUI ZUCCHERI SEMPLICI 3,10G
SODIO 7,00MG
RICCA DI AMMINOACIDI E NUTRIENTI È DAVVERO UN SUPERFOOD
F
ino a pochi anni fa, la farina di canapa era destinate all'alimentazione del bestiame. Oggi, invece, è un super food noto per le sue pregiate caratteristiche chimiche e nutrizionali: contiene tutti gli 8 amminoacidi essenziali, inclusi metionina e cisteina che normalmente sono poco presenti in altre proteine di origine vegetale. In più sono completamente assenti la gliadina e la glutenina, ovvero il glutine, per questo motivo la possono mangiare anche i celiachi. Ma non solo. Ci sono tantissime fibre, così da renderlo un alimento ideale per la lotta o la prevenzione alla stitichezza. Contiene poi moltissimi sali minerali: potassio, magnesio, ferro e zinco, mentre per quanto riguarda le vitamine sono presenti prevalentemente i tocoferoli (vitamina E). La farina di semi di Canapa è un alimento ricco di omega 3 e omega 6, acidi grassi importanti per il nostro organismo per le loro proprietà antiossidanti è utile inoltre per la prevenzione dei disturbi cardiovascolari. La farina di semi di canapa rientra anche nei così detti alimenti Kosher, ovvero quelli che rispettano i vincoli alimentari religiosi imposti agli ebrei osservanti. Viene spesso impiegata dai vegani (ma non solo) per aumentare l'apporto proteico degli alimenti panificati, sostituendola parzialmente alla farina di frumento in misura variabile tra il 10 ed il 25%. I prodotti alimentari a base di canapa disponibili in commercio sono tantissimi: semi di canapa integrali, semi di canapa decorticati, olio di semi di canapa, latte di semi di canapa (Hemp milk), bevande alla canapa (Hemp drink), tofu di semi di canapa, okara di canapa e sfarinato proteico di canapa (50% proteine) e naturalmente la farina. Proprio quest'ultima può essere utilizzata per la produzione di pane, dolci lievitati e biscotti, e il suo sapore ricorda vagamente quello della farina di nocciole.
Pizza con farina di canapa INGREDIENTI: • 500gr di farina forte • 60/70gr di farina di semi di canapa • Mezzo panetto di lievito di birra • ½ cucchiaio di zucchero • 10 gr di sale fino • 300 ml di acqua tiepida • 2 cucchiai di olio extravergine di oliva PROCEDIMENTO Sciogliamo il lievito di birra nell'acqua tiepida insieme allo zucchero e intanto versiamo le due farine nella planetaria. Facciamo andare il macchinario a potenza medio bassa e versiamo a filo l'acqua col lievito. Quando il liquido si sarà ben incorporato aggiungiamo anche l'olio e facciamo amalgamare. Togliamo l'impasto
dalla planetaria e lasciamolo riposare in una ciotola di ceramica o vetro con un canovaccio sopra per circa un'ora e mezza. Passato questo tempo impastiamolo nuovamente e rimettiamolo nella ciotola, stavolta coperta con del cellophane. Posizioniamo l’impasto in frigorifero e lasciamo al fresco per 24 ore. Passato questo tempo il nostro impasto per la pizza con farina di canapa sarà pronto per essere adoperato. Per non avere problemi tiriamolo fuori dal frigo una mezz'oretta prima di stenderlo col mattarello.
BeLeaf aprile-giugno 2020
SALUTE E BENESSERE
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5 COSE CHE DEVI SAPERE SU CBD E MEDITAZIONE UN COMPAGNO DI VIAGGIO PERFETTO PER TROVARE LA PACE DEI SENSI
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Teresa della Pieve
ono davvero tante le persone al mondo che fanno quotidianamente meditazione e ne traggono dei grandi benefici in termini di stress e preoccupazione. I più esperti non hanno mai nascosto che uno dei compagni perfetti per meditare è la cannabis perché aiuta le persone ad accedere a uno stato mentale di calma con più facilità. Il cannabidiolo (CBD) è un composto noto per i suoi effetti curativi, soprattutto quando si tratta di dolori fisici, infiammazione e ansia. La meditazione è nota per ridurre lo stress e offrire alle persone gli strumenti necessari per affrontare i loro problemi in modo più sano.
