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Il latitante, l’esilio dorato di Matacena Gianfrancesco Turano
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by BFCMedia
l porto di Reggio Calabria, lungo la di-
Aga foranea rivolta alla costa siciliana e costruita a protezione dalle libecciate, è ormeggiato un traghetto che stazza 8.100 tonnellate ed è immatricolato a Madeira, Portogallo. È fermo da decenni, dopo un breve periodo di servizio verso Messina. La Dia lo ha confiscato a dicembre del 2017. Adesso sta lì a occupare spazio in una rada fra le meno trafficate del Mediterraneo, in attesa di improbabili acquirenti perché da febbraio il blocco giudiziario è stato revocato.
La nave si chiama Amedeo Matacena in omaggio all’armatore napoletano arrivato sullo Stretto nel dopoguerra per fare concorrenza privata alle Fs e morto nell’agosto del 2003 dopo una vita di avventure imprenditoriali e politiche, le prime segnate dalla rottura con il fratello minore Elio, le seconde dal ruolo di finanziatore dei Boiachimolla durante la rivolta di Reggio del 1970-1971.
Il proprietario del ferryboat è Amedeo Gennaro Raniero Matacena, 59 anni il prossimo settembre. Il figlio primogenito dell’armatore ha qualcosa in comune con il traghetto varato nel 1986 per fare concorrenza ai cugini dello stesso cognome, azionisti della Caronte & tourist insieme alla famiglia Franza. Amedeo junior è fermo sulla costa di Dubai dal giugno 2013. La sua latitanza è iniziata nove anni fa dopo una condanna definitiva per concorso esterno in associazione mafiosa a cinque anni e quattro mesi nel processo Olimpia 3, pena che è stata ricalcolata in tre anni dalla Cassazione l’anno successivo. L’ex deputato di Forza Italia eletto con la discesa in campo del Cavaliere nel 1994, poi coordinatore regionale berlusconiano, ostracizzato da Gianfranco Fini al tempo della Casa delle libertà, è ormeggiato confortevolmente in attesa che qualcuno decida cosa fare del suo passato ingombrante, delle sue relazioni imbarazzanti, dei suoi legami con i clan della ’ndrangheta che comandano su entrambe le sponde dello Stretto ricostruiti da varie inchieste nelle quali è coinvolto: oltre a Olimpia, Mozart, Breakfast, Stato parallelo.
Nel frattempo, l’ex deputato azzurro aspetta che la sua condanna finisca rottamata come accade alle navi mangiate dalla salsedine. Il suo caso è esemplare di come i meccanismi e le garanzie della giustizia possano avvantaggiare i criminali, purché questi abbiano i mezzi per sostentarsi in luoghi che si oppongono a estradarli. Luciano Gaucci, recordman della latitanza all’estero ormai surclassato da Matacena junior, aveva trascorso circa quattro anni a Santo Domingo per la bancarotta fraudolenta del Perugia calcio
dove giocava il trequartista libico Saadi Gheddafi, figlio del Colonnello. Con Dubai la vicenda è ancora più complicata. A tutt’oggi i magistrati emiratini non hanno voluto riconoscere il reato di concorso esterno e le richieste di estradizione. La Guardasigilli Marta Cartabia, ultima di una serie di ministri non sempre zelanti, è andata di persona negli Emirati lo scorso 8 marzo a perorare la causa dell’estradizione dei numerosi fuorilegge italiani rifugiati nel Paese del Golfo. Qualche risultato si è visto. Sono tornati in Italia i camorristi Raffaele Imperiale, arrestato ad agosto del 2021 ed espatriato il 27 marzo 2022. Poi è stato il turno di Raffaele Mauriello, che andrà a giudizio per duplice omicidio. L’ultimo, ai primi di luglio, è Ciro Guglielmo Filangieri del clan Giuliano, che deve scontare diciotto anni per traffico di stupefacenti. Nel do ut des è incluso anche il trader petrolifero Andrea Giuseppe Costantino, chiuso per quattordici mesi in un carcere di massa sicurezza ad Abu Dhabi e da poco trasferito nei locali dell’ambasciata italiana in attesa di rimpatrio. Sull’ex coordinatore regionale di Forza Italia in Calabria, invece, per adesso non ci sono segnali. Un doppio ordine di problemi gioca a suo vantaggio. Il primo è di tecnica giuridica. Fonti del ministero di Giustizia riferiscono che, dopo anni di attività diplomatico-giudiziarie nulle, con gli Emirati si tratta caso per caso. La richiesta di estradizione di Matacena trasmessa all’Interpol è fondata sia sui tre anni di condanna in giudicato sia su un’ordinanza di custodia cautelare per intestazione fittizia di beni nel processo Breakfast della Dda di Reggio. Questa accusa riguarda il rapporto patrimoniale fra Matacena e l’ex moglie Chiara Rizzo, arrestata l’11 maggio del 2014. Tre giorni prima, la stessa sorte era toccata a Claudio Scajola, pluriministro forzista poi condannato in primo grado a due anni a gennaio 2020 senza riconoscimento dell’aggravante mafiosa. Contro questa sentenza la Procura ha presentato ricorso. Al centro di Breakfast c’era appunto lo sforzo, comune all’ex moglie del politico-imprenditore e al ministro, di pianificare la vita all’estero di Matacena, entrato a Dubai nell’agosto del 2013 con un volo dalle Seychelles, recluso in un carcere-resort emiratino per quaranta giorni e liberato definitivamente il 10 ottobre 2013. Secondo la Dda di Reggio, sussistono ancora i presupposti per l’arresto e l’estradizione del latitante. Sul fronte difensivo, Gianfrancesco l’opposizione è granitica. Matacena stesso Turano ha dichiarato in televisione che la sua peGiornalista na è estinta dal giugno 2022. Altri calL’EX DEPUTATO FORZISTA CONDANNATO PER CONCORSO ESTERNO È DA NOVE ANNI NEGLI EMIRATI ARABI. HA SCONTATO SOLO 45 GIORNI. IN UNA PRIGIONE-RESORT
La ministra della Giustizia, Marta Cartabia
Il procuratore aggiunto di Reggio Calabria Giuseppe Lombardo coli portano il traguardo al giugno dell’anno prossimo, quando la fuga compirà dieci anni. Richiesto di un commento da L’Espresso, uno dei difensori della famiglia Matacena, Enzo Caccavari, ha replicato per iscritto che Breakfast è prossimo alla prescrizione, come è stato prescritto Mozart, mentre è ancora pendente il ricorso di Matacena alla Corte europea di Strasburgo, sulla falsariga di quanto ha fatto il suo leader Silvio Berlusconi dopo la condanna definitiva nel processo Mediaset.
