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TEMA DEL MESE

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RECENSIONI

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TEMA DEL MESE

DI PATRIZIA CARAVEO*

ORFANI

SONO STATI TROVATI ESOPIANETI CHE VAGANO NELLO SPAZIO SENZA ORBITARE INTORNO A NESSUNA STELLA

» Rendering di un “pianeta orfano” (Free Floating Planet).

TEMA DEL MESE

Le splendide immagini della Nebulosa della Carena prodotte dal telescopio spaziale Webb (e dalla sapiente rielaborazione grafica che le ha colorate) mostrano centinaia di stelle appena nate, ancora avvolte dal guscio di gas e polvere dal quale si sono formate. Se potessimo osservare con ancora più chiarezza (e certamente presto lo faremo), si potrebbe individuare intorno a queste baby-stelle la presenza di dischi di materia, dai quali si stanno formando (o forse si sono già formati) i pianeti.

LA RICERCA

DEGLI ESOPIANETI

I dati raccolti negli ultimi anni ci hanno convinto che la formazione di pianeti intorno alle stelle è la regola e non l’eccezione e che la maggior parte delle stelle abbia un sistema planetario formato da uno o più pianeti. Che però sono difficilissimi da vedere, essendo nascosti dall’emissione abbagliante della loro stella. Per scoprire i pianeti in orbita intorno a un’altra stella, occorre rivelare i piccoli disturbi che la loro presenza causa al proprio sole. Si è iniziato studiando lo spettro delle stelle, selezionate sulla base delle loro caratteristiche di tipo solare, alla ricerca dei piccoli spostamenti ritmici indotti dalla presenza di un pianeta, Così, nel 1995, è stato scoperto il pianeta di tipo gioviano intorno alla stella 51 Pegasi. Uno strano parente di Giove, dato che è vicinissimo alla stella e percorre la sua orbita in circa 4 giorni. Un pianeta massivo e vicino disturba di più la sua stella ed è quindi più facile da rivelare. Un effetto osservativo che privilegia i pianeti grandi, ma che è stato in parte

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DI PATRIZIA CARAVEO

» Dettaglio di una delle first light del telescopio spaziale Webb dedicata alle regioni di formazione stellare nella Nebulosa della Carena.

risolto con il metodo dei transiti, che sfrutta la piccola diminuzione della luminosità di una stella che avviene quando un suo pianeta le transita davanti. Una piccola ombra, come quella di Venere o di Mercurio sul Sole, che – quando si presenta periodicamente - ci informa della presenza di un pianeta. I telescopi spaziali, che operano in condizioni di grande stabilità, sono particolarmente adatti per sfruttare le potenzialità offerte dal metodo dei transiti, come dimostrano i risultati della missione Kepler della Nasa. Proprio grazie a questa missione, e più recentemente a Tess, abbiamo assistito a una esplosione nel numero dei pianeti extrasolari. Degli oltre 5000 esopianeti rivelati finora sappiamo il periodo orbitale, la massa e in molti casi anche le dimensioni e quindi la densità. Questi numeri testimoniano che il processo di formazione planetaria si è ripetuto innumerevoli volte, intorno a quasi tutte le stelle che abbiamo studiato, e si stima che una stella su cinque abbia pianeti con massa simile a quella terrestre. Sono stati scoperti anche molti “mini-Nettuni”, pianeti con massa intermedia tra la Terra e Nettuno, che nel Sistema solare non esistono, e questo significa che il nostro sistema planetario è solo uno dei tanti, non certo il prototipo esemplare.

I VANTAGGI

DEL MICROLENSING

Risultati interessanti nella ricerca degli esopianeti sono stati ottenuti sfruttando l’effetto del microlensing gravitazionale. Vengono cercati oggetti che non emettono luce, come i buchi neri, oppure debolissimi, perché molto piccoli, come le stelle di neutroni, oppure freddi, come le nane brune. In queste campagne osservative, si tiene sotto controllo una certa area di cielo che viene osservata a intervalli regolari, alla ricerca di un improvviso aumento del flusso di uno dei milioni di stelle che vengono monitorate. La curva dell’aumento del flusso rivela se stiamo osservando una variazione intrinseca della stella oppure un effetto di lente gravitazionale prodotto da un oggetto che sta passando davanti alla stella, intercettando e amplificando il suo flusso. La ricerca di pianeti in orbita intorno a stelle non era uno degli scopi di questi lavori, ma le osservazioni casuali di questi fenomeni hanno aperto un nuovo campo di indagine.

» Due immagini infrarosse in falsi colori di pianeti orfani: sopra Cfbdsir 2149-0403, ripreso nel 2012 dal telescopio Ntt dell’Eso; sotto, Pso J318.5−22 ripreso nel 2013 dal telescopio

Pan-Starrs1. Inquadra il QR per un video dell’Eso dedicato a Cfbdsir 2149-0403.