ECCO 5 COSE CHE DOVRESTI SAPERE SU CBD E MEDITAZIONE: 1 Respira e ‘mettiti in contatto’ col Cbd Alcune persone scoprono che il CBD li aiuta a calmarsi prima di meditare, aiutandoli a controllare i loro pensieri e rimanere rilassati durante la sessione di meditazione. Altre persone affermano che il CBD semplicemente li fa sentire assonnati. 2 La pazienza è una virtù del Cbd Il CBD è un composto complesso, che a volte non mostra subito i risultati. Più lo consumi, più il tuo corpo diventa ricettivo. Alcune persone potrebbero richiedere un paio di mesi di consumo continuo di CBD per sperimentare appieno i benefici del composto. 3 Sii positivo col Cbd Molti utenti segnalano stati d'animo positivi e rilassati dopo aver consumato CBD, qualcosa che può aiutare molto quando si tratta di meditazione. Il composto promuove anche consapevolezza e concentrazione, aiutando i pensieri delle persone a rimanere nell’attimo. 4 Anche i Cbd ha i suoi tempi I prodotti a base di CBD impiegano un certo tempo per produrre un effetto evidente che varia a seconda del prodotto che stai consumando e del dosaggio. Assicurati di leggere le etichette e dare al CBD abbastanza tempo per agire sul tuo sistema prima di iniziare a meditare. 5 Per meditare ci vuole costanza e metodo...il solo Cbd non basta La meditazione è un processo che richiede tempo e fatica, soprattutto quando hai appena iniziato la pratica. Il CBD può aiutarti ad accedere a uno stato d'animo più rilassato e stabile, ma questo non significa che ti renderà magicamente un guru!
BeLeaf aprile-giugno 2020
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Vestirsi con la canapa: dal fustagno ai denim nella tradizione italiana ALLO SCOPERTA DEL MUSEO ETNOGRAFICO DI LA SPEZIA
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Liza Binelli
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l Museo etnografico intitolato al naturalista, musicista ed etnografo Giovanni Podenzana (1864-1943), è ospitato nell’ex oratorio quattrocentesco di San Bernardino da Siena, nel centro de La Spezia. In esposizione ci sono oltre 3500 oggetti raccolti tra la fine dell’Ottocento e i primi del Novecento riguardanti le comunità liguri, ma anche extra europee. È considerato uno dei più importanti d’Italia per tipologia e varietà di materiali, propone al pubblico un rinnovato percorso espositivo, una visione sintetica, ma documentata della società rurale della Lunigiana in particolare, delle sue tradizioni orali, delle ritualità magico-protettive e del suo abbigliamento, approfondito attraverso un’importante sezione dedicata ai costumi e alla tessitura al telaio. Il museo spezzino vi farà scoprire l’artigianato e le usanze delle comunità che abitavano nella Val di Vara e nella Val di Magra. La collezione si è formata con gli oggetti raccolti da Podenzana durante i suoi viaggi in Oceania, America e Giappone. Altri sono stati donati da missionari, militari, collezionisti ed enti. La parte dedicata alle tradizioni e alle ritualità popolari, comincia a formarsi alla fine dell’800, grazie alle ricerche sul campo di Giovanni Podenzana e alle donazioni di storici locali, ci sono oggetti d’uso quotidiano, costumi, oreficerie, armi da fuoco e vestiario appartenuto ai Mille di Giuseppe Garibaldi. Quest’area espositiva fa conoscere la memoria e il folklore delle comunità liguri. La quotidianità dei tessitori della Lunigiana nel dettaglio. Le rimanenti aree sono incentrate su utensili legati all’agricoltura, sugli strumenti per la filatura e la tessitura. Da evidenziare la parte dedicata ai gioielli in filigrana d’oro e agli abiti ottocenteschi, realizzati con la tipica stoffa di colore azzurro, antenata dell’attuale tela jeans.
Sarà curioso scoprire gli oggetti legati alla sfera della superstizione e delle credenze diffuse nella Lunigiana. I tessuti del comune di Valdipino erano noti in tutta la Liguria. È una frazione del Riccò del Golfo di La Spezia, che fa parte della Comunità Montana della Media e Bassa Val di Vara. La Val di Vara è una delle principali vallate della provincia della Spezia. Prende il nome dal Vara, un fiume che nasce dal Monte Zatta (1404 m slm), e percorre circa 58 km, per poi versarsi nel Magra. Il paesaggio della Val di Vara, spazia dal tipico ambiente mediterraneo caratterizzato da vigneti e uliveti, fino al suggestivo inasprirsi delle zone montane, lungo i torrenti e i crinali della valle. Una delle maggiori fonti di reddito della popolazione era la tessitura; qui si lavoravano la canapa e la lana ai telai che, ogni famiglia possedeva. Intorno al 1840 nel territorio genovese si contavano 339 fabbriche con 14.464 telai e 15.921 operai. A tal numero vanno aggiunti i tessitori di Chiavari, Rapallo che lavoravano in casa e tessevano tele blu o rosse, caroline o fustagni e tele di canapa. La canapa di Valdipino era rivale per qualità con quella della Romagna e della Russia. Nella seconda metà del 1700 le donne della valle crearono una tela di nome Budana; questa veniva realizzata con un intreccio dritto con ordito di canapa e trama in cotone tinto di blu, alternato anch’esso con la canapa. Questa stoffa veniva poi tinteggiata in blu, colore ricavato dall’indaco; questo proveniva dalla città di Genova che lo importava dalle colonie, in quanto sarebbe stato molto costoso produrlo localmente. Pur tuttavia per questa colorazione veniva inizialmente utilizzata una pianta chiamata “isathis tinctoria”, conosciuta più comunemente col nome di “guado”.