A confondere ulteriormente le autorità emiratine c’è la sentenza della corte d’Assise di Reggio Calabria che cinque mesi fa ha dato ragione a Matacena e a Rizzo. I giudici hanno annullato sequestri e confische di Breakfast e hanno disposto la restituzione dei beni. Il patrimonio, oltre al ferryboat ancorato nel porto della città dello Stretto, include immobili, conti correnti, quattro società in Italia e otto all’estero (Usa, Panama, Liberia, Nevis) per un valore che supera i 10 milioni di euro, compreso il contante depositato nelle banche delle Seychelles e di Montecarlo, dove Chiara Rizzo e altri familiari di Matacena risiedevano abitualmente.
A fare da sfondo a questa altalena di sentenze c’è un elemento tecnico fra i più banali ma fra i più efficaci per fare guadagnare tempo al fuggitivo. Per anni le Corti di Dubai hanno ricevuto documenti in inglese che, nella giustizia penale locale, non fanno testo. Le autorità italiane sono state costrette a dotarsi di traduttori arabi.
Se l’aspetto dei tecnicismi giudiziari è intricato, il secondo pilastro della latitanza record si appoggia su protezioni politiche “very discreet”, secondo la terminologia della vecchia Fininvest, che vanno molto indietro nel tempo. L’intervento più noto è quello di Scajola. L’attuale sindaco di Imperia lo ha definito così in una lettera di precisazione a L’Espresso: «Io non ho agevolato la fuga di Amedeo Matacena ma mi sono informato, quando questi era già agli arresti a Dubai per conto della procura di Reggio Calabria, sulla possibilità di ottenere asilo politico in Libano». Era lo schema concepito per Marcello Dell’Utri che, però, a Beirut è stato arrestato, estradato e ha scontato la sua pena pur occupando un posto superiore a quello del collega calabrese nella gerarchia forzista. Almeno, in apparenza. Di sicuro, Dell’Utri non ha mai attaccato frontalmente il Cavaliere del Biscione, candidato a un’elezione certa in Senato nel voto del 25 settembre 2022.
Invece Matacena, in un’intervista al Corriere della sera del 2001, subito dopo la condanna in appello per Olimpia, aveva mandato un messaggio forte e chiaro: «Ritengo di essermi comportato da amico con il presidente Berlusconi. Sono andato a Palermo a testimoniare al processo di Dell’Utri contro Rapisarda (Filippo Alberto, ndr). Mi sono trascinato dietro altri testimoni che avevano perplessità a raccontare i fatti per come si sono svolti. Ritengo che quella testimonianza sia stata fondamentale per smontare il teste Rapisarda. Poi, su richiesta di Berlusconi, sono andato a testimoniare a Caltanissetta contro la Procura di Palermo. Sono stato ripagato molto male».
Al tempo il fondatore di Forza Italia aveva mostrato una memoria poco brillante. «Questo signor Matacena io non me lo ricordo», aveva dichiarato l’ex premier alla testata Mediaset Tgcom24 nel 2014 dopo l’arresto di Scajola. «Sarà stato deputato di Forza Italia vent’anni fa per un breve periodo». Sette anni, in effetti. Ma altro sono le amnesie altro è l’ingratitudine e Berlusconi non ha mai dimenticato un amico in difficoltà. Non lo ha fatto con Cesare Previti, né con Dell’Utri, tornato in pista con le elezioni comunali a Palermo. Un po’ più freddi sono rimasti i rapporti con Scajola, che pure ha incassato una condanna non definitiva a rischio di prescrizione. Alle Comunali del 2018 l’ex coordinatore nazionale di Forza Italia ha battuto, alla testa di una lista civica, un avversario appoggiato da Fi, Fdi e Lega.
A questo punto c’è da chiedersi quando e come si concluderà il caso Matacena. L’ex deputato ha ribadito che non intende rimpatriare neppure da libero cittadino. Il traghetto intitolato a suo padre difficilmente tornerà nella disponibilità del gruppo Caronte & tourist, che lo aveva noleggiato senza mai utilizzarlo e oggi è al quarto rinnovo di un’amministrazione giudiziaria decisa nel febbraio 2021 a tutela dalle infiltrazioni mafiose. È prevedibile che la Amedeo Matacena, a suo modo un monumento, rimanga ormeggiata a lungo. Gli anni passano presto. Come i nove in fuga a Dubai del figlio dell’armatore napoletano. Q
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