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Colonialismo ambientale Georg Diez

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Noi e voi

Noi e voi

COLONIALISMO ochi giorni fa, una persona di alto livello dell’establishment politico-strategico tedesco, facendo il punto sul mondo nei prossimi dieci anni, ha detto qualcosa di notevole durante un incontro a pranzo, altriP AMBIENTALE menti piuttosto prevedibile, tra persone che la pensano per lo più allo stesso modo: L’emergenza climatica porta alla luce non usa più il termine “Occidente” parlan do di politica, ha detto, perché questo ter la divaricazione tra i Paesi occidentali mine è troppo carico di brutti ricordi ed esperienze - non può quindi più essere usa- e il resto del mondo. Che non vuole pagare to in senso costruttivo, poiché i valori che “l’Occidente” ha preteso di sostenere sono per i guasti frutto di un modello sbagliato stati screditati. Si riferiva, tra l’altro, alla guerra in Iraq DI GEORG DIEZ dei primi anni 2000, una guerra che si supponeva fosse stata combattuta in nome crisi climatica - e la crescente richiesta di dell’“Occidente” e di valori “occidentali” un impegno concreto e finanziario da parte come la libertà e la democrazia - una guer- delle nazioni responsabili della maggior ra sbagliata e soprattutto illegale, come ri- parte della distruzione, “l’Occidente” apconoscono oggi anche coloro che all’epoca punto. Alla Cop27, la conferenza sul clima la difendevano. Ma cosa significa se le per- che si è conclusa a novembre nella località sone al centro dell’establishment smetto- egiziana di Sharm el Sheikh, è stato il dibatno di parlare di “Occidente”? Qual è la stra- tito sulle “perdite e i danni” a dare questo tegia che sta dietro a questa affermazione tono: i costi economici del cambiamento che, in apparenza, potrebbe essere consi- climatico nei soli Paesi in via di sviluppo soderata un processo di apprendimento? Co- no stati stimati tra i 290 e i 580 miliardi di sa si ottiene lasciando andare “ l’Occiden- dollari entro il 2030, una somma molto prote” - e per chi? Credo che la dichiarazione sia interesL’AUTORE babilmente ancora troppo bassa. Già nell’Accordo di Parigi del 2015 è stato chiasante nel contesto di ciò che è stato e di ciò Lo scrittore e giornalista Georg Diez ha lavorato per ramente affermato che i Paesi del Nord gloche sarà, e forse soprattutto nel contesto molti anni per la Süddeutsche bale, “l’Occidente”, devono riconoscere la della crisi climatica. È un’affermazione che Zeitung, la Frankfurter loro responsabilità storica e pagare la loro allude a un mondo del XXI secolo che sarà Allgemeine Sonntagszeitung, parte per affrontare la crisi climatica. strutturato in modo diverso e secondo di- Die Zeit e come editorialista Come promemoria: “l’Occidente”, prinverse linee di potere, valori, sistemi politici, politico per Spiegel Online. cipalmente gli Stati Uniti, l’Europa e forse il un mondo in movimento sostenuto da un Ha studiato storia e filosofia Giappone, è stato costruito intorno alla discorso altrettanto in movimento. Il senso a Monaco, Parigi, Amburgo promessa di promuovere la democrazia, la di questo cambiamento, e qui diventa intee Berlino. Nel 2016/17 ha crescita, la prosperità, il progresso - un proressante collegare il passato e il futuro, è a trascorso un anno come gresso in termini prevalentemente matemio avviso quello di rendere “l’Occidente” Nieman Fellow all’Università di Harvard. La natura e la riali ed economici che è stato criticato in più agile per agire negli anni a venire, libe- portata delle crisi attuali lo molti modi, in particolare per il fatto che la rando questi Paesi dal bagaglio storico, dal hanno spinto a cambiare crisi climatica è stata causata proprio da senso di colpa e dalle sue conseguenze. rotta e ad aderire a The New questa nozione e dalla pratica del progres-

Ed ecco il collegamento che vedo con la Institute so. Ci sono molte altre forme di ingiustizia

I soccorsi dopo la frana di Casamicciola a Ischia

associate a questo - dall’estrattivismo coloniale e la schiavitù alla continua distruzione delle società del Sud del mondo e la prevalente dipendenza dalla misericordia del Nord del mondo - ma è più urgente notare che “l’Occidente” è responsabile del 92% delle emissioni globali di CO2, mentre “il resto” del mondo sta sopportando il peso della distruzione, attualmente e in futuro.