La Liguria, infatti, è sempre stata una grande esportatrice di manufatti tessili di grande fama, come il damasco di Lorsica o il velluto di Zoagli. Certo è, che il fatto che i jeans siano realizzati con una tela blu, può avere qualche collegamento con un tipo di fustagno che veniva realizzato a Chieri (To) e usato, nel corso del XV secolo, per coprire le merci, le chiglie delle navi e le vele che venivano lasciate in porto. Chi sostiene questa tesi sostiene anche che il termine blue jeans sarebbe una derivazione di “bleu de Gênes”, un’espressione che in francese vuol dire: blu di Genova. Ancora, tra gli studiosi di storia del jeans c’è chi appoggia l’ipotesi secondo cui i jeans deriverebbero dal bordatto della Liguria, un tessuto che, come gli altri, era ampiamente impiegato per confezionare abiti molto resistenti per il lavoro. Questo tessuto sarebbe stato esportato già dal XVI secolo dal porto di Genova verso altre zone del mondo, e questo periodo coincide con la diffusione, in Inghilterra, della parola “jeans”.
Sino al 1900 i telai produssero, oltre alla Budana, una mezzalana detta Bisogna; questa era composta per l’ordito di canapa e per la trama di canapa e lana. Inoltre facendo “sposare”, come solo le donne della valle sapevano fare, il fustagno con armature diagonali e il cotone color blu indaco, si realizzò la tela del Jeans (quella che indossiamo oggi). L’abbigliamento degli uomini era composto da camicia, gilet, una fascia sulla vita e calzoni chiusi con pattina. Berretto di panno rosso e nero dove venivano conservate monete, pipa e tabacco. L’abbigliamento femminile era, invece, molto più elaborato: una camicia che in dialetto si chiama camisa, era di canapa e veniva filata e tessuta in paese, era allacciata con due pezzi di cordoncino bianco. Attorno al collo vi era un largo collare di mussola bianca che in dialetto viene chiamato zabò. La gonna chiamata gonèla era di canapa e cotone: la cosiddetta Budana. Il nome di questo celebre indumento deriva dal suo ordito di colore blu. Esso veniva sottoposto a “scardassamento”, (sfregato con un cardo secco fino a far “filamentare” il cotone) per fargli avere un leggero strato lanuginoso. Per quel che riguarda il tessuto, invece, molto probabilmente il denim è un parente stretto del fustagno, un tessuto che veniva riservato a chi doveva eseguire lavori di fatica. Se vogliamo andare alla ricerca di una provenienza geografica, la storia del jeans ci porta a Genova e dintorni. Anche se le teorie che stanno dietro alla nascita di questi pantaloni sono innumerevoli. Uno dei motivi che ci fa eleggere Genova come possibile patria del jeans è anche la grande tradizione tessile di tutta la Liguria, tradizione conosciuta e rinomata fin dai tempi più antichi.
Nella storia del jeans ebbe un ruolo rilievo anche Garibaldi, che nel corso della celebre spedizione dei Mille aveva indosso, assieme a tutto il resto della sua truppa, i calzoni “genovesi”. E ancora una volta troviamo la città di Genova investita di una certa importanza nella storia di questi pantaloni. Non per niente, nel 2004 gli studenti di alcune scuole del genovese hanno realizzato un immenso pantalone “Blu di Genova” utilizzando, per l’appunto, qualcosa come 600 paia di jeans usati: questo grandissimo pantalone, alto oltre diciotto metri, è stato fatto “indossare” a una gru nell’antico porto del capoluogo ligure. Un’altra supposizione circa la storia del jeans, ci porta nella vicina Francia, a Nimes, famosa per dei pantaloni da lavoro molto resistenti di color indaco. Il tessuto avrebbe potuto chiamarsi “de Nimes”, per poi evolvere in “denim”. Questi pantaloni erano in effetti indossati dai marinai liguri dei secoli passati e questa teoria coinciderebbe con vari elementi noti nella storia del jeans. Il museo de La Spezia propone poi altre suddivisioni: oggetti di arte sacra, sculture mariane in marmo, portali in ardesia, crocifissi lignei, suppellettili liturgiche e dipinti. Molto curiosa è l’area dedicata alla superstizione e alla magia. Visitate quest’angolo di Liguria per il mare, l’arte e i cibi. Impossibile resistere davanti a un piatto di acciughe di Monterosso, chiamate u pan du ma (“il pane del mare”). Assaggiate la farinata, una torta salata molto sottile, preparata con farina di ceci, acqua, sale e olio extravergine di oliva. I suoi ingredienti sono caratteristici della cucina povera. I fiori di zucca ripieni, sono i miei preferiti. Mentre il dolce tipico si chiama Buccellato, a forma di ciambella. Tra i principali vini di La Spezia c’è lo Sciachetrà, il DOC delle Cinque Terre, il Levanto e la Vernaccia, provenienti dalla Riviera spezzina e il Vermentino delle colline di Luni e di Arcola.
