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Quello che Giorgia Meloni deve chiarire Lirio Abbate
from L'ESPRESSO 30
by BFCMedia
Q u ello ch e Giorgia Meloni deve anc ora chiarire
Più che temere un ritorno del fascismo, bisognerebbe chiedere conto a Fratelli d’Italia della qualità della sua classe dirigente e dei suoi valori. Poi guardare con attenzione al programma e ai rapporti tutt’altro che facili con Salvini e Berlusconi
Fare una campagna elettorale
in questa estate rovente in cui si grida al fascista, o alla fascista, ritengo sia dannoso per la politica, perché credo che non sia questo il modo più corretto per criticare Giorgia Meloni, secondo i sondaggi favorita per la vittoria finale delle urne.
Occorre evitare di fare un minestrone che guarda ad ottobre, quando ricorrerà il centenario della marcia su Roma, e insinuare che av verrà qualcosa di simile dopo il 25 settembre.
Gli italiani vogliono sentire i programmi elettorali, auspicano di guardare in faccia i leader, ascoltare le loro idee. E non credo ci sia spazio per aprire un dibattito sulla leader di Fratelli d ’Italia, cresciuta all’ombra della fiamma che fu missina, e il fascismo. Perché penso che Meloni non instaurerà un regime fascista se dovesse vincere le elezioni. Necessita però discutere dei valori espressi nelle azioni e nelle parole di chi contribuirà con lei a fare campagna elettorale. E in particolare si deve chiedere: sono stati recisi i legami con il passato? E su questo occorre rispondere. Anzi, Meloni e i suoi tesserati devono su questo chiarire. Perché appare ancora oggi che questo legame non è stato tagliato, per una lunga serie di motivi che non sono solo questione di colore, perché il fatto che Meloni non porti il fascismo in Italia appare assodato, ma questo non significa che non ci siano problemi nel suo partito di classe dirigente. Ci sono tante figure che hanno avuto e hanno un ruolo politico e che hanno dimostrato non solo di non aver reciso quel legame, ma di avere ancora un problema di elaborazione di quegli ideali banditi dalla Costituzione. Un paese che dibatte del proprio futuro si deve porre il problema di quale classe dirigente dovrà avere. E deve chiedersi se i futuri ministri di un eventuale governo di destra guardano ai diritti, all’integrazione, alla scuola, all’accoglienza, alla solidarietà, a quale economia, a quale politica estera e all’Europa unita, oppure guardano all’Ungheria di Orban che dice: «Non mescoliamoci con altre razze». Lui è un alleato di Matteo Salvini e Giorgia Meloni ed evoca la teoria della grande sostituzione. Il leader ungherese teme che gli stranieri prenderanno il posto della popolazione dell’Occidente e usa toni razzisti che preoccupano anche la comunità ebraica. La destra italiana lo corteggia, e intanto incontra Trump e gli ultraconservatori complottisti e antiabortisti. Su questo si deve discutere. E un problema ancora esiste per il ,partito di Giorgia Meloni. E non mi riferisco solo al candidato a Palermo arrestato alla vigilia delle elezioni comunali per aver chiesto voti alla mafia, e nemmeno alla sindaca finita ai domiciliari per una questione di appalti e indagato sempre per la stessa inchiesta un eurodeputato. Ma agli ideali non democratici che affascinano ancora molti appartenenti a Fratelli d ’Italia. E poi c’è l’alleanza del centrodestra, e qui si configura qualcosa di inedito, perché sempre in passato le elezioni sono state affrontate sin dal 1994, quando nacque l’alleanza con una chiara leadership di Silvio Berlusconi. Questa volta evidentemente non sarà così. Si sarebbe pensato fino a pochi anni fa che sarebbe stato Salvini, colui che avrebbe preso il timone del comando della coalizione, ma è sempre più chiaro dai sondaggi degli ultimi anni che toccherà o dovrebbe toccare questo ruolo a Giorgia Meloni. Solo che sono tanti gli elementi di freno. La paura del Cavaliere e dei suoi, nemmeno tanto nascosta, è che con un centrodestra a guida Meloni di fatto, e con lei candidata a premier, gli elettori di Forza Italia possono essere impauriti e fare la stessa strada che hanno compiuto nei giorni scorsi i ministri del governo Draghi che, come si sa, hanno lasciato il partito. Ma tutto questo è solo l’inizio di una campagna elettorale che si annuncia calda e afosa, non solo dal punto di vista meteorologico. Q