In questo contesto cosa significa evitare il termine “Occidente”? È emancipatorio o evasivo? O addirittura astuto? Senza dubbio, il dibattito si sposterà nei prossimi anni e diventerà sempre più controverso: dalle “perdite e danni” e dalla questione di come minimizzare o mitigare le conseguenze del cambiamento climatico alla richiesta di veri e propri risarcimenti climatici, un concetto più direttamente legato alla questione del colonialismo e alla responsabilità diretta dei Paesi sviluppati che più hanno tratto profitto dalle ingiustizie del passato. Ciò riguarda direttamente l’Europa e rende necessaria una risposta costruttiva.

Il dibattito sul legame tra colonialismo, capitalismo e prosperità dell’Europa ha preso sempre più piede a mano a mano che le sue conseguenze sono diventate sempre più evidenti. A volte questi dibattiti sono più incentrati sull’identità nazionale, come negli Stati Uniti con il riconoscimento del prezzo della schiavitù. A volte sono più culturali, come in Europa con la questione dei musei e della restituzione delle opere d’arte rubate da Paesi africani, asiatici o sudamericani. Ma nel contesto della crisi climatica, questo dibattito coloniale o post-coloniale deve portare, a mio avviso, a proposte concrete su come cercare la giustizia attraverso una massiccia redistribuzione della ricchezza e del denaro.

Non sono ingenuo e so che sarà difficile da realizzare, soprattutto alla luce dei dibattiti attuali che sembrano puntare in un’altra direzione: i discorsi su come cambiare le infrastrutture energetiche nei Paesi del Sud del mondo e le pratiche estrattive riguardanti le materie prime rare necessarie per le batterie e altri strumenti ad alta tecnologia puntano verso un regime neo-coloniale, creando nuove dipendenze e aprendo nuovi mercati. Ma viviamo in un momento cruciale della storia dell’umanità - e il “business as usual” non è un’opzione per coloro che vogliono davvero fare tutto il possibile per salvare il pianeta e il maggior numero di vite possibile.

Per i Paesi europei e per l’Ue in particolare, questo sarebbe un grande momento per riflettere ancora una volta in modo critico sulla propria storia e sul proprio patrimonio e per agire sulla base di una comprensione condivisa delle responsabilità in materia di cambiamenti climatici. Questo potrebbe essere un momento, e persino un movimento, per un nuovo approccio alla comunità mondiale che superi la vecchia logica degli Stati nazionali e abbracci veramente la dimensione planetaria della crisi attuale. Siamo tutti collegati, non solo in questo momento e nel futuro, ma anche attraverso ciò che è accaduto in passato.

In effetti, non è utile usare il termine “Occidente” per andare avanti, ma per ragioni diverse. Non possiamo affrontare i problemi del futuro con il pensiero del passato. Abbiamo bisogno di nuove risposte e di un nuovo vocabolario. Abbiamo bisogno di un nuovo pensiero e di un approccio veramente emancipatorio al cambiamento climatico e alla giustizia climatica. Traduzione di Amanda Morelli e Nicholas Teluzzi

IL TEMA

“L’Occidente”, termine collegato a valori come la libertà, la democrazia e la prosperità, ha perso credibilità. I paesi industrializzati, legati agli effetti anche negativi della dominazione “dell’Occidente”, hanno l’opportunità di liberarsi dal peso storico. La ricerca di una nuova posizione rispetto alle loro responsabilità nella crisi climatica - lo dimostra la Cop27 - non è però convincente: sistemi di sfruttamento, come quello di risorse naturali sul continente africano, rimangono in atto

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