BeLeaf aprile-giugno 2020
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LA CASA DEI SOGNI ESISTE GIÀ. ED È FATTA DI CANAPA
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BeLeaf aprile-giugno 2020
VIVERE CON LA CANAPA
Maria Novella Di Luca
ioedilizia, bioarchitettura, green building: parole sempre più di uso comune ma ancora lontane dal nostro modo di pensare e soprattutto di agire. Eppure non stiamo parlando di una moda o di un lusso per pochi eletti. La bioedilizia è nata alla fine degli anni Settanta in Germania, in seguito a una grande crisi energetica che coinvolse tutto il mondo. Da quel momento si è sviluppato l’interesse, sempre maggiore, per le cosiddette fonti alternative al petrolio per il rifornimento di energia alle abitazioni e per costruzioni che rispettino, quanto più possibile, l’ambiente in cui viviamo.
infatti, regola naturalmente l’igrometria interna della casa attraverso le pareti; ha una grande resistenza al fuoco e alle sollecitazioni sismiche, garantisce una climatizzazione naturale passiva in modo che le biocostruzioni di Messapia Style riescano a raggiungere anche l’indipendenza energetica.
Due piani, 140 metri quadrati, una casa a chilometro zero costruita con canapa salentina, che si distingue tra le case di piazza Magli a Supersano, in provincia di Lecce, dove Emilio e Simona vivono ormai da tre anni insieme a Ciccio, il pigro gattone che sembra essere quello che più si compiace degli effetti benefici della costruzione, trascorrendo ore indisturbato a rotolarsi sul pavimento di coccio pesto.
Nel 2009, tornato a vivere nella terra di origine, Emilio da inizio, contemporaneamente alla ricerca di una casa dove vivere, alla appassionante, tenace e folle storia di Messapia Style insieme al suo socio con il quale, a maggio di quest’anno, hanno festeggiato i venti anni di un’azienda che continua a credere in quello che fa cercando di migliorare le tecniche ma senza cambiare il punto di vista: rispettare l’ambiente e se stessi!
In un momento così attento ai cambiamenti climatici, in cui si discutono urgenti misure a livello globale e un cambio di rotta verso un’energia pulita, la scelta di Emilio e del suo socio Emanuele Macrì di investire in quest’azienda familiare a sud Italia, è un importante esempio da raccontare e seguire. Un’azienda che ha fatto della bioedilizia e dell’eco-sostenibilità la propria missione e per riuscirci ha scelto la canapa.
A settembre ho avuto l’onore di essere ospitata in questa casa e quando lo racconto i miei pensieri corrono indisturbati all’infanzia, penso a quelle case delle fiabe o alla tanto desiderata casa sull’albero, rifugio naturale dei sogni dei bambini. In effetti, prima di metterci piede la immaginavo avvolta da un’aura di meraviglia e utopia. Eppure questa casa fuori e dentro è normalissima, almeno alla vista.
Messapia Style si è specializzata nello sviluppo di materiali naturali, alternativi alle soluzioni convenzionali: canapa, legno per un microclima costante, intonaci naturali, traspirazione delle pareti, gestione naturale dell’umidità, isolamento dal freddo in inverno e dal caldo in estate. La pianta di canapa,
Forse il segreto vibra davvero nell’aria, avvolge chi vi entra in un abbraccio che cura e lo dondola in un’esperienza unica. Perché la canapa unita alla calce è un materiale che respira!
Quindi, impiegata come sostituto del cemento e dei mattoni, la canapa non solo rispetta l’ambiente ma lo consegna integro alle generazioni future realizzando case eco-sostenibili ed energeticamente autosufficienti.
La storia dell’azienda e quella di Emilio, suo creaCostruire contetore, sono fortenendo al minimo mente connesse: i costi ambientali, “Le mie origini infatti è possibile, sono salentine ma e la via migliore è ho vissuto per quella dell’utiliz17 anni a Parma zo combinato di dove lavoravo EMILIO SANAPO E SUA MOGLIE materiali naturali, come decoratore SIMONA HANNO SCELTO DI in grado di modinell’azienda di faCOSTRUIRE IL LORO NIDO ficare in modo “gentile” l’ambiente, lo miglia con mio padre e mio fratello. E’ D’AMORE IN CANAPA, CALCE E spazio in cui si vive, ma soprattutto miproprio mio padre che devo ringraziare LEGNO E DARE gliorando la vita di chi lo vive. per avermi trasmesso la passione per la VITA A MESSAPIA STYLE, AZIENDA bellezza che c’è nell’arte e nella natura. E’ quello che hanno fatto due italiani, Mi ha insegnato a utilizzare materiali DI EDILIZIA ETICA ORIENTATA nel cuore del salento, Emilio Sanapo naturali miscelati con pigmenti colorati, ALL’ARMONIA e sua moglie Simona scegliendo di cocalce, cocciopesto e decori manuali, a TRA UOMO E AMBIENTE struire il loro nido d’amore in canapa, guardare con spirito critico la carovana calce e legno e dare vita a Messapia Style, azienda di edilizia consumistica dell’edilizia senza un’etica, causa d’inquinamenetica orientata proprio alla ricerca di uno stile abitativo che rito ambientale e cromatico, e mi ha trasmesso la voglia di lottaspetti l’armonia tra uomo e ambiente. re per salvaguardare la salute delle persone e dell’ambiente”.