Questo metodo permette di vedere sistemi planetari anche lontani, che contengono pianeti relativamente piccoli, come Ogle-2005-BLG390Lb, un pianeta di circa 5 masse terrestri che orbita attorno a una stella situata a 20mila anni luce da noi. Era il terzo pianeta scoperto per caso grazie al microlensing gravitazionale dal programma Ogle (Optical Gravitational Lensing Experiment), ma si è rivelato il più distante e il più piccolo, visto che il gruppo dei circa 200 pianeti noti all’epoca era dominato da giganti di taglia gioviana. Va notato che la massa dell’oggetto responsabile dell’effetto di amplificazione gravitazionale determina la durata dell’evento: più stretta è la curva, meno massivo è il pianeta. Il microlensing ha riservato un’altra sorpresa, rivelando la presenza di oggetti celesti con masse superiori a quella di Giove, che non apparivano legati a una stella. Ipotizzando che fossero stati espulsi dal sistema planetario dove si erano formati, si è cominciato a parlare di “pianeti orfani”, tecnicamente definiti Free floating planets (Ffp), ovvero “pianeti liberamente fluttuanti” nello spazio.

MA QUANTI SONO

I PIANETI ORFANI?

Se una stella rende difficile “vedere” l’emissione di un pianeta perché lo annega nella sua luce, l’assenza di una stella è un problema ancora maggiore, perché i “pianeti orfani” non vengono illuminati da niente. È anche difficile decidere se gli oggetti svelati dal microlensing siano pianeti di grande taglia, oppure piccole nane brune. La prima ricerca sistematica è stata pubblicata nel 2011, prendendo in considerazione 50 milioni di stelle, con 474 eventi riconducibili al microlensing, dieci dei quali abbastanza brevi da fare pensare a pianeti orfani. Un numero piccolo ma sufficiente per una valutazione statistica dei pianeti che vanno in giro per conto loro nella Galassia, basandosi sulla probabilità di coglierli per caso, quando il loro moto li fa allineare con una stella. Le stime vanno da 0,25 a 2 pianeti gioviani per ogni stella: non sono pochi e questo ha fatto nascere la domanda su come si possano formare.

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*PATRIZIA CARAVEO

È DIRIGENTE DI RICERCA ALL’ISTITUTO NAZIONALE DI ASTROFISICA (INAF) E LAVORA ALL’ISTITUTO DI ASTROFISICA SPAZIALE E FISICA COSMICA DI MILANO.

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DI PATRIZIA CARAVEO

L’idea che si tratti di pianeti espulsi dal sistema planetario dove si sono formati è una possibilità, ma le simulazioni mostrano che non si tratta di un evento semplicissimo. Forse la causa potrebbe essere uno strappo violento, dovuto all’incontro ravvicinato del sistema planetario con una stella. Ma un evento del genere sarebbe più probabile nel caso di un pianeta terrestre, cosa che ha fatto nascere il dubbio che tra i pianeti orfani ci siano molte terre, ancora più difficili da rivelare a causa delle loro limitate dimensioni, che causerebbero microlensing molto brevi. In effetti, il primo pianeta orfano di tipo terrestre è stato scoperto nel 2020 grazie a un evento di microlensing durato solo qualche ora. Se l’espulsione a seguito di interazione gravitazionale non è sufficiente per spiegare i pianeti orfani, occorre pensare a meccanismi di formazione diretta, partendo da piccole nubi di materia interstellare: poco materiale si concentra per formare un pianeta piuttosto che una stella. Ancora meno di quello necessario per formare una nana bruna; tanto che l’Unione astronomica internazionale ha proposto di chiamare “sub nane brune” i pianeti orfani. La popolazione degli Ffp ha iniziato a crescere, man mano che sono diventate disponibili le survey in infrarosso, la banda di radiazioni che permette di cogliere l’emissione di oggetti come Cfbdsir 2149-0403, situato nella costellazione del Dorado a 130 anni luce da noi, che ha una massa di 4-7 pianeti come Giove e una temperatura di circa 400 °C, oppure Pso J318.5−22, situato nella costellazione del Pittore a 80 anni luce, con 6 masse gioviane e una temperatura di 1000 °C. Pianeti ancora relativamente giovani e quindi con temperature generate da sorgenti interne, dato che nessuna stella è in grado di riscaldarli. Nel dicembre 2021 c’è stato un balzo nel numero degli Ffp, con la pubblicazione dei risultati di una ricerca dedicata allo studio della formazione stellare nella costellazione di Ofiuco e dello Scorpione. Mettendo insieme le enormi banche dati disponibili, i ricercatori volevano studiare oggetti giovani appena formati, per definire la massa minima di una stella. Per questo il loro lavoro dedicava molta attenzione a oggetti leggeri, come le nane brune e, per esteso, agli Ffp, il cui moto proprio faceva presupporre che fossero parte dei giovani gruppi stellari sotto osservazione. Con sorpresa dei ricercatori, lo studio ha rivelato la presenza di almeno 70 Ffp, ma potrebbero essere anche 170. Un simile bottino rende più urgente rispondere alla domanda circa il meccanismo di formazione, ma induce anche a chiederci quale sia la linea di demarcazione tra una nana bruna e un pianeta. C’è anche chi si è chiesto se i pianeti fluttuanti possono ospitare forme di vita, ma questa è un’altra storia.

» La regione della costellazione di Ofiuco e della parte superiore dello Scorpione. I cerchietti rossi identificano i candidati Ffp.

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