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BIOEDILIZIA
“Costruire sostenibile con la canapa”. Una guida pratica per l'uso in edilizia TRASPIRANTE, CAPACE DI ASSORBIRE MUFFE E UMIDITÀ, OTTIMA RESISTENZA E CAPACITÀ ANTISISMICHE: LA CANAPA È DAVVERO RISPETTOSA DELL'AMBIENTE ED HA OTTIME PRESTAZIONI ENERGETICHE Valeria Lorenzi
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e si superano i pregiudizi e si guarda con obiettività alla canapa, non si può che riscontrare che è davvero una pianta dalle mille qualità. Sostenibile, adattabile, può rigenerare il suolo in cui cresce e produrre materiali resistenti e duraturi nel tempo. Non è un caso che fosse tanto utilizzata in passato nelle nostre colture tradizionali. Poi il proibizionismo ha fatto i danni che ben conosciamo, anche se oggi si sta riscoprendo. Anche alla luce di numerosi studi e ricerche, infatti, l’interesse nei confronti di questa pianta è cresciuto ed ha esplorato nuovi mondi, come quelli della bioedilizia. Non sono più un tabù le case costruite con materiali a base di canapa, anzi sono davvero apprezzate per le caratteristiche uniche che possiedono. Traspirante, capace di assorbire muffe e umidità, ottima resistenza e capacità antisismiche: la canapa è davvero rispettosa dell'ambiente ed ha ottime prestazioni energetiche. Qualità sempre più ricercate nell’edilizia, che continua la sua ricerca verso prodotti che siano sostenibili. È infatti
diventato indispensabile costruire edifici che siano energeticamente efficienti e a consumo di energia limitato. Ed ecco che in questo contesto, la canapa, risponde esattamente a queste esigenze: considerata tra le materie naturali più promettenti, duttili ed efficienti può essere il futuro? Noi pensiamo proprio di sì. E lo pensano anche gli autori del libro "Costruire sostenibile con la canapa", un testo molto tecnico e completo, a cura dell’architetto Marco Adriano Perletti, che nasce con l'intento di scoprire i diversi aspetti di questa pianta, a partire da quelle sue caratteristiche che permettono di migliorare il comfort abitativo e la performance dell’involucro edilizio. Nel libro sono davvero tanti i temi trattati e gli spunti di riflessione. Si parte dagli aspetti botanici della pianta, trattando l’agronomia delle coltivazioni, le sue prospettive di sviluppo, con riflessioni sulla possibilità di creare filiere produttive, fino ad arrivare agli utilizzi che si fanno oggi della canapa nella bioedilizia. Da qui, entrando nello specifico delle sue applicazioni costruttive, viene ana-
lizzato l’uso della sua biomassa (dalla fibra al canapuolo) oltre che il rapporto con i leganti. Non mancano approfondimenti sui principali prodotti e tecniche disponibili oggi sul mercato nazionale, con schede che ne analizzano caratteristiche e peculiarità. C'è poi l'analisi di una 'caso scuola' con un focus di approfondimento scientifico, condotto da ENEA e Politecnico di Milano, che riguarda il ciclo di vita di materiali da costruzione a base di canapa e calce, le prestazioni dei blocchi formati da questo biocomposto, un prototipo antisismico che sfrutta la notevole resistenza delle fibre della pianta. Un repertorio di opere e progetti approfondisce poi l’impiego di materiali a base di canapa nella pratica costruttiva italiana degli ultimi quindici anni, su tutto il territorio nazionale e per tante tipologie d’intervento (risanamento, ristrutturazione, costruzione ex-novo, rigenerazione urbana). Insomma un testo completo per chi vuole sapere tutto sull'argomento e non farsi trovare impreparato per le sfide del futuro.
La canapa che cura la terra
Teresa DeAlla Pieve
SONO SEMPRE DI PIÙ LE SPERIMENTAZIONI DI FITODEPURAZIONE PER PULIRE I TERRENI CONTAMINATI DA METALLI PESANTI E DIOSSINA
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i chiama fitodepurazione ed è una tecnica di bonifica dei terreni adatta in caso di contaminazione da metalli pesanti e diossina. Alla base c’è un insieme di processi biologici, chimici e fisici che permettono l’assorbimento, il sequestro, la biodegradazione e la metabolizzazione dei contaminanti. La protagonista principale di questa 'magia' è la nostra amata pianta, la canapa. Non è la sola pianta che riesce a depurare i terreni ma è sicuramente la più efficace. Come ampiamente documentato nella letteratura scientifica, la canapa è infatti capace di assorbire i metalli pesanti e, a differenza di altre piante, può essere utilizzata in diversi ambiti, principalmente per usi industriali e per la produzione di energia.
Perché la canapa è un ottimo fitodepuratore? Prima di tutto perché ha tantissime capacità specifiche. A partire dal fatto che la sua coltivazione non necessita di trattamenti chimici come pesticidi o diserbanti e che è una coltura “da rotazione” che rigenera il terreno rendendolo più fertile lasciandolo in ottime condizioni per la coltura successiva. Inoltre, grazie alle sostanze allelopatiche, ovvero le sostanze attraverso le quali la pianta si difende, riduce la crescita di specie infestanti attorno a sé. Tutto questo comporta un basso costo delle tecnologie da utilizzare e un beneficio grazie ad una 'automatica' valorizzazione di aree agricole abbandonate. Ma c'è di più. La canapa cresce molto velocemente, raggiungendo il pieno raccolto in soli 180 giorni e produce una sfera di radici che si estende nel terreno da 1,5 ad 2,5 metri. Questo vuol dire che le tossine possono essere estratte senza la necessità di rimuovere il terreno contaminato dello strato superiore, evitando così spese di smaltimento. La sua capacità di crescere, poi, non viene in-
fluenzata dalle tossine che accumula. E la fibra derivata da piante utilizzate per la fitodepurazione può essere utilizzata per la produzione di materiali compositi oppure, l’intera pianta, può essere utilizzata per la produzione di energia in centrali termiche. Tutti questi aspetti non possono davvero essere trascurati, soprattutto in Italia. I casi di terreni inquinati come nella Terra dei Fuochi oppure nelle zone di Taranto, intorno allo stabilimento dell'Ilva, ci dovrebbero porre in prima linea nella sperimentazione. Ed è infatti proprio a Taranto che sono partite le prime storiche prove. Più di 10 anni fa Vincenzo Fornaro, allevatore tarantino, fu costretto ad abbattere le sue duemila pecore a causa della contaminazione da diossina. Vincenzo aveva la sua attività in una zona non lontana del polo industriale dell'ILVA e, quasi sicuramente, fu stata proprio la diossina sprigionata dallo stabilimento siderurgico a contaminare la sua terra. Da lì in tanti hanno puntato sulla canapa. Recentemente altri progetti stanno studiando la nostra pianta, per capirne di più. Sempre in Puglia, il progetto Green ha portato i biologi dell'ABAP a seminare diversi tipi di canapa in un terreno vicino all'aeroporto di Bari per riuscire a determinare il potenziale delle singole specie nel bonificare le aree inquinate. L’intervento avrà un basso impatto ambientale e sarà sviluppato in un’ottica di economia circolare: dopo la raccolta, infatti, non ci si limiterà ad analizzare il terreno ma si cercherà anche di recuperare i metalli stoccati nelle strutture vegetali, così che possano essere impiegati nell’industria. Anche le piante potranno poi essere riutilizzate, ad esempio in bioedilizia o in altri settori non alimentari. Non è la prima volta che l’ABAP porta avanti progetti simili. I ricercatori avevano già utilizzato la canapa in una masseria nei pressi dell’ex Ilva, dove i terreni erano inutilizzabili a causa dell’impatto dell’impianto siderurgico sui territori circostanti. E anche in Sardegna per depurare i terreni inquinati del Sulcis. Se dopo questa ulteriore sperimentazione le piante risponderanno bene, progetti simili potrebbero essere esportati dove c'è più bisogno. Ed è davvero una buona notizia.
BeLeaf aprile-giugno 2020
AMBIENTE E INQUINAMENTO
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3 libri per (non)perdersi fra i sentieri italiani
BeLeaf aprile-giugno 2020
ITALIA SLOW
A cura di Andrea Vismara
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hi pensa che il Salento sia solo spiagge e mare, si sbaglia di grosso. L’entroterra salentino è ricco di paesaggi affascinanti e di preziosi borghi, dove assaporare la genuina ospitalità dei suoi abitanti, visitare antiche chiese, palazzi storici e importantissimi siti archeologici. Quale miglior modo di scoprire tutto questo se non camminando, magari anche fuori stagione?
Samantha Cesaretti
Passi di Felicità Edizioni dei Cammini 236 pag. 17,50 €
Gli autori di questa breve guida, salentini D.O.C., ci propongono sei differenti itinerari in terra di Leuca, sei percorsi non particolarmente impegnativi, che uniscono la visita di alcuni fra i più importanti tesori storici e architettonici della zona a passeggiate nella bellissima campagna del tacco d’Italia, fra ulivi secolari, pajare, campi delimitati da muretti a secco e scogliere a picco sul mare. Sei modi per vivere in maniera diversa una delle aree più belle d’Italia, con lentezza e con un occhio di riguardo all’ambiente.
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Un diario di viaggio vibrante, divertente e commovente al tempo stesso, un modo per dimostrare che i grandi sogni si possono tramutare in realtà.
La Via dei sassi Ediciclo Editore 208 pag. 15,00 €
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hiudersi la porta di casa alle spalle e iniziare a camminare, avendo come destinazione finale Santiago de Compostela. Molti potrebbero pensare che sia l’ennesimo libro di viaggio verso una delle destinazioni più popolari per chi si muove a piedi, ma in realtà questo volume è molto più di un racconto di viaggio, è la narrazione sentita della realizzazione di un sogno che va oltre il raggiungimento della meta. Quello di Samantha Cesaretti non è solo un lungo Cammino che ha preso il via a Lucca per terminare sulla tomba di S. Giacomo, ma un percorso iniziato ben più lontano, da una raccolta fondi per acquistare una carrozzina da trekking e che si è evoluta in un progetto molto più grande: rendere agibile una camera per persone con disabilità motorie alla Casa di Lazzaro, accoglienza pellegrina di Acquapendente.
Andrea Mattei
a Via Peuceta, primo dei quattro sentieri che compongono il progetto Cammino Materano, è una Via bellissima che, attraversando Puglia e Basilicata, collega Bari a Matera, la città dei Sassi. Passando attraverso paesaggi incantevoli come l’altopiano delle Murge o le profonde gravine che solcano il terreno, e borghi ricchissimi di storia come Altamura il viandante pone i piedi su un percorso antichissimo fatto da vie medievali, tratturi e antiche vie devozionali.
Melissa Calò e Marco Cavalera
Appiedi! Sentieri e cammini del Salento Itinerarti Edizioni 145 pag. 15,00 euro
Andrea Mattei, giornalista della Gazzetta dello Sport e camminatore di lungo corso, ci racconta le bellezze di un territorio spesso brullo e poco antropizzato ma proprio per questo ricco di fascino, e sapientemente impreziosisce la narrazione con storie di briganti, di personaggi storici come Federico II e di uomini e donne che vivono lungo il sentiero e del sentiero sono parte integrante. Un libro che non è soltanto il racconto di un viaggio a piedi, ma uno sguardo aperto a 360° su uno degli angoli più belli d’Italia.
BeLeaf aprile-giugno 2020
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BENESSERE E CULTURA
PELLESTRINA, LA VENEZIA CHE NON TI ASPETTI PER VIAGGIARE NON SERVE AVERE FRETTA. GODIAMOCI IL TEMPO ALLO SCOPERTA DI NUOVI INCREDIBILI LUOGHI
Andrea Vismara unpassolento.blogspot.com
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egli ultimi due decenni il modo di viaggiare ha subito una profonda trasformazione; la possibilità di trovare voli a prezzi stracciati ha cambiato il modo di fare turismo e portato le persone a puntare su soggiorni mordi e fuggi. La velocità di relazione con luoghi sconosciuti è lo specchio di un impoverimento culturale sempre più diffuso, di una superficialità che dà solo l’illusione di aver visitato una città. Venezia ne è un esempio lampante perché visitarla in un giorno o in un week end vuol dire vedere San Marco, Rialto e poco più quando la città necessiterebbe attenzione e tempo, perché la Serenissima è un luogo dove è bello girare senza meta, perdersi fra calli e campielli assaporando un’atmosfera unica e dove, volendo spingersi un po’ più in là, si può trovare molto altro. Immergersi, per esempio, nel mondo delle isole di cui è costellata la laguna veneziana, può essere un’esperienza davvero incredibile. Per me che amo la solitudine e le lunghe passeggiate invernali al mare, l’isola di Pellestrina è sicuramente il luogo ideale. Ho ribattezzato questa lingua di terra l’Isola lunga, perché si estende per undici chilometri, ma anche il termine stretta le calza a pennello visto la sua larghezza: 23 metri nel punto più sottile e 1,2 chilometri in quello più ampio. Si raggiunge dal Lido con l’autobus numero 11 che in venti minuti raggiunge l’imbarcadero del ferry boat da cui si fa dare un breve passaggio per rimettere giù le ruote a Santa Maria del mare. I due lati dell’isola, quello affacciato sulla laguna e quello rivolto al mare, sono le due facce di un’unica meravigliosa medaglia, profonda-
mente diverse ma inscindibili. Personalmente, amo percorrere la spiaggia di mattina e tornare indietro sull’altro lato attraversando i borghi e ammirando il tramonto, ed è questo giro che voglio raccontarvi. Partire presto è fondamentale per godere appieno della giornata, soprattutto in inverno, quando il sole va giù presto. I chilometri sono parecchi, una ventina all’incirca, e la fretta, si sa, è il peggior nemico del viandante. Scendete alla prima fermata del bus e prendete la scala che vi porta in cima alla massicciata dei murazzi, infilatevi nel primo passaggio disponibile, attraversate la sottile macchia di vegetazione e guadagnerete la spiaggia. Anni fa non esisteva, l’erosione l’aveva cancellata, spazzata via onda dopo onda e c’erano solo grossi sassi ammassati che tenevano a bada il mare durante le mareggiate e quando l’Adriatico si metteva in testa di invadere a forza la laguna trasformandosi in acqua alta, un’abitudine che non ha mai perso. La costruzione dei Pennelli, lingue di cemento circondate da grosse pietre che si spingono per una ventina di metri verso il mare, ha permesso alla sabbia di tornare, depositarsi e rimanere protetta creando un arenile vasto, dove gli abitanti dell’isola trovano pace e relax durante l’estate. Io la trovo d’inverno, quando sono spesso l’unico essere umano presente o incontro soltanto qualcuno che fa sgambare il cane o un pescatore che, immerso fino alla vita nel mare, tira su le bevarasse (piccole vongole) con l’apposito strumento. I residenti sono soliti tirar su piccole costruzioni spartane con i tronchi degli alberi portati a riva dal mare; sono ripari ingegnosi che d’estate offrono ombra a chi passa la giornata in spiaggia grazie a teli stesi come soffitti impalpabili. C’è chi usa vecchie tavole e sedie dismesse per
All’interno del bosco di pini, si trovano alcuni bunker risalenti alla seconda guerra mondiale che un tempo presidiavano l’accesso alla laguna e che ora, grazie all’espansione dell’area dovuta alla diga, emergono dalla fitta vegetazione come grigi fantasmi di un periodo triste e buio della storia recente. Molte sono le fortificazioni militari presenti su questa lunga lingua di terra e possono essere visitate, rigorosamente dall’esterno, sulla via del ritorno. A Pellestrina, ci s’infila nelle piccole calli del borgo e si comincia a seguire il percorso che si snoda sul lato interno dell’isola. A ora di pranzo, sul limitar della riva, non è difficile vedere gli abitanti cuocere il pesce in barbecue improvvisati, spesso ricavati da vecchi cestelli di lavatrici. Nel primo pomeriggio invece, potrete vedere le donne sedute fuori dagli usci intente a far quattro ciacole e realizzare merletti al tombolo o i vecchi pescatori stendere le reti e le nasse nelle aiuole o nelle piazzette deserte per aggiustarle.
allestire deschi su cui consumare i pasti, giocare a carte e financo a scacchi. I più estrosi addobbano questi cabin improvvisati nei modi più disparati, appendendo rosari di conchiglie, buffi polipi ricavati da bottiglie di plastica che ondeggiano al vento. D’estate sono vivi e colorati mentre d’inverno hanno un aspetto un po’ spettrale, quello di villaggi abbandonati degni di un libro dell’orrore; alcuni collassano sotto il peso del vento e delle mareggiate, diventano cataste informi, pronte però a essere ricostruite con tenacia nella primavera successiva. I pennelli si succedono uno dopo l’altro come un contachilometri trasversale, e quando si arriva finalmente al borgo di Pellestrina, se le energie sono ancora fresche e si ha tempo a disposizione, si può camminare lungo la diga foranea fino a Ca’ Roman. Quest’area di cinquanta ettari è una vera e propria oasi faunistica, dove trovano pace e nidificano quasi 200 specie di uccelli, fra cui il martin pescatore, il falco pellegrino e, nei periodi estivi, il gruccione dai colori sgargianti, il tenero assiolo e il fantomatico succiacapre, un volatile frainteso per lungo tempo.
Chiacchierare con loro e ascoltare storie di mareggiate e di pescherecci in balia delle onde può essere una bellissima esperienza, quello che si dice del tempo investito bene. Le case dei borghi rispecchiano il tipico stile veneziano, piccole e colorate e passeggiare con calma lungo la riva può essere bellissimo, soprattutto in alcune giornate, quelle in cui il vento sembra andare in letargo e le poche nuvole sono sapientemente pennellate; l’acqua sembra diventare immobile, l’orizzonte perde di consistenza e le piccole barche ormeggiate, le briccole e i casoni da pesca sembrano galleggiare, sospesi in una sorta di paesaggio liquido. Il sole scendendo allunga le ombre, accarezza ogni cosa e tinge d’oro l’acqua; si cammina dandogli le spalle ma è inevitabile girarsi ogni tanto a osservarlo mentre, come un esperto pittore, dipinge il cielo di colori sempre più caldi lasciando che il blu intenso su in alto, gli faccia da coperta. Un’ultima nota: durante l’estate ci sono alcune feste che animano i borghi dell’Isola lunga e presso gli stand gastronomici si può mangiare dell’ottimo pesce. La Festa di Sant’Antonio si svolge il 12 giugno, quella di San Pietro in Volta dal 27 al 30 giugno, la Festa della Madonna dell’Apparizione è il 4 agosto mentre quella di Portosecco è dal 13 al 16 agosto.
BeLeaf aprile-giugno 2020
BENESSERE E CULTURA
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